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ROBERTO BENASCIUTTI 100 FAVOLE DAI TROPICI E DALL’EQUATORE

ROBERTO BENASCIUTTI 100 FAVOLE DAI TROPICI E … · 5. Le faraone, la cavalletta e il regno dell’Antico Egitto 6. Il topo dalle orecchie sottili, il fer-de-lance e l’isola delle

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ROBERTO BENASCIUTTI

100 FAVOLE DAI TROPICI E DALL’EQUATORE

Dedicato a: Alice

Arianna Barbara Charles Marta Valeria

ROBERTO BENASCIUTTI

100 FAVOLE DAI TROPICI E DALL’EQUATORE

Copyright 2007 Roberto Benasciutti Copertina di Arriane Pimentel: copia colorata su disegno di Barbara Biasion cell. [email protected] (vedi : IL LIBRO DELLE 100 FAVOLE)- Disegni del testo di Arriane Pimentel–

INDEX

PARTE I: N.10 favole con precisi riferimenti geografici 1. I granchi, le lucciole e la spiaggia tropicale illuminata dalla luna 2. Le aquile mangiascimmie, la cicala, il gatto selvatico e le leggi della sopravvivenza 3. Il gatto tropicale, il gatto delle nevi e le montagne del Colorado 4. Le rane di Taiwan, il monte Maquiling e la corrente migratoria di ritorno 5. Le faraone, la cavalletta e il regno dell’Antico Egitto 6. Il topo dalle orecchie sottili, il fer-de-lance e l’isola delle piccole Antille 7. Il koel-femmina, lo stornello triste e la bellezza dell’isola di Palawan 8. L’ibis sacro, il leone, il tamarindo e la terra degli antichi Egizi 9. La vespa e la bruttezza del condor della California 10. Il ratto dalla testa lunga, la gallina rossa e

l’emigrazione nell’isola di Pasqua

PARTE II: N. 85 favole sui paesi tropicali ed equatoriali 11. La volpe, il lupo e l’avventura nell’isola tropicale 12. I gatti tropicali e la pioggia di ratti e topi 13. Le scimmie del palmeto e l’aquila mangiascimmie

alla ricerca di un trono 14. Il sole, il vento, il silenzio e la foresta tropicale 15. Il giovane, la casetta di bambù e la gallina marrone 16. Il tarsio, il gatto e i doni della natura 17. Il martin pescatore dal collare bianco, le rane e

l’ospitalità delle termiti 18. Il filtro di sigaretta, lo scarafaggio, la lucertola e le leggi della natura 19. Il picchio, le formiche e i danni al bosco tropicale 20 Il fattore, l’ape-regina, il gruccione dalla coda blu e la

richiesta delle api-operaie 21. La scimmia, l’ uccello-dollaro, la caccia d’insetti

e il dollaro d’oro americano 22. La volpe, il corvo dal becco largo e le perifrasi 23. Il cuore sanguinante maschio di Luzon e la sua

delusione d’amore 24. La ruota di caucciù, il gippone, la pianta di pomodoro e l’agricoltore 25. Il ratto e la cura dimagrante del gatto sparuto 26. Il leone, la tigre, le gazzelle, il corvo e la riforma del regno della savana 27. La rana bianca della foresta, le fattezze dell’airone e il canto dell’usignolo d’oriente 28. Il passero, il nottolone, l’usignolo d’oriente e l’ombra del grande albero 29. Le scimmie, le lucertole e l’arrivo del martin pescatore nano 30. Il pappagallo, la scimmia e il ruggito del leone 31. L’orso polare, il piccione viaggiatore, la poiana del miele e la conferenza sul miele 32. L’airone, il caribù-femmina e il patto di solidarietà

sociale 33. Il cammello, il leone marino, il formicaleone e il

regno della savana 34. L’aquila mangiascimmie, il martin pescatore e il

taglio della foresta 35. Il parroccheto filippino, il pappagallo-femmina

multicolore e i sogni d’amore della giovinezza 36. La gallina bianca, il galletto rosso della giungla e la

vita all’aria aperta 37. La volpe, l’uccello-sarto e la conciatura delle

pellicce 38. Il serpentario, il cammello, l’aquila mangiaserpenti

e l’ospitalità della foresta tropicale 39. Le due lucertole, la farfalla multicolore, le formiche

e la lotta per la sopravvivenza 40. I cavalli dei paesi tropicali, le zanzare, l’airone

guardabuoi e i discorsi retorici del cavallo di razza 41. La volpe, il caribù e la bellezza dell’isola tropicale

42. Il gatto tigrato, il cane, la zanzara, il pipistrello e l’arca di Noè

43. La capanna dorata, il re Mida e il matrimonio della giovane scimmia

44. L’aquila mangiascimmie, il martin pescatore e il principe reggente della foresta tropicale

45. La cicala, il pavone e la sensibilità degli alberi 46. Il bucero, gli impegni d’amore e la vita familiare 47. La lucertola dalla doppia coda, il fattore, il

combattimento del galletto rosso e gli oggetti porta- fortuna

48. La volpe, il leone, il gatto, le formiche e l’uguaglianza sociale

49. Il ratto, lo scarafaggio e la sbarra di legno 50. La poiana-maschio e l’attacco al nido d’api 51. Il galletto rosso, il pavone, il tacchino, il topolino e

gli spettacoli del pollaio 52. Il caribù e il parente del topo 53. La piccola lucertola, la tuk-ko e il mimetismo del

camaleonte 54. Lo scarafaggio marrone e la bellezza della farfalla

giallo-nera 55. La volpe, il passero, il cane e la noce di cocco color

oro 56. L’aquila mangiaserpenti, l’aquila mangiascimmie e

il concerto dell’usignolo d’oriente 57. Il caribù, la mosca e i rumori minimi del bosco 58. Il gatto spelacchiato, i topi e la piantagione di canna

da zucchero 59. La grande lucertola, la lucertola dalla coda mozza e

lo specchio portafortuna 60. La volpe, la colazione del lupo e la montagna

rocciosa dell’isola tropicale 61. La zanzara, la pelle di serpente e gli uomini 62. La pavonessa, il corteggiamento del pavone e la

vanità 63. Il bucero-maschio, il bucero-femmina, il martin

pescatore e il pasto del corvo dal becco largo 64. La raganella e i concerti dell’usignolo d’oriente

65. La tuk-ko, i topolini, i millepiedi e l’ospitalità delle lucertole

66. Lo scarafaggio e lo scontro diretto fra il gatto e il topo

67. La volpe, la mosca e la sorpresa della pianta carnivora

68. La cicala, il serpente e lo stagno del desiderio 69. Le zanzare, le mosche e il canto del cuculo 70. Il coucal filippino, la dieta alimentare e le carogne dell’isola tropicale 71. Il General-gattissimo, i gatti randagi, il

parrocchetto e l’assalto ai topi della piantagione di banane

72. La cavalletta, lo scarafaggio e l’orgoglio della zanzara

73. La volpe, lo scimpanzè, le piccole antilopi e l’uso dell’intelligenza

74. Il martin pescatore, la poiana e l’imboscata del serpente

75. Il corvo e lo struzzo alla ricerca di un trono 76. Il caribù, il bucero bicorne e la pulizia del bosco 77. Il ghepardo, l’amicizia delle due gazzelle e i

pericoli della savana 78. I topi del bananeto e l’inimicizia tra cani e gatti 79. La zanzara, la formica e la piccola fiera della vanità 80. Il martin pescatore, l’airone guardabuoi e gli ‘occhi’ del pavone 81. L’usignolo d’oriente, il lupo e la scomparsa dei capretti neri 82. Il corvo, il mussenda dalle foglie sanguigne e le

esibizioni del pavone 83. La tigre e il corno del rinoceronte 84. Il cinghiale, la perla, il pescatore e i danni del tifone 85. Il ratto dalla macchia bianca, il canneto recintato e

la foresta tropicale 86. Il cammello, il dromedario, la vacca e il miraggio

del deserto 87. La farfalla gialla e il sole dei tropici 88. Lo scimpanzè, il colibrì, gli uccelli di grande taglia

e la siccità del bosco 89. Il serpente e le pretese del gatto di sangue blu 90. La rosa superba, il vento e la potenza della luna 91. Il passero e la briciola gigante 92. Il bucero, il corvo dal becco largo e la corazza dello

scarafaggio 93. Il giovane leone, la caccia alle gazzelle e la carogna

dell’ippopotamo 94. La volpe, la morte del leone e la misera fine del

topo 95. Il nottolone della savana, lo scarafaggio marrone e

il ritorno alla terra degli avi

PARTE III: N. 5 favole sui mari e gli oceani del mondo 96. Il pesce-flash e l’amicizia con gli squali 97. Il pinguino e lo scherzo pesante del polipo 98. Lo squalo, il pescecane e la fine del pescegatto 99. Il picchio, il concerto dell’usignolo e il canto delle

balene 100. Le falene e il canto della balena

PARTE I

Favole con precisi riferimenti geografici

Favola n. 1

I GRANCHI, LE LUCCIOLE E LA SPIAGGIA

TROPICALE ILLUMINATA DALLA LUNA Nella notte del 7 settembre 2006 la lunga e sinuosa spiaggia tropicale detta Monay beach dell’isola di Samar¹ nelle Filippine, era ampiamente illuminata dalla luna. Dalla battigia continuamente segnata dall’onda lieve spuntarono due granchi, desiderosi di camminare sulla sabbia. Il primo disse, rivolgendosi all’amico:”Finalmente percorriamo la spiaggia rischiarata dalla luna. Come sai, questo intenso chiarore durerà solamente due notti: perciò è meglio approfittarne”. L’amico replicò:”Molte volte abbiamo camminato sulla sabbia al buio cercando con gli occhi la debolissima luce delle coccinelle. Se ben ricordi, era molto penoso: infatti incespicavamo spesso sui sassi”. “Non pensiamoci più!” concluse il primo granchio. Ma l’estesa illuminazione era una buona guida anche per una ragazza quindicenne che, conoscendo le fasi lunari, si era portata un bastone e una borsa di nylon. Riconoscendo i due granchi nelle due mobili macchie nere che risaltavano per contrasto sulla sabbia illuminata, la cacciatrice li colpì col bastone, li afferrò con la mano destra e li pose, tramortiti, nella borsa di nylon. Poi, girando il suo sguardo a destra e a manca, proseguì la caccia decisa a catturare un gran numero di prede, mentre la luna la guardava dal cielo col suo volto impassibile ed enigmatico. Nota: quando si affronta una nuova situazione, è buona regola essere cauti.

1. Samar è un’ isola che si trova nella parte centrale delle Filippine. Si affaccia sul mar delle Filippine, vale a dire l’ Oceano Indiano.

Favola n. 2

LE AQUILE MANGIASCIMMIE, LA CICALA, IL

GATTO SELVATICO E LE LEGGI DELLA SOPRAVVIVENZA

Stimolate dal desiderio di conoscere il mondo, due aquile mangiascimmie¹ lasciarono l’isola tropicale di Palawan² per raggiungere un’isola di modeste proporzioni dominata da un picco roccioso circondato da folti boschi. Stanche del viaggio, le due visitatrici decisero di dimorare nella nuova terra per qualche giorno. Ma volando sopra i boschi si resero conto che l’isola non era abitata da scimmie. Una sera, la più alta delle due disse.”Dobbiamo abbandonare questo luogo solitario;in effetti, non essendoci scimmie, di che cosa ci nutriremo?” L’amica rispose:”Ritengo che sia opportuno cambiare tipo di alimentazione; ad esempio, potremmo cacciare scoiattoli volanti, lemuri, oppure altri animali ancora”. Ma l’aquila più alta, piuttosto di modificare le sue abitudini alimentari, preferì ritornarsene da sola a Palawan. Al contrario, per continuare a esplorare la piccola isola, l’amica si ripromise di adattarsi a nuovi cibi. Rimasta sola, la predatrice strinse amicizia con una cicala. Quest’ultima le confidò che un gatto selvatico aveva l’abitudine di percorrere il sentiero principale del bosco ogni sera, al calar del sole. “Quel piccolo felino sarà la mia prima preda!” esclamò l’aquila con tono sicuro. La sera stessa, alla solita ora, il gatto selvatico iniziò la caccia mentre il sole scompariva nell’azzurro profondo dell’oceano lasciando nel cielo innumerevoli frammenti purpurei. Nascosta dai rami di una palma, la predatrice lo scorse e pensò:”Sarebbe stato meglio che tu fossi nato gatto domestico, rinchiuso tra le mura di casa!” Infine si scagliò sul piccolo felino che, con la testa chinata sull’erba, fiutava ovunque non immaginando neanche lontanamente di stare per diventare una preda. Nota: a volte nella vita ci si trova di fronte al dilemma ‘adattarsi o morire’. In tali circostanze è preferibile operare in tempi brevi scelte precise e inequivocabili. 1. L’ aquila mangiascimmie è chiamata re degli uccelli. È uno dei piu grandi e forti uccelli del mondo. È alta circa 1 m. Temuta cacciatrice, è in via d’estinzione.

2. Palawan è un isola che fa parte dell’ arcipelago filippino detto Visayas.

Favola n. 3

IL GATTO TROPICALE, IL GATTO DELLE NEVI E LE MONTAGNE DEL COLORADO

Un gatto color caffelatte viveva da molto tempo in una piantagione di canna da zucchero. Trovando topi in abbondanza fra le canne, il piccolo felino era soddisfatto per il cibo. Tuttavia, non era contento della sua vita perché sopportava a stento il clima tropicale per le temperature elevate. Un giorno, la sua caccia di topi fu interrotta dal passaggio di un orso che stava visitando i paesi tropicali accompagnato da una scimmia che faceva da guida. Il gatto si fermò e udì queste frasi pronunciate dal visitatore:”Nelle montagne dello stato americano del Colorado¹, quando nevica intensamente viene impiegato il gatto delle nevi”. Dopo aver salutato cordialmente il piccolo felino, l’orso e la scimmia proseguirono il loro cammino. La sera, ritornato nella sua tana che si trovava nella cavità di una palma alla base del tronco, ripensando alle parole dell’orso il gatto si domandava:”Perché la natura non mi ha fatto nascere gatto delle nevi?” In effetti non sapeva che questa espressione designava un mezzo meccanico da trasporto usato in casi di necessità dagli abitanti della montagna. Seguendo il corso dei suoi pensieri, si diceva:”Se fossi nato nel Colorado non avrei mai conosciuto le temperature elevate dei tropici, che non concedono tregua nemmeno di notte.” Disteso nella sua tana, con gli occhi che sporgevano sull’orlo della cavità della palma, il gatto guardava l’azzurro del cielo stellato e continuava il suo monologo interiore:”Deve essere bello respirare l’aria pura e fredda dell’alta montagna camminando sulla neve bianca e lucente come il cotone. Chissà che spessa pelliccia avrà il gatto delle nevi per resistere alle temperature sotto zero! Forse è più consistente di quella dell’orso!” Intanto il sonno lo induceva a chiudere gli occhi e nel dormiveglia si ripeteva:”Perché non sono nato gatto delle nevi?” Nota: a volte le illusioni, alimentate dall’ignoranza, si trasformano in sogni veramente lontani dalla realtà.

1. Il Colorado è uno stato degli U.S.A. La sua capitale è Denver.

Favola n. 4

LE RANE DI TAIWAN, IL MONTE MAQUILING E LA CORRENTE MIGRATORIA DI RITORNO

Un giorno, nell’isola di Taiwan¹, un agricoltore pescò con un’ampia e solida rete numerose rane. Dopo averle sistemate in appositi contenitori d’acciaio pieni d’acqua, le caricò in una nave avente la seguente destinazione: MONTE MAQUILING- PROVINCIA DI LAGUNA- ARCIPELAGO DI LUZON- FILIPPINE Così le rane di Taiwan si trovarono forzatamente in breve tempo nell’area degli stagni del monte Maquiling. Qualche giorno dopo il loro arrivo le più anziane convocarono l’assemblea generale, che si doveva tenere nella radura che separava il grande stagno dagli altri specchi d’acqua. Mentre il sole si abbassava lentamente dietro il monte Maquiling, una delle vecchie rane prese la parola a nome di tutte:”Intendiamo rifiutare il nuovo habitat: pertanto dobbiamo organizzare una grande corrente migratoria di ritorno”. In breve, questa espressione divenne lo slogan di coloro che si prefiggevano di rivedere la propria terra natale. Tuttavia le giovani rane la pensavano diversamente. Sciolta l’assemblea, parlarono a lungo fra di loro; infine nominarono una loro rappresentante con il compito di rendere noto il programma sottoscritto da tutte. Il giorno seguente, riconvocata l’assemblea, la giovane rappresentante spiegò:”Un ritorno alla nostra terra natale sembra estremamente difficile: infatti dovremmo effettuare un lungo percorso per terra e per mare prima di raggiungere Taiwan.Ormai ci troviamo nella fertile area del monte Maquiling, nelle Filippine. Mettiamo da parte l’ipotesi di ritornare in patria e guardiamo in faccia la realtà con coraggio e determinazione: qui siamo e qui ci conviene rimanere!” Persuase dal discorso della giovane ed energica rana, anche le anziane, sia pure a malincuore, si adattarono a vivere negli stagni del monte Maquiling. Nota: a volte, per una ragione o per un’altra, il ritorno al proprio habitat diventa impossibile.

1. Taiwan è un isola dell’ Estremo Oriente vicina alla Cina. La sua capitale è Taipei.

Favola n. 5

LA FARAONA, LA CAVALLETTA E IL REGNO DELL’ANTICO EGITTO

Una faraona viveva in solitudine razzolando in un palmeto che fiancheggiava una strada di campagna. Un giorno, vedendo uno sciame di cavallette che volava a bassa quota sopra il bosco, esclamò:”Mi accontenterei di prenderne una per soddisfare il mio appetito”. Il giorno dopo il caso volle che il grigio pennuto s’imbattesse in una cavalletta che, avendo abbandonato lo sciame, era atterrata in una radura del palmeto. E afferrò la malcapitata con la zampa destra stringendola fortemente. Quest’ultima disse, mentendo:”Ho lasciato le mie compagne perché ero ammalata. Ti supplico, lasciami morire nel bosco!” La faraona rispose, con tono duro:”Credo solo nella legge del più forte!” Per cercare di salvarsi, l’insetto ricorse all’adulazione:”Allora, perché non ritorni nella terra del Nilo, un tempo abitata dai tuoi antenati? È giusto che tu rivendichi il trono dei tuoi padri che furono re dell’Antico Egitto¹. Diventando una potente sovrana avrai a disposizione tutto il cibo che vorrai!” Non credendo assolutamente a sogni e a illusioni che si basano su avvenimenti del passato, il grigio pennuto replicò:”Non ambisco al trono dell’Antico Egitto, anche se era governato dai miei padri; e non accarezzo l’idea di ritornare nella terra bagnata dal Nilo. Infatti, vivo nel presente, in questo palmeto che mi ha visto nascere”. Pronunciate queste parole, senza aspettare risposta la faraona divorò la cavalletta esclamando freddamente:”Pensare all’Antico Egitto non riempie la mia pancia”. Nota: talvolta si ha l’occasione d’incontrare chi non prova alcun interesse per paesi e tempi lontani.

1. L’ Egitto è un vasto stato del Nord-Africa e dell’ Asia famoso per la nota civiltà egizia (ricordi le Piramidi?)

Favola n. 6

IL TOPO DALLE ORECCHIE SOTTILI, IL FER DE

LANCE E L’ISOLA DELLE PICCOLE ANTILLE Un topo dalle orecchie sottili viveva in Argentina, paese del sud-America caratterizzato da estese praterie. Si cibava abitualmente nei verdi prati con i suoi compagni e la sera si riposava da solo ai piedi di grandi alberi, ripensando con calma ai fatti che avevano contrassegnato la sua giornata. Addormentandosi, si abbandonava dolcemente al suo sogno prediletto di vivere in un’isola delle Antille¹, nel mare dei Carabi. Un giorno, il piccolo roditore seppe dai suoi amici che ogni mese dal porto di Buenos Aires partiva una nave per le isole caraibiche.Dopo aver riflettuto a lungo, prese una decisione e passò immediatamente dalle parole ai fatti. S’incamminò lungo il fiume chiamato Rio della Plata per raggiungerne la foce, in cui si trova il porto di Buenos Aires. Arrivato alla meta prefissata e trovata la nave diretta alle Antille, s’imbarcò clandestinamente. Ben accovacciato in un angolo della stiva, dopo un lungo viaggio approdò finalmente in un’isola del mar dei Carabi. Presto il topo dalle orecchie sottili s’incamminò verso l’interno del territorio sotto un sole cocente. Giunto in una piantagione di canna da zucchero si fermò e disse:”Mi piacerebbe vivere qui”. I topi che vi dimorarono diedero il benvenuto al nuovo arrivato che, dopo aver ringraziato cordialmente, espresse il desiderio di stabilirsi nella piantagione. Tutti accettarono la sua proposta, ma un topo dalla coda lunga lo avvertì:”È doveroso comunicarti che il fer de lance² ci preoccupa molto”. Il visitatore ripetè meccanicamente:”Il fer de lance?” Il suo interlocutore spiegò:”Si tratta di un serpente. Il suo nome, che significa testa di una lancia, si riferisce alla forma particolare della sua testa”. Il topo dalle orecchie sottili osservò:”Mi rendo conto che i serpenti sono un pericolo per noi topi. Ne ho già incontrati alcuni in Argentina e, per fortuna, sono ancora vivo”. Il topo dalla coda lunga precisò:”Il fer de lance che dimora nella piantagione ha covato settanta piccoli!” Nell’apprendere la notizia, il visitatore fremette; ma ripresosi dopo qualche istante esclamò enfaticamente:”Avremo sempre e ovunque dei nemici! Ma non ci arrenderemo mai e in nessun luogo!” Le sue frasi colpirono i presenti, che gli indicarono una fessura del terreno che poteva servirgli da dimora. Il topo dalle orecchie sottili si sistemò sorridendo nella sua nuova tana e, salutando i presenti, disse con tono compiaciuto:”Il mio entusiasmo per un’isola tropicale è superiore al timore per i miei nemici!”

Nota: il nostro entusiasmo ci può aiutare nella lotta contro difficoltà e avversità d’ogni genere?

1. Le Antille si trovano nel Mar dei Caraibi che bagna la parte centrale del continente americano.

2. Il fer de lance è un serpente velenoso simile alla vipera.

Favola n. 7

IL KOEL-FEMMINA, LO STORNELLO TRISTE E LA

BELLEZZA DELL’ISOLA DI PALAWAN Nella foresta dell’isola tropicale di Palawan, nell’arcipelago filippino, un koel-femmina¹ viveva la sua felice giovinezza. Di solito, si nascondeva appollaiandosi nel ramo di un albero dalla folta chioma per cantare dalla mattina alla sera. Per richiamare l’attenzione degli altri uccelli del bosco, ripeteva il suo verso grave sei o sette volte in un crescendo di tono. A volte, per avere un numeroso uditorio, la cantante si esibiva da un albero con radi rami. Fra il suo pubblico era sempre presente uno stornello triste², che era diventato un suo grande ammiratore. Il koel-femmina interrompeva il suo canto solo per procurarsi del cibo. Si nutriva di frutta, in particolare di fichi. Qualche volta, per rimanere vicino all’albero da cui faceva spettacolo, si cibava d’insetti. Un giorno, conobbe un suo coetaneo; in breve tempo s’innamorò di lui e rimase incinta. Quando venne il tempo di covare l’uovo, il koel-femmina pensò freddamente:”Se mi dedico al nascituro, non troverò più il tempo per cantare”. Senza aggiungere altro, volò al nido dello stornello triste, che era assente, e depose l’uovo. Infine, ritornata all’albero dalla folta chioma, si disse:”Essendo lo stornello triste un mio entusiastico ammiratore, sono certa che il mio piccolo riceverà le dovute cure. Io impiego il mio tempo cantando e lui, che cosa fa? So che visita e rivisita l’isola soffermandosi a lungo in luoghi di rara bellezza. Ma io credo che, d’ora in avanti, proverà una soddisfazione ancora maggiore occupandosi di mio figlio!” Nota: quando si diventa genitori è doveroso occuparsi dei propri figli.

1. Il koel è un uccello simile al cuculo. Depone le uova nel nido di altri uccelli.

2. Lo storno è un uccello molto comune anche in Italia. Vola in stormi che assumono diverse forme.

Favola n. 8

L’IBIS SACRO, IL LEONE, IL TAMARINDO E LA TERRA DEGLI ANTICHI EGIZI

Stimolato da un grande interesse per la natura, un ibis sacro¹ che viveva nelle regioni dell’Africa meridionale decise di visitare la savana. E in un giorno pieno di sole, intraprese il volo per risalire il continente nero. Dopo settimane di volo, superata la regione dei Grandi Laghi, il bianco uccello raggiunse la meta prefissata; da allora impiegò il suo tempo all’esplorazione dei desolati paesaggi inariditi dalla siccità. Infine si dedicò alla caccia di piccoli insetti, di cavallette e di serpenti. Avendo un grande desiderio di conoscere il nuovo visitatore, il leone lo invitò a pranzo nella sua tana e gli disse:”Ho appreso con piacere che stai facendo tabula rasa di alcuni animali che infestano il mio regno. Quindi, sarei onorato di averti come mio ospite per un lungo periodo di tempo”. Ringraziato il re della savana per il suo cortese invito, il bianco uccello replicò:”Accetterei la tua ospitalità solo se potessi nidificare sui rami di un tamarindo”. Terminato il pranzo, il leone diede subito l’incarico ai suoi cuccioli d’ispezionare il territorio soggetto alla sua legge per trovare un albero di quella specie, ma la loro ricerca ebbe un esito negativo. Pertanto, congedatosi cordialmente dal leone, l’ibis lasciò la savana e si diresse verso l’Egitto. Dopo aver volato per molte ore, si fermò per riposarsi sui rami di un albero provvisto di un’ampia chioma. E si disse:”Ho inventato la scusa del tamarindo perché non volevo rifiutare apertamente l’invito di un re. Infatti sapevo bene che nella savana non crescono alberi di quella specie!”. Poi continuò:”Al regno della savana preferisco la terra d’Egitto, resa fertile dalle acque del Nilo. È noto a tutti che, per i servizi che i miei antenati rendevano quali distruttori d’insetti e di serpenti, gli Antichi Egizi li consideravano delle divinità”. Infine si domandò incuriosito:”Chissà se i nuovi abitanti dell’Egitto avranno per me la stessa considerazione che gli Antichi Egizi nutrivano per i miei avi?” Nota: è giusto rifiutare proposte e inviti adducendo delle giustificazioni infondate?

1. L’ ibis sacro è un grande uccello simile alla cicogna e all’ airone, con una gran cresta sul capo.

Favola n. 9

LA VESPA E LA BRUTTEZZA DEL CONDOR DELLA CALIFORNIA

Un condor¹ della California², tenuto fin dalla nascita nella grande gabbia di un giardino zoologico, fu messo in libertà. Respirando a pieni polmoni, iniziò a volare sulla prateria senza una meta precisa. Poi sentendosi stanco, si posò sui rami di un albero. Mentre ammirava il verde paesaggio immerso nel silenzio, una vespa gli si posò accanto. Infastidita per una recente delusione d’amore, voleva fare arrabbiare il grande uccello. Non avendo mai visto un condor, gli disse: “A quale famiglia appartieni?” “Faccio parte della famiglia dei Catartidi”. L’insetto domandò incuriosito: “Vieni dunque dall’Antartide?” Il condor spiegò sorridendo: “Noi Catartidi non abbiamo nulla a che fare con le terre antartiche. Infatti, proveniamo dalle Ande peruviane”. La vespa continuò: “Perché ti trovi in California?” “Dovresti chiederlo ai miei antenati”. “Sei buono o cattivo?” In vena di scherzare, il condor rispose:”La notte scorsa, in gabbia, ho avuto una cattiva digestione”. La vespa sbottò: “Perché non rispondi alla mia domanda?” Tergiversando, l’interrogato continuò pensoso: “Da poco sono uscito dalla cattività…” Il piccolo insetto ripetè innervosito: “Insomma sei buono o cattivo?” Invece di rispondere, il grande uccello pose a sua volta una domanda: “Come ti comporti con gli altri?” Dopo essere rimasta in silenzio alcuni istanti, la vespa riprese animatamente il dialogo: “Sei un tipo permaloso?” “Assolutamente no!” “Dunque, non offenderti se affermo che col tuo muso cascante e col tuo becco all’ingiù sei veramente brutto!” Sempre con tono allegro, il condor osservò: “Sono brutto, ma qui in California sono raro. Sono nato e cresciuto in cattività perché la mia specie è in via d’estinzione. Nel mondo puoi trovare animali belli o brutti, ma gli uccelli rari come me sono preziosi. Perciò mi vanto della mia rarità!” Non trovando parole per ribattere, la vespa volò via senza degnarsi di salutare il suo interlocutore. Nota: a volte l’orgoglio e la vanità possono far dimenticare la bruttezza?

1. Il condor è un uccello molto grande, il piu grande fra tutti i rapaci. 2. La California è uno stato degli U.S.A. la sua capitale è Los Angeles.

Favola n. 10

IL RATTO DALLA TESTA LUNGA, LA GALLINA ROSSA E L’EMIGRAZIONE NELL’ISOLA DI

PASQUA Alcuni secoli or sono un folto gruppo di abitanti delle isole della Polinesia decise di colonizzare l’isola di Pasqua¹, che essi chiamarono Rapa Nui. I polinesiani s’imbarcarono in una nave di ampie dimensioni e portarono con loro, fra l’altro, numerose galline. Anche dei ratti trovarono posto nelle parti basse dell’imbarcazione. Tuttavia, essendo clandestini, si limitavano a percorrere i recessi della stiva, evitando in tutti i modi d’incontrare i membri dell’equipaggio. Solo uno di loro, un ratto dalla testa lunga, si azzardò a raggiungere la coperta. I marinai lo videro e iniziarono a fargli la caccia. Ma una gallina rossa lo nascose prontamente sotto le sue piume salvandogli la vita. Dopo l’approdo della nave in un’insenatura dell’isola i ratti si dispersero nei boschi e le galline furono sistemate in pollai circondati da spaziose aie recintate. Un giorno il ratto raggiunse il pollaio in cui viveva la gallina rossa. “Ti devo la vita”, disse commosso offrendogli la sua amicizia. La gallina rossa rispose:”Posso accettare la tua amicizia solo se riconosci che fra me e te c’è una barriera sociale: infatti tu sei un clandestino, mentre io faccio parte della società umana”. Sorpreso per l’inattesa risposta, il ratto chiese incuriosito: “Perché ti consideri inserita nella società degli uomini?” La sua interlocutrice spiegò:”Facendo le uova provvedo, almeno in parte, alla loro alimentazione. Tu, invece, clandestino eri nella nave e clandestino rimani ora nell’isola”. Il piccolo roditore riconobbe che la gallina rossa aveva ragione. Comunque precisò:”Tieni a mente che, quando gli uomini saranno a corto di viveri, si nutriranno di galline; infine, esaurite le loro riserve alimentari, si ridurranno a cibarsi di ratti”. A queste parole la gallina rossa divenne pensosa perché si rendeva conto che, a ben guardare, fra lei e il piccolo roditore non esisteva alcuno steccato sociale; in effetti entrambi erano destinati a diventare cibo per gli uomini. Infine i due interlocutori si confrontarono su altri argomenti. Da allora l’amicizia che li univa si fondò sul valore della solidarietà. Nota: tra coloro che diventano compagni di sventura nascono spesso relazioni di amicizia e di solidarietà.

1. L’ isola di Pasqua è una piccola isola dell’ Oceano Pacifico; politicamente, appartiene al Cile. È chiamata anche Rapa Nui.

PARTE II

FAVOLE SUI PAESI TROPICALI ED EQUATORIALI

Favola n. 11

LA VOLPE, IL LUPO E L’AVVENTURA NELL’ISOLA TROPICALE

Una volpe e un lupo avevano realizzato il loro sogno di raggiungere un’isola tropicale. Approdati in una spiaggia sinuosa, dopo essersi riposati si addentrarono nella foresta ed iniziarono la caccia. Tutto fu molto facile per i due predatori perché numerosi capretti neri pascolavano tranquillamente fra le palme, ignari del pericolo che correvano. La sera, la volpe e il lupo ritornarono alla spiaggia e si addormentarono stanchi e sazi sulla sottile sabbia bianca. Il giorno seguente il lupo ebbe una crisi depressiva. E si disse, fra l’altro:”Sono venuto ai tropici per ammirare i lussureggianti paesaggi di cui tutti parlano; invece, ho dimostrato subito la mia avidità saziandomi di capretti”. Preso da riflessioni di tal genere, il lupo volle fare il bagno da solo, mentre la volpe lo guardava scuotendo la testa. Infatti, in breve tempo corse il rischio di farsi travolgere dai marosi. Tuttavia, una grande tartaruga lo vide in difficoltà e lo soccorse caricandolo sulla sua estesa corazza. A riva lo lasciò, più morto che vivo, alle cure della volpe. Ripresosi, il lupo ringraziò la sua salvatrice e per dimostrare la sua riconoscenza la invitò nella sua tana, pur dimorando in una lontana foresta di un paese temperato. Dapprima perplessa, alla fine la tartaruga decise di accettare l’invito. Dopo aver appresa la notizia, camminando da sola sulla battigia la volpe si disse ad alta voce :”Sono soddisfatta. È noto che la testuggine non può sopportare un lungo viaggio via terra. Perciò, approfittando al momento opportuno della sua stanchezza, appena potrò la divorerò: si dice che la sua carne sia squisita”. Ma un granchio, udito per caso il monologo dell’astuto animale, prese la tartaruga in disparte e le raccontò tutto. Allora la testuggine si rivolse al lupo e gli disse che, dopo aver pensato alla fatica del viaggio, aveva cambiato idea. Il lupo non rinnovò l’invito e la ringraziò nuovamente per avergli salvato la vita. La tartaruga si accomiatò entrando nelle acque marine mentre la volpe, che aveva assistito alla scena, osservandola nuotare si rodeva per la rabbia.

Passeggiando incollerito lungo la battigia l’astuto animale vide un grosso pesce nero affiorare sull’acqua; in un attimo lo divorò sia per sfogare la sua rabbia, sia per soddisfare la sua avidità. Ma avendo digerito un pesce velenoso la volpe fu colpita da dolori lancinanti, si accasciò sulla sabbia e morì, assistita fraternamente dal lupo, che si domandava inquieto che cosa fosse successo. Solo il granchio, che aveva avvisato la tartaruga del pericolo, pur tenendosi a distanza capì chiaramente lo svolgersi dei fatti. Nota: A volte la rabbia, unita all’avidità, gioca brutti scherzi.

Favola n. 12

I GATTI TROPICALI E LA PIOGGIA DI RATTI E TOPI

Nella grande città delle isole filippine chiamata MetroManila un gatto dal folto pelo screziato e un gatto dal sottile pelo marrone erano diventati amici. Dopo aver vissuto per molti anni nelle strade i due piccoli felini decisero di dimorare in un modesto albergo, sperando che in quel luogo la caccia ai topi fosse più facile. Presto si resero conto che, pur riuscendo a sopravvivere, anche nella nuova abitazione la loro vita era molto dura. Spesso il gatto dal pelo screziato, che aveva una buona cultura, traduceva all’amico alcune espressioni idiomatiche della lingua inglese. In un caldo pomeriggio di marzo, percorrendo il corridoio centrale dell’albergo il gatto screziato disse all’amico:”Lo sai che con l’idioma ‘piovono cani e gatti’ la lingua inglese indica una pioggia molto forte che dura a lungo?” Il gatto marrone rispose negativamente e chiese incuriosito:”Esiste anche l’espressione ‘piovono ratti e topi?’” Il gatto screziato replicò sorridendo:”No, anche se per noi piccoli felini una pioggia del genere sarebbe una benedizione del cielo”. In quel momento un topo di medie dimensioni cadde da un buco del soffitto e finì tra i due amici che in un lampo lo divorarono dividendoselo in parti uguali. “È piovuto un topo!” disse con aria divertita il gatto screziato. L’amico replicò:”Oggi abbiamo mangiato. Auguriamoci che il giorno di domani sia uguale a quello di oggi!” Nota: talvolta i nostri modesti desideri si realizzano inaspettatamente?

Favola n. 13

LE SCIMMIE DEL PALMETO E L’AQUILA MANGIASCIMMIE ALLA RICERCA DI UN TRONO

Un palmeto di una sperduta isola tropicale era densamente abitato da scimmie. Pur essendo la frutta abbondante molte di loro, cibandosi per abitudine sulle stesse palme, nel dividersi il cibo finivano spesso per litigare. Atterrata per caso nell’isola, un’aquila mangiascimmie parlando con alcuni uccelli venne a conoscenza del fatto. Rimasta sola, la predatrice si appollaiò in cima ad un ramo curvo di un albero nano e si disse:”Probabilmente le abitatrici del luogo non sanno che io sono un’aquila mangiascimmie perché forse non ne hanno mai vista una. Infatti solo l’impeto del vento contrario mi ha costretta a fermarmi qui; mi conviene dunque approfittare di questa situazione favorevole”. Il giorno dopo l’aquila raggiunse il palmeto popolato dalle scimmie, che si raccolsero a gruppi all’ombra dei grandi alberi. La visitatrice disse mentendo:”Sono atterrata nell’isola attratta dal paesaggio verde. È un grande piacere conoscervi e il mio cuore si riempie di gioia al pensiero che, soggiornando qui nel bosco, potrò osservare il vostro semplice modo di vivere di cui tutti parlano con ammirazione. Però da indiscrezioni raccolte mi risulta che non andate d’accordo tra di voi”. Allora una scimmia prese la parola a nome di tutte e ammise con amarezza:”Ormai è noto che l’armonia e la pace non regnano più tra noi”. L’aquila continuò:”Ho una proposta da sottoporvi. Col vostro consenso desiderei diventare il vostro sovrano. Non essendo una di voi sarà per me un compito facile regnare restando al di sopra delle parti. Governerò con giustizia e, se necessario, con severità impegnandomi fin d’ora a mettere ordine nel territorio a me soggetto”. Stanche di litigare, le scimmie si riunirono in assemblea straordinaria e decisero a larga maggioranza di nominare l’aquila ‘sovrano del palmeto’. Il giorno dopo il re, dopo aver ringraziato l’assemblea per la nomina disse:”Ho bisogno di conoscervi una ad una per capire i vostri problemi sia individuali sia collettivi. Pertanto da questa sera in poi vi convocherò a rapporto, una per sera, nella mia residenza. Inoltre vi comunico d’aver scelto come residenza ufficiale la palma più alta del bosco che, come sapete, si stende obliqua e a distanza dalle altre all’inizio del regno. Per concludere, tenete sempre a mente che non si discutono le decisioni di un re”.

La sera stessa la più litigiosa delle scimmie si mise a rapporto, sperando di conquistarsi la simpatia del monarca. Ai piedi della palma obliqua, quest’ultimo ascoltò pazientemente la malcapitata guardandola con occhi attenti e fingendo un notevole interesse per le sue vicende personali. Ma al dileguarsi del sole, nel silenzio del palmeto d’improvviso l’aquila roteò gli occhi, s’avventò sulla scimmia e la divorò disperdendo nelle felci i suoi miseri resti. Il giorno seguente le scimmie, molto preoccupate, chiesero al re dove si trovava la loro compagna. Manifestando un calma apparente, il sovrano rispose:”Dopo aver ascoltato le sue lamentele l’ho congedata ordinandole di abbandonare il bosco per raggiungere i luoghi più remoti dell’isola. Nella solitudine, la vostra compagna potrà ben meditare sul suo discutibile comportamento tenuto nei vostri confronti”. Sorprese per le inattese dichiarazioni dell’aquila, le scimmie non replicarono e ritornarono perplesse alle loro occupazioni quotidiane. Quel giorno l’ordine regnò nel palmeto; in effetti, avvertendo una grande angoscia nessuna di loro aveva la voglia o la forza di litigare. La sera, un’altra scimmia, anch’essa nota per la sua litigiosità, si presentò a rapporto alla residenza reale, dalla quale non fece più ritorno. Il giorno dopo le scimmie, agitate più che mai, chiesero all’aquila che fine aveva fatto la loro compagna. Il monarca rispose affermando di averla punita confinandola nei luoghi scoscesi dell’isola. Ma le scimmie non credettero alle bugie dell’aquila; infatti sapevano che l’amica, per quanto fosse un’attaccabrighe, non avrebbe lasciato il palmeto per nessuna ragione al mondo. Fortemente irritato, il sovrano interruppe le loro proteste:”Non credete alla parola di un re?” “No!” ribatterono concitate, ma all’unisono, le abitatrici del bosco. “Da questo momento non sono più il vostro sovrano!” dichiarò rabbiosamente l’aquila, che immediatamente spiccò il volo. Le scimmie emisero dei profondi respiri di sollievo, ripromettendosi di non nominare mai più un altro re. Inoltre, affidarono all’assemblea generale convocata seduta stante il compito di discutere e di deliberare sulle dispute che fossero nate fra di loro. Nel frattempo, atterrata su un picco solitario, l’aquila si disse:”Al giorno d’oggi il mestiere di re è uno dei più duri da svolgere perché non si trovano più sudditi che ubbidiscano totalmente. Stando così le cose preferisco rinunciare al trono per vivere nell’anonimato come un uccello qualsiasi!” Nota: è buona norma affidare ad organi assembleari la discussione e la risoluzione di liti e controversie nell’osservanza dei principi ispirati all’uguaglianza, alla giustizia e alla democrazia.

Favola n. 14

IL SOLE, IL VENTO, IL SILENZIO E LA FORESTA TROPICALE

Un giorno il sole parlando amichevolmente col vento e col silenzio disse:”Osservate quell’isola tropicale che si scorge in lontananza nell’oceano sterminato: vedete com’è lussureggiante?” I suoi amici annuirono ed egli continuò:”Come sapete, è il calore dei miei raggi che assieme all’azione di altri elementi della natura rende la foresta tropicale così fertile. In altre parole, io sono il primo artefice della vita sulla terra!” Dopo una breve pausa il vento ribattè:”Tu sei la vita, ma sei anche la morte. Infatti, se non è mitigato dalla pioggia o dalla mia azione ristoratrice il tuo calore causa la siccità”. Il sole ammise:”Riconosco che tu e la pioggia svolgete un ruolo molto importante nel mondo della natura”. Poi rivolgendosi al silenzio, disse con un tono leggermente ironico:”Purtroppo devo constatare che, fra noi tre, tu sei quello che conta di meno”. Il vento gli diede ragione, ma il silenzio replicò acutamente:”Se non ci fossi io, come farebbero gli abitanti della foresta tropicale a riflettere, studiare e lavorare in un’atmosfera tranquilla? In effetti molte cose si capiscono meglio o si fanno nel migliore dei modi quando la calma regna sovrana”. A tali parole il sole e il vento rimasero ammutoliti, nell’azzurro del cielo permeato da un grande silenzio. Nota: a volte, per riflettere e studiare con profitto è indispensabile frequentare luoghi in cui domina il silenzio.

Favola n. 15

IL GIOVANE, LA CASETTA DI BAMBÙ E LA GALLINA MARRONE

In un’isola tropicale un giovane viveva in una casetta di bambù che si elevava a palafitta sul terreno. Nel retro dell’abitazione egli aveva collocato tre gabbiette contenenti ciascuna una gallina. Le tre galline erano di tre colori diversi: nera la prima, bianca la seconda e marrone la terza. Poiché faceva caldo, di giorno il giovane apriva le gabbiette per permettere loro di razzolare all’ombra delle palme. La nera e la bianca facevano regolarmente l’uovo sull’erba nelle vicinanze della casetta e il giovane, avvertito dai ripetuti ‘coccodè’, lo raccoglieva prontamente. Quando si trattava di fare l’uovo, la gallina marrone non sapeva quale luogo scegliere per accovacciarsi. Un giorno si adagiò nella cavità di un albero tagliato alla base del tronco nel mezzo del palmeto. Il giovane, avendo perso di vista la gallina, non trovò più l’uovo, che marcì nel verde. Il giorno dopo l’inquieta gallina lasciò cadere delicatamente l’uovo in un viluppo di felci. Un nero capretto lo calpestò inavvertitamente prima dell’arrivo del giovane. Un altro giorno il volatile marrone si arrischiò di deporre l’uovo distendendosi sull’orlo di un pozzo d’acqua abbandonato e l’uovo cadde nel vuoto. Il giovane, che aveva assistito alla scena, prese con determinazione la gallina marrone e la rimise di brutto nella sua gabbietta. Dopo questo spiacevole fatto, le permise di uscire per razzolare solo una volta fatto l’uovo e così ottenne finalmente un uovo al giorno. Nota: è bene fare il proprio dovere quotidiano nel migliore dei modi.

Favola n. 16

IL TARSIO, IL GATTO E I DONI DELLA NATURA Un tarsio¹ e un gatto si erano conosciuti in una spiaggia di un’isola tropicale dalla sabbia bianca e sottile come polvere. Diventati amici, un giorno il gatto disse al tarsio:”Tu sei conosciuto ovunque: infatti la lunghezza del tuo corpo, non superando i venti cm. ti rende il più piccolo dei Primati. Il tarsio rispose:”Ringrazio la natura che ha voluto rendermi così famoso, anche se forse non lo merito”. Il piccolo felino continuò:”Perdona la mia sincerità: la natura ti ha dato due occhi così grandi e vitrei per cui qualcuno, forse a ragione, ti soprannomina spettro. Invece, guarda i miei: sono di un verde intenso e ben proporzionati al muso e al resto del corpo”. Il più piccolo dei Primati ammise:”I tuoi occhi sono veramente belli ed espressivi. Inoltre, la natura ti ha dotato di un’estrema agilità e questo ti aiuta molto, fra l’altro, nell’esercizio della caccia quotidiana”. Il piccolo felino concluse compiaciuto:”Sono bello e agile. Ora, dovendo iniziare la caccia, ti saluto cordialmente e…non pensare troppo ai tuoi occhioni”. Il tarsio contraccambiò i saluti e, guardando l’amico rimpicciolirsi in lontananza, riflettè:”I miei grandi occhi l’hanno colpito veramente! Ma io non mi lamento, nel complesso. Anzi, devo ringraziare la natura che, oltre a rendermi noto a tutti per essere il più piccolo dei Primati, mi ha dotato di una testa che può effettuare una rotazione di 180 gradi. E di tale eccezionale movimento rotatorio mi avvalgo nella caccia notturna di lucertole e insetti: che cosa voglio di più dalla vita?” Nota: accontentarsi dei doni che la natura elargisce riempie il cuore di gioia. 1. Il tarsio è una proscimmia delle dimensioni di un ratto. È chiamato anche tarsio spettro delle Filippine.

Favola n. 17

IL MARTIN PESCATORE DAL COLLARE BIANCO, LE RANE E L’OSPITALITÀ DELLE TERMITI

Un martin pescatore dal collare bianco¹ viveva da anni sulla costa di un’isola tropicale bagnata dall’Oceano Pacifico. Un giorno, stanco di nutrirsi di granchi, di gamberi e di pesce, lasciò la costa per addentrarsi nell’interno dell’isola. Dopo aver volato per qualche ora raggiunse una valle dominata da un fiumiciattolo che, insinuandosi pigramente nei boschi, terminava il suo corso trasformandosi in una palude brulicante d’insetti e di piccoli anfibi. Colpito dall’insolita bellezza del paesaggio, l’uccello da preda decise di stabilirsi nella valle. Appollaiato in cima al ramo di un banano, si disse:”Per vivere qui devo affrontare due problemi fondamentali: il cibo e il nido”. Facendo seguire i fatti alle parole, volò e si posò su alcuni fili telegrafici che, come un ponticello, attraversavano molto bassi il fiumiciattolo. Il martin pescatore constatò:”Da questa posizione vedo delle rane lambire la superficie dell’acqua: ora sono sicuro di poter soddisfare la mia ricerca di cibo”. Ritornato sulla riva del corso d’acqua, scorse alla base di un grosso albero provvisto di numerose radici una larga fessura; entrò e vide numerose termìti. Una di loro corse incontro al visitatore e chiese cordialmente:”In che cosa possiamo esserti utile?” L’uccello da preda esclamò:”È mia intenzione nidificare nel vostro nido!” Parlando a nome delle compagne, la termìte rispose prontamente:”Mai ci saremmo aspettate un evento così gradito!” Il visitatore concluse freddamente:”Ora vado a caccia nello stagno. Tornerò più tardi; nel frattempo, fatemi spazio!” Uscito l’uccello da preda, sorprese e infastidite le termìti dissero all’amica:”Perchè dovremmo ospitarlo? Sei forse impazzita?” La compagna si giustificò spiegando:”È noto che il martin pescatore si ciba di pesce, di cavallette e di lucertole. Se io avessi rifiutata l’ospitalità, forse gli sarebbe venuta l’idea di ‘assaggiare’ le termìti’; ora, ditemi voi: potevamo correre questo rischio?” Nota: può succedere che i deboli, pur di aver salva la vita, collaborino con i loro oppressori.

1. Il martin pescatore è un uccello molto piccolo. Ha il corpo tozzo, un bel piumaggio blu-verde e il becco lungo.

Favola n. 18

IL FILTRO DI SIGARETTA, LO SCARAFAGGIO, LA LUCERTOLA E LE LEGGI DELLA NATURA

In una fattoria tropicale circondata da un vasto palmeto, dopo aver fumato una sigaretta un agricoltore gettò il filtro a terra. Trovandosi nella terra secca, quest’ultimo scoppiò a piangere e si disse:”La sigaretta è stata fumata, ma io sono intero! A che cosa servo? Mi sento inutile!” Tuttavia uno scarafaggio marrone che stava camminando attorno alla fattoria lo adocchiò e lo divorò all’istante. Poi, sazio e soddisfatto, si fermò a riposare all’ombra di una palma. Contrariamente al filtro di sigaretta, lui si sentiva pienamente partecipe della vita della natura. Chiusi gli occhi per digerire meglio il cibo nel sonno pomeridiano, senza quasi rendersene conto lo scarafaggio divenne lui stesso cibo di una lucertola affamata che, avendo aperto ampiamente la bocca, lo ingoiò in un attimo. Nota: le leggi della natura sono contrarie agli sprechi?

Favola n. 19

IL PICCHIO, LE FORMICHE E I DANNI AL BOSCO TROPICALE

Un picchio si nutriva di formiche che nidificavano nella corteccia degli alberi di un bosco tropicale. Incapace di spiegarsi i motivi per cui si era abituato a questo tipo d’alimentazione, un giorno, dopo essersi saziato di formiche dimoranti nella corteccia di un banano, disse a quelle che fuggivano affannosamente:”Mi nutro di formiche solamente per proteggere gli alberi del bosco. Infatti, se non vi mangiassi, dopo aver distrutto le cortecce, danneggereste anche i tronchi”. Pronunciate queste parole, il picchio ritornò, pigro e satollo, al suo nido scavato nel tronco di una palma. Le formiche superstiti si rifugiarono in una cavità del terreno coperta in superficie dalle felci. Dopo essersi riposate a lungo, una di loro osservò:”Se il picchio volesse veramente difendere l’ambiente, invece di scorticare gli alberi per trovarci, farebbe meglio a cibarsi delle nostre compagne che, a migliaia, brulicano nel verde”. Un’altra puntualizzò acutamente: “Il picchio constata i danni che noi facciamo agli alberi; e i suoi, chi li annota? Io mi domando: se il bosco dovesse presentargli il conto dei danni arrecati dalla sua febbrile attività di scavatore, a quanto ammonterebbe l’importo complessivo?” Nota: è facile constatare i danni che gli altri fanno all’ambiente. E i danni imputabili a noi? Possiamo e intendiamo valutarli obiettivamente?

Favola n. 20

IL FATTORE, L’APE-REGINA, IL GRUCCIONE DALLA CODA BLU E LA RICHIESTA DELLE API-

OPERAIE In un alveare di una fattoria tropicale le api-operaie erano stanche di lavorare otto ore al giorno. Convocata l’assemblea generale molte di loro si trovarono d’accordo nel presentare una proposta per ridurre l’orario di lavoro a quattro ore giornaliere. Approvato il progetto, una delegazione si recò dalla regina per chiedere il suo consenso. Quest’ultima osservò:”Lavorando quattro ore al giorno avreste più tempo libero da dedicare alla vostra vita personale e sociale. D’altra parte bisogna considerare che vi spettano due giorni di riposo la settimana e che usufruite delle altre festività previste dalla legge”. Pur essendo contraria alla proposta dell’assemblea, la sovrana chiese un colloquio col fattore al quale, essendo proprietario della fattoria, spettava la decisione definitiva. Terminato il colloquio la regina ritornò dalle api-operaie che, riunite in assemblea straordinaria, chiesero a più voci qual era la volontà del fattore. La sovrana spiegò:”Partendo dal presupposto che limitando l’orario di lavoro a quattro ore giornaliere la produzione complessiva di miele si dimezza, il fattore rifiuta la vostra proposta. Anch’io condivido la sua decisione, ma per non danneggiare i vostri diritti ho dato le dimissioni e pertanto mi sono messa da parte”. Parlando a nome di tutte un’ape-operaia domandò:”Il fattore le ha accettate?” “Mi ha dato un giorno di tempo per riflettere, ma sappiate che non intendo cambiare idea”. “Se ti dimetterai, chi salirà al trono?” Dopo un momento di pausa la regina rispose:”Il fattore mi ha accennato alla possibilità di affidare la corona dell’alveare a un gruccione dalla coda blu¹ che lui conosce da molto tempo”. A questo punto l’atmosfera dell’assemblea si fece tesa. La sovrana cercò di smorzare la crescente agitazione invitando tutti alla calma:”Sapete bene che il gruccione è un uccello che si nutre non solo di api, ma anche di altri insetti. Eppoi il fattore si è limitato a ventilare questa ipotesi”.

Ma le api-operaie non volevano assolutamente sentir parlare del gruccione. Così, dopo aver discusso animatamente in piccoli gruppi, riunitesi nuovamente in assemblea le convenute annullarono la proposta di ridurre l’orario di lavoro a quattro ore. Infine la rappresentante nominata dall’assemblea, rivolgendosi alla regina disse:”Ci siamo rese conto che, pur lavorando otto ore al giorno, abbiamo ancora del tempo libero per noi stesse. Inoltre l’assemblea, ritenendoti un’ottima sovrana, ti conferma la sua piena fiducia”. Il giorno seguente la regina ritornò dal fattore e, dopo aver riferito i fatti, ritirò le dimissioni. Avendo ascoltato il colloquio appollaiato e coperto dai rami di una palma, il gruccione, deluso, abbandonò la fattoria e si diresse verso il bosco. Nota: In determinate circostanze, la paura di eventi imprevisti può modificare il nostro comportamento e le nostre azioni? 1. Il gruccione dalla coda blu è un uccello di medie dimensioni. Si nutre d’ insetti, soprattutto di api e di vespe.

Favola n. 21

LA SCIMMIA, L’ UCCELLO-DOLLARO, LA CACCIA D’INSETTI E IL DOLLARO D’ORO AMERICANO

Appollaiato sul ramo di un albero morto di un esteso palmeto, un uccello dollaro¹ attendeva con occhi ben aperti il passaggio di sciami d’insetti nel cielo azzurro. Una scimmia lo scorse da un’alta palma fronteggiante l’albero morto e, facendo un salto, lo raggiunse. Dopo i convenevoli chiese all’uccello se poteva diventare suo amico e quest’ultimo, malvolentieri, accettò. Così fra i due si sviluppò un dialogo che faceva leva soprattutto sulle domande di carattere personale che la scimmia rivolgeva all’amico. Un giorno la scimmia chiese:”Perché ti chiami uccello dollaro?” L’uccello spiegò:”Premesso che sei l’ennesimo abitatore della foresta che mi rivolge la stessa domanda, ti rispondo che ciò è dovuto ad alcune mie piume a striscia di colore blu-argento che richiamano alla mente il dollaro americano”. Dopo un momento di pausa, la scimmia disse con aria delusa:”In quale mese covi le uova?” Scuotendo la testa per l’inatteso quesito, l’uccello replicò:”Scusa, che t’importa?” “È opinione diffusa che, invece delle uova, tu covi delle monete auree americane, cioè dei dollari d’oro”. L’uccello esclamò:”Ora capisco perché molti cercano la mia amicizia!” Infine l’ uccello dollaro congedò la scimmia con queste parole:”Non ho mai visto una moneta d’oro in vita mia. Adesso, ti prego, lascia che io dedichi il mio tempo alla caccia d’insetti. Ma prima d’andartene è bene che tu sappia che noi uccelli-dollari quando non riusciamo a nutrirci d’insetti, se abbiamo una gran fame ci facciamo la caccia l’un l’altro, come i serpenti. In realtà talvolta fra noi non regna la ricchezza del dollaro, bensì una disperazione nera”. Più che mai confusa, la scimmia iniziò a camminare lungo il sentiero principale del bosco senza una meta precisa. Strada facendo maturava la convinzione che, anche lei come l’ uccello dollaro non avrebbe mai visto una moneta d’oro in vita sua. Nota: a volte s’incontrano persone che, per raggiungere i loro obiettivi, cercano l’amicizia di coloro che sono ricchi e potenti.

1. L’ uccello-dollaro è molto piccolo; vive nelle Filippine.

Favola n. 22

LA VOLPE, IL CORVO DAL BECCO LARGO E LE PERIFRASI

Dopo un lungo viaggio, una volpe era arrivata nella campagna di un paese tropicale. Mentre dormiva all’ombra di una palma un uccello la vide, la riconobbe e si affrettò a diffondere la notizia della sua presenza. Al suo risveglio la nuova arrivata si trovò circondata da numerosi uccelli, fra cui il nottolone¹ e il martin pescatore, da un cinghiale e da un gatto. A nome di tutti il nottolone disse:”Poiché la tua fama di astuto animale è giunta sino a noi, siamo ben lieti di conoscerti di persona”. Il martin pescatore sottolineò:”Ci auguriamo con tutto il cuore di poter ascoltare almeno una parte delle tue avventure”. Sorpresa per l’inattesa accoglienza, la visitatrice rispose:”Amici, da domani in avanti vi racconterò un’avventura al giorno”. Girando lo sguardo, si accorse che tra i presenti si trovava un corvo dal becco largo e si disse mentalmente:”Anche lui ai tropici! Evidentemente deve appartenere a una varietà di corvi locali”. La volpe disprezzava profondamente il corvo perché lo considerava un beccamorti. Guardandolo negli occhi e studiando le parole da pronunciare, esclamò:”Ecco il corvo. Ma per non ripetermi d’ora innanzi lo designerò con l’espressione perifrastica ‘colui che si nutre di carogne’!” Usando questa perifrasi, l’astuto animale intendeva distruggere psicologicamente il corvo davanti al suo uditorio. Il nero uccello, avendo capito le vere intenzioni della sua nemica, non replicò, ripromettendosi tuttavia di riflettere sul da farsi. Il giorno dopo il corvo invitò il nottolone e il martin pescatore ad assistere alla sua colazione. Nascosto dal ramo di un albero, il nero uccello vide un piccolo gatto che fiutava prede lungo il sentiero del bosco, lo assaltò, lo ridusse a pezzi e lo divorò. Nel pomeriggio, il corvo si recò con i suoi amici dalla volpe per ascoltare il racconto della prima delle sue avventure. Quest’ultima, appena lo vide, disse:”Saluto anzitutto ‘colui che si nutre di carogne’”. Dopo un attimo di totale silenzio, il corvo replicò con la massima calma:”Mi cibo sia di carogne, sia di animali vivi, come possono ben testimoniare il nottolone e il martin pescatore, che questa mattina hanno assistito alla mia colazione. Inoltre, in mancanza di meglio, digerisco anche la frutta”. Confusa dalle parole del suo

nemico, da quel momento la volpe non lo designò più con la perifrasi di cui si era tanto compiaciuta. Nota: si può ipotizzare che i nostri schemi ci diano una visione limitata e riduttiva delle realtà cui si riferiscono?

1. Il nottolone è un uccello dal becco largo, crepuscolare e notturno.

Favola n. 23

IL CUORE SANGUINANTE MASCHIO DI LUZON E

LA SUA DELUSIONE D’AMORE Dopo un lungo corteggiamento, un cuore sanguinante maschio di Luzon¹ era stato rifiutato dalla sua amica. L’uccello si disse:”Sono giù di morale a causa della mia delusione sentimentale. Ma, a volte, nella vita si devono affrontare situazioni peggiori. Ad esempio, mi ricordo bene di un mio coetaneo che, catturato nel suo nido, ha terminato la sua vita rinchiuso in una gabbietta per amatori d’uccelli. Per non parlare del mio nome: chissà se qualcuno dei miei antenati è stato veramente colpito a morte con un pugnale, secondo quanto narra la leggenda? Io sono rimasto deluso, ma essendo giovane posso incontrare ancora la mia giusta compagna”. Per reagire allo sconforto, il cuore sanguinante maschio di Luzon si mise a cantare, pur con una voce lamentosa, una commuovente canzone d’amore a lieto fine. Nota: bisogna reagire positivamente alle delusioni d’amore, o d’altra natura. 1. Il cuore sanguinante maschio di Luzon è un uccello che vive solo nell ‘arcipelago di Luzon, nelle Filippine.

FAVOLA N. 24

LA RUOTA DI CAUCCIÙ, IL GIPPONE, LA PIANTA DI POMODORO E L’AGRICOLTORE

Un gippone percorreva un lungo rettilineo di una strada di campagna fiancheggiata da palmeti e bananeti. Improvvisamente una ruota si bucò e in un attimo si sgonfiò. Il guidatore frenò, arrestò il veicolo e constatò che una delle quattro ruote si era bucata. La sostituì, e visto che la ruota vecchia era ormai consumata, la prese e la buttò sul lato destro della strada; infine ripartì. La ruota riflettè:”Il guidatore mi ha trattata male. Infatti, dopo molti anni di servizio mi ha gettata tra le felci di questo bananeto senza pronunciare nemmeno una parola per il lavoro svolto”. Poco dopo un agricoltore la vide, le si avvicinò e pensò:”Questa ruota di caucciù può ancora servire a qualcosa”. Tolto il cerchione, la portò nel folto del bananeto, dove si trovava una pianticella di pomodoro coltivata per motivi ornamentali. L’agricoltore utilizzò la ruota di caucciù come fosse un vaso senza fondo per avvolgere la pianticella di pomodoro. La ruota di caucciù si disse soddisfatta:”Ora servo per proteggere questa pianta di pomodoro, mentre in mezzo alle felci mi sentivo inutile. Inoltre, ho risparmiato all’agricoltore l’acquisto di un vaso di terracotta”. Infine, guardandosi attorno, constatò:”Venivo da una piantagione di caucciù e concludo i miei giorni, logora e consunta, in una piantagione di banane: il destino ha voluto che ritornassi alla natura!” Nota: utilizzare gli oggetti che sono a nostra disposizione per usi diversi può essere molto utile.

FAVOLA N. 25

IL RATTO E LA CURA DIMAGRANTE DEL GATTO SPARUTO

Un gatto sparuto era alla ricerca di prede. Fiutando con insistenza, giunse ai piedi di una palma gigante dove inaspettatamente si trovò di fronte ad un ratto largo e obeso. Spaventato, il piccolo felino voleva ritornare indietro, ma al tempo stesso intendeva mantenere alto il suo onore. Rivolgendosi alla sua preda, per farsi coraggio esclamò:”Ratto, non mi fai paura!” Quest’ultimo replicò con tono deciso:”Se le cose stanno così, perché non mi riduci a pezzi e mi divori?” Dopo un attimo di esitazione, il gatto sparuto si giustificò mentendo:”Se ti mangiassi ingrasserei, e so bene che la mia fidanzata, con la quale ho un appuntamento fra poco, mi vuole magro!” Provando una gran pena mista ad ironia per il gatto impaurito, il ratto disse:”Ritorna qui fra tre mesi e mi vedrai dimagrito!” Il piccolo felino rispose, assumendo un atteggiamento altrettanto ironico:”Tu adoperi bene la tua intelligenza per capire le esigenze dei tuoi nemici. Quindi, fra tre mesi…” Lasciando la frase in sospeso, il gatto sparuto si girò e se ne andò con passo veloce, ripromettendosi di stare alla larga da ratti e topi. Nota: a volte, per una ragione o per un’altra, ci si trova di fronte a situazioni ed eventi di gran lunga superiori alle proprie forze.

FAVOLA N. 26

IL LEONE, LA TIGRE, LE GAZZELLE, IL CORVO E LA RIFORMA DEL REGNO DELLA SAVANA

Il leone, re della savana, era demoralizzato perché non riusciva più a cacciare gazzelle. Un giorno il grande felino incontrò il corvo e gli confidò amaramente:”È possibile che le gazzelle sfuggano continuamente ai miei artigli?” L’uccello replicò:”Conoscendoti da molto tempo, esse hanno trovato il modo di evitarti. Ma quando la forza non è sufficiente si può ricorrere all’inganno. Se tu acconsenti, preparo un piano per risolvere il problema”. Il grande felino disse:”Che cosa desideri in cambio della tua collaborazione?” Il corvo rispose:”Chiederò un modesto compenso, che del resto sarà una conseguenza della tua caccia. Comunque, di ciò parleremo al momento opportuno”. Dichiarandosi incline ad attendere lo sviluppo degli avvenimenti, il leone confermò la sua fiducia al corvo. Dopo essere rimasto assente per due giorni, quest’ultimo ritornò con una ‘sorpresa’, che il leone provvide a far nascondere in cima alla collina eletta a sua residenza. Poi il corvo riunì numerosi branchi di gazzelle e disse:”Ascoltate! Il leone ha ammesso di essere stato un sovrano troppo duro con voi. Pertanto, il re intende effettuare una profonda riforma istituzionale”. Sorprese e incuriosite, le gazzelle chiesero:”Che cosa succederà?” L’uccello spiegò:”Il regno della savana è una monarchia perché è retto, appunto, da un re. Ora, dalla monarchia si passerà alla diarchia, cioè i regnanti saranno due. Infatti, il sovrano nominerà il primo ministro, al quale affiderà una parte dei suoi poteri. Mi auguro che quest’ultimo adotti una politica che vi sia favorevole.Per verificare personalmente la riforma in atto, il re v’invita alla cerimonia che si terrà domenica prossima alla residenza reale che, come sapete, è posta in cima alla cosiddetta ‘collina azzurra’. Dopo il discorso del monarca, dal bosco fiancheggiante la residenza reale apparirà il primo ministro”. La domenica, le pendici della collina erano gremite di gazzelle messe in fila pazientemente dal corvo, che raccomandava ad ognuna di loro di restare al proprio posto e di rimanere in silenzio. All’ora convenuta, il leone uscì dalla residenza reale per pronunciare il discorso che inaugurava il cambiamento istituzionale. Le sue ultime parole furono:”Ecco il primo ministro, Sua Eccellenza la tigre!” I due grandi felini si lanciarono rabbiosamente sulle povere vittime per decimarle. Consumata la carneficina, il corvo chiese al re il permesso di nutrirsi di carogne. Questi glielo concesse e lo ringraziò per l’opera svolta. Preparandosi a soddisfare il suo appetito, l’uccello si diceva, mentendo a se stesso:”Ho avuto certamente dei validi motivi per ingannare le gazzelle, anche

se ora non li ricordo esattamente”. Pronunciate queste parole iniziò a mangiare con avidità, mentre la sua coscienza diventava più nera delle sue piume. Nota: per continuare a malgovernare, i potenti possono ricorrere all’inganno?

FAVOLA N. 27

LA RANA BIANCA DELLA FORESTA, LE FATTEZZE DELL’AIRONE E IL CANTO DELL’USIGNOLO

D’ORIENTE Una rana bianca della foresta si dilettava a ripetere il suo verso appollaiata fra i rami di un grande pandano. Un giorno molte rane appartenenti a varietà diverse le fecero visita inaspettatamente. Dopo i convenevoli, la rana bianca disse con voce soave:”La vostra presenza mi allieta: che cosa posso fare per voi?” Una delle rane, di un colore verde intenso, rispose a nome di tutte:”Vuoi renderci felici?” L’interrogata esclamò:”Lo desidero con tutto il cuore!” Le visitatrici replicarono in coro:”Gradiremmo che la nostra pelle diventasse di un verde chiarissimo come la tua!” “Non posso aiutarvi!” esclamò la rana bianca, estremamente sorpresa per la richiesta. Senza replicare, le rane la salutarono e se ne andarono mogie mogie. Rimasta sola, la rana bianca commentò ad alta voce:”Che strana domanda! Come posso modificare le mie fattezze o quelle degli altri? Se così fosse, sarei tanto potente quanto la natura stessa!” Dopo essere saltata su un altro ramo, guardando dall’alto la rigogliosa foresta tropicale la rana bianca si disse:”Anch’io desiderei che la natura mi avesse dato le fattezze dell’airone¹ o la voce dell’usignolo d’oriente. Invece, ho ricevuto in dono la pelle di un verde chiarissimo e altri hanno ottenuto doni o talenti di diversa specie; comunque io mi accontento di quello che sono”. Nota: si può modificare la propria natura? 1. L’airone è un uccello molto grande, ha il capo piccolo, becco lungo e diritto, collo a ‘S’, zampe lunghe ed eleganti. Vive nelle zone paludose, cibandosi di pesci e anfibi.

FAVOLA N. 28

IL PASSERO, IL NOTTOLONE, L’USIGNOLO D’ORIENTE E L’OMBRA DEL GRANDE ALBERO

Un passero e un nottolone vivevano nella campagna tropicale ed erano legati da tempo da una profonda amicizia. Un giorno, accoccolati sui fili elettrici ad alta tensione, i due amici incentrarono la loro conversazione sul nido. Il passero iniziò:”Ti trovi bene nella tua dimora?” Il nottolone rispose:”Come sai, ho nidificato in una crepa della strada principale per motivi pratici. Infatti, il mio nido si trova nei pressi di un lampione che di notte con la sua luce attira molti insetti. Insomma, mi adatto alla semplicità della mia dimora perché è posta nelle immediate vicinanze della mia zona di caccia”. Il passero disse:”Ho costruito il nido sul ramo di un grande albero; ma la sua chioma è troppo estesa e fa un’ombra talmente ampia…” Mostrandosi sorpreso, l’amico chiese:”Ti lamenti per l’ombra?” “Sì, perché a volte mi toglie la visione dell’azzurro del cielo”. All’arrivo di un usignolo d’oriente la conversazione tra i due amici s’interruppe. Il giorno dopo un violento tifone colpì la campagna tropicale e il passero, bagnato fino alle ossa, si rifugiò nel suo nido. Asciugandosi lentamente al calore della folta chioma del grande albero, rivolse un pensiero accorato al nottolone, il cui nido nella fessura della strada era probabilmente colmo d’acqua. Constatando gli effetti devastanti del ciclone nella campagna circostante, il passero capì quanto era stato importante l’aver nidificato su un albero provvisto di solidi rami e gli chiese mentalmente perdono per essersi lamentato della sua ombra. Infine, con le piume ormai asciutte si adagiò nel nido per godersi tranquillamente la furia degli elementi naturali. Nota: si possono capire le leggi e le manifestazioni della natura?

FAVOLA N. 29

LE SCIMMIE, LE LUCERTOLE E L’ARRIVO DEL MARTIN PESCATORE NANO

Un martin pescatore nano lasciò la foresta vergine per emigrare in un’isola tropicale.Raggiunta la meta, esplorò un palmeto ordinato e compatto ai piedi di un’alta montagna. Il luogo gli piacque molto e, senza indugiare, costruì il nido nella cavità di una roccia che si protendeva sul bosco. Volando a bassa quota fra le palme, a causa della modesta lunghezza del suo corpo fu subito riconosciuto dalle scimmie che, parlando fra loro o rivolgendosi alle lucertole, iniziarono a canzonarlo. “È arrivato il nano!” esclamò bonariamente una scimmia robusta. “Perché il martin pescatore nano non si è costruito il nido su un albero nano?” si chiedeva scherzosamente un’altra, suscitando le risate sia delle amiche, sia delle lucertole. Queste ultime, divenute l’obiettivo di caccia preferito dall’uccello predatore, diminuirono spaventosamente di giorno in giorno. Le superstiti si dileguarono nei recessi del bosco in cui esclamavano spesso, ancora impaurite e stordite:”Il martin pescatore nano mangia forse di più dei suoi cugini dalle dimensioni normali!” Nota: a volte le piccole cose si rivelano di una potenza pari o superiore alle grandi cose.

FAVOLA N. 30

IL PAPPAGALLO, LA SCIMMIA E IL RUGGITO DEL LEONE

Frequentandosi regolarmente, un pappagallo e una scimmia erano diventati amici. Desiderosi di conoscere il mondo, un giorno lasciarono la foresta tropicale per raggiungere la savana. Arrivati alla meta, decisero di dimorare ai piedi di un baobab. Dopo essersi riposati a lungo, il pappagallo disse all’amica:”Io e te potremmo guadagnarci da vivere facendo spettacolo. Infatti io posso imitare il verso di chiunque; analogamente, tu puoi parodiare il comportamento di molti animali…” La scimmia lo interruppe:”Di tutti gli animali, vuoi dire”. L’uccello si corresse:”È vero. Di consequenza, potremmo organizzare spettacoli pubblicizzandoli con questo slogan:’Imitiamo e parodiamo chiunque!’ Come compenso, chiederemo ai nostri spettatori di essere pagati con della frutta fresca”. L’amica commentò con gioia:”Condivido in pieno il tuo progetto”. L’uccello esclamò:”Siamo animati entrambi da un grande entusiasmo!” Improvvisamente all’orizzonte apparve un leone che si mise a correre ruggendo verso il baobab. Senza pronunciare una parola, la scimmia fuggì spaventata imboccando il sentiero che conduceva alla foresta. Il pappagallo, anche lui pieno di spavento, spiccò il volo nella direzione opposta, verso il deserto. Dopo essersi posato sul ramo di un albero basso, l’uccello pensò:”Avendo preso strade diverse, forse non rivedrò mai più la mia amica. D’altra parte il ruggito del leone ha smentito la nostra ipotesi secondo la quale potremmo prenderci gioco di qualsiasi animale; quindi, è inutile programmare spettacoli. E forse la mia amica prima o poi farà le mie stesse considerazioni. Augurandole buona fortuna, ora mi conviene scegliere un luogo adatto sia alla vita sia alla caccia”. Nota: talvolta i rapporti d’amicizia s’interrompono per la lontananza o per altri motivi.

FAVOLA N. 31

L’ORSO POLARE, IL PICCIONE VIAGGIATORE, LA POIANA DEL MIELE E LA CONFERENZA SUL

MIELE Un orso polare e un piccione viaggiatore stavano trascorrendo una vacanza nei paesi tropicali. Ogni giorno, una scimmia li accompagnava a visitare spiagge e boschi di maestosa bellezza. Parlando con la loro guida, i due visitatori lodavano spesso i superbi paesaggi tropicali. Un giorno l’orso polare disse al piccione viaggiatore:”Mi piacerebbe contraccambiare la generosa ospitalità dei nostri amici. Non avendo portato con me alcun regalo dal polo per non caricarmi di peso, ho deciso di tenere per loro una conferenza sugli effetti benefici del miele”. Presto il piccione viaggiatore informò gli abitatori del palmeto del progetto dell’orso polare. Il giorno convenuto, il visitatore si presentò nella radura fronteggiante il palmeto per affrontare l’argomento della conferenza. Il pubblico era composto da animali diversi: cani, gatti, scimmie e uccelli di varie specie. Rivolgendosi in particolare a questi ultimi, l’orso polare iniziò:”Poiché anche gli aspetti formali sono importanti, gradirei che il la poiana del miele¹ fungesse da segretario dell’incontro”. Un martin pescatore, parlando a nome di tutti, osservò che fra il pubblico non era presente alcun uccello appartenente a quella specie. Ma dietro l’insistenza dell’orso polare, il piccione viaggiatore si decise a spiccare immediatamente il volo verso la foresta per cercare una poiana del miele. Dopo qualche ora di volo, raggiunse il margine della foresta e vide una poiana del miele acquattata sul ramo di un albero nodoso. Il visitatore la salutò, si presentò, ed avendole spiegato ogni cosa espresse il desiderio dell’orso polare di nominarla segretario della conferenza sul miele. Dopo una pausa di riflessione, la poiana del miele ringraziò per il cordiale invito e sottolineò il suo punto di vista:”Devo precisare che, nonostante il mio nome, non ho alcuna relazione diretta col miele. Infatti, mi nutro di api e di altri insetti e non di miele. Quindi, sapendo ben poco di questo benefico elemento naturale, se accettassi l’incarico di segretario della conferenza, mi sentirei in imbarazzo”. Il piccione viaggiatore puntualizzò:”Il tuo compito di segretario è legato al nome che porti; in altre parole è più formale che sostanziale”. La poiana del miele ribattè:”Caro amico, mi preme dirti che rifiuto l’invito anche per un’altra ragione. Tu mi vedi accovacciata sul ramo di questo albero, pensierosa e inquieta. Essendo a pancia vuota, sto studiando un attacco improvviso, al momento giusto, a un nido d’api che si trova nelle immediate vicinanze. Concludendo: il mio bisogno immediato è di nutrirmi d’api; in seguito mi occuperò d’apprendere nozioni elementari sul miele”.

Avendo ascoltato le motivazioni della poiana del miele, il piccione viaggiatore ritornò al luogo della conferenza per informare l’orso polare. Da parte sua, la poiana del miele, dopo aver ben definito i particolari del piano d’attacco, spiccò rapidamente il volo dirigendosi verso l’obiettivo nemico. Nota: prima d’iniziare la propria attività di studio o di lavoro, è preferibile soddisfare le proprie esigenze primarie. 1. la poiana è un uccello rapace affine all ‘ aquila, ma di dimensioni minori.

FAVOLA N. 32

L’AIRONE, IL CARIBÙ-FEMMINA E IL PATTO DI SOLIDARIETÀ SOCIALE

Proveniente da un paese del continente asiatico, un branco di aironi aveva raggiunto un’isola tropicale dell’arcipelago filippino. Stanchi morti, dormirono all’ombra di un palmeto per un giorno intero. Ben riposati e rifocillati, i visitatori si riunirono in una radura del bosco per decidere sul da-farsi. Poiché le palme abbondavano di facili prede come le lucertole e gli scarafaggi, molti di loro decisero di dimorare nel bosco. Il più giovane, invece, espresse il desiderio di esplorare l’isola. Dato che nessuno manifestava interesse per il suo piano, salutò le compagne e partì da solo. Volando sopra il folto del palmeto, vide che la pianura si trasformava lentamente in un pendìo coperto da felci. Ai piedi del poggio si stagliava la nera e ampia figura di un caribù-femmina¹. L’airone volò in basso e le si fermò davanti. Dopo averla ben guardata, chiese incuriosito:”Sei una vacca?” L’interrogata rispose:”No; sono un caribù-femmina e appartengo alla famiglia dei bovini. E tu chi sei?” L’uccello si presentò:”Sono un airone e faccio parte della famiglia degli ardeidi”. In pochi giorni si sviluppò fra i due animali una grande amicizia. L’airone voleva ritornare dalle sue compagne, ma il bovino lo persuase a nidificare nella cavità di un albero dal tronco molto ampio, assicurandogli che in quella dimora sarebbe stato al riparo anche dal più violento dei tifoni. E i fatti diedero ragione al caribù-femmina. Trovandosi il nido nelle vicinanze dello spiazzo erboso in cui pascolava il bovino, i due amici si frequentavano spesso. Un giorno il caribù-femmina invitò l’airone a salirle in groppa e quest’ultimo accettò titubante osservando:”Il mio peso non t’infastidisce?” “Assolutamente no! Anzi: è leggero!” esclamò con tono sicuro il bovino. Dalla groppa del caribù-femmina l’airone vedeva da vicino lucertole e scarafaggi e, pertanto, li cacciava con maggiore facilità. Ma a volte sostava sul manto del bovino per ammirare il paesaggio oppure per osservare l’amica intenta a brucare l’erba. Dopo qualche giorno l’airone, constatato che usava la schiena del caribù-femmina soprattutto per la caccia, cominciò a sentirsi in debito. Allora per sdebitarsi si mise a beccare i numerosi insetti succhia-sangue che tormentavano il corpo dell’amica. Da quel giorno, prima di dedicarsi alla caccia, l’airone si obbligò a pulire quotidianamente il manto del caribù-femmina e a scambiare quattro chiacchere con lei. E facendo seguire i fatti alle parole arrecò un grande sollievo all’amica. Giunto il tempo di ritornare al paese d’origine, l’airone disse congedandosi:”Suggerirò ai miei compagni di comportarsi così come io ho fatto con te. In altre parole, proporrò la stipulazione di un ‘patto di solidarietà sociale’ fra caribù ed aironi”. Il caribù-femmina replicò:”Io consiglierò alle

mie compagne di concedere ospitalità agli aironi e, conseguentemente, di sottoscrivere il ‘patto di solidarietà sociale’”. Poi l’airone, dopo aver baciato l’amica sulla fronte, spiccò il volo d’addio. Guardandolo librarsi in aria il caribù-femmina si disse:”Il mio amico non si è limitato a pulire quotidianamente il mio manto; si è dimostrato premuroso in mille modi e spesso mi ha tenuto compagnia sul far della sera, quando mi sentivo sola”. Pronunciando queste accorate parole, i suoi grandi e bonari occhi si rigarono di lacrime. Nota: la solidarietà può e deve essere alla base delle relazioni umane. 1. Il caribù delle isole Filippine è un animale molto simile alla mucca. Ha il manto nero ed è molto resistente alle fatiche. FAVOLA N. 33

IL CAMMELLO, IL LEONE MARINO, IL FORMICALEONE E IL REGNO DELLA SAVANA

Un giorno il cammello, re del deserto, decise di fare una visita di cortesia al leone, re della savana. Un’atmosfera di cordialità pervase l’incontro fra i due sovrani che, frequentandosi da tempo, erano diventati amici. Constatato che le relazioni fra i due regni erano ottime i due monarchi, distesi all’ombra di un albero gigante, dedicarono la parte finale dell’incontro al loro rapporto d’amicizia. Il cammello disse al leone:”Toglimi una curiosità: hai mai pensato di raggiungere l’oceano per incontrare il leone marino?” Il grande felino rispose assumendo un’aria affettata:”Io dovrei andare da lui? Semmai, lui dovrebbe venire da me!” Nonostante la tagliente risposta dell’amico, il cammello insinuò:”Non è forse un tuo lontano parente? Hai effettuato una ricerca in proposito?” Il re della savana ribattè con tono freddo e distaccato:”Io dovrei fare una ricerca al riguardo? Al contrario, lui potrebbe farla su di me!” Messe da parte le domande sul leone marino, il cammello chiese:”Hai mai incontrato il formicaleone?” Il leone esclamò con tono sprezzante:”Quello è un insetto che vive ai tropici!” Il re del deserto continuò:”Che notizie hai di lui?” Il grande felino replicò seccamente:”So che si nutre d’insetti più piccoli di lui e ciò mi basta!” Rendendosi conto d’infastidire il cammello con le sue risposte aspre e concise, dopo un momento di pausa il leone assunse un’aria distesa e si spiegò con franchezza:”Caro amico, tu mi chiedi notizie dei miei parenti; io, invece, desidero che nel regno della savana i miei ospiti e i miei sudditi parlino solo ed esclusivamente di me, della mia vita e delle mie imprese eroiche. Quello che riguarda i miei parenti, veri o presunti, non m’interessa affatto. Anzi, ti dirò di più: se li incontrassi casualmente, non li degnerei nemmeno del mio sguardo regale!” Nota: a volte l’orgoglio e la vanità c’impediscono di varcare la soglia dei nostri interessi egoistici.

FAVOLA N. 34

L’AQUILA MANGIASCIMMIE, IL MARTIN PESCATORE E IL TAGLIO DELLA FORESTA

Una squadra di operai stava disboscando un palmeto che costeggiava un fiume. Appollaiata su un albero imponente che si stagliava sulla riva opposta del corso d’acqua, un’aquila mangiascimmie osservava la scena con le lacrime agli occhi. Un martin pescatore in volo vide il maestoso uccello piangere e, non credendo ai suoi occhi, si posò su un ramo più basso dello stesso albero. Dopo una breve pausa, chiese umilmente:”Grande re, perché piangi?” Indicandogli con lo sguardo il taglio del bosco che veniva effettuato sull’altra riva del fiume, il sovrano rispose:”Sono scoppiato a piangere perché il disboscamento ha come conseguenza inevitabile lo spostamento forzato, se non la morte, degli animali che vivono in quel palmeto”. Riprendendo il volo in silenzio, il martin pescatore si disse:”Non immaginavo che l’aquila mangiascimmie, famosa per essere spietata, avesse un cuore per soffrire!” Nota: il disboscamento massiccio e incontrollato provoca conseguenze devastanti per la flora, per la fauna, per l’umanità e per l’intero pianeta-terra.

FAVOLA N. 35

IL PARROCCHETTO FILIPPINO, IL PAPPAGALLO-FEMMINA MULTICOLORE E I SOGNI D’AMORE

DELLA GIOVINEZZA Un parrocchetto filippino¹ viveva con i genitori su una grande palma che s’inclinava sulla radura di un bosco, coltivando il sogno di sposare un pappagallo-femmina multicolore. I genitori amavano molto il figlio e il mondo d’illusioni e di sogni della sua giovinezza. Però temevano che lui dedicasse troppo tempo al suo sogno d’amore, trascurando di divertirsi con i suoi coetanei. Un giorno i genitori, constatato che il figlio era di ottimo umore, chiesero incuriositi:”Perché vuoi innamorarti di un pappagallo-femmina multicolore?” Quest’ultimo rispose:”Il mio sguardo s’inebria della varietà dei suoi colori e il mio cuore si riempie di gioia al pensiero di quanto la natura sia stata prodiga di colori con lei”. Poco tempo dopo il caso volle che un pappagallo-femmina multicolore si posasse su un banano che fiancheggiava la palma in cui dimorava il parrocchetto filippino. Accovacciato su un ramo, questi non credeva ai suoi occhi. Volò immediatamente sul banano e, dopo essersi presentato, iniziò il suo folle corteggiamento incentrato sulla varietà dei colori delle piume. Con una semplicità disarmante, la corteggiata osservò:”Io non ci trovo niente nelle mie piume, forse perché le ho fin dalla nascita”. Poi il pappagallo-femmina multicolore interruppe il corteggiamento dell’innamorato con queste parole:”Scusa, ma ora devo lasciarti perché ho un appuntamento con i miei amici. Tuttavia ritornerò questa sera al tramonto per prendere in considerazione una tua eventuale proposta di matrimonio”. L’innamorato guardò la corteggiata partire sospirando di gioia. Poco dopo, fuori di sé per la contentezza, decise di spiccare il volo verso un bosco dove abbondavano palme di noci di cocco in fiore. Fermatosi sul ramo di una palma di medie dimensioni, tagliò col becco molti steli di fiori che caddero a terra. Per sfogare la contentezza che gli traboccava dal cuore, si avvicinò agli steli e li succhiò avidamente, ubriacandosi con la linfa ricca d’alcol che essi contenevano. Infine, stordito e privo di forze, si stese a terra e si addormentò. Al calar del sole il pappagallo-femmina multicolore ritornò nel luogo dell’appuntamento. Appollaiatosi su un ramo del banano, attese il suo innamorato per parecchio tempo. Poi, sentendosi preso in giro, se ne andò ripromettendosi di non fermarsi mai più in quella radura. Il giorno dopo l’innamorato si svegliò con la mente confusa e per snebbiarla si mise a fischiare canzoni d’amore. Ricordandosi dell’appuntamento volò al banano, dove non trovò nessuno. Allora si disse:”Pur essendo la mia mente lucida, non riesco a rendermi conto se la mia corteggiata sia stata un’immagine reale o un’apparizione fantastica”. Pronunciate queste parole, si recò al nido. E da quel giorno, senza spiegarsi nemmeno lui il perché, il

parrocchetto filippino abbandonò il sogno di sposare un pappagallo-femmina multicolore. Nota: quando si abusa dell’alcol si perde facilmente il senso della realtà. 1. Il parrocchetto filippino è un piccolo pappagallo. Dorme con la testa all’ingiù, come il pipistrello.

FAVOLA N. 36

LA GALLINA BIANCA, IL GALLETTO ROSSO DELLA GIUNGLA E LA VITA ALL’ARIA APERTA

Una gallina bianca viveva in un pollaio tropicale costituito da una tettoia di ferro retta da alcuni pilastri di cemento e senza muri. Con le sue amiche, occupava il tempo a razzolare nel prato circondante la tettoia, che era protetto da un muretto di canne bucato in più parti. Né la gallina bianca, né le sue amiche si lamentavano della loro vita. Infatti, ogni giorno il fattore arrivava con un sacco di riso e lo distribuiva qua e là nel prato; quando le galline si stancavano di razzolare, si nutrivano di chicchi di riso. Un giorno, servendosi di un buco del muretto di canne, un galletto rosso della giungla entrò nel prato. Snello, con la piccola cresta rossa e con le piume della coda di color nero-verde brillanti al sole, il nuovo arrivato lanciò un intenso sguardo d’amore alla gallina bianca. Colpita dall’apparizione improvvisa, quest’ultima si sentì quasi mancare le forze. Tuttavia gli si avvicinò e con un filo di voce disse:”Perché sei così magro?” “Non è facile procurarsi il cibo nella foresta. Vieni a viverci: dimagrirai anche tu!” La gallina bianca osservò:”Nel pollaio ho le mie comodità. Ma se non faccio un uovo al giorno, il fattore si arrabbia!” “Nel bosco conquisterai la libertà. Però dovrai cambiare dieta; se necessario, ti nutrirai d’insetti e di vermi. E dimorerai nella cavità di un albero”. La gallina bianca replicò sorridendo:”Deve essere romantico dormire nella cavità di un albero quando le piogge violente allagano il bosco. E sentirmi protetta dalle tue ali!” “Se la protezione della corteccia non è sufficiente…” Dopo una pausa, il visitatore concluse:”Io sono un tipo semplice che punta sull’essenzialità della parola. Tu mi piaci e ti desidero come moglie. Ti concedo un giorno di tempo per riflettere sulla mia proposta di matrimonio. Domani ritornerò alla stessa ora e confermerò il mio proposito con uno sguardo invitante: o mi seguirai nella foresta o non mi rivedrai più!” Dette queste parole, salutò e se ne andò. Presa dall’emozione, la gallina bianca si consigliò con le amiche all’ombra di una grande palma. Relativamente alla vita nella foresta, queste ripeterono in sostanza quanto affermato dal visitatore. Infine, nel ribadire la sua intenzione di sposarsi, la gallina bianca enfatizzò il fatto che il suo corteggiatore apparteneva alla famiglia dei fagiani. Il giorno dopo la sposa attese, ansiosa e trepidante, l’arrivo del futuro sposo. Questi spuntò da un buco del muretto di canne e la fulminò con lo sguardo; lei lo seguì senza esitare. Il fattore, che si trovava sotto la tettoia del pollaio, osservò la scena con interesse. Detestando i fagiani, cercò subito un bastone per cacciare via il visitatore. Infine, corse col bastone in mano verso gli sposi che affrettarono il passo e scomparvero oltre il muretto di canne, mentre le amiche della sposa assistevano allo spettacolo con aria divertita.

Nota: al giorno d’oggi si può ancora trovare chi, pur di realizzare il proprio sogno d’amore, è disposto ad accettare una vita di sacrifici e rinunce?

FAVOLA N. 37

LA VOLPE, L’UCCELLO-SARTO E LA CONCIATURA DELLE PELLICCE

Durante il suo lungo soggiorno nei paesi tropicali, una volpe incontrò un uccello-sarto¹ e gli chiese incuriosita in che cosa consisteva la sua attività. L’interrogato disse:”Devo il mio nome al fatto che costruisco il mio nido usando una tecnica particolare. Infatti, generalmente i volatili raccolgono foglie e pagliuzze e, mettendole pazientemente insieme, costruiscono la loro dimora. Io invece, anzitutto scelgo due foglie da un ramo; poi col mio lungo becco raccolgo fili di seta dalle tele dei ragni e li porto sullo stesso ramo. Quindi buco entrambe le foglie, disposte parallele e verticalmente, e le unisco col filo, che provvedo ad annodare, in modo che rimangano legate”. La volpe commentò:”In sostanza, fai un lavoro di sartoria usando foglie e fili di seta”.”Proprio così”. L’astuto animale continuò:”Mi è venuta un’idea, che forse ti renderà famoso in tutto il palmeto”. “Ti ascolto con interesse!” La volpe spiegò:”Noi due esploriamo il bosco per cercare una capra morta. Quando la troviamo, la scuoiamo e facciamo seccare la sua pelliccia al sole. Poi tu l’adatti al mio corpo facendo le necessarie modifiche e infine io la indosso. Poiché nessuno ha mai fatto un lavoro del genere, tu passerai alla storia del bosco”. “A che cosa ti servirebbe questa pelliccia?” L’astuto animale intendeva usarla per travestirsi da capra; assunte tali sembianze si sarebbe unito a un gregge e al momento opportuno avrebbe fatto delle vittime. Ma per nascondere il suo vero scopo si giustificò mentendo:”Da qualche tempo coltivo la passione d’indossare pellicce. Ma in realtà, per un motivo o per un altro, non ne ho mai portata una”. Il suo interlocutore l’interruppe:”Mi dispiace dirti che non sono in grado di svolgere il lavoro che ti sta a cuore. Dovresti rivolgerti a un pellicciaio”. Sorpresa, la volpe domandò:”Ai tropici vive anche l’uccello-pellicciaio?” L’uccello-sarto la corresse precisando:”L’uccello-pellicciaio non esiste. Ma nei paesi temperati, da cui provieni, fra coloro che appartengono alla specie umana puoi trovare i pellicciai”. “Hai proprio ragione! Lo sai che non mi era venuto in mente?” Infine, salutato il suo interlocutore, l’astuto animale imboccò il sentiero principale del bosco per ritornare alla sua dimora. Strada facendo, pensò:”Se andassi da un pellicciaio, mi comporterei ingenuamente. Infatti, invece di ricevere una pelliccia di capra, rischierei di diventare io stesso una vittima o, in altre parole, una pelliccia da indossare nelle sfilate di moda!” Nota: in determinate circostanze, chi inganna può diventare a sua volta vittima di un inganno?

1. L’ uccello-sarto vive in Oriente e in Africa, nei giardini e nei boschi. Costruisce il nido nel cavo di diverse foglie piegate e cucite insieme. Si ciba d’insetti.

FAVOLA N. 38

IL SERPENTARIO, IL CAMMELLO, L’AQUILA MANGIASERPENTI E L’OSPITALITÀ DELLA

FORESTA TROPICALE Un serpentario¹ incontrò un cammello che attraversava il deserto. Osservando il profilo diseguale delle dune, disse con tono annoiato:”Ogni giorno soddisfo il mio appetito nutrendomi di serpenti. Tuttavia, quando volgo il mio sguardo su questi sterminati rilievi sabbiosi, provo una grande malinconia”. Il cammello domandò:”Qual è il tuo secondo nome?” “Come ben sai, uccello-segretario”. “Ebbene, prendi nota di quanto sto per dirti: la foresta tropicale è brulicante d’animali ed è ricca d’alberi. Essendo un volatile, tu puoi raggiungerla; io non posso. Fra l’altro, si racconta che i suoi abitatori siano molto ospitali”. Convinto dalle parole del suo amico, il serpentario decise di partire immediatamente. Dopo molte ore di volo, scorse il margine della foresta tropicale. Abbassandosi si avvicinò ad una fitta muraglia di vegetazione costituita da alberi, cespugli e felci. Infine si appollaiò per dormire su un albero dai rami nodosi. Il giorno seguente, avendo ottenuto da alcuni uccelli delle informazioni sul luogo dove viveva l’aquila mangiaserpenti², l’uccello-segretario riprese il volo e nel tardo pomeriggio raggiunse la meta prefissata. Quando incontrò la sua lontana parente nella radura di un palmeto, il sole calava sanguigno nel paesaggio verde immerso nel silenzio. Dopo essersi presentato, guardandosi attorno con stupore esclamò:”Non ho mai visto un tramonto così spettacolare!” Con un tono oscillante tra l’indifferenza e la noia, l’aquila mangiaserpenti replicò:”Io lo vedo tutti i giorni”. Sempre pieno d’entusiasmo, l’uccello-segretario proseguì:”Deve essere bello vivere da protagonisti nella foresta dedicandosi alla caccia, in uno scenario così ricco di vita: ho l’impressione che gli animali si rincorrano lieti l’un l’altro”. L’aquila mangiaserpenti commentò laconicamente:”Non sono le prede che cercano me; al contrario, sono io che le inseguo”. Acquattati su un ampio tronco di un albero mutilato, all’imbrunire i due uccelli non riuscivano più a guardarsi in faccia. Allora l’aquila mangiaserpenti disse al suo ospite:”Dormi qui sul tronco; io torno al mio nido e domani di buon’ora riprenderemo la conversazione”. Il giorno dopo l’aquila mangiaserpenti portò all’uccello-segretario delle lucertole per colazione. Consumato il cibo e sentendosi ben rifocillato, quest’ultimo propose:”Perché non facciamo un’indagine sui nostri avi per verificare esattamente il grado di parentela che ci accomuna?” L’aquila mangiaserpenti ribattè:”Una ricerca sui nostri antenati non riempirebbe le nostre pance. Ascolta il mio consiglio: vola sulla foresta in lungo e in largo; essendo l’ultimo arrivato incontrerai molte difficoltà, ma se ti

dimostrerai un predatore instancabile ti ritaglierai uno spazio di caccia e sopravviverai”. Senza replicare, il serpentario ringraziò l’aquila mangiaserpenti per l’ospitalità ricevuta, salutò e spiccò il volo. Quando il sole salì allo zenit, si fermò per riposarsi all’ombra di una palma che si piegava su un bananeto. E riflettè:”Nella foresta ricomincerei la mia attività di cacciatore partendo da zero. Nel deserto, invece, conoscendo le dune sabbiose come le mie piume, la ricerca di prede è diventata un gioco per me. Fra l’altro, comincio ad avere nostalgia degli ondulati paesaggi bruciati dal sole: anche i luoghi solitari hanno il loro fascino”. Fatte queste considerazioni, senza indugiare il serpentario si librò in aria per ritornare nel deserto. Nota: l’ospitalità si dimostra con le parole e con i fatti. 1. Il serpentario è un grande uccello simile al falco. Uccide e divora una grande quantita di serpenti. 2. L’Aquila mangiaserpenti si nutre prevalentemente di serpenti e di lucertole. FAVOLA N. 39

LE DUE LUCERTOLE, LA FARFALLA MULTICOLORE, LE FORMICHE E LA LOTTA PER

LA SOPRAVVIVENZA In una notte illuminata dalla luna e da numerose stelle due lucertole uscirono dai loro buchi, che si aprivano uno accanto all’altro nel muro di una casa di campagna, per iniziare la caccia. Entrambe di colore marrone scuro, si distinguevano per la diversa lunghezza. La lucertola più lunga, nel raggiungere il soffitto pensò:”Mi piace vivere ai tropici perché gli insetti, comprese le falene, abbondano quasi ovunque”. Guardandosi attorno, notò che una farfalla multicolore, attratta dalla luce, si era posata vicino alla lampada al neon che illuminava la stanza. Subito percorse il soffitto longitudinalmente per assalirla. Nello stesso tempo, dalla parte opposta del soffitto, anche l’altra lucertola vide la falena multicolore e si mise a correre per divorarla. Quest’ultima, girando lo sguardo in entrambe le direzioni, si rese conto del pericolo e spiccò il volo verso la finestra. Trovandosi affamate l’una di fronte all’altra, le due lucertole si accusarono reciprocamente per la fuga della farfalla. “È colpa tua!” esclamò la più lunga delle due. “Chi non ti scorgerebbe per la tua lunghezza?” si difese l’altra. Presto, il litigio si trasformò in una lite violenta. Le due contendenti si morsero reciprocamente in diverse parti del corpo, accompagnando la lotta con rabbiosi stridi. Ma, essendo della stessa forza, il tempo della zuffa si allungava senza che una delle due ne uscisse vincitrice. Ad un certo punto la lucertola più lunga, che nello scontro con la rivale si era rotta la coda, abbandonò il campo di battaglia. La sua nemica, stanca della violenta contesa, fece la stessa cosa. Da un angolo del soffitto, un gruppo di formiche aveva assistito alla lotta. Una di loro disse:”Le due lucertole si sono battute inutilmente per una farfalla come se questa fosse l’unica preda della casa, mentre è noto che mosche e zanzare vi dimorano giorno e notte!” “Insomma, si sono esercitate alla lotta per la sopravvivenza!” commentò, ironica, un’altra. Mentre le formiche rientravano in ordine sparso nel loro buco, un’altra ancora osservò:”Per nostra fortuna le lucertole non si nutrono di formiche!” Nota: facendo appello alla ragione e al buon senso, è doveroso impedire in tutti i modi che conversazioni, dialoghi, confronti e dibattiti sfocino in atti di violenza.

FAVOLA N. 40

I CAVALLI DEI PAESI TROPICALI, LE ZANZARE, L’AIRONE GUARDABUOI E I DISCORSI RETORICI

DEL CAVALLO DI RAZZA Un cavallo di razza viveva in una scuderia di un paese dal clima mite. Il suo padrone era molto contento di lui; infatti, essendo un abile cavallo da corsa, aveva vinto molte gare. Un giorno, volendo ricompensarlo per la sua ultima brillante vittoria, lo slegò, lo rese libero e gli concesse una vacanza-premio di sei mesi nei paesi tropicali. Specchiandosi nello stagno che si trovava di fronte alla scuderia, il cavallo di razza pensò:”Sono esuberante e pieno di vita e il tenere la testa alta sempre e ovunque mi rende agli occhi di tutti un quadrupede unico e inconfondibile”. Mentre brucava l’erba sulla riva dello stagno, il piccione viaggiatore della fattoria gli si avvicinò e si congratulò per il premio conseguito. Il cavallo di razza iniziò:”Caro amico, sarei onorato se tu mi accompagnassi ai tropici. Per il legame di amicizia che ci lega da molto tempo, mi pregio di comunicarti una notizia eccezionale: per soddisfare il mio orgoglio e la mia vanità ho deciso di autonominarmi ‘re dei cavalli’”. Il piccione viaggiatore lo guardò con occhi pieni di stupore. Abbandonando il tono retorico, il cavallo di razza si spiegò:”Detto fra noi, desidero essere riconosciuto ‘re dei cavalli’ solo nei paesi lontani. Voglio dire che il titolo che mi attribuisco ha un valore più formale che sostanziale. In realtà, non intendo comandare nessuno. Aspiro semplicemente a presentarmi e a comportarmi come un sovrano. Concluso il viaggio, riprenderò a vivere la mia solita vita”. Per l’amicizia che li univa, il piccione viaggiatore accettò di fare l’accompagnatore. Ultimati i preparativi, i due amici partirono e, dopo un lungo ed estenuante viaggio, approdarono in una silenziosa spiaggia dei tropici. Alcuni uccelli da preda indicarono loro una radura del bosco protetta da alte palme in cui riposarsi. Rifocillati, i due viaggiatori iniziarono a percorrere un sentiero del palmeto. Dopo aver scorto in una prateria un branco di piccoli cavalli selvaggi il piccione viaggiatore, che fungeva da ‘messaggero reale’, corse loro incontro annunciando l’arrivo del ‘re dei cavalli’. Il monarca si avvicinò con passo misurato e solenne, guardando i suoi nuovi sudditi con occhi pieni d’interesse. Sorpresi e incuriositi, questi ultimi si domandavano chi fosse e da dove venisse il sovrano. Sempre tenendo la testa alta, il cavallo lanciò uno sguardo sprezzante a un nugolo di zanzare che iniziò a ruotare minaccioso verso di lui e disse in tono perentorio:”Piccoli e fastidiosi insetti, vi ordino di allontanarvi immediatamente dalla mia augusta presenza!” Ignorando il comando del sovrano, essi si abbassarono e si misero a pungerlo in tutte le parti del corpo mormorando compiaciuti:”Oggi succhiamo sangue

reale!” Per partito preso, il re continuava a mantenere la testa alta; quindi, non potendo usare il muso per colpire le zanzare, avvertiva un fastidioso prurito. E iniziò il suo discorso retorico:”Se la lontananza ci divide, il legame di parentela ci unisce…” Il cavallo di razza parlava e soffriva senza lamentarsi, i piccoli insetti pungevano indisturbati e i cavalli dei tropici ascoltavano il discorso in silenzio. Appollaiato sul ramo di un albero con le radici che affioravano sul terreno, un airone guardabuoi¹ pensò:”Il re si perde nella retorica mentre le zanzare lo divorano:è ora d’intervenire!” Spiccato il volo, si posò sul dorso del cavallo. Stupito, il monarca volse lo sguardo e disse:”Bianco uccello dalle forme armoniose, chi sei?” “Sono un airone. Sire, chiederei l’onore di diventare la prima guardia del re!” “Permesso accordato!” esclamò il sovrano, che non aveva capito le vere intenzioni dell’uccello. Questi si mise subito all’opera e in poco tempo ingoiò decine di zanzare che infestavano il manto del cavallo di razza. Sentendosi sollevato, il monarca proseguì il suo discorso e, alla fine del suo lungo soggiorno, proclamò solennemente l’airone ‘prima guardia reale d’onore del regno dei cavalli’. Nota: quando non si conosce a fondo un argomento, un problema o una situazione, ci si può aiutare puntando sulla retorica? 1. L’airone guardabuoi è noto per la sua abitudine di ricercare cibo tra le mandrie al pascolo.

FAVOLA N. 41

LA VOLPE, IL CARIBÙ E LA BELLEZZA DELL’ISOLA TROPICALE

Una volpe trascorreva una lunga vacanza in un’isola tropicale bagnata dalle acque dai colori cangianti dell’Oceano Pacifico. Percorrendo un sentiero che attraversava la foresta, s’imbattè in un caribù. L’astuto animale si fermò davanti alla massiccia figura del nero bove e domandò incuriosito:”Che cosa fai all’ombra di queste palme?” Il caribù rispose con aria seccata:”Come vedi, una catena lega una delle mie gambe ad un albero. Dalla mattina alla sera pascolo in questa radura nutrendomi di felci e ogni giorno il mio padrone munge il mio latte”. La volpe esclamò:”Vivi la tua vita in un angolo di paradiso terrestre!” Il nero bove replicò:”La monotonia regna sovrana nella foresta. Essendo una visitatrice, sei rimasta colpita dalla bellezza del bosco. Ma se tu vivessi qui tutti i giorni presto il verde ti verrebbe a noia”. L’astuto animale ribattè:”Al contrario, è nella quotidianità che si apprezza meglio la vita del bosco; ad esempio, il monotono frinire delle cicale che nelle ore pomeridiane accompagna l’esausto respiro degli alberi lentamente svigoriti dal calore del sole. Ebbene, il canto delle cicale c’induce a pensare…” Il caribù l’interruppe:”I rumori della foresta possono cambiare la mia vita?” “Certamente! Ma solo nella misura in cui sei disposto ad accoglierli nel tuo animo”. Il nero bove esclamò:”Non avevo mai ascoltato un discorso del genere”. Allora l’arrivo del padrone del caribù interruppe la conversazione tra i due animali. Il giorno dopo la volpe fece visita al suo interlocutore e incentrò la conversazione sullo spettacolo del sorgere del sole nella spiaggia vicina alla radura, dalla sabbia sottile come polvere. Dopo aver ascoltato con interesse, il nero bove disse:”Quand’ero giovane e libero da catene, ero solito percorrere la spiaggia in lungo e in largo. Però non mi sono mai alzato una volta all’aurora per ammirare lo spettacolo del levarsi del sole”. Poi con una sincerità disarmante ammise:”Pensavo che la vita della natura fosse essenzialmente monotona e noiosa”. L’astuto animale riprese:”Monotonia? Noia? Guarda le felci intorno a te. Tu non le conosci, eppure ti appresti a mangiarle. Sembrano tutte uguali, ma se le osservi attentamente noti che sono diverse l’una dall’altra. Se potessero parlare, ognuna di loro avrebbe una sua storia personale da raccontarti”. Le considerazioni sulle felci fecero venir meno l’appetito al caribù. Poi la volpe riassunse la sua argomentazione con poche parole:”Nel mondo della natura non c’è noia o monotonia, bensì una vita incessante e misteriosa che stimola la nostra mente a riflettere”. Il nero bove replicò:”Oggi mi hai aperto gli occhi! Ma toglimi una curiosità: perché la natura ti ha dotata di una mente così acuta?” “Non lo so. Bisognerebbe chiederlo alla natura stessa”. All’ora di pranzo i due animali si salutarono.

Rimasto solo, il caribù pensò:”Dopo le lezioni della volpe sulla natura, la mia catena alla gamba destra mi pesa molto più di prima. Devo chiedere al mio padrone di essere lasciato libero. Avendolo servito per molti anni, ora ho diritto a riacquistare la libertà. Mi auguro di vivere gli ultimi anni della mia vita senza catene in questa verde foresta illuminata dall’azzurro del cielo, in armonia e in comunione con la natura e i suoi abitatori”. Nota: la misteriosa vita della natura affascina sempre e ovunque e, a ben guardare, vanifica facilmente ogni sensazione di monotonia e di noia.

FAVOLA N. 42

IL GATTO TIGRATO, IL CANE, LA ZANZARA, IL PIPISTRELLO E L’ARCA DI NOÈ

Prima del tramonto del sole, un gruppo di animali si riuniva abitualmente sotto un banano che dominava la radura di un bosco. Di solito, il gatto tigrato e il cane animavano la conversazione, che s’incentrava sulla vita della natura. Fra i convenuti, oltre ad alcune scimmie si contavano diversi insetti: una zanzara, una mosca, una formica, un’ape e uno scarafaggio. Una sera il piccolo felino decise di cambiare l’argomento della conversazione. Mettendosi a parlare della sua origine, disse:”Discendendo dal leone, appartengo ad una nobile stirpe. Ciò è dimostrato dalle mie fattezze, dall’agilità del mio corpo e dalla mia pelliccia tigrata”. Volgendo lo sguardo al sole che, rosso come una palla di fuoco, s’inclinava purpureo sulla verde foresta, continuò:”Io vivo ai tropici, ma in realtà dovrei dimorare nella savana con il leone e la tigre…” Il cane lo interruppe incuriosito:”Perché non raggiungi la terra dei padri?” Abbandonando il tono retorico, il gatto spiegò:”Io sono nato nella foresta tropicale; la mia famiglia, la mia tana e la mia zona di caccia si trovano in questo bosco: come posso lasciare la mia famiglia e tutto il resto per ritornare nella savana?” A tali affermazioni, nessuno osò ribattere al piccolo felino che, riprendendo il filo del discorso esclamò compiaciuto:”Dunque, io vanto una nobile origine!” Girando lo sguardo fra i presenti, continuò:”Chi può pregiarsi di una discendenza nobiliare pari alla mia?” Il cane rimase in silenzio, le scimmie persero la loro abituale allegria e gli insetti, sentendosi umiliati, abbassarono gli occhi a terra. Scesa la notte, la riunione si sciolse. Riprendendo il volo, la zanzara riflettè:” Mia nonna mi ha raccontato che, al tempo del diluvio universale, una nostra antenata si trovava nell’arca di Noè, con altri animali che dovevano essere salvati, fra i quali il gatto. Quindi, io posso gloriarmi di una discendenza antica tanto quanto la sua!” Il piccolo insetto si ripromise di far presente al gatto l’evento dell’arca di Noè nel prossimo incontro. Assorta in questo pensiero, la zanzara finì distrattamente nella bocca aperta di un pipistrello e quando s’accorse d’essere stata ingoiata, era ormai troppo tardi. Il nero vampiro proseguì la caccia concentrato sulla ricerca d’insetti. Per lui il fatto che uno dei suoi antenati si fosse trovato o meno nell’arca di Noè non aveva alcuna importanza. Nota: quando, svolgendo i propri doveri quotidiani si pensa con insistenza a eventi del passato, si rischia di perdere il senso della realtà del presente.

FAVOLA N. 43

LA CAPANNA DORATA, IL RE MIDA E IL MATRIMONIO DELLA GIOVANE SCIMMIA

Nella foresta tropicale, uno scimmione viveva in una capanna che s’innalzava a palafitta sulla riva di un fiume. Poiché era brutto e aveva un corpo massiccio, non riusciva a trovare moglie. Un giorno, stanco della sua solitudine, decise di studiare un espediente che gli permettesse di farsi una famiglia. Riflettendo sulla sua situazione, gli venne un’idea e la mise subito in pratica. Andò nel bosco, si arrampicò sui tronchi di alcune palme e strappò un centinaio di noci di cocco color oro. Dopo averle sistemate ordinatamente all’interno della sua dimora come fossero vasi ornamentali, lo scimmione uscì all’aria aperta. Dalla strada, guardò compiaciuto la sua abitazione color paglia che alla luce del sole brillava come fosse oro. Autonominatosi Mida, volle concedersi una vacanza nel cuore della foresta. Arrivato in un bananeto popolato da numerose scimmie, il visitatore si presentò dicendo di chiamarsi Mida e di vivere in una casa arredata con oggetti color oro. Incuriosite, molte scimmie si domandavano che tipo fosse. Una di loro, che si chiamava Faida, disse:”Perché ti chiami Mida? Sei forse un parente del famoso re degli uomini di un paese orientale che con la sua mano trasformava qualsiasi oggetto in oro?” Il nuovo arrivato negò di discendere dal re Mida, ma Faida non gli credette. Desiderosa di sposare uno scimmione ricco, la giovane scimmia ricorse apertamente all’adulazione:”Mida, perdona la mia franchezza:sei brutto e massiccio, ma dai tuoi occhi emana un fascino straordinario!” In breve tempo, i due si sposarono nel bananeto e, dopo la cerimonia nuziale, Mida condusse Faida nella casa dorata lungo il fiume. Avendo osservato attentamente l’arredamento della capanna, la sposa esclamò:”Non vedo oggetti d’oro!” Mida ribattè:”Ho sempre desiderato avere una casa che mi rammentasse l’oro e finalmente ho realizzato il mio sogno”. Confusa e stordita, Faida non credeva ai suoi occhi. Lo sposo continuò:”Se fossi come il re Mida, gli oggetti che toccherei diventerebbero oro; allora, che cosa mangerei? Niente!” Amareggiata e delusa, senza replicare Faida si alzò e fuggì nel bosco. Fermatasi a riposare all’ombra di un’acacia, mormorò:”Preferisco vivere la mia vita da sola all’aria aperta, anziché convivere con un tipo che si accontenta di tutto ciò che gli richiama alla mente il nobile metallo!” Nota: le proposte di matrimonio vanno esaminate con molta attenzione.

FAVOLA N. 44

L’AQUILA MANGIASCIMMIE, IL MARTIN PESCATORE E IL PRINCIPE REGGENTE DELLA

FORESTA TROPICALE L’aquila mangiascimmie, che regnava da molto tempo nella foresta tropicale dell’arcipelago filippino, compiva trentanove anni. Il giorno del suo compleanno molti sudditi, per la maggior parte uccelli, le chiesero il permesso di recarsi al suo nido per renderle omaggio. Accettata la richiesta, il re comandò loro di mettersi in fila per ordine di grandezza davanti all’albero biforcuto che dominava la foresta, in cui si trovava il suo nido. Ed accolse cordialmente i suoi visitatori. L’ultima a rendere omaggio fu l’aquila mangiaserpenti, che era dotata di un corpo largo e robusto. Dopo essersi complimentata col sovrano per la lunga durata del suo regno, la visitatrice chiese di poter formulare una supplica. Ottenuto il permesso, disse umilmente e con la testa bassa:”Grande re, nell’interesse di tutti, vorrei osservare che la successione al trono si presenta problematica. Il prossimo anno sarà il quarantesimo del tuo regno e tuo figlio, cui spetta lo scettro, avrà allora solo due anni. Questa è la mia istanza: gradirei essere nominato principe reggente fino a che il tuo diletto figlio raggiungerà l’età matura”. Il monarca riflettè:”La proposta della mia interlocutrice è ragionevole”. Ma negli attimi che seguirono, segnati dal silenzio, l’orgoglio del re prevalse sulla ragione. Fingendosi dispiaciuto, rispose:”Non posso abbassarmi ad affidare la reggenza a chi non si è mai nutrito di scimmie. Ma per renderti giustizia, cioè per trattarti come tutti gli altri sudditi, dichiaro solennemente che nel mio regno non nominerò mai un reggente!” Detto questo, il sovrano congedò l’aquila mangiaserpenti che, lasciando la residenza reale, provò una forte delusione. L’anno successivo, il monarca compì quarant’anni. Rendendosi conto del peso degli anni, capì che per continuare a governare fruttuosamente aveva bisogno dell’attiva e costante collaborazione dei suoi sudditi. Convocato il martin pescatore nella sua residenza, disse:”Poiché per l’età avanzata la corona mi è onerosa, d’ora innanzi regnerò soltanto se tutti gli uccelli soggetti alla mia autorità continueranno a riconoscermi come loro re”. Quindi, il monarca affidò al suo messaggero l’incarico di rendere pubblica la sua dichiarazione. I volatili della foresta continuarono a riconoscere l’aquila mangiascimmie come loro re, con l’eccezione dell’aquila mangiaserpenti. In lei, il sentimento di profonda delusione per la mancata nomina a principe reggente si era trasformato lentamente in un giudizio negativo sull’operato del sovrano.

Senza usare mezzi termini, l’aquila mangiaserpenti dichiarò:”Non riconosco l’aquila mangiascimmie come re; infatti da tempo non si nutre più di scimmie perché non è più in grado di catturarle. È noto a tutti che il sovrano si ciba di serpenti, di cervi e di lemuri volanti. Ritengo che, senza indugi, il re debba prendere la via dell’esilio”. Concluse le sue indagini, il martin pescatore riferì al monarca i risultati delle sue interviste. Quest’ultimo, dopo aver ascoltato attentamente, ringraziò il messaggero e disse di attenderlo ai piedi dell’albero biforcuto. Rimasta sola, l’aquila mangiascimmie ammise con fredda lucidità:”Il giudizio dell’aquila mangiaserpenti è veritiero. Un anno fa, avrei fatto bene a conferirle il titolo di principe reggente, affidandole nello stesso tempo il compito di addestrare mio figlio alla caccia. Ora, se le assegnassi tale funzione, farei una magra figura. E il mio orgoglio e la mia vanità m’impediscono di cadere in situazioni imbarazzanti. D’altra parte, mio figlio ha due anni; pur essendo giovane, è ora che si assuma le sue responsabilità!” Infine, sceso ai piedi dell’albero biforcuto, il monarca invitò il messaggero ad annunciare al figlio la sua immediata successione al trono. Dopo aver comunicato al suo fedele servitore l’intenzione di prendere la via dell’esilio per una sperduta isola dell’Oceano Pacifico, il re salutò mestamente e spiccò il volo verso la nuova destinazione. Nota: per far funzionare le pubbliche istituzioni nel migliore dei modi, è fondamentale che coloro che hanno pubbliche responsabilità facciano il loro dovere fino in fondo, rinunciando ai loro incarichi quando ciò, per una ragione o per un’altra, si rende necessario.

FAVOLA N. 45

LA CICALA, IL PAVONE E LA SENSIBILITÀ DEGLI ALBERI

In un vasto palmeto una cicala e un pavone erano diventati amici. Un giorno, chiacchierando all’ombra di una palma dal tronco inclinato, l’insetto domandò al vanitoso uccello:”Credi che gli alberi siano sensibili?” Il pavone rispose:”Penso di sì. Ma bisognerebbe sottoporre la nostra ipotesi a verifica. Procediamo dunque in questo modo: io percorro il sentiero principale del palmeto fino alla radura e tu mi segui volando. Arrivati al luogo convenuto, faremo un esperimento”. In realtà, il pavone era mosso dal desiderio di esibire la sua ruota multicolore alle palme che circondavano la radura, pur sapendo che queste erano delle spettatrici immobili e silenziose. Giunti alla meta, il vanitoso uccello aprì la sua ruota, mentre la brezza pomeridiana faceva muovere i rami delle palme che lasciavano cadere a terra alcune noci di cocco. Facendo notare alla cicala i verdi rami che oscillavano nel cielo azzurro e ignorando di proposito il mormorìo del vento, il pavone disse:”Il fatto che i rami delle palme si muovano allo spiegamento della mia ruota dimostra che gli alberi sono sensibili”. Infine, con aria compiaciuta, esclamò:”Nessuno può resistere all’esibizione della mia ruota!” Nota: si può incontrare chi cerca ogni pretesto pur di manifestare la propria vanità?

FAVOLA N. 46.

IL BUCERO-MASCHIO, GLI IMPEGNI D’AMORE E LA VITA FAMILIARE

In un palmeto un bucero-maschio¹ viveva spensieratamente gli anni della sua giovinezza. Un giorno i suoi genitori gli dissero:”Siamo molto contenti del fatto che tu viva con noi; tuttavia, poiché il tempo passa, sarebbe opportuno che tu prendessi moglie”. Il figlio assicurò loro che da quel momento si sarebbe dedicato alla ricerca della giusta compagna. Volando sul bosco senza una meta precisa, scorse sul ramo di una palma dal tronco arcuato un grazioso bucero-femmina. Posatosi sullo stesso ramo, si presentò e disse:”Non ho mai visto un albero dal tronco arcuato”. Lei rispose:”L’ultimo tifone ha piegato la palma a quel modo. Comunque, io continuo a dimorare in una delle cavità di quest’albero”. Da quel giorno l’uccello ritornò spesso alla palma arcuata e corteggiò la sua innamorata ripetendo il suo verso acuto ta-ric-tic. Avendo ascoltato per l’ennesima volta il suo canto stridulo, l’innamorata chiese:”Hai intenzioni serie?” Ottenuta una risposta affermativa, proseguì:”Faresti qualsiasi cosa pur di rendermi felice?” “Certamente!” Ritornato al suo nido, l’uccello riflettè:”Affermando che farei di tutto per lei, non l’ho presa in giro; tuttavia devo ammettere che c’è un limite a tutto!” Poi, guardando gli alberi che circondavano il suo nido, constatò serenamente:”D’altra parte non è necessario che io compia azioni straordinarie nel bosco; è sufficiente che io svolga i miei compiti quotidiani di buon padre di famiglia”. I due uccelli convolarono a nozze e fissarono la loro dimora, per comodità, nel nido della sposa. Nei primi tempi la loro vita coniugale fu felice, ma da quando la moglie iniziò a covare le uova le cose cambiarono profondamente. Quest’ultima chiese al marito di ostruire quasi completamente con del fango indurito la cavità della palma in cui era collocato il nido. Pur trovando strana la richiesta della moglie, il marito l’accontentò senza replicare. Ma da allora il suo compito di procurare il cibo alla moglie e ai nascituri divenne difficile. Infatti, doveva pazientemente far passare col becco insetti, vermi e pezzi di frutta ad uno ad uno attraverso la fessura della cavità. Un giorno, stanco per il suo duro lavoro, domandò seccamente:”Che bisogno c’era di ostruire la cavità dell’albero col fango?” La moglie si giustificò:”Il nido coperto quasi interamente dal fango protegge me e i nostri figli dagli eventuali attacchi di altri uccelli. Inoltre, il suo tepore riscalda il nido: così ci guadagniamo in salute”. Il marito, che dopo la nascita dei figli era dimagrito, contorse il becco. Notando la sua smorfia, la moglie osservò:”Prima del matrimonio non avevi

dichiarato che, per amore, avresti fatto qualsiasi cosa per me? Ebbene, ora ti sacrifichi per la famiglia!” Il marito non condivideva le precauzioni eccessive della moglie; tuttavia, per rispettare gli impegni presi a suo tempo, se ne andò senza aprire bocca. Rimasto solo e guardando gli alberi immersi nel silenzio, si disse amareggiato:”Relativamente all’educazione dei figli, prima di sposarmi dovevo fare patti chiari!” Nota: il matrimonio comporta sacrifici per entrambi i coniugi. 1. Il bucero è un grande uccello. È provvisto di un enorme becco, curvo verso il basso, lateralmente sormontato da una protuberanza ossea a forma di casco.

FAVOLA N. 47

LA LUCERTOLA DALLA DOPPIA CODA, IL FATTORE, IL COMBATTIMENTO DEL GALLETTO

ROSSO E GLI OGGETTI PORTA-FORTUNA In un paese tropicale una lucertola viveva in una stanza adibita a cucina di una grande fattoria. Un giorno, percorrendo velocemente il soffitto, dopo aver urtato il filo del lampadario cadde sulla graticola del forno e si bruciò la coda. Pur soffrendo terribilmente, non si lasciò prendere dalla disperazione; infatti sapeva che la coda si sarebbe riformata. In pochi mesi il piccolo rettile guarì; ma, guardandosi allo specchio, si accorse che dal suo corpo mutilato si erano generate due code. Presto si convinse inspiegabilmente che la doppia coda gli avrebbe portato fortuna e ciò suscitò in lui un grande entusiasmo. Tuttavia, contando le scarse prede catturate e uccise in una settimana, constatò che i risultati ottenuti erano di gran lunga inferiori alle aspettative. Per sfogare la sua amarezza, la lucertola dalla doppia coda si confidò con un’amica che, dopo averla ascoltata pazientemente, disse:”Il fatto è che in questa fattoria noi lucertole diventiamo sempre più numerose; stando così le cose, bisogna accontentarsi di quel po’ di cibo che si ottiene dalla caccia”. Le parole dell’amica produssero in lei due effetti contrastanti: da una parte, come cacciatrice, sentendosi al pari delle amiche, si rincuorò; dall’altra cominciò a mettere in dubbio la sua convinzione d’essere fortunata. Al contrario, il fattore, che si occupava quotidianamente della fattoria, era fermamente persuaso che le lucertole dalla doppia coda portassero fortuna. Appena s’accorse che ce n’era una, la seguì mentre percorreva lateralmente un muro della cucina, la catturò e la rinchiuse in una rete sottile. Egli intendeva partecipare col suo galletto rosso ad una lotta fra galli; considerando la lucertola dalla doppia coda come un amuleto, decise di portarla con sé il giorno della gara. Finito il combattimento, lasciò il campo fortemente deluso. Nella mano destra teneva il suo galletto rosso morto per le violente beccate del suo avversario; dalla mano sinistra penzolava, avvolta in una piccola rete, la lucertola dalla doppia coda. Imboccata la strada di casa, il fattore la fece uscire dalla rete e la gettò in un cespuglio. Sentendosi libera, la lucertola dalla doppia coda respirò profondamente e pensò:”Nella vita, la vera fortuna si realizza conquistando la libertà”. E si ripromise di vivere nel bosco facendo affidamento non sulla sua doppia coda, bensì sul suo impegno quotidiano nell’esercizio della caccia.

Nota: nella vita, più che sugli oggetti porta-fortuna, è preferibile puntare sulle proprie forze, capacità e talenti, uniti all’impegno quotidiano nella propria attività di lavoro, di studio o di altro genere.

FAVOLA N. 48

LA VOLPE, IL LEONE, IL GATTO, LE FORMICHE E L’UGUAGLIANZA SOCIALE

Proveniente dai tropici e diretta verso i paesi temperati, una volpe si fermò nella savana. Sceltasi una dimora tra i cespugli, iniziò a percorrere un sentiero per ammirare il paesaggio arso dal sole. Ma scorgendo un leone in lontananza, si nascose dietro il tronco di un albero ricco di fronde. Quando il re della savana scomparve all’orizzonte, l’astuto animale ritornò nel sentiero e riflettè:”Non posso sopportare la vista del leone. Lo detesto perché è forte e pieno di sé; perciò, prima di lasciare il suo regno voglio giocargli uno dei miei brutti scherzi!” Mentre era immerso in tali pensieri un gatto color caffelatte, che procedeva nel senso opposto di marcia, s’arrestò e lo salutò. All’apparizione del piccolo felino, la mente della volpe s’illuminò. Ricambiati i saluti, quest’ultima fece accomodare il gatto ai piedi di un albero e iniziò:”Cadi come il cacio sui maccheroni!” Il suo interlocutore chiese incuriosito:”Che cosa vuoi dire?” “Mentre ti pensavo, mi sei apparso all’improvviso e mi hai fatto pena!” “Perché?” La volpe continuò:”Ritorno da un viaggio nei paesi tropicali, in cui ho visitato innumerevoli colonie d’insetti. Ricordo migliaia di formiche che marciavano unite una dietro l’altra o in ordine sparso. Fra loro regna l’uguaglianza. Infatti si dividono il cibo raccolto, il loro capo ha poteri limitati e ognuna ha il suo compito. In sostanza, non è come qui nella savana in cui domina il leone, che si riserva i cibi migliori e non li divide con nessuno”. Il piccolo felino insinuò:”Mi risulta che, anche ai tropici, le api ubbidiscano alla loro regina”. Con aria titubante, l’astuto animale rispose mentendo:”Sì, è vero; però da indiscrezioni raccolte affiora l’ipotesi che in tempi brevi le assemblee delle api operaie aboliranno la figura del monarca. Insomma, è auspicabile che la società delle api assomigli a quella delle vespe!” Il gatto pose un’altra domanda:”Che cosa dovremmo fare noi abitatori della savana per cambiare le cose?” “È semplice! Voi piccoli animali dovete diventare protagonisti della rivoluzione sociale! Quando il re della savana riceverà i suoi sudditi?” “Domani, all’ombra del baobab”. La volpe proseguì:”Questa sera, nella mia dimora ascolterai dalla mia voce il discorso sull’uguaglianza sociale che reciterai davanti al re!” Il giorno dopo, di buon’ora, la radura fronteggiante il baobab era gremita di piccoli animali, ognuno dei quali aveva una supplica da presentare al sovrano. Nascosta da un cespuglio, la volpe osservava la scena. Ricevendo per primo il gatto, il re chiese:”Qual è la tua supplica?” “Non si tratta di un’istanza, bensì di una proposta”. Torcendo la bocca, il monarca esclamò:”Spiegati meglio!” Il suddito disse:”Sire, è giunta l’ora che l’uguaglianza sociale diventi una realtà

anche fra gli abitatori della savana. Di conseguenza, l’autorità del sovrano deve essere abolita!” Fra i presenti si fece un silenzio carico di tensione. Emettendo un ruggito, il leone diede una zampata al gatto, che fece un volo di alcuni metri. Dolorante, il piccolo felino si mise a correre all’impazzata verso il bosco mentre il re, col muso lungo, si preparava a dare udienza al secondo supplicante. La volpe rise sardonica mormorando:”Sono riuscita a fare arrabbiare il leone! Ora posso riprendere soddisfatta il mio viaggio verso casa!” Nota: sovente le lotte per i cambiamenti sociali sono dure e cruente.

FAVOLA N. 49

IL RATTO, LO SCARAFAGGIO E LA SBARRA DI LEGNO

Una casa di campagna dal solo pianterreno aveva il pavimento composto da una serie di sbarre di legno. Tra il pavimento e le fondamenta dell’abitazione si trovava uno spazio vuoto di una ventina di centimetri, divenuto dimora di un ratto e di uno scarafaggio. I due animali salivano al pavimento attraverso un’ampia fessura, dovuta al fatto che una sbarra di legno non copriva completamente la lunghezza del pavimento. Un giorno il padrone di casa, avendo notato sul pavimento dei frammenti di sterco di ratto, chiuse la fessura con un pezzo di legno. Quest’ultimo copriva il pavimento nel senso della lunghezza, ma nel senso della larghezza lasciava uno spiraglio di qualche centimetro. Così il ratto si trovò intrappolato al di sotto del pavimento, mentre lo scarafaggio continuava a passare agevolmente attraverso la fessura. Amareggiato per l’avvenuta riparazione, confidandosi con lo scarafaggio il ratto esclamò:”Ormai devo vivere sottoterra!” L’insetto disse all’amico:”Perché non infili la testa nella fessura rimasta, per dare poi di denti allo spessore della sbarra?” Il ratto rispose:”So bene di essere un roditore, ma per forare la sbarra mi ci vorrebbe il becco di un picchio! Pazienza! Dall’area sottostante il pavimento cercherò di uscire per raggiungere le fognature della strada”. Lo scarafaggio continuò:”C’è un’altra possibilità. Mettendo la testa nella fessura, puoi usare i denti come una lima per diminuire ogni giorno lo spessore della sbarra di legno. Da parte mia, farò la guardia percorrendo il pavimento in lungo e in largo per avvisarti dell’improvviso arrivo del padrone”. Ma il ratto scosse la testa e, ringraziato l’amico per l’offerta di collaborazione, spiegò:”Se usassi i miei denti come una lima, si consumerebbero presto: infatti, la sbarra di legno è solida e spessa. E se rimanessi senza denti, chi mi rifarebbe la dentiera?” Nota: per realizzare i nostri progetti nel migliore dei modi, dobbiamo misurare preventivamente le nostre forze.

FAVOLA N. 50

LA POIANA-MASCHIO E L’ATTACCO AL NIDO D’API

Una poiana-maschio viveva ai margini della foresta tropicale. Poiché era sterile, non aveva voluto accoppiarsi; non avendo impegni familiari, dedicava la maggior parte del tempo alla caccia d’insetti, prediligendo le api. Un giorno, la poiana-maschio decise d’assalire un nido d’api che si trovava nella cavità di una palma dal tronco inclinato. E sferrò l’attacco di buon’ora, per sorprenderle nel sonno. L’azione improvvisa si rivelò efficace. Infatti, l’assalitrice fece molte vittime. Quando era ormai sazia, si trovò davanti ad un’ape smunta e sottile. Spaventata a morte, questa osò chiedere all’aggressore:”Hai famiglia?” Sorpresa, la poiana-maschio rispose negativamente precisando:”Sono sterile e non voglio farmi una famiglia”. Con un filo di voce, la povera preda continuò:”Ti rendi conto che le mie amiche, che tu hai ingoiato, erano tutte madri di famiglia? E ogni giorno producevano il miele, alimento prezioso per l’alimentazione di migliaia e migliaia di bambini!” Sconcertata per le inattese affermazioni della sua interlocutrice, la poiana-maschio abbandonò il nido senza ribattere. Volando verso la sua dimora, pensò:”Finora non avevo mai considerato quanto il miele fosse importante nelle diete alimentari, soprattutto per i bambini. Perciò avevo grandemente sottovalutato la funzione sociale delle api. E la mia sterilità non mi giustifica: in ogni caso dovevo mettermi nei panni di un padre di famiglia!” Da quel giorno, per avere la coscienza tranquilla, la poiana-maschio non si nutrì più d’api e concentrò la sua attenzione sulle termiti, ben sapendo che queste non producevano alcun alimento. Nota: se ci mettiamo nei panni di coloro che vivono in modo diverso da noi, comprendiamo molte cose.

FAVOLA N. 51

IL GALLETTO ROSSO, IL PAVONE, IL TACCHINO, IL TOPOLINO E GLI SPETTACOLI DEL POLLAIO

Un fattore che abitava in un’ampia casa di campagna decise di utilizzare una tettoia di ferro annessa alla sua proprietà come pollaio, sistemandovi numerose galline, un galletto rosso, un pavone e un tacchino. Egli non considerava il galletto rosso il re del pollaio; infatti lo teneva solamente per le gare con altri galletti, che si svolgevano la domenica nell’area del pollaio stesso. Due giorni prima del combattimento, prendeva il galletto rosso e lo rinchiudeva in una gabbia di ferro, affinché si preparasse alla lotta. Ogni domenica, quest’ultimo combatteva con un rivale proveniente da un altro pollaio e lo feriva a morte beccandolo rabbiosamente in tutto il corpo, sotto gli occhi attoniti delle galline. In un mese, il galletto rosso uccise quattro avversari. Ma dopo l’ultima gara entrò in crisi e, provando vergogna, pensò:”Poiché la morte dei miei rivali mi pesa sulla coscienza, voglio cambiare vita!” Convocata l’assemblea straordinaria del pollaio, dichiarò apertamente di aver terminato la sua carriera di lottatore. Ed aggiunse schiettamente:”Mi piacerebbe trasformare la repubblica del pollaio in un regno; e mi augurerei di diventare il vostro re!” Ma la sua proposta causò la dura opposizione delle galline. Una di loro, parlando a nome di tutte, ribattè:”Il pollaio rimane una repubblica. In effetti, non c’è nessun motivo per cambiare le cose. Tuttavia, avendo una grande stima di te, ti considereremo sempre un valoroso galletto da combattimento”. L’insuccesso del progetto del galletto rosso non modificò la sua intenzione d’imprimere una svolta radicale alla sua vita. Il pavone, volendo aiutarlo, gli disse:”Perché non organizziamo insieme degli spettacoli per le galline?” L’ex-lottatore accettò e il giorno dopo i due amici si esibirono all’aperto. Il pavone aprì la sua ruota e il galletto rosso sollevò goffamente le piume della sua coda, suscitando l’ilarità delle galline. Tra il serio e il faceto, il tacchino disse al galletto rosso:”Vuoi che ti presti la mia ruota?” Sciolto il rapporto di collaborazione col pavone, all’ex-lottatore venne un’idea. Avendo notato un topolino nel pollaio, lo fermò e gli spiegò il suo piano. Il giorno seguente, i due animali si esibirono come equilibristi percorrendo un filo di ferro che, parallelo al soffitto, attraversava la tettoia in diagonale. Procedendo per primo, il galletto rosso cadde e si rovesciò sulle galline, che si misero a ridere fragorosamente. Vedendo l’amico precipitare, il topolino si lasciò prendere dall’emozione e scivolò verso il basso. A terra, l’attendeva il gatto della fattoria, che assisteva allo spettacolo senza fiatare. Il piccolo felino divorò all’istante il roditore, raffreddando l’allegria delle spettatrici.

Rivolgendosi al galletto rosso, il tacchino commentò amaramente:”Il tuo spettacolo ci fa ridere e piangere allo stesso tempo!” Senza replicare, l’ex-lottatore si congedò dal pubblico. Rimasto solo, fece il bilancio della situazione:”Ho rinunciato a combattere con gli altri galletti; le galline non mi hanno voluto come loro sovrano e riconosco di non avere il talento per fare spettacolo. Per questo, preferisco andare a vivere in solitudine, razzolando, nel vicino palmeto”. Dopo aver salutato le galline, si avviò verso il bosco. Ma alcune di loro lo fermarono e gli chiesero:”Perché non rimani con noi? Dopo tutto, le tue esibizioni ci divertono!” Il galletto replicò:”Se farò degli spettacoli, mi ricompenserete?” Non ricevendo alcuna risposta, riprese il cammino ed avvicinandosi alle palme cominciò a sentirsi veramente padrone della propria vita e delle proprie azioni. Nota: si può chiedere a qualcuno di fare spettacolo senza pagarlo?

FAVOLA N. 52

IL CARIBÙ E IL PARENTE DEL TOPO Un topo incontrò un caribù che pascolava nel palmeto e, dopo i convenevoli, esclamò senza malizia:”Come sei nero!” Sorridendo, il caribù rispose:”E tu, di che colore sei?” Il roditore ammise:”Anche la mia pelliccia è nera. Però nel tuo corpo massiccio, il tuo manto scuro risalta maggiormente. Fra l’altro, posso vantarmi di un mio parente, chiamato criceto, che è bianco come la neve!” Il nero bove chiese incuriosito:”Dove vive?” “In diverse parti del mondo; per esempio, nei paesi europei”. Il caribù continuò:”Il colore bianco della sua pelliccia cambia forse la tua vita quotidiana?” Il topo replicò:”Mi piace pensare al criceto. Tuttavia, devo ammettere che la sua pelliccia bianca non modifica assolutamente il mio modo di vivere”. Il caribù concluse:”Io sono contento di avere il manto nero. E mi compiaccio di fare il latte, che è bianco, considerando che ovunque adulti e bambini si nutrono del mio prezioso alimento!” Nota: ognuno ha la propria dignità, indipendentemente dal colore della propria pelle.

FAVOLA N. 53

LA PICCOLA LUCERTOLA, LA TUK-KO E IL MIMETISMO DEL CAMALEONTE

Una casa di campagna era diventata dimora abituale sia di piccole lucertole, sia di una grande lucertola della specie chiamata tuk-ko¹. Essendosi ritagliata la sua zona di caccia, quest’ultima conviveva serenamente con le piccole lucertole. Col passare del tempo, fra lei e le sue compagne si era sviluppata una relazione d’amicizia che si concretizzava in piacevoli conversazioni quotidiane riguardanti la vita del bosco. Un giorno una piccola lucertola dalla pelle verde chiara disse alla tuk-ko:”Ho sentito raccontare che nella savana vive il camaleonte². Ed è opinione comune che questo nostro parente modifichi il colore della sua pelle adattandosi all’ambiente in cui vive. Anch’io vorrei essere come lui. Infatti, se cambiassi di colore, sarei continuamente al centro dell’attenzione da parte di tutti. Ora, toglimi una curiosità: che cosa pensi di lui?” Dopo aver riflettuto qualche istante, la tuk-ko rispose:”Conosco la vita, il comportamento e le abitudini del camaleonte. So che il suo mimetismo gli è di aiuto nella lotta contro i suoi nemici. Adesso ti spiego le ragioni per cui non vorrei essere come lui. Anzitutto, detestando i travestimenti, affronto il nemico a viso aperto. In secondo luogo, sono fiera del colore marrone della mia pelle e della lunghezza del mio corpo. Fra l’altro, nella quiete della notte il mio verso sonoro può essere udito ad una distanza di diverse centinaia di metri. In breve, le mie peculiari caratteristiche mi rendono una lucertola eccezionale; perché dunque dovrei desiderare di diventare un camaleonte?” Dopo aver ascoltato con interesse le parole della tuk-ko, la piccola lucertola replicò:”Il tuo discorso si dimostra logico e coerente”. Con tono compiaciuto, la tuk-ko concluse la sua argomentazione con un’osservazione ironica:”L’ultima ragione per cui non vorrei essere un camaleonte è questa: se penso ai suoi sguardi obliqui e strabici, mi viene da ridere e da piangere allo stesso tempo. Infatti, da una parte mi fa pena; dall’altra, ho l’impressione che il poveretto veda le cose a zig-zag, e ciò mi fa ridere a crepapelle e mi rende di buon umore”. Nota: al giorno d’oggi si trovano ancora degli animali unici ed inconfondibili? 1. La tuk-ko è una delle lucertole ‘domestiche’ delle Filippine. Prende il nome dal suo verso caratteristico: tuk-ko, tuk-ko. 2. Il camaleonte è noto, fra l’altro, per la sua capacità di cambiare colore al mutare delle condizioni ambientali (temperatura, luce, ecc.).

FAVOLA N. 54

LO SCARAFAGGIO MARRONE E LA BELLEZZA

DELLA FARFALLA GIALLO-NERA Attraversando un bananeto, uno scarafaggio marrone vide una farfalla giallo-nera posarsi su una felce ai piedi di un albero e, attratto dalle sue fattezze armoniose, si fermò per osservarla. Quest’ultima, lanciandogli uno sguardo sprezzante, gli disse:”Che cosa vuoi?” La blatta, sorpresa dalla reazione infastidita del lepidottero, rispose:”Niente! Passavo di qui e sono rimasta colpita dalla tua esile figura e dal piacevole contrasto fra i punti neri e il fondo giallo delle tue ali”. La farfalla replicò con tono duro:”La mia bellezza è nota a tutti. Come pure, del resto, la tua bruttezza. Se fossi nata scarafaggio, per la vergogna sarei vissuta in solitudine nei recessi del bosco!” La blatta chiese incuriosita:”Quando eri una larva, ti sentivi bella o brutta?” “Mi consideravo brutta. Ma essendo ora una bella farfalla, non intendo assolutamente ricordare il mio passato di larva. Fra l’altro, la sgradevole visione del tuo corpo m’irrita. E se penso che ti nutri di tutto, mi passa l’appetito”. Con tono pacato, lo scarafaggio ribattè:”La mia dieta alimentare riguarda solamente me”. Improvvisamente la farfalla, senza salutare, si alzò in volo e se ne andò. Guardandola allontanarsi nell’azzurro senza macchie, lo scarafaggio disse, come se la sua interlocutrice fosse ancora davanti a lui:”È giusto che tu viva nel presente. Ma in cuor tuo non hai certamente dimenticato il passato. Infatti, le cose brutte s’imprimono nella memoria!” Nota: se si vuole vivere armoniosamente il presente, bisogna cercare di ben comprendere il proprio passato.

FAVOLA N. 55

LA VOLPE, IL PASSERO, IL CANE E LA NOCE DI

COCCO COLOR ORO In una giornata particolarmente calda, una volpe percorreva il sentiero principale di un palmeto. Girando lo sguardo, vide un’alta palma da cui pendevano noci di cocco dorate. Accaldato e stanco, l’astuto animale decise di riposarsi sotto la sua ombra. Dopo essersi acquattato alla base dell’albero, guardando in alto notò che una noce di cocco color oro sembrava cadergli perpendicolarmente sulla testa. Un passero che volava nel palmeto, non avendo mai visto una volpe, attirato dalle sue forme, si fermò e chiese:”Chi sei e da dove vieni?” “Sono una volpe ed appartengo alla famiglia dei canidi. Vengo dai paesi temperati e trascorro una vacanza ai tropici”. Non credendo ai propri occhi, l’uccellino continuò:”Sei tu dunque quell’animale famoso per la sua astuzia?” “Sì, sono io in persona. Comunque, mi trovo ai tropici non per esercitare il mio acume, ma per godermi una vacanza”. Il passero pensò:”Chissà se riesco a fare uno scherzo alla mia interlocutrice?” Dopo un momento di pausa, disse:”Che cosa fai accoccolata sotto una palma?” “Mi riposo all’ombra; mi piace guardare quella noce di cocco dorata, pendente sopra la mia testa, che pare staccarsi dal ramo da un momento all’altro. Desidero mangiarla, ma essendo vecchia non ho più la forza per arrampicarmi sugli alberi”. L’uccellino riprese:”È inutile che ti affatichi. Infatti, posso assicurarti che nel giro di un’ora la noce di cocco cadrà su di te”. “In questo caso, mi conviene aspettare”. “Certamente!” esclamò il passero, salutando e spiccando il volo verso l’alto. Ma dopo aver roteato nell’azzurro più volte, l’uccellino si posò nell’albero che stava di fronte alla palma per osservare il comportamento della volpe. Quest’ultima attese per due ore, ma il frutto dorato continuava a rimanere appeso al ramo. Un cane che percorreva il sentiero del palmeto, riconoscendo dalla fisionomia la volpe come una sua lontana parente, le chiese:”Che cosa stai aspettando?” “ Un passero mi ha detto che la noce di cocco sospesa a piombo sopra la mia testa dovrebbe staccarsi presto dal ramo”. Il cane ribattè con tono sicuro:”Hai ricevuto delle informazioni sbagliate. In effetti, il frutto dorato potrebbe cadere oggi, domani, o fra una settimana; nessuno può prevederlo con esattezza”. Nel ringraziare il cane, la volpe esclamò:”Il tuo avvertimento mi è stato utile!” In quel momento il passero, che aveva assistito alla scena acquattato sul ramo di un albero, sorridendo con aria divertita s’alzò in volo diretto al proprio nido.

Riprendendo il cammino, la volpe pensò:”Il passero si è preso gioco di me! Fra l’altro, nell’attesa, dimenticavo che non mi nutro di frutta tropicale. Oggi, sono veramente distratta! Oppure il caldo dei tropici mi ha dato alla testa?” Nota: se non si usa adeguatamente la propria intelligenza, si ottengono dei risultati deludenti.

FAVOLA N. 56

L’AQUILA MANGIASERPENTI, L’AQUILA MANGIASCIMMIE E IL CONCERTO

DELL’USIGNOLO D’ORIENTE Appollaiata sul ramo di un’acacia, un’aquila mangiaserpenti pensava ai sentimenti contrastanti che provava nei confronti dell’aquila mangiascimmie, re della foresta tropicale. Concludendo la sua riflessione, si disse mentalmente:”Non ho nulla contro di lei. Ma da un punto di vista politico, come sovrano, l’aquila mangiascimmie non mi piace. Infatti, non è disposta a cedere nemmeno una minima parte del suo potere. Da parte mia, vorrei solamente essere nominato suo ministro. Ma nel regno della foresta tropicale non si avverte alcun cambiamento sostanziale”. Dopo aver osservato gli alberi, indifferenti ai suoi pensieri, il grande volatile proseguì il monologo interiore:”Il monarca afferma che sono pieno d’invidia e che aspiro alla corona; ma ciò è falso. Una nomina a ministro, lo ripeto, soddisferebbe i miei desideri. Se ho rilasciato delle dichiarazioni di fuoco verso la sua persona e il suo potere illimitato, era solo per reagire alla sua intransigenza nel rifiutarsi di dividere il potere”. Per evitare di farsi prendere dalla collera, l’aquila mangiaserpenti decise di rilassarsi volando sulla foresta. Esplorando i boschi dall’alto, notò un gruppo di uccelli raccolti ai piedi di una palma che si stagliava al centro di un’ampia radura. Posatasi a terra, vide un uditorio composto di uccelli di varie specie intento ad ascoltare una canzone dell’usignolo d’oriente. Terminata la canzone, quest’ultimo salutò l’ospite inatteso e disse:”Nel giorno del mio compleanno, la tua presenza mi onora”. Il visitatore rispose:”Purtroppo, non posso partecipare alla festa; in effetti, oggi intendo dedicarmi alla caccia”. Molti uccelli guardarono con interesse il nuovo arrivato; essi sapevano bene che non correva buon sangue tra lui e l’aquila mangiascimmie. Infatti, le reciproche dichiarazioni taglienti delle due aquile avevano trasformato il loro contrasto in un motivo di divertita ironia per tutti gli abitatori del bosco. Poiché un’atmosfera allegra permeava la festa, un nottolone si rivolse all’ospite inatteso e disse:”Grande aquila, a nome di tutti, mi permetti di farti una domanda?” “Con piacere!” “Che cosa pensi del nostro sovrano, vale a dire della nostra nobile aquila mangiascimmie?” Sentendo nominare il detestato monarca, l’aquila mangiaserpenti rispose, accendendosi di collera:”Credo che l’aquila mangiascimmie abbia nello stomaco dei peli lunghi così – ed esibì in aria gli artigli della zampa destra in senso verticale – per ben digerire delle scimmie

che spesso sono provviste di lunghi peli!” Il gioco di parole rallegrò l’uditorio, che proruppe in una fragorosa risata mentre l’ospite riprendeva il volo. Cessata l’ilarità generale, il martin pescatore osservò acutamente:”Se per digerire delle scimmie l’aquila mangiascimmie deve avere dei lunghi peli nello stomaco, per ingoiare dei serpenti l’aquila mangiaserpenti non è forse dotata di uno stomaco di ferro?” Gli astanti risero di nuovo, mentre l’usignolo d’oriente si preparava a cantare la canzone successiva. Nota: bisogna fare il possibile per evitare che l’invidia alberghi nei nostri animi.

FAVOLA N. 57

IL CARIBÙ, LA MOSCA E I RUMORI MINIMI DEL BOSCO

Un caribu’ pascolava in un palmeto ascoltando l’armonioso canto degli uccelli. Dopo aver brucato numerose felci, come d’abitudine si distese all’ombra di una palma per sonnecchiare. Una mosca che volava senza una meta precisa, vedendo il nero bove pensò:”Mi piacerebbe rendergli un servizio”. Poi si adagiò nella cavità dell’orecchio destro del caribù, rovesciandosi delicatamente e distendendo le sue antenne vicino al timpano. Infine si adattò alla cavità auricolare e rimase immobile. Terminato il riposo, il nero bove riprese a pascolare ed avvertendo un leggero prurito pensò:”Devo avere qualcosa all’orecchio destro. Se fosse un insetto, si muoverebbe; forse si tratta di un frammento di foglia che si è posato vicino al timpano”. Ricominciando a nutrirsi di felci, il caribù non ci fece più caso; prima del tramonto, si avviò alla sua dimora formata da tre palme che, incrociandosi in alto, costituivano una sorta di rifugio naturale. Improvvisamente la mosca uscì dalla cavità auricolare e, dopo i convenevoli, chiese all’amica:”Hai avvertito la mia presenza?” “Sentivo qualcosa all’orecchio!” L’insetto affermò:”Sei certamente riuscita a percepire i lievi rumori del bosco molto meglio delle altre volte!” Il caribù domandò incuriosito:”Per quale motivo?” La mosca spiegò:”Mi sono rovesciata nella cavità del tuo orecchio destro e sono rimasta supina per far sì che le mie antenne ti sfiorassero il timpano. Così facendo, forse l’ho reso più sensibile ai rumori minimi del bosco”. Il nero bove replicò apertamente: “Non ho avvertito alcun miglioramento delle mie facoltà uditive. Ho provato solo un gran solletico. Comunque, ti ringrazio per quello che hai fatto per me!” Dopo aver salutato, la mosca riprese il volo e riflettè:”Credevo di aver reso un servizio, però mi ero sbagliata. Anche se non era convinto dell’efficacia della mia prestazione, il caribù mi ha detto tuttavia grazie”. Infine, l’insetto si chiese ironicamente:”Chissà se la mia amica s’aspettava che io esprimessi la mia riconoscenza per essere stato ospitato nel suo orecchio?” Nota: talvolta, quando offriamo spontaneamente agli altri i nostri servizi, non richiesti, rischiamo di ottenere dei risultati molto modesti.

FAVOLA N. 58

IL GATTO SPELACCHIATO, I TOPI E LA PIANTAGIONE DI CANNA DA ZUCCHERO

Dopo aver camminato per ore nella campagna bruciata dal sole, un gatto spelacchiato si fermò davanti allo steccato che recingeva una piantagione di canna da zucchero di modeste dimensioni. Esausto, s’accovacciò per terra e s’addormentò. Il giorno successivo, il piccolo felino passò lo steccato attraverso un buco e, girando lo sguardo, vide dei topi nutrirsi di bastoncini di zucchero di canna. Prima d’iniziare la sua attività di cacciatore, fissò la sua dimora nella cavità dell’unico banano che cresceva nella piantagione. E programmò di catturare tre topi al giorno, uno per colazione, uno per pranzo e uno per cena. Presto il suo progetto si tradusse in azione. Essendo molto numerosi, i topi sottovalutarono il loro nemico. Tuttavia, passato qualche mese, si contarono e constatarono che il loro numero diminuiva progressivamente. Un giorno, mentre il piccolo felino dormiva, i roditori convocarono un’assemblea straordinaria sotto il sole infuocato del primo pomeriggio. Prendendo la parola, il più anziano disse:”Il gatto è una buona forchetta! Ogni giorno ciascuno di noi si domanda ansiosamente quale sarà la sua sorte. Amici! Non possiamo vivere nella paura! Abbandoniamo tutti il canneto! Nell’aperta campagna sarà duro cercare cibo, ma non saremo ossessionati dalla minacciosa presenza del nostro nemico”. Ma un topo obeso replicò:”Sono nato e voglio morire nella piantagione! Fra l’altro, non posso rinunciare alla mia porzione quotidiana di zucchero di canna!” Un altro roditore, dal muso allungato, osservò:”È giusto rispettare la volontà di tutti: chi intende restare nel canneto è libero di farlo, ma a proprio rischio e pericolo. Infatti, è prevedibile che il gatto faccia tabula rasa di coloro che rimangono qui”. Conclusa la discussione, i convenuti all’unanimità decisero di lasciare la piantagione per l’aperta campagna. Dopo essersi riposato, il piccolo felino aprì gli occhi e pensò:”In questo periodo sto veramente bene. Essendo pieni di zucchero, i topi del canneto sono squisiti. Non so se un giorno potrò rinunciare a nutrirmi di un cibo così dolce!” Uscito dalla tana, il gatto spelacchiato si addentrò nella piantagione e, non scorgendo alcun roditore, non credette ai propri occhi. Pieno di stupore, esclamò:”Oggi non ci vedo bene!” Ma volgendo lo sguardo intorno si rese conto, con disappunto, che i topi se n’erano andati. Ritornato alla tana, riflettendo sulla nuova situazione creatasi, si disse:”Le cose andavano troppo bene! Ma ora devo pensare, lucidamente, al presente.

Voglio dire: ieri mi nutrivo di topi dal sapore dolce; oggi, che cosa mangerò? Devo farmi venire l’acquolina in bocca pensando ai pasti di ieri?” Nota: rimpiangendo il passato non si risolvono i problemi del presente.

FAVOLA N. 59

LA GRANDE LUCERTOLA, LA LUCERTOLA DALLA CODA MOZZA E LO SPECCHIO PORTAFORTUNA

In una casa di campagna una grande lucertola aveva fissato la sua dimora nella camera che fungeva da salone. E aveva ammonito le piccole lucertole che abitavano nella stessa casa con queste parole:”Le pareti del salone sono la mia zona di caccia abituale. Pertanto punirò severamente chiunque, in quest’area, oserà catturare insetti senza la mia autorizzazione preventiva”. Una lucertola dalla coda mozza si azzardò a chiedere:”A chi intendi concedere il permesso di caccia?” La grande lucertola rispose:”Per ora, a nessuno. Tuttavia, vi permetto di specchiarvi nel grande specchio che domina la parete centrale del salotto. Dopo aver effettuato rapidamente tale operazione, ritornerete nelle vostre zone di caccia!” Poiché le piccole lucertole rispettavano il severo monito della grande lucertola, la quiete regnava nella casa. Ma un giorno, dopo essersi specchiata, la lucertola dalla coda mozza si mise a percorrere la striscia di muro compresa tra il soffitto e la parte superiore dello specchio. Cercando con lo sguardo qualche mosca, pensò:”Se la grande lucertola mi sorprenderà nella sua zona di caccia, osservando la mia coda mozza avrà pietà di me e fingerà di non vedermi”. Ma contrariamente alle sue previsioni, la grande lucertola, credendo fermamente nelle leggi della sopravvivenza, non provava pietà per nessuno. E scorgendo la malcapitata, ingaggiò immediatamente una dura e aspra lotta corpo a corpo, mordendola in diverse parti. Colpita più volte nella parte terminale della coda mozza, l’esile lucertola si piegò ad arco per il dolore e, perdendo l’equilibrio, precipitò al suolo. La grande lucertola, pure lei estenuata dalla lotta, inavvertitamente s’imbucò nella stretta fessura che si notava tra la parte superiore dello specchio e il muro. Poiché lo specchio era mal collocato, la fessura era diseguale e, verso il fondo, diventava sempre più sottile. La grande lucertola, lacerata ed incapace di muoversi, finì la sua vita al buio, intrappolata nella fessura. La lucertola dalla coda mozza, ripresasi dopo la caduta, dal pavimento alzò lo sguardo allo specchio, ringraziandolo mentalmente per averle salvato la vita. Mal ridotta, riprese tuttavia la sua corsa per uscire dal salone, ripromettendosi di non ritornarci più. Nota: l’ambiente, con le sue strutture, può modificare le dure leggi della sopravvivenza a favore dei deboli?

FAVOLA N. 60

LA VOLPE, LA COLAZIONE DEL LUPO E LA MONTAGNA ROCCIOSA DELL’ISOLA TROPICALE

Dopo un faticoso viaggio, una volpe e un lupo approdarono in un’isola tropicale. In pochi giorni, i due amici esplorarono un ampio territorio ricco di una vegetazione lussureggiante e attraversato da numerosi corsi d’acqua. Pur visitando insieme l’isola durante il giorno, la volpe e il lupo si sistemarono in due dimore diverse, ai piedi di alberi che crescevano nello stesso bosco. Infatti entrambi, almeno durante la notte, volevano sentirsi liberi. Una mattina l’astuto animale corse alla tana dell’amico e, quasi senza fiato per l’emozione, disse:”Vieni con me! Ho scoperto la montagna più alta dell’isola! È rocciosa e dall’alto ammireremo un paesaggio stupendo!” Con molta calma, il lupo rispose:”Anzitutto, devo catturare un capretto nero per il pasto mattutino. Come ben sai, mi piace fare un’ottima colazione”. Con aria delusa, la volpe continuò:”Non posso aspettare! Infatti, non riesco a contenere il mio entusiasmo. Se non mi seguirai, raggiungerò da sola la montagna rocciosa e le darò il mio nome!” “Va pure!” esclamò il lupo. L’astuto animale percorse rapidamente il sentiero e scomparve dalla vista dell’amico. Rimasto solo, il lupo pensò:”Prima la colazione, poi la visita dell’isola. Quando la volpe arriverà alla montagna rocciosa, che cosa mangerà? Dei frammenti di roccia?” Infine si disse compiaciuto:”Oggi mi sento più astuto della volpe!” Ma il lupo ignorava che prima di fargli visita, all’alba, l’astuto animale aveva già fatto un’abbondante colazione. Nota: bisogna tener presente che le nostre opere – frutto della nostra intelligenza e del nostro lavoro – possono essere eguagliate, se non superate da altri, in qualsiasi momento.

FAVOLA N. 61

LA ZANZARA, LA PELLE DI SERPENTE E GLI UOMINI

Un serpente viveva in un palmeto attraversato da un fiume dall’acqua cristallina. Un giorno, dopo aver cacciato topi sulla riva del fiume, si diresse strisciando tra le felci verso una piccola radura. Arrivato alla meta, si distese su una roccia per prendere il sole. Mentre il rettile sonnecchiava, una zanzara, ronzandogli attorno, gli fece aprire gli occhi. Fermatosi sulla pietra che si trovava di fronte a lui, l’insetto esclamò caustico e sprezzante:”Dovresti vergognarti!” Rimanendo calmo, il serpente rispose:”Di che cosa? Forse le mie spire ti fanno ribrezzo?” La zanzara spiegò:”A stento posso sopportare la vista delle tue spire. Ma detesto soprattutto il fatto che il tuo veleno uccida gli uomini!” “E tu, che cosa mi racconti delle tue avventure? Dimentichi forse che inietti il morbo del dengue?” La zanzara osservò:”Con le mie punture succhio un po’ di sangue agli uomini. A volte, è vero, inietto il morbo del dengue. Ma che cos’è mai il dengue? Si tratta solo di una forma particolare di febbre diffusa ai tropici. D’altra parte, da tempo immemorabile la zanzara trasmette la febbre al genere umano!” Al rettile premeva ammettere che il suo veleno era mortale per gli uomini, sottolineando tuttavia che lo iniettava solamente quando era attaccato, cioè a scopo difensivo. Ma la zanzara non diede al suo interlocutore il tempo per giustificare il suo comportamento e troncò il dialogo con queste parole:”Con te sto sprecando il mio fiato. Comunque, non cambio il mio giudizio: tu per me sei e rimani un pericolo per l’umanità!” Poi spiccò il volo, mentre il serpente riprese a sonnecchiare. Un giorno, il destino volle che la zanzara pungesse un visitatore del bosco trasmettendogli il morbo del dengue. Al contrario, il serpente non ebbe mai occasione di mordere un uomo. Anzi, dopo essere morto in solitudine tra le felci, un ricercatore lo raccolse, lo portò nel suo laboratorio e lo scorticò per ottenere dalla sua pelle un olio speciale. Quest’ultimo si rivelò un medicinale efficace per curare le allergie della pelle degli uomini. Nota: se il giudizio che si formula su persone, fatti e situazioni non è sottoposto a verifica, rischia di diventare un pregiudizio.

FAVOLA N. 62

LA PAVONESSA, IL CORTEGGIAMENTO DEL PAVONE E LA VANITÀ

In un pollaio all’aperto di una grande fattoria tropicale un pavone iniziò a corteggiare una pavonessa che esibiva la sua ruota dai colori sgargianti. Considerato che i suoi dialoghi d’amore si rivelavano infruttuosi, un giorno il corteggiatore studiò una frase ad effetto. Rivolgendosi all’innamorata, esclamò:”Per te farei qualunque cosa!” Quest’ultima rispose prontamente:”Dunque, ascoltami: vai dietro un albero, togliti le piume della ruota e ritorna da me; solo allora prenderò in considerazione la tua proposta di matrimonio”. Estremamente sorpreso, l’innamorato ribattè:”Non riesco a levarmi le piume da solo; devo cercare qualcuno che mi aiuti”. Detto questo, si congedò. Percorrendo il terreno battuto che circondava il pollaio, il pavone riflettè:”Perché dovrei rinunciare alle piume della mia ruota?” Arrestatosi ai piedi di un’acacia, si disse:”Intendo conservare la mia ruota: infatti, è la cosa più importante della mia vita. D’altra parte, forse la mia corteggiata sacrificherebbe la sua ruota per amore?” Nota: è giusto anteporre la vanità all’amore?

FAVOLA N. 63

IL BUCERO-MASCHIO, IL BUCERO-FEMMINA, IL MARTIN PESCATORE E IL PASTO DEL CORVO

DAL BECCO LARGO Una coppia di buceri viveva felicemente nel nido scavato nel tronco di una palma. Un giorno il bucero-maschio, più vecchio della sua compagna, fu colpito dalla febbre; l’appetito gli passò e in una settimana dimagrì paurosamente. Rendendosi conto che il marito era ormai giunto alla fine della sua vita, il bucero-femmina volò al nido del martin pescatore, che dimorava nella palma di fronte alla sua. Avendogli spiegato l’accaduto, lo pregò di andare a chiamare il corvo dal becco largo. Poco dopo, il martin pescatore e il corvo si posarono in un ramo della palma opposta a quella in cui viveva la coppia di buceri. Il bucero-femmina li raggiunse e, rivolgendosi al corvo, disse:”Come ben sai, mio marito è sempre stato all’altezza dei suoi compiti; infatti, pur attraversando periodi difficili, abbiamo allevato quattro piccoli”. Guardando l’amico negli occhi, il bucero-femmina proseguì assumendo un’aria triste:”Siamo stati felici, ma ora devo affrontare lucidamente la realtà del presente. La sua morte si avvicina e, per l’amicizia che ci lega da anni, desidero che tu sia l’unico a nutrirti della sua carogna”. Pur avendo una gran fame, il corvo rispose che era pronto ad aspettare il triste evento. Sentendo confusamente delle voci, il bucero-maschio si svegliò e si sporse dalla cavità della palma. Guardandosi attorno, si chiese per quale ragione sua moglie chiacchierasse col nero uccello. Pur essendo febbricitante, il bucero-maschio intuì che la sua compagna aveva chiamato il corvo perché la sua fine era imminente. Nel constatare l’incredibile freddezza di sua moglie provò un grande dolore, che gli consumò le ultime forze. Stremato ed esangue, si sporse ancor più dalla cavità della palma, cadde al suolo ed esalò l’ultimo respiro. Accertatasi della sua morte, il bucero-femmina si rivolse al corvo e disse con voce commossa:”Mio marito si è comportato in modo esemplare fino agli ultimi istanti della sua vita; infatti, dopo averti visto, è morto per diventare cibo per te! Devo riconoscere che, dandomi un marito come lui, il cielo è stato particolarmente generoso nei miei confronti!” Nota: nelle relazioni umane è fondamentale avere un profondo rispetto per i sofferenti e per i defunti.

FAVOLA N. 64

LA RAGANELLA E I CONCERTI DELL’USIGNOLO D’ORIENTE

Una raganella gracidava allegramente dalla mattina alla sera, rimanendo appollaiata sul ramo di un albero. Un giorno, guardando dall’alto le acque di un fosso che scorrevano sotto di lei pensò:”Il mio verso è veramente monotono! Come mi piacerebbe imparare a cantare delle canzoni!” Per realizzare il suo piano, il piccolo anfibio raggiunse saltellando il vicino palmeto, in cui ogni sera un usignolo d’oriente teneva un concerto. E vi rimase per un mese, diventando un entusiastico ammiratore del cantante. Infine ritornò alla sua dimora. Tenendo a mente i motivi armoniosi che avevano contrassegnato i concerti dell’usignolo d’oriente, la raganella riprese a gracidare. Ma dalla sua bocca uscivano solo suoni brevi e striduli, incapaci di ricreare l’atmosfera che permeava i canti ascoltati nel bosco. Constatato l’insuccesso dei tentativi di modificare il suo repertorio, il piccolo anfibio si disse:”Per ben interpretare le canzoni dell’usignolo d’oriente dovrei avere delle corde vocali diverse; purtroppo, le mie emettono i soliti grè-grè. Pazienza! Continuerò a gracidare come facevo prima, ringraziando comunque la natura che mi ha fatto nascere in un bosco rigoglioso, illuminato da un cielo azzurro come la turchese!” Nota: l’ambiente in cui viviamo può far nascere in noi dei talenti che la natura ci ha negato?

FAVOLA N. 65

LA TUK-KO, I TOPOLINI, I MILLEPIEDI E L’OSPITALITÀ DELLE LUCERTOLE

Una fattoria di un paese tropicale era dimora abituale di numerose lucertole. Queste si nutrivano di farfalle che, di notte, attratte dalle luci dei lampadari, entravano nella casa attraverso le finestre. Pur ritenendosi soddisfatte della loro vita, le lucertole erano infastidite dai millepiedi e dai topolini che infestavano una buona parte della fattoria. Riunite in assemblea per prendere provvedimenti in merito, le convenute approvarono una proposta che stabiliva di concedere ospitalità a tempo indeterminato ad una tuk-ko. Infatti, era noto che questa grande lucertola, oltre che d’insetti, si cibava anche di topi e di millepiedi. Sciolta l’assemblea, alcune delle partecipanti si recarono nel palmeto confinante con la fattoria e ritornarono accompagnando una tuk-ko. La lunghezza del suo corpo colpì immediatamente le abitatrici della casa: in effetti, misurava quasi trenta centimetri. La sua timidezza, invece, fece nascere nelle lucertole un sentimento di simpatia e si decise di ospitare la tuk-ko in una crepa profonda di un muro del salone. Ogni sera, al tramonto del sole, l’ospite percorreva la casa in lungo e in largo; in poche notti fece tabula rasa di topolini e di millepiedi. Poi cominciò a nutrirsi di farfalle, come facevano le lucertole, che tuttavia non intendevano condividere le loro prede preferite con lei. D’altra parte, le leggi dell’ospitalità e della buona educazione non permettevano loro di dire apertamente alla tuk-ko di limitarsi a cacciare mosche e zanzare. In breve, le ospitanti non sapevano che cosa fare per congedare la loro ospite che, trovandosi a suo agio, non esprimeva alcun desiderio di andarsene. Un giorno un’esile lucertola dallo sguardo vispo disse alle amiche di avere un’idea brillante. Convocata l’assemblea generale, comunicò alle partecipanti di aver trovato il giusto modo per sbarazzarsi della tuk-ko. Invitata calorosamente ad esternare la sua proposta, l’esile lucertola si premurò di dire che non poteva raccontare il suo piano. Così, lasciando con due compagne l’assemblea, pregò le presenti di attendere lo sviluppo degli avvenimenti continuando la seduta. Raggiunta la dimora della tuk-ko, che dormiva, l’esile lucertola la svegliò dolcemente con queste parole:”Cara amica, perdonami se ti disturbo. Il fatto è questo: io sostengo che, a volte, le tuk-ko si nutrono di piccole lucertole, ma le mie compagne qui presenti non mi credono. Che cosa puoi dirci al riguardo?” Quasi vergognandosi delle sue parole, l’interrogata rispose:”Devo ammettere che alcune di noi si cibano anche di piccole lucertole”. L’esile lucertola lanciò uno sguardo d’intesa alle compagne e, senza salutare l’ospite, corse con loro

nel luogo dove proseguivano i lavori dell’assemblea. Riferito il suo breve colloquio con l’ospite, le sue compagne confermarono la veridicità delle sue affermazioni. Immediatamente l’assemblea approvò all’unanimità la proposta di “espellere la tuk-ko dalla fattoria perché ritenuta un elemento pericoloso per la vita, la sicurezza e l’incolumità delle lucertole”. Conclusi i lavori, alcune di loro si recarono dall’ospite e, dopo aver resa nota la deliberazione assembleare, le ordinarono di lasciare la fattoria. Senza ribattere, la tuk-ko ritornò nel bosco e si acquattò nel suo vecchio nido. Riposandosi, pensava:”L’assemblea ha trovato una valida ragione per espellermi; ma la verità è che le lucertole non volevano più condividere il cibo con me. D’altra parte, preferisco vivere nel bosco. Qui la caccia è dura, però mi dà veramente soddisfazione; infatti, non tolgo cibo a nessuno e, quando lo consumo, mi dico sempre che le mie fatiche sono ben ricompensate”. Nota: concedere ospitalità comporta, per una ragione o per un’altra, dei notevoli sacrifici.

FAVOLA N. 66

LO SCARAFAGGIO E LO SCONTRO DIRETTO FRA IL GATTO E IL TOPO

Nella campagna tropicale, una tettoia di ferro retta da quattro pilastri di cemento era adibita a deposito di veicoli. Accanto a uno dei pilastri, i sorveglianti avevano collocato un bidone per i rifiuti che, di solito, era scoperchiato. Essi tenevano un gatto bianco-nero per la caccia ai topi. Presto, trovando ben poco da mangiare, questi ultimi abbandonarono il deposito. Tutti eccetto un topolino che, essendo molto agile, riusciva ad entrare nel contenitore per cercare cibo. Anche il gatto bianco-nero si nutriva dei resti che trovava nel bidone. Un mattino, avvicinandosi al contenitore, il piccolo felino vide ad una certa distanza il roditore. Non volendo dare battaglia, si girò e si diresse verso il centro del deposito, permettendo così al topolino di consumare gli avanzi dei pasti dei sorveglianti. Da quel giorno, i due presunti nemici non s’incontrarono più. Come per un tacito accordo, il roditore si accontentava di mangiare una volta al giorno, al mattino; da parte sua, il gatto bianco-nero si limitava ad usufruire di un solo pasto giornaliero, nel pomeriggio. Il tempo passava e i due animali ingrassavano, continuando tuttavia ad ignorarsi reciprocamente. Un giorno, uno scarafaggio che viveva tra le felci nelle immediate vicinanze del deposito osservò incuriosito che i due ipotetici nemici si cibavano allo stesso contenitore in orari diversi. Incontrando il gatto, lo informò del fatto che il topolino cercava ogni mattina cibo nel contenitore. Ascoltandolo, il gatto mostrava di sapere ben contenere la sua emozione. Ma ad un certo punto la blatta marrone sbottò:”Mi aspettavo che tu reagissi energicamente! Dopo tutto, sto parlando del tuo naturale nemico! Si tratta della lotta per la sopravvivenza!” Sempre mantenendo la calma, il piccolo felino lo corresse:”Io parlerei di convivenza!” Con aria delusa, lo scarafaggio chiese:”Vuoi dire che non assisterò mai a uno scontro diretto col tuo nemico?” Il gatto spiegò:”Né diretto né indiretto! Infatti, non vedo la ragione per provocare una zuffa”. La blatta marrone insistè:”Dunque, nessun spargimento di sangue?” “Il sangue del topolino non m’interessa!” Ma volendo salvaguardare la sua fama di cacciatore, il gatto soggiunse:”Uno scontro col mio naturale nemico, presto o tardi, potrebbe anche avvenire; però non si sa quando. Infatti, io e il topolino ci rechiamo al bidone in orari diversi, che non intendiamo cambiare; pertanto non si può prevedere alcuno scontro in tempi brevi”. Nota: c’è chi, pur ammettendo di avere molti nemici, fa il possibile per evitare scontri aperti.

FAVOLA N. 67

LA VOLPE, LA MOSCA E LA SORPRESA DELLA PIANTA CARNIVORA

Una volpe era in vacanza in un’isola tropicale bagnata dalle tiepide acque dell’Oceano Pacifico. E ai piedi di una gigantesca palma aveva scavato una buca che utilizzava come dimora. Di giorno, la visitatrice esplorava l’isola e incontrava i numerosi animali desiderosi di conoscerla per la sua fama. La sera, si riposava nella sua tana ammirando i languidi colori del tramonto e ascoltando l’armonioso canto degli uccelli. Qualche giorno dopo il suo arrivo, mentre il sole declinava vermiglio nella foresta, una mosca cominciò a ronzare attorno alla tana dell’astuto animale, che aprì gli occhi e disse all’insetto:”A che cosa devo l’onore della visita?” La mosca rispose:”È mia abitudine festeggiare l’arrivo di un ospite nel bosco roteandogli attorno numerose volte”. La volpe continuò:”Ti ringrazio per la tua cordiale accoglienza. Tuttavia, mi sorprende il fatto che già da una buona mezz’ora percorri circolarmente la mia dimora; ora, mi sembra che questo basti!” L’insetto se ne andò, ma ritornò la sera successiva e si mise nuovamente a roteare attorno alla tana della visitatrice. Nascondendo la sua irritazione, la volpe disse:”Quale buon vento ti porta, ancora una volta, in questa parte del bosco?” “Ti ronzo intorno per festeggiare l’apparizione della luna nuova!” In breve, ogni sera la mosca faceva visita alla volpe e le girava insistentemente attorno per celebrare eventi di natura diversa. In realtà l’insetto voleva infastidire l’astuto animale per costringerlo a lasciare la sua dimora. Quest’ultimo, avendo ben compreso le cattive intenzioni della mosca, pensò:”L’ho pregata molte volte di non farmi più visita, ma è stato inutile. D’altra parte, se la mando via malamente, per esempio dandole una zampata, gli animali del bosco diranno che contraccambio l’ospitalità che ricevo quotidianamente con l’ingratitudine. Dunque, che cosa devo fare?” Dopo aver riflettuto a lungo sotto il debole chiarore delle stelle, un’idea balenò nella sua mente. Il giorno seguente, la volpe si addentrò nei recessi del bosco e nel pomeriggio ritornò nella sua tana con una verde pianta dalle foglie formate da due lamine aperte, che si aprivano e si chiudevano come fossero il becco di un uccello. La sera, al suo arrivo, la mosca notò subito la verde pianta che cresceva nella tana a fianco della testa dell’astuto animale e chiese:”Che cos’è?” “Non conosco il suo nome. Fra le piante della foresta, questa mi è particolarmente cara, anche se non so spiegare il perché. Posso dire, comunque, che presto sorprenderà te e me e chiunque altro si troverà davanti a lei!”

Le misteriose parole pronunciate dalla visitatrice incuriosirono l’insetto, che pensò:”Appena la volpe chiuderà gli occhi, morderò la pianta per farle un dispetto. E se mi domanderà qualcosa, risponderò che è passata una zanzara”. Ma avvicinandosi alla meta ambita, la mosca ebbe un triste presentimento e si domandò:”Mi trovo forse davanti a una pianta carnivora?” Presa dall’affanno, abbandonò la tana dell’astuto animale, ripromettendosi di non ritornarci più. Nota: provocare chi è noto per la propria astuzia può rivelarsi un grave errore.

FAVOLA N. 68

LA CICALA, IL SERPENTE E LO STAGNO DEL DESIDERIO

Una cicala, chiaccherando con un’amica, apprese che nel cuore della foresta si trovava un fiume che sfociava nel cosiddetto ‘stagno del desiderio’. E le venne spontaneo chiedere perché si chiamava così. L’amica rispose:”Molti credono che la trasparenza delle sue acque abbia un potere magico; si dice che, se si ci specchia nello stagno esprimendo un desiderio, questo si realizza all’istante”. Il giorno dopo, mossa dalla curiosità, la cicala raggiunse da sola il luogo descritto dall’amica. Fermatasi su una striscia di sabbia priva di vegetazione, guardò sia le limpide acque sia la fitta muraglia di cespugli e di alberi che circondava lo stagno. Infine, specchiandosi, disse alle acque:”Desidero trasformarmi in serpente!” Ma la sua immagine, riflessa dalla superficie cristallina, rimase immutata. In quel momento un serpente, strisciando sulla sabbia, si avvicinò al verde insetto e domandò con aria incredula:”Vuoi diventare come me?” La cicala rispose affermativamente e precisò:”Tu sei forte!” “Tu non hai un’idea di quali sono le mie condizioni di vita sulla riva di questo stagno. Ogni giorno devo lottare per sopravvivere, fino a ridurmi, se necessario, a cibarmi di un mio simile!” Il verde insetto osservò:”Però, quando sei attaccato, puoi ben difenderti iniettando il tuo veleno!” Il serpente ribattè:”Tu non possiedi ghiandole velenifere, è vero; ma in compenso hai pochi nemici!” Assumendo un’aria riflessiva, il rettile continuò:”Francamente, ritengo che tu debba ringraziare la natura, che ti ha fatto nascere cicala. In effetti, ti nutri di semi e canti giorno e notte con le amiche nascosta nelle chiome degli alberi. Vivi in armonia con la natura in luoghi ameni che si stagliano nell’azzurro del cielo: che cosa ti aspetti ancora dalla vita?” Nota: è buona cosa accontentarsi dei talenti che la natura ci ha dato, cercando al tempo stesso di utilizzarli nel migliore dei modi.

FAVOLA N. 69

LE ZANZARE, LE MOSCHE E IL CANTO DEL CUCULO

In un bosco tropicale, mentre il sole tramontando diventava rosso come una palla di fuoco, un gruppo di zanzare si fermò per riposare su un canneto di bambù che limitava la piccola radura. Nello stesso tempo, anche alcune mosche si posarono sulle canne. All’improvviso, acquattato sul ramo di un albero che dominava solitario lo spazio erboso, un cuculo iniziò ad emettere il suo verso lamentoso. Al diffondersi del suono nell’aria che diventava sempre più rossa, le mosche se ne andarono, laddove le zanzare si lasciarono commuovere dall’iterazione della nota malinconica. Rivolgendosi alle compagne, una giovane zanzara disse:”Ammirate lo spettacolo del tramonto: il verso ripetuto del cuculo pare scandire il lento scolorarsi del sole. E la natura ascolta, tutta raccolta in se stessa, la nota struggente, foriera di altre voci che presto segneranno la quiete della notte”. Un’altra zanzara, prendendo la parola, osservò:”Quando il cuculo ha iniziato a cantare, le mosche hanno abbandonato il canneto e sapete bene perché: il cuculo è un insettivoro; il suo verso triste ci fa piangere, ma il suo becco ci uccide. Nella radura siamo esposte ai suoi attacchi; perciò propongo di lasciare immediatamente il canneto!” Concluso il suo intervento, la zanzara spiccò il volo, seguita dalle compagne. Nel frattempo, altre voci di uccelli notturni si univano al canto del cuculo e le tinte cupe del cielo assorbivano gli ultimi raggi del sole. Nell’incipiente oscurità, la foresta appariva ormai una minacciosa massa di cespugli e d’alberi. Nota: è consigliabile fare il possibile per evitare d’essere coinvolti in situazioni pericolose.

FAVOLA N. 70

IL FILIPPINO COUCAL, LA DIETA ALIMENTARE E LE CAROGNE DELL’ISOLA TROPICALE

Un filippino coucal¹ viveva in una prateria di un’isola tropicale. E aveva nidificato nella chioma di un albero che dominava il verde paesaggio. Amante della vita comoda, il nero uccello dalle striature marrone si nutriva di ciò che trovava nei prati, cioè d’insetti e di piccole lucertole. Dopo un pasto abbondante, invece di volare sui boschi, preferiva appollaiarsi sul ramo di un albero per prendere il sole. Durante la stagione delle piogge, cessato il maltempo, si accoccolava su un cespuglio o sulla cima di una capanna di bambù per asciugarsi le piume e per digerire il cibo. Più il tempo passava, più ingrassava, sia per il cibo copioso che consumava regolarmente, sia per il fatto che volava poco. Durante la stagione delle piogge, oltre alle prede abituali il filippino coucal si metteva a cercare i vermi che spiccavano qua e là nella terra fecondata dall’acqua. Un giorno un violento tifone colpì l’isola. Placatasi la furia degli elementi, il sole riapparve nel cielo terso. Il nero uccello ebbe un’idea e la realizzò subito. Stanco di mangiare le solite cose, scavò nel terreno bagnato, trovò delle carogne, le portò in superficie e le divorò. Qualche tempo dopo, ebbe dei forti dolori di stomaco; infatti, i parassiti ingoiati assieme al cibo putrefatto gli consumavano le budella. Il nero uccello cercò di volare, ma non ci riuscì; adagiandosi nella terra molle e umida, comprese che le sue forze diminuivano di ora in ora. Infine, quando i dolori lancinanti preannunciavano la sua fine, si rese conto d’essere diventato vittima della sua stessa ingordigia. Nota: se si vuole osservare un’ equilibrata dieta alimentare, è opportuno controllare sia la quantità sia la qualità del cibo che si consuma. 1. Il coucal è un uccello delle isole filippine.

FAVOLA N. 71

IL GENERAL-GATTISSIMO, I GATTI RANDAGI, IL PARROCCHETTO E L’ASSALTO AI TOPI DELLA

PIANTAGIONE DI BANANE Nella campagna di un paese tropicale alcuni gatti randagi si ritrovavano d’abitudine nel primo pomeriggio all’ombra di una grande palma per raccontarsi le loro vicende. E si lamentavano spesso perché la caccia di topi era molto dura. Un giorno, attraversando la campagna, un gatto paffuto dallo sguardo bieco si fermò davanti alla grande palma, incuriosito dai discorsi dei presenti. Dopo aver ascoltato attentamente i loro interventi nella discussione, prese la parola e disse:”Siete affamati e in preda alla disperazione. Io affermo che se mi seguirete, mangerete. Ma dovete riconoscermi come capo e obbedire ai miei ordini. Siete disposti a farlo?” Avendo la pancia vuota, i gatti randagi risposero con voce fioca, uno dopo l’altro:”Sì”. Il gatto paffuto continuò:”Bene! D’ora innanzi, rivolgendomi la parola, mi chiamerete General-gattissimo. Domani mi ripresenterò, vi metterò in ordine e vi inquadrerò. Poi, sotto il mio comando, assalteremo il bananeto che si trova oltre il lampione che illumina la strada. Come sapete, la piantagione di banane è popolata da numerosi topi…” Mentre il capo stimolava i convenuti a prepararsi per la battaglia, un parrocchetto, avendo capito molte cose, spiccò il volo da un ramo della grande palma e si diresse verso il bananeto. Il giorno dopo il General-gattissimo arrivò, salutò militarmente e provvide a mettere in ordine e a inquadrare i gatti randagi in una brigata. Poi la nuova formazione militare , guidata dal capo, marciò in fila indiana verso la piantagione di banane. Quando il sole era già alto, i piccoli felini raggiunsero la meta prefissata. Il General-gattissimo arrestò la brigata e disse:”Osservate il sentiero che si apre nel bananeto. Dapprima io lo percorrerò da solo, fino alla fine della piantagione. Voi, invece, nella caccia ai topi, procederete spostandovi in senso orizzontale, uno a destra e l’altro a sinistra. Infine, con le vostre prede, vi unirete a me all’estremità del sentiero!” Ricevuti gli ordini, la formazione militare intraprese la conquista della nuova terra. Ma, essendo stati avvisati dal parrocchetto dell’imminente pericolo, durante la notte i topi avevano abbandonato le loro dimore. E quando i gatti randagi si congiunsero col capo, non portarono con loro alcuna preda. Il General-gattissimo disse:”Se siete a mani vuote, ciò dipende dal fatto che qualcuno ha avvisato i nostri naturali nemici del nostro piano d’invasione. Proclamo, comunque, la conquista del bananeto! Rimanete in allerta! Presto organizzerò una nuova spedizione!”

Così i gatti randagi ritornarono, affamati più di prima, alla grande palma. E sotto l’ombra dell’albero ricco di fronde si scambiarono, per l’ultima volta, quattro chiacchere. In effetti, ogni convenuto nutriva il proposito di riprendere la propria vita, piena di stenti ma contrassegnata dalla libertà. Da quel giorno, nessun gatto randagio si fermò più davanti alla grande palma: il timore d’incontrare il General-gattissimo e di doversi sottomettere alla sua ferrea disciplina era troppo forte! Da allora, un profondo silenzio regnò attorno all’albero. Nota: quando ci sono numerosi problemi da risolvere, la vita è dura. Ma vivere senza difficoltà da affrontare può soddisfarci?

FAVOLA N. 72

LA CAVALLETTA, LO SCARAFAGGIO E L’ORGOGLIO DELLA ZANZARA

In una calda giornata della stagione secca una cavalletta e uno scarafaggio s’incontrarono per caso ai piedi di una palma dalle noci di cocco dorate. Dopo essersi salutati, i due insetti si riposarono all’ombra. Una zanzara che volava nelle vicinanze del grande albero li vide e si fermò per fare quattro chiacchere. Fra i tre amici si aprì una discussione sui rapporti tra il genere umano e gli insetti. Lo scarafaggio, per primo, disse:”Potete spiegarmi perché gli uomini mi detestano fino al punto d’uccidermi? Dopo tutto, nutrendomi di qualsiasi cosa pulisco l’ambiente in cui vivo, svolgendo, in forma ridotta, la stessa funzione di un bidone delle immondizie”. La cavalletta osservò:”Forse gli uomini vogliono ucciderti perché, essendo un minuscolo contenitore di rifiuti, puoi trasmettere loro ogni specie di virus”. La blatta marrone ammise:”Quello che tu affermi è vero, purtroppo!” La cavalletta proseguì:”Consolati! Se tu diffondi batteri, io sono un autentico flagello! In effetti, formo con le mie compagne degli sciami impressionanti per distruggere interi raccolti di cereali. Per questo giustifico la violenta reazione degli uomini nei nostri confronti. Ma noi locuste, più degli uomini, temiamo le faraone; come ben sai, queste ci mangiano vive!” Presa la parola, la zanzara esclamò:”La mia relazione con gli uomini è molto complessa!” Gonfiandosi d’orgoglio, si spiegò:”Voglio dire che il mio rapporto con gli uomini da una parte è negativo perché succhio loro il sangue e a volte inietto virus che causano febbri; tuttavia, al giorno d’oggi i loro effetti sono alleviati dall’uso di potenti medicinali. Ma da un’altra parte, la mia relazione col genere umano è positiva. Infatti, nelle aree del pianeta in cui noi zanzare siamo molto numerose, si costruiscono degli stabilimenti per la produzione di zanzariere. Ebbene: queste fabbriche danno lavoro a migliaia di persone!” Nota: talvolta si può incontrare chi, pur essendo consapevole di fare del male al prossimo, fa il possibile per giustificare il suo deplorevole comportamento.

FAVOLA N. 73

LA VOLPE, LO SCIMPANZÈ, LE PICCOLE ANTILOPI E L’USO DELL’INTELLIGENZA

Una volpe trascorreva una lunga vacanza ai tropici, incontrando animali d’ogni specie. Un giorno, addentrandosi nella foresta vide uno scimpanzè¹ che, seduto ai piedi di un albero, si nutriva di una piccola antilope. Osservando la scena a distanza, l’astuto animale pensò:”Mi piacerebbe assaggiare la carne di antilope”. Senza indugiare, si mise a camminare nel bosco cercando la preda ambita; e, girando lo sguardo, notò una piccola antilope che lambiva l’acqua di uno stagno. La volpe riflettè:”Anni or sono catturai una lepre facendole mille feste. Ora voglio fare la stessa cosa”. Avvicinandosi alla preda, cominciò a saltellare facendo molte smorfie. Ma, intuendo di trovarsi di fronte a un predatore, la piccola antilope fuggì. Pur rimanendo deluso, l’astuto animale non si diede per vinto. E studiò subito un altro stratagemma. Si arrampicò su un albero fronzuto che cresceva nelle vicinanze dello stagno per aspettare il ritorno della preda. Quando questa riapparve, imitando il cane, la volpe emise un lungo bau-bau. L’udire il verso di un animale sconosciuto, anziché suscitare la curiosità, stimolò la paura della piccola antilope, che si diede nuovamente alla fuga. Constatato amaramente il fallimento dei suoi trucchi, l’astuto animale dedicò il resto della giornata all’esplorazione del bosco. E s’imbattè per la seconda volta nello scimpanzè, che si cibava di termiti estraendole da un tumulo di terra mediante un pezzo di ramo. Dopo i convenevoli, la volpe domandò:”Come fai a catturare le piccole antilopi?” La grande scimmia interruppe il suo pasto, si avvicinò a un cespuglio e prese un arnese rudimentale. Poi si sedette di fronte alla sua interlocutrice e disse:”Mi arrampico su un albero e quando scorgo la mia preda scendo immediatamente”. Mostrandole un osso spesso e appuntito alle estremità, continuò:”Corro verso la mia vittima e la colpisco più volte nella testa e nel corpo fino ad ucciderla!” Pronunciate queste parole, lo scimpanzè riprese a nutrirsi di termiti; la volpe lo ringraziò per la spiegazione, lo salutò e se ne andò. Percorrendo uno stretto sentiero, l’astuto animale si disse:”Con le mie zampe non saprei certo usare un osso o un altro strumento. Comunque, devo ammettere che l’idea dello scimpanzè di utilizzare un osso mi ha stupito: infatti, non avrei mai immaginato che una scimmia potesse avere un’intuizione di questo genere!”

Nota: quando si utilizza la propria intelligenza nel migliore dei modi, si ottengono dei buoni risultati. 1. Lo scimpanzè è una scimmia dalla testa grossa e dal corpo robusto. È senza dubbio la più vivace, la più docile e la più intelligente di tutte le scimmie antropomorfe.

FAVOLA N. 74

IL MARTIN PESCATORE, LA POIANA E L’IMBOSCATA DEL SERPENTE

Un martin pescatore fece visita a una poiana, sua amica d’infanzia, che aveva nidificato nella chioma di un’acacia. Esauriti i convenevoli, il visitatore disse all’amica:”Ieri sera ho assistito a un fatto insolito. Mi sono appollaiato sul ramo di un albero dal tronco curvo, sulla riva dello stagno. Di fronte a me, s’innalzava un albero della stessa altezza, ma diritto. Di quando in quando, alcune raganelle saltavano dall’albero diritto verso quello in cui mi ero acquattato”. “Ebbene?” chiese la poiana, mostrando un vivace interesse per il racconto del martin pescatore, che continuò:”Ho notato che qualche raganella, saltellando, cadeva tra le felci. Ma dopo il tonfo nel vuoto, non la sentivo più gracidare”. “Che cosa era successo?” domandò la poiana con tono ansioso. “Guardando bene nel verde, ho scorto un serpente che, confondendosi tra le felci, stava in posizione eretta, ingoiando a bocca aperta le povere vittime”. “Che scena orribile!” esclamò la poiana. Il martin pescatore commentò:”Io la definisco una vera e propria imboscata! Questa sera, sarò nuovamente spettatore di questo insolito evento. Vuoi venire con me?” L’amica chiese:”Non provi pena per le raganelle?” Il visitatore replicò:”Certamente! Ma io assisto al fatto semplicemente per osservare lo svolgersi della vita della natura”. La poiana disse:”Questa sera volevo ammirare il tramonto del sole dalla collina che s’innalza gradualmente sui palmeti. Tuttavia, verrò per farti compagnia, anche se ti dico apertamente che l’imboscata del serpente mi fa ribrezzo!” Il martin pescatore ribattè:”Se questo strano evento ti disgusta, non venire. Goditi tranquillamente lo spettacolo del calare del sole. Quando ci rivedremo, tu me lo descriverai. Io prenderò nota dei particolari relativi alla crudele scena di cui sarò testimone e te li riferirò puntualmente”. Detto questo, il martin pescatore si congedò dalla poiana per dedicarsi alla sua attività di caccia. Nota: vale la pena di assistere ad eventi per cui si sa già di provare un sentimento di avversione o di ribrezzo?

FAVOLA N. 75

IL CORVO E LO STRUZZO ALLA RICERCA DI UN TRONO

Nella savana bruciata dal sole, uno struzzo viveva in un branco composto di zebre e antilopi. Un giorno, osservando alcuni uccelli appollaiati sul ramo di un albero, pensò:”Io sono il più grande volatile vivente; perciò potrei farmi riconoscere ‘re degli uccelli’. Se diventassi un monarca, la mia vita cambierebbe completamente!” Per mettere in atto il suo piano, lasciò subito il branco cui apparteneva per inoltrarsi nel bosco. Dopo mezz’ora di volo, si fermò in una radura per riposarsi. Accoccolatosi sul ramo di un baobab, vide un corvo che cercava cibo smuovendo la terra con le zampe. Lo struzzo gli si avvicinò e disse:”Essendo il più grande volatile vivente, ti chiedo di riconoscermi ‘re degli uccelli’” Il corvo domandò incuriosito:”Che cosa otterrei in cambio? La tua protezione?” L’aspirante monarca replicò con tono perentorio:”Assolutamente no! Tu stesso provvederai a difenderti dai tuoi nemici. Tuttavia, potresti far parte di un picchetto d’onore al mio servizio”. Il corvo ringraziò lo struzzo per l’offerta, sottolineando il suo rifiuto con queste parole:”Non abbasso il mio becco al suolo per accettare la tua sovranità; mi piego a terra solamente per cercare delle carogne”. Detto questo, il nero uccello riprese la sua attività mentre lo struzzo spiccava il volo verso la zona più arida della savana. Nota: i governanti e le pubbliche autorità hanno il compito di tutelare i diritti dei cittadini.

FAVOLA N. 76

IL CARIBÙ, IL BUCERO BICORNE E LA PULIZIA DEL BOSCO

Un caribù percorreva il sentiero principale di un palmeto. Avendo un forte mal di stomaco, si arrestò per deporre gli escrementi; poi riprese a marciare. Accoccolato sul ramo di una palma, un bucero bicorne aveva assistito alla scena. E pensò:”Da giorni cerco fango e argilla per murare il nido in cui la mia compagna presto coverà le uova. Poiché stento a trovare entrambi, posso continuare il mio lavoro di costruzione servendomi dello sterco di caribù”. E, passando dalle parole ai fatti, scese a terra. Nel frattempo, ritornato alla stalla, il caribù si disse con tono dispiaciuto:”Ho sporcato il bosco!” E, provando un senso di colpa, ritornò indietro per pulire il sentiero. Tuttavia, osservando il bucero bicorne trasportare dei frammenti di sterco nel suo nido, il nero bove esclamò con aria soddisfatta:”Per fortuna, i miei escrementi servono a qualcuno!” Infine, si girò e riprese il cammino verso la sua dimora. Nota: quello che avviene nel mondo della natura ci stupisce sempre?

FAVOLA N. 77

IL GHEPARDO, L’AMICIZIA DELLE GAZZELLE E I PERICOLI DELLA SAVANA

Due gazzelle che si conoscevano sin dall’infanzia erano diventate molto amiche. Pur frequentando un branco di coetanee che comprendeva anche degli struzzi, spesso si mettevano in disparte per fare quattro chiacchere sui più svariati argomenti. Una mattina, le due amiche si trovavano acquattate presso un albero basso circondato da folti cespugli ingialliti che si profilavano disuguali nell’azzurro del cielo. Volgendo lo sguardo all’orizzonte, in cui si smorzava il tenue canto degli uccelli, la più robusta delle due osservò:”È triste pensare che, in questo affascinante scenario dominato dalla bellezza di una natura incontaminata, rischiamo la nostra vita ogni giorno a causa dei grandi predatori”. L’amica rispose:”Le cose stanno proprio così. Lo sai che il ghepardo, vale a dire il più veloce dei mammiferi, può raggiungere una velocità di 115 km all’ora?” La gazzella più robusta annuì ed aggiunse:”Nel nostro mondo contrassegnato dalla violenza è fondamentale farsi coraggio l’un l’altra e credere nell’amicizia”. L’amica, muovendo anche lei lo sguardo verso l’orizzonte vide un ghepardo fare capolino e impallidì. Ma si riprese in un istante ed esclamò:”Un ghepardo!” Sforzandosi di rimanere calma, continuò:”Non perdiamoci d’animo. Il nostro nemico è ancora lontano, ed è noto che può mantenere la sua velocità di 115 km orari solo per un percorso di 200 o di 250 metri al massimo”. Mentre la figura del predatore, avvicinandosi, si delineava con contorni nitidi, la gazzella più robusta assunse uno sguardo gelido e calcolatore. Rivolgendosi all’amica, disse:”A me non interessa sapere per quanto tempo il ghepardo mantiene la sua velocità ordinaria. In questo momento, quello che mi preme è correre più velocemente di te!” Quindi, fuggì alla disperata. L’amica, stordita dalle inattese frasi pronunciate dalla compagna, restò immobile per qualche istante. Poi iniziò a percorrere il sentiero appena battuto dalla compagna. Nel frattempo, avendo individuato le due prede, il ghepardo si lanciò all’inseguimento. E, raggiunta la gazzella che era rimasta indietro, le si avventò contro e la divorò. Nota: certe situazioni pericolose possono mettere in crisi amicizie consolidate da lungo tempo?

FAVOLA N. 78

I TOPI DEL BANANETO E L’INIMICIZIA TRA CANI E GATTI

Un bananeto era diviso nettamente in due da uno stretto canale che, sovente, durante la stagione delle piogge si riempiva d’acqua. Nel periodo della stagione secca il piccolo corso d’acqua, col suo letto prosciugato, stabiliva una sorta di confine naturale fra le due parti della piantagione, abitate rispettivamente da un gruppo di gatti e da uno di cani. I piccoli felini vivevano indisturbati nella loro area cacciando topi; pur dimorando nella loro zona, i cani giravano per la campagna alla ricerca di prede. Presto i gatti, essendo numerosi, finirono col doversi spartire quotidianamente, sia pure a malincuore, i topi catturati nella loro area. Un giorno un gatto bianco con delle macchie gialle attraversò lo stretto canale che tagliava in due il bananeto e incontrò un cane nero, che aveva la sua stessa altezza. In breve tempo fra i due si sviluppò una sincera e disinteressata amicizia. Nel corso di una lunga conversazione il piccolo felino, assumendo un atteggiamento pensoso, disse all’amico:”Mi domando perché cani e gatti sono nemici da tempo immemorabile”. Il cane nero replicò affermando che neanche lui sapeva spiegarsi perché. Un giorno, mentre i due percorrevano un sentiero della piantagione, il cane nero scorse un topo che si nascondeva dietro un banano. In un istante gli si avventò contro e, dopo averlo ridotto a pezzi, lo consegnò al gatto che divorò la preda senza battere ciglio. La notizia della buona relazione d’amicizia fra i due si diffuse in tutto il bananeto. Ciò indusse il piccolo felino a chiedere all’amico il permesso di cacciare topi nell’area abitata dai cani. Il cane nero girò la richiesta agli altri componenti del suo gruppo. Questi ultimi, non nutrendosi di topi, espressero un parere affermativo. Da quel giorno alcuni gatti furono autorizzati a cacciare nella zona dei loro vicini. Una sera, prima dell’imbrunire, il gatto bianco striato di giallo disse con aria soddisfatta agli anziani del suo gruppo:”La mia amicizia col cane nero mette in discussione la secolare diffidenza esistente tra cani e gatti!” Ma gli astanti replicarono con pacatezza:”Prendiamo atto dei tuoi buoni rapporti con i cani. Ma noi abbiamo appreso con dispiacere che, pochi giorni or sono, in una nazione europea, alcuni gatti sono stati ridotti a brandelli da

una muta di cani, senza alcuna ragione. In conclusione: per noi i cani sono sempre cani!” Nota: è auspicabile che le nostre opinioni e i nostri giudizi siano sottoposti a verifiche periodiche.

FAVOLA N. 79

LA ZANZARA, LA FORMICA E LA ‘PICCOLA FIERA DELLA VANITÀ’

In una giornata molto calda una zanzara si posò ai piedi di un banano per chiaccherare con una formica. Rivolgendosi alla sua interlocutrice, disse:”Diffondendo un calore eccessivo, il sole zenitale intende dare un segno della sua forza al mondo intero. Ma se lui è potente nel cielo e nella terra, anch’io, nei limitati spazi in cui vivo, sono forte. Infatti, quando pungo succhio il sangue e, di conseguenza, infastidisco chi subisce la mia puntura”. Avendo riflettuto per qualche istante, la formica replicò:”Io pungo, ma solo in casi particolari; per esempio, quando mi difendo, oppure se sono presa dalla paura”. La zanzara osservò:”Fai bene a difenderti pungendo. Tuttavia, devi ammettere che c’è una differenza notevole tra gli effetti della mia puntura e quelli del tuo morso!” La formica diede ragione alla zanzara che, poco dopo, la salutò andandosene soddisfatta. Rimasta sola, la formica riflettè:”Ognuno di noi ha dei motivi per vantarsi. Ma è altrettanto vero che ciascuno di noi ha pure dei difetti di cui lamentarsi. Per esempio, io posso pregiarmi per la mia capacità di portare carichi superiori cinquanta volte il mio peso. Ma se avessi continuato con la zanzara il discorso delle cose di cui fregiarsi, la nostra conversazione sarebbe diventata una ‘piccola fiera della vanità’. Per questo ho voluto accorciare il nostro dialogo. Ora preferisco impiegare le mie forze per raccogliere il cibo quotidiano. D’altra parte, so bene che il tempo per affrontare il tema della vanità si trova sempre!” Nota: se svolgiamo le nostre attività quotidiane avvalendoci della nostra intelligenza, diligenza, umiltà, pazienza e costanza, alla fine della giornata ci sentiamo stanchi ma soddisfatti.

FAVOLA N. 80

IL MARTIN PESCATORE, L’AIRONE-GUARDABUOI E GLI ‘OCCHI’ DEL PAVONE

Un pavone dalle piume multicolori aveva l’abitudine di fare la ruota ai piedi di una grande palma che si ergeva sulla riva di un sinuoso corso d’acqua. Fra i suoi numerosi spettatori, per la maggior parte pennuti, si contava anche un martin pescatore che, un giorno, si trovò un airone-guardabuoi al suo fianco. Durante lo svolgimento dello spettacolo, rivolgendosi al martin pescatore, l’airone-guardabuoi esclamò:”La ruota violacea del pavone, con i suoi punti neri che sembrano grandi occhi, è stupenda!” Il martin pescatore, che provava una forte invidia per il vanitoso uccello, ammise a malincuore:”È vero. Ma è altrettanto vero che sia il mio piumaggio, sia il tuo, possono essere ammirati per la loro bellezza; tuttavia, nessuno dei presenti ci guarda”. L’airone-guardabuoi constatò con amarezza:”Il fatto è che noi non abbiamo la ruota”. Poi il martin pescatore invitò il suo interlocutore a spostarsi per osservare lo spettacolo da un’altra posizione. Quando entrambi si trovarono dietro il vanitoso uccello, il martin pescatore disse:”Guarda: il pavone fa la ruota completa innalzando le penne che sfiorano il terreno. La sua esibizione è al massimo grado, ma in tal modo mette in mostra il sedere!” Infine, livido d’invidia per il crescente afflusso degli spettatori, salutò l’airone-guardabuoi e spiccò il volo. Nota: l’invidia si può esternare in espressioni piene di veleno?

FAVOLA N. 81

L’USIGNOLO D’ORIENTE, IL LUPO E LA SCOMPARSA DEI CAPRETTI NERI

Proveniente dall’Europa, un lupo era approdato in un’isola lussureggiante dell’arcipelago filippino. Dopo essersi riposato su una bianca spiaggia, avviandosi verso il palmeto s’imbattè in un usignolo d’oriente. Esauriti i convenevoli, fra i due si sviluppò una conversazione incentrata sulla bellezza dell’isola. Il visitatore disse:”Da giovane ero carnivoro, ma ora sono vegetariano; perciò mi sarà facile trovare cibo in questa fertile terra”. L’usignolo d’oriente rimase colpito dai fini lineamenti del lupo, dalla sua pelliccia grigia e dai suoi discorsi che rivelavano una grande saggezza e un profondo interesse per la natura. Qualche giorno dopo, una poiana e un martin pescatore informarono l’usignolo d’oriente, loro amico, che nel palmeto si era consumata una strage di capretti neri, sottolineando il fatto che il nuovo arrivato era ritenuto da più parti colpevole dell’accaduto. Il piccolo uccello rispose:”Non credo che il lupo sia responsabile della carneficina di cui mi parlate. Infatti, recentemente mi ha confidato di essere vegetariano”. Proponendosi di fargli cambiare idea, la poiana e il martin pescatore lo invitarono a raggiungere la radura in cui si trovavano i resti delle povere vittime, ma l’usignolo d’oriente replicò:”Penso che i frammenti di pelliccia dei capretti siano stati portati casualmente dal vento; perciò è inutile che io visiti il luogo in cui si ipotizza che sia avvenuto il crimine”. Passata una settimana, la poiana e il martin pescatore ritornarono dal loro amico e gli riferirono che un altro branco di capretti neri era scomparso nel nulla. Il piccolo uccello osservò:”Ritenete che il lupo sia l’artefice di questa nuova strage? Io sono del parere che i capretti neri si siano trasferiti in un altro bosco”. Ma, contrariamente alle sue previsioni, era proprio il lupo che, dopo aver perpetrato la seconda carneficina senza lasciare traccia, aveva abbandonato il palmeto per raggiungere a nuoto un’isola vicina. Da quel giorno, molti abitatori del bosco ripeterono all’usignolo d’oriente d’aver visto più volte il lupo adocchiare i capretti un po’ ovunque, ma nessuno di loro era riuscito a fargli cambiare idea. Così l’usignolo d’oriente fino alla fine della sua vita rimase convinto che un animale dotato di una sottile intelligenza come il lupo non potesse commettere alcun genere di misfatti! Nota: è assurdo negare l’evidenza dei fatti.

FAVOLA N. 82

IL CORVO, IL MUSSENDA DALLE FOGLIE SANGUIGNE E LE ESIBIZIONI DEL PAVONE

Un pavone esibiva quotidianamente la ruota nella radura di un bananeto sul far della sera. La regolarità dei suoi spettacoli e il suo grande impegno artistico gli procurarono un vasto pubblico, composto di uccelli e di piccoli animali d’ogni specie. Un giorno la sua esibizione fu interrotta dall’improvviso arrivo del padrone della piantagione. Tutti gli spettatori fuggirono spaventati; solo il corvo rimase ai piedi di un banano ad osservare ciò che avveniva. In un attimo, l’uomo prese il pavone per il collo e lo strozzò. Poi lo stese a terra e gli strappò le piume ad una ad una. Guardando la triste scena e rivolgendosi mentalmente ai miseri resti del vanitoso uccello, il corvo disse:”Povero pavone! Se tu fossi nato mussenda dalle foglie sanguigne nella fitta foresta tropicale, saresti ancora vivo. In effetti, nessuno si avvicina ai cespugli dei mussenda per raccogliere foglie che fanno pensare al colore del sangue! Purtroppo, hai avuto la sfortuna di nascere pavone!” Preparandosi a riprendere il volo, il corvo pensò compiaciuto:”Una cosa è certa: nessuno mi ucciderà per raccogliere le mie penne. Infatti, chi desidera avere un piumino nero che induce a riflettere sulla morte?” Nota: gli animali che hanno un piumaggio superbo rischiano di fare una misera fine?

FAVOLA N. 83

LA TIGRE E IL CORNO DEL RINOCERONTE Nel cuore della foresta tropicale, una tigre affamata percorreva un sentiero che fiancheggiava un canneto. Improvvisamente, dal senso opposto di marcia apparve un rinoceronte. Le due bestie feroci si studiarono per qualche istante. La tigre pensò:”Il mio avversario è molto più forte di me. Ma ora è troppo tardi per fuggire!” Nel tentativo di salvarsi, il grande felino decise di usare l’arma del sarcasmo. Lanciando uno sguardo sprezzante e caustico, disse al pachiderma:”Col tuo corno diritto, fai veramente ridere. Forse sarebbe meglio che ti nascondessi nel canneto”. Con tali espressioni volgari, la tigre sperava che il rinoceronte, sentendosi umiliato e offeso, cambiasse la direzione di marcia e se ne tornasse indietro. Ma, al contrario, le sue sferzanti parole stimolarono la rabbia del grosso mammifero, che immediatamente col corno colpì la tigre nel muso e nel petto. Mentre il grande felino si dibatteva ansando nella speranza di raccogliere le sue ultime forze, il rinoceronte lo colpì ancora nel petto e nel ventre, lacerandolo orribilmente. Infine, lo pestò dalla testa ai piedi trasformandolo in una massa di carni sanguinanti e di ossa spezzate. Così la tigre morì, in preda a terribili sofferenze. Pur essendo affamato, il pachiderma rinunciò a nutrirsi della carne della sua vittima. Infatti, le offese ricevute gli avevano fatto passare l’appetito. Preferì andarsene, lasciando la carogna ridotta a pezzi in pasto ai corvi. Nota: è giusto umiliare i propri avversari?

FAVOLA N. 84

IL CINGHIALE, LA PERLA, IL PESCATORE E I DANNI DEL TIFONE

In una notte senza stelle un tifone si abbattè su un’isola tropicale. Un vento impetuoso sferzò i boschi e una pioggia torrenziale inondò pianure e colline. Il mattino seguente, il sole tornò a risplendere nell’azzurro. Dopo aver trascorso la notte in una capanna abbandonata, un cinghiale uscì alla ricerca di cibo. Mentre percorreva il sentiero che s’addentrava nel palmeto, vide una perla brillare nel fango. Le si avvicinò pensando:”Spesso ho desiderato possedere oggetti preziosi per abbellire la mia dimora. Ma ora, avendo una gran fame, scambierei volentieri questa perla con un casco di banane”. Assumendo un’aria riflessiva, il mammifero proseguì il monologo:”Tuttavia mi rendo conto che anche i miei amici fanno il possibile per procurarsi del cibo; perciò nessuno di loro è disposto a barattare, ad esempio, una perla con della frutta”. Mentre era preso da queste considerazioni, un pescatore arrivò dal senso opposto di marcia, raccolse la perla, si girò e riprese il cammino. Il cinghiale esclamò:”La perla è ritornata nelle mani del suo padrone!” Infine, volgendo lo sguardo sul bordo destro del sentiero, notò con soddisfazione una gradita sorpresa. Muovendosi sorridendo verso una noce di cocco caduta a terra per la pioggia, si disse compiaciuto:”Adesso voglio ben utilizzare i miei denti canini conformati a zanna!” Nota: le perle, le pietre preziose e i metalli nobili non riempiono lo stomaco.

FAVOLA N. 85

IL RATTO DALLA MACCHIA BIANCA, IL CANNETO RECINTATO E LA FORESTA TROPICALE

Un gruppo di ratti viveva in una piantagione di canna da zucchero di forma rettangolare recintata da una fitta rete metallica che, essendo alta e ricoperta in cima dal filo spinato, impediva agli animali selvatici d’entrare. Tuttavia, i piccoli roditori dovevano ben guardarsi dal limitato numero di serpenti che dimoravano tra le canne. Un giorno un giovane ratto che si distingueva dagli altri per avere una macchia bianca sulla fronte, chiese udienza al capo della comunità. Durante il colloquio espresse il desiderio di lasciare la piantagione in cui, a suo parere, si viveva una vita monotona basata essenzialmente sul consumo di foglie di canna da zucchero. Il responsabile della comunità gli diede ragione, ma precisò:”Nel complesso, ci riteniamo fortunati. Infatti, il cibo è sufficiente per tutti. Dobbiamo comunque temere i pochi serpenti che si trovano nel canneto”. Mosso dalla curiosità di esplorare la foresta, il ratto dalla macchia bianca non ascoltò i consigli di coloro che lo invitavano a rimanere nella piantagione. Il giorno dopo il giovane avventuriero partì e s’inoltrò nei boschi lussureggianti, in cui iniziò a nutrirsi d’ogni sorta di sementi. Presto si rese conto che la sua incolumità era minacciata dai gatti selvatici, da numerosi rettili e da uccelli di grande taglia. Il piccolo roditore visse un anno nella foresta. Un giorno, stanco delle continue insidie dei suoi nemici, decise di ritornare nel canneto. Si mise in viaggio e, giunto a destinazione, incontrò i suoi amici che lo accolsero tiepidamente, dimostrando un modesto interesse per le sue avventure. Ottenuta udienza dal capo della comunità, il giovane avventuriero incentrò la conversazione sui numerosi pericoli che lo avevano indotto a ritornare a casa. Il responsabile della comunità disse:”Durante la tua assenza i tuoi amici hanno occupato l’area del canneto in cui consumavi i pasti. Inoltre, in questo periodo siamo aumentati paurosamente, mentre le canne delle cui foglie ci nutriamo sono sempre le stesse. In breve: non c’è più posto per te. In ogni caso, mi riprometto di compilare una ‘lista d’attesa’ in cui possono iscriversi coloro che desiderano essere riammessi nel canneto. Ebbene, tu sarai il primo iscritto. Se uno di noi se ne andrà o morirà, tu avrai diritto a prendere il suo posto; perciò ti prego di ritornare fra tre mesi per verificare se ci saranno dei cambiamenti”. Dopo aver ringraziato il capo per avergli dato udienza, il ratto dalla macchia bianca lasciò definitivamente il luogo natìo dicendosi:”Mi conviene percorrere sino alla fine la strada intrapresa un anno fa! Dopo tutto, vivere all’aria aperta

nei boschi ha un fascino incredibile! Ed io sento di avere la forza e l’entusiasmo sufficienti per ritagliarmi uno spazio di vita in una nuova terra!” Nota: con le buone intenzioni, con la forza e con l’entusiasmo, si possono affrontare nuove imprese?

FAVOLA N. 86

IL CAMMELLO, IL DROMEDARIO, LA VACCA E IL MIRAGGIO DEL DESERTO

Un cammello e un dromedario appartenevano a una piccola tribù di nomadi che si spostava sovente da una zona all’altra del deserto, accampandosi nelle oasi che lo punteggiavano. I due mammiferi, accomunati dal mantello color fulvo uniforme, erano amici sin dall’infanzia. Quando i nomadi piantavano le tende, i due quadrupedi erano lasciati liberi di muoversi nelle vicinanze dell’accampamento. Una sera, alle ultime luci del crepuscolo, un triste spettacolo si presentò ai loro occhi. Mentre marciavano sulla pista carovaniera che percorreva l’immensa distesa di sabbia, il cammello indicò al dromedario, nei pressi di un cactus, lo scheletro di un grosso animale. I due mammiferi si avvicinarono alla carcassa e guardandola attentamente il cammello disse:”Dev’essere lo scheletro di una mucca”. Il dromedario rispose con tono seccato:”Perché ci fermiamo davanti a delle ossa corrotte e ripugnanti?” Il cammello osservò pacatamente:”Ciò che è putrido non dovrebbe spaventarci!” Ed aggiunse:”La dentatura della vacca è ancora candida e splendente. Ed è rimasta aperta. Forse il povero bove, in fin di vita per la grande sete, aveva avuto un miraggio: un pozzo gli era apparso fra le dune di sabbia. In quel momento ha abbozzato un sorriso e la sua dentatura si è aperta. Infine, privo di forze, è stramazzato al suolo”. Presi da una profonda tristezza, i due amici lasciarono il luogo in cui giacevano i miseri resti della vacca, ciascuno assorto nei propri pensieri. Ritornati nell’accampamento, prima di dormire il cammello osservò con attenzione le sue gibbosità, e il dromedario cercò di toccarsi con la coda la sua gobba. Ed entrambi ringraziarono il buon Dio per averli provvisti delle gibbosità in cui si conserva il prezioso elemento dell’acqua. Nota: quando ci confrontiamo con chi non ha le nostre qualità e i nostri talenti, ci rendiamo conto, per contrasto, di quanto siamo fortunati?

FAVOLA N. 87

LA FARFALLA GIALLA E IL SOLE DEI TROPICI In un bananeto rallegrato dal canto mattutino degli uccelli, una farfalla gialla volteggiava solitaria nell’azzurro. Lentamente il sole si alzava nel cielo e la temperatura aumentava. Per concedersi una pausa, la farfalla si posò sul ramo di un banano e iniziò a guardare attentamente il sole. Poi, immaginando di dialogare con lui, disse:”Io sono piccola e tu sei grande. Ma, pur essendo minuscola, volo disegnando nell’azzurro ricami di straordinaria finezza, mentre tu sei potente ma immobile”. Infine riprese a roteare soddisfatta, sentendosi in qualche modo superiore al sole. Quest’ultimo, pur essendo consapevole che la sua voce si perdeva nell’immensità del cielo, le rispose bonariamente:”Io sono fermo; tuttavia i miei raggi si diffondono a una velocità di trecentomila km. al secondo: ti pare poco?” Nota: se si dispone d’informazioni insufficienti per valutare una persona, un avvenimento o una situazione, si rischia di esprimere un giudizio superficiale e sbagliato.

FAVOLA N. 88

LO SCIMPANZÈ, IL COLIBRÌ, GLI UCCELLI DI GRANDE TAGLIA E LA SICCITÀ DEL BOSCO

In un palmeto, uno scimpanzè e un colibrì si frequentavano da molto tempo. Ogni giorno l’uccellino raggiungeva la palma, dimora del suo amico, e gli riferiva le ultime notizie della vita del bosco. In una mattina ventosa il colibrì disse al suo amico:”Sai bene che non piove da mesi. Per sensibilizzare gli abitanti del bosco sui danni derivanti dalla mancanza d’acqua, il pavone ha iniziato oggi lo sciopero della fame, esibendo la ruota nel sentiero principale del palmeto”. Abbozzando un sorriso, la scimmia antropomorfa rispose:”Mostrandosi nel sentiero che percorre il bosco, ancora una volta il pavone è riuscito a richiamare l’attenzione su di sé”. Il colibrì riprese:”Quando si è diffusa la notizia di questo avvenimento, per essere solidale col pavone, il rospo ha iniziato lo sciopero della sete”. Lo scimpanzè replicò sarcastico:”Il rospo ha proprio bisogno di astenersi dall’acqua per sgonfiarsi!” Il colibrì proseguì:”Infine, il bradipo tridattilo…” “Chi è?” L’uccellino spiegò:”È quel mammifero sdentato con testa piccola e rotonda e pelame verdastro che vive nei recessi del bosco”. “Ora mi ricordo di lui” Il colibrì esclamò con aria divertita:”Ebbene, il bradipo tridattilo ha iniziato lo sciopero dell’immobilità!” Il suo amico si mise a ridere a crepapelle e si giustificò:”Sono esploso in una fragorosa risata considerando il fatto che questo mammifero è per sua natura molto lento. Perciò, il passaggio dalla lentezza all’immobilità non è stato certamente un trauma per lui”. Assumendo un’aria riflessiva, lo scimpanzè osservò:”Si può lottare efficacemente contro la siccità. Domani, ritorna a visitarmi con gli uccelli di grande taglia che dimorano nel bosco”. Il giorno dopo la scimmia antropomorfa condusse al fiume il colibrì e gli altri uccelli che si erano messi a sua disposizione. Il gruppo di volontari raggiunse il ponticello di legno che attraversava il corso d’acqua da tempo prosciugato dalla siccità. Lo scimpanzè si mise a scavare con i suoi arti prensili sotto il ponticello, mentre gli uccelli provvedevano a spostare col becco le zolle di terra da lui smosse. Dopo aver lavorato per ore, i volontari trovarono una vena d’acqua che zampillò improvvisamente dalla terra. E tutti bevvero velocemente l’acqua, contenti e soddisfatti. Nota: per cambiare le cose, le proteste per una situazione o un fatto ritenuti ingiusti dovrebbero essere accompagnate da ragionevoli proposte.

FAVOLA N. 89

IL SERPENTE E LE PRETESE DEL GATTO DI SANGUE BLU

Un serpente incontrò un gatto sulla riva di un fiume e lo invitò a cena. Attraversando il canneto di bambù, il rettile disse:”È in nome del nostro comune nemico, cioè il topo, che sarei lieto di averti come ospite”. Il piccolo felino replicò con tono sprezzante:”Io, che discendo dal leone, io, che sono di nobili origini dovrei abbassarmi a cenare con te che da tempo immemorabile strisci sulla terra? Avrei bisogno di tempo per riflettere su ciò che sto facendo!” Sentendosi umiliato e offeso, il serpente ritirò l’invito e riprese il cammino da solo. Fiero delle sue origini aristocratiche, il gatto dedicava poco tempo alla caccia, quasi fosse in attesa che i topi gli si offrissero volontariamente. Da parte sua il serpente, orgoglioso delle sue origini modeste, cacciava giorno e notte riuscendo sempre a soddisfare il suo appetito. Col passare del tempo, il piccolo felino dimagriva e impigriva, mentre il rettile continuava a vivere una vita regolare in cui alternava il lavoro al riposo. Un anno dopo il loro incontro, ormai magro come uno stecco, lentamente il gatto moriva di fame, continuando tuttavia a vantarsi del sangue blu che gli scorreva nelle vene. In un giorno di marzo dominato da un sole impietoso, ormai privo di forze il piccolo felino spirò ai piedi di un’alta pianta di bambù, tra l’indifferenza generale degli insetti che volavano nel canneto. Nota: per soddisfare i propri bisogni e le proprie esigenze, è necessario lavorare.

FAVOLA N. 90

LA ROSA SUPERBA, IL VENTO E LA POTENZA DELLA LUNA

Una rosa selvatica di rara bellezza cresceva solitaria tra i rovi del bosco. In una fresca sera di maggio, sentendosi più superba del solito per la delicatezza dei suoi petali e volendo inveire contro qualcuno, si rivolse alla luna e disse:”Che cosa fai lassù? Se tu non m’illuminassi con la tua luce argentea, beneficerei del chiarore delle stelle; quindi, la tua presenza non è indispensabile”. Il satellite della terra guardò dall’alto il fiore assumendo un’espressione misteriosa. La rosa proseguì caustica il monologo:”Sei arida e sterile: infatti non si trova né aria né acqua nelle tue terre; insomma non c’è vita in te!” E la luna continuava a guardarla divenendo sempre più enigmatica. Il superbo fiore concluse sardonico:”Mi piacerebbe che un asteroide vagante nello spazio ti colpisse in pieno: così la tua gloriosa morte sarebbe un avvenimento spettacolare per l’intero universo!” Profondamente offesa, la luna abbassò il capo e fece dall’alto un cenno al vento che lambiva la terra, avvolta nel grande silenzio della notte. Nel frattempo una talpa, involontaria alleata della luna e del vento, iniziava a scavare sotto i rovi smuovendo le radici del fiore, mentre il vento cominciava a sibilare emettendo raffiche violente. In breve le folate senza sosta alterarono l’aspetto del bosco scuotendo alberi, cespugli, rovi e sradicando il fiore selvatico, che fu trasportato in una terra arida e desolata. Prosciugato e rinsecchito dal vento e dal caldo, col passare degli anni il fiore superbo diventò la rosa del deserto. Nota: l’intero universo merita il nostro interesse e il nostro rispetto.

FAVOLA N. 91

IL PASSERO E LA BRICIOLA GIGANTE Volando su un prato verde circondato da palme maestose, un passero vide un pezzo di pane sbriciolato. Si fermò, raccolse una briciola gigante di forma rotonda, riprese il volo e raggiunse i margini del prato per gustarla tranquillamente. Arrivato alla meta, all’improvviso un altro passero l’attaccò, gli strappò il cibo e scomparve nell’aria cristallina. Rimasto a bocca asciutta e sconcertato per la cattiva azione del suo compagno, l’uccellino constatò con amarezza:”Se avessi raccolto una briciola di dimensioni regolari, nessuno mi avrebbe notato!” Infine ritornò nell’area in cui si trovava il pane spezzettato, scoperto ormai da altri uccelli, e si accontentò di beccare le ultime briciole rimaste. Nota: quando ci si trova in particolari condizioni di ristrettezza, ci si può accontentare di poco?

FAVOLA N. 92

IL BUCERO, IL CORVO DAL BECCO LARGO E LA CORAZZA DELLO SCARAFAGGIO

In un bosco tropicale, un bucero e un corvo dal becco largo erano amici da molto tempo. Un giorno, entrambi si trovavano appollaiati sul ramo di un mogano. Il bucero, in vena di parlare, disse all’amico:”Lo sai che le tue piume sono veramente scure? Io ti definirei nero come una blatta!” Il corvo rispose pacatamente:”Il tuo paragone non mi piace affatto; fra l’altro, è impreciso. Infatti, la corazza dello scarafaggio può essere nera o marrone”. Il bucero ammise che l’amico aveva ragione. Ma, continuando a guardarlo attentamente, continuò:”Ora mi rendo conto che sei nero come il carbone!” Il corvo replicò:”Il migliore accostamento che puoi proporre è questo: nero come la pece!” Il bucero disse:”Avevo la parola pece sulla punta della lingua”. L’amico osservò bonariamente:”Per fortuna che la pece non te l’ha sporcata!” A questo punto, il bucero se ne andò con aria soddisfatta. Rimasto solo, grattandosi col becco il suo manto nero, il corvo si accorse di avere la pelle bianca. E si disse con tono compiaciuto:”Se mi guardo in profondità, sono bianco!” Nota: ognuno di noi conosce se stesso meglio di chiunque altro?

FAVOLA N. 93

IL GIOVANE LEONE, LA CACCIA ALLE GAZZELLE E LA CAROGNA DELL’IPPOPOTAMO

Una leonessa aveva dato alla luce un cucciolo dal pelo fulvo. Ed era felice per il lieto evento, che il marito, tuttavia, considerava semplicemente un fatto naturale. Passando il tempo, il cucciolo cresceva e la madre aveva ogni riguardo per lui. Ad esempio, se si bagnava per la pioggia, la madre lo asciugava alitando pazientemente sulla sua pelliccia. Se voleva divertirsi, la madre gli faceva percorrere solo i sentieri già battuti da altri felini e lo seguiva con lo sguardo a distanza. Inoltre, la leonessa evitava di parlare al figlio dell’attività di cacciatore esercitata dal marito, perché la riteneva violenta e crudele. Da parte sua, il leone pensava che la moglie si curasse troppo del figlio. Ma, essendo un grande cacciatore, non trovava il tempo per occuparsi sufficientemente della famiglia. Un giorno il padre portò con se il figlio nel folto della savana per impartirgli una lezione di caccia. Quando videro un branco di gazzelle, il figlio disse al padre:”Perché dobbiamo divorarle? Sono così belle col loro muso slanciato!” Sorpreso per le parole del cucciolo, il leone annuì contorcendo le labbra e, dopo un attimo di esitazione, lo invitò a seguirlo lungo il sentiero che conduceva al lago. Giunti alla riva del corso d’acqua, il leone indicò al leoncino la carogna putrida e maleodorante di un ippopotamo e disse:”Questo è il pranzo che ci spetta, se non vogliamo dedicarci alla caccia!” Così entrambi, sia pur malvolentieri, si nutrirono dei resti del grosso mammifero. Ritornati a casa, il figlio, che stentava a digerire il cibo, disse:”È mia intenzione diventare un cacciatore!” Il padre replicò:”Le innumerevoli delicatezze di tua madre ti facevano vivere in un mondo di ovatta, ma oggi sono lieto di constatare che il pranzo a base di carne d’ippopotamo ti ha fatto bene! Finalmente ti sei reso conto che talvolta la realtà della vita quotidiana è veramente dura!” Nota: imparando gradualmente il mestiere di educare i propri figli, i genitori col tempo diventano dei buoni pedagoghi?

FAVOLA N. 94

LA VOLPE, LA MORTE DEL LEONE E LA MISERA FINE DEL TOPO

In una giornata azzurra spazzata da un vento impetuoso, un leone aveva esalato l’ultimo respiro nell’erba consunta dal calore del sole. La notizia della sua morte si diffuse rapidamente nella savana ed alcuni animali si recarono nel luogo in cui giacevano le sue spoglie per rendergli l’estremo saluto. Altri preferirono commentare il triste evento nell’intimità delle loro tane, oppure riunendosi in piccoli gruppi. La volpe formò un crocchio animato dalla presenza di un licaone, che aprì il discorso di commemorazione con questa frase:”Siano resi onore e gloria al re della savana!” Alle sue parole fecero eco nuove espressioni di lode incentrate sulla figura del defunto. Qualcuno esclamò:”Anche i grandi muoiono!” Un altro dei presenti disse:”Prima d’iniziare la battaglia contro i suoi nemici, per esercitarsi adeguatamente l’ex-monarca piroettava su se stesso rivelando un’agilità impensabile”. L’astuto animale lasciò il gruppetto andandosene pensoso nei recessi della savana. Mentre avanzava cauto e guardingo tra i cespugli, osservò che un topo morto giaceva steso a terra, quasi fondendosi con la polvere. Presso la sua carogna s’era formato un nugolo d’uccelli dai colori variopinti. Uno di loro iniziò:”Un miserabile è scomparso!” Un altro rincarò la dose:”Che strazio vedere la pelle del topo aderire alla terra, che ha il suo stesso colore!” Un altro ancora ipotizzò:”Forse il poveretto zoppicava e ciò spiegherebbe il penoso affossarsi del suo molle corpo nelle zolle polverose”. Ascoltando prima gli elogi per la dipartita del grande felino e dopo i commenti per la fine del piccolo roditore, la volpe ricapitolò mentalmente:”Secondo qualcuno il leone piroettava per prepararsi al combattimento, secondo qualcun altro il topo zoppicava incespicando fra le zolle di terra. Forse queste impressioni sono erronee e forse la verità è questa: nella morte si tende spesso a lodare il grande rendendolo più grande? Al contrario, si è propensi a sprezzare il misero rendendolo più misero?” Nota: spesso nella morte il misero diviene ancora più misero, il grande più grande.

FAVOLA N. 95

IL NOTTOLONE DELLA SAVANA, LO SCARAFAGGIO MARRONE E IL RITORNO NELLA

TERRA DEGLI AVI Un nottolone della savana viveva lungo una strada asfaltata della periferia di una metropoli. Di notte, si nutriva di piccoli insetti svolazzanti intorno ai lampioni che fiancheggiavano la strada. Di giorno, il nottolone della savana si riposava in una crepa che si apriva sul ciglio destro della strada. Abbastanza profonda e protetta dal tronco di una palma, la fessura diventò il suo nido. Un giorno l’uccello notturno incontrò uno scarafaggio marrone ai piedi della palma; in breve tempo fra i due si sviluppò una cordiale amicizia, che impedì al nottolone di coltivare l’idea di divorare l’amico. Durante un dialogo svoltosi sul far della sera, lo scarafaggio chiese:”Perché ti chiami nottolone della savana?” Questi rispose con franchezza:”Non lo so. Probabilmente i miei antenati provenivano dalla savana. In ogni caso, io sono nato ai tropici”. La blatta marrone continuò:”Perché non ritorni nella terra degli avi? In questa periferia respiriamo un’aria così pesante. Aggiungi l’incessante rumore delle macchine e l’inquinamento luminoso…” Da allora il nottolone della savana accarezzò sovente l’idea di emigrare nella terra dei padri. Terminata la caccia notturna, si adagiava nel suo nido e la sua mente, stanca e confusa, si abbandonava al sogno. Immaginava di raggiungere la savana, di respirare a pieni polmoni l’aria pura in cui erano immersi i suoi boschi, dominati dal silenzio interrotto solamente dal verso degli animali. Infine, mentre la sua mente elaborava la scena della lotta fra un leone e un elefante, si addormentava sereno. Di giorno, pensando freddamente e lucidamente al suo progetto di emigrare nella terra africana, l’uccello notturno si diceva:”Il viaggio è lungo e faticoso. Nella savana regna il silenzio e le luci artificiali sono molto scarse. Ma l’inquinamento luminoso di questa estesa periferia facilita la mia caccia; dunque: mi conviene rimanere qui”. Nota: a volte il progetto di ritornare nella terra dei padri diventa un sogno irrinunciabile.

PARTE III

FAVOLE SUI MARI E GLI OCEANI DEL MONDO

FAVOLA N. 96

IL PESCE-FLASH E L’AMICIZIA CON GLI SQUALI Nelle profondità dell’Oceano viveva un piccolo branco di pesci-flash fra i quali uno spiccava per il guizzo particolarmente luminoso. Presto i suoi compagni lo soprannominarono fulmine, ma questo appellativo non stuzzicò né la sua vanità né il suo orgoglio. Un giorno i suoi amici gli dissero che, avendo notato il suo lampo intenso, alcuni squali avevano espresso il desiderio di conoscerlo. Fulmine rispose:”Ciò mi allieta, ma, a ben riflettere, quale vantaggio mi può procurare l’amicizia con gli squali? Dialogando con loro forse ascolterei solo la narrazione di fatti crudeli…” In breve, egli diede l’incarico ai suoi compagni di far sapere agli squali che, avendo già degli amici, non desiderava allargare il cerchio delle sue conoscenze. Così gli squali continuarono ad identificare fulmine dalle sue rapidissime apparizioni luminose, senza mai avere il piacere di conoscerlo di persona. Nota: si può incontrare chi, limitando il cerchio delle proprie conoscenze, vive una vita riservata.

FAVOLA N. 97

IL PINGUINO E LO SCHERZO PESANTE DEL POLIPO

In un acquario molto ampio di una metropoli, un polipo, eludendo la sorveglianza dei guardiani e nuotando ai margini delle vasche d’acqua comunicanti, aveva raggiunto l’area dei pinguini. Al suo arrivo, un pinguino dall’andatura molto elegante scese fino all’orlo dell’acqua dalla striscia di terra in cui si trovava e gli andò incontro, manifestando curiosità e interesse per il visitatore. L’uccello e il mollusco fecero amicizia e quotidianamente quest’ultimo si recava nell’area dei pinguini per salutarlo. Un giorno, volendo fare uno scherzo all’amico, il polipo girò attorno alla striscia di terra, sorprese il pinguino di schiena e con i suoi tentacoli gli avvinghiò la coda. Impaurito e infastidito, istintivamente l’uccello si voltò e beccò ripetutamente i tentacoli del polipo, rendendosi conto solo qualche istante dopo che si trattava del suo amico. Il pinguino si scusò, dimostrando un grande dispiacere per la sua reazione eccessiva. Il mollusco accettò le giustificazioni dell’uccello e a sua volta chiese scusa per il suo scherzo avventato. Ma da quel giorno la loro amicizia s’incrinò. Infatti, il polipo c’era rimasto molto male e le ferite ai suoi tentacoli si rimarginarono solo dopo una quindicina di giorni. Dopo quel brutto scherzo, sentendosi entrambi a disagio, i due amici cambiavano spesso argomento durante la conversazione, senza approfondire un tema specifico. Alla fine, seppur triste e amareggiato, il polipo decise di troncare la sua amicizia col pinguino e, consapevole dell’inutilità delle sue visite, smise di andare a trovarlo. Nota: uno scherzo pesante può porre fine a una relazione d’amicizia?

FAVOLA N. 98

LO SQUALO, IL PESCECANE E LA FINE DEL PESCEGATTO

Nel fondo dell’Oceano uno squalo affamato incontrò un pescecane che aveva appena assalito un banco di pesci. Il primo disse:”Hai fame?” “No, sono sazio”, rispose il secondo. Percorrendo assieme un tratto d’Oceano, i due s’imbatterono in un pescegatto che voleva esplorare le profondità oceaniche. Senza tener conto della fame dell’amico, il pescecane ingoiò il malcapitato in un boccone. Stupefatto, lo squalo chiese:”Non avevi la pancia piena?” Dopo aver riflettuto per qualche istante sforzandosi di cercare una giustificazione per il suo gesto tanto inutile quanto crudele, il pescecane rispose:”Sì, sono sazio. Ma… hai presente il fatto che sulla terra non corre buon sangue fra il cane e il gatto?” L’amico ribattè:”Lo so. Però il cane non divora il gatto!” “Se non lo mangia, lo fa certamente a pezzi!” Lo squalo domandò incuriosito:”Che cosa c’entrano il cane e il gatto con la realtà dell’Oceano?” Il pescecane rispose:”Intendo dire che nel fondo dell’Oceano la rivalità fra il pescecane e il pescegatto rispecchia l’ostilità che si nota sulla terra tra il cane e il gatto; dunque, mangiando il pescegatto ho rispettato un’antica tradizione d’inimicizia”. Non preoccupandosi affatto della fame dell’amico, il pescecane concluse laconicamente:”D’altronde, se non l’avessi divorato io, il disgraziato sarebbe diventato preda di qualcun altro!” Sempre più affamato, lo squalo pensò:”Se voglio mangiare qualcosa, mi conviene proseguire la strada da solo!” Infine, adducendo come scusa di avere degli impegni urgenti, lo squalo si congedò dal pescecane e, aumentando la velocità di nuoto, riprese la caccia. Nota: può succedere che i criminali si servano d’innumerevoli pretesti per giustificare i loro misfatti.

FAVOLA N. 99

IL PICCHIO, IL CONCERTO DELL’USIGNOLO E IL CANTO DELLE BALENE

Un picchio-femmina viveva da tempo col suo piccolo nel suo nido in cima ad un pioppo del bosco. La madre curava amorevolmente il figlio, preoccupandosi della sua salute e procurandogli quotidianamente il cibo. Il piccolo cresceva sano e robusto, imparava a ben usare il becco per forare la corteccia degli alberi alla ricerca d’insetti, e durante il tempo libero frequentava gli altri uccelli del bosco prediligendo i canterini. Diventato adulto, per festeggiare il compleanno che segnava la maggiore età, la madre lo accompagnò al concerto dell’usignolo che si teneva in agosto alla quercia maestosa. La sera prefissata, il picchio-femmina e suo figlio, accovacciati ai piedi del grande albero, assieme ad altri abitanti del bosco, si rallegravano ascoltando le armoniose canzoni dell’usignolo. Finito il concerto, la madre chiese al figlio:”Ti è piaciuto?” “Sì, mamma. L’ho apprezzato molto. Però… Mi accompagneresti al mare?” “Al mare?” ripetè stupita la madre. Il figlio spiegò:”Ho sentito dire più volte dagli uccelli canterini che anche le balene cantano. Se io e te voliamo per lungo tempo sulle acque marine, possiamo scorgere delle balene e ascoltare il loro canto”. La madre replicò:”Mi dispiace di lasciarti andare, figlio, ma non ho più le forze per affrontare un viaggio tanto lungo e spossante”. Così un giorno, il figlio spiccò il volo verso il mare con i suoi amici per raggiungere le balene, lasciando temporaneamente la propria madre e la propria terra. Nota: al giorno d’oggi i giovani, raggiunta la maggiore età, possono vivere una vita basata sulla loro libertà.

FAVOLA N. 100

LE FALENE E IL CANTO DELLA BALENA Una balena che viveva nei mari del Polo nord aveva una grande passione per la cultura in generale e per la musica in particolare. Un giorno pensò:”Voglio scrivere e cantare un ritornello che per la sua semplicità si diffonderà presto e ovunque. La canzoncina reciterà:

‘Io sono una balena Valgo un milione di falene’

Dopo averla ripetuta più volte, il cetaceo cominciò ad esibirsi intonandola dapprima davanti ai suoi amici e poi di fronte ad alcuni banchi di pesci. Ma il ritornello non incontrò il favore degli spettatori. Fra l’altro, pochi erano i pesci che sapevano dell’esistenza delle falene. E forse si potevano contare sulle punte delle dita coloro che avevano una conoscenza specifica di queste farfalle crepuscolari e notturne che nei paesi caldi girano a migliaia attorno alle fonti luminose. “Come le falene di notte ruotano attorno ai lampioni abbagliate dalla luce, così il pubblico si stringerà in cerchio per ascoltare il mio ritornello, incantato dall’armonia delle mie note”, si diceva spesso la balena, che forse confidava troppo sia sulla sua voce sia sul suo motivo canoro. Ma le sue speranze non si realizzarono e il ritornello, che non ebbe alcun successo, finì presto per essere dimenticato. Nota: nel campo della musica, è possibile fare previsioni realistiche su motivi e canzoni che possano piacere al grande pubblico?