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La Chiesa e la questione risorgimentale italiana di Antonio Socci La «rivoluzione italiana» del «risorgimento» fu un’«impresa coloniale» sabauda condotta da una élite liberale avversa alla Chiesa e al Papa. Antonio Socci fa l’elenco degli orrori e dei danni le cui conseguenz e ancor oggi patiamo. [Da AA.VV., Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia , Piemme, Casale Monferrato 1994, pp. 409-434] La leggenda nera che vuole la Chiesa Cattolica come una potenza oscurantista, reazionaria e nemica della libertà degli uomini e dei popoli ha un capitolo tutto italiano: si tratta del cosiddetto Risorgimento e della posizione della Santa Sede nelle vicende dell’unificazione italiana del secolo scorso. L’argomento ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro: noi — in queste pagine — ci limiteremo solo ad enunciare alcuni dei fatti storici trascurati. In principio fu il federalismo Nel secolo scorso, il più lucido fra i pensatori degli anni Trenta e Quaranta e senz’altro Carlo Cattaneo, storico, economista, politico. Cattaneo, che è la mente del Politecnico , non immaginava davvero, né avrebbe mai voluto, Milano come prefettura di Tori no. Scrive Antonio Gramsci: «Il federalismo di Ferrari-Cattaneo fu l’impostazione politico-storica delle contraddizioni esistenti tra il Piemonte e la Lombardia. La Lombardia non voleva essere annessa, come una provincia, al Piemonte: era più progredita, intellettualmente, politicamente, economicamente, del Piemonte. Aveva fatto, con forze e mezzi propri, la sua rivoluzione democratica con le Cinque giornate: era, forse, più italiana del Piemonte, nel senso che rappresentava l’Italia meglio del Piemonte […]. Perché» si chiede dunque Gramsci « accusare il federalismo di aver ritardato il moto nazionale e unitario?» (1). Non solo Cattaneo fu il più lucido e affascinante sostenitore della via federalista per l’Italia, ma, nel 1848, giunse addirittura a delineare gli Stati Uniti d’Europa con un anticipo sui tempi della storia che avrebbe evitato, di per sé, due guerre mondiali net vecchio continente e varie tragedie connesse. Se la confederazione europea poteva essere, allora, un sogno, per l’Italia invece il federalismo sembrava la via più naturale e incruenta dell’unificazione. Un’Italia divisa fino ad allora in diversi stati. Si erano già fatti i primi passi: nel novembre 1847 era stato stipulato un accordo doganale fra Piemonte, Toscana e Stato Pontificio che faceva concretamente intravedere ai diversi popoli della penisola una prospettiva federale. Qualcosa di analogo allo Zollverein delle regioni germaniche, ma, se vogliamo, anche al mercato comune europeo attuale. Come oggi sarebbe impensabile una Europa politicamente unita attraverso una guerra di conquista di uno dei suoi stati a danno degli altri, conquistati ed annessi con la forza, così — fino al 1848 — nessuno avrebbe mai potuto gabellare una conquista piemontese della penisola come l’unità d’Italia. Ma è quello che avvenne. «La lega doganale» osserva Gramsci «promossa da Cesare Balbo e stretta a Torino il 3 novembre 1847 dai tre rappresentanti del Piemonte, della Toscana e dello Stato pontificio, doveva preludere alla costituzione della Confederazione politica che poi fu disdetta dallo stesso Balbo, facendo abortire anche la lega doganale. La Confederazione era desiderata dagli stati italiani, i reazionari piemontesi (fra cui il Balbo) credendo ormai assicurata l’espansione territoriale del Piemonte, non volevano pregiudicarla con legami che l’avrebbero ostacolata » (2). Ma come la Chiesa, il papa e lo Stato pontificio si trovarono a vivere gli avvenimenti di quegli anni?

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La Chiesa e la questione risorgimentale italiana

di Antonio Socci

La «rivoluzione italiana» del «risorgimento» fu un’«impresa coloniale» sabauda condotta da

una élite liberale avversa alla Chiesa e al Papa. Antonio Socci fa l’elenco degli orrori e deidanni le cui conseguenze ancor oggi patiamo.

[Da AA.VV., Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia, Piemme, Casale Monferrato 1994, pp.409-434]

La leggenda nera che vuole la Chiesa Cattolica come una potenza oscurantista, reazionaria enemica della libertà degli uomini e dei popoli ha un capitolo tutto italiano: si tratta del cosiddettoRisorgimento e della posizione della Santa Sede nelle vicende dell’unificazione italiana del secoloscorso.

L’argomento ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro: noi — in queste pagine — ci limiteremo solo ad

enunciare alcuni dei fatti storici trascurati.

In principio fu il federalismo

Nel secolo scorso, il più lucido fra i pensatori degli anni Trenta e Quaranta e senz’altro CarloCattaneo, storico, economista, politico. Cattaneo, che è la mente del Politecnico, non immaginavadavvero, né avrebbe mai voluto, Milano come prefettura di Torino. Scrive Antonio Gramsci: «Ilfederalismo di Ferrari-Cattaneo fu l’impostazione politico-storica delle contraddizioni esistenti tra ilPiemonte e la Lombardia. La Lombardia non voleva essere annessa, come una provincia, alPiemonte: era più progredita, intellettualmente, politicamente, economicamente, del Piemonte.Aveva fatto, con forze e mezzi propri, la sua rivoluzione democratica con le Cinque giornate: era,

forse, più italiana del Piemonte, nel senso che rappresentava l’Italia meglio del Piemonte […].Perché» si chiede dunque Gramsci «accusare il federalismo di aver ritardato il moto nazionale eunitario?» (1).

Non solo Cattaneo fu il più lucido e affascinante sostenitore della via federalista per l’Italia, ma,nel 1848, giunse addirittura a delineare gli Stati Uniti d’Europa con un anticipo sui tempi dellastoria che avrebbe evitato, di per sé, due guerre mondiali net vecchio continente e varie tragedieconnesse.

Se la confederazione europea poteva essere, allora, un sogno, per l’Italia invece il federalismosembrava la via più naturale e incruenta dell’unificazione. Un’Italia divisa fino ad allora in diversistati. Si erano già fatti i primi passi: nel novembre 1847 era stato stipulato un accordo doganale fraPiemonte, Toscana e Stato Pontificio che faceva concretamente intravedere ai diversi popoli dellapenisola una prospettiva federale. Qualcosa di analogo allo Zollverein delle regioni germaniche, ma,se vogliamo, anche al mercato comune europeo attuale. Come oggi sarebbe impensabile una Europapoliticamente unita attraverso una guerra di conquista di uno dei suoi stati a danno degli altri,conquistati ed annessi con la forza, così — fino al 1848 — nessuno avrebbe mai potuto gabellareuna conquista piemontese della penisola come l’unità d’Italia. Ma è quello che avvenne.

«La lega doganale» osserva Gramsci «promossa da Cesare Balbo e stretta a Torino il 3 novembre1847 dai tre rappresentanti del Piemonte, della Toscana e dello Stato pontificio, doveva preluderealla costituzione della Confederazione politica che poi fu disdetta dallo stesso Balbo, facendoabortire anche la lega doganale. La Confederazione era desiderata dagli stati italiani, i reazionaripiemontesi (fra cui il Balbo) credendo ormai assicurata l’espansione territoriale del Piemonte, non

volevano pregiudicarla con legami che l’avrebbero ostacolata» (2).Ma come la Chiesa, il papa e lo Stato pontificio si trovarono a vivere gli avvenimenti di queglianni?

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Il 16 giugno 1846 il cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti viene eletto papa e prende il nomedi Pio IX. Ha fama di liberale e sostenitore della causa nazionale italiana. Appena eletto concedeun’amnistia che scatena gli entusiasmi di tutti. Fra l’altro riconosce anche la libertà di stampa,precedendo Leopoldo II di Toscana e Carlo Alberto di Savoia.

Massimo D’Azeglio e Marco Minghetti, nella loro cosiddetta Epistula ad Romanos proclamano:«Un tale uomo ha fatto più per l’Italia in due mesi, che non hanno fatto in venti anni tutti gli Italiani

insieme». Pio IX chiama inoltre al governo dello Stato Pontificio un tecnico di fama europea, unpolitico liberale, Pellegrino Rossi (in passato perfino coinvolto in cospirazioni democratiche).Papa Mastai, come sovrano temporale, lavora assiduamente attorno al progetto di unità federale.

Suo delegato alle trattative è Corboli-Bussi, ma egli conta soprattutto sul delegato piemontese,Antonio Rosmini, che aveva in animo di creare cardinale e — nel caso fosse stata realizzata lafederazione — di chiamare ad alte cariche presso la Santa Sede. Intanto però a Torino cade ilministero Casati-Gioia-Ricci ed il nuovo governo non rinnova le credenziali a Rosmini. Già nel1845 fra Carlo Alberto e Massimo D’Azeglio aveva cominciato a prender forma un progettoespansionistico che, in via preliminare, esigeva il naufragio dell’unica realistica via per l’unificazione d’Italia, quella federalista. A Roma gli eventi precipitano. Pellegrino Rossi vieneassassinato da radicali estremisti, scoppia la rivoluzione, il papa deve fuggire.

In pochi mesi si passa dalle acclamazioni per il papa «liberale» e sostenitore della causa italianaalla fuga dello stesso Pio IX da Roma. Com’è possibile? «La situazione precipita e si svolge inquattro tappe fatali: 10 febbraio Motu proprio “Benedite, Gran Dio, l’Italia”; 29 aprile AllocuzioneNon semel contro la guerra all’Austria; 15 novembre uccisione di Pellegrino Rossi; 24 novembrefuga a Gaeta» (3).

Già prima, i gruppi repubblicani e settari si erano inseriti nell’euforia popolare per il papa eavevano preso ad esaltarlo ipocritamente cercando di usarne l’immagine per i loro scopi esoprattutto cercando di trascinare la Santa Sede in una guerra contro l’Austria (4) che mai il papaavrebbe potuto fare (peraltro l’Austria aveva già minacciato uno scisma se si fosse trovata in guerracontro un esercito mandato dal papa). Il papa manifestava a Carlo Alberto la sua netta volontà disottrarsi a questa strumentalizzazione politica: «Qui dagli esaltati si vuole assolutamente che iopronunci la parola — guerra — cosa che non debbo fare. […] Dico che il papa non fa la guerra anessuno, ma nel tempo stesso non può impedire che il desiderio ardente della nazionalità italiananon spinga oltre i confini le truppe comandate dal general Durando. Dico infine che rinunciofrancamente ai progetti seduttori dei repubblicani che vorrebbero fare dell’Italia una Repubblicasola con il papa alla testa. Dico di rinunciarvi perché dannosi immensamente all’Italia e perché la S.Sede non ha intenzione e non l’ebbe mai di dilatare i suoi temporali domini, ma quelli bensì delRegno di Gesù Cristo» (5).

In questo documento Pio IX si spinge fino al limite estremo in cui era possibile spingersi ad unSuccessore di Pietro: la disponibilità a chiudere un occhio su ciò che le truppe dello Stato pontificioavessero eventualmente deciso autonomamente. Eppure si accusò Pio IX di tradimento, accollando

a Roma il peso della sconfitta. Secondo Gramsci la responsabilità fu piuttosto del governopiemontese: «Essi furono di un’astuzia meschina, essi furono la causa del ritirarsi degli esercitidegli altri Stati italiani, napoletani e romani, per aver troppo presto mostrato di volere l’espansionepiemontese e non una confederazione italiana» (6).

Da questo momento in poi nasce la leggenda nera su Pio IX. Non solo la leggenda nera dellastoriografia liberale...

«Più strano ancora, per me» osserva padre Guido Sommavilla sj «è che interpretino ormai inquesto quadro l’Ottocento anche storici cattolici, monsignori e gesuiti oltre che laici (Jemolo, Jedin,Martina, Aubert), occupandosi di papi [...] e soprattutto di Pio IX (ritenuto) “papa santo, mapessimo politico”».

Il papa, dunque, avrebbe sbagliato a non cedere subito e su tutto «ai liberali che si comportavano

a quel modo, pronti ad uccidere i migliori politici suoi amici (Pellegrino Rossi, Moreno, Leu) esaltargli addosso se non si arrendeva a discrezione (Repubblica romana) e a porre sotto sequestro ibeni e le proprietà della Chiesa ovunque arrivavano al potere, ignominiosamente poi

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mercanteggiandoli?».E perché avrebbe dovuto cedere? «Proprio perché Pio IX era intelligente, capiva bene che in tutti

quei sequestri (o regali eventualmente) erano i poveri a perderci: i poveri contadini... e i poverisemplicemente, ai quali, allora, soltanto la Chiesa pensava, anche con i redditi di quei benefici.Magari intuiva pure che quelle terre incamerate e vendute ci avrebbero rimesso in senso perfinoecologico, con l’insensato sfruttamento che Stato e borghesi ne avrebbero fatto, a cominciare dal

patrimonio boschivo» (7). Nel marzo 1929 La Civiltà cattolica così rievoca le posizioni:«Cominciando da Pio IX, fino al più semplice prete di contado, l’unità italiana non era avversata danessuno. Si potrebbe anche dimostrare perentoriamente che all’invito di Pio IX, nel 1848, per unalega italiana e per l’unione politica dell’Italia, chi si oppose fu il solo ministero piemontese. Il cleroitaliano, e ciò è da porsi fuori da ogni dubbio per chi non voglia negare la luce meridiana, nons’oppose all’unità, ma la voleva in modo diverso in quanto all’esecuzione. Questa era l’idea di PioIX, dell’alta gerarchia, dei cardinali e dello stesso antico partito conservatore piemontese (Solarodella Margherita, nda)».

Guerra di conquista 

Accade infatti che in Piemonte il potere passa dal gruppo del Solaro ai liberali di D’Azeglio,Cavour e Rattazzi. I Savoia chiamando al governo questa nuova classe dirigente intendono sfruttarel’aspirazione nazionale all’unità come foglia di fico di un progetto semplicemente espansionisticodella corona. Poco importa se — come ha osservato Denis Mack Smith — «l’elastica maggioranzadi Cavour includeva... diverse posizioni politiche», se Ricasoli e Spaventa erano «centralizzatori» e«decentralizzatori» erano invece Farini e Minghetti, se si opponevano «liberal conservatori, comeD’Azeglio e Minghetti» e radicali di sinistra come Rattazzi. Nei fatti ciascuno collabora suo modo,al progetto della conquista. Anche se certo fu il Cavour la sua più coerente espressione politica.

Ma chi è Camillo Benso conte di Cavour, che di lì a poco si rivelerà il grande architetto di tale«conquista piemontese»? Un talento politico senz’altro. Ma c’è chi aggiunge: «un radicale che nelsuo nichilismo si arrestava soltanto alla proprietà terriera borghese» (8). Per Disraeli, Lord Cowleye Lord Acton — e si sa quanto l’Inghilterra abbia contato nella vita e nella politica del conteCamillo che non scese mai sotto Bologna — era «un politico totalmente privo di scrupoli». AntonioGramsci dà un giudizio semplicemente politico: «I liberali di Cavour concepiscono l’unità comeallargamento dello Stato piemontese e del patrimonio della dinastia, non come movimentonazionale dal basso, ma come conquista regia» (9).

Fra le tante cose che sono normalmente passate sotto silenzio, nella manualistica scolastica sulRisorgimento, vi sono le fasi preliminari che rendono possibile questa strategia di conquista regia.Che lasciano interdetti. Per esempio: «Nessun cattolico, fedele alla Chiesa» scrive Ambrogio Eszer «riuscirà a capacitarsi perché il Regno di Sardegna abbia voluto iniziare la sua opera di unificazionenazionale con la soppressione dei monasteri contemplativi» (10).

E nei confronti della Chiesa non si contentarono di queste prime soppressioni, né della suaspoliazione, della rapina di monasteri e abbazie, ne della conquista dei territori dello StatoPontificio. È la stessa presenza del Santo Padre a Roma ad essere ideologicamente e militarmenteattaccata da una dinastia che parlava francese e che a Roma mai aveva messo piede.

Così il Regno sabaudo, poi Regno d’Italia, rifiutò pervicacemente ogni possibile accordo, ognigaranzia giuridica sulla libertà del papa. Un riconoscimento minimo di salvaguardia della sua libertàsarebbe bastato probabilmente al Santo Padre per acconsentire anche a rinunciare allo StatoPontificio (11).È pur vero che la storia non si fa con i «se». Tuttavia Pio IX aveva ampiamente dimostrato di esser disposto quasi a tutto per l’Italia. Ebbe a dire il segretario di Stato cardinal Antonelliall’ambasciatore austriaco Bach: «Se a Torino non avessero perseguito la Chiesa così

appassionatamente, se non avessero ferito Pio IX nella sua coscienza di capo della Chiesa, Dio saquanto non avrebbe concesso e dove oggi non ci troveremmo» (12). C’è un altro aneddoto cheillustra bene l’amore all’Italia di questo pontefice. Un conte tedesco viene ricevuto in udienza dal

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Mentre le élites risorgimentali nel Palazzo mettono a punto i loro piani di conquista regia,dilapidando le pubbliche finanze nelle loro imprese militari, l’Italia perlopiù contadina e cattolicavive in condizioni subumane. Nel periodo 1861-1870 muoiono nel primo anno di vita 227 bambiniper mille nati vivi. Il 45 per cento delle morti totali è di bambini inferiori a cinque anni, dovutespesso a infezioni prodotte dalle condizioni di vita e di lavoro delle madri. Lo Stato liberale chedilapida la metà delle finanze pubbliche nelle sue guerre (dette «d’indipendenza»), non si è mai

occupato delle condizioni tragiche del popolo, che nelle campagne ha una speranza di vita mediache si aggira sui quarant’anni.Il raffronto fra il bilancio della Difesa e quello per le spese sociali (sanità, occupazione, igiene e

cultura) è spaventoso. «Dal 1830 al 1845 la quota delle spese militari non fu mai inferiore al 40 per cento della spesa statale complessiva. Con la prima guerra d’indipendenza l’incidenza delle spesemilitari su quelle totali raggiunse nel 1848 e nel 1849 rispettivamente il 59,4 per cento e il 50,8 per cento. Nei cinque anni successivi tale voce di spesa non superò mai il 27 per cento e solo inrelazione alla spedizione d’Oriente nel 1855 e 1856 raggiunse rispettivamente il 36 per cento e il38,6 per cento. Con la guerra del 1850 e 1860 l’incidenza delle spese militari raggiunserispettivamente il 55,5 per cento e il 61,6 per cento. A fronte di spese militari di tale rilevanza(finanziate soprattutto con gli espropri ecclesiastici, nda) le spese per gli affari economici e le opere

pubbliche ebbero la massima incidenza nel 1847 col 30,9 per cento e la minima nel 1831 col 2,9 per cento, mentre per l’assistenza sociale, l’igiene e la sanità, la pubblica istruzione e le belle arti,raramente nell’insieme si destinò annualmente più del 2 per cento della spesa totale» (17).

Ma torniamo dunque al 1857. È anno di elezioni. Vota un’infima minoranza della popolazione,attorno all’1 per cento. Eppure i deputati cattolici raddoppiano di numero (da 30 a 60): quelli cheavevano sostenuto le leggi contro la Chiesa in molti casi vengono sonoramente sconfitti. Così ilGoverno, con una curiosa concezione della democrazia, annulla molte elezioni con il pretesto che ilclero si era immischiato nel voto. Nel 1860 lo Stato sabaudo cede alla Francia Nizza e la Savoia(una decisione mostruosa: Nizza era la città di Garibaldi). Un mercimonio di terre e popoli per convincere Napoleone III a dare il suo placet all’annessione che di lì a poco il Piemonte avrebbefatto delle terre dello Stato Pontificio dove nessuno lo aveva chiamato. La guerra di conquista delPiemonte si allarga poi al Regno del Sud, un regno più antico, più prospero e più italiano di quellosavoiardo: prima con la spedizione dei Mille, finanziata da potenze straniere e riuscita più che per eroismo come si è creduto a lungo, grazie a una torbida trama di corruzioni, imbrogli e violenze incui inglesi e piemontesi fecero a gara. Quindi con l’instaurazione di un regime dittatoriale al Sud.

Vale la pena soffermarsi su un aspetto non secondario. Armando Corona, Gran Maestro delGrande Oriente d’Italia, dichiarava a un importante convegno storico: «Garibaldi ebbe sempre unnume tutelare: la Gran Bretagna. Più esattamente, la Massoneria inglese» (18).

Quel feeling si sostanziò anche, come ha rivelato di recente Giulio Di Vita, grazie a sue ricerchein archivi di Edimburgo, in un «versamento» a Garibaldi di una cifra enorme per la conquista delRegno delle Due Sicilie: «tre milioni di franchi francesi, in piastre d’oro turche» che equivale a

«molti milioni di dollari di oggi». L’esistenza di una cassa segreta della Spedizione è dunqueconfermata. In quali tasche finirono questi miliardi è cosa rimasta misteriosa in quanto i libricontabili e il contabile della spedizione finirono in fondo al Tirreno con il piroscafo Ercole,affondato, a quanto pare, secondo le più recenti ricerche, a causa di un misterioso sabotaggio.

Una parte dei soldi, tuttavia, finì senz’altro nelle tasche dei traditori di Francesco. «Èincontrovertibile che la marcia davvero trionfale delle legioni garibaldine, dalla Conca di Palermo alVesuvio, venne immensamente agevolata dalla conversione subitanea di potenti dignitari borbonicidal Sanfedismo alla democrazia liberale. Non è assurdo pensare che questa vera illuminazionepentecostale sia stata, almeno in parte, catalizzata dall’oro» (19). Scopriamo così che l’Italia(risorgimentale) nacque e fu fatta sulla «mazzetta». Per la verità i più obbiettivi fra gli storiciavevano già da tempo avanzato dubbi su quel migliaio di uomini, male armati e spesso un po’

goliardici, di fronte ai quali era crollato un regno di centomila chilometri quadrati con un esercito dicentomila uomini. È stato osservato che mille volontari non bastano nemmeno per presidiare unaprovincia, come potevano tenere sotto controllo tutto quel Regno? Adesso Di Vita, fonte

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indiscutibile, ci tiene a confermare: che la presunta marcia trionfale di Garibaldi aveva dietro imaneggi della prima potenza imperiale del mondo, con il suo enorme peso finanziario, militare espionistico.

È davvero curioso osservare che l’episodio più celebrato del Risorgimento, l’unico che avevapotuto rivendicare i caratteri di epopea popolare, risulta, alla prova dei fatti storici, poco più che unparavento per un atto di arbitrio e di violenza del tutto contrario ai principi basilari del diritto

internazionale: un colpo di stato sabaudo-inglese al sud Italia che abbatte re Francesco, il relegittimo, e insedia una monarchia straniera. Le motivazioni che spinsero l’Inghilterra in questaavventura sono ben sintetizzate da Di Vita: «La prima, colpire il Papato nel suo centro temporale,cioè l’Italia, agevolando la formazione di uno Stato laico. La seconda, creare, con un nuovo Statounitario dalle Alpi alla Sicilia, una forte Opposizione alla Francia, che non avrebbe così potutoimpedire l’aprirsi dei piani imperiali britannici sul’Africa e sul Medio Oriente, il Mediterraneo e lavia alle Indie» (20). In buona sostanza è la conferma dell’acuta osservazione del filosofo AugustoDel Noce per il quale «il Risorgimento italiano non è stato in realtà che un capitolo della storiadell’imperialismo britannico» (21).

Questo spiega perché, fin dall’inizio, il popolo meridionale non acclamò affatto i «liberatori».Quella non fu solo una conquista coloniale, si risolse anche in un genocidio. Mentre la borghesia e

l’aristocrazia del Gattopardo stava velocemente salendo su carro del vincitore, il sud contadino siribellò ai conquistatori e proseguì la sua lotta malamente armato anche dopo la capitolazione delsuo re nel 1860.

L’esercito piemontese che si riteneva l’esercito «liberatore» dovette schierare nel Meridionecentoventimila uomini. È una storia sanguinaria troppo velocemente rimossa. Il genocidio del sud,da solo, fece più vittime di tutte le cosiddette «guerre d’indipendenza» assommate, ed era tuttosangue di ita1iani: «Vi furono battaglie, stragi, assedi, ma soprattutto si fucilò, a torto o a ragione,per mille cause diverse, senza null’altro che un sospetto vago, uomini, donne, vecchi, bambinipersino» (22).

In tutto 5.212 partigiani dell’indipendenza, quelli che gli invasori — sui loro libri di storia — chiamarono «briganti», furono fucilati o ammazzati in combattimento, altri cinquemila furonoarrestati. In totale si contarono ventimila vittime di quella «liberazione», o secondo altri, di quelgenocidio che umiliò e calpesto la dignità e l’identità di quel popolo. E lo affamò: da alloracomincia il triste dissanguamento dell’emigrazione (centoventitremila persone l’anno, quattordicimilioni di esuli dal 1876 al 191) che produce sottosviluppo nelle terre abbandonate.

Scrisse lo storico filoborbonico Giacinto De Sivo: «Ell’è una trista ironia lo appellar risorgimentoquesto subissamento del bel paese. Briganti noi combattenti in casa nostra, difendendo i tettipaterni; e galantuomini voi venuti qui a depredar l’altrui?» (23). Fu una guerra civile feroce i cuieffetti si fanno sentire ancora ai giorni nostri, se è vero com’è vero che il Meridione non si è piùrisollevato dalla sua condizione di arretratezza e subordinazione e da piaghe come la mafia. E se èvero che il fenomeno politico di questo scorcio di secolo, in Italia, si è coagulato proprio attorno

alla critica allo Stato centralista e ad un progetto di stato federale che si richiama esplicitamente aCattaneo (24). Si trattô insomma di una forzatura. Come scrisse Gramsci «un’Italia come quella chesi è formata nel 1870 non era mai esistita e non poteva esistere».

Il pugno di ferro imposto al Sud inoltre vide spesso esecutori con qualche tendenza criminale chemai furono messi sotto accusa o sotto inchiesta. Solo il grido della Chiesa si alzò a denunciarequelle violenze. Già nel 1861, il 30 settembre, Pio IX nell’allocuzione al Concistoro segretoafferma: «Inorridisce davvero e rifugge l’animo per il dolore, né può senza fremito rammentarsimolti villaggi del Regno di Napoli incendiati e spianati al suolo e innumerevoli sacerdoti, ereligiosi, e cittadini d’ogni condizione, età e sesso e finanche gli stessi infermi, indegnamenteoltraggiati e, senza neppur dirne la ragione, incarcerati e, nel più barbaro dei modi, uccisi. Questecose si fanno da coloro che non arrossiscono di asserire con estrema impudenza... voler essi

restituire il senso morale all’Italia».Ma non andò forse, il nuovo Regno, a portare la buona amministrazione subalpina in plaghedesolate e pessimamente amministrate, come vuole la manualistica corrente?

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Paese illegale e Paese reale 

Mentre il Regno dei Savoia, come abbiamo visto, concentra la sua politica perlopiù nelle speseper armamenti, in modo da essere la Prussia della penisola, il Regno di Napoli, prima col reFerdinando, poi col giovane Francesco — malgrado le infamie interessate diffuse in tutta Europa

dagli agenti inglesi — appare molto meglio amministrato. Troviamo qui le tasse più lievi d’Europa,le bellissime scogliere meridionali sono protette dalla prima flotta italiana. Il Regno ha un debitopubblico che è un quarto di quello piemontese: appena cinquecento milioni per nove milioni diabitanti contro i mille milioni del Piemonte per quattro milioni di abitanti.

Lo Stato piemontese, che rischia di passare per il vero stato «borbonico» (25), specialmente per la sua elefantiaca burocrazia ereditata dal sistema francese, secondo gli storici di parte meridionale— ben poco letti — saccheggerà le casse e le ricchezze del meridione per far pagare a questa suacolonia i suoi propri debiti. Ne faranno le spese soprattutto le plebi contadine: «La condizione deicontadini meridionali era stata, nel periodo precedente l’unità» osserva lo studioso marxista NicolaZitara «migliore e non peggiore che dopo» (26).

Napoli del resto era un’autentica capitale europea. Per uomini d’ingegno come Leopardi e per i

«viaggiatori intellettuali» dell’Ottocento Napoli è una tappa obbligata Mentre nessuno si sarebbemai sognato di «pellegrinare» a Torino (con l’eccezione di Nietzsche che con la sua latente follia sene innamorò). Ma di colpo questa «capitale europea» diventa una prefettura di Torino: comincia lasua decadenza. In pratica un parlamento — quello sabaudo — eletto da una ristretta minoranza diottimati, poco più di centomila persone (e con gravi vizi di regolarità come si è visto nel 1857)decretava l’annessione di una penisola di ventiquattro milioni di abitanti, perlopiù contadini ecattolici, senza voce e senza diritti (i plebisciti che furono organizzati per salvare la faccia nonfurono precisamente un esempio di legalità).

Il giovane re Francesco, assediato a Gaeta, scriveva un amaro addio al suo popolo: «In luogodelle libere istituzioni che vi avevo date e che desideravo sviluppare, avete avuto la dittatura piùsfrenata e la legge marziale sostituisce ora la costituzione. Sotto i colpi dei vostri dominatorisparisce l’antica monarchia di Ruggero e di Carlo III, e le Due Sicilie sono state dichiarate provinced’un Regno lontano. Napoli e Palermo saranno governate da prefetti venuti da Tonino» (27).Proprio durante gli ultimi combattimenti con l’esercito di Francesco II i generali sabaudi simacchiarono di crimini vergognosi. Don Giuseppe Buttà, storico borbonico, per esempio, riconoscea Garibaldi una dignità morale che altri non ebbero. Solo Garibaldi volle andarsene da Capua per non assistere ed esser complice dell’indegno bombardamento del Cialdini mirante non adanneggiare l’esercito nemico, che infatti non ne risentì, ma a fare strage fra la popolazione civile:«Bisogna pur dirlo, Garibaldi non scese mai a simili triviali ricordi» (28).

Mentre il Cavour — come c’informa uno storico di parte sabauda — «approvò ed elogiò l’operadel Cialdini» (29), Il mirabile esempio di eroismo del Cialdini consisteva nel massacro di vecchi,

donne e bambini perpetrato in risposta alla richiesta di Francesco II di intavolare trattative («ilcannone non guasta mai gli affari» aveva risposto questo «liberatore»).Il 27 gennaio 1861 furono programmate in tutto il neonato Regno d’Italia le elezioni che

avrebbero dovuto sanzionare il fatto compiuto. Elezioni riservate a pochissimi e con una pesanteinterferenza dello Stato a favore dei governativi. La democrazia era ancora di là da venire. Del restoi cattolici erano già rimasti scottati da ciò che era avvenuto nel ‘57: decisero di essere «né eletti, néelettori». Obiezione di coscienza. Gli aventi diritto al voto erano appena 418.850 (una infimaminoranza) eppure anche fra costoro la campagna astensionistica dei cattolici ebbe gran successo:votò solo i 57,2 per cento, in tutto 239.853 elettori. L’illegalità sostanziale del sistema liberale statutto in una cifra: gli aventi diritto: al voto al tempo dell’Unità, erano appena l’1,29 per cento dellapopolazione. Nel 1874 erano «cresciuti» fino al 2,1 per cento. Ogni commento è superfluo.

Nel febbraio ‘61 furono assunte dal governo una serie di decisioni contro la Chiesa. Fra l’altro fuestesa a tutto il territorio italiano la legge sarda del 29 maggio 1855 sulla soppressione degli ordinireligiosi. Ventimila fra monaci e monache furono colpiti dalla legge, al Sud furono confiscati i beni

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di 1.100 conventi. L’economia locale ne fu duramente provata, anche per questo si scatenò unareazione popolare imprevista. Puntualmente repressa nel sangue.

L’amministrazione piemontese, sull’orlo della bancarotta (nel ‘61 il 40 per cento del debitopubblico è dovuto ancora agli armamenti) si abbatte sul Meridione come un flagello. Tasse dastrozzinaggio, ruberie, espropri dei terreni civici ed ecclesiastici, salveranno il Piemonte, macondanneranno per sempre il Sud. Secondo il Nitti una cifra assai superiore a 600 milioni del tempo

venne alienata per riacquistare le terre del demanio ecclesiastico e statale espropriate. Undissanguamento finanziario che — con l’unificazione del mercato — lascerà il Sud totalmente asecco di capitali. Una rapina colossale. Che porta alla violenta proletarizzazione dei contadini (30).

Basterà un solo esempio della vergognosa ripartizione della spesa per opere pubbliche per dimostrare lo statuto «coloniale» che fu imposto al meridione: dal 1862 al 1897 lo Stato spenderà458 milioni per bonifiche idrauliche. Al Nord e al Centro andranno 455 milioni, 3 al Sud.

Il sistema produttivo meridionale è demolito. Per esempio, subito dopo la conquista, dalle cassedel Regno delle Due Sicilie 80 milioni prendono il volo per Torino: ne torneranno solo 39. «Primadel 1860» scriveva il Nitti «era (al Sud) la più grande ricchezza che in quasi tutte le regioni delNord» (31).Intanto, dall’autunno del ‘60 proseguono gli arresti e le deportazioni di vescovi e cardinali

macchiatisi semplicemente di reati di opinione. Dal ‘60 al ‘64 nove cardinali sono arrestati eprocessati: il cardinale Corsi, arcivescovo di Pisa, il cardinal Baluffi, il cardinale De Angelis diFermo, Carafa di Benevento, Riario-Sforza di Napoli, Vannicelli, Antonucci, Luigi Monichini diJesi e Gioacchino Pecci di Perugia (il futuro Leone XIII).

Nella primavera del 1861 sono quarantanove le diocesi rimaste senza vescovo. Seminari emonasteri chiusi, beni espropriati: la Chiesa è allo stremo. In questa situazione, il potere ieri e oggigli storici rimproverano a Pio IX di non aver voluto cedere sua sponte Roma ai piemontesi quasiaggrappandosi con tutte le forze al potere temporale. In sostanza si sarebbe dovuto fidare dellaparola del governo sabaudo che s’impegnava a garantire la libertà e l’indipendenza della suapersona e del suo magistero. Ma l’obiezione che arriva dai documenti vaticani è grave. Un governoche non aveva esitato a stracciare patti, ad aggredire, violentare, rapinare in ogni modo, chiudereconventi, seminari, arrestare e deportare cardinali e vescovi, poteva pretendere la fiducia cieca delpapa?

Non era forse gravissimo che uno stato incarcerasse decine di vescovi e cardinali? E poi per motivi che hanno dell’incredibile. Bastava che un vescovo si rifiutasse di cantare il Te Deum inChiesa per il governo (è il caso del cardinal Corsi).

Qual è la risposta di parte governativa? «Quello» ha commentato anni fa il laico Vittorio Gorresio«fu l’esempio più notevole che si trovi nella nostra storia del tentativo di far prevalere la concezionedella sovranità dello Stato laico contro la ben radicata tradizione confessionale» (32). Dunque lapura e dura ragion di stato, la forza per la forza.

Le sedi episcopali, inoltre, rimasero a lungo vacanti perché il governo pretendeva di aver parte

nella scelta dei vescovi. Sarebbe questa l’illustrazione del tanto declamato principio «libera Chiesain libero Stato»? Certo, i cattolici erano ancora la stragrande maggioranza della popolazione. LoStato temeva il suo stesso popolo, su cui regnava e che non rappresentava in nessun modo. Icattolici organizzarono forme di difesa dei loro diritti civili. Ci provarono. Nel 1865, per esempio,fondarono l’Associazione per la libertà della Chiesa, ma verrà chiusa di forza appena un anno dopo:«La legge dei sospetti» riferisce Spadolini «la colpiva alle radici, disperdendo capi e seguaci,distruggendo sezioni e affiliazioni, obbligandola a dissimularsi e a scomparire» (33). Innumerevolisono, in questi anni, le violenze, i soprusi, le censure, le persecuzioni. I rapporti giuridici che ilnuovo Stato italiano volle stabilire con la Chiesa furono definiti (e lo rimasero fino al 1929) dalCodice di diritto civile (2 aprile 1865), dalla legge Ferraris, «per la soppressione di enti ecclesiasticie la liquidazione dell’asse ecclesiastico» del 15 agosto 1867 e dalla legge delle Guarentigie del

1871.

Il sacco di Roma 

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La legge Ferraris toglieva personalità giuridica agli ordini religiosi sopravvissuti e incamerava unterzo dell’asse ecclesiastico immobiliare (attorno ai seicento milioni del tempo). La legge andò acolpire e sopprimere circa venticinquemila enti ecclesiastici. Migliaia di religiosi si trovarono da ungiorno all’altro strappati ala loro vita e ai loro conventi. Questo nuovo «esproprio» era destinato afinanziare la guerra intrapresa nel 1866 contro l’Austria. Nel triennio 1866-1868, grazie anche alle

avventure belliche, il disavanzo dello Stato tocca i seicentotrenta milioni. Il Governo lo affrontaappunto con la tassa straordinaria sull’asse ecclesiastico e con la famigerata tassa sul macinato.Le masse popolari insorgono nelle piazze contro questi provvedimenti al grido di «Viva il Papa»

e «Viva la Repubblica» (34). Ma la drammatica protesta delle plebi, indice di condizioni socialitremende, è accolta dal Governo con le forze armate: più di 250 morti e un migliaio di feriti diconol’assoluta insensibilità dei «liberatori» d’Italia di fronte alle tremende condizioni di vita del popolo.

Proprio dal ‘69 — la tassa sul macinato entrava in vigore il 10 gennaio 1869 — la Destra storicaprende saldamente in mano il Governo con l’obiettivo prioritario del pareggio di bilancio edell’organizzazione amministrativa dello Stato unitario. Tanto è stato decantato il rigore finanziariodi questi Grandi Borghesi, non dicendo tuttavia di che lacrime grondi e di che sangue... È curioso,peraltro, che si sia voluto caricare di tanti significati il conseguimento del pareggio di bilancio da

parte della Destra storica quando lo Stato Pontificio — su cui tante infamie sono state propalate — raggiunse il pareggio nel 1859 (vent’anni prima dei Grandi Borghesi) e senza affamare così ilpopolo, né lasciare sulle strade centinaia di morti ammazzati o espropriare chicchessia dei suoi beni(gli storici più seri, fra l’altro, oggi stanno riscoprendo il buongoverno che caratterizzò lo Statopontificio fino alla sua violenta soppressione. Eccone qualche elemento contemporaneo al raggiuntopareggio di bilancio: la costruzione di linee telegrafiche, della ferrovia Roma-Frascati nel ‘56, ilbasso numero di detenuti, il traffico fluviale sul Tevere, la laicizzazione dell’amministrazione, unacittà fra le più «verdi» d’Europa di cui sarà fatto scempio poi con l’arrivo dei piemontesi. Pio IXvolle che fosse proclamata perfino la libertà dell’associazionismo operaio).

Ma torniamo al nuovo stato italiano. Proprio mentre venivano varati i due provvedimentisuddetti, nell’estate del 1868, il governo decretò pure la privatizzazione nel settore dellafabbricazione dei tabacchi: un affare colossale, che «rafforzô i legami fra lo Stato italiano e icapitalismo bancario e affaristico proprio nel momento in cui si faceva più pesante la pressionefiscale dello Stato sulle masse popolari». Che giudizio dare dunque di questa classe dirigente?Eugenio Scalfari l’ha definita «il partito degli onesti e dei lungimiranti». Una formula che fa apugni con la congerie di scandali, traffici e rapine in cui subito la nuova classe dirigente si trovòimpantanata. «La Destra storica italiana» aggiunge Scalfari «quella dei Minghetti, degli Spaventa edei Ricasoli, creò lo Stato unitario con uno sforzo politico e morale che durô vent’anni». Piùrealistico il giudizio di Gramsci: «quella banda di avventurieri senza coscienza e senza pudore, che,dopo aver fatto l’Italia, l’hanno divorata» (36) Ma il 1870 è soprattutto l’anno della questioneromana. La situazione internazionale favorevole scattò nell’estate del 1870. Il 20 settembre i

piemontesi entravano in Roma dalla celebre breccia di Porta Pia. Il Papa ordinando di non resisterevolle evitare inutili spargimenti di sangue. Ai primi di ottobre l’ennesimo plebiscito doveva sancirel’approvazione del fatto compiuto da parte dei romani. Invece vi fu un altissimo astensionismo, adesprimere ben altro stato d’animo dei romani. Ma, naturalmente, nei giornali del tempo e nei libri distoria di oggi non se ne fece e non se ne fa menzione.

La conquista di Roma, nei mesi successivi si risolse in una continua violenta cagnara disquadracce. Più o meno con la connivenza o la passività del governo. Minacce, aggressioni per strada a preti e frati (vi furono degli uccisi), spettacoli propagandistici blasfemi, profanazioni,saccheggi. E poi intimidazioni e pugno di ferro contro le associazioni e i sodalizi cattolici. «Laviolenza, l’ingiustizia, la forza» ebbe a dichiarare Pio IX il 16 febbraio 1871 ai parroci, dal suodomicilio coatto «rotte le mura, penetrarono nel Luogo Santo, e si fecero precedere da una nube

fosca, nera ed orrenda di sicarii, di assassini, d’uomini irreligiosi, spudorati e sozzi. Tutto fu qui dapochi mesi cambiato!». Una volta presa Roma, il governo vara la cosiddetta legge «delleGuarentigie» (13 maggio 1871, n. 214). Formalmente con ciò si diceva di voler dare alcune

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garanzie di libertà al papa.In realtà la legge intendeva costringere il Santo Padre a riconoscere il fatto compiuto e soprattutto

imponeva l’exequatur per la destinazione dei beni della Chiesa e dei benefici. Cosa significava?«Lo Stato conserva il diritto di nomina degli ordinari delle numerose sedi vescovili» (quelle sotto ilpatrocinio dei sovrani) e «ha facoltà di impedire a tutti i vescovi di prendere possesso delleprovviste beneficiarie delle loro sedi fino all’approvazione regia della loro nomina». (37). Il Papa

reagisce con una dura opposizione: «Rifiuta la dotazione assegnatagli e si affida all’obolo di sanPietro, costituito dalle offerte volontarie dei cattolici di tutto il mondo» (38).D’altronde, a svelare quali sono le autentiche intenzioni del Governo basta il provvedimento del

gennaio 1873 che sopprime le facoltà di teologia di tutte le università e pone i seminari sotto ilcontrollo dello Stato. Non si tratta di provvedimenti episodici dettati da mero anticlericalismo.

Pasquale Stanislao Mancini, una delle menti giuridiche del nuovo regime, formula esplicitamentela filosofia del nuovo potere: «Nello Stato non può esistere che un unico potere, quello dellanazionale sovranità, e quindi una sola legge ed una sola universale illimitata giurisdizione» (39).Nel Sillabo — il documento di Pio IX, allegato all’enciclica Quanta cura, molto diffamato e assaipoco conosciuto — la proposizione 39 condanna proprio «lo Stato in quanto origine e fonte di tutti idiritti, che gode di un diritto non circoscritto da alcun limite». Pio IX denuncia questa aberrazione

giuridica non solo contro la dottrina dello «Stato etico» elaborata dagli ideologi dello statorisorgimentale, ma probabilmente vedendo profilarsi all’orizzonte anche i micidiali mostri totalitaridel Novecento, quando lo Stato eserciterà questo totale diritto di arbitrio sulle persone (e non a casoGiovanni Gentile teorizzerà il fascismo come il perfetto compimento della filosofia dello Stato eticoelaborato da Bertrando e Silvio Spaventa e da tutta la filosofia politica del Risorgimento).

Monsignor Luigi Giussani scrive ai giorni nostri: «Al nostro fianco vivono generazioni mute, chenon possono dire se stesse: è questo l’esito del’azione omologante e pianificante del Potere, di unPotere che si concepisce senza confini. “Lo Stato in quanto origine e fonte di tutti i diritti, gode delprivilegio di un diritto senza confini”. Questa proposizione (XXXIX) condannata dal Sillabo — il“famigerato” documento della Chiesa, famigerato per la cultura dominante — è la definizione delloStato moderno: di tutti gli stati moderni, di qualunque specie. È questo l’esito dell’illuminismo, cioèdell’uomo che diviene “misura delle cose”. La condanna del Sillabo non è formulata per demonizzare lo stato in sé — il potere in sé non è una cosa cattiva — ma per smascherare eaccusare la pretesa dello Stato moderno. Perché se “lo Stato gode di un diritto senza confini” avràanche il diritto di determinare quanti figli devo avere e come debbano essere; e potrà anche stabilirefino a quando io posso vivere e che cosa significa essere felici» (40).

Insomma, di fronte alle ombre tremende del XX secolo quel pronunciamento di Pio IX appareprofetico. Così «Pio IX» nota propriamente Emile Poulat «che era in ritardo sul suo tempo, diventaun profeta per i nostro» (41). Tornando a quel doloroso frangente della vita della Chiesa, attorno al1864 circa 43 erano i vescovi esiliati, 16 gli espulsi, una ventina processati e incarcerati mentre — secondo i cattolici — circa 16 pare siano morti per le conseguenze delle persecuzioni. Centinaia

sono i preti che hanno avuto problemi con la giustizia, 64 sono i sacerdoti fucilati e 22 i frati(perlopiù al Meridione).Dodicimila i religiosi dispersi per le note leggi. Dopo la presa di Roma, 89 sono le sedi episcopali

vacanti. I pastori nominati dal papa non hanno possibilità di prender possesso delle loro chieseperché lo stato non ho permette: esige la più umiliante sottomissione della Chiesa.

Molte delle speranze di Pio IX sono riposte nel genio politico di un grande santo di questi anni:don Giovanni Bosco. È lui che tenta, a costo di immense fatiche, di umilianti trattative e ditradimenti, di raggiungere un ragionevole compromesso con il Governo. In questo frangente, in cuila Chiesa sembra dividersi fra i traditori, corsi sul carro del vincitore a dare man forte al Governo, egli intransigenti che oppongono ala dura realtà una sterile e dottrinaria intangibilità dei principi,mettendosi così nelle condizioni di far perdere tutto alla Chiesa, don Bosco rappresenta il meglio

del realismo cattolico. Don Bosco si rifiuta di vendere l’anima al nemico, ma anche di rassegnarsi acapitolare senz’altro poter fare che lamentarsi. Don Giovanni Bosco di fronte alle difficoltà dellapresenza pubblica dei cattolici al tempo dei governi liberal-massonici postunitari, stanco dei troppi

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piagnistei cattolici, dice nel 1877: «Nessuno è che non veda le cattive condizioni in cui versa laChiesa e la religione in questi tempi. Io credo che da san Pietro sino a noi non ci siano mai statitempi così difficili. L’arte è raffinata e i mezzi sono immensi. Nemmeno le persecuzioni di Giulianol’Apostata erano così ipocrite e dannose. E con questo? E con questo noi cercheremo in tutte le cosela legalità. Se ci vengono imposte taglie, le pagheremo; se non si ammettono più le proprietàcollettive, noi le terremo individuali; se richiedono esami, questi si subiscano; se patenti o diplomi,

si farà il possibile per ottenerli; e così s’andrà avanti . Bisogna avere pazienza, saper sopportare einvece di riempirci I’aria di lamenti piagnucolosi, lavorare perché le cose procedano avanti bene».Nel 1873 la politica di appropriazione dei beni della Chiesa è estesa anche a Roma. Ancora una

volta il governo straccia tranquillamente gli impegni precedentemente assunti. Appena il 12settembre 1870, una settimana prima dell’invasione di Roma, il ministro della Giustizia Reali, conuna circolare inviata all’episcopato italiano, a nome dello Stato si impegnava a non toccare gliordini religiosi presenti a Roma. Identici impegni erano stati assunti con gli stati cattolici. Ma quelloStato e quel governo «degli onesti e dei lungimiranti» avevano già ampiamente dimostrato in checonsiderazione tenessero la parola data, gli accordi ufficiali sottoscritti, le più elementari norme deldiritto.Il provvedimento legislativo, accompagnato da violente manifestazioni anticattoliche e da una

pesante campagna di stampa non comporta solo l’estensione a Roma, da parte del governo Lanza,della legge per la soppressione degli ordini religiosi. A Roma infatti ha un effetto ancor piùdirompente perché in questa città si trovano le case generalizie di tutti gli Ordini religiosi presentisulla terra.

Per il solito Mancini gli ordini religiosi sono «inconciliabili con gli ordini liberi, coi bisogni civilied economici del paese, con ho spirito della società moderna». Vengono dunque confiscati i benidelle corporazioni religiose. Quella borghesia, che era la base sociale del «partito degli onesti e deilungimiranti», può adesso scatenare una speculazione di dimensioni eccezionali. In barba allaChiesa che commina la scomunica a chiunque speculasse sui beni ad essa rapinati, vi è una veracorsa all’accaparramento di questo tesoro. Centinaia di poveri preti, frati e suore, nonostante le loroflebili proteste, nel giro di un mese vengono cacciati dalle loro case e dalle loro proprietà. E questevengono date in pasto agli speculatori.

«È meglio per noi il morire che vedere lo sterminio delle cose sante» scriverà il Santo Padre il 21novembre 1873. Ma nemmeno la morte, nel 1878, placô l’odio forsennato contro Pio IX dalmomento che i suoi funerali, quel 12 luglio, nonostante il dolore e la preghiera di centomila fedeli,furono funestati dall’aggressione, dalle urla, dalle sassate, dalle bastonature e gli insulti disquadracce che volevano impossessarsi della salma per gettarla nel Tevere e non facevano misterodelle loro intenzioni, gridando: «Le carogne nella chiavica!».

Ma torniamo agli espropri romani. Lo scandalo — anche internazionale — per questiprovvedimenti che minano lo stesso diritto all’esistenza della Chiesa cattolica è tale che il 12novembre 1873 il ministro Sella informa la Santa Sede che, in base alla legge delle Guarentigie,

sarebbero stati accreditati ala stessa tre milioni e duecentoventicinquemila lire. Pio IX perô nonaccetta mai questo (peraltro assai esiguo) indennizzo, ritenendolo il prezzo di un vergognoso e benpin cospicuo ladrocinio.

Un bilancio 

Dunque una Chiesa impaurita dalla modernità, reazionaria, refrattaria alla democrazia è quellache ci si presenta davanti in questi decenni? Sfogliare La Civiltà Cattolica di quegli anni puòriservare tante sorprese. Nel 1879 (X, 385) l’autorevole rivista, ad esempio, esce con unasorprendente difesa del Manifesto lanciato da Garibaldi per una democrazia effettiva. Insomma icattolici si trovano accanto proprio ai radical socialisti nel rivendicare il diritto al suffragio

universale, la più rivoluzionaria delle frontiere politiche di quel tempo.Si fa un’analisi della situazione al 1876: su circa 30 di abitanti hanno diritto al voto solo 605.007italiani. «Questi privilegiati« scrive La Civiltà Cattolica «erano 2,18 per cento italiani dei due sessi.

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Può darsi prova più evidente che gli elettori inscritti la rappresentano fra noi una minoranza altutto minima?» Considerando poi i votanti effettivi (368.750) si arriva a fatica allo 0,94 per cento.Se si pensa che circa centomila di costoro «sono pagati dal governo e da lui in qualche mododipendenti» (la classe politica del tempo esercitava un controllo ferreo su di loro) è venuto ilmomento, per la casta al potere di fare i conti «di buon grado o di malavoglia» osserva la rivistacattolica «cola potenza della democrazia».

Nel 1881 dunque i cattolici, in prima linea nella battaglia per il suffragio universale e ilriconoscimento dei diritti civili per «milioni di italiani poveri o analfabeti». Sidney Sonnino,davanti al Parlamento, il 30 marzo 1882, ammise. «La grandissima maggioranza della popolazione,più del 90 per cento di essa, si sente estranea affatto alle nostre istituzioni; si vede soggetta siloStato e costretta a servirlo col sangue e coi denari, ma non sente di costituirne una parte viva ed enon prende interesse alcuno alla sua esistenza ed al suo svolgimento».

A consuntivo di quella impresa chiamata «risorgimento» si può ricordare quanto FerdinandoMartini confessava in una lettera al Carducci il 16 ottobre 1894: «Abbiam voluto distruggere, e nonabbiamo saputo nulla edificare» (42). Che non è davvero un gran bilancio per chi ostentava virtùmuratorie» (43).

(1) Antonio Gramsci, Il Risorgimento, Einaudi, Torino 1954, p. 108.(2) Gramsci, op. cit., pp. 108-109.(3) Alberto Polverari, Vita di Pio IX , «Studi piani» (4), Roma 1986, p. 185.(4) Lo stesso Mazzini, ad esempio, coglie l’occasione «per eccitare gli animi contro l’Austria e per alienarli dal potere temporale», in Giacomo Martina, Pio IX (1845-1850), Miscellanea historiaepontificiae, vol. 38, Roma 1974, p. 108.(5) Cit. in Polverari, op. cit., pp. 195-196.(6) Gramsci, op. cit ., p. 90.(7) Guido Sommavilla, La Compagnia di Gesù, Rizzoli, Milano 1984, p. 191.(8) Francesco Cognasso, I Savoia, Dall’Oglio, Varese 1981, pp. 627-628.(9) Gramsci, op. cit., pp. 45-46.(10) Ambrogio Eszer, Pio IX dal 1851 al 1866, in «Studi cattolici», (marzo 1986) p. 208.(11) Scrive Rober Aubert: «Infatti bisogna constatare che ai liberali di allora, persino ai moderati traessi, l’incondizionata rinunzia a qualsiasi forma di potere temporale appariva come dogmaassolutamente intangibile, ed una soluzione del tipo dei Patti Lateranensi del 1929, per loro, nonsarebbe stata accettabile» (in Eszer, op. cit., p. 212).(12) Vedi Giacomo Martina, Pio IX (1851-1866), Miscellanea historiae pontificiae, vol. 51, Roma1986, p. 146 e n. 93.(13) Vedi Eszer, op. cit., 208.(14) Vedi Polverari, op. cit., p. 188.(15) Denis Mack Smith, Cavour, Bompiani, Milano 1988, p. 273.

(16) Alberto Caracciolo, Stato e società civile (Problemi dell’unificazione italiana), Einaudi, Torino1960, p. 19.(17) In Anteo D’Angiò, La situazione finanziaria dal 1796 al 1870, in Storia d’Italia, De Agostini,Torino 1973, vol. VI, p. 241.(18) A.A.VV., La liberazione d’Italia nell’opera della massoneria (Atti del convegno di Torino 24-25 settembre 1988, a cura di Aldo A. Mola), Bastogi, Foggia 1990, p. 307. Cfr. anche RosarioRomeo, Dal Piemonte sabaudo all’Italia liberale, Einaudi, Torino 1964, pp. 225-247.(19) AA.Vv., La liberazione..., pp. 379-381.(20) Ibid , p. 380.(21) «Il Sabato», 19.6.1993.(22) Carlo Alianello, La Conquista del Sud , Rusconi, Milano 1972, p. 133.

(23) Giacinto de Sivio, I Napolitani al cospetto delle nazioni civili, ed. Forni, Bologna 1965.(24) Questi i due capisaldi positivi della Lega. Che, però, spesso si traducono in una deterioreostilità verso il Meridione (e gli stranieri in genere).

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(25) Cfr. Gramsci, op. cit., p. 171.(26) L’unità d’Italia, Nascita di una colonia, Jaca Book, Milano 1976, p. 21.(27) Cit. in Alianello, op. cit., pp. 98-101.(28) Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta, Bompiani, Milano 1985.(29) Cit. in Alianello, op. cit., p. 103.(30) C’è chi lega proprio a questo fenomeno la nascita del fenomeno mafioso, che si impone come

controstato nel momento in cui lo stato si presenta con un volto particolarmente odioso: il piombodella conquista coloniale. Cfr. G.C. Marina, Il Meridionalismo della Destra Storica e l’inchiestaparlamentare del 1867 su Palermo, Palermo 1971.(31) Francesco S. Nitti, Scritti sulla questione meridionale, Laterza, Bari 1958, p. 7.(32) Vittorio Gorresio, Risorgimento scomunicato, Bompiani, Milano 1977, p. 110.(33) Giovanni Spadolini, L’opposizione cattolica (Da Porta Pia al ‘98), Vallecchi, Firenze 1961, p.56.(34) Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna (1860-1871), Feltrinelli, Milano 1978, vol. V, p.351.(35) Cfr. Candeloro, op. cit., p. 355.(36) Gramsci, op. cit., p. 158.

(37) Lorenzo Frigiuele, La Sinistra e i cattolici (Pasquale Stanislao Mancini giurisdizionalistaanticlericale), ed. Vita e Pensiero, Milano 1985, p. 11.(38) Frigiuele, op. cit., pp. 111-112.(39) Frigiuele, op. cit., p. 98.(40) Luigi Giussani, Un avvenimento di vita, cioè una storia, ed. Il Sabato 1993, pp. 425 -426.(41) Emile Poulat, Chiesa contro borghesia, Marietti, Casale Monferrato 1984, p. 76.(42) Ferdinando Martini, Lettere, Roma 1934, p. 291.(43) Per uno sguardo d’insieme sui cattolici e il risorgimento vedi anche Antonio Socci, La societàdell’allegria. Il partito piemontese contro la Chiesa di don Bosco, Sugarco, Milano 1989.

© Edizioni Piemme Spa

E Garibaldi sformò l’Italia

di Antonio Socci

Quel che non si dice del mitico generale. Il caso più famoso fu il massacro diBronte. Ma non ci fu solo quello. La storia del Mille e del loro capo è piena ditante ombre. Ecco quel che dovreste sapere e che non vi è mai stato raccontato...

[Da «il Sabato», 31 gennaio-6 febbraio 1987, p. 19]

Carlo Alberto, il re tentenna. Mazzini, l’apostolo della Patria. Garibaldi l’eroe dei due mondi.Cavour, il gran tessitore. E poi il «grido di dolore», «Obbedisco»!, «Ci siamo e ci resteremo», «Quisi fa l’Italia o si muore», «Roma o morte»! e così via. Abbiamo una storia da operetta: bisognaavere proprio un cuore di pietra per non scoppiare a ridere. Qualche storico ha cominciato a dissipar le nebbie su quel colossale falso storico (e dove era leggenda appaiono spesso grotteschepagliacciate e talvolta imprese criminali). Ma gli eroi del risorgimento restano. Il Mazzini adesempio. Che dire della descrizione che ne dà il Farini fuori dei canoni ufficiali: «Mediocre uomo intutto, orgoglio stragrande in sembianza d’umiltà», astratte vacuità...? Garibaldi poi è marmo ebronzo.

Lo sceneggiato TV Il Generale di Magni fa di tutto per sfuggire all’enfasi e alla retorica. Ed era ora.Ma la scelta di Franco Nero ha dato un tocco di edulcorata classe holliwoodiana ad un personaggio,il Garibaldi storico, piuttosto rozzo e un tantinello esaltato. Sentiamolo: «Papa e clero disgrazia e

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cancro d’Italia». Ed ancora: «Il grido d’ogni italiano, dalle fasce alla vecchiezza deve essere: guerraal prete»!. Tale fu la scienza e la ‘classe’ del nizzardo. Appena sbarca in Sicilia si proclamaDittatore, svuota conventi e monasteri, li saccheggia, confisca, scioglie a forza i Gesuiti,imprigiona, stabilisce bivacchi militari nelle splendide chiese meridionali. Garibaldi era statoiniziato alla Massoneria nel 1842 a Montevideo. A Palermo fonda una quantità di Logge. Nel 1864viene eletto primo Gran Maestro della massoneria italiana e poi Gran Maestro onorario a vita.

(Massoni erano pure Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele, Crispi, Ricasoli e così via). Con lui lamassoneria italiana vara una virulenta tradizione anticattolica.

Il nostro eroe che mise al suo asino il nome del Papa, che chiamava Pio IX «un metro cubo diletame» (nel 1881 i massoni dettero addirittura l’assalto al funerale del Papa per scaraventarne lasalma nel Tevere) fu il caposcuola su cui si formarono quelle generazioni di liberi-pensatori. Fraquesti, qualche anno dopo, il mangiapreti romagnolo Mussolini Benito. Siamo appena nel 1904quando il giovane rivoluzionario di Predappio attacca Papa Sarto «in nome dell’Anticristo che è laragione, che si ribella al dogma e abbatte Dio». Pochi anni dopo salirà agli onori della cronaca per un libello blasfemo scritto per celebrare l’anniversario della morte di Garibaldi. Ma ancora nel1918, direttore de Il Popolo d’Italia, sarà a Milano, sotto il monumento a Garibaldi a celebrare la

vittoria. «Fin da giovane Mussolini era stato un esponente tipico, quasi caricaturale dell’ideologiamassonica» (Vannoni). La pacata e lucida mente di Jemolo vedrà nel Mussolini, ormai Duced’Italia, «il più diretto erede del garibaldinismo».

Del resto il «segreto iniziatico» della dottrina massonica non è proprio l’autodivinizzazionedell’uomo e l’idolatria del Capo/Stato? (Nei catechismi patriottici si celebrava in Garibaldi laTrinità: «Il Padre della patria, il Figlio del popolo, lo Spirito della libertà»).

Si potrebbero poi sorprendere i legami del garibaldinismo col fascismo anche attraverso curiosicanali secondari. Il massone, mazziniano, Eduardo Frosini ad esempio, che sedette alla presidenzadel I congresso fascista di Firenze (1919), che nel suo giornale La Questione morale (già allora!)per primo propugnò la vocazione imperiale di Roma. Del resto proprio il garibaldino-massoneCrispi aveva varato in grande quella politica coloniale imperialista che il Duce si sentirà in doveredi portare a compimento, con la fondazione dell’Impero. Altri generali garibaldini (e massoni) comeNino Bixio, dai massacri di contadini calabresi finiranno i loro anni a mercanteggiare in schiavicinesi con il Perù. È la singolare epopea dei ‘liberatori’...

La conquista del Sud. Lo sceneggiato televisivo di Magni racconta dunque soltanto il biennio‘60-’61 del nizzardo. Quello sceneggiato dice e non dice: troppo lontana è la verità dalla leggenda.Proviamo allora a oltrepassare il fronte, per capire finalmente come fu visto Garibaldi, in quei dueanni, dalle popolazioni ‘liberate’. Spigolature di un documento eccezionale davvero da antologia, e

oggi quasi introvabile. È un libello appassionato e infuocato di un intellettuale napoletano, Giacintode Sivo, pubblicato quasi un secolo fa clandestinamente e anonimo, e nel 1965 ristampato in copiaanastatica da un piccolo editore: I Napolitani al cospetto delle nazioni civili. È la stessa storia, mastavolta scritta dai vinti: il grido di ribellione di un popolo non solo colonizzato e umiliato daisedicenti ‘liberatori’ ma per di più coperto di menzogne nella storia ufficiale, quella scritta daivincitori. «Ell’è una trista ironia lo appellar risorgimento questo subissamento del bel paese».

L’altrastoria. Il Regno delle due Sicilie è libero e indipendente fin dal 1734, con un reitalianissimo, napoletano. Non è una terra ricca solo di passato (da Cicerone a Orazio, a S.Tommaso a Vico a Tasso...): ha una grande tradizione giuridica, enormi ricchezze artistiche e — sidirebbe oggi — ambientali. La statistiche dicono: in proporzione meno poveri che a Parigi e

Londra, le tasse più lievi d’Europa, la prima flotta d’Italia, una popolazione cresciuta di 1/3 dal1800 al 1860, un debito pubblico di appena 500 milioni di Lire per 9 milioni di abitanti, contro ilPiemonte che ha più di mille milioni di debito per quattro milioni di abitanti (il sud in sostanza

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dovrà pagare i debiti del Piemonte, anche. quelli fatti per conquistarlo). Inoltre «erano in cassa 33milioni di ducati quando il liberatore Garibaldi vi mise su le mani e li fe’ disparire».

Il re di Torino, di origini e lingua francese aveva spedito un nizzardo a «liberare dagli stranieri» unaterra governata da un re ben più italiano di lui (per di più Napoli era, in confronto a Torino quel cheoggi sarebbe Firenze in confronto ad Aosta). Ma il re di Napoli, cattolico e sostenitore del Papa,

negli equilibri internazionali era sostanzialmente isolato.

Dunque come possono 1000 uomini male armati e peggio vestiti distruggere così un Regno con unesercito di 100.000 uomini? I vincitori rispondono (e hanno scritto): per il gran valore deigaribaldini e l’appoggio delle popolazioni. In realtà Garibaldi poteva esser rigettato in mare findallo sbarco. La vera arma vincente che spianò la strada al nostro fu quella della massoneriapiemontese e francese che fra burocrati, ufficiali e ministri si era comprato tutto il Palazzo diFrancesco II: «La setta corrompe e inventa la storia» scrive De Sivo, «sospinge l’umanità a subire latirannide o ad esser tiranna». Qualche esempio. A Calatafimi il generate Landi (al prezzo di 18.000ducati) impedisce ai suoi di sbaragliare i garibaldini già in rotta. Senza alcuna ragione 20.000soldati vengono fatti uscire da Palermo senza colpo ferire. E poi Milazzo, Messina: migliaia di

soldati di Francesco spediti sulle montagne lontane. Il generale Ghio ne disciolse 10.000. Altrettantiil generale Briganti che però viene fucilato sul posto, per alto tradimento dai suoi stessi soldati. Epoi altri ufficiali leali al re costretti a disarmare le proprie truppe e a consegnare migliaia di soldati aqualche decina di garibaldini che avevano loro stessi sbaragliato e ridotto alla resa. E infine lesconfitte di Garibaldi sul Volturno e l’incredibile comportamento degli ufficiali di Francesco cheavevano ormai Napoli e la vittoria definitiva a portata di mano.

Un generale Cialdini, ad esempio che passò con Garibaldi mitragliando le popolazioni insortecontro il suo tradimento (come, anni prima, erano insorte contro Pisacane). Decine dl città«reazionarie», che avevano organizzato la resistenza (da Isernia, a Venosa, a Barile, Monteverde,Cotronei, S. Marco e così via) furono distrutte e bruciate dai Garibaldini. Villaggi, cascine, molini,saccheggiati, contadini massacrati (non solo a Bronte). «Purificheremo col ferro e col fuoco leregioni infestate dall’immonda bava del prete» scriveva il traditore generale Pianelli nel febbraio‘61, passato coi ‘liberatori’.

«Napoli non avversa l’Italia» scriveva appassionatamente il nostro De Sivo, «ma combatte la setta,che è anti-italica, com’è anticristiana e anti-sociale, atea e ladra». Da questa ribellione nasce ilbrigantaggio contro l’occupante piemontese. «Briganti noi combattenti in casa nostra, difendendo itetti paterni; e galantuomini voi venuti qui a depredar l’altrui?».

Il De Sivo si appella ad un’Europa complice e connivente dell’invasore: «La setta» scrive «deruba,

distrugge e poi ci impone i suoi maestri piemontesi, le sue leggi, i suoi debiti, il suo vocabolario egli esempi di laidezze e rapine e irreligione e ferocia». Si ha un bel deprecare, oggi, la proverbialediffidenza dei popoli del meridione d’Italia verso le istituzioni e lo Stato; e condannar la mafia ecosi via. Del resto proprio gli espropri dei beni della Chiesa nel Sud, con cui a Torino si costituironote finanze del nascente Stato massonico, sono fra le cause del futuro sottosviluppo del sud, del suoritardo nei confronti del nord, che ha esportato i debiti e importato le ricchezze. «Il primo fruttodell’unità è l’aumento dei balzelli pubblici... Oh le promesse dei settari! A voi basta il gridar popoloe civiltà per saccheggiare i popoli civili».

Ma il parlamento piemontese non ci pensa due volte ad annettersi le provincie meridionali: era unParlamento eletto da 100 mila persone per 24 milioni di abitanti (al 95% contadini e cattolici). Un

parlamento ‘liberale’: «Codesti sedicenti deputati, ignoti al popolo, corifei della setta, eletti da sestessi…». Per salvar la faccia Garibaldi, ad annessione già avvenuta organizzò un plebiscito: era il21 ottobre 1860. I risultati ufficiali furono proclamati su piazze e strade deserte: 1.313.376 per 

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l’annessione e 10.312 contro. Anche a prender per buone cifre tanto balorde, si deve comunquepensare ad una minoranza sui 9 milioni di abitanti.

Ma quel che era accaduto in quei giorni, sui libri dei vincitori non sta scritto. Aggressioni, uccisioni,arresti, intimidazioni. Grandi cartelli dichiaravano «Nemico» chi votava No; il voto peraltro non fusegreto: furono poste due urne palesi e quelle del No «coperte da bande di camorristi». Anche

astenersi era colpa di Stato: «Salvar la vita, in quei giorni era pensiero universale». E poi garibaldini— anche stranieri — che votavano anche 10, 20 volte: perfino Garibaldi, Bixio e Sirtori non sivergognarono di votare. E per chi si ribellava era dura. Ad esempio si può ricordare il rapporto delgovernatore garibaldino della Capitanata: «Insurrezioni nel giorno del plebiscito: si son fatti sforzieccezionali perche l’insurrezione non sia generale». (segue la richiesta di armi e soldati). O il suocollega di Teramo che proclamava lo stato d’assedio nei comuni della provincia ancora 9 giornidopo il plebiscito: «I reazionari presi con le armi saran fucilati»!.

Agli stati d’assedio, i brogli, le violenze, vanno aggiunte le galere piene di «reazionari», gli esiliati,i fucilati... «Ma alla setta bastava mostrare all’Europa una maggioranza di cifre». Sarà un testimoned’eccezione, Lord Russel in un dispaccio del 24 ottobre a testimoniare che «i voti che ebber luogo

in quelle province non han grande valore...». Ma la scuola dei vincitori racconta ben altro: dice chela gran capitale di un Regno, la bellissima Napoli fu entusiasta di diventare una prefettura di Torino.«Lasciate dal vantar plebisciti. Dite che son fatti compiuti; e sì che son compiuti, ma per restar monumenti eterni di vostra nequizia. Voi, gretta minoranza, volete imporre il vostro pensiero ad unanazione, e col pensiero i ceppi... un pugno di tristi vuol comandare a milioni; perciò destituisce,disarma, condanna, pugnala, carcera, esilia, fucila ed incendia.Siete atroci perche pochi; siete costretti a dar terrore, perché vi manca il numero; dovete far seguacicon la corruzione perché non avete il concorso della virtù».(De Sivo). Questa fu l’epopea del‘liberatore’ Garibaldi raccontata dal popolo ‘liberato’. Sui libri di scuola (la scuola dei vincitori) sitrova al capitolo: Risorgimento.

Antonio Socci

Il Brigantaggio (1860-1870)

di Francesco Pappalardo

[Da G. Cantoni (a cura di), Voci per un «Dizionario del pensiero forte», Cristianità, Piacenza 1997]

1. Dai vandeani agli insorgenti italiani 

Il termine "brigante", che comunemente designa chi vive fuori legge o comunque un nemicodell’ordine pubblico, ha acquistato nel tempo anche un significato ideologico e indica, in sensospregiativo, chi si è opposto con le armi al nuovo ordine inaugurato dalla Rivoluzione francese.Adoperato in Francia per designare i combattenti realisti e cattolici della Vandea, è impiegato neglianni seguenti anche in Italia per indicare gli "insorgenti", cioè i componenti delle bande popolariche si sollevavano in armi contro gli invasori francesi e i giacobini locali, loro alleati. Il fenomenoassume rilievo particolare nelle province napoletane, dove, sia nel 1799 sia nel 1806, le bande -guidate da popolani, da borghesi e anche da sacerdoti, e che raccolgono impiegati, soldati sbandati,contadini e pastori - difendono la loro patria e la loro religione. Tale comportamento valoroso, però,è definito sbrigativamente "brigantaggio" dai rivoluzionari e il temine è tramandato tuttora da una

storiografia mendace.2. Gli oppositori dell’Unità nel Regno delle Due Sicilie 

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Anche l’unificazione forzata della penisola italiana, nel decennio dal 1859 al 1870, suscita ovunqueresistenze e reazioni, in particolare nel Regno delle Due Sicilie, dove la lotta armata control’invasore assume proporzioni straordinarie. Pure in questo caso gli insorti, che combattevanocontro l’imposizione di una visione del mondo estranea alle proprie tradizioni civili e religiose,sono stati bollati come briganti.

La resistenza nel Mezzogiorno ha inizio nell’agosto del 1860, subito dopo lo sbarco sul continentedelle unità garibaldine provenienti dalla Sicilia. La popolazione rurale, chiamata alle armi dal suonodi rustici corni o dalle campane a stormo, rovescia i comitati insurrezionali, innalza la bandiera coni gigli e restaura i legittimi poteri. La spietata repressione operata dagli unitari, con esecuzionisommarie e con arresti in massa, fa affluire nelle bande, che i nativi denominano masse, migliaia diuomini: soldati della disciolta armata reale, coscritti che rifiutano di militare sotto un’altra bandiera,pastori, braccianti e montanari.

Nella primavera del 1861 la reazione divampa in tutto il regno e il controllo del territorio da partedegli unitari diventa precario. In agosto è inviato a Napoli, con poteri eccezionali, il generale delRegio Esercito del neo proclamato Regno d’Italia Enrico Cialdini (1811-1892), che costituisce un

fronte unito contro la "reazione", arruolando i militi del disciolto esercito garibaldino eperseguitando il clero e i nobili lealisti, i quali sono costretti a emigrare, lasciando la resistenzapriva di una valida guida politica. Il governo adotta la linea dura e il generale Cialdini ordina eccidie rappresaglie nei confronti della popolazione insorta, decretando il saccheggio e la distruzione deicentri ribelli. In questo modo viene impedita l’insurrezione generale, e viene scritta una paginatragica e fosca nella storia dello Stato unitario.

3. Dalla repressione all’emigrazione 

Con il sistema generalizzato degli arresti in massa e delle esecuzioni sommarie, con la distruzionedi casolari e di masserie, con il divieto di portare viveri e bestiame fuori dai paesi, con lapersecuzione indiscriminata dei civili, si vuole colpire "nel mucchio", per disgregare con il terroreuna resistenza che riannodava continuamente le fila. Viene introdotto per la prima volta nel dirittopubblico italiano l’istituto del domicilio coatto, che risulta particolarmente odioso per la suaarbitrarietà. La moltiplicazione dei premi e delle taglie crea un’"industria" della delazione, che èun’ulteriore macchia indelebile nella repressione e ispira amare riflessioni sulla proclamata volontàmoralizzatrice dei governi unitari nei confronti delle popolazioni meridionali. Attenzione particolareè dedicata alla guerra psicologica, condotta su larga scala mediante bandi, proclami e soprattuttoservizi giornalistici e fotografici, che costituiscono i primi esempi di una moderna "informazionedeformante".

In questo modo viene distrutto il cosiddetto "manutengolismo", cioè quel vasto movimento disostegno e di fiancheggiamento alla guerriglia, che rappresenta un fenomeno così ampio e articolatosocialmente da non poter essere stroncato con il solo ricorso alla legislazione penale, anche seeccezionale. Infine, la proclamazione dello stato d’assedio, le uccisioni indiscriminate, il terrore, iltradimento prezzolato stroncano la volontà di resistenza della popolazione. Quando le bellicoseenergie sono esaurite, l’estraneità al nuovo ordine si manifesta più pacificamente, ma non menodrammaticamente, nella grandiosa emigrazione transoceanica della nazione "napoletana", checoinvolge alcuni milioni di persone.

4. Oltre la censura storiografica: le ragioni ideali e politiche 

Questo periodo doloroso della storia della nazione italiana è censurato e deformato da oltre unsecolo. La storiografia di ispirazione liberale, da Francesco Saverio Nitti (1868-1953) a GiustinoFortunato (1777-1862) e a Benedetto Croce (1866-1952), interpreta la resistenza popolare come

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manifestazione di criminalità comune e come esito della sobillazione "reazionaria", abile a sfruttaremali endemici e secolari del Mezzogiorno. Su un altro versante, ugualmente deformante, si pongonoquanti partono dalle considerazioni di Antonio Gramsci (1891-1937) sulla "questione meridionale"per proporre una lettura del Brigantaggio come manifestazione della lotta di classe, identificandonella guerra per bande una forma di lotta armata condotta in prima persona dalle masse contadinecontro le classi dominanti.

In realtà, un’interpretazione esauriente del complesso fenomeno del Brigantaggio deve partire dallaconsiderazione che l’opposizione armata fu soltanto uno degli aspetti della resistenza antiunitariadelle popolazioni meridionali, che presentò contorni più vasti e profondi di quelli che avevanocaratterizzato le insorgenze dell’età napoleonica. Infatti, negli anni successivi al 1860, la resistenzasi presenta con forme molto articolate, di cui offrono testimonianza l’opposizione condotta a livelloparlamentare, le proteste della magistratura, che vede cancellate le sue gloriose e secolari tradizioni,la resistenza passiva dei dipendenti pubblici e il rifiuto di ricoprire cariche amministrative, ilmalcontento della popolazione cittadina, l’astensione dai suffragi elettorali, il rifiuto dellacoscrizione obbligatoria, l’emigrazione, la diffusione della stampa clandestina e la polemicacondotta dai migliori pubblicisti del regno, fra cui emerge Giacinto de’ Sivo (1814-1867), che

difendono con gli scritti i calpestati diritti di una monarchia da sempre riconosciuta nel consessodelle nazioni e benedetta dalla suprema autorità spirituale.

La resistenza armata è però il fenomeno più evidente, che coinvolge non soltanto il mondocontadino, ma tutta la società del tempo nelle sue strutture e nei gruppi che la componevano.

Nei primi anni il motivo legittimistico è dominante e le modalità della guerriglia, capace di unirearistocratici e popolo, sono tali da richiamare alla mente l’epopea vandeana. Questa continuitàcontro-rivoluzionaria non è affatto simbolica, ove si consideri che, a capeggiare gli insorgenti, "ilfior fiore della nobiltà lealistica europea discese dalle brume dei propri castelli nel fuoco di una lottasenza quartiere "per il trono e l’altare", "per la fede e la gloria"", come era scritto su uno deipannelli della mostra su Brigantaggio, lealismo e repressione, organizzata a Napoli nel 1984. Ilconte Henri de Cathelineau (1813-1891) - discendente di uno dei più valorosi condottieri dellaguerra di Vandea -, il barone prussiano Teodoro Klitsche de La Grange (1799-1868), il contesassone Edwin di Kalckreuth, fucilato nel 1862, il marchese belga Alfred Trazégnies de Namour,fucilato nel 1861 all’età di trent’anni, il conte Émile-Théodule de Christen (1835-1870), i catalaniJosé Borges (1813-1861), definito "l’anti-Garibaldi", e Rafael Tristany (1814-1899), sono artefici dimemorabili imprese e fanno a lungo sperare in una conclusione vittoriosa della guerriglia.

5. Le ragioni socio-economiche e le motivazioni religiose 

Con queste considerazioni non si intende sottovalutare il carattere anche sociale delle insurrezioni.L’eversione della feudalità e la privatizzazione dei beni della Chiesa durante l’età napoleonica, cheavevano trasformato l’assetto della società e dato origine alla questione demaniale, hanno una parterilevante nello stimolare la partecipazione dei contadini alla lotta armata, ma questo aspetto nonbasta da solo a spiegare l’intensità, l’estensione sociale, l’ampiezza territoriale e la durata delBrigantaggio. L’attribuzione di un prevalente carattere sociale alla resistenza antiunitaria è causatasia da pregiudizi ideologici, che inducono gli storici a sottovalutare o a negare la componentepolitica del fenomeno, sia dalla diffusione e dalla persistenza del mito dell’oggettiva potenzialitàrivoluzionaria delle sommosse contadine.

Questa impostazione è caratterizzata da una generale incomprensione e negazione della cultura

delle popolazioni italiane, e ciò vale in particolare per la componente religiosa, che nerappresentava l’anima. L’elemento religioso è generalmente presente nelle raffigurazioni d’epoca,così come sui vessilli e sulle insegne di battaglia; frati e sacerdoti sono presenti in gran numero

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nelle schiere degli insorgenti, sebbene fossero passati per le armi in caso di cattura; i vescovi -benché spesso scacciati dalle loro sedi - sostengono efficacemente l’insurrezione, pubblicandopastorali di tono antiunitario e ribadendo le proteste e le scomuniche provenienti dalla Santa Sede.L’autorevole La Civiltà Cattolica esprime ripetutamente il suo appoggio a quello che era ritenutouno spontaneo movimento di massa, a carattere legittimistico, contro le usurpazioni del nuovo Statoliberale.

Il Brigantaggio, dunque, è stato un fenomeno composito, manifestazione del contrasto fra duementalità, fra due differenti impostazioni culturali, ma soprattutto ha rappresentato l’espressione piùmacroscopica della reazione di una nazione intera in difesa della sua autonomia quasi millenaria edella religione perseguitata e, dunque, costituisce l’ultimo tentativo compiuto in Italia, insieme conla difesa di Roma a opera degli zuavi, per combattere la Rivoluzione con le armi.

Se la resistenza antiunitaria non riesce a ripetere il successo della Santa Fede nel 1799, ciò è dovutonon soltanto alla situazione internazionale sfavorevole e allo scontro con lo Stato unitario, di cuinon si conoscevano i meccanismi e che può concentrare per alcuni anni imponenti forze nelMezzogiorno, ma anche all’assenza di una classe dirigente valida e ben determinata, che sapesse

animare e coordinare la reazione popolare, spontanea e generale, ma non autonoma.

Per approfondire: vedi una significativa testimonianza, in Giacinto de’ Sivo, I Napolitani al cospetto delle nazioni civili, del 1861, Il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini 1994; lo studio piùdocumentato sull’argomento, che risente però dell’impostazione marxista secondo cui ilBrigantaggio è un episodio della lotta di classe, in Franco Molfese, Storia del brigantaggio dopol’Unità, Feltrinelli, Milano 1979; quindi Carlo Alianello (1901-1981), La conquista del Sud. Il Risorgimento nell’Italia meridionale, Rusconi, Milano 1994; Aldo Albonico, La mobilitazionelegittimista contro il Regno d’Italia: la Spagna e il brigantaggio meridionale postunitario, Giuffrè,Milano 1979; Brigantaggio lealismo repressione nel Mezzogiorno. 1860-1870, GaetanoMacchiaroli, Napoli 1984; e Francesco Mario Agnoli, La conquista del Sud e il generale spagnoloJosé Borges, Di Giovanni, San Giuliano Milanese (Milano) 1993; vedi una sintesi nel mio Il brigantaggio, in Cristianità, anno XXI, n. 223, novembre 1993, pp. 15-22.

Il volto protestante di Cavour

di Angela Pellicciari

Ai cattolici, privati di ogni contributo statale, l’onere di mantenere i valdesi. 

[Da "La Padania", 12 settembre 2001]

"Quanti sono in Torino, o nell’Italia in genere, tra il 1849 e il 1860, a domandarsi se proprio quelproblema della riforma religiosa non stia diventando il problema capitale della situazione italiana?":a scrivere così è lo storico protestante Giorgio Spini in Risorgimento e protestanti. Spini hapienamente ragione nel mettere in evidenza la grande aspettativa che accompagna in tutto il mondoprotestante il risorgimento delle sorti italiane.

Anglicani, luterani, calvinisti, tutti sperano che la Riforma rigidamente fermata al di là delle Alpipossa finalmente valicare la catena montuosa: "L’Italia è già circondata da una sorta di assedioprotestante - scrive Spini - stesole attorno dall’episcopato anglicano, dal presbiterianismo scozzese

e dall’evangelismo "libero" di Ginevra e Losanna, con un appoggio anche dal protestantesimoamericano". Non è un caso che la breccia di Porta Pia nel 1870 sia varcata per prima da un carrettodi Bibbie protestanti trainato da un cane dal nome eloquente: Pio IX.

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La pubblicistica protestante ha sempre rivolto alla Chiesa cattolica accuse infamanti: intollerante,oscurantista, corrotta, fideista, superstiziosamente attacca al culto di Maria e dei santi. Last but not least , persecutrice dei protestanti e conculcatrice dei loro diritti. E allora raccontiamo un episodioche va controcorrente. E che documenta non la persecuzione dei protestanti ma quella dei cattolici.Per farlo ricorriamo a L’Armonia, il coraggioso quotidiano subalpino fondato e diretto dalbattagliero sacerdote Giacomo Margotti. L’11 dicembre 1855 L’Armonia sferra un violentissimo e

circostanziato attacco alla politica filo-protestante del governo Cavour che ha appena decisoun’ingiusta soppressione della congrua di 928.412 lire, dovuta al clero in parziale risarcimento dellespoliazioni perpetrate da Napoleone. In quella somma sono comprese 6.462 lire destinate daNapoleone alla sovvenzione del culto valdese. Per evitare che i valdesi restino senza sovvenzioni alloro culto, il 17 novembre 1855 Cavour propone alla Camera l’istituzione di una nuova voce dispesa (la 22 ter) "per ripristinare in bilancio la spesa di L. 6.462,30, già iscritta nel bilancio del1854, e precedenti, per l’assegnamento dovuto ai valdesi, onde provvedere alle loro spese di culto.Questo debito era compreso nella somma di L. 928.412,30 per ispese ecclesiastiche, eliminate dalbilancio a partire dal 1855".

I valdesi del Regno di Sardegna sono circa ventimila a fronte di una popolazione cattolica di quattro

milioni e mezzo: invece di sopprimere, contestualmente a quella cattolica, anche la sovvenzione aivaldesi - come logica avrebbe voluto - Cavour vuole che i cattolici, privati di ogni pur dovutocontributo statale, mantengano con le loro tasse i valdesi e il loro culto. È quanto affermaL’Armonia e non sarà facile darle torto. Don Margotti così commenta il comportamento delgoverno: "L’usanza è ricavata dall’Inghilterra, dove i cattolici debbono pagare pel cultoprotestante". Qualche giorno dopo il teologo torinese torna alla carica per smascherare "coloro chegridano alla tirannia, all’intolleranza dell’assolutismo. Dove sono dunque que’ clericali intolleranti,che governavano sotto Vittorio Emanuele I, Carlo Felice e Carlo Alberto?". I sovrani assoluti hannodato all’esigua minoranza valdese una sovvenzione che la maggioranza di governo vuole oratogliere alla quasi totalità della popolazione cattolica, pur garantita dal primo articolo dellacostituzione. Da che parte sta l’intolleranza?

"Il soccorso tolto ai cattolici, e dato ai valdesi", continua don Margotti, indica persecuzione delcattolicesimo. Indica un’intolleranza verso i cattolici "da cui andò immune il governo assoluto"riguardo ai valdesi; "indica un’opposizione ai principii medesimi professati dal governo intorno allalibertà dei culti e all’eguaglianza civile e religiosa dei cittadini. Indica un’ingiustizia inaudita".

Per completare il quadro L’Armonia pubblica, "senza tanti commenti", un manifesto comparso il 7dicembre nel comune di Verrès (nella zona di Aosta) sottoscritto dal sindaco. Nell’Avviso alpubblico si legge: "Si sa che la classe ecclesiastica desidera solennizzare l’anniversario della festache si chiama dell’Immacolata, colla massima pompa possibile, sia con illuminazione, sia con

fuochi di gioia."Attesoché quest’illuminazione, e queste dimostrazioni potrebbero dar luogo a vie di fatto controcoloro che non volessero disporsi ad illuminare le loro finestre: "Il sottoscritto, d’ordinedell’autorità superiore, affine di prevenire qualunque turbamento, che potesse risultare da questedimostrazioni, invitando il pubblico ad astenersene, notifica che è rigorosamente proibito achiunque di fare fuochi di gioia, e di fare dei colpi, sia coi mortaretti od altrimenti". Penal’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 732 del codice penale.

I governanti sabaudi pubblicizzano il Piemonte come stato liberale e costituzionale: come regno deldiritto e dell’uguaglianza non c’è male davvero.

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Un gatto scandalizza il Times

 di Angela Pellicciari

Un esempio efficace di come la stampa dell’epoca, sia pro che contro, riferiva delRisorgimento. 

[Da "La Padania", 1 novembre 2001]

Un documentatissimo giornale controcorrente. Questo è L’Armonia, quotidiano cattolico fondato ediretto da uno dei più brillanti e battaglieri preti piemontesi, il teologo Giacomo Margotti. Giorgnodopo giorno, nonostante intimidazioni, botte, ingiunzioni di chiusura, don Margotti continuaimperterrito a raccontare la verità. Lo fa con stile vivace, spesso irridendo la prosopopea liberale,prendendo in giro le menzogne della stampa di regime italiana e internazionale con scupolosissimaattinenza alla realtà dei fatti.

Don Margotti è particolarmente pungente con l’Inghilterra e il suo facile moralismo

filorivoluzionario. "L’intervento inglese in Italia è certo e conosciuto" scrive L’Armonia il 13settembre 1861. L’Inghilterra è all’opera in Italia come sistema-paese: ministri e diplomatici,uomini d’affari, divulgatori di Bibbie e opuscoli protestanti, la Marina che sorveglia benevola lecoste meridionali e, da ultimo, la stampa. A questa tocca il compito di descrivere, esaltandole, legesta della nazione che dopo 15 secoli si ridesta dal sonno cattolico ed entra nell’orbita protestante emassonica.

In questo contesto rientra una ridicola corrispondenza da Roma comparsa sul Times del 28 agosto1861. Il prestigioso quotidiano londinese - ironizza don Margotti - non si lascia sfuggire l’occasionedi raccontare un fatto scioccante (shocking ): la barbara uccisione di un gatto. Autrice del misfatto:Maria Sofia di Baviera, moglie di Francesco II, ultima regina di Napoli. Questo il fosco ritratto che

il Times dedica alla giovane regina: "Porta alla sua cintura il suo terribile revolver, ama far pompadell’aggiustezza de’ suoi tiri. L’altro giorno nei giardini del Quirinale prese per bersaglio un belgatto della Siria, dal pelo di seta, dalla lunga coda, deliziantesi ai raggi del sole del mattino;imperocché la Regina s’alza dal letto alle ore cinque". Ebbene? "La povera bestia si strigliava,saltava, volteggiava senza la minima diffidenza, allora quando la Regina mira e fa fuoco".

Don Margotti commente: "Voi potete ammirare la sua [del Times] onestà, la sua pietà, la suadelicatezza, il suo rispetto alla donna ed all’infortunio, la sua civiltà, il suo italianismo. Noi siamocerti che la storia del gatto è inventata di sana pianta, ma essa ci mostra che cosa sia quel Times, chediceva a Cialdini di trattare i Napoletani come lupi della foresta, ed è oggi tutto viscere dicompassione pel gatto del Quirinale. Forse i nostri lettori s’immagineranno che la pietà del Timessia stata ridestata dalle fucilazioni continue", dai tanti paesi rasi al suolo, dalle violenze contro ilclero! Niente di tutto questo: "Trentamila Napoletani abbruciati, altrettanti fucilati sono unabazzecola. Ma un gatto ucciso!".

Gl’inglesi - continua L’Armonia - hanno uno strumento, che chiamano il fatto a molte corde, concui staffilano i poveri marinai fino a squarciarne a brano a brano le carni. Né quei marinai destanomai la pietà del Times. Ci volle una bestia per commuoverlo, ci volle il gatto del Quirinale".

La stampa liberale si interessa ai gatti e copre con un velo di pietoso silenzio la crudeltà efferata cheaccompagna l’invasione sarda in Italia meridionale. Per avere una pallida idea di cosa è successo in

questa parte d’Italia al momento dell’unificazione, leggiamo un bando del generale FerdinandoPinelli divulgato nell’autunno del 1860: "Il maggiore generale comandante le truppe ordina: 1.chiunque sarà colto con armi da fuoco, coltelli, stili o altre armi qualunque da taglio o da punta, e

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non potrà giustificare di esservi autorizzato dalle autorità costituite, sarà FUCILATOIMMEDIATAMENTE. 2. Chiunque verrà riconosciuto di avere con parole, con denari o con altrimezzi eccitato i villici ad insorgere, sarà FUCILATO IMMEDIATAMENTE. 3. EGUAL PENA saràapplicata a color che con parole od atti insultassero lo stemma di Savoia, il ritratto del re o labandiera nazionale italiana".

Il risultato della liberazione del Regno delle Due Sicilie dai Borbone è così descritto dalla CiviltàCattolica all’inizio del 1861: "Le province in cui non è scoppiata la reazione, sono abbandonate a sestesse, che è quanto dire all’anarchia. I ladroni vi campeggiano liberamente, e ciascuno si guardacome può. Di che avvengono orrori indescrivibili, massime nell’isola di Sicilia, e gli stessi diarimazziniani ne parlano con ribrezzo. Nelle province in cui il popolo non ha voluto accettare la liberàtirannia regalatagli dal non intervento e dalla prepotenza settaria, vanno scorrendo colonne mobili dimilizie regolari, col solito accompagnamento del giudizio statuario, delle fucilazioni immediate di30, 50, e fino a 100 per volta, e della devastazione di intere borgate. In Napoli stessa non è lecito dir parola contro la presente oppressione, senza correre pericolo di violenze inaudite".

L’ultimo Borbone, un re in balia dei "traditori"di Angela Pellicciari

Francesco II lasciò ingenuamente Napoli nel 1860 facilitando, senza volerlo, la conquista deigaribaldini.

[Da "La Padania", 30 ottobre 2001]

Il 13 novembre 1860 Pio IX scrive a Francesco II di Borbone, re delle Due Sicilie: "Ho fatto tuttoquello che per mia parte era possibile per sostenere in Vostra Maestà la causa della giustizia, e tanto

più volentieri l’ho fatto in quanto che ho veduto la Maestà Vostra tradita da uomini cattivi o inetti odeboli [...] ho detto tradito perché è verità". Salito al trono a 23 anni all’improvvisa morte del padre,Francesco è completamente digiuno dell’arte di governo. Cattolico devoto, il re è animato dabuonissimi sentimenti ma l’inesperienza e la buona fede lo rendono facile preda della congiuramassonica che lo avvolge come in una spirale. Succede così che segue i consigli sciagurati delministro dell’interno, il massone Liborio Romano segretamente alleato di Garibaldi. Questi loconvince a lasciare Napoli senza combattere facendo appello all’attaccamento alla città, all’amoreper il popolo e per la religione cattolica.

Ecco il testo della lettera che Liborio Romano indirizza a Francesco II il 20 agosto 1860. Dopo aver accennato ai "segreti disegni della Provvidenza", alla malvagità degli uomini e alla sfiducia che si èinfiltrata nell’esercito e nella marina, il ministro scrive: "La lotta, è certo, farebbe scorrere fiumi disangue". Anche ammessa una vittoria momentanea - continua - si tratterebbe di "una delle vittoriemalaugurate, peggiore di mille disfatte; vittoria acquistata a prezzo del sangue, di uccisioni e dirovine [...] Dopo aver rigettato, secondo che ci ispira l’onestà della coscienza, il partito dellaresistenza, del conflitto e della guerra civile, quale sarà il partito saggio, onesto, umano e degno deldiscendente di Enrico?". Il "saggio" consiglio che Liborio Romano offre al re è di allontanarsi daNapoli, invocare a giudice l’Europa, ed aspettare "dal tempo e dalla giustizia di Dio il ritorno dellafiducia, ed il trionfo dei suoi diritti legittimi".

Accade l’incredibile: Francesco II lascia la capitale senza opporre resistenza per risparmiare ai

napoletani la guerra e a Napoli la distruzione. Ecco il manifesto che indirizza ai sudditiimmediatamente prima della partenza: "Una guerra ingiusta e contro la ragione delle genti ha invasoi miei Stati, nonostante che io fossi in pace con tutte le potenze europee". Il corpo diplomaticoconosce il mio amore per Napoli e il mio desiderio di "guarentirla dalle rovine e dalla guerra,

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salvare i suoi abitanti e le loro proprietà, i sacri templi, i monumenti, gli stabilimenti pubblici, lecollezioni di arte, e tutto quello che forma il patrimonio della sua civiltà e della sua grandezza, e cheappartenendo alle generazioni future è superiore alle passioni di un tempo. Discendente di unaDinastia che per 126 anni regnò in queste contrade [...] i miei affetti sono qui. Io sono Napoletano,né potrei senza grave rammarico dirigere parole di addio ai miei amatissimi popoli, ai mieicompatrioti. Qualunque sarà il mio destino, prospero od avverso, serberò sempre per essi forti ed

amorevoli rimembranze. Raccomando loro la concordia, la pace, la santità dei doveri cittadini. Cheuno smodato zelo per la mia corona non diventi face di turbolenze".

Il sovrano lascia Napoli il 6 settembre e si ritira a Gaeta dove tenta una valorosa quanto inutiledifesa, sostenuto dall’eroismo della moglie Maria Sofia e dall’attaccamento dell’esercito. L’8dicembre 1860, il giorno dell’Immacolata, Francesco II invia ai popoli delle due Sicilie unmanifesto per ricordare ancora una volta le iniquità che ha subite: "Il mondo intero l’ha visto; per non versare sangue, ho preferito rischiar la mia corona. I traditori, pagati dal nemico straniero,sedevano nel mio consiglio, a fianco dei miei fedeli servitori; nella sincerità del mio cuore, nonpotevo credere al tradimento [...] In mezzo a continue cospirazioni, non ho fatto versare una solagoccia di sangue, e si è accusata la mia condotta di debolezza. Se l’amore più tenero per i sudditi, se

la confidenza naturale della gioventù nella onestà altrui, se l’orrore istintivo del sangue meritano talnome, sì, io certo sono stato debole. Al momento in cui la rovina dei miei nemici era sicura, hofermato il braccio dei miei generali, per non consumare la distruzione di Palermo. Ho preferitoabbandonare Napoli, la mia cara capitale, senza esser cacciato da voi, per non esporla agli orrorid’un bombardamento".

"Ho creduto in buona fede che il re del Piemonte, che si diceva mio fratello e mio amico, che siprotestava disapprovare l’invasione di Garibaldi [...] non avrebbe rotto tutti i trattati e violate tutte leleggi per invadere tutti i miei stati in piena pace, senza motivi né dichiarazioni di guerra". Oltre chedai numerosi massoni presenti a corte e nei vertici dell’esercito, Francesco II è tradito dal cuginoVittorio Emanuele, "re galantuomo", che ne invade il regno il 15 ottobre 1860.

L’ordine che l’esercito sabaudo riporta è quello che Francesco descrive nel proclama appena citato:"Le finanze non guari sì fiorenti, sono completamente ruinate, l’amministrazione è un caos, lasicurezza individuale non esiste. Le prigioni sono piene di sospetti, in luogo della libertà, lo statod’assedio regna nelle province e un generale straniero pubblica la legge marziale decretando lefucilazioni istantanee per tutti quelli dei miei sudditi che non s’inchinano innanzi alla bandiera diSardegna [...] Uomini che non hanno mai visto questa parte d’Italia [...] costituiscono il vostrogoverno [...] le Due Sicilie sono state dichiarate province d’un regno lontano. Napoli e Palermosaranno governate da prefetti venuti da Torino".

I veri briganti stavano a Torino

di Angela Pellicciari

Cavour affidò all’ammiraglio Persano ingenti capitali per corrompere i quadri dell’esercitoborbonico.

[Da "La Padania", 23 ottobre 2001]

Per quali buone ragioni i Mille invadono il Regno delle Due Sicilie? I pareri a questo riguardo sono

unanimi: a causa della barbarie del governo borbonico. Citiamo come esempio l’opinione del"Venerabile" Filippo Delpino, autorevole esponente della massoneria sarda. Nella solenneinaugurazione della loggia Ausonia di Torino, il 10 maggio 1860, questi compiange la sorte di queimilioni di italiani che "gemono ancora sotto una dinastia maledetta da tutti per le sue fosche gesta,

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per la ferocia del suo assolutismo e per i suoi spergiuri". Vittorio Emanuele II, per giustificare laconquista dell’Italia meridionale, utilizza alla lettera le stesse parole.Eppure c’è qualcosa che nontorna. Esprime bene queste perplessità Massino D’Azeglio in una lettera del 29 settembre 1860 alnipote Emanuele: "Quando si vede un regno di sei milioni ed un’armata di 100mila uomini, vintecolla perdita di 8 morti e 18 storpiati, chi vuol capire, capisca". Chi vuol capire: per fare ciò,D’Azeglio consiglia di leggere i Diari dell’ammiraglio Carlo Persano, pubblicati in un momento di

gravissima difficoltà. Persano è incriminato dopo la vergognosa sconfitta di Lissa nel 1866 durantela terza guerra di indipendenza. Trovandosi alle strette non trova di meglio che raccontare per filo eper segno la spregiudicata condotta del conte di Cavour durante l’invasione del regno delle DueSicilie.

All’epoca Persano svolge mansioni delicate e super segrete: deve gestire la corruzione dei quadridell’esercito borbonico; deve organizzare il rifornimento di uomini ed armi e deve marcare stretto -insieme a La Farina - Garibaldi sorvegliandone da vicino le mosse. Tutto ciò è raccontato neiminimi dettagli dal meticoloso diario. La corruzione sistematica che rende possibile la spedizionegaribaldina è provata con cristallina evidenza. Nel diario si legge, per esempio, quanto Persanoscrive a Cavour nell’agosto 1860: "Ho dovuto, Eccellenza, somministrare altro denaro. Ventimila

ducati al Devincenzi, duemila al console Fasciotti, giusta invito del marchese di Villamarina, equattromila al comitato. Mi toccò contrastare col Devincenzi, presente il marchese di Villamarina;egli chiedeva più di ventimila ducati; ed io non volevo neanche dargliene tanti". Cavour - raccontaPersano - gli "aveva data facoltà di assicurare gradi e condizioni vantaggiose a coloro chepromuovessero un pronunciamento della squadra borbonica in favore della causa italiana" e, in casiparticolari, aveva autorizzato "a spendervi qualche somma". Il conte fa di tutto per incoraggiare iltradimento dell’ufficialità borbonica: "Mandi a Genova - scrive a Persano - quegli fra gli ufficiali dimarina napoletani che hanno dato le loro dimissioni regolarmente. Non potrò forse dar loro subitoun impiego, ma li rassicurerò sulle loro sorti".

L’ammiraglio è un perfetto esecutore delle consegne ricevute, tanto che così scrive a Cavour:"Possiamo ormai far conto sulla maggior parte dell’officialità della regia marina napoletana". Comesul fronte della corruzione, anche su quello dell’invio di armi tutto fila liscio: "Noi continuiamo,con la massima segretezza, a sbarcare armi per la rivoluzione, a tergo delle truppe napoletane".Persano è perplesso su un solo punto: sulla qualità degli uomini che arrivano dal continente."Converrebbe tener gli occhi ben aperti - scrive a Cavour - sulle spedizioni degli individui che danoi si fanno per qui, e veder modo di ritenere molta gentaglia che muove per queste contrade anessun altro scopo, se non per quello di pescar nel torbido".

Il risultato di questa sistematica infiltrazione in tutti i gangli vitali della nazione napoletana è ilmiracolo che stupisce il patriota Ippolito Nievo (nella foto). Il romanziere così scrive alla confidente

Bice: "Che miracolo! Ti giuro, Bice! Noi l’abbiamo veduto e ancora esitiamo quasi a credere".Succede l’incredibile: i picciotti "fuggivano d’ogni banda; Palermo pareva una città di morti; nonaltra rivoluzione che sul tardi qualche scampanìo. E noi soli 800 al più, sparsi in uno spazio grandequanto Milano, occupati senz’ordine, senza direzione (come ordinare e dirigere il niente?), allaconquista d’una città contro 25mila uomini di truppa regolare, bella, ben montata, che farebbe ladelizia del ministro La Marmora! Figurati che sorpresa per noi straccioni!".Che brutta sorte quelladell’illustre garibaldino: Nievo finisce in fondo al mare con la sua nave, carico di tutti i documenti ele ricevute dell’enorme flusso di denaro che accompagna la calata dei Mille in Italia meridionale.Corruzione e tradimento rendono possibile il miracolo citato da Nievo. Quando la popolazione sirende conto di quello che è successo tenta inutilmente quanto eroicamente di ribellarsi. Briganti, sidirà.

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L’ "insurrezione" di Perugia? Un falso

di Angela Pellicciari

Lo scontro armato con l’esercito pontificio fu voluto da Cavour e costò assai poche vittime. 

[Da "La Padania", 7 ottobre 2001]

C’è un episodio che mette in luce la cinica determinazione del conte Cavour meglio di ogni altro.La facilità con cui le insurrezioni popolari organizzate dai comitati locali della Società nazionale,dai diplomatici sardi e dalle forze di polizia alla Curletti, mettono in fuga i legittimi governanti,induce alcune città dello Stato pontificio ad insorgere. L’insurrezione di Perugia in particolare èfacilitata dal concorso di migliaia di uomini messi a disposizione dal rivoluzionario governo dellaToscana guidato da Carlo Boncompagni. I membri del governo provvisorio (tutti iscritti alla localeloggia massonica) non avendo alcuna probabilità di respingere l’avanzata dell’esercito del papa,chiedono a Cavour come comportarsi: la consegna è di resistere per compromettere ulteriormentel’immagine del papa.

Così racconta L’Armonia, il quotidiano cattolico diretto da don Margotti: "Avendo pochi settariribellata Perugia alla Santa Sede dimandarono poi al conte Camillo Benso di Cavour ministro del redi Piemonte, e capo dell’agitazione italiana, come doversi regolare nel caso che fossero attaccatidalle milizie del Pontefice, ebbero in risposta da quell’autorevole diplomatico, doversi difendere;giacché anche nel caso di avversa fortuna, meglio era far figurare il Papa come carnefice, che farlocomparire come vittima. E i settari s’attennero pienamente all’ordine ricevuto, e poi gridarono allestragi di Perugia". L’essersi azzardata a raccontare i fatti di Perugia costa a L’Armonia un mese disospensione, mille lire di multa e due mesi di carcere al direttore responsabile.

Veniamo ai fatti e alle cifre. Perugia insorge il 14 giugno: dopo aver tentato ogni possibile

mediazione con i rivoluzionari interviene, come ovvio, l’esercito. Questo il bilancio della "strage":10 morti e 35 feriti tra i papalini; 27 morti, un centinaio di feriti e 120 prigionieri tra gli insorti; icapi della rivolta e la maggioranza dei ribelli riparati in Toscana. I dati mostrano la moderazionedell’esercito pontificio, ma la stampa liberale nazionale ed estera è tutta un coro di accuse contro lasupposta brutalità dell’esercito del papa. Come si sono comportati i soldati pontifici?

Per valutarne appieno la condotta bisogna confrontare l’operato con quelli di altri eserciti operantiin ambienti e tempi il più possibile vicini a quello considerato. È quanto fa L’Armonia che paragonala repressione avvenuta a Perugia a quella avvenuta a Genova nel 1849. In quel frangente l’esercitosabaudo è comandato dal generale Alfonso La Marmora, lo stesso che diventa presidente delConsiglio dopo le dimissioni di Cavour all’indomani di Villafranca.

Per valutare la correttezza militare del generale La Marmora a Genova non ci serviamo di una fontecattolica come L’Armonia, preferiamo fare riferimento ad una testimonianza non sospetta perché diparte liberale. Citiamo il diario politico di un ex prete, il mazziniano Giorgio Asproni, che annotauna confidenza fattagli dal ministro dell’interno Vincenzo Ricci. Ricci - scrive Asproni - si lamentacon La Marmora del "saccheggio dato ad un quartiere di Genova e degli atti di violenta libidine sufiglie di onorate famiglie", e si sente rispondere dal generale che "i soldati erano bei giovani e inquelle violenze le donne avean pure provato un piacere". "Auguro, signor generale - è il commentodi Ricci - fortuna e piacere uguale a sua moglie e alle sue figlie".

Bisogna rendere omaggio alla lungimiranza politica del conte di Cavour: le "stragi di Perugia" chestragi non sono e che sono da lui esplicitamente volute, meno di un anno dopo servono da pretestoper giustificare l’invasione delle Marche. In quell’occasione Cavour indirizza al segretario di Stato,

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cardinal Antonelli, la seguente missiva: "Eminenza. Il Governo di Sua Maestà il Re di Sardegna nonpoté vedere senza grave rammarico la formazione e l’esistenza dei corpi di truppe mercenariestraniere al servizio del Governo Pontificio. L’ordinamento di siffatti corpi non formati, ad esempiodi tutti i Governi civili, di cittadini del paese, ma di gente di ogni lingua, nazione e religione,offende profondamente la coscienza pubblica dell’Italia e dell’Europa. L’indisciplina inerente a talegenere di truppe, l’improvvida condotta dei loro capi, le minacce provocatrici di cui fanno pompa

nei loro proclami, suscitano e mantengono un fermento oltremodo pericoloso. Vive pur semprenegli abitanti delle Marche e dell’Umbria la memoria dolorosa delle stragi di Perugia".

Vittorio Emanuele non è da meno. La Gazzetta Ufficiale riferisce che il re, "profondamentecommosso dallo stato di quelle popolazioni e dai pericoli loro, ne accettò la protezione, e ha datoordine alle sue truppe d’entrare in quelle province a tutelarvi l’ordine, e impedire la rinnovazionedei fatti di Perugia".

«1861, Chiesa nel mirino»

«L’attacco al papato non fu un effetto collaterale del Risorgimento, ma il suo fine».«Tutte le fonti dell’800, sia di parte cattolica che di pare massonica, dicono la stessa cosa: che lafine del potere temporale del papato era l’obiettivo di forze internazionali legate al protestantesimoe alla massoneria per distruggere la Chiesa». Angela Pellicciari, la studiosa che ha riportato alla lucenegli ultimi anni una mole di documenti e fatti sulla violenza dell’utopia risorgimentale – daRisorgimento da riscrivere (Ares 1998) a I panni sporchi dei Mille (Liberal 2003) a Risorgimentoanticattolico (Piemme 2004) – si dice sconcertata all’idea che ci sia ancora chi, anche nel mondocattolico, neghi od occulti queste cose.

Non fu dunque, quello contro la Chiesa, un conflitto collaterale all’obiettivo dell’unità

d’Italia?«Pio IX lo disse in decine di interventi e così Leone XIII: la fine del potere temporale erastrumentale al crollo del potere spirituale. Liberali e massoni erano convinti che togliendo al Papatole sue ricchezze questo sarebbe crollato anche spiritualmente. Perché proiettavano sulla Chiesa leloro categorie».

Fu anticattolicesimo o piuttosto anticlericalismo, contro l’invadenza della Chiesa in ambitosecolare?«Non si è trattato di anticlericalismo, ma di anticattolicesimo, che è cosa molta diversa. Unacircolare del Grande Oriente del 1888 dice proprio questo ai fratelli: guardatevi bene dal non usarela parola anticattolicesimo, ma di usare la parola anticlericalismo, perché noi non siamo

ufficialmente contro Cristo e la Chiesa, siamo solo contro i clericali che la snaturano».

Anche lo Statuto Albertino, infatti, riconosceva, all’articolo "1" quella cattolica come la solareligione di Stato...«Nell’800 la grande maggioranza degli italiani era alla ricerca di una qualche forma di Statounitario o federale. Pio IX era favorevole e insieme a lui tutta la Chiesa. Quando di questo progettosi appropriano in modo anti-cattolico i Savoia e i liberali di tutto il mondo – liberali di tutto ilmondo unitevi è il vero slogan dell’800, che precede quello marxista – in un tale contesto il papa e icattolici, ovviamente, si tirano indietro. Ora, qual era la motivazione ufficiale per cui competeva aiSavoia liberare l’Italia? Era che loro erano moralmente migliori degli altri sovrani, perchéfavorevoli a una monarchia costituzionale in uno Stato cosiddetto liberale. Arriviamo al punto. Nel1848 è approvato lo Statuto Albertino e nel 1848 il parlamento sabaudo discute di come sopprimerei gesuiti. Ma i gesuiti non sono un ordine della Chiesa cattolica, unica religione di Stato? Fatto stache i beni della Compagnia di Gesù vengono espropriati mentre i gesuiti sono sottoposti a domicilio

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coatto perché rei del nome. Sottolineo: uno Stato liberale che mette al domicilio coatto dellepersone… perché ree del nome! Nel ’55 allungano il passo e sopprimono gli ordini mendicanti e lemonache di clausura: 35 ordini religiosi. Alla fine del Risorgimento, nel ’73, vengono estese aRoma le leggi eversive, ovvero i 57mila membri di tutti gli ordini religiosi (ribadisco: della Chiesadi Stato…) sono messi sulla strada e i loro beni vengono espropriati. Beni donati dal popolo italianonell’arco di secoli, che finiscono ad arricchire i liberali: migliaia di edifici bellissimi, circa due

milioni di ettari di terra, dipinti, sculture, oggetti d’argento, pietre preziose, archivi, biblioteche…Questa operazione la vogliamo chiamare rispettosa della Costituzione? Per non parlare delle 24milaopere pie che operavano in tutta Italia: soppresse. È grazie a provvedimenti di questo tipo chel’Italia si è trasformata – per la prima volta nella sua storia millenaria – in una nazione di emigranti.Il Risorgimento è riuscito nell’impresa di trasformarci in una nazione da nulla: l’Italietta».

Si sono accaniti meno sul clero secolare, tuttavia. Come mai?«Perché i religiosi non vivevano come i parroci in mezzo alla gente e i liberali volevano evitare unasollevazione di massa. Questo era chiarissimo già dal ’48, nei dibattiti del Parlamento subalpino.Non di meno, il codice penale approvato nel ’59, agli articoli 268, 269 e 270, imponeva al clero diobbedire a tutte le leggi dello Stato e puniva con il carcere di due anni e duemila lire di multa tutti

coloro che disobbedivano con "parole, opere e omissioni". In sostanza, i preti che si azzardavano inchiesa a ricordare che il governo liberale era scomunicato incorrevano in questo reato di "parole"…Un prete, ovviamente, non poteva sposare o celebrare il funerale di un liberale scomunicato: quiscattava la disobbedienza per "omissione". Questo era il rispetto della "sola religione di Stato". IlRisorgimento ha attuato gli stessi provvedimenti anticattolici messi in atto tre secoli prima dallenazioni protestanti: l’unica differenza è stata che, mentre Lutero, Calvino ed Enrico VIII, agivano inodio dichiarato alla Chiesa cattolica, i liberali italiani erano vincolati al rispetto formale dellaCostituzione e si professavano più cattolici del papa. Una menzogna radicale che invano Pio IX hadenunciato in decine di encicliche, oggi del tutto dimenticate».

Una "liberazione" più o meno brutale del Kulturkampf in Germania, per esempio?«Certamente più violenta del Kulturkampf, che è stato fermato dall’azione del Zentrum, il partitocattolico di centro. Qui sono andati ben oltre e non li ha fermati nessuno. Si sono arrestati, ad uncerto punto, solo per la paura dell’ondata socialista».

Si cita spesso, per ridimensionare la portata di quegli avvenimenti, la frase di Paolo VI sulla«Provvidenza che tolse al papato le cure del potere temporale perché meglio potesseadempiere la sua missione spirituale nel mondo».«Una frase strumentalizzata. Intanto dire che è finito il potere temporale, come fanno in molti, èdire un’inesattezza. Il potere temporale è ridotto a un territorio simbolico, ma c’è e questo salva lalibertà della Chiesa nella libertà del papa dal non essere suddito/cittadino di nessun altro Stato. Il

papa è sovrano in Vaticano. Secondo, Dio è capace di estrarre da un male un bene maggiore. Maquesto è, per l’appunto, opera della sua provvidente onnipotenza. Fosse stato per i liberali, la Chiesacattolica avrebbe semplicemente cessato di esistere».

Andrea Galli

1848: l'anno della Rivoluzione

di Massimo Viglione

Il 1848 europeo segna una tappa fondamentale del processo rivoluzionario, preparata,

coordinata e realizzata grazie all’apporto delle società segrete con uno scopo: sovvertire ifondamenti della civiltà cristiana. I suoi frutti avvelenati li vediamo anche oggi.

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[Da "Il Timone" n. 16, Novembre/Dicembre 2001]

Il 1848 è considerato come ’l’anno delle rivoluzioni", e tale affermazione è più che indovinata, inquanto non si è mai ripetuto nella storia un sommovimento generale di carattere rivoluzionario cheabbia avuto una simile simmetria spazio-temporale. Per comprendere meglio quanto accadde inquei giorni occorre naturalmente inquadrare il tutto nel più vasto fenomeno di quel processo

secolare - comunemente denominato "Rivoluzione" - finalizzato alla totale sovversione della civiltà,della società e della Tradizione cristiana ed europea - in atto ormai dalla fine dell’età medievale. Il’48 infatti non avrebbe mai potuto avere luogo senza che in antecedenza fosse avvenuta laRivoluzione Francese, né potrebbe mai oggi essere compreso se non alla luce della immensa portatastorica, politica e sociale di quell’avvenimento capitale per la storia dell’umanità. Un aspetto a volteun po’ troppo dimenticato del 1848 è proprio il suo ruolo intrinsecamente anticristiano, a partiredalla rivolta anticattolica svizzera per arrivare ai provvedimenti social-radicali di Parigi e allevessazioni e violenze anticlericali, triste presagio di ciò che poi accadrà sotto la Comune del 1870; apartire dai provvedimenti finalizzati alla laicizzazione della società adottati da tutti i governirivoluzionari in carica, per arrivare all’esclusione del partito cattolico (i grandi tedeschi), legato agliAsburgo, dal processo di unificazione dei popoli germanici, avantaggio dei piccoli tedeschi, legati

alla dinastia protestante prussiana, per non parlare delle vicende della Roma mazziniana, checausarono l’esilio del Pontefice Pio IX a Gaeta. L’intero movimento fu caratterizzato da entrambi iprincìpiì ideologici - rivoluzionari per essenza - stabiliti ufficialmente con la Rivoluzione Francese,il liberalismo ed il socialismo: fu liberale nei suoi ideali generali, negli uomini che lo attuarono enell’uso strumentale che si fece dell’idea di sovranità nazionale in contrapposizione a quella diMonarchia per Grazia divina e di sacralità del potere politico (movimenti nazionalisti edindipendentisti); fu socialista nei suoi presupposti di rivoluzione sociale (rivoluzioni parigine difebbraio e giugno e pubblicazione de Il Manifesto di Marx ed Engels).

L’anno in questione segna simbolicamente ma irrevocabilmente la fine dell’età della Restaurazione;ma determina anche la fine dell’età del romanticismo, almeno di quello inteso - nel senso menopeggiore del concetto - come reazione alle squallide istanze razionalistiche, sensistiche e scettichedell’illuminismo; infatti, dalla metà del secolo in poi, un nuovo ideale andrà sempre piùinstaurandosi nella mentalità collettiva europea: il mito del progresso inarrestabile e positivo,altrettanto e ancor più razionalista nel suo materialismo e ateismo.

È infatti proprio con la momentanea e fallace restaurazione postquarantottesca che, rimesse inordine le cose e sventato per il momento il pericolo socialista, i potentati economici europei dannoil via alla grande e definitiva avventura del colonialismo e dell’imperialismo, favorendo però dicontro il diffondersi delle idee di sovversione socialiste e anarchiche e i moti insurrezionali unitaritedesco e italiano, è in questi anni che esplode quella seconda rivoluzione industriale che avrebbe

sconvolto per sempre il vivere quotidiano degli uomini; ed è in questi anni che si gettano ipresupposti per la futura eliminazione di quel poco che ancora rimaneva - tanto nell’ambito politicoquanto in quello dei costumi e delle usanze - dell’antica civiltà e società cristiana europea,preparando quel suicidio collettivo consumatosi tra il 1914 e il 1918 che procurò, oltre a 10 milionidi morti, la cancellazione dalla storia dell’Impero cattolico, l’imposizione della società di massa el’instaurazione concreta del comunismo nel mondo, gettando per altro le basi per la futura guerra equindi per la successiva pace di Yalta.

La sconfitta delle istanze rivoluzionarie fu solo apparente: a Parigi, in quello stesso anno, cade laMonarchia capetingia e, solo 22 anni dopo, cade la Monarchia; in Germania, la rivoluzione èrinviata solo di 20 anni; in Italia, ne basteranno solo 10. Per quanto concerne infine l’Impero

asburgico, è superfluo sottolineare quanto il ’48 abbia corroso i presupposti della sua esistenza eabbia preparato il suo crollo 70 anni dopo, attizzando tutti i focolai nazionalisti balcanici.

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Guardando oggi a quegli eventi nella loro ottica generale, ciò che più colpisce è senz’altro l’aspetto"totalizzante" di questo moto insurrezionale collettivo europeo: è come se, pur mossi da esigenze divaria natura e operanti in situazioni locali ben differenti le une dalle altre, i rivoluzionari svizzeri,francesi, tedeschi, austriaci, ungheresi, boemi, più tutti gli esponenti del movimento risorgimentaleitaliano, divisi nei differenti Stati della Penisola, si fossero dati un, per così dire, "appuntamentosovversivo" generale per quell’anno specifico, al quale, dal canto suo, non mancò neanche lo stesso

Marx, con la pubblicazione del suo Manifesto. Riesce ben difficile poter pensare che tutta questaserie concatenata di rivoluzioni possa essere "frutto del caso", o magari, come certa storiografiatende a far credere, conseguenza dell’incontenibile odio dei popoli oppressi che innesca unmeccanismo inarrestabile di ribellione per la libertà. Ciò evidentemente è ridicolo, anche perché èormai cosa arcinota che il vero problema dei moti d’indipendenza, e in particolare di quellorisorgimentale, era la pressoché totale assenza di iniziativa veramente popolare, e quindi di"consenso delle masse", marxianamente parlando. È il celebre problema della "rivoluzione passiva"di cuochiana memoria. E identico discorso può essere fatto anche per gli altri paesi coinvolti inrivoluzioni, comprese la Svizzera e ancor più la Francia, ove la rivoluzione, in maniera ancoramaggiore che negli anni del giacobinismo, fu esclusivamente operazione "parigina".

Se, dal punto di vista rivoluzionario, il ’48 terminò nella cosiddetta "reazione", ciò fu dovutoproprio all’assoluta indifferenza, quando non ostilità, delle popolazioni: ciò è talmente evidente chenessuno oggi osa disconoscere tale verità. Quello che però del ’48 fu determinante: quasi nessunoosa affrontare è il tentativo di spiegare come mai si innescò allora un tale irresistibilesommovimento generale europeo, tanto di carattere liberal-nazionale quanto radical-socialista, per di più scoppiato ne! giro di pochi mesi ovunque con una serie concatenata di convulsioniincontrollate.

Evidentemente esiste una sola logica spiegazione storico-politica: tutto ciò fu sapientementepreparato, coordinato ed abilmente attuato dalla regia delle società segrete, di stampo più o menomassonico, che tutti sappiamo essere a quei tempi attivissime.

Inutile nascondercelo: un ordine partì, e cospiratori di tutta Europa insorsero in armi per fare laRivoluzione, anche se nella certezza morale del fallimento, e questo secondo il principio che ognisconfitta nella politica può divenire una vittoria nella storia. Infatti, da questo punto di vista,l’importanza del ’48 fu determinante: pur se nel fallimento generale, esso è accaduto, e da quelmomento costituisce una pietra miliare nella storia secolare di quel fenomeno di totale sovversionedella civiltà cristiana che prende il nome di Rivoluzione. Da questo punto di vista, esso fuveramente la "Primavera dei popoli", anche se i popoli non vi parteciparono affatto, in quanto viparteciparono però nel racconto dei protagonisti sopravvissuti, nei libri di storia, nei giornalirivoluzionari, nella leggenda della "vulgata" risorgimentale, nella memoria collettiva delle

generazioni future: in tal senso, il ’48 fu la più grande delle vittorie della Rivoluzione, tanto che lostesso nome evoca il concetto di rivolta e confusione contro l’ordine stabilito.

Bibliografia 

Massimo Viglione [a cura di], La Rivoluzione italiana, Il Minotauro, Roma 2001.Angela Pellicciari, L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata, Piemme, CasaleMon.to 2000.

Cronologia 

Per capire meglio quanto detto, riassumiamo sinteticamente il divenire cronologico del progressivoaffermarsi dei moti sovversivi.

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- Novembre 1847. In Svizzera le forze radicali sconfiggono il partito dei cantoni cattolici, ilSonderbund, trasformando la Confederazione in uno Stato federale e democratico in nome delprincipio della sovranità popolare che, come essi proclamarono apertamente, avrebbe dovutotrionfare di lì a poco anche negli altri Paesi europei.- 12 gennaio 1848. Scoppia a Palermo un moto insurrezionale guidato, tra altri, da La Masa; sicostringe Ferdinando II (1830-1859) a concedere la Costituzione al Regno delle Due Sicilie

(febbraio).- 22 febbraio. Insorge Parigi, ove avviene la prima rivoluzione socialista della storia, come Marx eil celebre storico liberale Tocqueville ebbero a dire.- Febbraio e marzo. Leopoldo II in Toscana (17 febbraio), Carlo Alberto in Piemonte (4 marzo) ePio IX (14 marzo) concedono la Costituzione.- 13 marzo. Insorge Vienna, Metternich cade e viene concessa la Costituzione.- 17 marzo. Insorge Berlino non solo per la Costituzione, ma per l’unificazione della Germania.- 19 marzo. Insorgono anche i liberali di Budapest, guidati da Luigi Kossuth, e la Boemia per l’indipendenza dall’Austria.Dal 18 marzo anche Milano è in rivolta, e dal 20 Venezia, ove si proclama restaurato il governodella Serenissima; quindi scoppiano rivolte anche nei Ducati di Parma, dove viene cacciato il duca

Carlo II (1799-1883) e Modena, dove viene cacciato Francesco V d’Este (1846-1859).- 23 marzo. Carlo Alberto dichiara la guerra all’impero Austriaco, e da questo momento inizia il piùimportante di tutti i moti indipendentistici europei del 1848, quello italiano: inizia la cosiddetta"Prima Guerra d’indipendenza", inizia il Risorgimento nel suo aspetto militare.- 29 aprile. Papa Pio IX ritira le sue truppe con la motivazione che un Pontefice non può fare guerraa uno Stato cattolico come l’Austria.- 24 novembre 1848. Scoppia una insurrezione a Roma e Papa Pio IX è costretto a riparare a Gaeta.Resterà in esilio fino all’aprile 1850.

© Il Timone

Un finanziamento della massoneria britannica dietro l'avventura dei Milledi Gian Maria De Francesco

Nel corso della commemorazione del «fratello» Garibaldi lo storico Aldo Mola rivela il dettaglioinedito. Tre milioni di franchi donati dalla massoneria inglese consentirono l'acquisto dei fucili aQuarto. L'appoggio non fu solo economico: il mito dell'«eroe dei due mondi» fu costruito per screditare il Papato. La conquista degli Stati che componevano la Penisola italiana e, in particolare,

del ricco Regno delle Due Sicilie da parte dei Savoia non fu solo dettata dall'esigenza di rientraredall'esposizione nei confronti di Banque Rothschild che aveva già investito parecchio nelleavventure belliche piemontesi. 

Nella spedizione dei Mille il ruolo della massoneria inglese fu determinante con unfinanziamento di tre milioni di franchi ed il monitoraggio costante dell'impresa. A rivelare ilparticolare non trascurabile è stata la Massoneria di rito scozzese, dell'Obbedienza di Piazza delGesù, che ha ricordato la data di nascita (4 luglio 1807) del nizzardo Garibaldi in una conferenzastampa ed un convegno alla presenza del Gran Maestro Luigi Pruneti e del Gran Maestro delGrande Oriente di Francia, Pierre Lambicchi. «Il finanziamento —ha detto il professor Aldo Mola,docente di storia contemporanea all'Università di Milano e storico della massoneria e del

Risorgimento—  proveniva da un fondo di presbiteriani scozzesi e gli fu erogato con l'impegno dinon fermarsi a Napoli, ma di arrivare a Roma per eliminare lo Stato pontificio». 

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Tutta la spedizione garibaldina, ha aggiunto il professor Mola, «fu monitorata dallamassoneria britannica che aveva l'obbiettivo storico di eliminare il potere temporale dei Papi ed anche gli Stati Uniti, che non avevano rapporti diplomatici con il Vaticano, diedero il lorosostegno». I fondi della massoneria inglese, secondo lo storico, servirono a Garibaldi per acquistarea Genova i fucili di precisione, senza i quali non avrebbe potuto affrontare l'esercito borbonico,«che non era l'esercito di Pulcinella, ma un'armata ben organizzata». Senza quei fucili, Garibaldi

avrebbe fatto la fine di Carlo Pisacane e dei fratelli Bandiera, i rivoltosi che la monarchianapoletana giustiziò nella prima metà dell'Ottocento. «La sua appartenenza alla massoneria —hasottolineato Mola— garantì a Garibaldi l'appoggio della stampa internazionale, soprattutto quellainglese, che mise al suo fianco diversi corrispondenti, contribuendo a crearne il mito, e di scrittoricome Alexandre Dumas, che ne esaltarono le gesta». Al «fratello Garibaldi» ha reso omaggio conun «evviva» il Gran Maestro del Grande Oriente di Francia.

IL TRICOLORE, BANDIERA GIACOBINA DELL'UNITÀ D'ITALIA, STENDARDOSIMBOLO DELLA CARBONERIA, DELLA GIOVANE ITALIA E DELLA MASSONERIA.

FU LA BANDIERA DELLA REPUBBLICA ROMANA DI MAZZINI E GARIBALDI

di Aldo Chiarle [massone]Per fugare dal nostro lettore ogni dubbio sull'essere massonico di Aldo Chiarle, annotiamo quantoappresso:

Il fratello Aldo Chiarle ha festeggiato recentemente i suoi sessanta anni di giornalismo ecinquanta anni di iscrizione all’Ordine dei Giornalisti. In questa occasione gli sono giunti da tuttaItalia centinaia di biglietti e telegrammi di congratulazione, fra cui, graditissimo, quello del GranMaestro: “A differenza del petrolio l’inchiostro non è mai venuto meno e così sono trascorsi i 60anni terribili in cui la tua penna micidiale ha colpito il trono e l’altare. Augurissimi da GustavoRaffi”.

Quante cose si sono scritte sul Tricolore in centoanni! Sul quotidiano L’Avvenire di qualche anno fa,lo “storico” Franco Cardini scrive: “I tre colori dellanostra bandiera sono alla base della liturgia cattolica:fede, speranza e carità. Ammantata di questi trecolori è la Beatrice che compare a Dante alla finedella Cantica del Purgatorio”.

 

Ma è evidente che quella di Cardini è solo unagarbata provocazione, perché chi conosce la storia

del nostro Risorgimento sa che l’unità e la libertàd’Italia è stata fatta soprattutto contro il papato (1) e isuoi alleati.

 (1) Ripetiamo: parola di massone!

E chi come me (parlo della generazione nata frale due ultime guerre mondiali) su banchi di scuolanon ha sentito il maestro parlare del Tricoloreformato dal verde delle nostre valli, dal bianco dellenostre nevi e dal rosso delle fiamme dei nostrivulcani? (2) Ma anche queste romantiche parole sonostate coniate quando la bandiera italiana aveva già

compiuto cento anni, dal lirismo di Giosuè Carducci.

 (2) Altra retorica a buon mercato!

Il Tricolore come bandiera ufficiale d’Italia è

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nata il 7 gennaio del 1797 quando a Reggio Emiliasono convenuti i delegati di quattro città (Reggio,Modena, Ferrara e Bologna) che già si eranoscrollate di dosso i loro dominatori (il Papa daBologna e Ferrara) (3) intenzionati a costituire laRepubblica Cispadana. E la consacrazione del

Vessillo avvenne nella Aula Magna di PalazzoBognini alla presenza di 36 delegati di Bologna, 24di Ferrara, 22 di Modena e 20 di Reggio.

 

(3) Falso: hanno soltanto cambiatopadrone, il nuovo si chiamerà Vittorio

Emanuele. Ma ci hanno guadagnato operso?

Perché la scelta di Reggio Emilia? Perché aReggio Emilia (oltre che a Genova) era stato piantatoper la prima volta in Italia l’albero della Libertà, (4)un grande albero che rappresentava la natura, adornodi nastri tricolori e sormontato da emblemirivoluzionari. L’Inno dell’albero della Libertà, scrittoda autori anonimi, è forse una delle prime canzoni

popolari che parlano di Libertà, d’Italia e di Patria.

 

(4) Nello stesso periodo, con il cultodell'albero della libertà (da Dio!) iniziala "tradizione" dell'albero di Natale... piùalberi e meno presepi, più libertà e menoDio... Perciò i buoni cristianipreferiscono il presepe!

Sventolò da allora e ufficialmente il Tricoloresino alla caduta di Napoleone (1814) quando con ilritorno del dominio austriaco, la bandiera dei trecolori divenne simbolo di sovversione e dicospirazione; e proprio in quei giorni venneconsacrato con il sangue dei martiri (5) come unicabandiera dell’Italia che stava iniziando con i moticarbonari il lungo e sanguinoso cammino verso lasua unità. Una delle prime apparizioni della bandiera

tricolore fu a Milano nel novembre del 1796 e fu lostesso Napoleone a consegnare uno stendardobianco, rosso e verde ad un Corpo di volontarilombardi. Alla sommità dell’asta vi era il “livello”massonico.

 

(5) Prima i "martiri" erano coloro chemorivano per Dio, dal Risorgimentosono quelli che cadono per la "nuova"patria (mentre i caduti per la "vecchia"saranno detti briganti). Oggi poiabbiamo l'inflazione dei martiri...

Bianco, rosso e verde, perché bianco e rosso erano due dei tre colori della bandiera francese(l’altro colore, il blu, era quello del comune di Parigi); il verde al posto del blu perché il verde erail colore dell’albero della libertà, simbolo del diritto dei popoli alla libertà.

Alcuni storici, parlando del colore verde hanno accennato al sacro ed iniziatico colore della

Massoneria, il che è vero e non solo perché la bandiera donata da Napoleone ai volontari lombardiaveva sull’asta il livello massonico, ma perché il tricolore era la bandiera sacra delle venditecarbonare e poi della Giovine Italia e da sempre quella delle officine massoniche. E il bologneseZamboni Luigi, massone e carbonaro, nel suo tentativo di sollevare a Bologna una insurrezioneantipontificia, adottò per vessillo questi tre colori. Arrestato, si uccise in carcere nel 1795: avevasolo ventitrè anni...

Il tricolore è sacro per i fratelli massoni, in ogni riunione massonica, ad apertura dei lavori, ilTricolore è portato all’Oriente, vicino al Maestro Venerabile.

Dimenticato da tanti anni, specialmente da coloro che ben volentieri lo avrebbero sostituito

con una bandiera rossa o con quella del Vaticano, sta passando un momento di moda e si parla dimetterlo in ogni aula di scuola ed in ogni edificio pubblico. Ma siamo sicuri, e lo diciamo conprofondo rammarico, che presto non se ne parlerà più e che sventolerà per le strade d’Italia ai

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prossimi campionati di calcio o alle Olimpiadi.

Aldo Chiarle

Risorgimento e massoneriadi Angela Pellicciari

L’opera della massoneria nel Risorgimento italiano. Iniziata con Napoleone e terminata con ladistruzione dello Stato pontificio. Sempre condannata dal magistero. 

In un articolo comparso su La Stampa nel dicembre 2000, Norberto Bobbio accusa "gruppi dicattolici militanti" che pretendono di "riscrivere" il Risorgimento dandone "una interpretazione chenon esiterei a chiamare di destra, secondo cui il Risorgimento è stato un movimento guidato daélites anticlericali, per non dire addirittura massoniche, il cui scopo ultimo era l’abbattimento del

potere temporale dei Papi".

"Per non dire addirittura massoniche" - scrive Bobbio - e la cosa suscita più di un sorriso. Che loscopo ultimo della massoneria dell’Ottocento tosse proprio l’abbattimento del potere temporale deipapi e che per raggiungere questo obiettivo i "fratelli" di tutto il mondo si siano affidati ai Savoiache hanno realizzato un’unificazione italiana ad immagine e somiglianza dei desiderata delpensiero massonico, sta scritto nero su bianco in centinaia di documenti sia di parte massonica checattolica.

Tanto per esemplificare. Il Risorgimento è iniziato dal massone Napoleone che invade l’Italia e lasaccheggia impunemente in nome della "libertà". Prima dì entrare a Milano, il futuro imperatore hal’ardire di rivolgere alla popolazione il seguente bando: "Noi siamo amici di tutti i popoli, ed inparticolare dei discendenti dei Bruti e degli Scipioni. Ristabilire il Campidoglio, collocandovionorevolmente le statue degli eroi che lo resero celebre: e risvegliare il Popolo Romano assopito damolti secoli di schiavitù, tale sarà il frutto delle nostre vittorie, che formeranno epoca nellaposterità". Napoleone attribuisce a se stesso il ruolo di liberatore. Vuole che gli italiani non sianopiù schiavi. Ma da chi e da cosa gli italiani, carichi di storia e di primati, avrebbero dovuto essereliberati? Lo si capisce con immediatezza considerando lo stemma del Regno d’Italia che vede laluce nel 1805, frutto della fervida fantasia del generale-imperatore. Come distintivo del nuovo tipodi regalità, spicca, tra gli altri, un simbolo molto impegnativo: un Pentalfa massonico (una stella acinque punte) con due punte rivolte verso l’alto e una sola verso il basso. Un’insegna satanica. Ciò

significa che Napoleone non si vergogna di mostrare in bella vista cosa intende per l’Ordine Nuovoche viene imporre al mondo: un ordine fondato sulla potenza di Satana. Un ordine anticristiano.

Per capire come il binomio massoneria-satanismo sia in qualche modo costitutivo, bisogna tener presente che la visione del mondo massonica è interamente costruita intorno a due presupposti. lìprimo è il rifiuto della Rivelazione: i massoni ritengono spetti all’uomo in totale autonomia e colsolo aiuto della ragione stabilire quali siano le leggi della morale e del vivere civile. Questo è anzi ilcompito che i massoni ritengono loro proprio ed esclusivo: non a caso il 10 febbraio 1996 unapagina intera di pubblicità sul Corriere della Sera ricorda che i massoni "hanno la responsabilitàmorale e materiale di essere guida di altri uomini". Il secondo presupposto è che la naturadell’uomo (della specie umana, non del singolo) è costantemente perfettibile: si tratta del mito del

Progresso che induce a ritenere possibile il raggiungimento su questa terra della felicità (il dirittoalla felicità tanto solennemente iscritto nella Costituzione americana) conseguito attraverso il pienosviluppo di tutte le potenzialità umane. La massoneria ritiene dunque possibile raggiungere la

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tangenza uomo-dio con le sole forze della ragione, e cioè per natura: gli aspetti di satanismo checolorano tante posizioni massoniche derivano da questa convinzione. Nel libro della Genesi quandoSatana si rivolge ad Eva lo fa proprio per insinuarle il desiderio di diventare Dio come se ciò fossepossibile in forza di un semplice atto di volontà: "Dio sa che quando voi ne mangiaste, siaprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio" (Gn 3, 5). Tanto per restare in Italia, è in questocontesto teorico che Giosuè Carducci compone l’Inno a Satana ("Salute, o Satana, O ribellione, O

forza vindice De la ragione!").

Tenendo presenti questi assunti diventa chiaro in che senso Napoleone (ed i liberali dopo si lui)spaccino se stessi per i liberatori del popolo italiano: si propongono di "liberare" gli italiani dalcattolicesimo che, a loro modo di vedere, ha trasformato gli ’eredi degli Scipioni" in un popolo dischiavi.

Più in generale la massoneria ritiene che gravi sulle sue spalle il compito ciclopico di liberarel’uomo dalla superstizione, da ogni superstizione. Ecco cosa scrive nel 1853 il luminare dellamassoneria francese J.M. Ragon: l’ordine apre i suoi templi agli uomini "per liberarli dai pregiudizidei loro paesi o dagli errori delle religioni dei loro padri". Ancora: la massoneria "non riceve la

legge ma la stabilisce dal momento che la sua morale, una ed immutabile, è più estesa e piùuniversale di quelle delle religioni native, sempre esclusive".

La massoneria italiana è perfettamente allineata su questa posizione. La Costituente che si riuniscenel maggio del 1863 dopo aver stabilito che l’ordine "Non prescrive nessuna professione particolaredi fede religiosa, e non esclude se non le credenze che imponessero l’intolleranza delle credenzealtrui", precisa (art.3) che i principi massonici debbono gradualmente divenire "legge effettiva esuprema di tutti gli atti della vita individuale, domestica e civile" e specifica (art.8) che il fineultimo dell’istituzione è "raccogliere tutti gli uomini liberi in una gran famiglia, la quale possa edebba a poco a poco succedere a tutte le chiese, fondate sulla fede cieca e l’autorità teocratica, atutti i culti superstiziosi, intolleranti e nemici tra loro, per costruire la vera e sola chiesadell’Umanità".

"Legge suprema di tutti gli atti della vita individuale, domestica e civile", prescrive la Costituente.Detto fatto. Tutti gli ordini religiosi cattolici all’indomani dell’unità d’Italia vengono aboliti ed iloro beni svenduti all’1% della popolazione di fede liberale. Tutte le opere pie costruite nel corsodei secoli soppresse. Le processioni cattoliche vietate, permesse quelle massoniche. Le scuolecattoliche chiuse, imposte quelle di Stato a guida "illuminata". E via continuando.

Stando così le cose, è ovvio che fra Chiesa cattolica e massoneria ci sia incompatibilità radicale. FraCristo e Belial - ricordano Pio IX e Leone XII - non ci può essere compromesso.

Eppure è stato reiteratamente sostenuto il contrario. Per convincere le masse cattoliche della bontàdella proprie intenzioni, l’élite massonica ha avuto a disposizione, in primo luogo, la menzogna. Ifratelli hanno spesso gridato ai quattro venti di essere cattolici più cattolici del Papa. Così hannofatto i fautori del nostro Risorgimento. A questa propaganda calunniosa i papi hanno risposto comepotevano, ripetendo all’infinito la serie delle scomuniche contro la massoneria: ogni volta c’eraqualcuno che sosteneva che le censure ecclesiastiche, per lui e per i suoi, non valevano. E ogni voltai papi dovevano ricominciare. Durante il Risorgimento la guerra contro la Chiesa cattolica condottadalla massoneria nazionale ed internazionale è stata particolarmente cruenta e distruttiva.

Essendo la popolazione italiana tutta cattolica, per far trionfare il proprio punto di vista

assolutamente minoritario i liberal-massoni hanno fatto ricorso ad una strategia che si potrebbedefinire coperta: hanno provato in ogni modo ad infiltrarsi all’interno della Chiesa per condizionarla dal di dentro, hanno colto ogni possibile occasione per definirsi cattolici

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perfettamente ortodossi, hanno fatto scattare sul piano interno ed internazionale una campagna didenigrazione e falsificazione sistematica delle condizioni di tutti gli Stati italiani ad eccezione deiPiemonte.

Contro lo Stato della Chiesa era già in corso una pluricentenaria campagna d’odio e di calunniaorchestrata dalle potenze protestanti. La massoneria organizza un’intensificazione di questa

propaganda e lo Stato pontificio viene descritto come il più sanguinano, retrogrado e maiamministrato di tutta la terra. Contro ogni ragionevolezza e contro ogni verità storica, l’ordine cercadi convincere i cattolici che la semplice esistenza di uno Stato pontificio sia contrariaall’insegnamento di Cristo, vissuto povero e morto in croce, e assicura che rinunciando alla suavisibilità (dal momento che non siamo puri spiriti ciò equivale alla rinuncia all’esistenza) la Chiesaavrebbe guadagnato in spiritualità e purezza. Pio IX ha combattuto come un leone in difesa dellaverità. In decine di encicliche ha descritto a cosa corrispondevano nei fatti le belle e suadenti paroledella propaganda liberale. Per evitare che il suo gregge rimanesse abbagliato dalla menzognatrionfante, a cominciare dal 1849 (costretto all’esilio all’epoca della Repubblica romana) ha presocarta e penna per raccontare ai cattolici cosa succedeva durante il supposto "risorgimento" dellanazione. i massoni, ricorda il Papa, proclamano ai quattro venti di agire nell’interesse della Chiesa e

della sua libertà. Si professano cristiani e pretendono dì rifarsi alla più pura volontà di Cristo. Lecose non stanno così: "noi desidereremmo prestar loro fede, se i dolorosissimi fatti, che sonoquotidianamente sotto gli occhi di tutti, non provassero il contrario". È in corso una vera e propriaguerra, ammonisce il Papa: "da una parte ci sono alcuni che difendono i principi di quella chechiamano moderna civiltà, dall’altra ci sono altri che sostengono i diritti della giustizia e dellanostra santissima religione". L’obiettivo che i massoni perseguono è "non solo la sottrazione aquesta Santa Sede ed ai Romano Pontefice dei suo legittimo potere temporale", ma anche "se maifosse possibile, la completa eliminazione dei potere di salvezza della religione cattolica". Dalla duraguerra di religione scatenata durante il Risorgimento ad oggi le cose sono cambiate? Sotto tantiaspetti sì. Però c’è un inquietante particolare che indurrebbe a non esserne così sicuri: l’attitudinedei mezzi di comunicazione di massa a sostenere che l’atteggiamento della Chiesa nei confrontidella massoneria è radicalmente mutato. Così nel 1995 la più diffusa enciclopedia su dischetto - laGrolier Multimedia Enciclopedia scrive: "il divieto ai cattolici di far parte di logge massoniche èstato cancellato nel 1983". Così, ed è caso molto serio, il Corriere della Sera nel luglio dello scorsoanno in un’inchiesta pubblicata su Sett e dal titolo Il risveglio della Massoneria. Lindner, firmatariodell’articolo, sostiene: "L’istituzione ha dovuto fare sempre i conti con gli ostacoli frapposti daiVaticano che solo nel 1983 ha tolto la scomunica".

È vero l’esatto contrario: nel 1983 la Chiesa non ha cancellato nessuna delle centinaia discomuniche comminate nel tempo contro la massoneria. La Chiesa ha fatto di più: nellaDichiarazione sulla Massoneria dei 26 novembre 1983 ha ribadito ad opera del card. Ratzinger,

Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che nulla è cambiato dall’epoca della primacensura contenuta nella bolla In eminenti redatta il 28 aprile 1738 da Clemente XII. Nulla di nuovosotto il sole.

Dichiarazione sulla massoneria della Congregazione per la Dottrina della Fede(1983) 

È stato chiesto se sia mutato il giudizio della Chiesa nei confronti della massoneria per il fatto chenel nuovo Codice di Diritto Canonico essa non viene espressamente menzionata come nel Codiceanteriore. Questa Congregazione è in grado di rispondere che tale circostanza è dovuta a un criterioredazionale seguito anche per altre associazioni ugualmente non menzionate in quanto comprese in

categorie più ampie. Rimane pertanto immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delleassociazioni massoniche, poiché i loro prindpi sono stati sempre considerati inconciliabili con ladottrina della Chiesa e perciò l’iscrizione a esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle

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associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla SantaComunione. Non compete alle autorità ecclesiastiche locali di pronunciarsi sulla natura delleassociazioni massoniche con un giudizio che implichi deroga a quanto sopra stabilito, e ciò in lineacon la Dichiarazione di questa S. Congregazione del 17 febbraio 1981 (cf AAS 7311981, pp. 240-241). lì Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso del l’Udienza concessa al sottoscrittoCardinale Prefetto, ha approvato la presente Dichiarazione, decisa nella riunione ordinaria di questa

S. Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla Sede della S. Congregazione per la Dottrina della Fede, il 26 novembre 1983.

Joseph Card. Ratzinger, Prefetto Fr. Jérome Hamer, O. R, Arcivescovo tit. di Lorìum, Segretario

Bibliografia 

Angola Pellicciari, L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata, Piemme, CasaleMon.to (AL) 2000.

Roberto de Mattei, Le società segrete nella rivoluzione italiana, in Massimo vigllone, Larivoluzione italiana Storia critica del Risorgimento, Il Minotauro, Roma 2001, pp. 125-151.Claudio Croscimanno - Marco Fosco, Risorgimento: chi ha paura della verità?, Lux Veritatis,Isernia 2002.Florido Giantulli S.J., L’essenza della massoneria italiana, Pucci Cipriani Editore, Firenze 1973.Massimo introvigne (a cura di), Massoneria e religioni, L.D.C., Leumann (TO) 1994.

(Il Timone n. 24, Marzo/Aprile 2003)

È ora che Lutero passi le Alpi?di Angela Pellicciari

Vi fu un connubio evidente tra protestantesimo e Risorgimento italiano. Entrambi miravanoalla distruzione della Chiesa e a strappare dal cuore della nostra gente la fede cattolica. Perportarlo ad abbracciare il credo di Lutero.

[Da «il Timone» n. 58, Dicembre 2006]

Per capire la stretta alleanza che si realizza in Italia durante il Risorgimento fra mondo protestanteed élite liberale, conviene partire da una lapidaria affermazione comparsa sulla Civiltà Cattolica nel1856: «il protestantesimo non è altro che la molla della rivoluzione».Che cosa intendeva dire la rivista dei gesuiti? Intendeva dire che da quando Lutero comincia la suaviolenta opposizione contro Roma, i protestanti di tutto il mondo non fanno che combattere in ognipossibile modo, onesto e disonesto, la cultura e la civiltà cattoliche. Su tutti i fronti: politico,economico e sociale oltre che, ovviamente, religioso. I protestanti costituiscono, ha ragione laCiviltà Cattolica, la vera molla della rivoluzione.L'odio diffuso a piene mani dalla Riforma contro la «rossa prostituta di Babilonia» (appellativo daLutero rivolto a Roma), fa sì che i Savoia, trasformatisi in persecutori della Chiesa, trovino i piùfedeli alleati fra anglicani, calvinisti e luterani, d'Europa e d'America.Lo storico valdese Giorgio Spini ricostruisce il clima di aspettativa ed entusiasmo che accompagna,

all'estero, il processo di unificazione italiana, in Risorgimento e protestanti del 1989. Spini cital'affermazione della Christian Alliance americana del 1842: «In questo momento i destini di unagrande parte della razza umana dipendono dalle condizioni dell'Italia. L'impero che il pontefice

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romano tiene nel mondo del pensiero e della fede è legato da intima fratellanza, offensiva edifensiva, con sistemi secolari di malgoverno. Una rivoluzione intellettuale e morale in Italiasarebbe sentita ovunque si estende l'influenza di Roma».Nel 1847, ricorda lo storico, «l'Italia è già circondata da una sorta di assedio protestante, stesoleattorno dall'episcopato anglicano, dal presbiterianismo scozzese e dall'evangelismo "libero" diGinevra e Losanna, con un appoggio anche dal protestantesimo americano». Spini si pone una

domanda che non è retorica: «Quanti sono in Torino, o nell'Italia in genere, tra il 1849 e il 1860, adomandarsi se proprio quel problema della riforma religiosa non stia diventando il problemacapitale della situazione italiana?». Sta di fatto che il conte di Cavour farà un esplicito, ripetuto econvinto affidamento sui sentimenti anticattolici della classe dirigente inglese, fiduciosa «che lapolitica ecclesiastica del Piemonte sia l'inizio di una Riforma analoga a quella dei sec. XVI», per dirla con Spini.Si capisce con facilità che il Risorgimento in funzione anticattolica fosse accolto a braccia apertedai protestanti di tutto il mondo. Si capisce meno l'aperta simpatia filo-protestante dei liberaliitaliani - molti dei quali hanno poco a che spartire con un genuino interesse religioso -ripetutamente manifestata su giornali, riviste ed opuscoli, e nelle stesse aule del Parlamentosubalpino. Riteniamo che la motivazione dell'atteggiamento liberale vada ricercata nelle ricadute

politiche ed economico-sociali che la Riforma porta con sé.Dal punto di vista politico, dopo Lutero, potere temporale e potere spirituale vengono a coincidere.Lutero teorizza una perfetta democrazia all'interno della Chiesa: tutti sullo stesso piano, tuttiugualmente investiti dallo Spirito di Dio dal momento che il Magistero pontificio, espressione di unintollerabile sopruso, è soppresso. A questa perfetta uguaglianza sul piano spirituale corrispondeun'enorme disuguaglianza su quello temporale: è al principe, eletto dal Signore, che spetta laconservazione dell'ordine tanto nella Chiesa quanto nella società civile; è al principe che compete lavigilanza sul costume dei fedeli; è ancora al principe che spetta la nomina di pastori e visitatori. Ilprotestantesimo investe il principe di un potere assoluto. Evidente l'attenzione per il protestantesimoda parte dell'élite liberale: questa si ritiene investita del sacro compito di realizzare in Italia unariforma morale che coincide con la scomparsa del cattolicesimo, ma ha a che fare con unapopolazione tutta cattolica. Per tradurre in pratica il proprio disegno, i rivoluzionari italiani hannobisogno di uno Stato dai poteri veramente esorbitanti. Oltre all'aspetto politico, c'è un altroconcretissimo interesse che sospinge i liberali verso il protestantesimo: le rivoluzionarieimplicazioni socio-economiche della Riforma. Azzerando la gerarchia e gli ordini religiosi, legrandi proprietà che questi possiedono - frutto, vale la pena di ricordarlo, delle donazioni fatte dagliitaliani alla loro Chiesa nel corso dei secoli - perdono i legittimi proprietari. Vescovi, parroci edordini religiosi, non essendo più ritenuti soggetti di diritto, perdono la personalità giuridica. Con laconseguenza che tutti i beni della Chiesa, divenuti beni di nessuno, vengono messi sul mercato adisposizione dei migliore offerente.Grazie al Risorgimento, tutti i beni degli ordini religiosi sono caduti in mano all'uno per cento della

popolazione, di fede liberale. I ripetuti, ingenti e costosi tentativi di protestantizzare l'Italia sonoperò caduti nel vuoto: troppo radicato si è rivelato l'attaccamento della popolazione al cattolicesimo.Nel 1860, in La politica e il diritto cristiano, lo riconosce con molta lucidità Massimo D'Azeglio.Alcuni sperano di rendere l'Italia protestante?, si domanda il marchese. «No! Rinunziate ad unpensiero che era per voi una speranza. Le moltitudini in Italia o saranno cattoliche o nulla. Tutti glisforzi delle società bibliche e dei missionari non riusciranno a sostituire un'altra credenza a quellache ha nutrito le nostre generazioni, che ha dato all'Italia le sue arti, le sue costumanze, tutta la suavita sociale; si può di qua dalle Alpi giungere a una dissoluzione delle idee religiose, ad unadecomposizione morale, ad un niente [...] si può corrompere, viziare, dissolvere [...] ma sostituire alcattolicesimo il protestantesimo, giammai!». Buon profeta, D'Azeglio. Rimane da domandarsi secol niente e la decomposizione morale seguita alla scomparsa del cattolicesimo, se con l'apostasia

dalla religione nazionale, gli italiani abbiano fatto un buon affare.Con tutto ciò la nostra élite cultural-politica continua a credere (o a far finta di credere), che i malidell'Italia derivino dalla sua mancata Riforma. È di qualche mese fa una sibillina frase del

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governatore del Piemonte, la diessina Mercedes Bresso: «Se mai decidessi di convertirmi, ma loescludo, non abbraccerei certo la religione cattolica. Diventerei valdese».La nostra classe dirigente disprezza le masse cattoliche. E vuole che, una buona volta, i cattolici simettano da parte e la smettano di intralciare il progresso che avanza. Che lascino tranquilli igovernanti: loro sì che sanno cosa si deve fare. Va avanti così da quasi due secoli. Anche se ai nostrigiorni, con la crisi di fede che il mondo protestante attraversa, è più un riflesso condizionato che

vera propaganda filoriformata.

© il Timone

Risorgimento e Cattolicesimo, dibattito sempre aperto Intervista a Massimo Viglione

[Da «Zenit» del 19 febbraio 2006, ZENIT.org]

Può l’unificazione dell’Italia giustificare la guerra di espansione fatta dai Savoia nei confronti dellaSanta Sede? Le ruberie, gli espropri, le spogliazioni, le persecuzioni nei confronti della Chiesa e deicattolici?

A queste ed ad altre domande ha cercato di rispondere in maniera originale Massimo Viglione,docente di Storia Moderna all’Università di Cassino e all’Università Europea di Roma, con un libro"Libera Chiesa in Libero Stato? Il Risorgimento e i cattolici: uno scontro epocale (Città Nuova,pp.272, Euro 18,00)".

Per saperne di più, ZENIT ha raccolto questa intervista per voi.

Perchè questo libro? E quali sono le conclusioni a cui è

giunto? R: Gli studi sulla storia del processo unitario italiano hannoavuto una vera rinascita di interesse negli ultimi venti anni;decine di pubblicazioni, convegni, interviste hanno aperto nuoviscenari nella conoscenza storica degli italiani. Per la prima voltavari studiosi ed esperti, anche di differenti tendenze ideologiche,hanno voluto approfondire la tematica risorgimentale conserenità ma anche con sincerità, cioè senza il solito veloadulatorio e rifuggendo dalle banalizzazioni che negli ultimi 150anni le scuole storiografiche dominanti - la liberale, la

nazionalista, la marxista, la catto-progressista - hanno impostoin maniera acritica quando non fanatica. Ne è scaturita unarivisitazione intelligente e veritiera dell’intero movimentorisorgimentale e delle sue conseguenze - in pratica dell’interastoria italiana degli ultimi due secoli - che ha affascinato econtinua a coinvolgere un vastissimo numero di lettori non

supinamente accasciati sulla “vulgata” dei giacobini prima e dei quattro padri della Patria poi, buonie santi, e degli insorgenti prima e di Pio IX e dei Borboni e dei “briganti” meridionali poi, brutti ecattivi. Questo libro, che si incentra specificamente sulla guerra che il movimento risorgimentale hamosso contro la Chiesa Cattolica - dalle origini settecentesche fino agli inizi del XX secolo sotto lazavorra del fanatismo antireligioso massonico - fornisce il quadro generale dell’intero fenomeno

come finora non era mai stato presentato, arricchito dalle più recenti acquisizioni della suddettastoriografia. Per il lettore non esperto ma sereno idealmente, le sorprese non saranno poche, e forsequalcuna anche un po’ amara… Ma è il prezzo della verità!

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Sarebbe stato possibile realizzare l’Unità d’Italia senza una guerra tra Savoia e Santa Sede?

R: Certo, è ovvio. Sarebbe bastato fare la cosa più logica e sensata: fondare il nuovo Stato unitariosulle radici identitarie degli italiani, che affondavano - e affondano tutt’oggi, nonostante tutto - suiprecedenti 15 secoli di storia cristiana.

Invece, si volle procedere in maniera antitetica alla logica per evidente fanatismo anticattolico: sicondusse una guerra secolare contro la Chiesa e la fede degli italiani, in pratica contro la stessaidentità religiosa, civile e culturale di quelle popolazioni che si volevano riunire in un unico nuovoStato. È, appunto, il “fare gli italiani” di dazegliana memoria.Il problema è che gli italiani già c’erano, da secoli. E infatti, quando dimostrarono di non essered’accordo con le élites unitariste e anticattoliche, furono sterminati, come nel caso degli insorgentiprima e dei cosiddetti “briganti” meridionali poi. Un numero di gran lunga maggiore di 100.000italiani dovettero pagare con la vita e con la rovina economica il prezzo della loro fedeltà allaChiesa e ai propri secolari legittimi sovrani. Molti di coloro che restarono, furono poi costretti ademigrare per non morire di fame. E si tratta di milioni di persone, come ben sappiamo.Non dimentichiamo che il nostro è l’unico popolo dell’Occidente che negli ultimi due secoli, quelli

successivi alla Rivoluzione Francese e all’instaurazione del concetto moderno di democrazia, hasubito ben tre guerre civili. Che sembrano ancor oggi tutt’altro che finite nell’animo di moltiitaliani…

È esistito un risorgimento cattolico? 

R: È esistito, in quanto la Chiesa Cattolica non ha mai insegnato che l’Italia non potesse assumereforme politiche e istituzionali unitarie. Lo stesso atteggiamento di Pio IX in occasione del 1848 lodimostra ampiamente. Pio IX cambiò giudizio sul movimento unitario quando si rese conto che loscopo dei Savoia non era fare la confederazione degli Stati preunitari con a capo il Papa - vale a direuna forma istituzionale e politica rispettosa delle radici identitarie italiane - come previsto dalprogetto neoguelfo, bensì conquistare quanto più possibile della Penisola a danno degli altrilegittimi sovrani.Ma soprattutto quando si rese conto che i vari Mazzini, Garibaldi e perfino lo stesso Gioberti altronon volevano che un’Italia repubblicana e non solo senza Papato, ma definitivamentedecristianizzata. Allora, dinanzi a ciò, il papa che per primo aveva simpatizzato non con illiberalismo - dottrina sempre condannata dalla Chiesa - ma con l’idea di un’Italia cattolica econfederale, divenne il primo avversario - o meglio, la prima vittima - di quel movimento che avevacome scopo ultimo la scristianizzazione degli italiani.

Nel libro lei sostiene che obiettivo dei radicali e degli anticlericali era quello di sovvertire la

Chiesa, indicata da alcuni come “vecchio cancro”, e sradicare il cattolicesimo dall’Italia; e chequesto progetto ha una continuità nel regime fascista e nelle forze laiciste post SecondaGuerra Mondiale. Può illustrarci meglio questo suo punto di vista? 

R: Come molti storici hanno ormai asserito nei loro studi, penso a un Ernesto Galli della Loggia o aun Emilio Gentile, ma non solo, proprio l’ideologia giacobina e nazionalista allo stesso tempo delmovimento risorgimentista ha aperto la strada allo sviluppo dei totalitarismi nell’Italia del XXsecolo.Il fascismo non ha specificamente combattuto la Chiesa, ma ha tentato di cambiare gli italiani, dicreare il “nuovo italiano”; come lo stesso Mussolini spesso dichiarava - e Giovanni Gentile con lui -il fascismo era in fondo il più coerente esito del tentativo di “fare gli italiani”: cioè, del

Risorgimento. E si trattava di un italiano non cattolico, evidentemente…Quanto alle forze laiciste - sia liberali che marxiste e radicali - … beh, lo possiamo ben vedere nonsolo in tutto il processo di scristianizzazione attuatosi dopo il 1968, ma anche oggi ogni giorno nella

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vita politica quotidiana: le sembra che la Chiesa Cattolica, le gerarchie ecclesiastiche, i cattolici ingenere, possano dire oggi di vivere in una società che, non dico si ispiri, ma almeno rispetti le radicicristiane dalle quali l’Europa e l’Occidente sono nati e hanno sviluppato la loro millenaria civiltà?Come negare che proprio in questi giorni stiamo assistendo a un ritorno di quegli atteggiamentianticlericali - l’anticlericalismo è sempre il preludio, il primo inevitabile passo, di ogni forma dianticristianesimo - con un inquietante crescendo di toni e anche di azioni contro la Chiesa e la sua

dottrina, come anche gli ultimi due pontefici hanno ripetutamente denunciato? E allora la domandasi pone spontanea: dove trovare la sorgente di questo veleno mai esaurito?Per quanto riguarda l’Italia, la risposta è ovvia: proprio in quello spirito anticattolico di cui eracolma l’ideologia e la prassi politica delle élites liberali, giacobine e repubblicane che hannorealizzato l’unificazione italiana. Unificazione, appunto, e non unità. Lo possiamo costatare oggiogni giorno nella vita politica della società italiana.

© Zenit

La Questione del Mezzogiorno di Francesco Pappalardo

[Da Voci per un "Dizionario del pensiero forte"]

1. Per una definizione 

La Questione del Mezzogiorno o Questione Meridionale nasce dall’annessione forzata del Regnodelle Due Sicilie al Regno d’Italia, nel 1861, e la sua storia è la storia dei tentativi compiuti dalloStato italiano per sanare la lacerazione sociale e morale conseguente all’incontro-scontro fra realtàdisomogenee. Questo contrasto fra il "Nord" e il "Sud" — indicazioni geografiche che nascondonorealtà sociali complesse e differenziate — è ricondotto dal politologo Ernesto Galli della Loggia a

"[...] una diversità etico-antropologica così radicale da farne il punto critico per antonomasia dellaproblematica identità nazionale italiana" e dall’antropologo Carlo Tullio Altan a "uno scontro diciviltà", cioè a un urto fra differenti modelli culturali e forme diverse di organizzazione sociale, chedopo l’Unità sarà affrontato soprattutto come un problema di sviluppo ineguale.

2. Le origini 

La rappresentazione del "Mezzogiorno", cioè delle province continentali e insulari dell’ex Regnodelle Due Sicilie, come un blocco unitario d’arretratezza economica e sociale non trova fondamentosul piano storico, ma ha genesi e natura ideologica. I primi a diffondere giudizi falsi sugl’inferioricoefficienti di civiltà di quell’area sono gli esuli meridionali che, nel decennio 1850-1860, con la

loro propaganda antiborbonica non solo contribuiscono a demolire il prestigio e l’onore delladinastia, ma determinano anche una trasformazione decisiva nell’immagine del Sud, riproponendosecolari stereotipi sul "paradiso abitato da diavoli", presto ripresi dai titolari d’inchieste pubblicheo private. Dopo il 1860, l’intreccio di brigantaggio e di legittimismo borbonico spinge la classepolitica unitaria a individuare nelle province annesse il luogo da cui proviene la più grave minacciainterna di eversione e ad assegnarsi la missione d’inserire nella nuova compagine statale l’ex regnonapoletano, anche a costo di cancellarne l’identità storica. "La differenza tra il Mezzogiorno e il resto del paese — scrive lo storico siciliano Giuseppe Giarrizzo — si configura come polaritàsimbolica di barbarie e civiltà, di borbonismo e liberalismo, di "feudalesimo" nel Sud e vitaborghese nel Nord — una polarità esasperata dal contrasto mitico tra la difficile natura del Centro-nord e la naturale disposizione del suolo e del clima meridionale alla fertilità e agli agi".

I temi del meridionalismo saranno enfatizzati, a partire dai primi decenni del secolo XX, dal nuovoceto politico locale allo scopo di rivendicare ingenti provvidenze pubbliche e di porsi come

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mediatore nella loro distribuzione. Dopo la seconda guerra mondiale (1939-1945), la Questione delMezzogiorno viene affrontata con una politica d’interventismo statale, caratterizzata da una molecrescente di trasferimenti di risorse verso il Sud, che sono destinate prevalentemente a fini nonproduttivi e che in parte alimentano il circuito perverso politica-affari-criminalità.

3. Le interpretazioni economiche 

Da Pasquale Villari (1826-1917) ad Antonio Gramsci (1891-1937) il Mezzogiorno viene lettosoprattutto nei termini di un grande problema sociale e, pur nella diversità delle interpretazioni,l’analisi prende le mosse abitualmente dalla sua condizione materiale. Per il primo meridionalismo,definito "classico", la Questione del Mezzogiorno consiste nella mancata integrazionedell’economia del Sud nel processo di sviluppo capitalistico, mentre per le correnti d’ispirazionemarxista — e anche per Rosario Romeo (1924-1987), che "aggiorna" il meridionalismo liberal-democratico — questa integrazione è avvenuta, ma nei modi peculiari con i quali il capitalismoavanzato subordina a sé l’economia dei paesi arretrati, rendendola funzionale al suo sviluppo. Inentrambi i casi la lettura del Sud in termini di arretratezza — vista talvolta come divario d’originerispetto alle regioni settentrionali del paese, altre volte come frutto del processo di unificazione

gestito dallo Stato unitario — ha come riferimenti il modello economico liberale, nato dallarivoluzione industriale che determinò anche una profonda trasformazione dei rapporti sociali, eun’impostazione culturale idealistica, che giudica la storia del Mezzogiorno secondo il parametrodella crescita della coscienza civile, che sarebbe giunta a maturazione solo grazie al Risorgimento.Il Meridione d’Italia viene valutato, dunque, in ragione della sua devianza da quei modelli e vienedescritto in termini d’individualismo e di carente spirito civico, di arretratezza tecnologica e diresistenza alla modernizzazione, di corruzione e di clientelismo, utilizzando le dicotomiesviluppo/sottosviluppo e progresso/arretratezza come indicatori del livello raggiunto rispetto a unascala ideale da percorrere.

In realtà, nel 1860 la società "napoletana" viene incorporata in un sistema più ampio, nel qualeerano presenti i germi di uno sviluppo di tipo capitalistico e di una trasformazione della monarchiaamministrativa in un regime liberale — cioè i germi di un "altro" modello di sviluppo —, e ciòdetermina la subordinazione economica e politica del Sud nei confronti delle altre parti d’Italia,anche a causa della "sistematica e non graduata demolizione di un’immensità di istituzioni, diinteressi, di amministrazioni" — denunciata dal giurista Pasquale Stanislao Mancini (1817-1888)—, che aveva prodotto "una lesione troppo estesa e profonda".

4. Le interpretazioni sociali e culturali 

Nel secondo dopoguerra la fioritura degli studi sociologici sul Mezzogiorno si concretizza nella

elaborazione di alcune opinabili categorie interpretative — come quelle di "paganesimo perenne" edi "cultura subalterna", riferite al mondo contadino dallo scrittore Carlo Levi (1902-1975) edall’antropologo Alfonso Maria Di Nola (1926-1997) —, oppure nella lettura della specificitàmeridionale nei termini di una sua vocazione quasi antropologica a una religiosità elementare esuperstiziosa, come per l’etnologo Ernesto De Martino (1908-1965), o del Sud come sacca arretratae deposito di mentalità pre-moderne, come per il sociologo statunitense Ernest C. Banfield, teoricodel "familismo amorale", a suo avviso causa determinante di una disgregazione permanente dellasocietà. La categoria dell’arretratezza ricompare così come nodo ineliminabile della storia delMezzogiorno, in relazione alla sua subordinazione economica o alla sua struttura sociale e culturale,entrambe legate a presunti, secolari condizionamenti. In realtà, i preconcetti di certi studiosi, alcunidei quali stranieri, servono ad alimentare una letteratura d’impostazione discutibile, diffusa

soprattutto nel mondo protestante, secondo cui "[...] la vita religiosa del Sud — come nota lo stessoDe Martino — sta in fondo come pretesto fin troppo scoperto per condurre la polemicaanticattolica".

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Gli studi degli storici Gabriele De Rosa e Giuseppe Galasso hanno consentito, però, di superare illuogo comune di una cristianizzazione superficiale delle regioni meridionali e d’individuare inalcune sopravviventi pratiche magiche — ritenute comunemente parte integrante della religiositàdelle popolazioni rurali — solo il relitto di arcaiche strutture psicologiche e religiose. Anche ilgrande rilievo assunto dalla famiglia nella società meridionale — e nelle altre regioni d’Italia, dove

la socialità, secondo lo storico Marco Meriggi, "si sgrana quasi naturalmente in un ventaglio difamiglie, molto più che in una miscela di individui" — non è più ritenuto un sintomo di arretratezza,anzi proprio questa tenace caratteristica sociale ha rappresentato un limite quasi invalicabileall’espansione soffocante dello Stato unitario e il più sicuro antidoto nei confrontidell’individualismo politico ed economico. L’unione forzata in un "grande Stato", nel 1861, hadeterminato, prima ancora della spoliazione economica, la dispersione d’una parte rilevante delleinestimabili ricchezze culturali del Mezzogiorno, ma l’insieme dei caratteri e degli aspetti checontraddistinguono gli abitanti di queste contrade, soprattutto a livello del costume e della vita direlazione, s’è mostrato per lungo tempo resistente e impermeabile alla modernità, intesa comeinsieme di valori globalmente alternativi al cristianesimo e alla sua incidenza politica e sociale.

Il Sud, dunque, non è un’area arretrata o sottosviluppata, o un Nord mancato, ma piuttosto unasocietà dotata d’una forte personalità storica e d’una inconfondibile fisionomia, in cui si sonoriconosciute per lunghissimo tempo tutte le sue componenti sociali, una "nazione" che ha le sueradici remote nella vigorosa sintesi, realizzata dopo il secolo VI, fra tradizioni autoctone, culturagreco-romana e apporti germanici. Il Sud non è neppure una periferia d’Europa, caratterizzata dauna lunga separazione dal mondo civile o da note di subalternità o d’arcaicità, né è il luogo dicoltura della "napoletanità", intesa come un isolato universo antropologico e culturale. Al contrario,la civiltà del Mezzogiorno è stata una delle molteplici versioni della civiltà cristiana occidentale edè vissuta per secoli in uno stretto rapporto con l’"altra Europa" — presente ovunque nel continentedurante l’età moderna e collocata idealmente "sotto i Pirenei" dal giurista e storico spagnoloFrancisco Elías de Tejada y Spínola (1917-1978) —, che per molto tempo ha rappresentato lasopravvivenza di un’area di Cristianità e ha costituito un limite all’espansione della modernità.

5. Conclusioni

Negli ultimi centocinquant’anni il popolo italiano ha subìto un processo di alienazione della propriaidentità e della propria tradizione, romana e cattolica — che avevano vivificato e modellato nelcorso dei secoli i costumi, la mentalità e il comportamento degli abitanti della penisola —, da partedi quello che il sociologo delle religioni Massimo Introvigne chiama "[…] partito anti-italiano. Per questo partito "fatta l’Italia" non si trattava soltanto di "fare gli italiani"; si trattava piuttosto difare l’Italia contro gli italiani, o di disfare il tradizionale ethos italiano radicato nel cattolicesimo".

Il Mezzogiorno, in particolare, è stato aggredito contemporaneamente, e da più parti, da fermentiincalzanti di trasformazione, ma ha costituito un luogo di resistenza alla modernizzazione forzata.Dunque, non il particolare modo d’essere del popolo "napoletano", ma il tentativo diffusod’annientarne la personalità e di dissolverne l’eredità ha innescato un processo di alienazioneculturale, mentre il progressivo venir meno dei punti di riferimento sociali e istituzionali ha apertola strada allo sviluppo della criminalità organizzata, la cui forza non è il radicamento nelMezzogiorno — dove tutt’al più ha riattivato i circuiti classici della delinquenza locale,ampliandone le cerchie — ma l’incontro con fenomeni nuovi e poco "meridionali", come ilcommercio internazionale di droga e d’armi e la lotta per il controllo di enormi risorse finanziarie.

A partire soprattutto dalla seconda metà degli anni 1950 — con una nuova frana emigratoria, che haprodotto la disarticolazione definitiva dell’antica organizzazione sociale e territoriale, e conl’assimilazione dei comportamenti proposti dal modello consumistico, ritenuto superiore a quello

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crescente d’anno in anno, e rafforzata coi mezzi più sleali contro la pace ed il benessere del mioRegno Lombardo Veneto". Francesco Giuseppe prosegue: "Ai confini si trova il nemico, collegatocol partito della generale sovversione, e col palese progetto di impadronirsi a forza dei paesiposseduti dall’Austria in Italia. A suo sussidio, il dominatore della Francia, che con vani pretestis’immischia nei rapporti della Penisola italiana, regolati a tenore del diritto delle genti, pone inmoto le sue truppe, e già alcune divisioni di queste hanno oltrepassato i confini della Sardegna".

Il 29 aprile il conte Karl Buol, ministro degli esteri austriaco, invia una lunga ed interessantecircolare alle sedi diplomatiche austriache, in cui, fra l’altro, irride alle sbandierate glorie italiane diCasa Savoia: "L’ambizione d’una Dinastia, la cui vana e frivola pretesa all’avvenire dell’Italia non ègiustificata né dalla natura, né dalla storia di questo paese, né dal suo proprio passato e presente,non rifuggì dall’entrare in un’alleanza contro natura coi poteri del sovvertimento". Il conte denuncialo "abuso criminoso del sentimento nazionale delle popolazioni italiane" sistematicamente operatodalla corte di Torino che, grazie ad una "stampa sfrenata", accusa "ipocritamente le condizioni degliStati d’Italia" per attribuire al Piemonte "l’ufficio di liberatore". Il Piemonte che provoca la guerranon ha affatto a cuore la prosperità della popolazione italiana, conclude. Con la guerra che scatenail regno sardo "impedisce ed interrompe uno stato di regolare impulso e di svolgimento ripieno

d’avvenire". Nel quadro della campagna antiaustriaca rientra il caso del deputato Pier Carlo Boggioche incita gli italiani alla guerra ricordando un fatto vero. L’Austria si è spinta fino a decretare laleva obbligatoria, denuncia: "dopo avere stremati i beni degl’infelici popoli soggetti alla sua forzabruta", li ha colpiti "nei sentimenti i più sacri e i più potenti, col rapire ai genitori cadenti fin l’unicofigliuolo, solo sostegno, solo conforto loro". Il fatto è e Boggio lo ricorda che l’imperatore austriacotiene conto del coro di proteste che accompagnano la decisione della leva obbligatoria e sospende ilprovvedimento.

Il comportamento dei Savoia divenuti Re d’Italia è esattamente l’opposto. L’Armonia del 5 luglio1861 racconta il seguente raccapricciante episodio: "A Baranello un Francesco Pantano, capitolatodi Gaeta, per sottrarsi al servizio militare, cui era richiamato, riparò in un suo podere, ed ivisorpreso mentre dormiva, invece di essere arrestato, fu ucciso a colpi di baionette". La ripugnanzadella popolazione meridionale per la leva generalizzata, sconosciuta sotto il papa e sotto i Borbone,non induce il governo alla revoca del provvedimento ma al ricorso alla legge marziale.

Uniti per scristianizzare l’Italia di Angela Pellicciari

Il Regno di Sardegna dichiarò il cattolicesimo religione di Stato ma era retto da nemici dellaChiesa. 

[Da "La Padania", 6 settembre 2001]

Importante è che l’arcano non sia svelato. Perché il progetto del Risorgimento vada in porto èfondamentale che i liberal-massoni che reggono le sorti del Regno di Sardegna non venganoriconosciuti per quello che sono. Altrimenti la pretesa di costruire uno stato liberale e costituzionale-essendo tutta la popolazione cattolica - va a farsi benedire. Il primo articolo dello Statuto dichiarala religione cattolica ‘unica religione di stato’? I liberali sono costretti a sbandierare ai quattro ventila propria incrollabile fede cattolica. La propaganda liberale definisce il regno di Sardegna l’unicomoralmente degno di unificare l’Italia perché costituzionale? Il disprezzo per la quasi totalità dellapopolazione e le sue tradizioni va accuratamente celato.

Come reagisce la Chiesa, e per lei il papa, a questo lucido disegno di scristianizzare l’Italia? Lamaggiore preoccupazione di Pio IX è che i cattolici conoscano la verità e non cadano nell’insidiosae martellante propaganda liberale. Per mettere in guardia i fedeli contro le menzogne del governo

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subalpino, il 22 gennaio 1855 Mastai Ferretti rende pubblici i documenti che mostrano l’effettivostato delle relazioni diplomatiche fra Santa Sede e Regno di Sardegna a partire dal 1847. Il governodi Vittorio Emanuele sostiene di operare nella ricerca di un sincero accordo col papa: non è vero,scrive Pio IX. Come risulta in modo inoppugnabile dai documenti, la diplomazia sabauda si muoveall’insegna della più radicale doppiezza; la falsificazione sistematica della posizione del pontefice èla sua arma preferita; il governo di Vittorio Emanuele manifesta solo un’esplicita e reiterata volontà

di rottura. In chiusura del suo intervento il papa ricorda che la scomunica è l’inevitabileconseguenza della soppressione degli ordini religiosi che il regno sardo si accinge a sanzionare.

Il governo subalpino, che pur si definisce liberale, reagisce alla pubblicazione dei documentigridando allo scandalo ed accusando il papa di confusione mentale. E’ quanto fa Carlo Cadorna, ildifensore del principio del separatismo. Il papa, afferma Cadorna, fa ‘confusione’ e si espone ad‘assurde conseguenze’. A parere del deputato ‘una prova evidente e recentissima delle assurdeconseguenze del sistema della confusione dei poteri noi l’avevamo nei documenti che furonopubblicati per cura della Corte di Roma’: Cadorna ritiene di giudicare i fatti con più lucidità edequanimità del papa, e pensa che quando Pio IX minaccia la scomunica sia in errore.

Il deputato è convinto di valutare l’appartenenza alla Chiesa cattolica meglio di Pio IX: ‘Dovettiquindi interrogare su di ciò la mia sola ragione. Ed essendo appunto venuto a confermarmi nella giàantica mia convinzione, che gli oggetti di questa legge sono assolutamente estranei ad ogniingerenza del potere ecclesiastico, ne ho dovuto necessariamente inferire che i fulmini della Chiesanon potevano farmi cessare d’essere né credente né cattolico’.

Il guardasigilli e ministro del culto Urbano Rattazzi condivide il parere del collega: ‘Se le censure-sostiene - avessero per fine la tutela dei beni spirituali, della giurisdizione spirituale della Chiesa, ionon esiterei dall’invitarvi a dichiararvi affatto incompetenti ed a sottomettervi. Ma, siccome questecensure non hanno per iscopo che di mantenere certe temporalità, di assicurare alla Chiesa certibeni che la Corte di Roma stessa ed i nostri pastori dichiarano temporali, sui quali la potestà civile,ad esclusione di ogni altra, ha competenza [...] vi propongo di procedere oltre risolutamente e divotare il progetto di legge’.

Le motivazioni addotte da Cadorna e Rattazzi in parlamento sono alla lettera le stesse utilizzatedalla massoneria per negare alla Santa Sede il diritto di scomunicarla. Nell’opuscolo LaFrammassoneria in dieci domande e risposte, pubblicato a Genova nel 1867, si legge: ‘I cattolici-romani non sono tenuti ad obbedire agli ordini del Pontefice, come Capo della Chiesa, se non nellematerie puramente ecclesiastiche, o di giurisdizione spirituale. Ora, l’Associazione Massonica nonessendo ecclesiastica, né occupandosi menomamente di Religione, egli è evidente che nell’emanareun ordine a suo riguardo, i Papi oltrepassarono i limiti della loro giurisdizione’.

Dopo l’approvazione della legge contro i conventi, il 26 luglio 1855, tutti coloro che insieme col rel’hanno proposta, sostenuta e sanzionata, sono colpiti dalla scomunica maggiore. Il papa non puòfar altro che rendere pubblico lo stato dei fatti: il Regno di Sardegna, che dichiara il cattolicesimoreligione di Stato, è retto da nemici della Chiesa. Per tutta risposta il governo Cavour impedisce lapubblicazione delle encicliche pontificie. Nonostante l’articolo 28 dello Statuto tuteli la libertà distampa. In parlamento e fuori del parlamento i liberali scomunicati continuano a fare pubblicaprofessione di fede cattolica: cosa il papa pensa dei liberali che si definiscono cattolici non si devesapere.

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I sogni premonitori di Don Bosco di Angela Pellicciari

La legge di Cavour contro i conventi cattolici segnò la rovina dei Savoia. 

[Da "La Padania", 4 settembre 2001]

Il cattolico Piemonte assiste costernato al montare della persecuzione anticattolica. Cavour vadicendo che la legge contro i conventi gode del pieno sostegno dell’opinione pubblica, ma in Senatoil cattolico maresciallo Vittorio Della Torre lo smentisce platealmente: "Quando passate davanti auna chiesa stracolma di gente, cercate di entrarvi e chiedete che cosa si sta facendo; tutti quelli cheinterrogherete vi risponderanno che si sta pregando per il progetto di legge. Questo succede aTorino, ed è ancora più vistoso nelle province e soprattutto a Genova e in Savoia, ovunquel’opinione pubblica è contraria alla legge che discutiamo". Cavour può affermare che ilprovvedimento anticattolico del governo è pienamente condiviso dall’opinione pubblica perchéritiene che l’opinione dei cattolici non vada nemmeno presa in considerazione. Per sincerarsenebasta leggere cosa risponde a Della Torre: "L’onorevole maresciallo ha detto che gran parte dellapopolazione era avversa a questa legge. Io in verità non mi sarei aspettato di vedere invocatadall’onorevole maresciallo l’opinione di persone, di masse, che non sono e non possono esserelegalmente rappresentate". Quando Cavour sostiene che l’opinione pubblica è tutta col governo,Cavour ha ragione: l’1% della popolazione, di fede liberale, appoggia con convinzione iprovvedimenti anticattolici. L’opinione del 99% della popolazione, di fede cattolica, non conta. Lemasse devono limitarsi ad obbedire alle decisioni dei "governi illuminati". Quando si dice "opinionepubblica" ci si riferisce, per definizione, a quella dei liberali.

Ci si può chiedere come mai i cattolici piemontesi non si siano mobilitati contro la politicaanticattolica del proprio governo. Perché, oltre a pregare, non hanno organizzato pubblicheproteste? La risposta è chiara: perché non è abitudine della Chiesa comportarsi in questo modo.

Meno che mai è abitudine della Chiesa di Pio IX. Prova ne sia il manifesto che il papa vuole siaaffisso nelle strade di Roma mentre sta per fuggire alla volta di Gaeta, all’epoca della RepubblicaRomana. Scrive Pio IX: "Comandiamo ai nostri buoni e fedeli sudditi di non resistere, per nonmoltiplicare quegli odi civili, ad estinguere i quali daremmo volentieri la vita in olocausto. Quandoa Dio piaccia, ben potrà Egli senz’alcuna forza umana riedificare mediante l’amore dei popoliquesto temporale dominio della Santa Sede, che dall’amore dei popoli ebbe origine".

Nel Parlamento subalpino l’atteggiamento della Chiesa è ribadito dal cattolico Clemente Solarodella Margarita, per ben 11 anni ministro degli esteri di Carlo Alberto. La Chiesa, dice Solaro, "nondiscende colle schiere in campo in difesa dei suoi diritti, non minaccia incendi e stragi, facile èresistere a lei, fossero anche pusillanimi, deboli i suoi avversari. Inerme ho detto la Chiesa, e lo è;

soffre e non si vendica". Sulla docilità dei cattolici piemontesi fa pieno affidamento il presidente delConsiglio Cavour: "Da alcuni oratori - afferma - viene additata come conseguenza necessaria,inevitabile di questo progetto di legge una grande agitazione nel paese, da taluno con paroleminacciose". Il conte così continua: "Io nutro fiducia, ed una fiducia ferma, che quando la leggeavrà ricevuto la sanzione del parlamento e del Re, questa agitazione scomparirà all’istante".

L’eccezione conferma la regola. A dire le cose come stanno in Piemonte c’è un cattolico di tuttorispetto che combatte una dura battaglia contro la politica governativa. Si tratta di San GiovanniBosco. Personaggio d’eccezione, don Bosco è noto per un legame confidenziale col Padreterno chegli permette di leggere nel futuro. Per dissuadere il re dalla firma della legge eversiva il prete diValdocco racconta a Vittorio Emanuele II i sogni che fa. Non si tratta di sogni rassicuranti e don

Bosco è noto per essere profeta. Ecco i sogni: un valletto in uniforme rossa grida: "Annunzia: granfunerale in Corte!". Cinque giorni dopo il sogno si ripete con una variante significativa. Il vallettogrida: "Annunzia: non gran funerale in Corte, ma grandi funerali in Corte!". Cavour vince le

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comprensibili perplessità del re, terrorizzato, facendo intervenire i preti favorevoli alla politicaliberale. I teologi governativi tranquillizzano Vittorio Emanuele con queste considerazioni:"Maestà, non si spaventi di ciò che ha scritto don Bosco. Il tempo delle rivelazioni è passato".

Come sia come non sia, mentre la legge contro i conventi è in discussione al Parlamento la Coronasarda è colpita da lutti gravissimi. Il 12 gennaio muore a 54 anni la regina madre Maria Teresa; il 20

a 33 anni la regina Maria Adelaide; il 10 febbraio a 33 anni Ferdinando duca di Genova, fratello delre; il 17 maggio a 4 mesi Vittorio Emanuele duca del Genovese, ultimogenito del re. Don Bosconon si ferma qui. Subito prima della firma del provvedimento ricorda a Vittorio Emanuele: "Lafamiglia di chi ruba a Dio non giunge alla quarta generazione! Se V. S. segna quel decreto segneràla fine dei reali di Savoia". Come sia come non sia, i Savoia re d’Italia non sono arrivati alla quartagenerazione.

La Padania - 4 settembre 2001

E il Parlamento si schierò contro la Chiesa di Angela Pellicciari

È del 1855 la proposta di legge per la soppressione degli ordini contemplativi. 

[Da "La Padania", 29 agosto 2001]

La proposta di legge di Cavour e Rattazzi per la soppressione degli ordini contemplativi emendicanti è esaminata da una Commissione parlamentare le cui conclusioni sono esposte allaCamera dal relatore Carlo Cadorna. Il momento è delicatissimo perché il Parlamento subalpino staper scatenare quella durissima persecuzione contro la Chiesa cattolica che gli consentirà ditrasformare il Regno di Sardegna in Regno d’Italia.

Il 20 febbraio 1855, dunque, il lunghissimo intervento del relatore Cadorna è seguito congrandissimo interesse e la sua conclusione è accolta da un coro scrosciante di applausi liberatori.Cadorna ha infatti dimostrato come sia legittimo, corretto ed auspicabile che, nel nome dellacostituzione, si violi il primo articolo della medesima (quello che definisce "unica religione di stato"la religione cattolica). Come fa il relatore a mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa? Stabilendoi seguenti principi.

Primo: lo stato è nel suo pieno diritto quando sopprime una comunità religiosa perché questa è unasua creatura: la comunità religiosa - questo il pensiero della maggioranza liberale - è creata dallostato che la dota di personalità giuridica. Lo stato crea, lo stato può distruggere quanto ha creato.

Secondo: introducendo il principio del separatismo. È volontà di Dio - questa l’argomentazione diCadorna - che al potere spirituale spetti la giurisdizione sulla parte più nobile dell’uomo:sull’anima. Alla chiesa compete autorità sui "pensieri, le aspirazioni, le credenze". Al poteretemporale, viceversa, appartiene la giurisdizione sulla parte dell’uomo esterna e visibile: "la potestàcivile è necessariamente, ed essa sola, competente sopra i beni temporali e materiali". Senza pauradi sbagliare possiamo riassumere il pensiero di Cadorna nei seguenti termini: tutto quello che sivede cade sotto il potere temporale e quindi dello stato; tutto quello che non si vede cade sotto lagiurisdizione del potere spirituale e quindi della Chiesa. Definite così le rispettive zone di influenzaè chiaro, a parere del deputato, che i beni della Chiesa "non divengono spirituali per ciò solo, chesono destinati al culto". È chiaro altresì che lo stato può a buon diritto disporre a piacimento dei

beni della chiesa.

Siamo nel 1855 e la Commissione di cui Cadorna è relatore tiene a sottolineare la propria

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moderazione giuridica: non sviluppa fino in fondo tutte le conseguenze che si possono trarre daiprincipi stabiliti. La Commissione ha perfettamente ragione: è infatti ovvio che dall’enunciazionedei principi che fa propri, deriva la liceità per lo stato di sopprimere non solo gli ordinicontemplativi e mendicanti, ma tutti gli ordini religiosi. È altresì evidente che non solo i beni degliordini religiosi possono venire incamerati, ma anche quelli di parroci e vescovi. È chiaro soprattuttoche se non appartengono alla Chiesa, perché non sono spirituali, i beni materiali degli ordini

religiosi (le case e gli oggetti di proprietà di monaci e frati), a maggior ragione il Papa non puòrivendicare alcun legittimo possesso di un intero, materialissimo, stato.

Perché allora i governanti sardi agiscono, come sottolineano, con moderazione e non tirano tutte leconseguenze da principi giuridici così ben stabiliti? Perché hanno paura della reazione popolare. Adammetterlo è lo stesso Boncompagni, presidente della Camera, quando apre la discussione sulprogetto di legge. "Io avrei voluto che lo stato mettesse fin d’ora la mano sopra tutti i beniecclesiastici"; purtroppo non è possibile per il momento - sostiene - perché "voi non potreste privarei parroci senza cozzare vivamente colle abitudini, colle affezioni della nostra popolazione".

Fin dall’inizio del processo denominato "Risorgimento" il programma politico liberale è

perfettamente delineato. Si tratta di far pagare alla chiesa, e cioè a tutta la popolazione, il costodell’operazione che porterà Vittorio Emanuele a regnare sulla penisola italiana. Si tratta anche diprocedere con cautela perché gli italiani sono, sì, destinati ad essere emancipati dalla propria fedema per il momento sono ancora tutti cattolici. La persecuzione anticattolica va quindi anzituttonegata, poi attuata con cautela e poco per volta.

Nella lotta contro gli ordini religiosi, Cadorna - e con lui tutta la maggioranza liberale - enunciano ilprincipio dell’onnipotenza dello stato. Il totalitarismo in Italia non inizia col fascismo: Mussolininon è il primo fautore dello stato etico.

Le mani di Cavour sugli Ordini di Angela Pellicciari

Monache e francescani furono giudicati "inutili, quindi dannosi" da Rattazzi. 

[Da "La Padania", 25 agosto 2001]

Nel 1854 il governo del connubio Cavour-Rattazzi presenta in Parlamento un progetto di legge per la soppressione degli ordini religiosi contemplativi e mendicanti: il provvedimento riguarda 3.733uomini e 1.756 donne, complessivamente 5.489 persone.

Il govreno Cavour decide di farla finita con alcuni degli ordini religiosi più rappresentativi dellaChiesa cattolica: francescani, domenicani e monache di clausura. Perché? Perché - questa lastrabiliante ragione addotta dal Guardasigilli e ministro del Culto, Urbano Rattazzi - "sono inutili equindi dannosi". Deputati e senatori cattolici insorgono: con simili argomentazioni chi potrà piùstare tranquillo? Chi ci assicura che, continuando per la stessa strada, non vengano considerateinutili e quindi "dannose" altre normali occupazioni civili? Se passa una legge simile - obiettano -chi potrà più arginare il totalitarismo di marca liberale?

All’opposizione cattolica risponde il presidente del Consiglio, onorevole Cavour. Nei suoiinterventi in Parlamento il conte si propone di "dimostrare" che gli ordini religiosi non sono soloinutili - come sostiene Rattazzi - ma sono anche dannosi: la loro soppressione è quindi

perfettamente legittima, per non dire doverosa. A cosa sono dannosi gli ordini religiosi? Alprogresso. Proprio così, afferma Cavour. Bisogna ammettere che l’asserita "scientificità"dell’argomentazione del presidente non è meno fantasiosa dell’allegra noncuranza del Guardasigilli

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Rattazzi. Seguiamo il ragionamento di Cavour: "La società attuale ha per base economica il lavoro,laddove la società, in mezzo alla quale sorsero quegli ordini, riposava sulla base delle conquiste,della forza, della guerra. Nei tempi, nelle condizioni presenti nessuna società civile può prosperare,può mantenersi nello Stato, se non dà opera a favorire lo sviluppo del lavoro, a renderlo piùefficace, a renderlo stimato e rispettato. Ora, o signori, gli ordini puramente contemplativi, come gliordini mendicanti, si trovano in opposizione diretta contro questo principio sopra il quale riposa la

società moderna".

Monaci e frati rifiutano di mettere la ricchezza al primo posto? Si sottraggono ostinatamente allavoro che non produce ricchezza? E noi li sopprimiamo. La logica di Cavour non fa una grinza.Dopo aver matematicamente dimostrato - così ritiene - che gli ordini religiosi della "Chiesa di stato"sono dannosi al progresso economico, sociale e culturale, il conte si cimenta in un compito davveroimprobo: pretende di dimostrare che francescani e domenicani sono nocivi allo stesso progressoreligioso. Che monache e frati sono nocivi alla Chiesa cattolica cui appartengono. Ecco leincredibili parole del presidente del Consiglio: "Forse taluno mi dirà che se queste istituzioni nonsono utili alla società civile, e quand’anche fossero per alcun che alla medisima dannose, riesconoperò utili e necessarie alla società religiosa". Falso, afferma, e "stimo di poterlo dimostrare".

Ecco la dimostrazione: "Un gran fatto si è compiuto in Europa in questi ultimi anni, fatto che vienericordato con giusta soddisfazione da tutti coloro che hanno a cuore gl’interessi della religione. Si èmanifestato in molte parti d’Europa sopra una grande scala una reazione religiosa, un ritornoall’idea verso i principii e le dottrine religiose". Ebbene, si domanda il conte, "dove si è manifestatocon maggiore intensità? Dove questo ritorno degli spiriti e delle classi illuminate verso i principii ele idee religiose si è verificato? Forse in paesi in cui abbondino gli ordini religiosi, figli del medioevo? No certamente". Un gran ritorno, un rifiorire della religione non si è manifestato né in Spagna,né nello stato della Chiesa: si è manifestato invece in Germania, nel "Belgio liberale", nella"Francia illuminata" e nella "libera Inghilterra, là dove le antiche corporazioni religiose, figlie delmedio evo, sono quasi interamente scomparse". La carta geografica dei territori in cui Cavour stimache la "idea" religiosa sia tenuta in maggiore considerazione coincide con quella dei paesi retti dagoverni protestanti, liberali e massonici.

Con le sue affermazioni Cavour "dimostra" di che natura siano le proprie convinzioni civili ereligiose: secondo lui le cose vanno molto meglio nei paesi protestanti e massonici che in quellicattolici. Davvero non c’è male per un presidente del Consiglio di uno stato ufficialmentecostituzionale in cui la religione di tutta la popolazione, il cattolicesimo, è addirittura definita "unicareligione di stato".

Fu un sopruso la "liberazione" di Roma di Angela Pellicciari

Nel 1849 la città è guidata dal triumvirato: Pio IX, in esilio, ne denuncia le violenze. 

[Da "La Padania", 17 agosto 2001]

Ci è stato insegnato che nel 1849 la popolazione romana oppressa dal millenario giogo pontificiorisorge a nuova gloria sotto la guida di un triumvirato (Mazzini, Saffi, Armellini) che le ridona lalibertà. Quello che è certo è che gli uomini che hanno "liberato" la città eterna erano tutti, o quasi,rigorosamente stranieri. Il fatto è strano. Come si fa a ritenere che il genovese Mazzini, il nizzardoGaribaldi, il genovese ministro della guerra Avezzana, il friulano Dell’Ongaro direttore del giornale

ufficiale Monitore Romano, il napoletano Saliceti redattore della Costituzione (l’elenco è lungo) etutti i rivoluzionari che da ogni dove calano a Roma, possano occuparsi della città eterna con piùlungimiranza del papa e dei romani?

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Bisogna dirlo: la libertà che trionfa nella Roma del 1849 è la libertà di quanti non vogliono più chela Rivelazione - e la Chiesa che la interpreta - mettano freni o limiti alla volontà di potenza di quantisi ritengono "illuminati".

Quando i Gesuiti erano odiati come i tiranni di Angela Pellicciari

Dal 1848 inizia la guerra del Parlamento subalpino alla potente Compagnia. 

[Da "La Padania", 12 agosto 2001]

Con la proclamazione dello Statuto albertino il 4 marzo 1848 comincia, in Piemonte, il regnodell’uguaglianza, del diritto e della libertà. Fatto sta che mentre il primo articolo dello Statutodefinisce la "Chiesa cattolica apostolica e romana la sola religione di stato", il Parlamento subalpinoscatena una guerra senza frontiere contro la Compagnia di Gesù. Come se i gesuiti non fossero tutticattolici, apostolici e romani.

Per capire questa vistosa incongruenza bisogna tenere presente che la guerra scatenata dal mondoprotestante e massonico contro la chiesa cattolica ha nei gesuiti l’avversario principale e piùtemibile. Per combattere l’eccellenza dei gesuiti (nati proprio per contrastare la riforma protestante)la calunnia è sempre sembrata l’arma più appropriata. Nel 1614 vengono stampati a Cracovia i"Monita privata Societatis Jesus": supposte istruzioni segrete, radicalmente false, che i gesuitiavrebbero seguito per conquistare non il mondo a Cristo, ma il potere alla Compagnia. Da allora igesuiti (salvo curiosamente negli ultimi decenni) non c’è mai stata tregua. Interessante da questopunto di vista la lettera che il generale dell’ordine, padre Giovanni Roothaan, invia il 25 agosto del1850 all’imperatore Francesco Giuseppe per spiegargli l’origine dell’odio che circonda la

Compagnia. Secondo padre Roothaan la macchinazione parte da quella che definisce una "empiasetta": "per riuscire nei suoi disegni disastrosi, l’empia setta, alla quale è stato dato di prevalere unistante, si è sforzata soprattutto di combattere e di distruggere i sentimenti religiosi nei paesicattolici, e a questo fine essa ha attaccato in primo luogo gli ordini religiosi, nella cui esistenza essaindividuava un ostacolo alle sue mire. Ma tra tutti gli ordini religiosi quello che più eccitava il suofurore, quello di cui essa si sforzò con ogni mezzo di rendere financo il nome odioso a tutte le classidella società, è notoriamente la Compagnia di Gesù".

I liberali italiani si inseriscono questo filone collaudato che si accanisce contro i gesuiti per colpirela Chiesa. Le istruzioni di Mazzini al riguardo sono precise. Bisogna sfruttare al massimo la potenzadelle parole: "Vi sono parole generatrici che contengono tutto - scrive l’avvocato genovese - e che

devono ripetersi al popolo: libertà, diritti dell’uomo, progresso, eguaglianza, fratellanza; ecco quelloche il popolo comprenderà, soprattutto quando vi si contrapporranno le parole di dispotismo, diprivilegi, di tirannia, di schiavitù".

Chi è più dispotico, chi più tiranno dei gesuiti? "La potenza clericale - continua - è personificata neiGesuiti; l’odioso di questo nome è una potenza pei socialisti".

E così, mentre l’esercito combatte una guerra rovinosa contro l’Austria, il Parlamento subalpinopassa il tempo ad accumulare "prove"contro i figli di Sant’Ignazio. Definiti i gesuiti "lue", "peste","vespe", "setta fatale", deputati e senatori sanzionano la soppressione della Compagnia, esproprianotutti i beni dell’ordine e costringono i padri al domicilio coatto non perché rei di qualche colpa ma

perché membri di un ordine religioso considerato pericoloso per la libertà.

Perseguitati, cacciati dalle proprie case, espropriati di tutto, i gesuiti non possono nemmeno

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difendersi dalle calunnie lanciate dalla stampa ufficiale perché i giornali governativi non pubblicanole smentite. Ecco cosa scrive il 25 gennaio 1848 a Carlo Alberto il provinciale dei gesuitipiemontesi padre Francesco Pellico: "Era sapientemente dichiarato da V.[ostra] M.[aestà] nellanuova legge sulla stampa che dovesse rimaner inviolato l’onore delle persone e dei ministri dellaChiesa. Ma pare che nell’avvilire e calunniare i Gesuiti non si tema di trasgredire la legge". I padrisono "esposti per la sola qualità di Gesuiti al pubblico odio o alla diffidenza e al dispregio. Intanto

però i giornali e i libelli che ci fanno la guerra, approvati in ciò dalla censura, hanno diritto dirifiutare le nostre smentite; né tuttavia abbiamo noi un altro organo imparziale da stamparle conuguale pubblicità, se pure non ci venga concesso di farlo per via della gazzetta del Governo".

I Savoia e i liberali violano uno dopo l’altro tutti i principali articoli dello Statuto, compresol’articolo 28 che tutela la libertà di stampa: "La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gliabusi".

D’Azeglio, cospiratore per noia di Angela Pellicciari

Nei suoi Ricordi l’agente della massoneria confessa le sue vere motivazioni. 

[Da "La Padania", 8 agosto 2001]

"Re galantuomo", "l’Italia è fatta, si tratta di fare gli italiani". Queste parole d’ordine, questi mottiincisivi, perfetti dal punto di vista della propaganda, sono il frutto di un’intelligenza brillante e diuna fantasia disinvolta: quelle del cavaliere Massimo D’Azeglio, uno dei principali protagonistidell’epopea del nostro risorgimento nazionale.

Pittore, romanziere, genero di Manzoni, membro della migliore aristocrazia piemontese, amico di

tutti i massimi governanti d’Europa, Massimo D’Azeglio è l’uomo che può riuscire dove altri hannofallito. Così pensa la massoneria. Dopo i disastrosi tentativi insurrezionali di carbonari emazziniani, si impone un cambiamento di strategia: bisogna puntare su un uomo moderato,ufficialmente conosciuto come cattolico, che dia alla strategia rivoluzionaria un’apparenza diriformismo e, sotto questo camuffamento, riesca dove tutti gli altri hanno fallito.

Narcisista come pochi, è lo stesso D’Azeglio a raccontare l’episodio del suo incontro romano col"settario" Filippo. Il compito che la massoneria affida a D’Azeglio non è semplice. Si tratta diconvincere l’antico cospiratore Carlo Alberto a farsi promotore della lotta per la libertà el’indipendenza della penisola e si tratta anche di convincere i vari "fratelli" sparsi per l’Italia centro-settentrionale a fidarsi di lui. Il problema è serio perché già una volta (in occasione dei moti del

1821) Carlo Alberto in un primo momento aderisce alla cospirazione ma poi si tira indietro etradisce. D’Azeglio svolge brillantemente il compito affidatogli. La motivazione utilizzata per convincere i "fratelli" è davvero azzeccata: quando il ladro ruba per sé, si può star certi che facciasul serio. Bisogna aver fiducia in Carlo Alberto, sostiene. Capeggiare la rivoluzione italiana è nelsuo interesse perché alla fine dell’impresa avrà un regno immensamente più grande e prestigioso.D’Azeglio inizia così quella che con brillante giro di parole battezza "congiura all’aria aperta". Lacongiura, dopo tanto sangue sparso inutilmente, invece delle armi si serve della penna. L’armaprescelta, la penna della pubblicistica e della propaganda, è puntata contro l’Austria e contro loStato pontificio, accusati di essere la quintessenza dell’oppressione liberticida e del malgoverno.

È davvero tanto insopportabile la vita negli Stati preunitari? A tener conto di come la descrive lo

stesso D’Azeglio ne I miei ricordi non sembrerebbe. "Qual è l’opinione - scrive - l’idea, il pensieroche non si possa dire o stampare oggi in Italia, e sul quale non si possa discutere e deliberare? Qualè l’assurdità o la buffonata, o la scioccheria che non si possa esporre al rispettabile pubblico in una

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sala o su un palco scenico di qualche teatrino (pur di pagar la pigione s’intende) col suoaccompagnamento di campanello, presidente, vice presidente, oratori, seggioloni, candelieri diplaquè, lumi, ecc. ecc.? Basta andar d’accordo col codice civile e criminale; del resto potete apiacimento radunarvi, metter fuori teorie politiche, teologiche, sociali, artistiche, letterarie, chi vidice niente?".

Il torinese D’Azeglio, per di più, non sopporta la tetraggine bacchettona della Torino sabauda: "Edio, un odiatore di professione dello straniero, lo dico colla confusione più profonda, se volevo tirar il fiato, bisognava tornassi a Milano". E allora perché? Perché D’Azeglio si impegna con tantatenacia nella "congiura" all’aria aperta? Perché tanta fatica spesa per organizzare una campagna didisinformazione e di odio contro il papa e contro l’imperatore austriaco? Per vincere la depressione.Questa la candida ammissione del cavalier D’Azeglio: "Per aver modo di passar la malinconia -scrive ne I miei ricordi -, e finalmente il mio gusto per la vita d’avventure e d’azione".

Alle motivazioni ufficiali che nel 1861 rendono possibile la nascita del Regno d’Italia - oltreall’unità, alla libertà e all’indipendenza per intenderci - ce n’è un’altra da non sottovalutare: la noia.

Carlo Alberto, nemico della lega federale di Angela Pellicciari

Il Savoia osteggiò la proposta fatta da Ferdinando II di Borbone e appoggiata da Pio IX. 

[Da "La Padania", 4 agosto 2001]

Chi per primo lancia l’idea di una Lega federale fra i vari stati che compongono la penisola italiana?Strano a dirsi, ma il famigerato Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie.

Nel novembre del 1833, tramite il proprio ambasciatore a Roma conte Ludorf, Ferdinando II invitaGregorio XVI a farsi promotore di una Lega difensiva e offensiva fra i vari governi italiani per tutelare la religione, i troni e l’ordinamento sociale minacciati dal liberalismo, vale a dire dallarivoluzione.

Visti gli immediati precedenti storici - Napoleone e Murat -, si tratta anche di agire di comuneaccordo "verso quelle potenze straniere che sconsigliatamente volessero cooperare a favorire in uncaso estremo gli sforzi dei medesimi settarî".

La risposta del papa arriva per mano del cardinal Bernetti, segretario di stato, il 6 dicembre dellostesso anno.

Gregorio XVI apprezza la proposta e le intenzioni di re, ma non può far propria l’iniziativa perché"il carattere sacro di padre comune" impedisce al papa, "supremo gerarca di nostra santa religione",di "suonare la tromba di guerra od eccitare alle armi".

Le difficoltà cui accenna Gregorio XVI sono comprensibili, eppure l’idea della Lega si fa stradaall’interno della Chiesa e nel cuore di Pio IX, successore di Gregorio XVI.

Mastai Ferretti appoggia la costituzione di una Lega doganale, punto di partenza per un’unionefederale e, dietro al papa, è praticamente tutta la Chiesa a promuovere e a sostenere l’unificazioneitaliana attraverso un processo federale. Ecco con quale slancio, nel 1848, l’influente gesuita

Giuseppe Romano parla della Lega in La causa di gesuiti in Sicilia: "La Lega! Il sospiro di tantianni, il voto unanime de’ popoli italiani. La Lega federativa è diretta a tutelare a ciascuno dei popolifederati i suoi diritti, gl’istituti, le proprietà, le franchigie. La Lega ritenendo tutti i vantaggi che dà

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ad ogni stato la sua autonomia, aggiunge al loro aggregato tutta la forza che mancherebbe aciascuno di essi per costituirsi in nazione grande, ricca, commerciante, prosperevole e temuta".

La Lega, a parole da tutti auspicata, non si realizza perché sulla sua strada si frappone un ostacoloinsormontabile: Carlo Alberto di Savoia. Il Re di Sardegna ha l’ambizioso progetto di "fare da sé".Incurante delle più elementari norme di diritto internazionale, vuole diventare re d’Italia lui solo. Il

2 giugno 1846 il ministro degli esteri dello stato sardo, Clemente Solaro della Margarita, indirizza aCarlo Alberto un Memorandum per mettere in guardia Sua Maestà dai pericoli che la politicaliberale può comportare per il suo governo: "La corona d’Italia sarà una corona mal acquistata chepresto o tardi sfuggirà dalle mani di chi se ne sarà impadronito con un progetto politico opposto aquello voluto da Dio". Solaro ricorda a Carlo Alberto di essere il primo ad augurarsil’accrescimento del "potere" e dei "domini" di Casa Savoia, purché questo avvenga "senza lesionedi giustizia".

Il benservito a Solaro della Margarita, dopo undici anni di fedele servizio, è il più chiaro segno cheCarlo Alberto ha rotto gli indugi: Casa Savoia fa proprio il progetto massonico dell’unità nazionalesotto la bandiera liberale. Buon profeta Ferdinando II di Borbone.

Quanto da lui paventato diventa realtà: una casa regnante italiana si fa paladina, oltre che delleproprie, delle esigenze di potere di Francia ed Inghilterra, massime potenze liberali dei tempi.

Unità nel nome della "scienza" di Angela Pellicciari

Durante il Risorgimento le associazioni si riunivano per invocare "la gloria d’Italia". 

[Da "La Padania", 2 agosto 2001]

L’invasore Napoleone si muove nel nome della scienza. Quello che fa, lo fa per liberare i popoli dalgiogo dell’oppressione e dell’ignoranza. Napoleone ritiene giunto il momento in cui tutti debbanoriconoscere la bontà, la scientificità ed il valore dei principi massonici da lui incarnati. E’ così chedovunque arriva li propaganda nel nome della scienza, fondando dappertutto Società di Agricoltura,di Scienza e di Arti.

Caduta la stella di Napoleone, in piena Restaurazione, i liberali di tutti gli stati d’Italia tengono vivoil ricordo delle mitiche gesta dell’eroe corso e rinfocolano la speranza di un più roseo avvenire -gliantichi sovrani si sono affrettati a sopprimere le Logge sorte dovunque in epoca napoleonica-organizzando Congressi scientifici. Anima del movimento è un cospiratore legato a Napoleone da

stretti vincoli di parentela, Carlo Bonaparte, principe di Canino. Non è un caso che, a cose fatte, aRisorgimento ultimato, il sindaco di Roma Luigi Pianciani inaugurando nel 1873 il penultimoCongresso scientifico, finalmente convocato nella città dei papi, invita i convenuti ad una"profonda, immensa soddisfazione". "Sì, o signori, - sostiene - a me piace riconoscerlo qui in Roma,grandissima parte del risorgimento italiano è dovuto a voi; giacché ha cominciato il nostromovimento col Congresso scientifico che ebbe luogo in Pisa nel 1839". Cosa c’entra un congressoscientifico col processo di unificazione italiana? Per propagandare una religione diversa dalcattolicesimo in un paese profondamente cattolico, non ci si può servire della miriade diconfraternite e opere pie in cui la popolazione italiana è capillarmente suddivisa; per scalzare daipropri troni i rispettivi regnanti, non si può agire pubblicamente in qualcuna delle, pur prestigiose,istituzioni culturali e scientifiche dei vari regni. Per propagandare la rivoluzione, cioè l’unità e

l’indipendenza d’Italia, bisogna sfruttare tutti gli spazi possibili, creando le occasioni propizie. Aquesto mira l’Istruzione della carboneria quando prescrive: "Sotto il più futile pretesto, ma maipolitico né religioso, fondate voi medesimi, o, meglio, fate fondare da altri, associazioni e società di

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commercio, d’industria, di musica, di belle arti". La pratica dei Congressi scientifici che fra feste,fanfare e invocazioni dello Spirito Santo si apre solennemente a Pisa nel 1839, va in questadirezione. Da allora, e fino al 1847, si tiene un congresso all’anno, a turno, nelle diverse cittàd’Italia. Si prosegue con Torino, poi Firenze, Padova, Lucca, Milano, Napoli, Genova e, infine,Venezia. Un solo stato si rifiuta di ospitare le assise scientifiche di nuovo tipo, ricalcato sul modellodei paesi protestanti: lo Stato della Chiesa. Quale conclusione trarne? Che si tratta di uno stato

oscurantista, avverso al progresso e al sapere; uno stato che rende l’Italia, per utilizzare la coloritaespressione di Pianciani, "una terra di morti".

Organizzati per sezioni, i lavori dei congressi contemplano, insieme a quelli della medicina e dellescienze naturali, il tema dell’agricoltura. Quest’ultimo soggetto però, visto l’assetto eminentementeagricolo della nazione, non è affrontato solo nei congressi. La divulgazione capillare deimiglioramenti proposti dalla scienza in agricoltura, è favorita attraverso la costituzione di numeroseAssociazioni Agrarie, la prima delle quali vede la luce in Piemonte nel 1843.

All’associazione, ricorda lo storico massone La Farina nella Storia d’Italia, "si iscrissero non sologli studiosi delle scienze attinenti all’agricoltura, ma anche tutti gli uomini dotati di generosi e liberi

sentimenti": ben "tremila e seicento" i soci. Il numero sorprendentemente alto degli iscritti diventacomprensibile se si tiene conto che molti di coloro che vogliono modernizzare le colture non hannoalcun campo per tradurre in pratica le teorie. E infatti, è sempre il parere di La Farina, "la partepolitica, a volte predominò sulla scientifica": "ne’ banchetti e festeggiamenti, fra clamorosi applausiinvocavasi il nome d’Italia, le sue antiche glorie si rammentavano, nuove glorie e non lontani trionfile si auguravano". Anche in questo caso, sottolinea lo storico, la "parte gesuitica" fu decisamenteavversa alla vita delle associazioni e, con esse, al necessario sviluppo del progresso in campoagricolo.

La Farina confonde l’avversione cattolica alla messa in scena delle Associazioni agrarie con ilmancato interesse per i miglioramenti scientifici. Quante cose non si fanno per la scienza. Ieri comeoggi il mondo è sempre lo stesso.

Una guerra a colpi di scomuniche di Angela Pellicciari

Un capitolo poco noto del Risorgimento: i rapporti tra Chiesa e Massoneria.

[Da "La Padania", 29 luglio 2001]

"La liberazione d’Italia - opera eminentemente massonica - fu sorretta, in ogni suo passaggio

fondamentale, dalla iniziativa delle Comunioni massoniche d’oltralpe". Ad esprimersi così, nel1988, è il gran maestro Armando Corona che prosegue: la massoneria "fu il vero ispiratore emotore" del Risorgimento "perché sua era l’idea guida della liberazione dei popoli". Dal momentoche la massoneria è stata, per bocca dei suoi più autorevoli esponenti, protagonista delRisorgimento e dal momento che la popolazione italiana è da circa due millenni cattolica, vediamocosa la Chiesa cattolica pensi della società che ha animato, insieme a quella italiana, le rivoluzionidegli ultimi secoli.

La Massoneria moderna nasce a Londra nel 1717 e la prima delle centinaia di scomuniche emessedalla Chiesa nei suoi confronti è solo di qualche anno posteriore. Il 28 aprile 1738, nella bolla Ineminenti, Clemente XII condanna il segreto che caratterizza le associazioni dei Liberi-Muratori, il

silenzio imposto "intorno alle cose che esse compiono segretamente" (se non operasseroiniquamente, "non odierebbero tanto decisamente la luce"), il disaccordo con le leggi civili ecanoniche.

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Clemente XII vuole scongiurare il pericolo che "questa razza di uomini non saccheggi la Casa comeladri, né come le volpi rovini la Vigna; affinché, cioè, non corrompa i cuori dei semplici né feriscaoccultamente gl’innocenti". Tredici anni dopo è la volta di Benedetto XIV che, il 18 marzo del1751, pubblica la bolla Providas Romanorum. Nulla di nuovo, si tratta semplicemente di reiterare lecondanne già espresse: il papa è costretto a farlo perché "alcuni non hanno avuto difficoltà ad

affermare e diffondere pubblicamente che la detta pena di scomunica imposta dal NostroPredecessore non è più operante perché la relativa Costituzione non è poi stata da Noi confermata,quasi che sia necessaria, perché le Apostoliche Costituzioni mantengano validità, la confermaesplicita del successore".

Il 3 settembre 1821 è la volta di Pio VII con la bolla Ecclesiam a Jesu Christo. Il papa tornasull’argomento perché i "Carbonari pretendono, erroneamente, di non essere compresi nelle dueCostituzioni di Clemente XII e di Benedetto XIV né di essere soggetti alle sentenze e alle sanzioniin esse previste".

Pio VII ammonisce di non prestare "alcun credito alle parole" dei carbonari, perché "costoro

simulano un singolare rispetto e un certo straordinario zelo verso la Religione Cattolica e verso lapersona e l’insegnamento di Gesù Cristo Nostro Salvatore, che talvolta osano sacrilegamentechiamare Rettore e grande Maestro della loro società. Ma questi discorsi, che sembranoammorbiditi con l’olio, non sono altro che dardi scoccati con più sicurezza da uomini astuti, per ferire i meno cauti; quegli uomini si presentano in vesti di agnello ma nell’intimo sono lupi rapaci".Il pontefice ricorda che i carbonari sono all’origine dei tentativi rivoluzionari di quegli anni, eribadisce che "nel sovvertire questa Sede Apostolica sono animati da un odio particolare". Pio VIIIrinnova il monito nel 1829 e, sempre riferendosi alla Carboneria, afferma: "Tra tutte queste settesegrete Noi abbiamo risoluto di segnalarne alla vostra attenzione una speciale formata di recente: ilcui scopo è di corrompere la gioventù educata nei ginnasii e nei licei". Non lasciatevi "sedurre danessuna apparenza, né ingannare da veruna arte maliziosa", raccomanda il papa. I pronunciamentidella Chiesa contro la Massoneria si rinnovano nel tempo fino ad arrivare al più recente del26 novembre del 1983. In questa data la Congregazione per la dottrina della fede emette unprovvedimento solenne firmato dal Prefetto, card. Ratzinger, in cui si sostiene: "Rimaneimmutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche [...] eperciò l’iscrizione ad esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazionimassoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla santa comunione".

Cosa dire di più? Una piccola citazione può mostrare l’attualità dell’argomento. La voceMassoneria di una delle più diffuse enciclopedie mondiali su dischetto (The 1995 Grolier Multimedia Encyclopedia) dopo aver ricordato che in passato l’Istituzione è stata aspramente

combattuta dalla Chiesa specifica: "A papal ban on Roman Catholic membership in Masonic lodgeswas rescinded in 1983" (il divieto per i cattolici di far parte di logge massoniche è stato cancellatonel 1983). L’esatto contrario di quello che la chiesa ha solennemente ribadito. Niente di nuovo sottoil sole.

Dalla Carboneria fiamme sulla Chiesa di Angela Pellicciari

Distruggere il cattolicesimo, secondo documenti del 1818, sarebbe stato lo scopodell’associazione. 

[Da "La Padania", 27 luglio 2001]

Passato il ciclone Napoleone, a continuarne la battaglia rivoluzionaria restano i suoi eredi: militari

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che hanno acquisito ricchezza e potere, borghesi arricchiti con la legale spoliazione dei beni dellaChiesa, cadetti delle casate nobiliari, studenti romanticamente attratti dall’ideale nazionale. Imembri delle società segrete. "Chi pensava allora all’Italia, alla sua indipendenza, alla suarigenerazione? Meno poche eccezioni, la schiuma sopraffina della canaglia, che si riunivamisteriosamente nelle vendite dei Carbonari": in termini così poco lusinghieri Massimo D’Azegliodescrive ne I miei ricordi la società segreta protagonista dei tentativi insurrezionali dei primi

decenni dell’Ottocento. "Figliuola della Frammassoneria", come scrive nella Storia d’Italiapubblicata nel 1851 lo storico massone Giuseppe La Farina che parla, come sottolinea, con"cognizione di causa", la carboneria organizza i moti del 1817 a Macerata, del 1820 a Nola,Avellino, Napoli e Milano, del 1821 a Torino, del 1831 a Modena e nelle Legazioni. Gli intentidell’Alta Vendita, vale a dire della direzione strategica della rivoluzione in quel periodo, sonochiaramente enunciati in documenti caduti in mano della polizia pontificia. Si tratta di uninteressantissimo epistolario e di uno scritto noto col nome di Istruzione permanente redatto nel1818. Sia l’Istruzione che le lettere sono testi estremamente significativi perché, tenendoli presente,si capisce qualcosa di più del come e del perché si sia giunti alla formazione del Regno d’Italia.Quale lo scopo della carboneria? Detto in parole povere la liberazione dell’Italia dal cattolicesimo.E l’unità e l’indipendenza? Favole, miti per gente semplice e credulona. Proprio così scrive Felice a

Nubio - i nomi di battaglia dei carbonari non sono stati divulgati - l’11 giugno 1829:"l’indipendenza e l’unità d’Italia sono chimere. Pure queste chimere producono un certo effettosopra le masse e sopra la bollente gioventù. Noi, caro Nubio, noi sappiamo quello che valgonoquesti principii. Sono palloni vuoti". Per capire con quali armi i rivoluzionari contassero distroncare il cattolicesimo in Italia conviene citare per esteso i testi dei carbonari: si tratta didocumenti che non è esagerato definire agghiaccianti. La calunnia, la maldicenza, l’infiltrazionenelle file del clero, la disintegrazione della famiglia, la corruzione, sono le armi spregiudicatamentescelte e consigliate per conseguire lo scopo prefisso.

Veniamo ai testi. "Il nostro scopo finale - sostiene l’Istruzione - è quello di Voltaire e dellarivoluzione francese: cioè l’annichilimento completo del cattolicismo e perfino dell’idea cristiana";l’Alta Vendita si prefigge una "rigenerazione universale", inconciliabile con la sopravvivenza delcristianesimo. Vindice scrive a Nubio: "Noi abbiamo intrapresa la fabbrica della corruzione allagrande; della corruzione del popolo per mezzo del clero e del clero per mezzo nostro. Questacorruzione dee condurci al seppellimento della Chiesa cattolica". L’Istruzione prevede che, dovenon si arrivi con la corruzione, si debba supplire con la calunnia: "Schiacciate il nemico, quando èpotente, a forza di maldicenze e di calunnie"; una parola ben inventata, "una parola può, qualchevolta, uccidere un uomo. Come l’Inghilterra e la Francia, così l’Italia non mancherà mai di penneche sappiano dire bugie utili per la buona causa. Con un giornale in mano, il popolo non avràbisogno di altre prove".

Ancora: "Dovete sembrare semplici come colombe, ma sarete prudenti come i serpenti. I vostrigenitori, i vostri figli, le vostre stesse mogli devono sempre ignorare il segreto che portate in seno,e, se per meglio ingannare l’occhio inquisitore, decideste di andare spesso a confessarvi, siete aragione autorizzati a conservare il più rigoroso segreto su queste cose". Le istruzioni continuano:"dovete presentarvi con tutte le apparenze dell’uomo serio e morale. Una volta che la vostra buonareputazione sia stabilita nei collegi, nei ginnasi, nelle università e nei seminari, una volta cheabbiate catturato la confidenza di professori e studenti, fate in modo che a cercare la vostracompagnia siano soprattutto quanti sono arruolati nella milizia clericale. Si tratta di stabilire il regnodegli eletti sul trono della prostituta di Babilonia: che il clero marci sotto la vostra bandiera maidubitando di seguire quella delle chiavi apostoliche".

Da sempre le élite rivoluzionarie, considerando se stesse migliori del volgo, hanno creduto lorodovere insegnare al popolo cosa pensare. Da sempre lo hanno fatto poco a poco perché lapopolazione non si ritraesse inorridita. Da sempre si è trattato di insinuarsi pian piano con abile

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propaganda per poi venire all’improvviso - e simultaneamente - allo scoperto. Vanno tantodiversamente le cose ai giorni nostri? Solo fino a qualche anno fa sarebbero state pensabiliostentazioni della diversità sessuale, uteri in affitto, sperimentazione sugli embrioni, clonazionirealizzate ed annunciate e via discorrendo?

Nazionalismo, mito importato di Angela Pellicciari

Furono gli anglo-francesi a far rinnegare all’Italia la sua tradizione cattolica. 

[Da "La Padania", 25 luglio 2001]

Il mito del nazionalismo in Italia non è frutto della farina del nostro sacco. Abituati ad essere ilcentro del mondo civile e religioso, gli italiani fino a quando Napoleone non ha esportato sullebaionette la parola d’ordine dell’unità nazionale non si erano accorti di aver bisogno, per esseregrandi, di inventare un risorgimento nazionale.

Nazionalismo in Italia? Fino al secolo scorso, difficile che attecchisse. Abituati ad avere pochi rivaligrazie all’Impero prima e all’universalità del potere spirituale poi, per quasi due millenni al centrodello sviluppo culturale, economico e religioso, terra di santi che hanno cambiato la storia, gliitaliani hanno sempre pensato alla grande, in visione mondiale. La stessa consapevolezza di unaforte identità nazionale è stata da noi sempre radicatissima e, anche in questo caso, sviluppata moltoprima che prendesse radici altrove: Dante e la grande letteratura italiana del Trecento insegnano. Lamancanza dell’unità politica non ha mai inficiato la profonda identità collettiva fatta di lingua, dicultura, di storia, e, soprattutto, di religione.

Tutto cambia all’improvviso. Nel secolo scorso passiamo dall’impianto universalistico a quello

nazionale, che, nel nostro caso, è sinonimo di provinciale. L’Italia precipita quando la Francia, conNapoleone, riconquista l’impero. Papa Leone III inaugura il Sacro Romano Impero la notte diNatale dell’800 incoronando imperatore romano il re dei franchi Carlo, detto Magno. Nel 962 ilprimo imperatore della dinastia sassone, Ottone, stabilisce che solo principi tedeschi possanoambire alla carica di imperatore e fino al 1800 l’impero resta saldamente in mano tedesca. Nel 1804Napoleone mette fine al Sacro Impero Romano Germanico ed inaugura un impero di tipo nuovo,ugualmente universale (perlomeno nelle pretese), ma non più cristiano.

I francesi che invadono l’Italia, la spogliano e la rapinano, pretendono di esserne i liberatori. Dacosa? Dalla tradizione cattolica che, in netta continuità con quella romana, è, al contrario, laprincipale artefice della gloria italiana. Un fatto per tutti: nonostante le scientifiche spoliazioni,

l’Italia romano-cattolica possiede, da sola, più della metà del patrimonio artistico mondiale.

Propaganda: Francia ed Inghilterra, le due potenze che nell’Ottocento si contendono il predominiomondiale, invitano gli italiani a risorgere dalla schiavitù in cui sarebbero precipitati da tanti secoli(quelli della tradizione cattolica) per attuare anche in Italia quel processo di omologazione culturaleed economica che loro conviene e che la cultura cattolica tenacemente contrasta da quando ilprotestantesimo ha diviso in due l’Europa.

Propaganda. Al di qua e al di là della Manica i potenti di turno parlano lo stesso linguaggio,addirittura utilizzando le medesime parole. Tanto per farsi un’idea di quanto simili siano gli intentidei grandi di allora, basti confrontare il proclama di Napoleone al momento del suo ingresso a

Milano col necrologio di Cavour pronunciato da Palmerston al parlamento inglese.

Nel 1796 Napoleone fa scrivere: "Noi siamo amici di tutti i popoli, ed in particolare dei discendenti

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dei Bruti e degli Scipioni. Ristabilire il Campidoglio, collocandovi onorevolmente le statue deglieroi che lo resero celebre e risvegliare il Popolo Romano assopito da molti secoli di schiavitù: talesarà il frutto delle nostre vittorie, che formeranno epoca nella posterità. Vostra sarà la gloriaimmortale di aver cangiato l’aspetto della più bella parte d’Europa". Nel 1861 Palmerston afferma:"Abbiamo visto sotto la sua [di Cavour] guida e la sua autorità un popolo che sonnecchiavarisvegliarsi all’improvviso vigoroso e forte. Questo popolo era in realtà addormentato, inerte,

snervato dalla lussuria e dalla ricerca dei piaceri. Ora questo popolo, alla voce di un solo uomo, sirisveglia da un sonno secolare, sente in se stesso la potenza e la forza del gigante, e in poco tempoottiene quella libertà che per tanti secoli gli era stata rifiutata".

In questa propaganda ciascuno si inserisce come può, sempre però battendo sul tasto delle glorienazionali che devono risorgere. Basti citare il caso di Gioacchino Murat, divenuto Re di Napoli inqualità di cognato di Napoleone. Quando le sorti dell’illustre parente sono irrimediabilmentecompromesse, Murat, con poco senso della misura e nessuno del ridicolo, aspirando alla corona dire d’Italia, il 30 marzo 1815 bandisce da Rimini questo proclama: "Italiani! L’ora è venuta in cuidebbono compirsi gli alti destini dell’Italia; la Provvidenza vi chiama infine ad essere una nazioneindipendente. Dalle Alpi allo stretto di Sicilia odasi un grido solo: L’indipendenza d’Italia. A qual

titolo popoli stranieri pretendono togliervi questo primo diritto? Sgombri dal suolo italiano ognidominazione straniera. Padroni una volta del mondo espiaste questa gloria con venti secolid’oppressioni e di stragi. Sia oggi vostra gloria il non aver più padroni". Propaganda. Comereagiscono gli italiani all’invasione francese fatta nel nome della gloria romana da riconquistare?Facendosi ammazzare a decine di migliaia nelle insorgenze che capillarmente e spontaneamente sidiffondono su tutto il territorio nazionale. Alla propaganda napoleonica aderisce un’esiguaminoranza della popolazione: i liberali che, col tempo, riprenderanno la bandiera rivoluzionaria delrisorgimento nazionale.

Unità d’Italia: processo ai piemontesi di Maurizio Blondet

Il Risorgimento visto da un nobile irlandese: le ombre del governo sabaudo. 

[Da "Avvenire, 6 agosto 2000]

Patrick Keyes O’Clery, irlandese, aveva 18 anni quando nel 1867 si arruolò tra gli Zuavi per difendere il Papa: partecipò alla battaglia di Mentana dall’altra parte, ossia contro i garibaldini. A 21anni, nel 1870, è nel selvaggio West americano a caccia di bisonti. Ma, appreso che l’esercitoitaliano si prepara a invadere lo Stato Pontificio, torna a precipizio: il 17 settembre ‘70 è a Roma dinuovo. E’ filtrato tra le linee italiane con due compagni, un nobile inglese e un certo Tracy, futuro

deputato del Congresso Usa. In tempo per partecipare, contro i Bersaglieri, ai fatti di Porta Pia.

Tornato in Inghilterra ed eletto parlamentare, si batterà per l’autonomia dell’lrlanda. Nel 1880abbandona la politica per dedicarsi all’avvocatura. Morirà nel 1913, avendo lasciato due volumisulla storia dell’unificazione italiana. L’opera, che le edizioni Ares di Milano manderanno in libreriaalla fine di agosto (Patrick K. O’Clery, La Rivoluzione Italiana. Come fu fatta l’unità della nazione,780 pagine, 48 mila lire), sarà presentata al prossimo Meeting di Rimini giovedì 24 agosto. Operastupefacente degna del suo avventuroso autore, dovrebbe essere letta nelle scuole italiane: e nonsolo come esempio di revisionismo storico precoce e antidoto alla mitologia del Risorgimento.Vedere l’Italia con l’occhio di uno straniero di cultura anglosassone - allora il centro culturale epolitico del mondo - risulterà salutare.

Esempio. A proposito del brigantaggio del Sud, stroncato In anni spietati dal Regno d’Italia,O’Clery riporta voci di dibattiti parlamentari a Torino. Il deputato Ferrari, liberale, che nel

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novembre 1862 grida in aula: "Potete chiamarli briganti, ma combattono sotto la loro bandieranazionale; potete chiamarli briganti, ma i padri di quei briganti hanno riportato due volte i Borbonisul trono di Napoli. E’ possibile, come il governo vuol far credere, che 1500 uomini comandati dadue o tre vagabondi tengano testa a un esercito regolare di 120 mila uomini? Ho visto una città di 5mila abitanti completamente distrutta e non dai briganti" (Ferrari allude a Pontelandolfo, paese rasoal suolo dal regio esercito il 13 agosto 1861). O’Clery riferisce i dubbi di Massimo D’Azeglio (non

certo un reazionario) che nel 1861 si domanda come mai "al sud del Tronto" sono necessari"sessanta battaglioni e sembra non bastino": "Deve esserci stato qualche errore; e bisogna cangiareatti e principii e sapere dai Napoletani, una volta per tutte, se ci vogliono o no… agli Italiani che,rimanendo italiani, non volessero unirsi a noi, credo non abbiamo diritto di dare delle archibugiate".Persino Nino Bixio, autore dell’eccidio di Bronte, nel ‘63 proclamò in Parlamento: "Un sistema disangue è stato stabilito nel Mezzogiorno. C’è l’Italia là, signori, e se volete che l’Italia si compia,bisogna farla con la giustizia, e non con l’effusione di sangue". O’Clery non manca di registraregiudizi internazionali sulla repressione. Disraeli, alla Camera dei Comuni, nel 1863: "Desiderosapere in base a quale principio discutiamo sulle condizioni della Polonia e non ci è permessodiscutere su quelle dei Meridione italiano. E’ vero che in un Paese gl’insorti sono chiamati brigantie nell’altro patrioti, ma non ho appreso in questo dibattito alcun’altra differenza tra i due

movimenti".

O’Clery fornisce alcune cifre. Tra il maggio 1861 e il febbraio 1863, l’esercito italiano ha catturato"con le armi" e perciò fucilato 1038 rivoltosi; ne ha uccisi in combattimento 2.413; presi prigionieri2.768. Inoltre; "Secondo Bonham, console inglese a Napoli, sistematicamente favorevole aipiemontesi, c’erano almeno 20 mila prigionieri politici nelle carceri napoletane", ma secondo altrestime 80 mila. I più - indovinate - in attesa di giudizio, o addirittura del primo interrogatorio, "senzasapere di cosa fossero accusati", in celle sovraffollate: testimonianza di Lord Henry Lennox, unturista di rango che nel 1863 visitò appunto le prigioni di Napoli.

Altro esempio: la politica finanziaria del neonato Regno d’Italia. Non vi stupirà sapere che l’Italiaanche allora covava un deficit mostruoso. O’Clery fornisce dati precisi di bilancio. Ma basterà unsuo dato: il deficit del Regno nel 1866 fu di 800 milioni di lire, "Cifra pari alla metà delle entratedella Gran Bretagna e lrlanda", ossia del Paese allora più ricco d’Europa. Deficit coperto da "prestitie ipoteche sui beni nazionali, vendita di beni demaniali e istituzione di monopoli", ovviamentecoperti da stranieri, prodromo e causa della durevole dipendenza italiana da interessi finanziariestranei. "Altra grande risorsa fu la rapina ai danni della Chiesa", la confisca dei beni e degli ordinireligiosi, "che nel solo 1867 fruttò 600 milioni". La condizione della Chiesa nel Regno viene cosìriassunta dal nostro irlandese: "Esilio e arresto di vescovi; proibizione di pubblicare le enciclichepapali; detenzione di preti e sorveglianza della loro predicazione; soppressione di capitoli e beneficie incameramento dei beni; chiusura di seminari; leva obbligatoria per i seminaristi; rimozione delle

immagini religiose sulle vie e divieto di processioni".Se il lettore d’oggi troverà in questo riassunto qualche tratto anacronisticamente sovietico, non ètutto. Leggendo O’Clery, finirà per chiedersi se i cronici mali italiani che siamo abituati aconsiderare "retaggi borbonici" (ottusità amministrativa, inefficienza e improvvisazione,centralismo autoritario) o persino "fascisti" (tracotanza guerrafondaia) non sarebbero invece daribattezzare savoiardi o piemontesi. L’enorme deficit del regno, scrive O’Clery, è dovuto alle speseper mantenere "il più grande esercito d’Europa" e formare "una marina imponente per numero equalità", nel tentativo di "recitare il ruolo di grande potenza". Quel costoso esercito fu come notosconfitto dagli austriaci a Custoza, per l’insipienza dell’"eroe" Lamarmora (ma anche Garibaldi, cheproclamò di prendere Monaco "in quindici giorni", fu bloccato in Trentino da pochi jaeger).

L’enorme flotta corazzata subì a Lissa la nota umiliante sconfitta, contro navi di legno.

Poteva mancare il ricorso all’iniqua pressione fiscale? Non mancò. "Nel Regno delle Due Sicilie la

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tassazione era, nel 1859, di 14 franchi a testa. Nel 1866, sotto il nuovo regime, le tasse erano salitefino a 28 franchi a testa, il doppio di quanto pagava l"’oppresso" popolo napoletano prima cheGaribaldi venisse a liberarlo".

La tassa sul macinato, bersaglio polemico dei patrioti mazziniani quando l’applicava il governopontificio, "fu più che raddoppiata ed estesa a tutte le granaglie, perfino alle castagne". Causa la

fiscalità, vi stupirà sapere che fu necessario organizzare "la lotta all’evasione"? Fu organizzata, emanu militari. I contribuenti in arretrato subivano "perquisizioni domiciliari" e durante queste"visite", che evidentemente duravano giorni e notti, avevano l’obbligo di cedere ai soldati "i lettimigliori" nelle loro case. Ciò non impedì che il Regno restasse sempre in pericolo d’insolvenza.Tanto che i titoli del debito pubblico italiano "si vendono a 33 punti sotto il loro valore nominale",al contrario del debito napoletano; che "fino al 1866 era così solido, che i suoi titoli si ponevano aldisopra del nominale". Si dirà il prezzo fu alto, ma almeno il Sud fu raggiunto dalla modernità, ipiemontesi portarono un’amministrazione più razionale; saranno stati ottusi, ma erano incorruttibiliNo. "La contabilità pubblica si trovava in condizione spaventosa, ordini di pagamento nonautorizzati apparivano continuamente nei registri della Corte dei Conti", e il caos favoriva"malversazioni di ogni genere".

O’Clery cita: "Nel 1865 il ricevitore generale delle imposte a Palermo fuggi con 70 mila franchi; aTorino fu scoperta una stamperia di tagliandi del debito pubblico e un impiegato delle Finanze,processato per ciò fu assolto ...L’anno 1866 portò alla luce le frodi degli impiegati incaricati dellavendita dei beni ecclesiastici; a Napoli un alto ufficiale di polizia fu arrestato per essersi appropriatodi fondi destinati ai pubblici servizi. Casi simili se ne possono citare all’infinito", conclude O’Clery:e chissà perché, noi spettatori di Tangentopoli 1992, siamo inclini a credergli sulla parola. Maalmeno, uno stato militaresco, mise ordine nel disordine pubblico del Meridione? Stroncò la mafia?Serafico, O’Clery dà la parola alla Guida della Sicilia una guida turistica per inglesi, scritta da uncerto Murray, che metteva in guardia: "Le strade siciliane non sono più sicure come al tempo delgoverno borbonico, il quale. Pur con tutti i suoi errori ebbe il merito di rendere le sue strade sicurecome quelle del Nord Europa". Piacerebbe non crederci. Attribuire questi racconti all’animopapalino e "reazionario dello storico. Purtroppo, qualcosa lo impedisce. L’Italia vista dagli occhi diO’Clery ci appare sinistramente familiare. Per noi lettori del Duemila, l’effetto è un déjà vu.

Risorgimento massonico? di Angela Pellicciari

Apparso in Studi Cattolici, n. 440, Ottobre 1997.

"Vi fu, o signori, un tempo di corruzione, di decadimento, di barbarie, in cui poté credersi virtù

evangelica il ritirarsi dal guasto secolo all’ombra d’un romito chiostro. Ma ora, o signori, queitempi sono trascorsi. Ora non è più sotto un bianco o bigio mantello che si serve il vangelo. E noiintanto osiamo consumare così preziosi giorni ad argomentare, a distinguere, a sottilizzare per sapere quale diversità esista tra un gesuita, un gesuitante, un gesuitino, un gesuitastro"; "Io voteròper quanti più oblati, e paolini, e monaci, e frati di tutti i generi e di tutti i colori vorrà abolire laCamera".A parlare così è Angelo Brofferio, scrittore benemerito di casa Savoia (Carlo Alberto lo prega dimettere la sua penna al servizio della causa nazionale, Vittorio Emanuele II lo incarica di scrivere lastoria del Parlamento subalpino), in un intervento pronunciato alla Camera dei deputati il 19 luglio1848, mentre è in discussione il provvedimento di soppressione di Gesuiti e ordini affini,genericamente definiti "gesuitanti".

Angelo Brofferio, dunque: come è potuto finire nel Parlamento di uno Stato ufficialmente cattolicoun uomo così profondamente anticattolico?

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Ce lo racconta Roberto D’Azeglio, fratello del più noto Massimo, scrivendo al figlio Emanuele,diplomatico: "Da informazioni sicure siam fatti certi come a Busca e Caraglio per allettare i paesania votare Brofferio si faceva loro credere che era un uomo eminentemente religioso, assiduo aisacramenti, amico della pace e dell’ordine, nemico della repubblica e il più perfetto onest’uomo delpaese perseguitato per causa della sua pietà e del suo realismo" [Cfr C. D’AZEGLIO, Souvenirs

historiques de la marquise Costance D’Azeglio, Torino 1884, pp. 380-381].

Questo piccolo fatto, tutt’altro che isolato, è esemplare ed emblematico: il Risorgimento è statorealizzato anche facendo sistematico uso di propaganda menzognera, diffusa ad arte tra lapopolazione cattolica, ingenua e credulona.

Vecchie polemiche che rispolverano tesi ultraconservatrici: così è stato definito l’articolo comparsonel numero di luglio/agosto. Vecchie polemiche? Per spiegare che così non è, bisogna richiamarealla memoria quanto stampa, libri di testo e saggi storiografici hanno da tempo smesso diraccontare. Si tratta di ricordare perché la Massoneria ha voluto la scomparsa dello Stato dellaChiesa (e di conseguenza l’unità della penisola) e la riduzione di Roma da caput mundi a caput 

Italiae. L’unico modo per farlo è analizzare le fonti dell’epoca.

La visione del mondo della massoneria ottocentesca (se e in che misura questa sia cambiata èquestione che qui non interessa) è interamente costruita intorno a due presupposti. Il primo è che laRivelazione non esiste: rifiutando la Rivelazione i massoni ritengono spetti all’uomo in totaleautonomia e col solo aiuto della ragione stabilire quali siano le leggi della morale e del viverecivile. Questo è anzi il compito che i massoni ritengono loro proprio ed esclusivo: ancora il 10febbraio 1996 una pagina intera di pubblicità sul Corriere della Sera ricorda che i massoni "hannola responsabilità morale e materiale di essere guida di altri uomini".

Il secondo presupposto è che la natura dell’uomo (della specie umana, non del singolo) ècostantemente perfettibile: si tratta del mito del Progresso che induce a ritenere possibile ilraggiungimento su questa terra della felicità (il diritto alla felicità tanto solennemente iscritto nellaCostituzione americana) conseguito attraverso il pieno sviluppo di tutte le potenzialità umane.

Una strana tolleranza 

La massoneria ritiene dunque possibile raggiungere la tangenza uomo-dio con le sole forze dellaragione, e cioè per natura, mentre nega che per partecipare alla natura divina ci sia bisogno dellagrazia, concessa da Dio per i meriti di Suo Figlio Gesù Cristo a coloro che si pentono e siconvertono. Gli aspetti di satanismo che colorano tante posizioni massoniche derivano da questa

convinzione: nel Libro della Genesi quando Satana si rivolge a Eva lo fa per insinuarle il desideriodi diventare Dio come se ciò fosse possibile in forza di un semplice atto di volontà: "Dio sa chequando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio" (Gn 3, 5). Tanto per restare in Italia, è in questo contesto teorico che Giosuè Carducci compone l’Inno a Satana("Salute, o Satana, O ribellione, O forza vindice De la ragione! ").

Dal momento che la massoneria ritiene suo compito specifico tracciare la distinzione tra bene emale, quale ruolo attribuisce alle religioni positive? Praticamente nessuno. Le ritiene tuttesuperstizioni locali buone per il volgo, utili solo ancora per qualche tempo: il tempo necessarioperché tutti gli uomini imparino a usare la ragione e cioè diventino massoni. Il luminare dellamassoneria francese J. M. Ragon che scrive con l’esplicita approvazione del Grande Oriente di

Francia, sostiene che la massoneria apre i suoi templi agli uomini "per liberarli dai pregiudizi deiloro paesi o dagli errori delle religioni dei loro padri" e afferma che l’Ordine "non riceve la leggema la stabilisce (elle ne reçoit pas la loi, elle la donne) dal momento che la sua morale, una ed

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immutabile, è più estesa e più universale di quelle delle religioni native, sempre esclusive" [Cfr.Cours philosophique et interprétatif des initiations anciennes e modernes, Parigi 1853, pp. 18, 38].

La massoneria italiana è perfettamente allineata su questa posizione. La Costituente che si riuniscenel maggio del 1863, dopo aver precisato che la massoneria "non prescrive nessuna professioneparticolare di fede religiosa, e non esclude se non le credenze che imponessero l’intolleranza delle

credenze altrui", precisa (art. 3) che i princìpi massonici debbono gradualmente divenire "leggeeffettiva e suprema di tutti gli atti della vita individuale, domestica e civile" e specifica (art. 8) chefine ultimo dell’Ordine è "raccogliere tutti gli uomini liberi in una gran famiglia, la quale possa edebba a poco a poco succedere a tutte le chiese, fondate sulla fede cieca e l’autorità teocratica, atutti i culti superstiziosi, intolleranti e nemici tra loro, per costruire la vera e sola chiesadell’Umanità" [Cfr L. PARASCANDOLO, La Framassoneria, IV, Napoli 1869, p. 120].

La convinzione che tutte le religioni debbano col tempo cedere il passo alla verità (quella che lamassoneria definisce tale), viene espressa dall’Ordine con la magica parola di tolleranza. Definendose stessa tollerante e pacifica, la massoneria definisce intolleranti e violenti coloro che massoni nonsono né vogliono diventare ("Non esclude se non le credenze che imponessero l’intolleranza delle

credenze altrui").

Se questo è il discrimine tra tolleranza e intolleranza è chiaro che l’istituzione più intollerante ditutte è la Chiesa cattolica: la Chiesa afferma infatti di possedere la verità e di possederla per interograzie a un intervento esplicito e definitivo di Dio. Afferma per di più (Pio IX sa quello che faquando proclama il dogma dell’infallibilità pontificia nel 1870) che il papa, vicario di Cristo,quando si esprime in materia di fede e di morale lo fa in termini buoni in assoluto, perché perfetti everi.

Con la sua stessa presenza, insomma, la Chiesa cattolica è la negazione della bontà e verità (nonchépraticabilità) del credo massonico. È chiaro pertanto che, al di là delle parole, il papa e la Chiesasono i nemici naturali e mortali di ogni massone: "La massoneria avrà la gloria di debellare l’ideaterribile del papato, piantandovi sulla fossa il suo vessillo secolare - verità, amore" [Cfr. Bollettinodel Grande Oriente della Massoneria in Italia, 1869, p 328].

Mobilitazione internazionale 

L’appoggio internazionale all’unificazione italiana (appoggio che non consiste solo nella coperturapolitica data ai Savoia, ma anche in concretissimi prestiti e ingenti fondi investiti nell’impresa) è davedersi principalmente in relazione all’obiettivo prioritario della massoneria: la lotta al papatoromano e quindi, nella convinzione che la fine del potere temporale avrebbe fatalmente comportato

anche quella del potere spirituale, la guerra allo Stato della Chiesa. Il Bollettino esprime questarealtà con molta chiarezza nell’aprile del 1865: "Le nazioni riconoscevano nell’Italia il diritto diesistere come nazione in quanto che le affidavano l’altissimo ufficio di liberarle dal giogo di Romacattolica. Non si tratta di forme di governo; non si tratta di maggior larghezza di libertà; si trattaappunto del fine che la massoneria si propone; al quale da secoli lavora, attraverso ogni genere diostacoli e di pericoli".

"A Roma sta il gran nemico della luce. Lo attaccarlo ivi di fronte, direi quasi a corpo a corpo, èdover nostro" [Cfr. Gran Maestro Mazzoni, Rivista della Massoneria Italiana, 1872, n 1]:dall’attacco alla Roma pontificia la comunione massonica italiana si ripropone, oltre all’obiettivocomune a tutto l’ordine, il raggiungimento di un suo fine particolare. I massoni italiani si

ripromettono infatti di far risorgere la potenza e la forza della Roma pagana e imperiale: è il mitodella Terza Roma tanto cara a Mazzini (da questo punto di vista Mussolini trova il terreno benpreparato). Ma lasciamo la parola alla Rivista dell’Ordine: "Il sodalizio massonico in Italia ha

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combattuto accanitamente e quasi debellato con le armi della ragione, la parte degenere edimputridita del cristianesimo, ed ha molto cooperato a tagliare le unghie sanguinose alla immondaarpia, che della città più grande e più gloriosa del mondo avea fatto semenzaio di superstizione epropugnacolo contro ad ogni umano incivilimento"; "Facciamo sì che dalla Eterna Città nostra laluce si diffonda per l’Universo, che il mondo ammiri a canto del nero ed avvilito Gesuita, il liberogigante potere della massoneria" [Cfr. Rivista della Massoneria Italiana, 1872, n. 1 e n. 3].

Il credo ideologico della massoneria che abbiamo ricordato, è essenziale per capire la storia italianadegli ultimi duecento anni. Per realizzare il suo programma, la massoneria deve infatti neutralizzarela resistenza dei cattolici.

Come evitare che i cattolici di tutto il mondo insorgano in difesa dello Stato della Chiesa che da piùdi un millennio difende il papa dalla prepotenza di prìncipi e sovrani ed è l’orgoglio e il gioiello ditutta la cristianità? Per scongiurare questo pericolo la massoneria organizza una più che decennalecampagna internazionale basata sull’uso sistematico della calunnia e della menzogna in cui dipingelo Stato della Chiesa come il più sanguinario, retrogrado e mal amministrato di tutta la terra. Controogni ragionevolezza e contro ogni verità storica, l’Ordine cerca di convincere i cattolici che la

semplice esistenza di uno Stato pontificio è contraria all’insegnamento di Cristo, vissuto povero emorto in croce, e assicura che rinunciando alla sua visibilità (dal momento che non siamo purispiriti ciò equivale alla rinuncia all’esistenza) la Chiesa avrebbe guadagnato in spiritualità epurezza.

In questa campagna anticristiana un posto di rilievo spetta, in Italia, a Massimo D’Azeglio.D’Azeglio parla da cattolico e può indirizzarsi ai "cattolici più devoti" senza suscitarne la diffidenza("In Italia e fuori d’Italia, non solo i protestanti ed altri avversari di Roma ma gli stessi cattolici piùa lei devoti e gli stessi preti, ove non sien mossi da private passioni, si spogliano di ogni stima delprincipato temporale del papa, lo predicano dannoso alla fede e alla religione, lo vorrebbero o toltoaffatto o ristretto almeno in brevi confini"). Calunniatore dell’amministrazione pontificia chedenuncia pessima davanti al mondo intero, arriva a mettere in discussione la legittimitàdell’esistenza dello Stato della Chiesa (di gran lunga il più antico stato dell’Occidente e quindi digran lunga il più legittimato a esistere) con motivazioni di questo tipo: "Se il papa è divenutoprincipe per le donazioni di Pipino e di Carlo Magno, della contessa Matilde e d’altri, perché è statotenuto perciò principe legittimo? Perché l’universale consentiva nel creder legittimo questo modod’acquistare, nel credere quelli che donavano legittimi possessori della cosa donata; e si comprendeche se l’universale avesse creduto tutto l’opposto, non solamente questo acquisto, questo principato,non sarebbe potuto durare, ma neppure sarebbe venuto in mente né agli uni di concederlo né aglialtri di accettarlo. Ma le età sono mutate [...]. Si deve dunque riconoscere che l’idea sulla qualeposava la legittimità del principato ecclesiastico, come di tant’altri, più non esiste [...]. Le nuove

fondamenta, le sole, sulle quali ormai egli possa reggersi, sono nel diritto ammesso dal consensouniversale, nel diritto comune" [Cfr M. D’AZEGLIO, Degli ultimi casi di Romagna, in Raccoltadegli scritti politici, Torino 1850, pp. 59-60].

La massoneria, dunque, dipinge lo Stato della Chiesa come luogo di rapina, di barbarie e di violenza(dimenticando che si tratta dell’unico stato al mondo a non avere la violenza come madre perchénon è frutto di conquista) e si contrappone alla Chiesa anche a questo riguardo presentandosi comel’incarnazione della benevolenza, della mitezza, della fratellanza, del desiderio di pace. Ecco comeil Bollettino descrive la natura dell’Ordine: "Ha pigliato essere e modi dolci, qualità e tendenzenaturali dell’uomo, onde fraternità e benessere universale sono le sue basi. Proclamando edattuando questi principi essa conduce l’umanità sulla via del perfezionamento segnatole dalla

Provvidenza" [Cfr. Bollettino del Grande Oriente Italiano, 1863, n. 9].

Non è cambiata

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La storia degli ultimi tre secoli dimostra quale fondatezza abbia una simile convinzione. Mi limitoqui con un esempio a ricordare con quale dolcezza sia stata unificata la penisola italiana. Il 3febbraio 1861, mentre viene ultimata la conquista dello Stato della Chiesa, il generale Pinelli(comandante la colonna mobile degli Abruzzi e dell’Ascolano) detta il seguente proclama: "Unbranco di quella progenie di ladroni ancor s’annida fra i monti; correte a snidarlo e siate inesorabili

come il destino [...] sono i prezzolati scherani del Vicario non di Cristo, ma di Satana"; "Noi liannienteremo, schiacceremo il sacerdotale vampiro, che colle sozze labbra succhia da secoli ilsangue della Madre nostra, purificheremo col ferro e col fuoco le regioni infestate dall’immondasua bava, e da quella cenere sorgerà più rigogliosa la libertà anche per la nobile provinciaAscolana".

Nonostante l’evidenza dei fatti, la leggenda della Chiesa intollerante e sanguinaria ha vinto labarriera del tempo e si è trasmessa di generazione in generazione fino al nostro secolo. Mentreconversa amabilmente con i suoi ospiti all’ora di pranzo, Adolf Hitler sostiene: "La nostra societàattuale è più umana di quanto non lo sia mai stata la Chiesa. Noi obbediamo al comandamento "nonuccidere" limitandoci a mandare a morte l’assassino. La Chiesa, invece, fin quando ne ha avuto il

potere, ha torturato nel più orribile dei modi i corpi delle sue vittime". Ancora: "Il cristianesimopromulga i suoi dogmi inconsistenti e li impone con la forza. Una simile religione porta con sél’intolleranza e la persecuzione. Non ce n’è di più sanguinose". Infine l’auspicio: "È verosimile, per quanto concerne la religione, che stiamo per entrare in un’era di tolleranza [...]. La nostra epocavedrà indubbiamente la fine della malattia cristiana [...]. Noi entriamo in una concezione del mondoche sarà un’era soleggiata, un’era di tolleranza" [Cfr A. HITLER , Idee sul destino del mondo,edizioni di Ar, 1980, II, pp. 282, 300-301, 367].

"Vecchie polemiche ultraconservatrici": i liberali fanno il loro mestiere e oggi come ieri raccontanola stessa versione dei fatti. Niente di nuovo sotto il sole.

La novità è semmai che oggi i liberali non sono più soli. A ripetere il loro ritornello si sono aggiuntigli storici cattolici. "È una polemica del passato, che senso ha riproporla oggi?", "Oggi lamassoneria è tutt’altra cosa. Ci sono state profonde trasformazioni. E non ha alcun senso ingaggiareuna simile e inutile battaglia": questa l’opinione di Gabriele De Rosa su Il Tempo del 14 agosto.

Oggi la massoneria è cambiata? La voce Massoneria di una delle più diffuse enciclopedie mondialisu dischetto (The 1995 Grolier Multimedia Encyclopedia), dopo aver ricordato che in passatol’Istituzione è stata aspramente combattuta dalla Chiesa cattolica, specifica: "A papal ban onRoman Catholic membership in Masonic lodges was rescinded in 1983" (il divieto per i cattolici difar parte di logge massoniche è stato cancellato nel 1983). Che nel 1983 la Chiesa torni a

pronunciarsi sulla massoneria (i pronunciamenti di condanna di questa istituzione sono centinaia), èvero. Che lo faccia per annullare il divieto di affiliazione, è falso.

"Rimane immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche [...]e perciò l’iscrizione ad esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massonichesono in stato di peccato grave e non possono accedere alla santa comunione": questa ladichiarazione emessa il 26 novembre 1983 dalla Congregazione per la Dottrina della fede. Più chela massoneria a essere cambiati sembrano, e lo sono, molti cattolici. O, meglio: alcuni storicicattolici.

Don Bosco e la persecuzione risorgimentale di Gianpaolo Barra

Pubblichiamo il testo della conversazione che Gianpaolo Barra, direttore de "Il Timone", ha

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tenuto a Radio Maria giovedì 23 novembre 1999, durante la "Serata Sacerdotale", condottada don Tino Rolfi. Conserviamo lo stile colloquiale e la divisione in paragrafi numerati,utilizzata per i suoi appunti dall’ autore.

[Da "Il Timone" n. 5, Gennaio/Febbraio 2000]

l. Continuiamo le nostre conversazioni sul tema delle persecuzioni che i cristiani hanno subito nelcorso della ormai bimillenaria storia della Chiesa. Il nostro è un tentativo di leggere la storia, diconoscere quanto è accaduto m passato, nel passato lontano e in quello vicino, per trarneinsegnamenti utili in primo luogo alla nostra vita di fede e poi per capire il significato dei fattiaccaduti.2. Questo compito è importante, perchè viviamo in tempi caratterizzati dal regno quasi incontrastatodella menzogna, dove si offende la Chiesa e si denigra la sua storia, e che vedono i cattoliciincapaci di reagire adeguatamente.3. Anzi, tanto più cresce la calunnia contro la storia della Chiesa, tanto più viene chiesto al Papa,che è il Pastore della Chiesa universale, di scusarsi, di domandare perdono, perchè la Chiesasarebbe colpevole di tutte, o quasi tutte le malefatte del passato.

4 Questo è il clima che si respira oggi. Noi non ci lasciamo certo impressionare da questacalunniosa campagna propagandistica. Anzi, crediamo che verrà il tempo in cui qualcunodomanderà perdono alla Chiesa e ai cattolici per i torti, le umiliazioni e le persecuzioni che hannosubito nella loro storia.5. Vedete bene che il nostro è un intento anche un po’ polemico - non lo si deve nascondere -, ma lapolemica, quando è seria, e parte fondamentale dell’apologetica. E le nostre - lo sanno bene gliamici radioascoltatori - sono conversazioni di carattere apologetico.6. Questa sera parleremo di una persecuzione avvenuta in casa nostra, nella nostra Italia,persecuzione della quale poco si parla e ancor più poco si conosce. E` la persecuzione scatenatacontro la Chiesa cattolica dai governi liberali e massonici che, nel secolo scorso, hanno fatto ilRisorgimento.7. Studiamo il Risorgimento fin dalle scuole elementari. A scuola ci viene insegnato che, nel secoloscorso, i popoli italiani, divisi in tanti Stati, diedero vita ad un processo, sotto la guida del Regnopiemontese, per liberarsi dall’occupazione straniera o dai sovrani reazionari e per conquistarel’unità della Penisola. Le famose "Guerre di indipendenza", ci viene detto, furono volute proprio per liberare l’Italia e per unificarla politicamente e geograficamente.8. Per verificare l’attendibilità di questa storia, ci faremo guidare da un libro documentatissimodella studiosa Angela Pellicciari, intitolato significativamente "Risorgimenlo da riscrivere", edito daAres e da un altro bel libro del giornalista Antonio Socci, intitolato "La società dell’allegria" editoda Sugarco, dove si parla di don Bosco, personaggio straordinariamente importante per la storia delsecolo scorso e del quale parleremo anche nel corso di questa conversazione.

9. Sapete bene che la nostra Italia è l’unico Paese d’Europa che ha conquistato l’unità nazionaleattraverso un duro contrasto con la propria Chiesa. Naturalmente, nel caso dell’Italia, si sta parlandodella Chiesa cattolica.10. Perchè lo Stato sabaudo, il Regno sardo-piemontese che si dice costituzionale e liberale, che si èmesso alla guida del processo che ha portato all’unità d’Italia, che ha combattuto contro lo stranieroper la libertà, ha perseguitato duramente la Chiesa? Perchè, nel secolo scorso, ha voluto colpire ilpotere temporale del Romano Pontefice?11. Si può rispondere, seguendo il ragionamento della Pellicciari, che la persecuzione dei cattolicinell’Italia dell’Ottocento ha origini lontane. Parte dalla Roma descritta dall’eretico Martin Lutero,che ha dato inizio nel XVI secolo alla cosiddetta Riforma Protestante.12. Lutero definiva Roma, la città del Papa, come la "prostituta Babilonia". Da allora, tutta la

stampa moderna di impronta protestante, illuminista e liberal-massonica, ripete in modo ossessivouna serie di ritornelli, una serie di leggende contro Roma che a furia di essere raccontate finisconoper convincere i più sprovveduti.

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segna la fine dello Stato Pontificio preunitario, si vede anche un pastore protestante entrare a Romacon un carro carico di Bibbie protestanti, stampate dalla Società Biblica britannica. Il progetto di"de-cattolicizzare" l’Italia e di "protestantizzarla" muoveva passi molto concreti.26. Ora, noi non abbiamo il tempo di soffermarci sugli innumerevoli episodi di questa persecuzione.Molti fatti, molti dati, li potete trovare nei testi di Antonio Socci e di Angela Pellicciari che hocitato. Ma qui non possiamo dimenticare alcuni tra i primi provvedimenti presi contro la Chiesa.

27. Dopo l’approvazione, nel l850, delle leggi Siccardi (Siccardi era un ministro) con le quali siaboliva il foro ecclesiastico, veniva diminuito il numero delle feste religiose, si stabiliva l’obbligoagli ecclesiastici di chiedere l’autorizzazione per ricevere eredità e donazioni (questa norma andavaa colpire un antichissimo costume dei credenti, grazie al quale la Chiesa aveva avuto i mezzinecessari per svolgere la sua missione senza farsi ricattare dal potere politico), con l’approvazionedelle leggi Siccardi - dicevo - legge approvata l’8 aprile l850 e sanzionata dal Re il giorno dopo, siscatena una feroce persecuzione.28. L’arcivescovo di Torino, monsignor Fransoni, viene arrestato, gli vengono sequestrati tutti ibeni, poi viene esiliato e morirà lontano dalla sua città. Anche l’arcivescovo di Cagliari, monsignor Marangiu-Nurra viene arrestato e deportato. Il direttore del giornale cattolico L’Armonia vienearrestato e incarcerato per avere criticato le leggi Siccardi.

29. Dunque, vedete bene che lo Stato liberal-massonico si vantava di combattere per la "liberta",arrestando vescovi, sacerdoti e laici che difendevano la Chiesa. Sarà opportuno ricordare tuttequeste cose, specialmente quando gli eredi politici di quei signori ci vengono a dare lezioni didemocrazia.30. Proseguiamo nelle nostre considerazioni. Teniamo ben presente che quando sui libri di testoscolastici si parla di Parlamento piemontese non si deve intendere una assemblea eletta dal popolo,espressione di una sovranità popolare, come avviene nelle democrazie moderne. Tutt’altro. Infatti,quando si vota il 27 aprile del 1848 per eleggere il primo Parlamento, su un totale di 4.904.059abitanti, il diritto di voto viene dato solo a 83.369 elettori, pari all’1,70% della popolazione.31. Se poi teniamo presente che vanno a votare solo 53.924 cittadini, cioè poco più della meta degliaventi diritto, capite bene che le misure repressive contro la Chiesa cattolica vengono prese in unParlamento che è tutto tranne che democratico, è tutto tranne che espressione della volontàpopolare.32. La persecuzione contro la Chiesa viene dunque decisa, non dai popoli oppressi, ma da pocheèlites liberal-massoniche. E queste èlites stabiliscono, tra le altre cose, anche la soppressione dellaCompagnia di Gesù, cioè dei Gesuiti, l’esproprio di tutti i suoi beni (compresi libri, arredi sacri equadri) e decretano il domicilio coatto dei Padri, per evitare che abbiano contatti (allora si usavadire "per evitare che appestassero") con la popolazione.33. Contemporaneamente a Roma, il triumvirato capitanato da Mazzini decreta la fine del poteretemporale dei papi nell’anno 1849. Il Papa Pio IX, costretto a fuggire a Gaeta, denuncia questaaggressione ricordando come sia impedita al Pontefice ogni comunicazione con il clero, con i

vescovi e con i fedeli. Roma si riempie di personaggi strani: apostati, socialisti, eretici, pieni di odioverso la Chiesa. La grande borghesia liberale si impossessa dei beni, dei redditi e delle terre dellaChiesa. Gli edifici ecclesiastici sono spogliati dei loro ornamenti e vengono adibiti ad altri usi. Ipreti e i religiosi vengono aggrediti, imprigionati e uccisi.34. Tutto questo, si badi bene, in nome della "libertà" dalla tirannia del Papa.35. L’anno l855 vede un’altra tappa della persecuzione anticattolica. Il Re firma il decreto delParlamento che sopprime gli Ordini contemplativi e gli Ordini mendicanti, cioè Francescani eDomenicani, con la motivazioni che questi Ordini religiosi sono ormai inutili, i loro membri nonlavorano, non producono. Lo Stato risorgimentale può benissimo fare a meno di loro.36. Sono le stesse motivazioni che abbiamo sentito in questo secolo in molti paesi comunisti,motivazioni accampate per eliminare fisicamente la presenza dei cattolici.

37. Torniamo alla persecuzione. Nel 1861 si possono contare ben 70 vescovi rimossi dalla loro sedeo addirittura incarcerati, centinaia di preti in prigione, 12.000 religiosi e suore che vivevano nel Sudappena annesso al Piemonte sbattuti fuori dai conventi. Antonio Socci riferisce anche di 64

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sacerdoti e 22 frati fucilati, perlopiù in Meridione. Dopo la presa di Roma, si registrano ben 89 sedivescovili vacanti in tutta Italia. I vescovi nominati dal Papa non possono prendere possesso delleloro chiese perchè lo Stato unitario lo impedisce.38. A questo punto, per una lettura cattolica di quanto sopra descritto, mi pare opportuno ricordarela figura di un grande santo che ha vissuto di persona quella persecuzione: don Giovanni Bosco.39. Nel dicembre del 1854, mentre in Parlamento era in discussione la legge per la soppressione

degli Ordini religiosi e l’incameramento dei loro beni, il nostro Don Bosco fa un sogno destinato ascatenare un vero terremoto nella famiglia reale. Un sogno così importante che don Bosco sente lanecessità di informare immediatamente il Re.40. Invia una lettera al Re con la quale lo informa di aver sognato un bambino che gli affidava unmessaggio. Il messaggio diceva: "Una grande notizia! Annuncia: gran funerale a corte".41. Un messaggio inquietante, capite bene, ma evidentemente urgente e grave, secondo il santotorinese.42. Alcuni giorni dopo, don Bosco invia un’altra lettera, visto l’atteggiamento non certoincoraggiante del Re dopo il primo avvertimento. Un altro sogno e di nuovo quel bambino chediceva: "Annunzia: non gran funerale a corte, ma grandi funerali a corte". E don Bosco invitavaespressamente il Re a schivare i castighi di Dio, cosa possibile solo impedendo a qualunque costo

l’approvazione di quella legge.43. Il Re, per la verità mal consigliato, non presta ascolto. E quanto aveva previsto don Boscocomincia inesorabilmente ad avverarsi.44. Il 5 gennaio l855, mentre il disegno di legge è presentato ad uno dei rami del Parlamento, sidiffonde la notizia di una improvvisa malattia che ha colpito Maria Teresa, la madre del Re VittorioEmanuele IL E sette giorni dopo, a soli 54 anni di età, dunque ancor giovane, la Regina madremuore.45. I funerali sono previsti per il giorno 16 gennaio. Mentre sta tornando dal funerale, la moglie diVittorio Emanuele II, Maria Adelaide, che ha partorito da appena otto giorni, subisce un improvvisoe gravissimo attacco di metro-gastroenterite.46. Proprio quel giorno il Re riceve un’altra lettera di don Bosco, una lettera chiara. Ecco ciò che viera scritto: "Persona illuminata ab alto [cioè dall’alto] ha detto: Apri l’occhio: è già morto uno. Se lalegge passa, accadranno gravi disgrazie nella tua famiglia. Questo non è che il preludio dei mali.Erunt mala super mala in domo tua [saranno mali su mali in casa tua]. Se non recedi, aprirai unabisso che non potrai scandagliare".47. Ora, queste cose possono anche turbare qualcuno. E turbano anche quei cattolici che non sonopiù capaci di leggere la storia come la leggevano don Bosco e i cattolici dell’Ottocento. E quellalettura della storia dice che Dio è Re e Signore della storia e che l’uomo non può sfidarloimpunemente.48. Sarebbe opportuno ed estremamente utile riflettere e meditare su questo punto.49. Quattro giorni dopo quest’ultima lettera, la giovane moglie del Re, la regina Maria Adelaide, a

soli 33 anni, muore. Era il 20 gennaio l855.50 Non è finita. Quella stessa sera del 20 gennaio, il fratello del Re, Ferdinando, duca di Genova,riceve il sacramento dei morenti e muore l’11 febbraio. Aveva anche lui, come la Regina, solo 33anni.51. Nonostante questi avvertimenti, nonostante l’avverarsi di tutte le previsioni di don Bosco, il Renon si muove. La legge viene approvata il 2 marzo, con 117 voti a favore contro 36. In maggio lalegge passa al Senato per la definitiva approvazione. Ma il giorno 17, a un passo dall’approvazione,si verifica una nuova sconcertante morte nella famiglia reale: muore il piccolo Vittorio EmanueleLeopoldo, il figlio più giovane del Re.52. Il Re firmò e con quella legge ben 334 case religiose venivano soppresse per un totale di 5456religiosi (cfr. Renato Cirelli, La Questione romana, Mimep-Docete, p. 31). Era il 29 maggio del

1855. Da Roma arrivo la "scomunica maggiore" (che può essere annullata solo dal Papa) per tutti"gli autori, i fautori, gli esecutori della legge". La scomunica andava a colpire un Re che si dicevacattolico.

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53. Pio IX, nonostante le offese, le umiliazioni e le persecuzioni subite personalmente e dallaChiesa di cui Lui era pastore, nel 1859, su richiesta di Vittorio Emanuele, accorderà il perdonopieno e senza condizioni al Re. Fatto, questo, che ci fa comprendere la grandezza di un Ponteficeche la storiografia ha purtroppo denigrato.54. Sempre intorno a questa legge, Messori ci ricorda, nel suo bel libro "Pensare la storia" un altrofatto straordinario, che riguarda ancora don Bosco.

55. Nel 1855, in piena lotta della Chiesa contro la legge Rattazzi, don Bosco pubblica un opuscolo.Dapprima, il governo liberale piemontese ne decide il sequestro, che poi non viene eseguito per paura di fare pubblicità al prete di Valdocco.56. In quell’opuscolo don Bosco ammoniva Vittorio Emanuele II, rifacendosi a qualcuno dei suoisogni e alle sue abituali e straordinarie intuizioni, perchè non firmasse quella legge. Scrivevatestualmente don Bosco: "la famiglia di chi ruba a Dio è tribolata e non giunge alla quartagenerazione".57 Un avvertimento grave e inquietante, ma pur sempre una profezia che oggi è facilmenteverificabile, solo facendo un po’ di conti.58. Vittorio Emanuele II muore a soli 58 anni, a quanto pare di malaria, cioè di quella febbre presaproprio a Roma dove i suoi bersaglieri erano entrati otto anni prima.

59. Il suo primo successore, Umberto I muore 56enne a Monza, sotto i colpi di pistoladell’anarchico Bresci.60. II secondo successore, Vittorio Emanuele III, scappa di notte, di nascosto, dal Quirinale, l’8settembre del 1943 e tre anni dopo sarà costretto ad abdicare.61. Come non ricordare - a questo punto - l’enorme smacco per quel mondo laicista che avevasoppresso lo Stato Pontificio. Infatti, in quel tragico 8 settembre del 1943, il popolo romano, vistoche il governo si era dissolto e dissolto era anche quello Stato che si era costituito con le cannonatedi Porta Pia, si stringe di nuovo intorno al Papa Pio XII, ridandogli spontaneamente l’anticaautorità. E quando i tedeschi lasciano la città, la popolazione di Roma si riversa in Piazza San Pietroper acclamare Pio Xll con il titolo di "difensore della città".62. Come non ricordare a chi si esercita nella denigrazione del Papa e della Chiesa che Pio XII eral’unico dei potenti che non aveva abbandonato Roma nel momento del pericolo. tutti gli altri eranoscappati.63. Torniamo alla profezia di don Bosco. Il terzo successore, Umberto II, fu un re "provvisorio", per meno di un mese e, perduto il referendum popolare, deve accettare un esilio senza ritorno.64. Come si vede facilmente, alla quarta successione, alla "quarta generazione" come scriveva donBosco, i Savoia non sono giunti.65. Che lezione possiamo trarre da questi fatti, lezione che risulti utile - come dicevo in apertura diconversazione - alla nostra fede?66. Propongo una riflessione. Possiamo ricordare che i cattolici alla don Bosco, che tutti i cattolicidel secolo scorso, come i cattolici di sempre, leggevano la storia sub specie aeternitatis, cioè con gli

occhi rivolti a Dio, con uno sguardo alla vita eterna.67. Per loro Dio era veramente il Signore della storia, della storia dei singoli e delle nazioni, ilSignore dei sudditi ma anche dei Re. Per loro la Chiesa era veramente la Chiesa di Gesù Cristo eattaccare la Chiesa, perseguitarla, umiliarla, opprimerla, era lo stesso che perseguitare Gesù Cristo.68. E per quanto possa sembrare un po’ duro, soprattutto in tempi di buonismo imperante, la storiainsegna che offendere Dio non è un gesto che resta impunito, se ovviamente non ci si pente.69. Allora l’invito che emerge da questa conversazione è duplice. Da un lato: preghiamo per quelliche ancora oggi perseguitano la Chiesa, perché Dio usi loro misericordia; ma rallegriamoci per ildono della fede e per l’appartenenza alla Chiesa cattolica. Ce ne rallegriamo e non ci vergogniamo.70. Naturalmente, operiamo anche perché queste persecuzioni non si abbiano a ripetere.71. Questo è tutto. Ci risentiamo, a Dio piacendo, fra quindici giorni.

Bibliografia

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Angela Pellicciari, Risorgimento da riscrivere. Liberali e massoni contro la Chiesa, Ares, Milanol998Antonio Socci, La società dell’allegria. Il partito piemontese contro la Chiesa di don Bosco,Sugarco, Milano l989Vittorio Messori, Un italiano serio. Il beato Francesco Faà di Bruno, Paoline, CiniseIlo B.mo (MI)1990

Renato Cirelli, La Questione Romana. Il compimento dell’unificazione che ha diviso l’Italia,Mimep-Docete, Pessano (MI) l997

Plebisciti: solo una bella parola di Angela Pellicciari

1860: plebisciti indetti in mezza Italia per manifestare la volontà popolare di annessione alPiemonte. L’allora capo della polizia politica confessa la falsificazione dei risultati. Minacciadi morte ai tipografi che avessero stampate le schede contrarie all’annessione. Una veratruffa. 

[Da "il Timone" n. 28, Novembre/Dicembre 2003]

Bisogna dire che la favola dell’unità d’Italia realizzata dai Savoia e dai liberali, in nome dellacostituzione e della libertà, è stata ben raccontata. E ancora meglio ripetuta. I popoli — si diceva (esi continua a ripetere) — “gemevano” sotto il giogo del malgoverno papalino e borbonico. I popoli,dunque, andavano liberati e Vittorio Emanuele era lì pronto per l’occasione. Cuore forte emagnanimo, il Re di Sardegna si sarebbe mosso solo perché intenerito dal pianto di coloro (tutti gliitaliani) che giustamente aspiravano ad una vita da uomini liberi e non da schiavi. Questa leggenda,dicevo, è stata propagandata con cura. Peccato sia radicalmente falsa. Prima di invadere (senzadichiarazione di guerra, e sempre negando, come nel Meridione, la propria diretta partecipazione

all’impresa) uno dopo l’altro tutti gli Stati italiani, il governo sardo-piemontese ha fatto in modoche avvenissero “sollevazioni spontanee” in favore dei Savoia. Si trattava di garantire il buon nomedel re sabaudo di fronte all’opinione pubblica italiana e straniera.

Ecco cosa scrive Giuseppe La Farina, braccio destro di Cavour, in una lettera a Filippo Bartolomeo:“È necessario che l’opera sia cominciata dai popoli: il Piemonte verrà chiamato; ma non mai prima.Se ciò facesse, si griderebbe alla conquista, e si tirerebbe addosso coalizione europea”. Il re VittorioEmanuele — continuava — dice: “io non posso stendere la mia dittatura su popoli che nonm’invocano, e che collo starsi tranquilli danno pretesto alla diplomazia di dire che sono contenti delgoverno che hanno”.

Fatto sta che, nonostante il gran daffare che si sono dati, i liberali sono riusciti ad organizzare le“insorgenze” popolari solo a Firenze, a Perugia e nei ducati. A Napoli come a Roma non ‘è statonulla da fare. E dove pure sono riusciti ad organizzarle, lo hanno fatto con la corruzione e la frode.A Firenze, per esempio, a “insorgere” sono stati un’ottantina di carabinieri fatti venire per l’occasione da Torino e spacciati per popolani toscani da Carlo Boncompagni, ambasciatore sardoin città. Quando si dice la fantasia! Questa di certo non difettava alla classe dirigente piemontese,desiderosa di conquistare un regno prestigioso come l’Italia.

A cose fatte, a conquista avvenuta, si trattava di mostrare urbi et orbi quanto felici fossero gliitaliani del nuovo stato di cose. A questo scopo i padri della patria hanno fatto ricorso ai plebisciti.Hanno cioè chiamato tutta la popolazione a votare (cosa inaudita in un’epoca in cui aveva diritto di

voto meno del 2% degli abitanti) perché tutti, ma proprio tutti, avessero modo di manifestare inmodo democratico, e cioè col voto, il proprio entusiasmo unitario.

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Indetti l’11 e 12 marzo 1860 in Emilia, Toscana, Modena e Reggio, Parma e Piacenza, il 21 ottobrein Italia meridionale, il 4 e 5 novembre nelle Marche e nell’Umbria, i plebisciti hanno dato unrisultato strabiliante. Praticamente tutti erano per Vittorio Emanuele Re d’Italia. Non c’era nessuno,quasi nessuno, che rimpiangesse i vecchi governanti. Meno che mai il Papa.

Il fatto è strano, bisogna dirlo. Come strana fu la straordinaria affluenza alle urne, tenuto soprattutto

conto che la maggioranza della popolazione era analfabeta e che a prassi del voto era una novitàquasi assoluta. Tanta stranezza ha una facile spiegazione: il dato plebiscitario, tanto propagandato, èstato il risultato di una truffa gigantesca, confezionata ad arte.

Il capo della polizia politica Filippo Curletti, cosi ricorda nel suo Memorandum: “Ci eravamo fattirimettere i registri delle parrocchie per formare le liste degli elettori. Preparammo tutte le schedeper le elezioni del parlamenti locali, come più tardi pel voto dell’annessione. Un picciol numero dielettori si presentarono a prendervi parte: ma, al momento della chiusura delle urne, vi gittavamo leschede, naturalmente in senso piemontese, di quelli che si erano astenuti. Non è malagevolespiegare la facilità con cui tali manovre hanno potuto riuscire in paesi del tutto nuovi all’eserciziodel suffragio universale, e dove l’indifferenza e l’astensione giovavano a maraviglia alla frode,

facendone sparire ogni controllo”.Curletti ci tiene a chiarire che le cose stanno proprio come le racconta e specifica: “per quel cheriguarda Modena, posso parlarne con cognizione di causa, poiché tutto si fece sotto i miei occhi esotto la mia direzione. D’altronde le case non avvennero diversamente a Parma ed a Firenze”. Per quanta riguarda la Toscana abbiamo una divertente testimonianza raccontata dalla Civiltà Cattolica.Lì una pressante campagna di stampa aveva dichiarato “nemico della patria e reo di morte chiunquevotasse per altro che per l’annessione. Le tipografie toscane furono poi tutte impegnate a stamparebollettini per l’annessione: e i tipografi avvisati che un colpo di stile sarebbe stato il premio di chiosasse prestare i suoi torchi alla stampa di bollettini pel regno separato. Le campagne furonoinondate da una piena di bollettini per l’annessione. Chiedevano i campagnuoli che cosa dovesserofare di quella carta: si rispondeva che quella carta dovea subito portarsi in città ad un data luogo, echi non l’avesse portata cadeva in multa. Subito i contadini, per non cader in multa, portarono lacarta, senza neanche sapere che cosa contenesse”.

Il 9 ottobre, da Ancona, Vittorio Emanuele aveva indirizzato ai Popoli dell’Italia meridionale ilseguente proclama: “Le mie truppe si avanzano fra voi per raffermare l’ordine: io non vengo adimporvi la mia volontà, ma per fare rispettare la vostra. Voi potrete liberamente manifestarla: laProvvidenza, che protegge le cause giuste, ispirava il voto che deporrete nell’urna”. Forte delfavorevolissimo risultato plebiscitario, il 7 novembre il Re aveva dichiarato: “Il suffragio universalemi dà la sovrana podestà di queste nobili province. Accetto quest’alto decreto della volontànazionale, non per ambizione di regno, ma per coscienza d’italiano”.

“Uscite, popolo mio, da Babilonia” (Ap 18,4). Bene ha fatto Pio IX a proclamare il non expedit. Icattolici, con quel tipo di Stato, non dovevano aver nulla a che fare.

Ricorda 

“In alcuni collegi, questa introduzione in massa, nelle urne, degli assenti – chiamavano ciòcompletare la votazione – si fece con sì poco riguardo che lo spoglio dello scrutinio dette unnumero maggiore di votanti che di elettori iscritti”. (Filppo Curletti, stretto collaboratore di Cavour,nel suo Memoriale, cit. in Angela Pellicciari, I panni sporchi dei mille, liberal edizioni, Roma 2003,p. 29).

Bibliografia

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Patrick Keyes O’Clery, La Rivoluzione italiana. Come fu fatta l’unità della nazione, Ares 2000.Angela Pellicciari, L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata, Piemme, CasaleMon.to (AL) 2000.Angela Pellicciari, I panni sporchi dei mille, liberal edizioni, Roma 2003.Massimo Viglione [a cura di], La rivoluzione italiana. Storia critica del Risorgimento, Il Minotauro,Roma 2001.

Lorenzo Del Boca, Maledetti Savoia, Piemme, Casale Mon.to 1998.Paolo Gulisano, O Roma o morte! Pio IX e il Risorgimento, Il Cerchio. Rimini 2000.Geraldo Lentini, La bugia risorgimentale. Il Risorgimento italiano visto dalla parte degli sconfitti,Il Cerchio, Rimini 1999.Associazione culturale Identità Europea [a cura di], Il risorgimento italiano, Itaca, Castel Bolognese2000.

"L’opposizione cattolica da Porta Pia al ‘98". Una lettura di Marco Invernizzi

Articolo apparso sul n. 240 di Cristianità.

Esposizione di uno studio di Giovanni Spadolini che ricostruisce lo scontro diretto, quasitrentennale, fra il mondo cattolico italiano e lo Stato unitario nato dalla Rivoluzione italiana, ilRisorgimento, dando spazio non solo all’opera di chi era disposto all’accettazione dei fatti compiuti,ma anche all’epopea di chi si opponeva radicalmente a essi, non per questo incapace di discernerecorrettamente e di mutare linea d’azione quando i rivoluzionari si spaccarono in liberaliconservatori e in progressisti.

Giovanni Spadolini è stato uno dei principali esponenti della cultura "laica" italiana nel secondodopoguerra. Nato a Firenze nel 1925, dal 1950 docente universitario di Storia Contemporanea, ha

poi diretto i quotidiani il Resto del Carlino e Corriere della Sera, dal 1955 al 1972; in questo anno èstato eletto senatore della Repubblica nelle liste del Partito Repubblicano Italiano, iniziando unacarriera politica che lo ha portato a diventare il primo presidente del Consiglio non democristianodella storia repubblicana, dal 1981 al 1982, e infine ad accedere alla seconda carica istituzionaledello Stato, la presidenza del Senato, che ha ricoperto dal 1987 al 1994.

Anche la sua scomparsa, avvenuta il 4 agosto 1994, è stata occasione di polemiche per la suasupposta — e speriamo reale — conversione avvenuta sul letto di morte (1); lo storico di grandecultura, l’uomo politico militante in uno dei partiti italiani più anticattolici, colui che ha dedicato lasua vita intellettuale e politica al servizio del riavvicinamento fra cattolici e liberali, cercando dismussare l’intransigentismo dei primi e l’anticlericalismo dei secondi, ha forse sperimentato al

termine della vita come, almeno in un’occasione, si sia costretti a compiere una scelta radicale fraabbandonarsi nella fede nel Signore risorto oppure rimanere impantanati nello scetticismo di chicrede che tutto abbia avuto origine e si concluda su questa terra.

Della vastissima produzione di Giovanni Spadolini propongo la lettura di una delle opere principali,L’opposizione cattolica da Porta Pia al ’98, la cui prima edizione risale al 1954 (2).

Si deve naturalmente trattare di una lettura critica, che tenga conto delle posizioni dell’autore edella sua tesi già ricordata, presente in tutta la sua produzione storica, in particolare della lettura delRisorgimento e delle sue conseguenze sulla storia nazionale. Ciononostante, lo studio di GiovanniSpadolini rimane uno dei fondamentali sulla storia del movimento cattolico e si lascia apprezzare

per le moltissime informazioni trasmesse, ma soprattutto per l’esposizione della storia dei cattoliciintransigenti, condotta sempre utilizzando le fonti e facendo così emergere dall’oblio le vicendedell’entusiasmante lotta organizzata dei cattolici italiani contro la violenza istituzionale dello Stato

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liberale nel periodo che va dal 1870 al 1898. L’opposizione cattolica da Porta Pia al ’98 è quindiindispensabile per chi voglia conoscere una fase sostanzialmente ignota — vedremo perché — dellastoria dei cattolici italiani, e ignota anche e soprattutto nel mondo cattolico.

L’opera di Giovanni Spadolini ha avuto una notevole risonanza sin dalla prima edizione pubblicatanel 1954, a ridosso del Congresso di Napoli della Democrazia Cristiana, l’assise che, nel giugno di

quell’anno, sanciva il tramonto di Alcide De Gasperi alla guida del partito. E proprio Alcide DeGasperi — come ricorda Giovanni Spadolini nella prefazione all’edizione del 1976 — fu uno deiprimi a iniziare la lettura de L’opposizione cattolica da Porta Pia al ’98, poche settimane primadella morte avvenuta nell’agosto dello stesso 1954: l’ex segretario della Democrazia Cristiana avràcosì potuto rilevare la diversità, per il mondo cattolico italiano, fra la sua stagione, quelladell’andata al governo dopo la fine della seconda guerra mondiale, e il trentennio di duraopposizione che caratterizzò la fine del secolo XIX. Alcide De Gasperi — ricorda sempre GiovanniSpadolini — non amava il cattolicesimo intransigente, e ad allontanarlo da questa prospettiva era lasua formazione cattolico-liberale — avvenuta, fra l’altro, nel clima di collaborazione fra Stato eChiesa nell’Impero austro-ungarico —, che gli rendeva estranea e difficile da comprenderel’opposizione culturale e sociale dei cattolici intransigenti allo Stato italiano.

Infatti si trattò di opposizione e di opposizione globale, che partiva dal rifiuto di riconoscere i fatticompiuti — cioè, in particolare, la presa di Roma nel 1870 da parte dell’esercito italiano — e che siesprimeva nel tentativo di costruire una società alternativa in tutte le sue infrastrutture: il "paesereale" contrapposto al "paese legale", dominato prima dalla Destra storica poi, dopo il 1876, dallaSinistra guidata da Agostino Depretis.

E fu un’opposizione assoluta, " [...] che stabiliva un varco insuperabile fra la concezione cattolicadella vita e quella razionalistica e liberale" (p. 3) e che veniva ripetutamente affermata dalMagistero della Chiesa a partire dall’enciclica Mirari vos, pubblicata da Papa Gregorio XVI nel1832, poi ripresa dal successore, il servo di Dio Papa Pio IX, nell’enciclica Qui pluribus, del 1846,nell’allocuzione Iamdudum cernimus, del 1861, e nella lettera apostolica Multiplices inter machinationes, del 1865, quindi nell’enciclica Quanto conficiamur moerore, diretta ai vescoviitaliani nel 1863, tutti documenti ampiamente ricordati da Giovanni Spadolini in uno dei duecapitoli della Premessa intitolato appunto Il Sillabo e dedicato a ripercorrere la genesi e a presentarei punti principali di questo documento e dell’enciclica Quanta cura, della quale costituisceun’appendice, promulgati l’8 dicembre 1864.

Tutti questi testi del Magistero serviranno da fondamento all’opposizione cattolica contro i princìpidella Rivoluzione e quindi porteranno al rifiuto della Rivoluzione italiana, il cosiddettoRisorgimento, tema al quale Giovanni Spadolini dedica il secondo capitolo della stessa Premessa,

analizzando punto per punto la profonda distanza che separa gli enunciati del Magistero dellaChiesa dall’ideologia liberale, sia nella sua versione "moderata" che in quella radicale omazziniana.

Le origini del movimento cattolico

Nati dalla Rivoluzione francese e dalle sue conseguenze — come ricorderà Papa Pio XII (3) — imovimenti cattolici acquisteranno caratteristiche tipiche nelle diverse nazioni; in Italia, dopo laBreccia di Porta Pia, sarà centrale la Questione Romana, tanto che i cattolici si divideranno in"intransigenti" e in "transigenti" proprio di fronte alla possibilità o meno di "transigere"sull’avvenuta espropriazione violenta del potere temporale del Papa.

La maggioranza dei cattolici transigenti aveva accettato parte delle idee liberali e le idee cattolico-liberali avevano potuto così radicarsi in maniera significativa fra alcuni intellettuali di primo piano,

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come Alessandro Manzoni, Niccolò Tommaseo, il primo Cesare Cantù, e quindi anche nel bassoclero — Giovanni Spadolini ricorda la petizione "conciliatorista" di novemila sacerdoti a Papa PioIX inviata da don Carlo Passaglia nel 1862 — e in esponenti della Gerarchia. Per questo — scrivesempre Giovanni Spadolini — il Sillabo era necessario perché nascesse un movimento cattolico inItalia, perché si potesse sradicare il cattolicesimo liberale grazie a un’azione avallata dallaGerarchia.

Sorto attorno ai princìpi enunciati nel Sillabo e nella Quanta cura, il movimento cattolico italianoattribuisce alla libertà del Sommo Pontefice la priorità assoluta, tanto che la prima associazionecostituitasi a livello nazionale si chiamerà Società cattolica italiana per la libertà della Chiesa inItalia, fondata a Bologna alla fine del 1865 e sciolta dallo Stato italiano durante le persecuzionidell’anno successivo, diventate ancora più violente in seguito alla III Guerra d’Indipendenza. Loscopo del movimento cattolico viene così indicato da Giovanni Spadolini: " [...] ricuperare letradizionali posizioni d’influenza, compromesse o distrutte dall’unità, con un’azione capillare emetodica di carattere assistenziale, educativo, sociale capace di sostituirsi allo Stato e didenunciarne polemicamente le lacune, di svelarne violentemente l’insufficienza e la debolezza" (p.45). E a questo fine — aggiunge — doveva servire anche l’astensionismo elettorale sancito

ufficialmente dalla Chiesa con il non expedit , praticato allo scopo di mantenere unite le forzecattoliche nella radicale contrapposizione allo Stato liberale.

Oggi può apparire strano questo atteggiamento di autoisolamento scelto dai cattolici, ma allora erasemplicemente la conseguenza della violenza anticattolica praticata dalle istituzioni statali, che lostorico fiorentino descrive dettagliatamente. Vescovi imprigionati o costretti all’esilio,espropriazione dei beni delle congregazioni religiose, arresto dei principali dirigenti del laicato,chiusura delle sedi: tutti questi provvedimenti verranno presi dallo Stato italiano dallaproclamazione del regno, nel 1860, fino alla nuova guerra contro l’Impero austro-ungarico nel1866.

Ma la resistenza cattolica non si farà piegare: appena un anno dopo la soppressione della Societàper la libertà della Chiesa nasceva la Società della Gioventù Cattolica Italiana, fondata anch’essa aBologna dal conte Giovanni Acquaderni, che dava corpo all’intuizione avuta dal conte Mario Fani,il quale, pochi mesi prima, aveva fondato a Viterbo il circolo giovanile Santa Rosa.

La caratteristica di fondo della resistenza cattolica consisteva nell’organizzare un laicato militantestrettamente legato al Papa: nascevano così numerosi organismi solidaristici e assistenziali, come laSocietà primaria romana per gli interessi cattolici, con il suo giornale La Voce della verità,associazioni devozionali come l’Opera delle prime comunioni, le Scuole del popolo con scopieducativi, realtà di diverso tipo fuse insieme dal Papa nel 1872 in una Federazione piana, preludio

all’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici, che costituirà per circa trent’anni il vero organismounitario dei cattolici italiani.

Quest’ultima verrà costituita nel corso del I Congresso cattolico tenutosi a Venezia dal 12 al 16giugno 1874, sotto la presidenza del duca Scipione Salviati e del card. Giuseppe Luigi Trevisanato;di questo Congresso, come dei successivi fino alla fine del secolo, Giovanni Spadolini offre unasintesi utilissima, ricavata dagli Atti ufficiali, che permette una ricostruzione obiettiva della storiadel movimento cattolico attraverso le relazioni svolte durante le sue assise.

I Congressi vengono organizzati annualmente, e inizialmente sembrano non interessare lo Stato e lacultura laicista; ma, come sempre accade, dalla fase del silenzio le forze anticattoliche passano a

quella della persecuzione. Così i circa mille partecipanti al III Congresso, inaugurato a Bolognanella chiesa della SS. Trinità il 9 ottobre 1876, vengono assaliti da una folla di anticlericali,offrendo il pretesto al prefetto per proibire lo svolgimento dei lavori per ragioni di ordine pubblico.

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Il fatto non è un episodio isolato, ma uno dei tanti attacchi alla presenza cattolica nella societàitaliana da parte delle forze ostili e, accanto alla repressione istituzionale, si verificano tantemanifestazioni di odio anticattolico: aggressioni a circoli cattolici — a Pisa nel 1869 e ad Anconanel 1871 —, oltraggio a una processione eucaristica a Bologna nel giugno del 1873, immagini diMaria prese a sassate a Gubbio, rovesciamento dell’ostensorio durante una cerimonia pubblica eprofanazione del Venerdì Santo a Torino sempre nel 1873, sono alcuni degli episodi che Giovanni

Spadolini ricorda nella sua opera.

Lo scontro fra il mondo cattolico e quello liberale è sui fondamenti stessi che hanno dato origineallo Stato nazionale, cioè sui princìpi ispiratori del Risorgimento. Giovanni Spadolini mette anchein luce come la protesta cattolica non si limiti agli aspetti religiosi o alle persecuzioni subite, mainvesta la questione sociale: " [...] più volte il Papa richiamerà l’attenzione dei suoi ascoltatorisull’inasprimento dei tributi, sulle sperequazioni sociali che erano seguite all’unità, sullamanomissione delle Opere pie a danno dei poveri e a tutto vantaggio dei ceti censitari e dellaborghesia, sulla distruzione e sulla disarticolazione di tutti gli organismi assistenziali eprevidenziali che preesistevano alla nascita del Regno, sull’aggravamento dei rapporti di classe frapadroni e operai" (p. 109). E alla questione sociale sarà anche dedicato il IV Congresso cattolico,

tenuto nella cattolicissima Bergamo dal 10 al 14 ottobre 1877.

Un altro campo che vedrà fortemente impegnato il movimento cattolico sarà quello scolastico, sulversante della istituzione di scuole cattoliche e di corsi per docenti e sull’altro della presenzacattolica nelle scuole dello Stato, soprattutto dopo il tentativo, nel 1877, fermato dal voto contrariodel Senato dopo l’approvazione della Camera, della legge Coppino che prevedeva la sostituzionedell’insegnamento della religione nella scuola elementare con "le prime nozioni dei doveridell’uomo e del cittadino" (p. 127).

Accanto alla lotta contro lo Stato liberale, Giovanni Spadolini dedica molte pagine alle vicissitudiniinterne al mondo cattolico italiano, in particolare allo scontro fra la classe dirigente dell’Opera deiCongressi e quella della Società della Gioventù Cattolica, uno scontro principalmente generato dapersonalismi e da divergenze organizzative, che culminerà nell’assorbimento di fatto della Societàdella Gioventù Cattolica nei Comitati giovanili dell’Opera dei Congressi negli anni conclusivi delsecolo XIX.

Più importante lo scontro con i cattolici conciliatoristi o conservatori: quanti volevano lacollaborazione della Chiesa con la monarchia attraverso l’attenuazione del rigore anticattolico diquest’ultima e il contemporaneo accantonamento del richiamo alla Questione Romana da parte deicattolici. Questi cattolici conciliatoristi, che nel 1879 danno vita alla rivista Rassegna Nazionale, sidistinguevano dagli intransigenti per ragioni strategiche e politiche, ma non vanno confusi con i

cattolici liberali in senso ideologico né tantomeno con i modernisti.Con il pontificato di Papa Leone XIII, l’azione dei cattolici militanti privilegia sempre più gliaspetti di ricostruzione della società, che obiettivamente, almeno in Italia, versava in condizionidisastrose sotto diversi aspetti. Ormai il movimento cattolico è una realtà che si imponeall’attenzione e, ancora, a una nuova persecuzione da parte dello Stato.

La persecuzione nel decennio 1880-1890

Dopo il fallimento dei tentativi conciliatoristi all’inizio del pontificato di Papa Leone XIII (4) e losviluppo organizzativo dell’Opera dei Congressi, nel decennio 1880-1890 riprende e s’inasprisce la

violenza anticattolica da parte delle istituzioni. Il decennio che Giovanni Spadolini chiama "il periodo dell’accentuazione giacobina dello Stato italiano" (p. 172) aveva visto, la notte del 13luglio 1881, l’assalto di una folla di anticlericali alla salma di Papa Pio IX durante il trasporto delle

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spoglie al Verano: l’alto dirigente massonico Luigi Castellazzo farà coniare una medaglia per igiovani che avevano partecipato all’assalto ed erano stati incriminati per atti di violenza e tumulti(5), mentre Agostino Depretis risponderà in Parlamento a un’interrogazione sull’episodioaddebitando l’accaduto a una provocazione clericale. Le posizioni anticattoliche del governospingono i circoli repubblicani e garibaldini a chiedere l’abolizione della Legge sulle Guarentigie el’occupazione manu militari del Vaticano.

Nel frattempo il movimento cattolico continua a migliorare la propria struttura organizzativa, con lanascita del Banco di Roma nel 1880, il primo grande istituto di credito che sarebbe servitosoprattutto per fornire capitali alle diverse realtà del mondo cattolico a basso tasso d’interesse, conla nascita della prima cassa rurale in Veneto, delle società operaie e delle associazioni femminili equindi, nel 1881, con gli statuti definitivi dell’Opera dei Congressi.

La crescita del movimento si potrà percepire in occasione della petizione nazionale lanciata nel1888 a sostegno dell’indipendenza e della libertà del Papa e che il governo in carica, presieduto daFrancesco Crispi, riterrà "un atto avverso alle istituzioni dello Stato" (p. 198): verranno presentateal Papa 32.712 firme raccolte in Piemonte, 144.563 in Lombardia, 125.658 in Veneto, 36.378 in

Emilia, 35.942 in Toscana, 39.216 nel Napoletano, specchio abbastanza fedele della dislocazionedelle forze del cattolicesimo militante.

Il 1888, l’anno del giubileo sacerdotale di Papa Leone XIII, è anche l’anno delle controversiesuscitate dall’erezione dei monumenti a Giordano Bruno in Campo dei Fiori a Roma, opera diEttore Ferrari, poi Gran Maestro della massoneria, al "cappellano" garibaldino Ugo Bassi aBologna: "Morte a Cristo, morte allo Spirito Santo" , commentarono gli anticlericali livornesi il 12giugno (p. 204), mentre il presidente della Società romana per gli interessi cattolici, AdolfoPianciani, protestava contro l’autorizzazione alla costruzione del monumento a Giordano Bruno,sostenendo — come riporta Giovanni Spadolini — che Giordano Bruno " [...] non aveva avutonessun merito di cittadino, di letterato e di filosofo, e solo in un campo si era distinto: con la suaostinazione nell’empietà" (p. 204).

Sempre nel 1888 il governo tenta l’assalto alla beneficenza privata, cioè in pratica a quellapromossa dai cattolici; vengono approvate due leggi, la prima delle quali, che vieta le questuereligiose all’aperto, va a colpire gli ordini mendicanti, mentre la seconda prevede l’incameramentoda parte dello Stato delle rendite delle Congregazioni religiose — un patrimonio che GiovanniSpadolini valuta intorno ai cento milioni di lire — costringendo l’Opera dei Congressi ad affrontarecon attenzione il tema per limitare i danni dovuti all’applicazione della legge, anche attraverso unospeciale Manuale sulla legislazione delle Opere Pie, elaborato e continuamente aggiornato alloscopo appunto di supportare l’azione degli amministratori cattolici.

Il Magistero di Papa Leone XIII

Il 15 maggio 1891 veniva promulgata la famosa enciclica Rerum novarum, con la quale Papa LeoneXIII affrontava la questione sociale e in particolare la condizione del proletariato industriale. Mabene ha fatto Giovanni Spadolini a ricordare anche gli altri principali documenti del Pontefice, chetestimoniano l’ampiezza del disegno di restaurazione sociale che caratterizzerà il suo pontificato.

Comunque, già dal IX Congresso cattolico tenutosi a Vicenza nello stesso anno, si poteva coglierel’incremento dell’interesse dei cattolici per la questione sociale, che certamente non era maimancato, ma che con la Rerum novarum andrà ad aumentare e a perfezionarsi. Nascevano così

l’Unione per gli Studi Sociali e la Rivista di Scienze Sociali e Discipline Ausiliarie, entrambe diretteda Giuseppe Toniolo, uno dei principali studiosi cattolici di dottrina sociale nel tempo a cavallo fra idue secoli. E con Giuseppe Toniolo nasceva la proposta di una diversa impostazione da dare al

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movimento cattolico, più propositiva e attenta agli aspetti scientifici e intellettuali rispetto allo stilefino ad allora adottato dalla classe dirigente dell’Opera dei Congressi e da Giambattista Paganuzziin particolare. Due stili diversi, entrambi in totale sintonia con il Magistero della Chiesa maall’origine di una polemica, una polemica peraltro completamente diversa da quella che di lì a pochianni dividerà l’Opera dei Congressi e che sarà la causa della sua soppressione, fra i democraticicristiani di don Romolo Murri e la componente intransigente del movimento cattolico.

Verso l’accordo con i moderati

Nell’ultimo decennio del secolo XIX vengono gettate le basi dell’accordo fra cattolici e moderati,che sfocerà nel Patto Gentiloni del 1913 (6), ma che conoscerà la sua svolta in seguito ai motipopolari del 1898, l’anno in cui si ferma in quest’opera la ricostruzione di Giovanni Spadolini. Èimportante notare come lo storico fiorentino dia rilievo a questa fase, nella quale la pubblicisticacattolica aumenta la polemica tendente " [...] a svalutare, a screditare, a calpestare tutti i valori del Risorgimento per rendere poi possibile — su un piano di neutralità ideologica — quell’alleanzatattica fra liberali e cattolici che i gesuiti stessi intravedevano come necessaria, alla fine del lungoprocesso di ascesa del socialismo e delle classi popolari" (pp. 301-302).

L’alleanza tattica fra liberali moderati e cattolici, che prenderà corpo dopo i moti del 1898,comincia già a delinearsi per esempio nelle elezioni amministrative di Milano nel 1895, che vedonola vittoria su misura della lista frutto del "contratto" voluto dall’arcivescovo ambrosiano, card.Andrea Carlo Ferrari, e stipulato fra cattolici e moderati in funzione antisocialista; ma risultatianaloghi si verificavano in tutta Italia, spingendo i nemici della Chiesa e degli accordi clerico-moderati a parlare di rinascita clericale.

Così si avvicinava quel 1898 che avrebbe segnato radicalmente la storia politica italiana,costringendo i liberali a rinunciare ad alcune caratteristiche della loro ideologia e ad allearsi con icattolici in funzione antisocialista, oltre che a cercare di dividere i socialisti in "riformisti",disponibili a collaborare con il governo, e in "massimalisti rivoluzionari".

Prima però veniva esperito un ultimo tentativo di costituzione di un fronte nazionale che unissetutte le " [...] élite del Risorgimento per combattere insieme socialisti e cattolici" (p. 330).

Il tentativo viene fatto dopo la sconfitta delle truppe italiane ad Adua, in Etiopia, nel 1896, con unpaese prostrato e umiliato dalla megalomania imperialistica di una classe politica guidata dal capodel governo Francesco Crispi, e si articola attorno al Ministero Rudinì e a una politica di rilancio,fra l’altro, delle origini laiciste dello Stato. Ma fallirà due anni dopo, nel 1898, in seguito allecannonate del generale Fiorenzo Bava Beccaris sulla folla milanese, che protestava per il rincaro del

pane, e che provocheranno ottanta morti: la classe politica liberale prende alcuni provvedimentirepressivi sia contro le forze socialiste che contro quelle cattoliche e il Ministero Rudinì spera dipotersi sbarazzare di entrambe le opposizioni con la realizzazione di un unico disegno repressivo.

Ma ormai la base di consenso della classe dirigente liberale si era consunta, costringendolaall’apertura alle forze popolari di opposizione e delineando così le caratteristiche dell’imminente"stagione giolittiana".

Intanto i cattolici avevano celebrato a Milano, dal 30 agosto al 3 settembre 1897, il loro XVCongresso, che verrà considerato l’apogeo dell’intransigentismo perché in esso il presidenteGiambattista Paganuzzi potrà elencare i notevoli successi organizzativi ottenuti dall’Opera, che

poteva contare in quell’anno su 189 comitati diocesani, 4036 comitati parrocchiali, 708 sezionigiovani, 16 circoli universitari, 698 società di mutuo soccorso, 567 casse rurali e 24 banche.

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movimento cattolico non sia ancora uscita dall’ambito specialistico, né — quindi — sia entrata apieno titolo nel patrimonio culturale dei cattolici italiani.

Marco Invernizzi

(1) Cfr. Avvenire e la Repubblica, 6-8-1994.

(2) Cfr. Giovanni Spadolini, L’opposizione cattolica da Porta Pia al ’98, Mondadori, Milano 1994,nona edizione con aggiornamenti bibliografici al dicembre del 1993; tutti i riferimenti fra parentesinel testo rimandano all’opera in questa edizione.(3) Cfr. Pio XII, Discorso al primo Congresso mondiale dell’Apostolato dei laici, del 14-10-1951, inDiscorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII , vol. XIII, pp. 291-301 (pp. 294-295).(4) Cfr. Giuseppe Ignesti, Il tentativo conciliatorista del 1878-1879. Le riunioni romane di CasaCampello, A.V.E., Roma 1988.(5) Cfr. le precisazioni sull’accaduto, in Aldo A. Mola, Storia della Massoneria italiana. Dalleorigini ai nostri giorni, nuova ed. aggiornata, Bompiani, Milano 1994, p. 207, n. 28.(6) Cfr. il mio L’Unione Elettorale Cattolica Italiana. 1906-1919. Un modello di impegno politicounitario dei cattolici. Con un’appendice documentaria, Cristianità, Piacenza 1993.

(7) Cfr. Fausto Fonzi, I cattolici e la società italiana dopo l’unità, Studium, Roma 1960, pp. 35-36.(8) Cfr. il mio Il movimento cattolico in Italia dalla fondazione dell’Opera dei Congressi all’iniziodella seconda guerra mondiale (1874-1939), Mimep-Docete, Pessano (Milano) 1995, pp. 31-34.

Una guerra civile tra cattolici & massoni di Angela Pellicciari

Articolo apparso in Studi Cattolici n. 437/438, Luglio/Agosto 1997.

"L’Italia è l’unico Paese d’Europa (e non solo dell’area cattolica) la cui unità nazionale e la cui

liberazione dal dominio straniero siano avvenute in aperto, feroce contrasto con la propria Chiesanazionale. L’incompatibilità tra patria e religione, tra Stato e cristianesimo, è in un certo senso unelemento fondativo della nostra identità collettiva come Stato nazionale": così scrive Ernesto Gallidella Loggia. L’unità d’Italia, a suo giudizio, è il frutto di una guerra civile, un’"autentica" guerracivile, combattuta tra cattolici e non cattolici. Guerra che è stata dimenticata, perché "non potevache essere rimossa, restare non detta e non dicibile" [Cfr. E. G ALLI DELLA LOGGIA, Liberali che nonhanno saputo dirsi cristiani, in "Il Mulino", n. 349, Bologna 1993 pp. 855-866].

Una guerra civile a fondamento dello Stato unitario?

A cominciare da Pio IX e Leone XIII nel secolo scorso, l’opinione di Galli della Loggia è

ampiamente condivisa dai cattolici. I Pontefici (diretti testimoni dei fatti del Risorgimentonazionale) lo ripetono in numerosi pronunciamenti ufficiali: l’unità d’Italia è il risultato della guerrascatenata dalla massoneria nazionale e internazionale contro la Chiesa cattolica.Pio IX inizia una meticolosa cronistoria dei fatti nel 1849, all’epoca del suo esilio a Gaeta (esiliocui è costretto perché i rivoluzionari di ogni dove sono piombati a Roma trasformandosi in "romanipurosangue" a modello del genovese Mazzini), la continua nel 1855 (dopo la soppressione nelRegno di Sardegna degli Ordini contemplativi e mendicanti) e la riprende nel 1861 all’indomanidell’unità.Il Papa mette a confronto parole e fatti: da una parte le belle parole d’ordine di liberali, repubblicanie socialisti; dall’altra le violenze e la persecuzione anticristiana che a quelle parole fanno seguito. Imassoni, ricorda il Papa, proclamano ai quattro venti di agire nell’interesse della Chiesa e della sua

libertà. Si professano cristiani e pretendono di rifarsi alle più genuine volontà di Cristo. Le cose nonstanno invero così: "Noi desidereremmo prestar loro fede, se i dolorosissimi fatti, che sonoquotidianamente sotto gli occhi di tutti, non provassero il contrario". È in corso una vera e propria

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di Pio IX: confrontare parole e fatti. Il Regno di Sardegna si autoproclama vessillo dell’onorenazionale, perché unico Stato costituzionale e parlamentare della penisola. I Savoia giustificanol’invasione e l’annessione degli altri Stati (tutti retti da sovrani assoluti) proprio con il pretesto delregime politico costituzionale. Vittorio Emanuele, dicono, non può in alcun modo rimanereinsensibile alle grida di dolore che verso di lui si levano da tutte le parti dell’Italia oppressa.

La soppressione degli Ordini religiosi 

Esaminiamo allora come i Savoia traducono in pratica questo tanto propagandato amore per lalegalità costituzionale e per le libertà dei cittadini.Il primo articolo dello Statuto (che entra in vigore il 4 marzo 1848) dichiara: "La religione cattolicaapostolica e romana è la sola religione di Stato". "Che cosa fa la Camera dei deputati del Regnosardo-piemontese? Non appena convocata, nella primavera inoltrata del 1848, si esibisce in unattacco frontale alla Chiesa cattolica. È in corso la prima guerra di indipendenza contro l’Austria ele sorti dell’esercito del piccolo Regno sono già compromesse, ma i rappresentanti dell’1,70% dellapopolazione che ha diritto di voto combattono una loro guerra personale: la guerra contro i gesuiti egli Ordini affini, definiti "gesuitanti". Per più di due mesi i deputati subalpini si esercitano in

interminabili requisitorie contro la Compagnia di Gesù (accusata di essere "rappresentante di unfunesto passato", "corruttrice", "appestata", "lue", "eretica", "torbida malaugurata compagnia") econtro gli Ordini religiosi che i deputati ritengono infettati dall’Ordine incriminato. Teorizzano chela Compagnia è una vera e propria peste e che chiunque le si accosta rimane contagiato.

Alla fine di interminabili discussioni, la Camera ratifica la decisione già presa dal re di sopprimerela Compagnia di Gesù, decide di imporre il domicilio coatto ai religiosi (che non si sono macchiatidi alcun tipo di reato e sono condannati per il solo "nome" di gesuiti), delibera la requisizione ditutti i beni dell’Ordine (gli splendidi collegi finiscono per trasformarsi per lo più in caserme) eaccomuna alla sorte dei figli di sant’Ignazio quegli Ordini religiosi giudicati più pericolosi per laconservazione dell’ordine liberale.

Per qual ragione i deputati Sabaudi fanno tutto ciò? Per amore, ripetono in continuazione, della"vera morale" e della "pura religione". Omettono naturalmente di dichiarare che la morale e lareligione cui si rifanno non sono quelle cattoliche.

Nel 1854-1855 è la volta del governo. Il Ministro Cavour-Rattazzi, il governo del connubio tracentro e sinistra costituzionale, si assume la responsabilità di un attacco in grande stile contro laChiesa cattolica e presenta un progetto di legge per la soppressione (e relativo incameramento dibeni) degli Ordini contemplativi e mendicanti [Cfr "Atti del Parlamento subalpino. Documenti",XII, pp. 1631-1640].

Il governo ritiene che monache di clausura e frati abbiano fatto il loro tempo. Pensa che sianoistituzioni ottime per un periodo di violenza e di barbarie, ma nocive in un’epoca pacifica e liberale.Il ragionamento di Rattazzi è semplice: gli Ordini contemplativi e mendicanti sono inutili: se tali,sono allora nocivi (sic!). L’argomentazione di Cavour è invece più complessa, perché il conte nonritiene l’inutilità motivo sufficiente a giustificare la soppressione. Cavour si fa pertanto carico didimostrare "matematicamente", "con fatti e con teoremi", che gli Ordini in questione sono nocivi.Nocivi a che cosa? Al progresso della moderna civiltà. Nocivi alla prosperità economica,industriale, agricola e perfino artistica del Paese. Cavour ritiene di dimostrare il proprio assuntoricorrendo a una prova inoppugnabile: la realtà dei fatti. E la realtà che costata è la seguente: sonomolto più ricchi, moderni e progrediti quegli Stati in cui gli Ordini sono già aboliti da tempo. Non

solo: là dove non esistono più francescani, domenicani o altri religiosi, è lo stesso attaccamentodella popolazione al cristianesimo a essere più profondo. Per tutti questi ottimi motivi gli Ordini,secondo Cavour, sono nocivi. Ergo, a buon diritto vanno soppressi.

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Con i discorsi di "Lord Camillo" alla Camera e al Senato [Cfr "Atti... Discussioni", XXI, pp. 2862-2871; cfr anche "Atti... Discussioni Senato", VIII, pp. 767-771] si tocca l’apice dellacostituzionalità del Regno sabaudo: il presidente del Consiglio di uno Stato ufficialmente cattolico,per sua stessa ammissione, ritiene migliori sotto ogni punto di vista (quello religioso compreso) gliStati protestanti.

Un’ultima considerazione. Rattazzi, quando in qualità di Guardasigilli e ministro del culto esponealla Camera la necessità di sopprimere gli Ordini religiosi, lo fa ribadendo un’esigenza di strettacompetenza del dicastero che dirige. Il ministro Guardasigilli ritiene giunto il momento di faregiustizia. Di fare giustizia all’interno della Chiesa. Di fare giustizia ai beneamati parroci che, tantoutili alla popolazione, vivono con poche lire mentre i molti religiosi che non fanno nulla vivono nellusso: "È forse giusto, è forse consentaneo ai princìpi della religione che esista questa disparità fra imembri del clero? No certamente". Un ministro di Vittorio Emanuele si propone così di realizzareuna giustizia di tipo redistributivo, sottraendo risorse finanziarie e proprietà ad alcuni per beneficiare altri. Il principio è quello che chi possiede più soldi deve dividerli con chi ne ha meno.Il principio è anche quello che chi lavora deve guadagnare per lo meno tanto quanto chi induge

nell’ozio.

Nei medesimi anni numerosi intellettuali cattolici, primo tra tutti Donoso Cortés, mettono inguardia i liberali: con i metodi che adottano, preparano la strada al comunismo. Anche Pio IX è alriguardo profeta inascoltato. A cose fatte, è indubitabile che tra liberismo e comunismo c’è unacontinuità obiettiva. Lenin si limiterà ad applicare, su più ampia scala, i princìpi così ben enunciatidai liberali. Questi "fanno giustizia" solo ai parroci poveri entro la Chiesa (una giustizia che ritornaa loro vantaggio perché si impadroniscono con pochi soldi dell’ingente patrimonio di cui la caritàcristiana ha fatto dono alla Chiesa), i comunisti "fanno giustizia" a tutti i poveri con i beni deglistessi liberali.

Ma l’incognita tra princìpi e prassi non si limita a quanto finora rilevato. Così l’articolo 24 delloStatuto recita: "Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge".Tutti, meno i religiosi. Tutti, meno quanti donano beni alla Chiesa. I loro testamenti per diventareoperativi devono essere approvati dal governo che li deve purgare "dal sospetto di captazione". Eancora l’articolo 28: "La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi". Libera: a esserelibera davvero è la stampa liberale (di cui non viene punito alcun abuso); quella cattolica, invece,non è libera per niente.

Un esempio convincente? Nel 1848, di fronte alla persecuzione che si abbatte sui gesuiti, ilprovinciale dell’Ordine, padre Pellico, così scrive a Carlo Alberto: "Era semplicemente dichiarato

da V. M. nella nuova legge sulla stampa che dovesse rimaner inviolato l’onore delle persone e deiministri della Chiesa. Ma pare che nell’avvilire e calunniare i gesuiti non si tema di trasgredire lalegge […] esposti per la sola qualità di gesuiti al pubblico odio o alla diffidenza e al dispregio.Intanto però i giornali e i libelli che ci fanno la guerra, approvati in ciò dalla censura, hanno dirittodi rifiutare le nostre smentite; né tuttavia abbiam noi un altro organo imparziale da stamparle conuguale pubblicità, se pure non ci venga concesso di farlo per via della gazzetta del Governo" [Cfr.A. MONTI, La Compagnia di Gesù nel territorio della Provincia Torinese , V, Chieri 1920, pp. 78-79].

Un altro esempio? Nel 1852 il Guardasigilli Boncompagni fa arrestare e imprigionare a carcereduro il conte Ignazio della Costa, consigliere di Cassazione, reo di aver pubblicato un libro dal

titolo Della giurisdizione della Chiesa cattolica sul contratto di matrimonio negli Stati cattolici. Ilconte è incriminato per offesa al re, incitamento al sovvertimento dell’ordine costituzionale edisprezzo della legge dello Stato. Quale la colpa? Richiamare alla coerenza e ricordare che, se si è

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cattolici, bisogna rispettare i decreti del Concilio di Trento. Un particolare che sta stretto aBoncompagni, il quale, mettendo da parte i decreti tridentini, ritiene ugualmente di essere un buoncattolico [Cfr M. D’ADDIO, Politica e Magistratura (1848-1876), Milano 1996, pp. 31-32].Un ultimo esempio? Cavour vieta nel cattolico Regno di Sardegna la pubblicazione delle enciclichedel Papa.Segnaliamo infine l’articolo 29, che enuncia: "Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono

inviolabili". Tutte? Tutte, meno quelle della Chiesa.

Monopolio scolastico 

Chiudiamo questi esempi di buon governo liberale, ricordando come insorge in Italia l’ostilità allascuola privata.I liberali sono all’incirca l’uno per cento della popolazione. È evidente che, potendo scegliere, icattolici mandino i propri figli a scuole non liberali. A scuole dunque (dal momento che lo Stato è inmano dei liberali) non statali. Si tratta allora di impedire ai cattolici di scegliere, di sopprimere lecorporazioni religiose dedite all’insegnamento e di vigilare perché non se ne formino altre. Nessunalibertà di stampa, di parola, di associazione. E nessuna libertà di insegnamento. I cattolici non sono

ancora pronti e devono essere pazientemente educati.

La libertà di insegnamento, e cioè la scuola privata, potrà essere reintrodotta solo quando gli italianiavranno imparato a preferire la scuola laica. In pratica, solo quando a nessun genitore verrà più inmente di dare ai propri figli un’istruzione incentrata sul rispetto della fede. A esplicitarlo in modochiarissimo è uno dei membri più illustri dell’emigrazione italiana a Torino, il filosofo BertrandoSpaventa, che sul Progresso del 31 luglio 1851 scrive: "Noi certo vogliamo la libertà in tutto e per tutto, ma l’applicazione assoluta di questo principio suppone l’eguaglianza di tutte le condizioni".Conclude il filosofo: "Adunque, considerando la questione in modo assoluto, noi vogliamo lalibertà d’insegnamento; ma giudichiamo che per essere attuata essa abbisogni di alcune condizionigenerali, richieste dallo stesso principio d’uguaglianza e di libertà, le quali ora non si trovano nelnostro Paese". Fedeli a questa logica i governanti liberali del Regno d’Italia sopprimono tutte lecorporazioni insegnanti con la conseguenza di riuscire nell’opera meritoria di dimezzare le scuoleesistenti.

La prassi politico-ideologica dei governi liberali mette in luce che i princìpi liberali valgono solo esoltanto per coloro che sono liberali. E tutti gli altri? Tutti gli altri devono venire progressivamenteilluminati dal credo liberale che a poco a poco lieviterà le masse cattoliche allontanandole dallasuperstizione della loro religione. Per il momento è comunque chiaro che i cattolici non devono enon possono contare assolutamente nulla.

Un breve scambio di battute tra Cavour e uno dei membri più influenti della destra, il marescialloIgnazio della Torre, chiarisce bene questo stato di cose. Siamo nel 1855 e la Camera subalpinadiscute il progetto di legge governativo per la soppressione degli Ordini religiosi. Della Torre, per smentire la supposta popolarità della legge, invita a entrare in una qualsiasi delle chiese di Torinostracolme di gente e a chiedere per che cosa si stia pregando: "Tutti quelli che interrogherete virisponderanno che si sta pregando per il progetto di legge". Questa la risposta di Cavour:"L’onorevole maresciallo ha detto che gran parte della popolazione era avversa a questa legge. Io inverità non mi sarei aspettato di vedere invocata dall’onorevole maresciallo l’opinione di persone, dimasse, che non sono e non possono essere legalmente rappresentate" [Cfr "Atti... DiscussioniSenato", VIII, p. 830.]

Galli della Loggia ha riportato alla luce la guerra civile combattuta in Italia durante il Risorgimento.Non ha però spiegato perché quella guerra è stata "rimossa", essendo "non detta e non dicibile". Gliesempi che abbiamo addotto hanno riempito la lacuna.

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Comunque è sicuramente vero: in Italia "l’incompatibilità tra patria e religione, tra Stato ecristianesimo, è in un certo senso un elemento fondativo della nostra identità collettiva come Statonazionale". L’aspetto singolare è semmai perché la storiografia di questo secolo abbia tardato tantoad accorgersene.

Altra questione è la domanda: ci è convenuto?

Risorgimento? Del paganesimo di Angela Pellicciari

Marzo 1861: 140 anni fa Vittorio Emanuele II veniva proclamato re d’ltalia. Sulla pelle di unpopolo cattolico. Perseguitato e oppresso. La storia che non si vuole ricordare. 

"Principe generoso e magnanimo, Principe che i popoli salutano Redentore, innanzi cui si attutanole passioni, si dileguano, si dileguano i sospetti, si sciolgono i dubbi, Principe che ha il donomeraviglioso della fede inconcussa che converte e trascina, Principe, miracolo dell’età nostratortunata, Principe che passerà alla memoria dei posteri col nome di Re Galantuomo": con questaspecie di litania l‘influente massone Pier Carlo Boggio, collaboratore di Cavour, saluta VittorioEmanuele II.

Fatto sta che il re galantuomo non rispetta nessuno degli impegni che prende: i governi liberali delRegno di Sardegna prima, e di quello d’Italia poi, violano sistematicamente tutti i più importantiarticoli dello Statuto a cominciare dal primo, che definisce la religione cattolica "unica religione diStato". Appena inizia l’era costituzionale scatta in Piemonte (poi in tutta l’italia) la prima seriapersecuzione anticattolica dopo Costantino: a cominciare dai gesuiti, tutti gli ordini religiosi della"religione di stato" vengono soppressi uno dopo l’altro e tutti i loro beni incamerati. Mentre 57.000

persone (tanti sono i membri degli ordini religiosi) vengono da un giorno all’altro private dellaproprie case (i conventi) e di tutto quanto possiedono, i beni che nei corso dei secoli la popolazionecattolica ha donato agli ordini religiosi vanno ad arricchire l’1% della popolazione di fede liberale.Oltre 2.565.253 ettari di terra, centinaia di splendidi edifici, archivi e biblioteche, oggetti di culto,quadri e statue, tutto scompare nel ventre molle di una classe dirigente che definisce se stessaliberatrice d’italia dall’oscurantismo dei preti e dei sovrani assoluti.

Nel nome della libertà i liberali conculcano sistematicamente la libertà dei cattolici (della quasitotalità della popolazione): vietano le donazioni alla chiesa, impediscono le processioni cattoliche(plaudono a quelle massoniche), negano la libertà di istruzione (la scuola deve essere docilestrumento della propaganda liberale), per stampa "libera" intendono la suid stampa liberale (Cavour 

arriva a proibire la circolazione delle encicliche pontificie).

In nome della "nazione" italiana (che si pretende risorta alle glorie del passato imperiale romano) iliberali impongono una sudditanza economica e culturale alle potenze definite "civili": inghilterra eFrancia prima, Germania poi. Disprezzando la storia e la cultura dell’Italia cattolica (che regalanoall’italia il primato mondiale della bellezza), i liberali si ripropongono di "fare" gli italiani sulmodello delle nazioni protestanti. Lo stato liberale che, in nome della libertà e della costituzione,impone la volontà dell’1% della popolazione ai restante 99 è un perfetto esempio di stato totalitarioin cui spadroneggiano le società segrete legate ai potentati internazionali anticattolici.

Il 29 maggio 1876 Pio IX così si rivolge ad un gruppo di lombardi che festeggia, non a caso a

Roma, il settimo centenario della battaglia di Legnano: "Sorse una setta, nera di nome e più nera difatti [la Carboneria], e si sparse nel bel Paese, penetrando adagio adagio in molti luoghi. Più tardiun’altra ne comparve [la Giovane Italia] che volle chiamarsi giovane, ma per la verità era vecchia

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nella malizia e nella iniquità. A queste due, altre ancora ne tennero dietro, ma tutte alla fineportarono le loro acque torbide e dannose nella vasta palude massonica. Da questa palude esconooggi quei miasmi pestiienzìali che infestano tanta parte dell’orbe, ed impediscono a questa poveraitalia di poter presentare le sue volontà al cospetto di tutte e genti".

Non potendo invadere lo Stato pontificio dopo una normale dichiarazione di guerra (il Piemonte è,

per definizione, tutelato ai rispetto della "religione di stato"), il 9 ottobre 1860, nel proclama aiPopoli dell’Italia meridionale, Vittorio Emanuele così giustitica il proprio operato: "Ho fatto entrarei miei soldati nelle Marche e nell’Umbria disperdendo queil’accozzaglìa dì gente di ogni paese e dìogni lingua, che colà si era" raccolta, nuova e strana forma d’intervento straniero, e la peggiore ditutte. Io ho proclamato l’italia degli italiani, e non permetterò mai che l’italia diventi il nido di settecosmopolite che vi si raccolgano a tramare i disegni o della reazione, o della demagogiauniversale".

Secondo la migliore tradizione massonica, per "setta cosmopolita" il re galantuomo intende lachiesa cattolica. I Savoia realizzano in italia il sogno di tutti i protestanti e massoni (che non a casosono suoi unici ed influenti alleati): la distruzione del potere temporale dei papi nella convinzione

che al crollo del potere temporale avrebbe inevitabilmente fatto seguito la fine del potere spiritualee, quindi, la scomparsa della chiesa cattolica.

Ecco cosa scrive nel 1863 il Bollettino del Grande Oriente italiano: "le nazioni riconoscevanonell’italia il diritto di esistere come nazione in quanto che le affidavano l’altissimo ufficio diiiberarle dal giogo di Roma cattolica. Non si tratta di forme di governo; non si tratta di maggior larghezza di libertà; si tratta appunto del fine che la Massoneria si propone; ai quale da secolilavora, a traverso ogni genere di ostacoli e di pericoli".

Nulla di nuovo sotto il sole: il Risorgimento - che, non a caso, Leone XIII definisce risorgimentodel paganesimo - è una durissima forma di persecuzione anticattolica scatenata nel cuore stessodella cattolicità Roma e l’Italia. Eppure un aspetto radicalmente nuovo il Risorgimento lo possiede:è l’unico caso in cui una guerra di religione contro la chiesa è scatenata in nome della chiesa (iSavoia, monarchi costituzionali, non possono ufficialmente infrangere il primo articolo dellacostituzione). All’Italia spetta un non invidiabile primato di doppiezza: la realizzazione dellapropria unificazione nazionale contro la Chiesa cattolica, in nome della Chiesa cattolica.

Ricorda 

"Pio IX ha ragione: le ambizioni dinastiche dei Savoia ho scatenato coittro la Chiesa una guerrache, appoggiata da tutte le potenze nemiche del cattolicesimo e da tutte le personalità massoniche,

ha di mira non solo la sottrazione al Papa dello Stato della Chiesa ma la stessa fine dellaconfessione cattolica" [Angela Pellìcciari, Risorgimento da riscrivere, Ares, Milano 1998, p. 202].

"Il culmine di questo processo di unificazione [Risorgimento, n.d.r.] doveva essere la conquista diRoma, la sottomissione del potere temporale del Fapa a quello del sovrani sabaudi (...). Un ‘sognoitaliano’ che corrispondeva ad un’antica aspirazione della Massoneria, all’utopia più coltivata:quella di distruggere il Cristianesimo e di sostituirlo con un culto neo-gnostìco, con aspetti esotericiper gli iniziati e con una dimensione essoterica, pubblica, per il popolo. Il grande scontro che ebbeluogo nell’italia dell’800 […] era una battaglia preparata da lungo tempo per sconfiggere la Romacristiana, la sede del Vicario di Cristo" (Paolo Gulisano, O Roma o morte! Pio IX e il Risorgimento,Il Cerchio. Rimini 2000, p.14).

Bibliografia 

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Angela Pellicciari, Risorgimento da riscrivere, Ares, Milano 1998.Patrick Keyes O’Cleary, La rivoluzione italiana (Come fu fatta l’unità della nazione), Ares, Milano2000.Gerlando Lentini, La bugia risorgimentale. Il Risorgimento italiano dalla parte degli sconfitti, liCerchio, Rimini 1999.

(Il Timone n. 11, Gennaio/Febbraio 2001)

Porta Pia di Vittorio Messori

Converrà continuare il discorso iniziato nel precedente frammento: riflettere su Roma e il suodestino nell’epoca moderna non è certamente un esercizio provinciale e neppure soltanto italiano,visto il mistero di universalità che - dagli inizi della sua storia - è legato all’insediamento sulTevere.

L’Italia "laica" ha avuto un atteggiamento ambivalente davanti alla Città Eterna: da un lato il mitodi Roma, nutrito di ricordi, conditi con non poca retorica, dell’antichità classica. Dall’altro,l’avversione per ciò che quel luogo era divenuto con i papi e per ciò che, dunque, significava per uncattolicesimo identificato come il nemico principale da battere perché colonna dell’oscurantismo,nocciolo duro delta reazione, trincea della resistenza ai "Lumi" della Scienza e del Progresso.

Questa avversione per la città-simbolo della vicenda cristiana si estendeva (e si estende), un po’razzisticamente, verso i romani. Giordano Bruno Guerrì, nell’incredibile articolo da cui siamopartiti qui sopra, sentenzia: «Il papa si è ben guardato dal dire che lo sfascio di una città non puòdipendere solo da chi l’amministra e che occorre la complicità di chi ci abita: il peggior male diRoma è la romanità dei romani, ovvero quell’accidia arrogante e spocchiosa che non è certo

genetica, ma che si è formata in secoli di dominio papale». La Chiesa, dunque, come corruttrice dianime e di caratteri. Ancora Guerri: «Ci vuole la faccia tosta di Wojtyla per prendersela con unacittà i cui mali, tutt’altro che recenti, sono stati metodicamente preparati dai suoi predecessori nelcorso dei secoli. Roma era certamente più fetida di oggi quando le miserabili catapecchie delpopolino si addossavano alle mille chiese fastose, quando i papa-re angariavano la città per arricchirsi. impotentirsi, michelangiolarsi: impiccando, arrostendo sui roghi. immiserendo».

Siamo, come si vede, a una sorta di revival anticlericale. davvero sconcertante nella sua ingenuaripetitività ottocentesca che ignora la realtà effettiva, ben diversa, mostrata dagli studi storici. Certo,sorprende in modo particolare, in un intellettuale contemporaneo, considerare una colpa storicadella Chiesa il "michelangiolarsi". L’avere cioè, con il costante amore per le arti, permesso agli

artisti di esprimersi non lesinando loro i mezzi e a Roma, ridotta a rovine coperte di ortiche, diassumere una bellezza che neppure la "nuova" Italia, dopo il 1870, malgrado ce la mettesse tutta,riuscì a distruggere del tutto. Bellezza che, richiamando da tutto il mondo chi è sensibile alle arti, siè rivelata poi per la città anche il migliore e il più duraturo degli investimenti economici. I Guerripensano forse che un solo turista si muoverebbe per visitare ciò che dopo il 1870 l’Italia - per oltremezzo secolo polemicamente anticlericale - ha edificato sui Sette Colli?

Quanto alle «miserabili catapecchie del popolino» nella città prima della breccia di Porta Pia, è bennoto (come ci hanno detto Marx, Engels e tutto il movimento socialista e umanitario), che, nellostesso periodo, il «popolino» dei Paesi protestanti - dunque acerrimi nemici del "papismo" toccatidalla rivoluzione industriale, godeva il suo comfort sereno nelle villette con giardino e pianoforte

dei sobborghi operai di Manchester, di Londra, di Parigi, di Berlino... Quel «popolino» - che là, traquelle brume, chiamavano "proletariato" - non si addensava attorno a «chiese fastose» ma a quellenude, terribili, disumane cattedrali che erano opifici e fabbriche; templi innalzati dalla nuova casta

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sacerdotale, la borghesia, ai soli dei che ormai riconoscesse: il Denaro, il Profitto, la Produzione.

In realtà, in una certa cultura continua ad agire, magari inconsciamente, il rancore verso i romaniper non avere fatto nulla per accelerare l’arrivo della "Ragione e del Progresso" all’interno delleMura Aureliane. Cerchiamo di ripassare un poco quella storia che oggi sembrano ignorare anchetanti "storici". Nel marzo del 1861, aprendosi il primo parlamento del Regno non più di Sardegna

ma d’Italia, la Roma ancora papale è acclamata, simbolicamente, capitale d’Italia. Cavour (che maivolle visitare Roma) è troppo realista per cedere alle declamazioni dei retori sulla mitologiadell’Urbe e sui suoi ricordi imperiali: a lui, quella votazione serve per bloccare sul nascere l’anticomunicipalismo (già molte città, da Milano a Napoli, avanzavano candidature) e per lasciare a tempoindefinito la capitale nella sua Torino, pur così decentrata e malamata dai sudditi del nuovo Regno.Cavour sa che quella proclamazione è platonica e che lo resterà: la Francia di Napoleone IIIpresidia in armi la Città Eterna e minaccia guerra in caso di occupazione; anche le altre potenzeeuropee, a cominciare dall’Austria cattolica e dalla stessa Prussia protestante, si oppongono allepretese Italiane.

Con la Convenzione con la Francia nel settembre 1864, il Regno, impegnandosi a trasferire la

capitale a Firenze, sembra prendere atto definitivamente della impossibilità di installarsi sul Tevere.Due anni dopo, nel 1866, onorando quella Convenzione, la Francia ritira le sue truppe da Roma,lasciando solo un presidio internazionale (composto, tra l’altro, da giovani volontari delle famigliecattoliche di tutta l’Europa e addirittura delle Americhe: non solo il Risorgimento ma anche "l’altraparte" ebbe l’equivalente delle "camicie rosse" garibaldine). Nel 1870, schiacciato a Sedan daiprussiani il secondo impero napoleonico (e irritata l’Austria dalla proclamazione, fatta dal VaticanoI, dell’infallibilità papale), l’Italia ha mano libera per occupare Roma da dove i francesi si sonoritirati e per trasferirvi, l’anno seguente, la capitale. Ebbene: poco si riflette sulla grave sconfittamorale, sulla insanabile delusione del nazionalismo borghese, dovute al fatto che il 20 settembre icannoni di Raffaele Cadorna dovettero sparare quattro ore per aprire una breccia nelle mura e fareirruzione in una città che aspettava muta, inerte, come rassegnata.

I dieci anni dal 1860 al 1870 erano stati, infatti, un testardo quanto inutile sforzo per ottenerel’insurrezione dei romani contro il papa, dando così al governo italiano un pretesto per intervenire.Fino al 1866 i patrioti si consolarono dicendo che la causa della mancata rivolta era la presenza deifrancesi. Partiti questi, Garibaldi pensò che il momento fosse giunto ma, penetrato nell’autunno del1867 in quel che restava dello Stato Pontificio, trovò una popolazione niente affatto festante, bensìlargamente ostile (come egli stesso ammise). Riuscì a Spingersi sin quasi sotto le mura di Roma,fidando nella insurrezione che gli era stata promessa e per la quale il governo italiano non avevalesinato aiuti in denaro e in armi. «Ci basterebbero solo dieci schioppettate dei romani!», gemeva, aFirenze, il capo del Governo, Giovanni Lanza. Ma quelle schioppettate non ci furono; anzi, non

mancarono i popolani laziali che si arruolarono volontari per contrastare l’invasione garibaldina. I"congiurati", pagati dal governo dì Firenze e da Garibaldi, spiegarono poi che la promessarivoluzione contro il papa non era stata fatta perché, la sera convenuta, si era messo a piovere...Così, a Mentana, i pontifici e i francesi mettono in fuga i garibaldini e l’esercito italiano non puòintervenire (come era stato programmato) prendendo a pretesto morale la rivolta degli abitanti delLazio e di Roma che non ci fu. Lo stesso accade nel 1870, quando la Francia sconfitta e poi in predaal marasma della Comune richiama il suo presidio. Anche stavolta si cerca di suscitare uninsurrezione; ma anche stavolta denari, sforzi, agenti provocatori si rivelano inutili. Tanto cheancora il 10 settembre, quando già le truppe di Cadorna convergono sulla città, Pio IX,acclamatissimo dal popolo, si reca a inaugurare una fontana sulla piazza di Termini. E, irrompendodieci giorni dopo da Porta Pia su quella che sarà, appunto, la via XX Settembre, i bersaglieri

trovano strade deserte, imposte chiuse, una città che sembra considerarsi più invasa che "liberata".E che sempre distinguerà tra essa e gli "italiani", chiamati buzzurri, cioè forestieri rozzi e noninvitati.

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Un bello smacco per la retorica nazionalista e laicista: questa delusione è tra i motivi di una tenaceavversione contro i romani, colpevoli di non avere voluto muovere un dito per togliersi di dossoquella che (stando allo schema) sarebbe stata "l’intollerabile oppressione papalina". Un disprezzo"laico" che si aggraverà ancora perché, nel 1943, fuggito dal Quirinale il nipote del re giunto nel1870, e dissoltosi non solo il governo ma persino lo Stato entrato a cannonate, i romani si strinsero

di nuovo attorno al papa, ridandogli spontaneamente l’antica autorità; e, partiti i tedeschi, siriversarono in massa a piazza San Pietro per acclamarlo come "difensore della città" che, unico tra ipotenti, non aveva abbandonato.

Fu, questo, un finale coerente con gli inizi, con quel lontano 1793 in cui in Francia regnava ilTerrore dei giacobini, i quali inviarono nella Roma papale - con funzioni di propagandista e diprovocatore coperto dalla immunità diplomatica - Hugon de Bassville, tanto mediocre cantore dellaRivoluzione quanto fazioso e virulento miscredente. Bassville, come sintetizza uno storicocontemporaneo, «in occasione delle principali cerimonie religiose, accompagnato da servitori eguardie del corpo, era solito mescolarsi ai fedeli e, nei momenti di maggior devozione, si facevabeffe a gran voce dei sacramenti, dei celebranti e dei luoghi e oggetti di culto e invitava,

bestemmiando, a devastare le chiese e a consegnargli i sacerdoti affinché, tradotti a Parigi,venissero decapitati».

A fronte della eccessiva tolleranza del papa, che si limitava a proteste cui dalla Francia sirispondeva con sarcasmo, intervenne il popolo, quello vero (e non «la plebaglia» come ancora silegge in enciclopedie e testi scolastici), il popolo credente che, ferito nel suo sentimento religioso,un bel giorno perse la pazienza e alle bestemmie ripetute per l’ennesima volta proruppe in tumultiche culminarono con il linciaggio di Bassville. Ne seguì la dichiarazione di guerra della Franciagiacobina allo Stato pontificio: dichiarazione, per il momento, platonica, visto che a Parigi c’era benaltro da fare in quei mesi che muovere a battaglia contro il papa. Ma Napoleone non dimenticò eanche per questo, quando giunse in Italia, calcò particolarmente la mano contro Roma. Ma questa,con l’uccisione del giacobino blasfemo Bassville, si assicurò un primato: era stata la prima cittàitaliana a dimostrare, e violentemente, contro la Rivoluzione. Deve esserci anche questo nelsubconscio degli "illuminati" che disprezzano il popolo romano.

I Guerri, dunque, non hanno torto: come non detestare gente che massacrò Bassville, che non vollescacciare Pio IX e che ritrovò in Pio XII un "papa-re" cui essere grata?

(tratto da V. Messori, Pensare la storia, San Paolo, Milano 1992).

Si fa presto a dire "Risorgimento" ...Scritto da Francesco Pappalardo

Unificazione politica e Risorgimento sono state cose diverse. La prima poteva esserenecessaria, l’altra fu l’imposizione di una minoranza ideologica.Con il risultato di allontanare gli italiani dall’Italia.

Se a grandi linee il termine Risorgimento indica «il periodo della storia d'Italia durante il quale lapenisola italiana venne unificata politicamente», secondo la definizione di una delle più consultateenciclopedie on line, Wikipedia, con maggior attenzione bisogna distinguere fra Unità eRisorgimento, cioè tra due fenomeni di diversa natura, l'uno politico e l'altro grosso modo culturale.

Due cose diverse 

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Il primo, l'Unità, fu reso necessario dalle difficoltà di convivenza insorte fra gli Stati europei in etàmoderna - soprattutto il venir meno della mediazione sovranazionale offerta dalla Chiesa cattolica edal Sacro Romano Impero -, che rendeva più difficile la sopravvivenza dei piccoli Stati; il secondo,il Risorgimento, volle essere una vera e propria Rivoluzione culturale, mirante a «modernizzare»l'identità del paese, stratificatasi nel corso di ricche e complesse vicende storiche ma ritenutainadeguata da ristrette élite politiche e intellettuali, che rappresentavano non più del due per cento

della popolazione.La nazione italiana già esisteva da quasi un millennio come unità culturale e linguistica, pur nelladiversità delle sue componenti, essendosi formata, in seno alla Cristianità, nei secoli dell'AltoMedioevo. La varietà dei quadri ambientali, l'ampiezza e la molteplicità dei contatti e degli apportiesterni, il policentrismo urbano e regionale, che hanno depositato nella penisola un insieme diesperienze e di tradizioni forse senza eguali nel mondo, affondano le radici in un terreno comune,cioè nel formidabile fattore unificante costituito dall'eredità latina e dal retaggio del cristianesimo,di cui l'Italia è la sede storica. Pertanto, la «dimensione multinazionale» della nazionalità, secondola definizione dello storico Giuseppe Galasso, s'identifica con la tradizione di formazioni politichedurate per secoli - settecento anni i Regni di Napoli e di Sicilia, da quattrocento a seicento anni gliStati provinciali o regionali del Centro e del Nord - e dotate di una logica di sviluppo autonoma. Il

pluralismo politico e l'assenza di un potere centrale e dominante hanno reso possibile la fioritura ela moltiplicazione di centri di cultura e di prosperità, e sono stati sentiti dagli italiani del tempocome condizione di un elevato livello di vita morale e civile.

L'UnitàIl tradizionale status quo viene scosso internamente dalle riforme attuate dai sovrani illuministinella seconda metà del secolo XVIII e quindi distrutto dalle dirompenti, innovazioni politiche,amministrative e giuridiche importate dalla Francia dopo il 1789. In particolare, l'imposizione diregimi rivoluzionari, giacobini prima e napoleonici poi - cui le popolazioni della penisolareagiscono con vigore e con determinazione, dando luogo all'ampio e misconosciuto fenomenodell'Insorgenza (17921814) -, mina quel senso di specificità storica e regionale che aveva offertolegittimità all'esistenza nella penisola di una pluralità di Stati distinti.Alla sfida rappresentata dai mutamenti intervenuti nel contesto internazionale avrebbe costituitorisposta adeguata una struttura confederale, una federazione di Stati, cioè un abito ritagliato sumisura, che fosse adeguato alla nuova situazione e assicurasse il rispetto dell'antica personalità deipopoli d'Italia. Ma con un compromesso fra l'unitarismo dei seguaci di Giuseppe Mazzini (1805-1872), che rinunciano alla pregiudiziale repubblicana, le aspettative dei moderati, i qualiabbandonano i metodi graduali e pacifici utilizzati fino ad allora, e le mai sopite ambizioniegemoniche del Regno di Sardegna, di natura soprattutto territoriale, si giunge all'Unità, compiutanel 1860 sotto l'abile e spericolata regia di Camillo Benso, conte di Cavour (1810-1861), eufficializzata l'anno seguente con la proclamazione del Regno d'Italia.

La Questione Romana è la questione italiana Il processo di unificazione è caratterizzato da gravi prevaricazioni, soprattutto nei confronti dellaSanta Sede, che deve rinunciare al possesso millenario dei suoi territori. Da allora fino alla morte ilpapa Pio IX (1846-1878) rinnoverà le sue proteste, ribadendo che il principato civile del Ponteficecostituiva la condizione necessaria per il libero esercizio della sua autorità spirituale e che dunque laQuestione Romana non era un problema politico, legato all'indipendenza e all'unità italiana, bensìreligioso, perché concernente la libertà della Chiesa nello svolgimento della sua missioneevangelizzatrice, indipendentemente dall'estensione del territorio ad essa affidato. La QuestioneRomana è la questione centrale del Risorgimento, di cui costituisce il filo conduttore e l'essenzareligiosa, poiché tutte le forze rivoluzionarie, dal liberalismo cattolico fino al radicalismo

democratico, trovano il loro momento aggregante nel mito della Roma «rigenerata», perchésvincolata dal «dominio» pontificio.

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Il RisorgimentoErnesto Galli Della Loggia nel suo studio su L'identità italiana ha rilevato il carattereimmediatamente ideologico dello Stato unitario, a causa della sua origine da una rivoluzione/guerracivile, e ha individuato nelle modalità dell'unificazione la causa principale della frattura fra l'anticaidentità «italiana» e la moderna identità «nazionale», che oltrepassa di poco il secolo ed è percepitatuttora come fragile. Infatti, il processo di modernizzazione dell'Italia nelle sue dimensioni

politiche, economiche e culturali - si svolge sotto l'influenza di quello che Massimo Introvignechiama «partito anti-italiano», cioè di élite legate fra loro dal pregiudizio che collegava l'ethoscattolico all'arretratezza dell'Italia e per le quali non si trattava tanto di «fare gli italiani» quantopiuttosto di fare un'Italia «ideale» contro gli italiani «reali». Convinti anche, e stavoltacorrettamente, che questo ethos fosse radicato nei localismi e nelle peculiarità regionali, i nuovi cetidirigenti guardano con sospetto a ogni ipotesi di federalismo e anche di semplice decentramento,assumendosi il compito di consolidare le basi del traballante Stato unitario con una vigorosa azioneantimunicipalistica.

Scuola ed esercito per "fare gli italiani" Ma l'omogeneizzazione delle istituzioni e la creazione di un forte Stato centralista vanno di pari

passo con una gigantesca opera pedagogica, i cui strumenti principali sono la scuola e l'esercito. Lacoscrizione militare e la coscrizione scolastica dovevano essere collegati in modo indissolubile,perché rappresentavano la fucina migliore per formare le nuove generazioni nel culto esclusivodella patria e per ridimensionare il ruolo educativo della Chiesa. Questa reagisce sia riaffermandosolennemente il principio per cui il diritto naturale all'educazione e all'istruzione compete in primoluogo alla famiglia, sia condannando il servizio militare obbligatorio, che faceva della vocazione dialcuni un dovere di tutti e che veniva considerato una conseguenza diretta della statolatria, deipoteri assoluti dello Stato moderno. L'opera di pedagogia politica e patriottica degli italiani - di cuiè protagonista anche Giuseppe Garibaldi (1807-1882) con un ruolo poco noto di «rieducatore»popolare - vengono accompagnati dal tentativo d'inventare una tradizione per il nuovo Stato unitarioattraverso forme di sacralizzazione della monarchia e dei miti risorgimentali, presentati inalternativa alle esperienze religiose tradizionali. I ceti dirigenti fanno ricorso a tutti gli strumenti adisposizione, dal culto della dinastia sabauda alla celebrazione delle ricorrenze più significative conla finalità di creare una liturgia civile, fino alla pedagogia monumentalistica dispiegata sulle piazzee nei «sacri» palazzi della nuova Roma.

Gli italiani estranei in ItaliaL'Unità ha quindi come prima conseguenza la totale estraneità di gran parte della popolazione alloStato unitario e alla sua ideologia. L'imposizione di un abito istituzionale inadeguato, inoltre, causaal corpo sociale gravi disagi, di cui soffre tuttora, e disperde una parte rilevante delle inestimabiliricchezze culturali della nazione. Ciò è più evidente nell'ex Regno delle Due Sicilie - ridotto a

«Mezzogiorno» e diventato oggetto di studio e di analisi da parte di scienziati sociali, di antropologie di politici «meridionalisti» -, dove l'unione forzata in un grande Stato, nel 1861, ha determinato,prima ancora della spoliazione economica, un processo di alienazione culturale e il progressivovenir meno dei punti di riferimento sociali e istituzionali, che hanno aperto la strada prima allagrande emigrazione transoceanica e quindi allo sviluppo della criminalità organizzata.Infine, la costruzione dell'Italia moderna, che emargina a lungo i cattolici, costituisce un vulnustanto più grave in quanto va a toccare non un elemento secondario della «nazionalità spontanea»degli italiani, bensì il suo cuore, il senso di appartenenza religiosa. .

CRONOLOGIA DEL RISORGIMENTO

1792 - Le armate francesi attraversano le Alpi e cominciano la conquista dell'Italia. Si verifica laprima "insorgenza", ( i "barbetti", i montanari del Nizzardo e delle valli delle Alpi Marittime che

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La spoliazione della ChiesaScritto da Angela Pellicciari

Un regno che poco o nulla conosceva del resto d’Italia compie l’unificazione del Paese.Pagando un tributo determinante alle potenze dell’epoca, massoniche e nemiche del Papato.Nasce così la legislazione anticristiana.

Per comprendere un fenomeno storico (come per qualsiasi altro tipo di realtà) bisogna partire dadomande ben poste. A proposito di Risorgimento una buona domanda è: come mai è assurto acampione di italianità uno Stato periferico a cavallo delle Alpi, non paragonabile per storia edimportanza culturale allo Stato della Chiesa, al Regno delle Due Sicilie o al più piccolo Granducatodi Toscana? Come mai l'unificazione italiana è partita proprio dal Regno di Sardegna nel cuiParlamento si parlava, spesso, in francese?La risposta è inequivocabile: perché i Savoia hanno pagato un prezzo che gli altri sovrani non eranodisposti a pagare. Perché hanno unificato l'Italia combattendo la profonda identità culturale,religiosa, artistica ed anche economica della nazione. In una parola: hanno accettato di passaresopra agli interessi più vitali della popolazione che, dopo l'unità, è stata trasformata in un popolo dimendicanti costretti ad emigrare. Cosa inaudita nella nazione che da più di due millenni era il BelPaese. Ricco, bello, colto, civile, solidale, ospitale.Gli unici alleati che i Savoia hanno trovato per diventare re di un territorio prestigioso come l'Italia(a parte un esiguo numero di rivoluzionari provenienti dagli altri Stati della penisola) sono statiquanto di meno italiano si potesse immaginare: gli Stati protestanti e massonici che all'epocadominavano il mondo. Per avere il loro sostegno politico, militare ed economico, i sovrani sardihanno dovuto dare prova di essere omologati al credo religioso e culturale dei propri sponsor,mettendo in atto una seria persecuzione anticattolica.

La persecuzione degli ordini religiosi Succede così che nel 1848, non appena Carlo Alberto concede lo Statuto, Parlamento e governosubalpino tolgono la libertà ai gesuiti e agli ordini definiti "gesuitanti".L'8 giugno 1848 il deputato Cesare Leopoldo Bixio presenta un progetto di legge per «provvederealla interna quiete dello Stato» spronando i colleghi a «prendere d'esempio dagli uomini semplici,ma previdenti: i villici quando uccidono le vespe ardono e distruggono il vespaio perché nontornino».Chi sono la vespe? Quali gli alveari? La risposta è semplice e inequivocabile: le vespe sono igesuiti, gli alveari da bruciare «le chiese e le case dell'ordine in varie città».Il 1848 si chiude imponendo ai gesuiti - rei del crimine di chiamarsi tali - il domicilio coatto efacendo passare ad altri usi gli splendidi collegi che dirigono: le scuole dell’ordine diventano

caserme, ospedali, manicomi.Qualche anno dopo è la volta degli ordini contemplativi (monache di clausura) e mendicanti (primifra tutti francescani e domenicani). La follia rivoluzionaria del 1848 è passata e il governo spacciala soppressione di ordini religiosi secolari, tutelati dallo Statuto, per una semplice questione dibuona amministrazione.

Le "ragioni" di RattazziAnalizziamo in dettaglio le motivazioni proposte in Parlamento:a) gli ordini mendicanti e contemplativi sono inutili, quindi dannosi. Così si esprime UrbanoRattazzi, che ha anche competenza sul culto come ministro della giustizia in Piemonte. Il Regnosardo, che si definisce liberale, decide di azzerare una cospicua realtà sociale, religiosa, culturale ed

economica, perché la definisce inutile quindi dannosa.Il totalitarismo liberale, fenomeno d'élite, anticipa, non ci sono dubbi, il totalitarismo di massa delNovecento.

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b) È ancora Rattazzi ad offrire una seconda buona ragione per togliere la personalità giuridica agliordini religiosi della Chiesa di Stato: il guardasigilli ritiene che la Chiesa sia ingiusta e che lo Statodebba rimediare a tanta ingiustizia. Lasciamo la parola a Rattazzi: è «impossibile negare lanecessità d'una più equa ripartizione dei beni ecclesiastici. Mentre si veggono benefizi con unarendita di oltre 100.000 lire», ce ne sono altri «la cui rendita non arriva nemmeno alle 500 lire. Èforse giusto, è forse consenta neo ai principii della religione che esista questa disparità fra i membri

del clero? No certamente». Il progetto, conclude il ministro, «intende ad introdurre la più equaripartizione dei beni ecclesiastici». In buona sostanza Rattazzi sostiene la necessità di fareuguaglianza: bisogna togliere a chi ha di più per dare a chi ha di meno. Chi avrebbe potutoimmaginare una vena leninista così spiccata in un ministro liberale? Quando Pio IX - fin dal 1846,all'epoca della sua prima enciclica - ammonisce i liberali del pericolo comunista, è un buon profeta:sconvolgendo i diritti della proprietà privata (e della più sacra tra le proprietà private, quella dellaChiesa, ovvero i "beni dei poveri"), i liberali smantellano le basi stesse di un ordinato vivere civile.c) Ritenendo insufficiente l'equazione inutile=nocivo stabilita da Rattazzi, Cavour scientificamentedimostra in Parlamento che gli ordini religiosi sono dannosi ed è per questo che vanno aboliti.Dannosi a che cosa? AI progresso, è la risposta. Monache, francescani e domenicani si oppongonoal progresso in tutti i campi: in quello sociale come in quello scientifico, artistico, culturale, agricolo

e industriale. Cavour che, secondo le proprie abitudini, non arretra di fronte a niente, arriva asostenere che le corporazioni sono dannose allo stesso progresso religioso: «le riforme che noi viproponiamo debbono riuscire altresì vantaggiose ai veri interessi della religione e della Chiesa». IlPrimo ministro del regno sardo pensa di poter giudicare delle realtà ecclesiali meglio del Papa.Come a suo tempo avevano fatto i vari Lutero, Enrico VIII, Calvino e, qualche decennio prima diCavour, i giacobini e Napoleone.d) La motivazione principale, l'asse portante dal punto di vista propagandistico, che permette allapersecuzione di snodarsi lungo la sua china inarrestabile fino a rendere il papa prigioniero inVaticano, non è esposta né da Rattazzi né da Cavour, ma dal deputato Carlo Cadorna.

Separare per eliminareÈ infatti Cadorna ad introdurre in Parlamento il principio del separatismo: "libera Chiesa in liberoStato". Con quale artificio il deputato può giustificare un attacco frontale alla Chiesa di Stato innome della sua libertà? Con l'eterno trucco dei rivoluzionari: cambiando il significato delle parole.Seguiamo l'argomentazione del deputato: il potere spirituale e quello temporale esistono per volontàdi Dio. Ma che cosa si deve intendere quando si parla di potere spirituale? «La società ecclesiastica- è la riposta di Cadorna - agisce sulla parte interiore dell'uomo, sull'anima; essa domina i pensieri,le aspirazioni, le credenze». Detto in parole povere, al Parlamento subalpino fa comodo confondereil potere spirituale con il potere divino. La Chiesa - sostiene Cadorna - «è spirituale nel suo scopo, enoi non sapremmo invero comprendere troppo agevolmente quale nesso possa esistere tra l'oggettospirituale, cioè l'anima umana sulla quale la Chiesa può unicamente agire, e gli oggetti materiali i

quali hanno inabilità naturale di esercitare sull'anima un'azione di qualsivoglia natura». Leconseguenze di questa inedita definizione di potere spirituale sono ovvie: la Chiesa si occupa di ciòche, come l'anima, è immateriale; di ciò che non si vede. Lo Stato, al contrario, si occupa di tutto ilresto; di tutto quello che si vede. E così, con gran candore, il cattolico Cadorna può sostenere che ibeni della Chiesa «non divengono spirituali per ciò solo che sono destinati al culto».È grazie ad una simile definizione di potere spirituale che il Regno sardo prima, quello italiano poi,mettono le mani sulle proprietà di tutti gli ordini religiosi, privati della personalità giuridica, e siimpadroniscono dello Stato più antico e prestigioso dell'Occidente, l'unico Stato al mondo nonfrutto di conquista: lo Stato della Chiesa. Se monaci e frati non possono possedere nemmeno iconventi in cui abitano (con relativi oggetti sacri, libri, archivi, quadri, statue), in nome di cosa ilPapa può giustificare il possesso di un intero Stato?

Quando il Piemonte entrò nel "giro che conta"Con l'attacco alla Chiesa del 1855, il governo sardo dimostra alle grandi potenze di voler fare sul

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serio nella volontà di annientare la Chiesa di Stato. Grazie alla legge contro i conventi, unita aqualche migliaio di morti (i giovani mandati a combattere in Crimea), Cavour può partecipare alCongresso di Parigi del 1856 e aggiungere all'ordine del giorno dell'agenda internazionale laquestione italiana. Lo fa, incredibile a dirsi, come questione morale: gli italiani dell'Italiameridionale e centrale gemono sotto il malgoverno pontificio e borbonico. Gemono sotto governiassoluti, anni luce lontani dal bravo Piemonte che è costituzionale e liberale. Gli italiani vanno

aiutati e Vittorio Emanuele Il è pronto a fari o liberandoli con il proprio esercito. Il principio del"non intervento", sanzionato sempre a Parigi, fa il resto: nessuno può intervenire a difendere l'Italiacattolica ed i suoi legittimi governanti. Nessuno meno coloro che, come Napoleone III,intervengono per attaccarla e spartirsene il bottino.Fra il 1861 , data di nascita del nuovo Regno d'Italia di cui ci apprestiamo a celebrare ilcentocinquantenario, e il 1873, i governi liberali estendono a tutte le regioni italiane la legislazionesarda e sopprimono uno dopo l'altro tutti gli ordini religiosi espropriandone tutti i beni. 57.492 frauomini e donne, tanti sono i membri degli ordini soppressi, vengono messi sul lastrico, cacciatidalle proprie case, privati del lavoro, dei libri, degli arredi sacri, degli archivi, della vita che hannoscelto. Più di cento le diocesi italiane lasciate senza vescovo. Qualche anno dopo è la volta delleventiquattromilacentosessantasei opere pie. Il gigantesco ladrocinio che accompagna il

Risorgimento avviene, colmo dei colmi, in nome della Chiesa cattolica. Come è potuto accadere?Per la contraddizion che noI consente: i liberali non possono apertamente dichiarare il proprio odioanticattolico perché ufficialmente vincolati al rispetto della Costituzione. E lo Statuto definisce laChiesa cattolica «unica religione dello Stato».

Dossier: Risorgimento: l'unificazione che ha diviso l'Italia

IL TIMONE - N.76 - ANNO X - Sett/Ott. 2008 - pag. 39-41

L'unità malfattaScritto da Roberto Beretta

Intervista a mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino.Che ricorda le ragioni che hanno diviso gli italiani, durante e dopo l’unificazione. Sono motiviculturali, perché riguardano i fondamenti della vita civile.

Adesso è vescovo, ma non è che la croce pettorale abbia esorcizzato la sua vena di polemista.Quella che - quand'era ancora prete ambrosiano e braccio destro di don Luigi Giussani alla Cattolica- gli aveva fatto firmare libri puntuti come Pio IX. Attualità e profezia, Controstoria. Una rilettura di

mille anni della vita della Chiesa e False accuse alla Chiesa. Quando la verità maschera i pregiudizilaicisti. Inoltre, monsignor Luigi Negri ha ora occasione di sperimentare nel vivo gli effetti di unperiodo storico sul quale si era cimentato come studioso, il Risorgimento: si ritrova infatti in unadiocesi (per la precisione quella di San Marino - Montefeltro) erede dei territori pontifici.

Diciamo la verità, monsignor Negri: parlar male di Garibaldi si può, o magari si deve; madeprecare l'unità d'Italia, con gli attuali chiari di luna pseudosecessionisti non sembra la cosamigliore, soprattutto per i cattolici. O no?«Certo, bisogna cercare di evitare i cortocircuiti di carattere politico; ma il problema per me si ponea un livello fondamentalmente culturale. È ormai indubbio, difatti, che l'unità d'Italia è stata fattamale, e questo è un giudizio storico ~ che non proviene solo dai presunti "nostalgici" papalini:

Ernesto Galli della Loggia, che non è del tutto delle nostre parrocchie, ha sottolineato più voltecome l'unità italiana sia stata sostanzialmente un fallimento. Si è tentato cioè di sovrapporre, a unacultura di popolo fortemente radicata e che aveva avuto nella storia varie modalità per influire nella

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società, un'ideologia laicista, anti-cattolica, progressista, illuminista che la gente ha sempre sentitoestranea; per questo gli italiani hanno assistito solo dai margini a un cambiamento che la classedirigente definiva invece "epocale"».

Insomma, fatta l'Italia non sono stati fatti gli italiani... Ma basta per screditare l'unità?«lo non sostengo che l'unità d'Italia non si dovesse fare: c'erano anzi ragioni economiche e politiche

e sociali che rendevano plausibile, anche auspicabile tale sbocco; ma fu scelta una strada troppoveloce e soprattutto violenta per realizzarla. Abbiamo avuto fenomeni quasi da genocidio, e d'altraparte l'unità è stata contestata con violenze uguali e contrarie... In generale, una rivisitazione criticadel Risorgimento ha senso in quanto gli eventi di allora hanno avuto ripercussioni che duranotuttora. Non si tratta di promuovere fughe nostalgiche nel passato pre-risorgimentale, come neppuredi difendere in modo ottuso il suo meccanismo d'attuazione (che è profondamente discutibile); madi chiedersi se oggi esiste nel nostro popolo una cultura che si è appropriata delle istituzioni e lesente come sostegno alla sua vera cultura».

Non ritiene che la «questione romana» abbia avvelenato fin troppo la storia d'Italia, tra l'altrotenendo artificiosamente lontani i cattolici dalla politica e ponendo i presupposti per le attuali

incomprensioni tra «laici» e Chiesa?«La questione romana, cioè l'occupazione di Roma da parte del nuovo Stato, mi sembraindebitamente enfatizzata nella sua evoluzione. C'è un aspetto più immediato e di superficie, ovveroi rapporti istituzionali tra due enti uno dei quali distrugge o si annette l'altro: si può eliminare unordine precedente senza una dichiarazione di guerra o un pronunciamento internazionale?Ma lasciamo perdere; esiste un aspetto più profondo: per la gente, Roma al Papa era la certezza delnesso sostanziale tra la Chiesa e la società italiana. La fine dello Stato pontificio non è stataavvertita dai cristiani quale perdita di territorio, ma come la possibilità che la funzione del Papapotesse essere ridotta, quando non negata. E che la sua libertà d'azione potesse essere fortementecondizionata, come di fatto è a volte avvenuto. Il popolo vuole che il Papa possa esprimersiliberamente, perché la sua libertà è quella della Chiesa».

Lei è stato tra quanti hanno difeso addirittura il ..Sillabo». Perché?«Perché in quel documento Pio IX ha avuto la forza di individuare con chiarezza le differenze tramodernità e Chiesa. Credo che aver preso le distanze dal fenomeno complesso, articolato, e magariall'epoca non totalmente compreso che si chiama liberalismo abbia reso possibile il confronto traesso e la tradizione cattolica. Senza Sillabo non sarebbe stato possibile lo scontro anche duro da cuiè nata la dottrina sociale della Chiesa: perché è dalla coscienza delle differenze che comincia ildialogo. Senza il Sillabo saremmo ancora cattolici in Europa, o non tutti fascisti, comunisti,tecnoscientisti, eccetera?Quel testo è stato un attacco formidabile al totalitarismo, che da culturale sarebbe diventato socio-

politico; pertanto credo che si debba una grande riconoscenza a chi ha detto che la società è fatta didifferenze e nessuno ha il diritto di eliminarne un'altra».

Due Papi, Paolo VI e Benedetto XVI quand'era ancora cardinale - hanno però ammessoche ..grazie a Dio» lo Stato pontificio non esiste più. E ciò che all'inizio sembrò alla Chiesa unsopruso, cioè la breccia di Porta Pia, oggi dev'essere letto come una grazia. È d'accordo?«È ovvio: lo Stato pontificio aggiungeva alla missione papale una responsabilità di gestioneamministrativa e immetteva nell'autorità del Papa aspetti che appesantivano il suo compito; ilPontefice ha ben altro da fare, diremmo oggi. Va pure rilevato che lo Stato pontificio è comunqueservito nella storia moderna a garantire la libertà pastorale del Papa: quando la politica e la culturasi svolgevano in un rapporto tra Stati, infatti, la posizione del Papa in quanto capo di Stato poteva

esercitare il suo influsso (cosa poi non sempre facilmente concessa) nel concerto delle nazioni. Nonriesco a pensare che cosa sarebbe accaduto, per esempio, se dal '500 in poi il Papa non avessepotuto appoggiarsi a una realtà statuale. Detto questo, non c'è nulla da sacralizzare: lo stesso Pio XII

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si disse pago di poter avere uno Stato col perimetro del suo studio. Però stiamo attenti a dire che eratutto sbagliato, perché nella storia esiste una provvidenzialità che va riconosciuta».

Lei è vescovo in una diocesi posta nei territori che furono della Chiesa. Che differenzeriscontra rispetto, per esempio, la sua esperienza in Lombardia? È vero che gli ex sudditi delpapa-re oggi sono i più anticlericali d'Italia?

«Su quest'aspetto è stata fatta tanta retorica senza riscontri obiettivi. Certo, materialmente emarginalmente lo Stato pontificio può aver alimentato risentimenti, fatiche, scontenti; ma mi pareche non fosse diverso dagli altri Stati dell'epoca, anzi ci sono revisioni storiche che rilevano neiterritori papali efficienze economiche, educative o sanitarie migliori che in altri. In sostanza, lapopolazione qui ha una base cattolica uguale al resto d'Italia. Ma, aldilà di questo, sia dove hannogovernato i Papi sia dove hanno regnato principi o granduchi, il problema è se la Chiesa fa vivereoggi la grande tradizione di cui è portatrice. La tradizione non è andata in crisi per lo Statopontificio, infatti, ma perché la Chiesa ha avuto altre preoccupazioni anziché educare il popolocristiano all'unità tra fede ed opere.Banalmente si può spiegare un certo anticlericalismo romagnolo con le delusioni o gli sconcerti diun'antica amministrazione;

ma in realtà ci vuoi ben altro per chiarire le responsabilità della scristianizzazione, qui e altrove».

Dossier: Risorgimento: l'unificazione che ha diviso l'Italia

IL TIMONE - N.76 - ANNO X - Sett/Ott. 2008 - pag. 42-43

Pio IXScritto da Roberto De Mattei

L’iter di canonizzazione del Pontefice al tempo del Risorgimento ha incontrato resistenze,anche fra i cattolici. Finalmente riconosciuto “beato”, aspetta le preghiere dei fedeli perl’ultimo traguardo, la canonizzazione. Non così per Garibaldi, celebrato subito come eroe epadre della patria.

La contrapposizione tra Garibaldi (1807-1882) e Pio IX (1792-1878) non cessò dopo la morte deidue protagonisti del Risorgimento. La Chiesa avviò il processo di canonizzazione di Papa Mastai,mentre la massoneria risorgimentale beatificò, fin da subito, Giuseppe Garibaldi. Dino Mengozzi, inun libro appena uscito (Garibaldi taumaturgo. Reliquie laiche e politica nell'Ottocento, PieroLacaita, Manduria, 2008), ha raccontato la storia del culto rivoluzionario a Garibaldi. Da parte mia,

mi soffermerò sulla storia del processo di beatificazione di Pio IX, attingendo a uno studio, nonancora pubblicato, di Fabrizio Cannone.

L'inizio della causa di Pio IXNon fu papa Leone XIII (1878-1903), ma san Pio X (1903-1914) che avviò la causa di santità di PioIX (1846-1878). Papa Sarto aveva abolito il "non expedit" piano (il divieto rivolto ai cattolici dallaSanta Sede durante il pontificato di Pio IX di non partecipare alle elezioni politiche), a cui si eraattenuto anche Leone XIII, ma la sua linea di governo, per la chiara impostazione "religiosa", bendiversa da quella "diplomatica" del predecessore, esprimeva una forte continuità con il pontificatodi Pio IX. Il processo romano, detto ordinario, iniziato nel 1907, durò sino al 1922, mentre accantoad esso furono istruiti i processi regionali, detti rogatoriali, nei luoghi dove Pio IX visse e operò:

Senigallia, Spoleto, Imola, Napoli. L'enorme materiale raccolto confluì quindi nei dodici poderosivolumi della prima Positio.L'impulso dato da Pio X alla Causa di papa Mastai si attenuò sotto i suoi successori Benedetto XV e

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Pio XI. Non era in discussione la santità di Pio IX, ma l'opportunità politica di un gesto pubblico esolenne quale era e rimane la beatificazione di un Servo di Dio che abbia svolto un ruolo pubblico.Pio IX, pur italianissimo, era il Papa dell"'antirisorgimento", mentre il Fascismo si presentava comeuna "Rivoluzione nazionale" che proprio nel Risorgimento gettava le sue radici. La beatificazione diPio IX sarebbe apparsa un atto pubblico che avrebbe nuociuto al nuovo clima di collaborazione trala Santa Sede e il regime fascista. Fu sotto il pontificato di Pio XII, dopo la guerra, che la causa

riprese slancio, con la pubblicazione di nuove Positiones e del Decreto di introduzione della Causa,emanato il 7 dicembre 1954, a firma del cardinale Amleto Cicognani.Giovanni XXIII sembrò manifestare interesse per la prosecuzione del processo di canonizzazione,che però conobbe un nuovo rallentamento e sembrò arenarsi sotto il pontificato di papa Montini.Nel primo centenario della morte di Papa Mastai, Paolo VI commemorò il suo predecessore con unaMessa solenne celebrata in San Pietro il 5 marzo 1978. In questa occasione Paolo VI affermò che iproblemi che si erano posti nel corso del pontificato di Pio IX rendevano necessario «un ulterioreperiodo di decantazione» per comprendere meglio gli avvenimenti e le loro motivazioni piùprofonde.Altrettanto riduttiva fu la posizione dell'avvocato della Causa, lo svizzero Carlo Snider, secondocui, per portare avanti con successo il processo di Pio IX, era necessario ammettere gli "errori" del

Pontefice, anche se questi errori non avrebbero invalidato né il suo magistero né la sua ricerca disantità. Si trattava della nuova linea "postconciliare", che cercava di evitare ogni occasione di"scontro" tra Chiesa e mondo.La difesa di Pio IX si deve soprattutto ai postulatori di quegli anni, mons. Alberto Canestri (1882-1970) e mons. Antonio Piolanti (1911-2001), che ne raccolse l'eredità. Mons. Canestri pubblicò dal1954 fino alla morte il bollettino La Voce di Pio IX, in cui, contro le interpretazioni "minimaliste"che si facevano strada, non esitava a rivendicare la dimensione, anche pubblica, della figura di PioIX. A mons. Piolanti si deve la creazione, nel 1972, della rivista quadri mestrale Pio IX. Studi ericerche sulla vita della Chiesa dal Settecento ad oggi, che si affermò come una pubblicazione dialto livello culturale, poi continuata dal suo successore, e attuale postulatore, mons. BruneroGherardini.

L'eroicità delle virtùCon la morte di Paolo VI, nel 1978, cambiò il clima culturale e la causa di beatificazione riprese ilsuo corso. Il 6 luglio 1985 Giovanni Paolo Il decretava l'eroicità delle virtù di Giovanni MariaMastai Ferretti, riconoscendogli il titolo di Venerabile. Il 15 gennaio 1986 la Consulta medica dellaCongregazione per le cause dei Santi attestò l'inspiegabilità naturale della guarigione di Sr. Marie-Thérèse de St-Paul, carmelitana di Nantes, miracolosamente guarita da grave malattia ossea. Nel1987, un ultimo scrupolo portò alla costituzione di una speciale commissione di 7 membri,presieduta dal cardinale Alfonso Maria Stickler, che avrebbero dovuto pronunziarsi sull'opportunitàdella beatificazione. Mancò l'unanimità per un solo voto negativo, quello dello storico gesuita

Giacomo Martina; bastò questo per bloccare di nuovo la conclusione dell' iter.Dopo tanta attesa ... finalmente beato Finalmente, il 21 dicembre 1999 Giovanni Paolo Il promulgò il decreto sul miracolo e il 3 settembre2000 iscrisse solennemente Pio IX nell'albo dei beati, assieme a Giovanni XXIII, all'arcivescovoTommaso Reggio, al prete Guillaume-Joseph Chaminade e al monaco Colomba Marmion.Si accesero a questo punto aspre polemiche. Per alcuni settori del cattolicesimo progressista labeatificazione di Pio IX si poneva in discontinuità con il Concilio Vaticano II, da essi consideratocome "evento fondatore" di una nuova ecclesiologia. La beatificazione del Papa del Sillaba e dellainfallibilità pontificia appariva come un inaccettabile "ritorno" a quella tradizione che si pretendevadefinitivamente abbandonata. Eppure, per giustificare le "novità" del Concilio e vincere le

resistenze conservatrici, questi stessi settori, negli anni precedenti, avevano invocato la tesi delladialettica continuità del Concilio con la tradizione precedente.I «minimalisti», da parte loro, tentarono di ridurre la portata del pontificato di Pio IX, presentando

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lo come santo sul piano personale ma politicamente sprovveduto sul piano pubblico. In realtà, PioIX è stato beatificato per la virtù eroica dimostrata come Pontefice della Chiesa universale tra il1846 e il 1878. La sua beatificazione non ha riguardato solo uno spicchio della personalità delPontefice, ma tutto l'uomo, nella vita, negli scritti, nelle opere, passate al vaglio di una minuziosa esevera inchiesta canonica.La beatificazione del 3 settembre 2000 ha illuminato di nuova luce non solo gli atti culminanti del

suo pontificato, come la proclamazione del dogma dell'Immacolata e l'indizione del ConcilioVaticano I, ma tutti i suoi gesti privati e pubblici: le riforme politiche, sociali e amministrative e ilSillaba, lo straordinario impulso missionario che impresse alla Chiesa e la rinascita culturale emorale del cattolicesimo nell'Ottocento.

A ciascuno i suoi santiLa differenza di fondo tra i "santi della Rivoluzione", come Garibaldi, e quelli beatificati dallaChiesa come Pio IX, sta proprio in questo. La Chiesa, che ha nella santità una delle sue principalinote, riconosce come santi coloro che esercitano eroicamente le virtù cristiane, in pubblico e inprivato, tra difficoltà e gravi impedimenti. Essa esamina rigorosamente ogni parola, scritto edazione del candidato agli Altari, ed esige, per la promulgazione finale, il suggello soprannaturale del

miracolo.La Rivoluzione canonizza in modo spiccio briganti, avventurieri, terroristi, non curandosi della lorovita personale, spesso dissoluta e sregolata. La promulgazione delle "virtù" avviene attraverso ladiffusione di leggende e mitologie, prive di alcuna verità storica, costruite nei laboratori ideologici epropagandistici delle sètte.I santi della Chiesa sono modelli che sfidano i secoli e conducono i loro imitatori alla felicità eterna.I santi della Rivoluzione sono presto inghiottiti dalla storia e offrono ai loro seguaci un esempio divita iniqua e infelice sulla terra e nell'eternità.

BIBLIOGRAFIA DOSSIER 

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Paolo Gulisano, O Roma o morte! Pio IX e il Risorgimento, Il Cerchio, 2000.Antonio Nicoletta, "E furon detti briganti... ". Mito e realtà della conquista del Sud, Il Cerchio,2001.Nunzio Langiulli, Venti di unità, Il Grillo editore, 2006.

Dossier: Risorgimento: l'unificazione che ha diviso l'Italia

IL TIMONE - N.76 - ANNO X - Sett/Ott. 2008 - pag. 44-45

Tutti briganti ?Scritto da Francesco Maria Agnoli

Uno degli aspetti che più feriscono l’identità nazionale riguarda la guerra nel Sud dopo‘Unità. Un esercito invade, il popolo subisce, alcuni si ribellano. I briganti del Sud attendonoancora una giusta riabilitazione.

Nel 1799 i repubblicani francesi definirono "briganti" e trattarono da criminali, fucilandoli eimpiccandoli, i sudditi del Regno di Napoli che avevano preso le armi in difesa del Re, della Patriae della Religione. Altrettanto fecero nel 1806, quando riprovarono con maggiore successo

nell'impresa. La criminalizzazione giacobina dell'avversario era destinata ad una lunga fortuna. Nel1860, i garibaldini prima e i "piemontesi" poi presero esempio da predecessori venerati comemaestri e trasformarono in briganti quanti si ostinavano a considerarli, invece che liberatori quali siproclamavano, aggressori al servizio di uno Stato nemico che, violando il diritto delle nazioni,aveva invaso, addirittura senza dichiarazione di guerra, la loro patria.Nonostante sia divenuto abituale aggiungervi l'aggettivo "politico", la storiografia italiana non èancora riuscita a fare i conti con quella che resta la pagina più nera del Risorgimento: la repressionedel cosiddetto brigantaggio. Anzi, la storiografia manualistica, quella che sui banchi di scuoladovrebbe formare il futuro cittadino, concorda sì sulla "pagina nera", ma il nero, l'orrore, sono tuttidalla parte dei briganti. Il Piemonte si preoccupò, utilizzando il denaro ricevuto, per intermediazione massonica, dall'Inghilterra, di comprare il consenso delle classi dirigenti e

dell'ufficialità duosiciliana, ma trattò il popolo alla stregua di quanto in quegli stessi anni stavanofacendo gli inglesi nelle Indie e gli americani con i Sioux. Con una differenza: Indiani e Sioux sonostati riabilitati e nel cinema hollywoodiano ai pellerossa è riservato il ruolo dell'eroe buono. Nellastima Buffalo Bill ha da tempo ceduto il passo a Cavallo Pazzo. Tutt'al contrario in Italia, dove inapoletani che presero le armi contro l'invasore rimangono briganti e "beduini" (il termine era ungrave insulto nel linguaggio del tempo) e il film politicamente scorretto loro dedicato dal registaPasquale Squitteri è stato fatto rapidamente sparire.AI di là dei meriti artistici di questo regista, la sua colpa è di avere descritto con realismo e senzasconti episodi come quelli di Pontelandolfo e Casalduni, rappresaglie la cui ferocia fa impallidirequelle perpetrate nella Penisola dalle truppe naziste dopo l'8 settembre 1943.Il comando piemontese aveva inviato un distaccamento del 36° fanteria per punire gli abitanti di

questi paesi colpevoli di avere accolto con il Te Deum e la distruzione dei simboli sabaudi gli ex-soldati borbonici arruolatisi nella banda "brigantesca" di Cosimo Giordano e Donato Scutignano.Ne era seguito uno scontro nel quale i soldati avevano avuto la peggio e pochissimi erano scampati.

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Il 14 agosto 1862 il regio esercito piomba in forze sugli abitanti degli infelici paesi, che, rimastisoli, oppongono una breve resistenza. Vengono uccisi uomini, donne, bambini. Alle case vieneappiccato il fuoco. I soldati circondano il paese con l'ordine di sparare su chiunque tenti di sfuggirealle fiamme. L'esemplare lezione provoca l'entusiasmo dei liberali. Lo scrittore garibaldino EmidioCardinali, che, da buon massone, attribuisce il brigantaggio alle trame della Chiesa, scrive esultante:«I due villaggi furono inesorabilmente condannati alle fiamme. Il nome di questi cannibali meritava

di essere abraso di mezzo al suolo italiano. Crollando le fondamenta dei loro asili doveva sperdersianca la memoria di tanto misfatto». Più pietoso del garibaldino, il bersagliere valtellinese CarloMargolfi ricorda la fucilazione di quanti capitavano, il saccheggio, l'incendio e contrappone ipollastri, il pane, il vino, i capponi a disposizione dei soldati, il grande calore delle fiamme difficileda sopportare anche a distanza e il rumore di «quei poveri diavoli che la sorte era di morireabbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case».Sarebbe sciocco contrapporre leggenda nera a leggenda nera. Vi furono atti di ferocia da entrambele parti, ma i napoletani erano gli aggrediti, gli altri gli aggressori. Per di più non si possono metteresullo stesso piano contadini privi di veri capi e un disciplinato esercito regolare. Tuttavia,nonostante perfino uno storico simpatizzante per la "causa italiana" come Denis Mack Smith abbiadefinito il Risorgimento «un succedersi di guerre civili, fra le quali questa (il brigantaggio) era stata

la più crudele, la più lunga, la più costosa», per l'establishment politico-culturale italiano i brigantirestano briganti, puri eroi le camice rosse di Garibaldi e i soldati del generale Cialdini. Anzi, i canida guardia di quella che definiscono la "storia patria" vigilano pronti a stroncare ogni tentativo"revisionista". È accaduto nel 1998, quando Giuseppe Galasso e Flores d'Arcais gridarono airigurgiti clerico-fascisti per un convegno bolognese sull'Insorgenza (briganti del 1799), presiedutodal cardinale Giacomo Biffi, e di nuovo nel 2000 con un manifesto promosso da Alessandro GalanteGarrone, firmato da 66 intellettuali e pubblicato dalla Stampa, che chiamò alla resistenza contro leforze «fanatiche», «reazionarie», «sanfediste», in breve i «briganti», che, nell'agosto 2000(esattamente a 138 anni dalla strage di Pontelandolfo e Casalduni) avevano osato proporreall'interno del Meeting per l'amicizia fra i popoli una mostra sul tema Un tempo da riscrivere: ilrisorgimento italiano.

Dossier: Risorgimento: l'unificazione che ha diviso l'Italia

IL TIMONE - N.76 - ANNO X - Sett/Ott. 2008 - pag. 46

Giuseppe Garibaldi : Un uomo dal cuore tenero 

Articolo della Prof.ssa Angela Pellicciari pubblicato su Il Timone - n. 15 Settembre/Ottobre 2001

Aspetti sconosciuti della vita dell’eroe dei due mondi: amava gli animali, trasportavaschiavi e odiava i preti. Che avrebbe mandato volentieri ai lavori forzati.

Un tenero di cuore.Ebbene sì; Giuseppe Garibaldi era tenero di cuore.Come spesso capita a chi con gli uomini non ha troppi scrupoli ci si ricorderà di Hitler -, il cuoredel generale batte di amore paterno per gli animali.E dire che oggi quasi nessuno se ne ricorda.Come mai la sorte degli animali sta tanto a cuore all’eroe dei due mondi? Perché la loro situazionenei paesi cattolici, in primis ovviamente l’Italia, è letteralmente da compiangere sottoposti comesono dai seguaci di santa romana Chiesa - che non credono di essere loro diretti discendenti - abrutalità di ogni tipo.

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Da sempre attento alle esigenze del mondo femminile, il cuore del generale è attratto dall’amarasorte toccata agli animali di una nobildonna inglese che, in viaggio per l’Italia, constata di persona igravi maltrattamenti inflitti dai superstiziosi e ignoranti cattolici alle bestiole. È così che, sull’ondadello sdegno, il generale fonda nel 1871 la Società per la Protezione degli Animali. 

Forse che i cattolici del secolo scorso erano davvero così spietati nei confronti delle bestie? Aleggere i documenti dell’epoca non si direbbe. Sembrerebbe anzi che fossero proprio i cattolici afarsi paladini delle bestie cadute sotto il bisturi positivista di provetti scienziati umanitari. Ungruppo di scienziati stranieri aveva infatti iniziato a Firenze la pratica della vivisezione "per 

sorprendere i misteri della vita nei suoi recessi ". Fu proprio una campagna di stampa sostenuta dal"partito cattolico" ad impedire che simili sperimentazioni continuassero in Italia.E così chi li faceva continuò il suo lavoro nella più ospitale - calvinista e puritana - Ginevra.

Garibaldi, oltre che tenero di cuore, era anche fantasioso romanziere. E pure questo aspetto delpoliedrico generale è rimasto praticamente sconosciuto anche perché difficilmente la suaproduzione letteraria potrebbe definirsi riuscita. Interessante sì. Perché testimonia, se ce ne fossebisogno, l’odio che uno dei padri nobili della nostra patria nutre per la Chiesa in generale, isuoi ministri in particolare, i gesuiti in modo speciale. 

Sì, perché se il prete è "il vero rappresentante della malizia e della vergogna, più atto assai a lacorruzione e al tradimento dello schifoso e strisciante abitatore delle paludi ", il gesuita è "il 

sublimato dei prete". "Quando sparirà - si chiede, affranto, Garibaldi - dalla taccia della terra

questa tetra, scellerata, abominevole setta, che prostituisce, deturpa, imbestialisce l’esser 

umano?".

Tanto è lo schifo che il generale nutre per tutto quanto ricorda santa romana Chiesa ed i suoirappresentanti, che per i preti arriva ad immaginare un rimedio attuato circa un secolo dopo dallafantasia malata di un altro grande della storia: Mao Tse-Tung.La Cina degli anni Sessanta assiste esterrefatta ad uno straordinario esperimento: come gli odiati"borghesi", nella fattispecie i boriosi intellettuali - medici, ingegneri, professori -, possano

imparare dai contadini l’arte, preziosa, di vivere. La "rivoluzione culturale’, i cui milioni dimorti non si sa quando potranno essere contati, distrugge la vita culturale, e quindi economica oltreche familiare, della nazione cinese.Ebbene Garibaldi questo provvedimento lo aveva anticipato, anche se solo nelle intenzioni.Solo che, invece dei borghesi, nei campi ci voleva mandare i preti. Nelle sue intenzioni " i preti alla

vanga" avrebbero realizzato una magnifica bonifica delle paludi pontine.

Questo benefattore dell’Umanità (con la U rigorosamente maiuscola come i massoni - di cuiGaribaldi è autorevolissimo esponente - scrivono) oltre che tenero di cuore e romanziere è purecommerciante di schiavi. E anche questo aspetto della vita del liberatore d’Italia dal giogo pontificiopoco si conosce.

L’attività di negriero Garibaldi la esercita negli anni eroici passati a combattere per la liberazionedell’America Latina. Convinto di vivere una vita memorabile, è Garibaldi stesso a redigere unresoconto delle proprie azioni in una lunga autobiografia. Solo che, a questo riguardo, le Memoriesono leggermente reticenti e devono essere integrate con altre fonti. Garibaldi non racconta delcommercio di carne umana. Si limita a specificare che il 10 gennaio del 1852, da comandantedella Carmen, parte dal porto del Callao, in Perù, alla volta della Cina. La nave trasporta un caricodi guano che è una qualità di letame molto pregiata. Il generale è in genere molto preciso nelracconto delle proprie gesta che descrive in dettaglio; così dei viaggio Callao-Canton-Limasappiamo praticamente tutto: giorni di traversata, carichi trasportati, traversie. Manca solo unparticolare: non viene specificato con che tipo di merce Garibaldi, dopo aver venduto acondizioni vantaggiose il guano, faccia ritorno in Perù. A questa dimenticanza provvede

fortunatamente l’armatore ligure Pietro Denegri che volendo lodare il capitano della Carmen,racconta all’amico di famiglia nonché biografo del generale, tale Vecchj, il dettaglio mancante:Garibaldi "m’ha sempre portati i Chinesi nel numero imbarcati e tutti grassi e in buona salute;

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perché li trattava come uomini e non come bestie".

Protettore degli animali, romanziere e negriero?Garibaldi non è passato alla storia con questo clichet. Tutti lo conosciamo come impavido eroe deidue mondi, libertador , disinteressato condottiero, esule volontario, uomo puro e scevro dacompromessi. Garibaldi con questa immagine è conosciuto e rispettato in tutto il mondo.Basti dire che nella centralissima piazza George Washington di New York, nuova capitale mondiale,la statua di Garibaldi è una delle due che accompagna, con minor magnificenza e con dimensionimolto più ridotte è vero, ma nondimeno con grande valore simbolico, la statua a cavallo delgenerale Washington, padre della patria americana.Davvero grande e onnipresente è l’odio per santa romana Chiesa.È stato profetizzato.

Garibaldi sconosciuto: era schiavista

(articolo di Angela Pellicciari)

Sono partiti da Quarto. Lo abbiamo solennemente ricordato anche l’altro giorno. Ma partiti chi? IMille. Che tipi erano i Mille? “Tutti di origine pessima e per di più ladra; e tranne poche eccezioni

con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto”. Quale leghista secessionista puòinfangare in questo modo la gloriosa ed eroica spedizione? Non ci si crederà, ma la risposta è:nessun leghista. Giuseppe Garibaldi in persona.Viene da dire: da che pulpito! Sì, perché Garibaldi, fra le tante liberazioni compiute, è stato anchecommerciante di schiavi. Solo che nessuno lo sa. Lo stesso Garibaldi ha costruito passo dopo passoil proprio mito raccontando nelle Memorie i particolari della sua vita leggendaria. Sappiamo cosìtutto su come sbarcasse il lunario in America Latina, dopo la fine della rivoluzione quarantottina.Sappiamo che nel 1854 capitanava una nave di nome Carmen, che faceva la rotta Callao-Canton;conosciamo i giorni di traversata, l’approdo esatto, il carico di guano. Non sappiamo cosatrasportasse nel tragitto di ritorno: scaricato il guano, con cosa riempiva la nave? Alla perdita del

dettaglio rimedia l’amico armatore, il ligure Pedro Denegri, che racconta: “M’ha sempre portato icinesi nel numero imbarcato e tutti grassi e in buona salute; perché li trattava come uomini e noncome bestie”. Il libro che narra l’episodio (La vita e le geste di Giuseppe Garibaldi, scritto daVecchj e pubblicato da Zanichelli) ha avuto una sorte curiosa: è scomparso da tutte le biblioteche. Ione posseggo un esemplare raro, acquistato in una biblioteca antiquaria.Descritto come novello Cincinnato che, dopo le eroiche gesta, torna alla sua Caprera, “l’animacandida” di Garibaldi di Cincinnato aveva poco. Il fiume di denaro che accompagna la conquista delregno d’Italia a favore dell’1% di quanti l’hanno organizzata, segue anche l’eroe dei due mondi.Così racconta la Civiltà Cattolica in un pezzo di cronaca contemporanea del 1875. Il governoitaliano propone di ricompensare Garibaldi con un vitalizio ma l’eroe non ci sta e il 10 dicembre18774 scrive al ministro Mancini: “Avrei accettato il dono nazionale se non vi fosse di mezzo un

governo, che io tengo colpevole delle miserie del paese, e con cui non voglio essere complice”. Il31 insiste col figlio Menotti: “Le cento mila lire pesandomi sulle spalle come la Camicia di Nesso,ho incaricato Riboli di pubblicare la mia ultima lettera di non accettazione”. Il commento dellarivista dei gesuiti è asciutto e laconico: “Passarono men che sei mesi, e tutte queste belle coseandarono in fumo. L’eroe accettò ed indossò la camicia di Nesso sotto forma di cento mila lireannue”. Forse non è inutile ricordare che nel primo dopoguerra, qualche decennio dopo i fatti quiraccontati, quando l’inflazione aveva già falcidiato i risparmi degli italiani, un famoso motivettocantava: “se potessi avere mille lire al mese”!E la spedizione dei Mille? Beh, anche qui le cose hanno bisogno di qualche precisazione: l’idea, gliuomini, le munizioni non sono frutto dell’improvvisazione garibaldina, ma della programmata,

meticolosa e segretissima organizzazione messa a punto dal duo Cavour-La Farina.Ci sarebbe altro. Molto altro. Ma per oggi basta così.

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Una guerra civile tra cattolici e massoniArticolo della Prof.ssa Angela Pellicciari pubblicato su Studi Cattolici - n. 437/438, Luglio/Agosto1997

“L'Italia è l'unico Paese d'Europa (e non solo dell'area cattolica) la cui unità nazionale e la cuiliberazione dal dominio straniero siano avvenute in aperto, feroce contrasto con la propriaChiesa nazionale. L'incompatibilità tra patria e religione, tra Stato e cristianesimo, è in uncerto senso un elemento fondativo della nostra identità collettiva come Stato nazionale”: cosìscrive Ernesto Galli della Loggia.L'unità d'Italia, a suo giudizio, è il frutto di una guerra civile, un'“autentica” guerra civile,combattuta tra cattolici e non cattolici. Guerra che è stata dimenticata, perché “non potevache essere rimossa, restare non detta e non dicibile” [Cfr E. Galli Della Loggia, Liberali che nonhanno saputo dirsi cristiani, in "Il Mulino", n. 349, Bologna 1993 pp. 855-866]

Una guerra civile a fondamento dello Stato unitario? 

A cominciare da Pio IX e Leone XIII nel secolo scorso, l'opinione di Galli della Loggia èampiamente condivisa dai cattolici. I Pontefici (diretti testimoni dei fatti del Risorgimento

nazionale) lo ripetono in numerosi pronunciamenti ufficiali: l'unità d'Italia è il risultato della guerrascatenata dalla massoneria nazionale e internazionale contro la Chiesa cattolica. Pio IX inizia unameticolosa cronistoria dei fatti nel 1849, all'epoca del suo esilio a Gaeta (esilio cui è costrettoperché i rivoluzionari di ogni dove sono piombati a Roma trasformandosi in "romani purosangue" amodello del genovese Mazzini), la continua nel 1855 (dopo la soppressione nel Regno di Sardegnadegli Ordini contemplativi e mendicanti) e la riprende nel 1861 all'indomani dell'unità.

Il Papa mette a confronto parole e fatti: da una parte le belle parole d'ordine di liberali, repubblicanie socialisti; dall'altra le violenze e la persecuzione anticristiana che a quelle parole fanno seguito. Imassoni, ricorda il Papa, proclamano ai quattro venti di agire nell'interesse della Chiesa e della sualibertà. Si professano cristiani e pretendono di rifarsi alle più genuine volontà di Cristo. Le cose non

stanno invero così: "Noi desidereremmo prestar loro fede, se i dolorosissimi fatti, che sonoquotidianamente sotto gli occhi di tutti, non provassero il contrario". È in corso una vera e propriaguerra, ricorda Pio IX (ma anche Leone XIII e così pure il vescovo di Torino, Fransoni, primaimprigionato poi esiliato): "Da una parte ci sono alcuni che difendono i princìpi di quella chechiamano moderna civiltà; dall'altra ci sono altri che sostengono i diritti della giustizia e della nostrasantissima religione". L'obiettivo che i massoni perseguono è "non solo la sottrazione a questa SantaSede e al Romano Pontefice del suo legittimo potere temporale", ma anche, "se mai fosse possibile,la completa eliminazione del potere di salvezza della religione cattolica" [Cfr l'allocuzioneIandudum cernimus, in "Acta Pii IX ", I, III, pp. 220-230]. Nel loro magistero i Papi fanno quantopossono per evitare che la popolazione presti ingenuamente fede alla propaganda liberale e cadanell'inganno che le tendono nemici che si proclamano amici. Se le cose stanno come dicono i

Pontefici, bisogna capire che cosa spinge i massoni a professarsi cattolici quando tali non sono.

Una strategia coperta 

Nell'Italia dell'Ottocento quasi tutti sono cattolici e la civiltà cristiana, insieme con la lingua,costituisce l'identità vera e profonda di una popolazione che peraltro è da secoli politicamentedivisa. Per far trionfare il proprio punto di vista assolutamente minoritario, i liberali ricorrono a unastrategia che si potrebbe definire "coperta": da un lato provano in ogni modo a infiltrarsi all'internodella Chiesa per condizionarla dal di dentro (questo obiettivo viene espresso con massima chiarezzain una circolare del 1819 inviata alle varie logge dell'Alta Vendita [Cfr J. CRÈTINEAU-JOLY,L'Église romaine en face de la Révolution, II, Paris 1861, pp. 76-78]); dall'altro colgono ogni

possibile occasione per definirsi cattolici perfettamente ortodossi; da ultimo, promuovono sul pianointerno e internazionale una campagna di denigrazione e falsificazione sistematica sulle condizionidi tutti gli Stati italiani a eccezione del Piemonte. Si distingue in quest'opera il cattolico Massimo

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D'Azeglio, teorizzatore della "congiura" all'aria aperta. In I miei ricordi racconta egli stesso del suoincontro a Roma con il "settario" Filippo e del suo aderire alla cospirazione filosabauda per l'ottimaragione di voler scampare alla noia e alla depressione ("perché provavo il bisogno d'aver un'occupazione che sopraffacesse nell'animo mio i pensieri che mi tormentavano", per "aver unmodo di passar la malinconia, e finalmente il mio gusto per la vita d'avventure e d'azione"). Conquesti sistemi, uniti alla capillare corruzione dei quadri dell'esercito borbonico, la massoneria ritiene

di poter convincere la popolazione che sotto i Savoia si può vivere la propria fede in modo piùcattolico che sotto il Papa; che i liberali incarnano gli autentici desideri di Cristo meglio del suopresunto Vicario terreno; che la Chiesa può tornare all'originario splendore quando privata dellepreoccupazioni terrene, vale a dire quando tutte le proprietà che possiede e che le sono state donatedalla pietà dei fedeli (compresi i conventi in cui vivono monaci e frati con i relativi edifici di culto, ilibri, i quadri, le sculture, gli oggetti e gli arredi sacri, incluso ovviamente lo Stato che leappartiene), saranno diventate possesso di quei nobili e borghesi anticristiani che le sapranno far fruttare debitamente in nome delle regole del profitto e del libero mercato.

Con questa operazione che fanno condurre dall'unica Casa regnante disposta, in nome di importantiacquisti territoriali, a svendere la prestigiosa tradizione religiosa, culturale ed etica della nazione, le

potenze massoniche e i massoni italiani (tutti esuli a Torino eletta "capitale morale" d'Italia, nuovaGerusalemme, a dire di Pascoli) ritengono di poter finalmente associare l'Italia al novero delleprospere potenze europee che già da tempo (con la Riforma protestante e la Rivoluzione francese) sisono liberate dal "giogo" del cattolicesimo.

Paradossalmente è proprio Galli della Loggia, intellettuale e politologo laico, a rispolverare oggi laguerra civile combattuta durante il Risorgimento. Guerra che la storiografia contemporanea, quellacattolica in testa, ha smesso di ricordare più o meno dal 1925, anno in cui Mussolini pone fuorilegge la massoneria.

Per accertare se Galli della Loggia (e i Papi) abbiano o no ragione non ci resta che seguire il metododi Pio IX: confrontare parole e fatti. Il Regno di Sardegna si autoproclama vessillo dell'onore

nazionale, perché unico Stato costituzionale e parlamentare della penisola. I Savoia giustificanol'invasione e l'annessione degli altri Stati (tutti retti da sovrani assoluti) proprio con il pretesto delregime politico costituzionale. Vittorio Emanuele, dicono, non può in alcun modo rimanereinsensibile alle grida di dolore che verso di lui si levano da tutte le parti dell'Italia oppressa.

La soppressione degli Ordini religiosi 

Esaminiamo allora come i Savoia traducono in pratica questo tanto propagandato amore per lalegalità costituzionale e per le libertà dei cittadini. Il primo articolo dello Statuto (che entra in vigoreil 4 marzo 1848) dichiara: "La religione cattolica apostolica e romana è la sola religione di Stato"."Che cosa fa la Camera dei deputati del Regno sardo-piemontese? Non appena convocata, nella

primavera inoltrata del 1848, si esibisce in un attacco frontale alla Chiesa cattolica. È in corso laprima guerra di indipendenza contro l'Austria e le sorti dell'esercito del piccolo Regno sono giàcompromesse, ma i rappresentanti dell'1,70% della popolazione che ha diritto di voto combattonouna loro guerra personale: la guerra contro i gesuiti e gli Ordini affini, definiti "gesuitanti". Per piùdi due mesi i deputati subalpini si esercitano in interminabili requisitorie contro la Compagnia diGesù (accusata di essere "rappresentante di un funesto passato", "corruttrice", "appestata", "lue","eretica", "torbida malaugurata compagnia") e contro gli Ordini religiosi che i deputati ritengonoinfettati dall'Ordine incriminato. Teorizzano che la Compagnia è una vera e propria peste e chechiunque le si accosta rimane contagiato.

Alla fine di interminabili discussioni, la Camera ratifica la decisione già presa dal re di sopprimerela Compagnia di Gesù, decide di imporre il domicilio coatto ai religiosi (che non si sono macchiatidi alcun tipo di reato e sono condannati per il solo "nome" di gesuiti), delibera la requisizione ditutti i beni dell'Ordine (gli splendidi collegi finiscono per trasformarsi per lo più in caserme) eaccomuna alla sorte dei figli di sant'Ignazio quegli Ordini religiosi giudicati più pericolosi per la

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conservazione dell'ordine liberale.

Per qual ragione i deputati Sabaudi fanno tutto ciò? Per amore, ripetono in continuazione, della"vera morale" e della "pura religione". Omettono naturalmente di dichiarare che la morale e lareligione cui si rifanno non sono quelle cattoliche.

Nel 1854-1855 è la volta del governo. Il Ministro Cavour-Rattazzi, il governo del connubio tra

centro e sinistra costituzionale, si assume la responsabilità di un attacco in grande stile contro laChiesa cattolica e presenta un progetto di legge per la soppressione (e relativo incameramento dibeni) degli Ordini contemplativi e mendicanti [Cfr "Atti del Parlamento subalpino. Documenti",XII, pp. 1631-1640].

Il governo ritiene che monache di clausura e frati abbiano fatto il loro tempo. Pensa che sianoistituzioni ottime per un periodo di violenza e di barbarie, ma nocive in un'epoca pacifica e liberale.Il ragionamento di Rattazzi è semplice: gli Ordini contemplativi e mendicanti sono inutili: se tali,sono allora nocivi (sic!). L'argomentazione di Cavour è invece più complessa, perché il conte nonritiene l'inutilità motivo sufficiente a giustificare la soppressione. Cavour si fa pertanto carico didimostrare "matematicamente", "con fatti e con teoremi", che gli Ordini in questione sono nocivi.

Nocivi a che cosa? Al progresso della moderna civiltà. Nocivi alla prosperità economica,industriale, agricola e perfino artistica del Paese. Cavour ritiene di dimostrare il proprio assuntoricorrendo a una prova inoppugnabile: la realtà dei fatti. E la realtà che costata è la seguente: sonomolto più ricchi, moderni e progrediti quegli Stati in cui gli Ordini sono già aboliti da tempo. Nonsolo: là dove non esistono più francescani, domenicani o altri religiosi, è lo stesso attaccamentodella popolazione al cristianesimo a essere più profondo. Per tutti questi ottimi motivi gli Ordini,secondo Cavour, sono nocivi. Ergo, a buon diritto vanno soppressi.

Con i discorsi di "Lord Camillo" alla Camera e al Senato [Cfr "Atti... Discussioni", XXI, pp. 2862-2871; cfr anche "Atti... Discussioni Senato", VIII, pp. 767-771] si tocca l'apice della costituzionalitàdel Regno sabaudo: il presidente del Consiglio di uno Stato ufficialmente cattolico, per sua stessaammissione, ritiene migliori sotto ogni punto di vista (quello religioso compreso) gli Statiprotestanti.

Un'ultima considerazione. Rattazzi, quando in qualità di Guardasigilli e ministro del culto esponealla Camera la necessità di sopprimere gli Ordini religiosi, lo fa ribadendo un'esigenza di strettacompetenza del dicastero che dirige. Il ministro Guardasigilli ritiene giunto il momento di faregiustizia. Di fare giustizia all'interno della Chiesa. Di fare giustizia ai beneamati parroci che, tantoutili alla popolazione, vivono con poche lire mentre i molti religiosi che non fanno nulla vivono nellusso: "È forse giusto, è forse consentaneo ai princìpi della religione che esista questa disparità fra imembri del clero? No certamente". Un ministro di Vittorio Emanuele si propone così di realizzareuna giustizia di tipo redistributivo, sottraendo risorse finanziarie e proprietà ad alcuni per beneficiare altri. Il principio è quello che chi possiede più soldi deve dividerli con chi ne ha meno. Il

principio è anche quello che chi lavora deve guadagnare per lo meno tanto quanto chi indugenell'ozio.

Nei medesimi anni numerosi intellettuali cattolici, primo tra tutti Donoso Cortés, mettono in guardiai liberali: con i metodi che adottano, preparano la strada al comunismo. Anche Pio IX è al riguardoprofeta inascoltato. A cose fatte, è indubitabile che tra liberismo e comunismo c'è una continuitàobiettiva. Lenin si limiterà ad applicare, su più ampia scala, i princìpi così ben enunciati dai liberali.Questi "fanno giustizia" solo ai parroci poveri entro la Chiesa (una giustizia che ritorna a lorovantaggio perché si impadroniscono con pochi soldi dell'ingente patrimonio di cui la carità cristianaha fatto dono alla Chiesa), i comunisti "fanno giustizia" a tutti i poveri con i beni degli stessiliberali.

Ma l'incognita tra princìpi e prassi non si limita a quanto finora rilevato. Così l'articolo 24 delloStatuto recita: "Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge".Tutti, meno i religiosi. Tutti, meno quanti donano beni alla Chiesa. I loro testamenti per diventare

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operativi devono essere approvati dal governo che li deve purgare "dal sospetto di captazione". Eancora l'articolo 28: "La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi". Libera: a esserelibera davvero è la stampa liberale (di cui non viene punito alcun abuso); quella cattolica, invece,non è libera per niente.

Un esempio convincente? Nel 1848, di fronte alla persecuzione che si abbatte sui gesuiti, ilprovinciale dell'Ordine, padre Pellico, così scrive a Carlo Alberto: "Era semplicemente dichiarato daV. M. nella nuova legge sulla stampa che dovesse rimaner inviolato l'onore delle persone e deiministri della Chiesa. Ma pare che nell'avvilire e calunniare i gesuiti non si tema di trasgredire lalegge […] esposti per la sola qualità di gesuiti al pubblico odio o alla diffidenza e al dispregio.Intanto però i giornali e i libelli che ci fanno la guerra, approvati in ciò dalla censura, hanno dirittodi rifiutare le nostre smentite; né tuttavia abbiam noi un altro organo imparziale da stamparle conuguale pubblicità, se pure non ci venga concesso di farlo per via della gazzetta del Governo" [Cfr A.MONTI, La Compagnia di Gesù nel territorio della Provincia Torinese, V, Chieri 1920, pp. 78-79].

Un altro esempio? Nel 1852 il Guardasigilli Boncompagni fa arrestare e imprigionare a carcere duroil conte Ignazio della Costa, consigliere di Cassazione, reo di aver pubblicato un libro dal titoloDella giurisdizione della Chiesa cattolica sul contratto di matrimonio negli Stati cattolici. Il conte è

incriminato per offesa al re, incitamento al sovvertimento dell'ordine costituzionale e disprezzodella legge dello Stato. Quale la colpa? Richiamare alla coerenza e ricordare che, se si è cattolici,bisogna rispettare i decreti del Concilio di Trento. Un particolare che sta stretto a Boncompagni, ilquale, mettendo da parte i decreti tridentini, ritiene ugualmente di essere un buon cattolico [Cfr M.D'ADDIO, Politica e Magistratura (1848-1876), Milano 1996, pp. 31-32]. Un ultimo esempio?Cavour vieta nel cattolico Regno di Sardegna la pubblicazione delle encicliche del Papa.Segnaliamo infine l'articolo 29, che enuncia: "Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sonoinviolabili". Tutte? Tutte, meno quelle della Chiesa.

Monopolio scolastico 

Chiudiamo questi esempi di buon governo liberale, ricordando come insorge in Italia l'ostilità allascuola privata. I liberali sono all'incirca l'uno per cento della popolazione. È evidente che, potendoscegliere, i cattolici mandino i propri figli a scuole non liberali. A scuole dunque (dal momento chelo Stato è in mano dei liberali) non statali. Si tratta allora di impedire ai cattolici di scegliere, disopprimere le corporazioni religiose dedite all'insegnamento e di vigilare perché non se ne forminoaltre. Nessuna libertà di stampa, di parola, di associazione. E nessuna libertà di insegnamento. Icattolici non sono ancora pronti e devono essere pazientemente educati.

La libertà di insegnamento, e cioè la scuola privata, potrà essere reintrodotta solo quando gli italianiavranno imparato a preferire la scuola laica. In pratica, solo quando a nessun genitore verrà più inmente di dare ai propri figli un'istruzione incentrata sul rispetto della fede. A esplicitarlo in modo

chiarissimo è uno dei membri più illustri dell'emigrazione italiana a Torino, il filosofo BertrandoSpaventa, che sul Progresso del 31 luglio 1851 scrive: "Noi certo vogliamo la libertà in tutto e per tutto, ma l'applicazione assoluta di questo principio suppone l'eguaglianza di tutte le condizioni".Conclude il filosofo: "Adunque, considerando la questione in modo assoluto, noi vogliamo la libertàd'insegnamento; ma giudichiamo che per essere attuata essa abbisogni di alcune condizioni generali,richieste dallo stesso principio d'uguaglianza e di libertà, le quali ora non si trovano nel nostroPaese". Fedeli a questa logica i governanti liberali del Regno d'Italia sopprimono tutte lecorporazioni insegnanti con la conseguenza di riuscire nell'opera meritoria di dimezzare le scuoleesistenti.

La prassi politico-ideologica dei governi liberali mette in luce che i princìpi liberali valgono solo esoltanto per coloro che sono liberali. E tutti gli altri? Tutti gli altri devono venire progressivamenteilluminati dal credo liberale che a poco a poco lieviterà le masse cattoliche allontanandole dallasuperstizione della loro religione. Per il momento è comunque chiaro che i cattolici non devono enon possono contare assolutamente nulla.

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popolazione italiana nella seconda metà dell’Ottocento e agli inizi del Novecento fino alla primaguerra mondiale. Il Risorgimento è stato per gli italiani un dramma dalle proporzioni apocalittiche:per ironia della sorte il periodo che si chiama Risorgimento ha trasformato gli italiani in unanazione di emigranti. E questo, va pur detto, dopo che avevamo conosciuto, per più di due millenni,una storia ricca di primati.

D. E l’Europa? Torno a chiederle: in che senso si possono associare le modalità dell’unificazionedella penisola italiana a quelle del continente europeo?

R. Le analogie, a guardare i fatti, sono parecchie. Anche in questo caso il progetto di UnioneEuropea vede protagonisti, e protagonisti convinti, i maggiori leaders cattolici del secondodopoguerra: De Gasperi, Adenauer e Shuman. Anche in questo caso però l’Unione Europea, natacristiana, si è progressivamente trasformata in una realtà anticristiana, antivaticana, nemica dellostesso diritto naturale.

D. In che senso dice che l’Unione Europea sia antivaticana?

R. Nel senso che spiega Mario Mauro, vicepresidente del Parlamento Europeo, quando scrive:“Negli ultimi dieci anni il Parlamento europeo ha condannato il Papa e la Santa Sede per violazionedei diritti umani fino a trenta volte. Cuba e la Cina non più di dieci”.

D. Questa rivista ha recensito il suo pamphlet Family day uscito lo scorso anno. Diceva qualcosa disimile accennando all’Europa.

R. Proprio così. Memore del disastro del Risorgimento, negli ultimi anni ho seguito con moltaattenzione le modalità con cui si sta cercando di realizare la costruzione dell’Europa. A cominciaredal rifiuto di specificare le sue radici cristiane. Come si fa a negare l’evidenza? Come si fa a

rifiutare di ammettere, come tante volte richiesto da Giovanni Paolo II, che le radici dell’Europasono cristiane? Come non vedere che se c’è un elemento che accomuna tutte le terre europee questisono i campanili che da una parte all’altra del continente svettano per segnalare la presenza diluoghi abitati? Come negare quel fatto incontrovertibile che senza l’evangelizzazione e laromanizzazione dei barbari operata dalla chiesa, di Europa non sarebbe neppure possibile parlare?

D. A dire il vero il Parlamento europeo non si limita a negare le radici cristiane: pretende di darevita ad un uomo di tipo nuovo, costruito a partire da modalità dettate dalla tecnoscienza.

R. Proprio così. Si ricorda dell’espressione di Massimo D’Azeglio: “l’Italia è fatta, bisogna fare gli

italiani”? Anche oggi, come allora, gruppi di persone che si ritengono illuminate hanno deciso chegli europei, come nell’Ottocento gli italiani, vadano rifatti. Ad immagine e somiglianza di unpensiero anticristiano che, in nome dell’uguaglianza e della qualità della vita, pretende di dettarelegge sulla durata e le caratteristiche della vita umana. E che in nome della libertà pretende dinegare le caratteristiche biologiche della sessualità. Ma come si fa a sostenere che il sesso sia soloun dato culturale e pensare che ogni bambino debba essere “educato” fin dalla più tenera età adidentificarsi in uno dei supposti cinque generi in cui la specie umana risulterebbe suddivisa? Ilparadosso laicista invoca, come sempre, e come lei ricordava nella domanda, il paradigmascientista: la Santa Sede ed i cattolici si opporrebbero al pensiero scientifico. I pontefici, in ultimaanalisi, si opporrebbero all’eterno desiderio di felicità dell’uomo e al suo tentativo di migliorare leproprie condizioni di vita. Come al solito i corifei della libertà contro la verità, i propugnatori delleverità scientifiche opposte a quelle di fede, hanno il fiato corto. Un fiato capace solo di ripetere conmeccanica ripetitività: è la scienza che lo dice. E allora non sarà male ricordare che anche Hitler faceva ricorso alla scienza per giustificare la propria oscura e satanica volontà di potenza. Durante il

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nazionalsocialismo le università erano piene di scienziati che insegnavano come, al di là di ognipossibile dubbio, la razza ariana fosse destinata al governo mondiale e la razza ebraica fossebiologicamente inferiore. Sul versante comunista la musica era la stessa. Ricordo ancora una bellaintroduzione di Togliatti al Manifesto del partito comunista comparsa nel 1947: anche in quel caso ilMigliore si appellava alla scienza. A suo giudizio erano i fatti a dimostrare la scientificità del

pensiero marxista: la verità del comunismo sarebbe stata comprovata in modo inconfutabiledall’avanzata mondiale delle società socialiste.

D. Quella che lei propone è in buona sostanza la difesa della civiltà e della verità cristiana?

R. Esattamente. Le dicevo prima del Risorgimento: si è trasformato nel suo contrario. Se la storiainsegna qualcosa, dobbiamo stare molto attenti a non rifare gli stessi errori nel processo diunificazione europea. Anche perché questa volta la lotta non è solo contro la chiesa. L’attaccognostico è rivolto direttamente alla vita. E se questo progetto disumano non sarà fermato rischiamola distruzione, forse definitiva, della civiltà europea.

Sul risorgimento c'è ancora molto da scoprire

(articolo di Angela Pellicciari pubblicato su Libero, 12 febbraio 2010)

Un discorso alto quello del Presidente della Repubblica all’Accademia dei Lincei. Un discorsonobile che parla dell’unificazione italiana nella prospettiva di quella europea.“Tutte le tensioni, le spinte divisive” vanno riconosciute e “vanno affrontate con il necessariocoraggio”. Verissimo. Anche perché quello dell’unità è davvero un bene che va salvaguardatonell’interesse di tutti.

A mio modo di vedere però, il punto non è solo quello della brutalità della conquista sabauda delMeridione né dell’arretratezza economico-sociale del Sud. A mio modo di vedere il “coraggio” dicui c’è bisogno è quello con cui affrontare il tema della nostra identità nazionale. Perché di questo sitratta.Tutti gli italiani, di qualsiasi regione e di qualsiasi ceto fossero, si sono uniformemente riconosciutiper più di un millennio nella fede e nella cultura cattoliche: fede e cultura che l’élite liberaledell’Ottocento ha combattuto con tutte le forze.Il Risorgimento ha voluto imporre agli italiani un “risorgimento” dal cattolicesimo. E questo, a miomodo di vedere, è stato un enorme errore sia storico che culturale. La soppressione di tutti gli ordinireligiosi della chiesa di stato (così il primo articolo dello Statuto Albertino definiva la religionecattolica), l’eliminazione di tutte le opere pie, il lasciare senza vescovo più di 100 diocesi, l’imporreai preti (pena il carcere e fortissime multe) l’ammissione ai sacramenti degli anticattolici liberali(che Pio IX aveva scomunicato), ha privato la chiesa e gli italiani tutti di ogni elementare forma dilibertà.Raccontare la dinamica dei fatti è necessario proprio in funzione dell’identità italiana che tuttivogliamo salvaguardare come un bene prezioso. I liberali hanno voluto negare la grande civiltàdell’Italia cattolica. Hanno disprezzato i primati italiani dovuti alla presenza a Roma della sede diPietro. Il dato Unesco mostra in modo inconfutabile l’unicità della nostra civiltà: alla cattolicaItalia spetta più della metà dell’intero patrimonio artistico e culturale del pianeta.Pio IX e, insieme a lui, don Giacomo Margotti, hanno descritto in un’infinità di documenti laviolenza e l’oppressione perpetrate dai liberali in nome della libertà e della costituzione. Di Pio IX

si è detto tutto il male possibile, mentre di don Margotti si è persa la memoria. Le sue Memorie per la storia dei nostri tempi, più di duemila pagine di fatti e documenti, sono praticamente scomparsida tutte le biblioteche sia laiche che cattoliche.

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Caro Presidente, perché “coraggiosamente” non si fa promotore della ristampa di un’opera preziosache costituisce un tassello importante della nostra storia nazionale? Io finora, nonostante tantitentativi, non sono riuscita nell’intento.Pio IX e con lui tutti i cattolici erano contrari ad unificare l’Italia? Tutt’altro. Se ne sono ritirati conorrore quando ciò ha coinciso con il tentativo di privare gli italiani della propria storia e dellapropria fede.

Il paragone con l’unificazione dell’Europa è quanto mai appropriato: nel secondo dopoguerra eranocristiani i leaders che con più convinzione l’hanno perseguita. Ma, anche in questo caso, propriocome all’epoca del Risorgimento, i cristiani sono stati isolati e violentemente contrastati. Al puntoche si è voluta negare l’evidenza: l’essere l’Europa frutto dell’evangelizzazione e dellaromanizzazione del continente attuata dalla chiesa.Caro Presidente, è proprio per rendere la nostra identità più salda che bisogna raccontare la verità.

Risorgimento esoterico ("Avvenire", 23 marzo 2010)Di Andrea Galli

Del lato esoterico degli avvenimenti dell’800 italiano, Massimo Introvigne, direttore del Cesnur, si èoccupato a lungo nei suoi studi da sociologo delle religioni. E, in quanto torinese, con un occhiospeciale sul lato occulto di una città che ha avuto un ruolo di primo piano nella lotta contro ilpapato.

Siamo figli di un Risorgimento esoterico?«Bisogna distinguere tra Unità d’Italia e Risorgimento: il progetto dell’Unità non è statoesclusivamente esoterico o massonico o laicista, perché c’erano ovviamente anche grandi cattolici – pensiamo al beato Francesco Faà di Bruno o a Rosmini – che sposavano questa causa e lagiudicavano cruciale per lo sviluppo dell’Italia, in un mondo in cui andavano affermandosi i grandi

Stati nazionali. Il Risorgimento è stato invece una modalità di realizzare l’Unità segnata da forzeche, approfittando del fatto che si sarebbe costruito uno Stato nuovo, volevano plasmarlo secondo ipropri ideali massonici o pre-massonici. Uno Stato simile alla città che avevano già sognato iRosacroce del ’600: totalmente svincolata da una tradizione religiosa specifica e in particolare,giacché si trattava dell’Italia, dalla tradizione cattolica. Uno Stato frutto di ingegneria sociale,caratterizzato dal relativismo delle idee e delle religioni».

Garibaldi e Mazzini sono i nomi che vengono subito in mente.«Infatti, quest’ideologia viene perseguita in modo particolarmente consequenziale da chi avevafrequentato la massoneria internazionale. In un personaggio come Garibaldi è facile trovareriferimenti a tal proposito, con una buona dose di violenza nei confronti della tradizione cattolica e

con elementi estremi, per esempio l’idea di sostituire il cattolicesimo con lo spiritismo, cheGaribaldi coltivò molto seriamente, diventando primo presidente della Società spiritica italiana,oltre che gran maestro della massoneria. Lo stesso vale per Mazzini, che aveva frequentato altriambienti, magari non direttamente massonici, ma con forti interessi esoterici. In lui troviamoun’utopia più ispirata alla sostituzione del cristianesimo con spiritualità orientali, con l’idea direincarnazione, ecc.».

Come giudicare l’atteggiamento dei "cattolici" Savoia?«Il progetto risorgimentale non è pensato inizialmente dai Savoia, ma da altri che poi trovano incasa Savoia uno strumento. Casa Savoia è interessante perché da quando decide di diventare unadinastia di respiro europeo, nel ’500, si presenta come un impasto singolare di cattolicesimo e di

esoterismo. I Savoia rinascimentali, in cui sono presenti figure che hanno aspirazioni di santità efavoriscono la Chiesa, sono gli stessi che costruiscono un mito per accreditarsi fra le case realieuropee: quella della loro discendenza dai faraoni egizi, che nel clima rinascimentale di riscoperta

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di spiritualità pagane e precristiane funzionava molto bene. Il museo egizio verrà molto dopo, conNapoleone, però che Bonaparte scelga Torino per creare questa istituzione non è casuale. Nellacorrispondenza di fine ’600 tra il beato Sebastiano Valfré e Vittorio Amedeo II di Savoia, di cui ilValfré era confessore, si nota tutta l’ambivalenza del nobile sabaudo. Che da una parte manifesta unanelito cattolico, dall’altra riempie la corte di maghi e astrologhi. Un’ambivalenza che ha quindiradici molto antiche e che si manifesta clamorosamente nell’800».

Carlo Alberto "re tentenna" anche per quanto riguarda il rapporto con la Chiesa?«In Carlo Alberto resta viva, direi, una cattolicità di fondo. All’inizio sembra assecondare i progetti– pensiamo all’espulsione dei gesuiti – di forze che si possono definire proto-massoniche, perché inrealtà la massoneria nel Regno di Sardegna, vietata da Vittorio Emanuele I nel 1814, si ricostituiscecon la sua regolarità formale solo nel 1859, anche se era già esistita nel ’700 e diversi nobilimantenevano rapporti con logge francesi e di altre parti d’Europa. Poi, quando vede che ne voglionofare uno strumento di una politica anti-cattolica a senso unico, Carlo Alberto saluta e se ne va. Cisono lettere in cui scrive: "Il mestiere di Re mette in pericolo la salvezza della mia anima"».

Vittorio Emanuele II appare molto meno ambiguo…

«In lui la vocazione esoterica di casa Savoia, di cercare la propria grandezza in un disegnoalternativo al cristianesimo, in un’ingegneria sociale che ha una forte matrice massonica, prevale.Ciò non impedisce che nella famiglia il filone cattolico continui, pensiamo a figure come MariaCristina o Maria Clotilde. Del resto, i casi di famiglie reali che annoverano gran massoni e grandicattolici non sono isolati. Prendiamo per esempio il libro di Jean Van Win su Leopoldo I del Belgiocome "re massone". Poi si arriva a Baldovino, di cui sembra si voglia aprire una causa dibeatificazione. Lo stesso discorso si può fare per la famiglia reale brasiliana. Diciamo che CasaSavoia ha sempre tenuto un piede nella santità e uno nella scomunica».

Il ruolo dominante dei "piemontesi" nell’Unità – che tanto è stato discusso sotto il profiloeconomico e politico – che ricadute ha avuto negli equilibri massonici del nuovo Stato?«Occorre sempre distinguere fra la massoneria come istituzione formale con le sue logge e lamentalità massonica, che è relativista, laicista, antidogmatica e portatrice in Italia di un’idea dinazione astratta che cerca fondamenta alternative rispetto alle radici cristiane e al rapportostrettissimo con la Chiesa cattolica che invece ha sempre caratterizzato il nostro Paese. Se parliamodi logge massoniche in senso stretto, il Piemonte è alle origini della ricostituzione della massoneriache, dopo la caduta di Napoleone e la restaurazione, era stata vietata in quasi tutti gli Stati pre-unitari. Il processo va dalla creazione della Loggia Ausonia a Torino nel 1859 alla fondazione subitodopo, sempre a Torino, del Grande oriente italiano che ha come primo gran maestro il piemontese