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RIFLESSIONI L’avventura riparte, o forse meglio, continua (con l’auspicio e la speranza che non debba più interrompersi). “Storia & Ricer- ca” – come pure gli altri inserti “InPiù” della “Voce del Popo- lo” – riprende a uscire di questo mese, in questo anno in cui noi, italiani tutti, stiamo celebran- do un grande anniversario: il 150.esimo dell’Unità d’Italia. È il “compleanno” della no- stra Nazione Madre, per noi che facciamo parte di quella mino- ranza italiana che, autoctona, vive da secoli nei territori delle odierne Croazia e Slovenia, e che, nonostante un certo distac- co geografico-politico, mantiene l’italianità nella parte orienta- le dell’Adriatico, conservando e promuovendo i valori della grande civiltà italiana. Autenti- ca ambasciatrice del Belpaese, fa in modo che l’Italia, attra- verso la sua lingua e la sua cul- tura, continui a essere presen- te nelle terre abbandonate dopo la Seconda guerra mondiale. E considerato che quest’inserto nasce proprio dalla volon- tà di segnalare, divulgare e far riscoprire al gran- de pubblico, l’iden- tikit e il patrimonio culturale e storico di queste regioni di cui la compo- nente italiana è un elemento imprescindi- bile, è dun- que un motivo aggiuntivo di soddisfazione il fatto di po- ter tornare a uscire proprio in circostanza di questo im- portante anni- versario. E non solo: la gratificazione per questo nostro ritorno nelle edicole è ancora maggiore in quanto ciò avviene fon- damentalmente grazie al contri- buto per la stampa quotidiana e periodica che la Nazione Madre ha stanziato a favore della “Voce del Popolo”. Un riconoscimen- to, anche simbolico, se si vuole, che queste membra sparse di ita- lianità in Istria, Quarnero e Dal- mazia, fanno parte di un unico popolo, di un’unica nazione che va ricomposta idealmente – se non politicamente, perché sareb- be delirante e velleitario perse- guire qualsiasi disegno in questa direzione – nello spirito di una collaborazione costante, concre- ta, sincera, illimitata (come ha scritto qualcuno in questi giorni sulle pagine del nostro quotidia- no) tra le due sponde del “mare nostrum”. In quanto ai contenuti di questo numero, si parte ricor- dando il 150.esimo dell’Unità d’Italia, si prosegue segnalando un contributo delle nostre terre al Risorgimento italiano (Gian- franco Miksa sui garibaldini fiumani), per passare quindi a presentare una delle istituzio- ni che, nel nostro territorio, si occupa di ricerca scientifica e lo fa con successo (Ilaria Roc- chi ha intervistato Dean Krmac sull’attività della Società uma- nistica di storia, arte e cultura “Histria” di Capodistria). Do- veroso rispolverare, visto anche il periodo, le tradizioni (Danie- la Jugo Superina ha esplorato quelle carnascialesche fiuma- ne), come pure evidenziare pro- getti significativi che mirano al recupero e alla diffusione della nostra eredità culturale (Carla Rotta ha spulciato tra le pagi- ne dello Statuto di Dignano del 1492). w w w . e d it. h r /l a v o c e A n n o V I I n . 5 2 S a b ato , 5 ma rz o 2 0 1 1 storia e ricerca DEL POPOLO DEL POPOLO Il 150º dell’Italia unita, non omettere Istria, Quarnero, Dalmazia Con questo numero... riparte l’avventura S iamo praticamente alla vigilia del 150.esimo anniversario dell’Unità nazionale italiana, ossia della proclamazione del Re- gno d’Italia, avvenuta il 17 marzo del 1861 a Torino. Le celebrazioni, al culmine in questi giorni, sono in effetti iniziate un anno fa, accom- pagnate da rispolverate storiche, rievocazioni, riflessioni – e qual- che polemica – sulla miriade di eventi, date, fatti, personaggi e fe- nomeni che hanno contraddistino e accompagnato il processo di uni- ficazione nelle sue varie fasi, com- prese quelle successive al 1861 (annessione del Veneto e del Friuli centro-occidentale nel 1866, annes- sione di Roma e del Lazio nel 1870 e “redenzione” del Trentino e della Venezia Giulia nel 1918). Sarebbe sbagliato omettere, in questa circostanza, l’apporto che diedero al Risorgimento le gen- ti dell’Istria, del Quarnero e della Dalmazia, regioni che le vicende della storia hanno diviso dal terri- torio nazionale, ma che sono – e devono essere – a pieno diritto luo- ghi e comunità che appartengono alla memoria nazionale italiana. Pur non avendo fatto parte a lungo dello Stato italiano. Una prima par- ticolare esperienza in questo senso risale al 1805, al periodo napo- leonico e all’annessione al Regno d’Italia: sebbene si trattò di una “parentesi”, gettò indubbiamente i semi del futuro movimento patriot- tico italiano, tanto che qualche de- cennio dopo, tra il 1820 e il 1840, nacquero società segrete (una si chiamava “Esperia”, formata da- gli ufficiali veneti, istriani e dal- mati dell’Imperial-Regia Marina Austro-Veneta, e nella quale mili- tarono pure i fratelli Emilio e At- tilio Bandiera, la cui madre era di origine dalmata), un po’ come av- veniva in altri Stati italiani. E non esitarono ad atteggiarsi come tali società italiane. Lo dimostra, ad esempio, la guerra d’indipenden- za greca: istriani – come Pasquale Besenghi degli Ugi, che dà il nome oggi a una delle due Comunità de- gli Italiani di Isola – e dalmati vi parteciparono personalmente. Ci sarà poi la primavera del 1848, con l’aspirazione dei popoli delle province adriatiche – Litora- le (Trieste, Istria e Isontino), Regno di Dalmazia e Fiume – ad avere la loro autonomia; seguirà la parteci- pazione degli istriani e dei dalma- ti alla prima guerra d’indipenden- za italiana. Centinaia di volontari aderirono a difesa della Repubblica di Venezia e della Repubblica Ro- mana e nelle file dell’esercito pie- montese. A Venezia, oltre a Nico- lò Tommaseo, con Daniele Manin alla guida della Repubblica, mol- ti membri del governo erano dal- mati e istriani: Antonio Paulucci, Matteo Ballovich, Leone Graziani, Vincenzo Solitro, Matteo Petronio; a Roma collabora con i Triumviri il liberale raguseo Federico Sei- smit-Doda (autore de “la Roma- na”, l’inno dei difensori di Roma), che più tardi sarà ministro nel Go- verno Crispi. Al bienno rivoluzionario del 1848-1849 seguirà le censu- ra un’assidua sorveglianza sul- le persone che appartenevano al cosiddetto partito italiano. E pri- ma della seconda guerra d’indi- pendenza, intere aree dell’Istria e della Dalmazia verranno poste in stato d’assedio allo scopo di pre- venire manifestazioni filo-italia- ne, l’ammutinamento degli equi- paggi e la fuga di informazioni sulle difese navali austriache. Segue a pagina 2

RIFLESSIONI Il 150º dell’Italia unita, Quarnero, Dalmazia S · al Risorgimento italiano (Gian-franco Miksa sui garibaldini fi umani), per passare quindi a ... Ci sarà poi la

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RIFLESSIONIL’avventura riparte, o forse

meglio, continua (con l’auspicio e la speranza che non debba più interrompersi). “Storia & Ricer-ca” – come pure gli altri inserti “InPiù” della “Voce del Popo-lo” – riprende a uscire di questo mese, in questo anno in cui noi, italiani tutti, stiamo celebran-do un grande anniversario: il 150.esimo dell’Unità d’Italia. È il “compleanno” della no-stra Nazione Madre, per noi che facciamo parte di quella mino-ranza italiana che, autoctona, vive da secoli nei territori delle odierne Croazia e Slovenia, e che, nonostante un certo distac-co geografi co-politico, mantiene l’italianità nella parte orienta-le dell’Adriatico, conservando e promuovendo i valori della grande civiltà italiana. Autenti-ca ambasciatrice del Belpaese, fa in modo che l’Italia, attra-verso la sua lingua e la sua cul-tura, continui a essere presen-te nelle terre abbandonate dopo la Seconda guerra mondiale. E considerato che quest’inserto nasce proprio dalla volon-tà di segnalare, divulgare e far riscoprire al gran-de pubblico, l’iden-tikit e il patrimonio culturale e storico di queste regioni di cui la compo-nente italiana è un elemento imprescindi-bile, è dun-que un motivo aggiuntivo di soddisfazione il fatto di po-ter tornare a uscire proprio in circostanza di questo im-portante anni-versario.

E non solo: la gratifi cazione per questo nostro ritorno nelle edicole è ancora maggiore in quanto ciò avviene fon-

damentalmente grazie al contri-buto per la stampa quotidiana e periodica che la Nazione Madre ha stanziato a favore della “Voce del Popolo”. Un riconoscimen-to, anche simbolico, se si vuole, che queste membra sparse di ita-lianità in Istria, Quarnero e Dal-mazia, fanno parte di un unico popolo, di un’unica nazione che va ricomposta idealmente – se non politicamente, perché sareb-be delirante e velleitario perse-guire qualsiasi disegno in questa direzione – nello spirito di una collaborazione costante, concre-ta, sincera, illimitata (come ha scritto qualcuno in questi giorni sulle pagine del nostro quotidia-no) tra le due sponde del “mare nostrum”.

In quanto ai contenuti di questo numero, si parte ricor-dando il 150.esimo dell’Unità

d’Italia, si prosegue segnalando un contributo delle nostre terre al Risorgimento italiano (Gian-franco Miksa sui garibaldini fi umani), per passare quindi a presentare una delle istituzio-ni che, nel nostro territorio, si occupa di ricerca scientifi ca e lo fa con successo (Ilaria Roc-chi ha intervistato Dean Krmac sull’attività della Società uma-nistica di storia, arte e cultura “Histria” di Capodistria). Do-veroso rispolverare, visto anche il periodo, le tradizioni (Danie-la Jugo Superina ha esplorato quelle carnascialesche fi uma-ne), come pure evidenziare pro-getti signifi cativi che mirano al recupero e alla diffusione della nostra eredità culturale (Carla Rotta ha spulciato tra le pagi-ne dello Statuto di Dignano del 1492).

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w.edit.hr/lavoce Anno VII • n. 52 • Sabato, 5 marzo 2011

storiae ricerca

DEL POPOLODEL POPOLO

Il 150º dell’Italia unita, non omettere Istria, Quarnero, Dalmazia

Con questo numero... riparte l’avventura

Siamo praticamente alla vigilia del 150.esimo anniversario dell’Unità nazionale italiana,

ossia della proclamazione del Re-gno d’Italia, avvenuta il 17 marzo del 1861 a Torino. Le celebrazioni, al culmine in questi giorni, sono in effetti iniziate un anno fa, accom-pagnate da rispolverate storiche, rievocazioni, rifl essioni – e qual-che polemica – sulla miriade di eventi, date, fatti, personaggi e fe-nomeni che hanno contraddistino e accompagnato il processo di uni-fi cazione nelle sue varie fasi, com-prese quelle successive al 1861 (annessione del Veneto e del Friuli centro-occidentale nel 1866, annes-sione di Roma e del Lazio nel 1870 e “redenzione” del Trentino e della Venezia Giulia nel 1918).

Sarebbe sbagliato omettere, in questa circostanza, l’apporto che diedero al Risorgimento le gen-ti dell’Istria, del Quarnero e della Dalmazia, regioni che le vicende della storia hanno diviso dal terri-torio nazionale, ma che sono – e devono essere – a pieno diritto luo-ghi e comunità che appartengono alla memoria nazionale italiana. Pur non avendo fatto parte a lungo dello Stato italiano. Una prima par-ticolare esperienza in questo senso risale al 1805, al periodo napo-leonico e all’annessione al Regno d’Italia: sebbene si trattò di una “parentesi”, gettò indubbiamente i semi del futuro movimento patriot-tico italiano, tanto che qualche de-cennio dopo, tra il 1820 e il 1840, nacquero società segrete (una si chiamava “Esperia”, formata da-gli uffi ciali veneti, istriani e dal-mati dell’Imperial-Regia Marina Austro-Veneta, e nella quale mili-tarono pure i fratelli Emilio e At-tilio Bandiera, la cui madre era di origine dalmata), un po’ come av-

veniva in altri Stati italiani. E non esitarono ad atteggiarsi come tali società italiane. Lo dimostra, ad esempio, la guerra d’indipenden-za greca: istriani – come Pasquale Besenghi degli Ugi, che dà il nome oggi a una delle due Comunità de-gli Italiani di Isola – e dalmati vi parteciparono personalmente.

Ci sarà poi la primavera del 1848, con l’aspirazione dei popoli delle province adriatiche – Litora-le (Trieste, Istria e Isontino), Regno di Dalmazia e Fiume – ad avere la loro autonomia; seguirà la parteci-pazione degli istriani e dei dalma-ti alla prima guerra d’indipenden-za italiana. Centinaia di volontari aderirono a difesa della Repubblica di Venezia e della Repubblica Ro-mana e nelle fi le dell’esercito pie-montese. A Venezia, oltre a Nico-lò Tommaseo, con Daniele Manin alla guida della Repubblica, mol-ti membri del governo erano dal-mati e istriani: Antonio Paulucci, Matteo Ballovich, Leone Graziani, Vincenzo Solitro, Matteo Petronio; a Roma collabora con i Triumviri il liberale raguseo Federico Sei-smit-Doda (autore de “la Roma-na”, l’inno dei difensori di Roma), che più tardi sarà ministro nel Go-verno Crispi.

Al bienno rivoluzionario del 1848-1849 seguirà le censu-ra un’assidua sorveglianza sul-le persone che appartenevano al cosiddetto partito italiano. E pri-ma della seconda guerra d’indi-pendenza, intere aree dell’Istria e della Dalmazia verranno poste in stato d’assedio allo scopo di pre-venire manifestazioni fi lo-italia-ne, l’ammutinamento degli equi-paggi e la fuga di informazioni sulle difese navali austriache.

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2 storia e ricerca

INTERVISTA

Sabato, 5 marzo 2011

Istria: un nome, un program-ma, una terra che è stata defi -nita sì complessa, eterogenea,

multiforme, composita e forse an-che complicata per chi non la vive e sente intimamente, ma anche “ma-gica” e “nobilissima”, con un baga-glio culturale ricco e vario, antico di secoli, segno inequivocabile di un territorio con una sua specifi ca fi sio-nomia. Ma Istria, ovvero “Histria”, è anche – e per l’appunto – il nome di un’associazione che vuole esprime-re, nel modo e con gli strumenti che si è data, ciò che tale nome signifi ca e rappresenta: un microcosmo plu-rietnico e multiculturale, (perlome-no) trilingue, una regione di frontie-ra, di transito, punto di incontro e di costante contatto, scambio, permea-zione, di trasformazione, ma anche di continuità. Insomma, una realtà articolata, e per molti aspetti unica, fatta di sfumature storiche, etnico-demografi che, culturali,linguistiche, che è stata esplorata, studiata, ma anche deformata, dimenticata, sot-taciuta. La Società umanistica di storia, arte e cultura “Histria” di Capodistria cerca di studiare, capi-re, mantenere e far conoscere tale realtà, giungendo, attraverso la ri-cerca, a divulgare un’identikit della penisola il più fedele possibile alla verità. Come precisa nel suo statu-to, la Società umanistica Histria è “una persona giuridica di diritto pri-vato senza scopi di lucro, costituita per favorire lo sviluppo degli studi e delle ricerche nel campo della sto-ria patria, della conservazione e del-la valorizzazione dei beni artistici e della cultura multietnica del terri-torio istriano“. Presieduta da Matej Župančič, dal 2006 a questa parte ha promosso progetti che, oltre a ri-chiamare l’attenzione e la partecipa-zione del mondo scientifi co, ha col-to pure l’interesse del più vasto pub-blico. Ne parliamo con il segretario, Dean Krmac, che è anche redattore responsabile delle pubblicazioni tar-gate “Histria Editiones”. Capodi-striano, classe 1971, ha conseguito

la laurea (1998) e il dottorato (2002) in storia all’Università di Trieste, dopo gli studi ha continuato a colla-borare con l’Ateneo giuliano come giovane ricercatore, e in alcuni pro-getti; poi ha collaborato con il Cen-tro di Ricerche scientifi che di Capo-distria, per conto del quale è stato curatore redattore di “Acta Histriae” e “Annales” e più recentemente con l’università di Udine, nel campo del-la demografi a storica.

Eredi dell’EnciclopediaIn quale contesto nasce la So-

cietà umanistica di storia, arte e cultura “Histria”?

Credo di non sbagliare se af-fermo che siamo praticamente fi gli dell’Enciclopedia istriana. E difatti, durante il lavoro che abbiamo fatto per quest’ultima, qui a Capodistria, ci siamo resi conto della necessità di continuare in qualche modo que-sto lavoro lessicografi co di raccolta di dati, anche perché manca questo tipo di approccio, soprattutto man-ca un dizionario biografi co istria-no. L’ultimo è quello del buon Pie-tro Stancovich, di cui, tra l’altro, in questi giorni festeggiamo i 240 anni dalla nascita. Insomma, l’ultimo di-zionario biografi co risale al 1829. Abbiamo pertanto ritenuto oppor-tuno proseguire e aggiornare que-st’opera. Nel frattempo sono stati fatti diversi tentativi in questo sen-so, ma il problema è che coloro che l’hanno fatto hanno voluto guarda-re solo dalla propria parte, per cui, ad esempio, c’è il dizionario bio-grafi co degli italiani, che continua tutt’ora a uscire, poi c’è la picco-la enciclopedia giuliano-dalmata; quindi anche l’istituto lessicografi -co croato ha svolto un’opera in pro-prio, mentre gli sloveni hanno fat-to il Primorski slovenski biografski leksikon... Noi abbiamo voluto unire tutte queste parti, omologare il tut-to e andare avanti con questo lavo-ro. Io con il collega Matej Župančič – insieme siamo stati i redattori del-l’Enciclopedia istriana dell’Istitu-

Dean Krmac presenta

Nata con la vogdi frontiera, co

di Ilaria Rocchi

Le brochure di due importanti convegni: quello sui 150 anni dal primo censimento asburgico mo-derno, nel dicembre 2007 (sopra), e quello sulle

malattie epidemiche in Istria tra Ottocento e No-vecento (a fi anco), nell’ottobre di due anni fa

Ballarini, Modena, Panciera, Plona e Dolenti

Qui hanno battuto cuori garibaldiniIl 17 marzo prossimo ricorro-

no i 150 anni dell’Unità d’Italia. L’importante anniversario do-vrebbe coinvolgere tutti gli ita-liani, inclusi quelli che non risie-dono fi sicamente all’interno dei confi ni dello stato, in un grande progetto di valorizzazione della coscienza e dell’identità nazio-nale. Fiume, anche se non inte-ressata direttamente dalle guer-re d’indipendenza italiane, ha invece un profondo legame con l’epopea garibaldina e con tutti quei patrioti che hanno voluto combattere per un ideale, quel-lo di un’Italia unita, libera, indi-pendente.

Al Cimitero comunale di Cosala, giacciono, infatti, una accanto all’altra, cinque tombe di fi umani garibaldini. Cinque fi gure che hanno voluto seguire l’Eroe dei Due Mondi nelle sue battaglie per la fondazione dello stato italiano. Forse erano trop-po giovani per indossare la Ca-micia rossa e partire con i Mille da Quarto per scacciare i Borbo-ni dal Regno delle Due Sicilie. Forse queste cinque fi gure parte-ciparono più tardi ad altri storici scontri; forse vinsero anche loro nella battaglia di Bezzecca, in Trentino, il 21 luglio 1866; o for-se dovettero ripiegare su Monte-rotondo dopo lo scontro a Men-tana, incalzati dai fucili “Chas-sepots” in dotazione all’esercito francese comandato del genera-le francese De Failly. Rimasero vivi, in qualche modo si ritrova-rono a Fiume, con i loro ricordi, e si spensero uno ad uno.

Ora, tra i cipressi di Cosala, attorniati da sepolcri più recen-ti, restano testimoni imperituri di un tempo passato. Sulle loro lapidi si possono leggere le se-guenti epigrafi : “Qui riposano le venerate spoglie di Ubaldo Ballarini, d’anni 65, morto li 21 aprile 1915. Soldato di Garibal-di, padre modello ed di esempla-ri virtù. Questo mesto ricordo i dolenti fi gli dedicano”. In ordi-ne di fi la seguono la tomba di Gianbattista Lancetti, “nipote e non indegno allievo di Gustavo Modena. Con Garibaldi soldato della libertà d’Italia, si spense umile fra noi ma retto il 27 giu-gno 1910”; quindi di Giuseppe Panciera (24 dicembre 1843 – 2 marzo 1917); e poi ancora Fede-rico – che è riportato come Fe-deriko, forse per una svista del-lo scrivente – Plona (7 febbraio 1841 – 28 luglio 1923), sergente

del Primo reggimento bersaglie-ri, che “combatté con Garibaldi, amò la Patria al di sopra d’ogni altro sentimento”; e infi ne Ari-stide Dolenti (1848 – 1930), e anch’egli amò “la Patria e la fa-miglia più di sé stesso”. Grazie al restauro realizzato dal Conso-lato Generale d’Italia a Fiume – l’intervento fu eseguito all’epo-ca in cui questo era retto da Ro-berto Pietrosanto –, le tombe si trovano in ottimo stato.

Ma ci sono anche altre fi gure di queste terre che hanno contri-buito, in prima persona o indiret-tamente, al Risorgimento italia-no: fi umani, istriani, dalmati che hanno scelto di scendere in cam-po al fi anco dei propri fratelli nelle Guerre d’indipendenza ita-liane, o che hanno disertato pur di non dover combattere contro di loro, al servizio dell’Austria, di cui erano sudditi. (gian)

Anche in questo periodo affl ui-rononell’esercito piemontese e nel-le formazioni garibaldine, tanti vo-lontari istriani, dalmati e fi umani. A Zara, Sebenico e Spalato, le signo-re usavano reggicalze bianco-ros-so-verde e confezionavano camice rosse per accogliere uno sbarco di garibaldini. E la proclamazione del Regno d’Italia venne salutata con manifestazioni di entusiasmo nelle città del litorale austriaco. Alla gioia, però, seguirono tensioni e un muta-mento nell’atteggiamento del gover-no di Vienna, sempre più favorevole all’elemento sloveno e croato. A que-sti ultimi, che cominciavano a recla-mare l’annessione dell’Istria, di Fiu-me e della Dalmazia alla Croazia, si contrapposero i partiti “autonomi”, il cui primo scopo era quello difendere l’identità italiana dell’intera regione e l’uso uffi ciale della lingua italiana nelle scuole e negli atti pubblici.

Pertanto, nel 1861 alla richiesta del Parlamento di Vienna di invia-re una delegazione istriana, la Dieta Provinciale, riunita a Parenzo nella biblioteca del palazzo de Vergottini – e ricorrono ora i 150 anni anche di quest’ultima! –, risposee: “Nessu-no”. E altrettanto lo fecero la Dieta della Città Libera di Fiume e la Dieta Dalmata, riunita a Zara, alle richieste di partecipare alla Dieta di Zagabria. Le “Diete del Nessuno” resteranno un punto fermo dell’orgoglio nazio-nale italiano fi no alla prima guerra mondiale. La battaglia per l’autono-mia sarà vincente in Istria e a Fiume, dove le amministrazioni locali resta-rono quasi tutte al partito autonomi-sta italiano. In Dalmazia la maggio-ranza autonomista alla Dieta venne meno nel 1870 e nel 1882 erano stati conquistati dal partito annessionista croato tutti i comuni, ad eccezione di Zara, che resterà al partito italiano fi no al 1915.

La Triplice Alleanza tra Italia, Germania e Austria-Ungheria nel

1882, peggiorò la posizione degli italiani nelle province adriatiche dell’Impero, non avendo il governo di Roma l’interesse politico di pro-teggere la minoranza italiana, per non turbare i rapporti con il gover-no di Vienna. La difesa del caratte-re italiano e la continuità nell’uso della lingua italiana nelle scuole e nei pubblici uffi ci restò quindi af-fi data alle autorità locali quando i comuni erano retti da partiti italia-ni, come in gran parte dell’Istria e a Fiume, o all’iniziativa privata della componente italiana della popola-zione. Determinante fu il ruolo del-la Lega Nazionale, con sede cen-trale a Trieste e sovvenzionata da contributi privati raccolti prevalen-temente nelle stesse province defi -nite “irredente”. L’irredentismo fu una mutazione spontanea del mo-vimento autonomista nel momen-to in cui le élites politiche italiane si resero conto che il lealismo al governo austriaco e anche a quel-lo ungherese a Fiume non pagava-no e che la protezione dell’identità italiana o di quanto ne restava non poteva più affi darsi alla buona fede dell’amministrazione imperiale e alla simpatia personale dei suoi di-rigenti.

All’aspirazione all’autonomi-smo si sostituì, alla fi ne dell’Otto-cento, un’aperta volontà di entrare a far parte dello Stato italiano. A po-sizioni più marcatamente nazionali-stiche si accompagnarono sempre e prevalsero le posizioni di apertura e di dialogo, come dimostrano le ope-re e gli atteggiamenti concreti degli scrittori triestini, istriani e dalmati italiani, e la loro attenzione alle cul-ture e alle discipline linguistiche dei popoli vicini. I più importanti ger-manisti, slavisti e studiosi di lingua ungherese erano proprio giuliani, dalmati e fi umani di sentimenti ir-redentisti...

Anche se lontani e incorporati nella multietnica realtà austro-un-

garica, istriani, fi umani e dalmati seguivano con interesse gli even-ti italiani e la solidarietà delle cit-tà e della popolazione italiana del-l’Adriatico orientale cominciò a manifestarsi sempre più apertamen-te, sfi dando la tolleranza delle auto-rità di polizia. Le vie e le piazze si riempivano di tricolori italiani ad ogni occasione e le società ginnasti-che, fi larmoniche, come le società operaie di mutuo soccorso, furono focolai costanti di un patriottismo sofferto, ma ostentato con dignità e orgoglio.

E venne la Grande Guerra, con i “volontari irredenti” nella marina e nell’esercito italiano che diede-ro un alto tributo di eroismo e di sangue. Sono rimasti nell’imma-ginario collettivo gli istriani Fabio Filzi, Nazario Sauro, Giani e Car-lo Stuparich, il dalmata Francesco Rismondo. Ed esultarono, istriani, fi umani, dalmati, a fi ne ottobre e inizi novembre 1918, dopo la bat-taglia di Vittorio Veneto, come at-testano le documentazioni fi lmate e fotografi che. Fu in quei giorni che sentirono compiuto il cammino del Risorgimento.

Ma la questione fi umana, con l’impresa di Gabriele D’Annun-zio, il limitativo Trattato di Rapal-lo, la recrudescenza dei rapporti tra le etnie, il Ventennio fascista – che compromise le tradizioni sto-riche di convivenza di quelle re-gioni plurali – e la Seconda guer-ra mondiale aprirono una “voragi-ne” che non solo portò al distacco di queste regioni dall’Italia, ma fece piombare per circa mezzo se-colo una “cortina di ferro” tra le due sponde dell’Adriatico. E stac-cò migliaia di dalmati, fi umani e istriani dalle loro radici, mentre coloro che vi rimasero non ebbe-ro più modo di partecipare diretta-mente alle vicende dell’Italia. Ma non per questo cessò la loro “mi-litanza” alla causa italiana.

Dalla prima pagina

storia e ricerca 3

to lessicografi co ‘Miroslav Krleža’ – e con Deborah Rogoznica, che è stata collaboratrice della stes-sa, ci siamo detti ‘proviamo anda-re avanti con questo lavoro’, anche perché qui abbiamo individuato un centinaio di collaboratori ed era un peccato che questa rete andas-se perduta. L’unico modo per non interrompere queste collaborazioni è stato quello di fondare una socie-tà con l’intento di poter proseguire un giorno con questa raccolta di dati. Abbiamo avuto subito l’ap-poggio dei due caporedattori, i pro-fessori Robert Matijašić e Miroslav Bertoša. Ecco, è stato questo il mo-vente che ci ha fatti nascere come società nel 2006.

Una società che intende ab-bracciare dunque tutte e tre le parti, quella italiana, quella croa-ta e quella slovena, e che è trilin-gue, o multilingue, come il terri-torio sul quale opera, aperta a tutti i ricercatori, e studiosi...

Sì, infatti quella delle tre lingue è una delle nostre prerogative, che manteniamo in tutti gli eventi e in tutte le nostre pubblicazioni. Anche i ricercatori provengono dalle va-rie parti dell’Istria. Il nostro inten-

to è proprio quello di unire sia tut-ti gli studiosi, ma anche le istituzio-ni. Ci siamo accorti che manca un collante tra di loro, soprattutto, da vent’anni a questa parte, tra l’Istria slovena e quella croata, c’è poco feeling. Ecco, noi abbiamo cercato anche di collegarle.

Com’è stata accolta la Società e la sua attività?

Penso bene. Siamo nati un po’ in sordina, senza pestare il callo a nessuno... Ci hanno lasciati fare e noi abbiamo applicato la politica dei piccoli passi. Non volevamo far subito faville, ma mettere delle so-lide basi e poi crescere lentamente. Penso che in questi 4-5 anni qual-che risultato lo abbiamo raggiunto. Ma penso che la nostra Società sia stata accolta bene, positivamente, anche per questo nostro carattere di apertura verso tutti e questa vo-lontà di cercare di collaborare con più persone e istituzioni possibili.

Quali sono stati i progetti più importanti fi nora promossi e in quali direzioni si intende proce-dere in futuro?

Innanzitutto siamo partiti in collaborazione con l’Università di Pola e con il convegno sul cen-simento del 1857, il primo censi-mento demografi co moderno, e sulla storia demografi ca della po-polazione dell’Istria. Proprio ora stiamo per pubblicarne gli atti, che usciranno fra qualche mese, for-se in primavera. Poi abbiamo fat-to qualcosa sulla famosa pietra di Carcase (Krkavče), nel retroterra di Capodistria. Il nostro presiden-te Matej Župančič, che è archeo-logo, ha studiato più anni questo segmento e ha riunito una decina di archeologi che hanno prodotto un fascicolo. Due anni fa abbiamo promosso un progetto sulla cultura sanitaria in Istria con una tavola rotonda di cui sono appena usciti gli atti curati da Ante Škrobonja, mentre lo scorso anno c’è stato il grosso progetto sulla Prima Espo-sizione Provinciale Istriana, di cui siamo stati tra i i promotori. Con-tinua, parallelamente, la raccolta di dati per il dizionario biografi co istriano, anche se un po’ stenta a decollare, un po’ per mancanza di risorse fi nanziarie.

A che punto si è arrivati con il dizionario biografi co istriano?

Il dizionario già per la sua natu-ra rappresenta un progetto a lungo termine e poi bisogna considerare che solo qualche anno fa è appun-to uscita l’Enciclopedia istriana ed era quindi improponibile procedere

in modo celere. Così abbiamo pen-sato di procedere per fascicoli, e anzi di muoverci per zone geografi -che. Ora stiamo soprattutto aggior-nando il lemmario e raccogliendo dati e bibliografi a utile poi per la stesura delle biografi e. Siamo giun-ti a circa 1200 personaggi solo per Capodistria. Speravamo di poter fare meglio, ma è mancato l’ap-poggio di alcune istituzioni locali,

soprattutto, che non ci hanno dato una mano così come speravamo.

In quale modo si fi nanzia la vostra Società?

Occorre premettere che il nostro è un lavoro volontario, tutti coloro che lavorano per la Società lo fan-no per l’appunto in modo volonta-rio, nel proprio tempo libero, per l’amore per la ricerca, per l’amore per l’Istria. Ci fi nanziamo quindi at-

tingendo a bandi pubblici, sporadi-ci, soprattutto. Qui devo riconoscere che ultimamente abbiamo ricevuto un grande sostegno da parte del Mi-nistero sloveno della Cultura: siamo riusciti a entrare nel piano di fi nan-ziamento triennale per il patrimonio culturale e quindi in un certo modo è stato valorizzato il nostro lavoro e impegno.

Sabato, 5 marzo 2011

Segue a pagina 8

la Società umanistica di storia, arte e cultura «Histria» di Capodistria, di cui è segretario

glia di unire le varie anime di una terra mplessa e multiforme

Dean Krmac “al lavoro” a Palazzo Manzioli (Isola)

4 storia e ricerca

tia e la morte, con la cristianizzazione vengono trasmesse, in forme modifi -cate, nel Medioevo.

Il rapporto della Chiesa nei con-fronti del Carnevale non è stato mai del tutto defi nito, né allora né oggi. Anche se possiamo trovare diversi esempi di divieto, scomunica o minacce di ro-ghi infernali ai peccatori che parteci-pano al Carnevale, la Chiesa non si è mai impegnata fi no in fondo per vieta-re tassativamente il Carnevale e la par-tecipazione a esso dei fedeli cristiani. Si è limitata ad ammonire e punire un comportamento troppo libertino e dis-soluto, sapendo che i fedeli più si sono sfogati durante il Carnevale, più rispet-teranno l’astinenza quaresimale.

Spesso incontriamo una divisione in “Carnevale di paese” e “Carnevale cittadino”. Mentre il primo è più pri-mitivo, primordiale, tribale e magico, il secondo è più raffi nato, compìto e critico. Le ultime ricerche etnologi-che e antropologiche rigettano questo tipo di divisione e individuano tutti gli elementi, seppure in proporzioni diverse, sia nelle aree rurali che nei centri urbani. Il Carnevale fi umano riesce in un certo senso a riunire tutti questi elementi, sia oggi, sia nel corso della sua lunga e ricca storia.

Pene severe nel XV-XVI secolo La prima menzione del Carnevale

a Fiume è in effetti... anticarnevalesca. Da uno scritto tratto dalla ricca raccol-ta di atti del notaio Francesco Antonio de Reno – originario di Modena, operò a Fiume dal 1436 al 1460 –, veniamo a sapere di pene molto rigorose per co-lori i quali si presentassero maschera-ti per le strade cittadine. Un approccio simile lo troviamo nello Statuto di Fiu-me del 1530: tutti quelli che masche-rati creavano disordini e buffonate per le strade, comportandosi in maniera disinibita, venivano colpiti da severe punizioni, addirittura con il taglio del-la mano. D’altra parte, le feste in ma-schera di cittadini illustri, dal compor-tamento educato, erano consentite. Nel XVI secolo, il parroco di Tersatto mi-nacciava con la scomunica tutti coloro che mascherati si burlavano dei sacer-doti, della Chiesa e dei valori cristiani.

Il secolo d’oroLa fi oritura del Carnevale fi umano

avviene nell’“epoca d’oro” della città, nella seconda metà del XIX secolo. Ai cittadini arricchiti piaceva esibire il proprio rango alle feste private nonché ai balli e pubblici intrattenimenti di un certo livello. Allo stesso tempo, anche i meno abbienti avevano l’opportunità di partecipare alle follie di Carnevale.

Sembra che la prima sfi lata di Carne-vale in Corso risalga agli anni Ottan-ta del XIX secolo e ne facevano par-te carrozze addobbate lussuosamente sulle quali viaggiavano, rigorosamen-te mascherati, i membri delle più illu-stri famiglie e associazioni di Fiume e dintorni. Questa tradizione è stata rispettata fi no all’inizio della Prima guerra mondiale, dopo di che c’è stata un’interruzione di quasi sette decenni.

InformatissimiI giornali fi umani annunciavano,

con dovizia di particolari, gli eventi carnevaleschi, dei quali poi riporta-vano regolarmente la cronaca. Dia-mo, allora, una sbirciatina alle feste in maschera degli anni Ottanta del XIX secolo leggendo le notizie pub-blicate da due testate fi umane del-l’epoca: La varietà (quotidiano dai contenuti “leggeri”, uscito dal 1882 al 1896) e La Voce del Popolo (il pri-mo numero è uscito dalle stampe il 3 novembre del 1889).

Nel gennaio del 1884, La varietà si rivolge direttamente alla gioventù fi umana: “È giunto il principe Carne-vale... Su, su, adunque gioventù lieta e beata d’ambo i sessi, preparatevi a dimenar le gambe, mangiate, bevete,

divertitevi, fate all’amore, è il vostro tempo. Il Carnevale è venuto – appro-fi ttatene e che il cielo vi liberi dal vino acido, dai capponi malcotti, e dall’am-plesso delle brutte”.

Una festa democraticaIl Carnevale è per tutti, e ne gioi-

scono ugualmente “la vezzosa dami-na” e “la povera servetta”, i poveri forse ancor di più, in quanto i ricchi e nobili sono contratti a causa del peso dell’etichetta. Comunque sia, nelle settimane a venire tutti saran-no dominati da Tersicore, musa della danza, che ha spiegato le proprie ali sulla città. “Le sarte non hanno quasi tempo di preparare i vestiti alle loro clienti, la vetrine dei negozi al Corso mettono in vista dei vestiti elegantis-simi: rosa, bianchi, celesti...”, come riporta La Voce del 24 gennaio 1890.

Cavalchine, veglioni, balli

Gli intrattenimenti danzanti, de-nominati “cavalchine mascherate” e

“veglioni mascherati”, si tenevano ovunque ed erano molto frequenta-ti. Si ballava dalla prima serata fi no alle quattro del mattino, ed è stato annotato che alcuni dei più assidui danzatori si divertivano fi no alle sei del mattino. I balli più popolari erano quelli che si svolgevano all’albergo Deak, nella Sala Armonia e all’ho-tel Continental, ma nelle cronache

dell’epoca troviamo anche i seguen-ti luoghi: Casino patriottico, Società fi larmonico-drammatica e Società degli artieri. Erano consueti anche i balli pomeridiani negli alberghi ab-baziani, che i fi umani raggiungeva-no in nave.

E i costi...I differenti prezzi dei biglietti sta-

vano a indicare che i ricchi evitavano anche durante il Carnevale di mesco-larsi con la “plebe”. La più accessibile era la Sala Armonia, dove gli uomini pagavano 40 e le donne 20 soldini per l’ingresso. Al “Continental” si paga-va alla stessa maniera, 60 e 30 soldi-ni. All’albergo “Deak” il biglietto co-stava un fi orino, mentre per il ballo al teatro bisognava sborsare due fi orini. Lo stesso discorso valeva per i prez-zi e l’offerta delle bibite: dalla birra a buon prezzo alla Sala Armonia allo spumante e al ponce al teatro oppure all’hotel “Deak”. Anche i cronisti del-l’epoca manifestavano una certa qual dose di arroganza e supponenza nei confronti del ballo popolare alla Sala

Armonia, in via Dolac: “... la sala Ar-monia, dove il popolino va a isbizzar-rirsi, aveva l’aspetto d’una bolgia dan-tesca dove una immensa quantità di donne e di uomini pigiati come sardel-le in un barile, in mezzo ad un’afa sof-focante cercavano divertimento in un simulacro di ballo perché ballo non si poteva certo chiamare quello spinger-si e camminare a balzi...” (La varie-

tà, 1887). Le grandi resse non erano rare nemmeno all’hotel “Deak”, tan-to che agli inizi di febbraio del 1890, nella sala si stiparono addirittura 700 persone, che non potevano nemmeno muoversi, dove poi danzare (La Voce, 4 febbraio 1890).

A Sušak, il nuovissimo “Hotel Continental”, costruito nel 1888, at-tirava per l’eleganza e l’originalità dei suoi interni, e un’attrattiva par-ticolare era rappresentata dal Giar-dino d’inverno “composto di pian-te esotiche di serra, da oleandri e da piante indigene”, come scriveva La Voce del 1890, aggiungendo che il giardino “aveva un aspetto romanti-co, tutto adorno di palloncini”. Una scenografi a perfetta per un ballo di Carnevale!

Carattere umanitarioIl ballo, però, al quale tutti avreb-

bero voluto partecipare era quello organizzato nel teatro cittadino. La gioventù in maschera sul podio e le dame eleganti nelle logge rappresen-tavano il massimo della raffi natezza.

I balli avevano sempre un carattere umanitario e parte degli incassi de-rivanti dalla vendita dei biglietti ve-niva devoluta a favore di orfanotrofi , ospedali e ospizi. Solitamente si te-nevano quattro balli all’anno, e l’api-ce era rappresentato dalla “festa dei fi ori”, che si teneva l’ultimo martedì di Carnevale e alla quale era presente tutta la nobiltà austriaca e ungherese che soggiornava ad Abbazia, per cui tutto luccicava di perle, gioielli e piu-me. Quanto fosse grande l’interesse per i balli in teatro, lo si può dedur-re dalle numerose lettere che i fi uma-ni preoccupati spedivano quotidia-namente alla redazione de La Voce del Popolo agli inizi del 1890. Per-ché non ci sono ancora gli annunci, e siamo già a fi ne gennaio? È vero che il teatro ha un contratto con la Città in base al quale è tenuto a organiz-zare quattro balli di Carnevale all’an-no? Non toglieteci l’unico vero ballo in città!

Musica allegra e di qualità

La cosa più importante ai balli era poter contare su una musica di qualità e piena di allegria, per cui tutti gli or-ganizzatori ci tenevano a sottolineare la bravura eccelsa proprio dell’orche-stra da loro prescelta, annunciando esecuzioni in anteprima e la parteci-pazione di cantanti rinomati. Con la musica si spaziava dalle più classiche arie operistiche alle danze popolari, ed è interessante osservare che spes-so venivano eseguite anche canzo-ni croate. All’hotel “Deak” suonava l’orchestra del reggimento Jallačić N. 79, alla Sala Armonia una parte dei componenti della musica cittadina, mentre al Continental la “banda mili-tare” composta da 16 suonatori.

Amori e sessualitàI vari resoconti e articoli lascia-

vano intendere che la sfrenatezza era piuttosto grande, specialmente tra i più giovani, sia tra i ragazzi che tra le ragazze. Sembrava che l’amore e la sessualità fossero le caratteristiche più marcate del Carnevale fi umano. Tutto inizia, naturalmente, con i co-stumi provocanti.

In merito alle maschere al ballo nell’hotel “Deak”, sulle pagine de La varietà del 1886 leggiamo: “Fra le maschere notammo un Faust spet-tacoloso dalle forme pronunciatissi-me, anzi fi n troppo pronunciate – un jockey semplice ma elegante che la-sciava vedere un pajo di piedini ben calzati e speronati e due fi nissime ca-viglie, e dai cui occhi scattavano dei lampi, una contadinella fresca, rosea, con un seno voluttuosissimo che tra-spirava dalla candida camicia di piz-

zo, una lunga zingara, una ballerina dalla gonnella di raso roseo, dalle carni rosee e dai denti bianchissimi d’avorio, una venditrice di fi ori... le cavalchine dell’Hotel Deak sono il tempio dei fugaci amori, e l’Adamo vi ci trova facilmente la sua Eva”. Le ragazze e le donne sono al centro del-l’attenzione, probabilmente perché tutti i cronisti erano... uomini.

Per tutti i gustiUn’ampia scelta di bellezza fem-

minile veniva offerta nuovamente dai balli all’hotel “Deak” nel 1886. L’estasiato giornalista de La varietà descrisse così questa opulenza: “Ce n’è per tutti i gusti – ragazze alte e snelle, ragazze fresche e rosee, mor-bide come un pan di Spagna e gras-se come un’oca ripiena. Capigliature bionde, castane, nere – occhi cerulei come la volta del cielo o neri e im-perscrutabili come l’abisso, spalle e braccia alabastrine, seni ricolmi, pie-dini e anche piedoni, caviglie fi nissi-me, polpacci ben disegnati, manine bianche e morbide ed anche mani un po’ ruvide che accennano alla con-suetudine del lavoro...”. C’erano qui belle montenegrine, greche, indiane, dame vestite da notte stellata, balleri-ne, Naiadi e ninfe. I cuori dei giovani fremevano e sussultavano per la bra-mosia d’amore, ma nemmeno quelli un po’ più anziani rimanevano indif-ferenti dinanzi a queste sfi de. “Dal-la danza sbocciano gli amori come i fi ori in primavera”, scriveva La Voce nel 1890.

Ne gioivano di più le donne

Il Carnevale dell’epoca, ma anche in generale, portava più gioia ed emo-zioni alle donne che non agli uomini. Era questo l’unico periodo dell’an-no in cui le donne avevano un ruo-lo più importante rispetto agli uomi-ni. Le loro competizioni di bellezza, lo splendore degli abiti, l’originalità delle maschere mettevano completa-mente in ombra il... sesso forte. “Il carnovale senza la donna non avreb-be alcuna ragione di essere, ed è con-sono quindi alle norme più elementa-ri della giustizia, che la femminilità la quale è l’anima del carnovale, abbia a cogliere dello stesso i frutti migliori”, leggiamo su La Voce del 10 febbraio 1890. ll giornalista, però, si lamenta del ruolo degli uomini ai balli di Car-nevale: “Qual è il compito... di noi uo-mini durante il periodo carnevalesco? Domiciliarci nel più ridicolo degli in-dumenti, il frak, sgambettare da una parte e dall’altra ai balli... fare un boc-concino di corte ad un astro, ad una fi amma che ci vediamo contesa da mille concorrenti, e... basta”.

La tradizione di premiare i costumi più belli e originali veniva mantenuta specialmente ai balli all’hotel “Deak”. I premi erano ricchi e venivano an-nunciati in anticipo, nonché esibiti in Corso: monete d’oro, raffi nati vasi in porcellana e cristallo, enormi maz-zi di fi ori esotici, anelli d’oro, orologi con brillanti, ventagli dipinti a mano... Capitava spesso che alle ragazze par-ticolarmente belle giungesse anche un prezioso regalo da parte di ignoti ammiratori. All’ingresso, alle donne veniva consegnato cavallerescamen-te un piccolo mazzo di fi ori. Talvolta venivano organizzate anche lotterie, e i più fortunati all’hotel “Deak” po-tevano vincere monili d’oro, orologi da tasca, accessori per fumatori e al-tri oggetti eleganti, mentre alla Sala Armonia i premi erano rappresentati da krapfen.

Il «corso di carrozze»Attesissimo era il “corso di carroz-

ze”, che si teneva nel pomeriggio di martedì, ultimo giorno di Carnevale. Il 18 febbraio 1890, La Voce annun-ciava così questo evento ecceziona-le: “Sappiamo che le più cospicue famiglie di Fiume prenderanno parte a questa grande festa di sport carne-valesco. I saloni di fi ori lavorano con grande alacrità giorno e notte onde preparare i numerosi bouquets che fu-rono ordinati per questa occasione. Le offellerie pure preparano a tutta pos-sa i confetti, i coriandoli, il cui smer-cio oggi dovrà essere senza dubbio straordinario... Apprendiamo da fonte positiva che tutti, senza eccezione, gli ospiti di Abbazia verranno qui ad ac-crescere la maestosità di questa brio-sa festa. Tutte le carrozze di Abbazia, Volosca e Fiume sono occupate e già a quest’ora non se ne trova una neanche a pagarla un occhio della testa”.

Il giorno seguente, La Voce scri-veva, non senza rammarico e con una punta di delusione, che alla sfi lata hanno partecipato 65 carrozze, ma che mancavano la solita allegria e gioco-sità, perché molte famiglie hanno do-vuto rinunciare a causa dell’infl uen-za, che già da un po’ di tempo stava spadroneggiando in città. “Al diavolo l’infl uenza e viva il carnevale!”, con-cludeva La Voce.

Il primo giorno di Quaresima, il Mercoledì delle Ceneri, i fi umani usavano fare delle gite in periferia e a Tersatto: “I Fiumani abbandonarono a frotte, a litanie la città, la quale verso le 4 pom. pareva del tutto deserta. A Tersatto... a Cantrida, alla località det-ta Pilepich, a S. Anna, a Draga, a S. Cosmo, c’era gente di molta che ce-lebrava allegramente col bicchiere in mano la sepoltura del Carnovale e la venuta della magra Quaresima” (La varietà, 27 febbraio 1887).

Triste rientronella quotidianitàCol fi nire della quinta stagione, i

fi umani erano costretti, loro malgra-do, a ritornare alla quotidianità e al consueto grigiore. Il Carnevale del 1886 è stato, come quello attuale, particolarmente lungo. La varietà lo ha salutato con un “Mortus est”, la-mentando che “la Quaresima bronto-lona col suo mesto salmodiare, colla suo veste di cilicio, col capo cospar-so di cenere tronca le gioie ardenti del carnevale e fa sì che si dia bando alle follie... picchiamoci il petto, e faccia-mo giudizio, ammenoché non voglia-mo... far la vita medesima, tanto di carneval che di Quaresima”.

Cerchiamo, infi ne, di rispondere alle domande che ci siamo posti al-l’inizio. Le follie di Carnevale, sia ieri che oggi, hanno praticamente le me-desime caratteristiche. È vero, i balli erano più sfarzosi, le sfi late meno nu-merose ma più elitarie, i divari socia-li più marcati. Lo spirito del Carneva-le, però, rimane invariato e ci cattu-ra, oggi come ieri, alla stregua di un morbo o di un’epidemia, facendo di un signore un buffone di corte, di una dama distinta un’amante discinta. La febbre di Carnevale trae origine, oggi come ieri, dallo stesso anelito di cam-biamento, di fuggire almeno per un po’ da tutte le pastoie e limitazioni. Insomma, cerca di essere ciò che desi-deri invece di essere ciò che sei.

5Sabato, 5 marzo 2011 Sabato, 5 marzo 2011

TRADIZIONI Domani migliaia di persone sfi leranno per il Corso a Fiume. Ma qual era lo spirito originario?

Al diavolo l’infl uenza, evviva il CarnevaleDomani, quando migliaia di

persone mascherate sfi le-ranno a Fiume per il Corso

nell’ultima domenica di Carnevale, sapremo che la quotidianità, spes-so a tinte grigie, sarà stata un’altra volta sconfi tta dalla gioia del vivere senza freni. Vestiti e protetti da co-stumi e maschere, nonché da requi-siti di tutti i tipi, fi no a monumentali carri allegorici, riscaldati da quanti-tà più o meno abbondanti di alcol, scacceranno da sé tutte le disgrazie. Proviamo ora a immaginare come i fi umani trascorrevano le giornate di Carnevale negli anni ‘80 del XIX secolo. Lo vivevano come noi, a pieni polmoni?

Il Carnevale è la celebrazio-ne del travestimento e sembra che l’atto del mascherarsi, nel senso di “essere qualcun altro, oppure sem-plicemente diverso da quello che si è”, faccia parte della lotta perma-nente dell’uomo contro l’ingiusti-zia, la povertà, la malattia e la mor-te. Il Carnevale scaccia questo ter-ribile quartetto con la musica, con lo scampanio, la canzone e la dan-za, rivoltando il mondo e la vita alla rovescia, con la farsa e il grottesco. Il Carnevale è una di quei rari fe-nomeni universali, che con nomi e modi diversi si manifesta ovunque esistano comunità umane.

L’etimologia del termine “car-nevale” non è ancora del tutto chia-ra e sono due le interpretazioni più attendibili. La prima deriverebbe dall’espressione latina “carnem le-vare”, ossia “togliere la carne”, poi successivamente diventata “Carne, vale! ” (Carne, addio! ), a indicare il Mercoledì delle Ceneri e l’annun-cio del divieto di mangiare carne in tempo di Quaresima. La seconda interpretazione, invece, si richiama al latino “carrus navalis”, ovvero “nave sulle ruote”, con riferimento a tutta la vasta mitologia che utiliz-za la nave e il carro come simboli di morte, dall’evidente funzione di indicare il trasporto delle anime dei morti nell’aldilà. Fin dall’antichità le navi su ruote erano presenti nel-le festività religiose e le ritroviamo nelle numerose sfi late di Carnevale nell’Italia rinascimentale.

Alle radiciLe origini del Carnevale affon-

dano le proprie radici nei primi riti religiosi e magici. Le antiche festi-vità (Feste di Diòniso, Saturnali, Lupercali...) con le quali si celebra-vano la fi ne dell’inverno e il risve-glio della natura, la propiziazione e il rinnovamento della fecondità, e con le quali si scacciavno la malat-

di Daniela Jugo Superina

Il Corso in un disegno su “La varietà”, 1887

Il “Corso di carrozze” agli inizi del XX secolo

Un annuncio su La voce del popolo del 1890

“NAVE SU RUOTE” - carro allegorico usato nelle sfi late di carnevale fi n dall’antichità

L’hotel “Deak” (oggi Casa dei Sindacati), luogo di svolgimento di sfarzosi balli di Carnevale

La proposta per un costume da donna - la

rondinella

La storia del “Continental” iniziò nel lontano 1888: i balli di Carnevale vi si svolgevano nel giardino d’inverno L’hotel “Deak” era un luogo d’appuntamento importante per la Fiume di fi ne XIX secolo

La “plebe” si divertiva alla Sala Armonia, nell’attuale via Dolac

In principio fu il divieto. Pene rigorose, persino il taglio della mano per chi faceva buffonate in maschera; poi prevalse la voglia di divertirsi e a metà ’800 ci fu quasi una specie di belle époque. La Grande Guerra spazzò via tutto e per 70 anni ci fu l’oblio

6 storia e ricerca

siano applicate al Commun di Ven.a, et all’Accusator, per il qual s’averà la verità per mettà, et se non avesse onde pagar deb-bia star per un giorno in berlina, et cad.no possi accusar, et l’ac-cusator sii tenuto secreto.

Con le parol(acc)e che si sento-no oggigiorno per strada, le casse comunali potrebbero diventare una solida banda e concedere crediti. Chi non si accontenta di scherzare con i fanti, ma se la prende anche con i santi, dovrà pagare multa, e anche salata. Ci guadagneranno, oltre alle casse comunali, anche le tasche dell’”accusator”, ovvero di chi denuncia. Che resterà anoni-mo, almeno all’opinione pubblica. Insomma, allora come ora, ad aver pestato i calli a qualcuno, sarebbe-ro stati dolori. E allora come ora (o forse è prorpio il contrario), in mancanzua di pecunia, l’alternati-va alla multa era la poco piacevo-le berlina.

Delle parole ingiuriose

S’alcuno dirà ad un altro villa-nia, cioè ladro, assassin, depreda-tor, pergiuro, infame, traditor, in-fedele, mentirse per la gola, et si-mili altre cose con animo d’ingiu-riar, overo ad alcuna Donna dir Puttana, ladra, imbriaca, overo altra vilania, se quello dirà le vil-lanie non potrà provar le villanie per esso ditte, et supra esser vere, sia obbligato, et debbia smentirse per la gola di quelle cose le qua-li avrà dette davanti il Reggim.to, et popolo di Dignano, et appresso paghi al Commun L.5 de’ piccoli.

Chiaro, no? Si può dire “ladro” a condizione che si possa dimo-strare... la condizione. Altrimenti saranno pubbliche scuse e multa. L’offeso avrà le scuse, il Comu-ne i soldi. Ladri! Oooops! Scusa-te. Ma se ci date un po’ di tempo, saremo in grado di trovare villania non prevista.

De omicidiiStatuimo, et ordinemo che s’al-

cuna persona, così Uomo, come Donna avrà ammazzato alcuna persona nel Castello di Dignano overo nel suo Destretto, sia taglia-to al Delinquente la testa, talchè sia separata dal fusto, et muora, et tal omicida non si potesse pi-gliar, et personalm.te punir, allora sia condannato, et messo in ban-do, et se per alcun tempo venisse nelle forze del Regim.to di Digna-no gli sia tagliata la testa, come di sopra.

Non se ne esce. Chi ha preso l’altrui vita dovrà rinuncire alla propria. Provvederà il boia a stac-care la testa dal corpo. Scappare, in questo caso, non signifi ca aver salva la vita, signifi ca solo riman-dare l’appuntamento con la scure. Come dire, se ti prendo sei fi nito.

Di quelli che faranno fatture, et sortileggi

Item volemo che s’alcuna per-sona farà alcuna strigaria, overo cosa mala, over alcun altra cosa mediante la quale facesse ch’una persona avesse un’altra in odio, over che l’amasse oltre il soli-to sia bollata in fronte, et in viso d’una bolla di ferro ardente, et perpetuam.te sia bandito del Ca-stello di Dignano, et del suo de-stretto.

Professione: strega. Non con-viene. Vabbè che si evita il boia, ma a dover girare per il mondo (ri-stretto dell’epoca) con un bel tim-bro in fronte e uno in viso a con ferma del peccato, si fa fatica a trovare un domicilio. Allora quel-la della strega che vive in un fi t-to bosco, sola in una catapecchia tra mille pentoloni non è solo fi aba spaventa bambini.

Basta una legge per garanti-re tranquillità e sicurezza? Certa-mente no. Erano tempi turbolenti, fuori le porte come dentro Digna-no. La giustizia spesso sarà sta-ta ingiustizia. E bisogna dire che

PATRIMONIO Il documento nella ristampa voluta dalla Città

Statuto di Dignano, 1492Correva l’anno del Signore

1492. Cristoforo Colom-bo (rin)cor-reva sul mare

il suo sogno: raggiungere le In-die procedendo verso Ovest e solo verso Ovest. Non capì l’impor-tanza dello storico inciampo nel-l’America.

Il Vecchio Mondo incontrava il Nuovo Mondo; il Medio Evo lasciava senza inchini aprendo all’Era Moderna. Anche Digna-no, nel suo piccolo, nell’anno che avrebbe segnato la Grande storia, stava voltando pagina.

La vita, all’epoca, scorreva attorno alla chiesa di San Gia-como delle Trisiere, allora come ora nel cuore antico della loca-lità. E nella chiesa di San Gia-como i Savii legiferarono lavo-rando di taglio e cucito sullo sta-tuto vecchio per ottenerne uno nuovo, rivisto e rivisitato, più al passo con i tempi.

Quali mali affl iggevano la società del tempo? Che cosa an-dava regolato? Ecco un assag-gio (ma proprio piccolo piccolo) delle disposizioni.

Delle Ferie da esser osservade

Statuimo delle Ferie da es-ser osservade che quindeci giorni avanti, et quindeci dop-po la Festa della Natività di N.ro Sig.r Gesù Cristo, giorni otto avanti, et giorni otto da-poi la Festa della Ressurez.n d’esso N.ro Sig.r et tutto il mese di Giug.o se abbino per le Fe-rie; tamen in ogni tempo cad.no possi dimandar il premio delle sue fatiche, et il pagam.to di mangiar, et bere non ostante le Ferie soprad.te.

Dalla parte di chi lavora. Nel 1492. Nel 2011, sembra, un po’ meno. Comunque, ferie e feste comandate e, quel che più con-ta “pagate”. Liberi di chiedere il “premio delle fatiche” (oggi si dice stipendio), e il pagamento di mangiare e bere. (Qualcuno ricorda ancora i buoni merenda integrativi dello stipendio?)

Di quelli bestemiarono Dio, over li SantiOrdinemo che s’alcuna

persona da qui indietro beste-miarà, overo vitupererà l’On-nipotente Iddio, et la sua glo-riosa Vergine Maria paghi L. 10 de’ piccoli, et se il beste-miarà l’Evangelista Prottetor N.ro S. Marco L. 5 de’ pic.li, et s’il bestemiarà, overo vitu-pererà alcun altro santo, over santa di Dio paghi L. 3 de’ p.li per cad.na volta le qual pene

di Carla Rotta

Sabato, 5 marzo 2011

Sfogliando questa nos

In nominGiustizia nel nome del Signo-

re. In nomine Christi. (Amen). E giustizia a tutti i costi. Fiat

jus et pereat mundus. Iniziava così lo statuto, invocando una giustizia al di sopra di tutto, fatta in nome del Su-premo Ente, perché le punizioni o le assoluzioni andavano oltre le umane cose. Ma a volte non bastava rimet-tersi alla giustizia divina, quella che sarebbe arrivata con il Dies irae: bi-sognava pur funzionare e bisognava pur in qualche modo indirizzare al buon comportamento e alle regole. Che cosa voleva, insomma, questa Magna Charta dell’onnicomprensi-vo vivere a Dignano? Voleva di tut-to un po’. Non lo diciamo per irrive-renza. Abituati come siamo a doverci richiamare ad un sacco e una sporta di leggi (non da ultima quella sullo standard della marmellata di pesche, prugne, mirtilli o mista che sia), con lo Statuto di Dignano (ma il discorso vale assolutamente per tutti gli statuti medievali) ci ritroviamo in mano tut-to quello che oggi necessita del sacco e della sporta che dicevamo. Lo Sta-tuto è codice civile, penale, ammini-strativo, di procedura (sia civile che penale), matrimoniale, di diritti rea-li... insomma, tutto quello che... Non nella divisione, diciamo, moderna del diritto, ma pur sempre un documento ordinato, pulito nella sua (per quanto primordiale) struttura. E quindi, dalla necessità di apportare il documento, alle disposizioni di materia, a quelle transitorie. Il percorso umano e scien-tifi co avrebbe poi setacciato liberan-do la materia dalla pula, eppure, ci siamo. Lo Statuto è per l’epoca nel-

È stato un percorso lungo anni, però Dignano, grazie alla

Municipalità ha avuto la ristam-pa dello Statuto del 1492. A scan-so di equivoci, si tratta della ri-stampa della trascrizione, perché l’antico documento, datato 1492, non si trova più. Hans Folnesics, storico d’arte austriaco, ave-va avuto modo di tenere tra le mani e sfoglia-re lo Statuto del 1492, re-datto all’epoca in cui era doge Agostino Bar-barigo (1486-1501).

Il documento veniva cu-

stodito nella cassa del Co-mune a Digna-no. Da quanto è dato sapere, c’era ancora nel 1935 e la confer-ma arriva da Antonio Santangelo ne “Inventario degli oggetti d’arte d’Italia, V. Provincia di Pola. Con buona probabilità il documento si è involato verso la fi ne degli anni Quaranta o all’inizio degli anni Cinquanta. Peccato.

Stando a Folnesics lo Statuto era scritto in lingua latina, a ca-ratteri gotici corsivi, iniziali on-ciali in inchiostro rosso o blu; settanta fogli delle dimensioni 29,5 X 21,2; decorato con alcu-ne miniature ed iniziali. Titoli in corsivo maiuscolo, con caratteri di colore nero e numeri romani rossi. All’inizio di ogni capitolo c’era la lettera C (Caput) scritta alternativamente in rosso e blu. Sull’ottavo foglio c’era una mi-niatura incorniciata in oro, raf-fi gurante un leone con il libro aperto (emblema di San Marco e

della Serenissima). Sotto di esso lo stemma della famiglia Barba-rigo. Sul nono foglio c’erano una grande iniziale T e l’immagine di S. Lorenzo, riprodotta a colo-ri e dorata. All’inizio della pagi-na 11 c’era l’iniziale I di colore verde, seguita dal testo scritto a

caratteri ros-si: In nomine domini Jesu: Incipit primus liber Statuto-rum Comunis Adignan.

Sono giun-te ai giorni nostri otto tra-scrizioni, che vengono con-servate all’Ar-chivio di Stato di Trieste – Bi-blioteca – Cor-te d’appello; alla Biblioteca Civica “Atti-

lio Hortis” – Archivio diploma-tico, Trieste; alla Biblioteca del Museo Correr – Venezia; alla Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini” – Roma, all’Archivio di Stato di Pisino (3) e al Museo Civico della Città di Rovigno.

Per la ristampa è stata scelta la copia custodita presso la Biblio-teca civica di Trieste. Il grosso li-bro che ne è scaturito, oltre alla ristampa del documento riporta la trascrizione dei testi e la tradu-zione in croato. È corredato da un CD contenente gli statuti.

La ristampa dello Statuto è accompagnata da interessan-ti studi introduttivi ed esplicati-vi a fi rma di Nella Lonza, Jakov Jelinčić, Miroslav Bertoša. La presentazione dell’opera è av-venuta il 10 agosto dello scorso anno, nella Giornata della Città, in piazza del Popolo.

i tempi, nonostante tutto, non sono poi così cambiati. Ma al di là di questi esmpi, diciamo, cu-riosi che abbiamo citato, lo Sta-tuto merita una lettura al micro-scopio: non parla solo di legge, parla anche di quei fi tti rapporti che fanno la società e le istitu-zioni ed allora le chiavi di lettu-ra possono e probabilmente de-vono essere molteplici.

storia e ricerca 7

la quale è stato approvato un docu-mento indubbiamente moderno. Lo potremmo defi nire all’avanguardia. Ne conveniamo, alcuni reati (par-liamo di stregonerie e affi ni) hanno ben poco di avanguardia. Ma siamo nell’anno che siamo, e con il senno di poi è facile essere furbi, pratici e lungimiranti. Ecco di che cosa trat-ta, tra due sole copertine, la legisla-zione dell’epoca.

Libro PrimoProemio; Eleccion de giudici;

Sindici di Commun; Del fontica-ro di Commun d’esser eletto; Del Cassier del Commun d’esser eletto; Del sagrestan de San Biasio d’esser eletto; Elezion de stimadori; Delli giustizieri; Di quelli ch’esser puo-no del Consiglio; Che non si possa tor pegno del mercenario; Che non si possa desviar li famegli; Che niu-no ardisca desviar alcun fameglio; Che non se possa impegnorar sen-za licenza del signor podestà; Quel-li che si maritaranno siano a frà e suor; Che alcuna division ovver as-signazion dei beni non sii fatta tra il marito et la moglie; Che la moglie sia tenuta alli debiti del marito; Che la donna maritata e consentiente il marito non possa alcun ben alie-nar eccetto sotto certa forma; Che il contratto tra il marito e la moglie sia nullo; Che li forestieri che ve-niranno ad abitar in Dignano sia-no esenti per un anno; Dalle robbe dè non esser comprate che in piazza commune; Di quelli che estirparan-no la via pubblica over consortio; Di quelli manderanno tramessi; Di quelli che s’intrometteranno ove-ro usurparanno del territorio del Commun; Dell’alienazion del ter-ritorio di Commun et altri patroni senza licenza non valida; Di quel-li che buttaranno acqua over spor-chezza sopra alcuna stradda; Che non se possa buttar ledame over al-tra sporchezza nelle vie pubbliche; Che li osti non debbano dar vin in credenza alli fi gliuoli di famiglia; Del prezzo del vin e delle carni nelle franchisie; Degli operari che prometteranno andar in lavor; Di quelli che toranno denari ad impre-stido per causa d’opera; Delli ope-rari dimandanti il prezzo frà certo termine; Che tutti quelli averanno stanzia facciano le angarie; Che quelli si partiranno facciano i suoi proclami; Del fi gliuolo in podestà

del padre costituito; Che siano elet-ti due avvocati di Commun; Che al-cun prete non possa esser avvoca-to; Di non comprar beni delle chie-se; Delle ragion da mostrarsi dai gastaldi delle chiese; Delle robbe robade e vendude, se debbano re-cuperarsi; Del far rason ai forestieri; Del prez-zo delle carni cotte; Che le carni d’agnelli non si vendano che a un soldo alla libbra; Che li debito-ri del Commun non pos-sano comprar datii; Del-li famigli che scamperan-no; Del peso del pan che si vende; Come si paghi-no li dacii al Serenissimo Dominio.

Libro SecondoDel modo di citar al-

cuno in giudicio; Che niun marito risponda in rason senza procura del-la moglie trattandosi del suo interesse; Dei testi-moni dà esser tolti et esa-minati; Dei testimoni per rigor del signor podestà esser astretti; De admeter la probazion del proban-te; De ricorrer al posses-so; Delli morienti senza testamento e con fi glioli; Delli morienti intestati e senza discendenti; Delli beni lasciati in tempo da non esser galdesti; Delli morienti senza testamen-to e senza eredi; Delle prescrizion delle cose immobili; Della stessa prescrizione; Delle prescrizion delle cose mobili; Di quelli che saranno obbligati in solidum; Che li credi-tori prima astringhino li principali; Di quelli che averanno venduti tut-ti i suoi beni; Delli testamenti che saranno fatti; Dei legati fatti dalli genitori non dicendo per contento e benedizion; Della dispensazion di esser fatta per li commissarii de’ legati fatti per li testatori; Delli tu-tori de’ pupilli; Di quelli averanno alcuna cosa dà partir; Che a quello non averà la via la ghe sia dada; Di quelli averanno una parte minima in una possession; Di quelli averanno via per la possession d’altri; Del de-bito qui fatto dà esser pagato; Del-li contraenti mercato di quelunque cosa mobile; Delle ferie dà esser

osservade; Che non siano admessi testimoni sopra morti; Che quello soccomberà in causa soccomba nel-le spese; Che il caminar d’una per-sona non debba pregiudicar a quel-lo possedesse; De’ compromessi dà esser fatti trà li parenti.

Libro TerzoDelle alienazioni delle cose sta-

bili e loro recupero; D’una robba obbligata ad un altro da non esser venduta; Delle cose communemen-te possesse da esser partite; Delli beni acquistati tra fratelli da esser communemente divisi; Delli beni de’ debitori da esser intromessi, incantati e poi venduti; Della pre-scrizion dell’instrumento di debi-to per anni dieci; Delle vendizion delle proprietà; Ch’il patron della proprietà possa ricuperar la cosa a se respondente; De vendenti la pos-session per la qual si paga; Dell’af-fi tto delle case; Delle dasion; Che il conduttor della dasion sia tenuto mostrar al suo patron le possession delle dasion; Del successor d’alcu-no d’esser condannato a pagar la

Sabato, 5 marzo 2011

stra Magna Charta, un documento indubbiamente moderno per l’epoca in cui fu approvato

ne Christi...Staptuimo et ordinemo che...

Saggezza, ci vuole quella dei... SaviiDignano, dunque, uno Statuto suo già

ce l’aveva. Quello datato 1492 è pra-ticamente il testo con le relative modifi che

e aggiunte, resesi necessarie perché sono cambiati i costumi, le necessità, la società. Si sa: se la legge non lo prevede non è rea-to, se la legge non prevede l’arbitrarietà la fa da padrona. Ed allora il Consiglio vuo-le modifi care il documento, aggiornando-lo. Incaricherà 23 savii (saggi). Investi-ti dell’importante compito, chissà quante volte avranno scavato nell’anima del luo-go per arrivare al testo fi nale dello Statu-to. Comunque, un giorno, in San Giaco-mo, In nomine Christi, portarono a termi-ne il lavoro. E come succede oggi, per il sì al nuovo documento, cessava di esistere quello precedente. Ne conferma l’esisten-za lo Statuto del 1492, nel Proemio e nelle disposizioni fi nali, manca, purtroppo, nel-la forma cartacea.

Dice lo Statuto, “Nel tempo della felice età primiera p(er) un certo natural istinto li uomini si astenivano dalli vizi, et imi-tavano le virtù. Di più per certa malignan-tia del gener umano alla giornata furono mutate le condiz.ni de’ tempi, cioè la vir-tù in malicia, e li costumi voltati in vitii (...) e vedendo che questo feliciss.mo loco di Dignan era governato d’alcune imper-

tinenti, et corrotte Leggi talchè veram.te se poteva dir esso loco al tutto mancar de Legge, et vigilando alle cose comode del loco, et de abbitanti di quello alla cura sua comessi son la sua solita delogenza, et af-fetto paterno del Conseglio Maggior di uomini di Dignano convensentem.te, et comandam.te hanno proposto alli astan-ti persuadendoli a far le cose infrascritte. (…) Il qual Conseglio... ha ordinato far... eleggendo et deputando savii (…) che di-ligentemente et fedelmente esaminassero il volume vechio di Statuti di Dignan et che removessero le cose superfl ue d’es-so, a quella mancassero supplissero, le corrotte correggessero, le utili compro-bassero, le additioni aggiungiessero et fi -nalmente facessero novi Statuti (…) Li savii sono veramente questi: Domenigo dè Topho, Michiel dè Lio, Bortolelo dè Macario, Antonichio dè Domenigo, Anto-nio D’Honorà, Giacomo dè Nadal, Toffo Tromba, Lorenzo Tulissa, Antonio dè Ma-cario, Martin Bonassin, Antonio Malusà, Damian Cessigna, Antonio dè Fin, Dome-nigo Spelà, Antonio dè Damian, Nicolò dè Rottia, Domenigo Trombolin, Andrea et

Biasio Tromba, Lorenzo Cissigna, Mattio dè Bettol, Lunardo dè Marco, Domenigo Cerlotto.”

Alcuni cognomi sono giunti fi no ad oggi: Donorà, Bonassin, Malusà, Damia-ni, Rotta, Cerlon...

dasion consueta; Delle parti da es-ser astrette mostrar li suoi instru-menti avanti che sia fatta la mo-strantia; Se saranno più confratelli obbligati a una dasion; Se saran-no più confratelli creditori; Che il confratello maggior non possi tor

pena alli minori confra-telli; Se alcun confratel-lo volesse refutar le pos-session della dasion; Se alcuno vorrà vender la parte della sua dasion sia tenuto avisar il pa-tron; Dè uno che de-fraudasse over negasse la dasion; Della dasion da non esser dimanda-ta dà cinque anni in sù; A che tempo si paghino le dasion; Della refuta-zion della dasion; Della richiesta del conduttor da esser fatta al patron della dasion; Della mo-strancia dà esser fatta ut supra; Che la pos-session refutata sia me-liorata non deteriorata; Di quello che s’averà intromesso nella posses-sion dopo che sarà stata refutata; Delle soccede delle bestie bovine; Del medesimo; Delle soc-cede delle pecore; Del medesimo; Del danno dato cogl’animali; Del-la pena di quelli divide-ranno il pegno; Di quel-li faranno danni con la

persona in orti e vigne; Di quelli faranno danni con bestie; Di quelli che vorranno accusar; De’ pomi e frutti che cascheranno in un terren d’un altro; Di quelli che tagliasse-ro arbori fruttiferi e non fruttiferi; Delle terre dà non esser alienate; Delle bestie dà non esser alienate senza licenza del padron; Di quel-lo al qual si deve alcuna cosa per rason d’affi tto overdasion, sia pre-ferito alli altri creditori; De non comprar alcun debito dà alcun forestier; Delle cession che non si possino tor dalli forestieri.

Libro QuartoDi quelli bestemiaranno Dio et

i santi; Dei nodari che faranno in-strumenti falsi; Di quelli che faces-sero far un instrumento falso; Di quelli che producessero un instru-

mento falso; Dei testimonii falsi e dei producenti quelli; Delle parole ingiuriose; D’una femina di cattiva fama che ingiuriasse una femina di buona fama; Di quelli che concite-ranno alcuno alla prova; Dell’in-sulto con arme e senz’arme fatto; Dell’insulto fatto nella propria casa dà un altro; Della botta fatta con sangue e senza sangue; Del-le pene le quali si dopiano; Delli omicidi; Di quelli che faranno fug-gire li detegnudi dal reggimento; Del medesimo; Di quelli che fa-ranno fuggir li carcerati; Di quel-li che vergognaranno vergini don-zelle; Di quelli che vergognaranno una maritata ò vedova; Li rapito-ri delle donne e la pena di quelli; Di quelli che daranno venefi ci; Di quelli che faranno fatture e sortile-gi; Di quelli che brusaranno stan-ze d’altri; Degl’animali che saran-no ammazzati; Di quelli che rob-baranno la robba d’altri; Di quelli che leveranno agl’altri il cappello; Che non si possa di notte vender vino in osteria; Di dover aver giu-ste misure; Di quelli che daranno manco peso over misura; Di quel-li che venderanno carne mortesi-ne; Di quelli che venderanno due carni insieme pesate; Di non ven-der una carne per un’altra; Che le carni siano vendute stimate et non altrimenti; Di correr all’arma et al fuogo; Delle robbe tolte al tem-po del fuoco, che s’abbino à resti-tuir; Di non correr à rumor; Che le code dè cavalli non siano spelate; Che non si possa vender vino avan-ti messa la festa; De quelli si faces-sero rason da sua posta con alcuna persona; Che le botteghe stiino se-rate nelli giorni festivi; Del giuoco delli dai; Che non si possi portar arme per Dignano; Che li taverne-ri non debbino dar vin in credenza per più de’ lire cinque de’ piccoli; Che li animali non possino entrar nelli cemiteri; Che nelle chiese non sia commessa alcuna cosa contra-ria; Di quelli che despastureranno anemali; Che non si possino caval-car cavalli d’altri; Che li animali non siino venduti over defraudati; De’ salteri; A che modo s’intendi il Statuto; Che le parti dà qui inan-ti prese nel Conseglio siano fer-me; Che dove mancano li Statuti si debba ricorrer alle leggi di Vene-zia; Che il vecchio Statuto riman-ghi nullo.

8 storia e ricerca

“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol SuperinaIN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: STORIA E RICERCARedattore esecutivo: Ilaria Rocchi / Impaginazione: Vanja DubravčićCollaboratori: Daniela Jugo Superina, Kristjan Knez, Gianfranco Miksa, Carla RottaFoto: Ivor Hreljanović, Società umanistica di storia, arte e cultura “Histria” e Ivo Vidotto

Anno VII / n. 52 del 5 marzo 2011

La pubblicazione del presente supplemento, sostenuta dall’Unione Italiana di Fiume / Capodistria e dall’Università Popolare di Trieste, viene supportata dal Governo italiano all’interno del progetto EDITPIÙ in esecuzione della Convenzione MAE-UPT N° 1868 del 22 dicembre 2008, Contratto 248a del 18/10/2006 con Novazione oggettiva del 7 luglio 2009

Nata con la voglia di unire le varie anime di una terra di frontiera, complessa e multiforme

Sabato, 5 marzo 2011

Ecco, ora siamo al secondo anno e tante iniziative le abbia-mo realizzate grazie a questo ap-poggio che è per noi sicuramente fondamentale. Più ci sono i con-tributi delle amministrazioni loca-li, Capodistria, Isola e Pirano. Lo scorso anno, invece, è stato im-portante il contributo dell’Unione Italiana, proprio per il progetto della Prima Esposizione Provin-ciale Istriana, per il quale anche la Regione Istriana ci ha dato un grosso appoggio. Con le risorse che abbiamo a disposizione co-priamo essenzialmente le spese materiali e quelle di gestione.

Qual è la collaborazione con le nostre istituzioni, mi riferisco a quelle della Comunità Nazio-nale Italiana, in primo luogo al-l’Unione Italiana, al Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, al Centro Italiano “Carlo Combi”, alla Società di Studi Storici e Geografi ci di Pirano, alle CAN?

Con l’Unione Italiana abbia-mo avuto una grande collabora-zione lo scorso anno, per il pro-getto dell’Esposizione. Ci ha aiu-tato molto Mario Steffè, all’epoca responsabile del Settore Cultura della Giunta esecutiva dell’UI, ma anche nella sua veste di pre-sidente della Comunità degli Ita-liani ‘Santorio Santorio’ di Capo-distria. Collaboriamo molto bene con le nostre Comunità, come Ca-podistria, Isola, Pirano... Di re-cente abbiamo organizzato una tavola rotonda con la Società di Studi Storici e Geografi ci di Pi-rano sul censimento piranese del 1910.... Con il CRS più che con l’istituzione in sé abbiamo instau-rato un’ottima cooperazione con i singoli ricercatori – con Mari-no Budicin, ad esempio, o Rino Cigui, soprattutto, ed Egidio Ive-tic –, dato anche che l’istituzione fa soprattutto opera di ricerca e pubblicazione/editoria, non con-vegni o progetti... Con il ‘Combi’ abbiamo realizzato sia il proget-to dell’Esposizione Provinciale Istriana sia ‘Histria in libris’, la prima fi era del libro istriano, qui a Capodistria, nel 2009. Quindi sì, collaboriamo senz’altro bene con le nostre istituzioni.

Il futuro onlineIn futuro? C’è qualcosa di

grosso in piano o che le sta par-ticolarmente a cuore?

Sì, di grosse cose anche trop-pe, visto che non siamo in tantis-simi e che le risorse disponibili sono quelle che sono. Il progetto più importante del 2011 è quello sui 150 anni della Dieta provin-ciale istriana, di cui siamo por-tatori assieme al Museo storico dell’Istria di Pola. Seguendo la nostra impostazione di fondo e il ruolo di collegamento che ci sia-mo dati, abbiamo coinvolto sia l’Archivio regionale di Capodi-stria che la Biblioteca ‘Srečko Vilhar’ e insieme ai vari musei istriani – Albona, Parenzo, Rovi-gno, Pisino – e gli archivi di Pisi-no e Fiume, nonché la biblioteca universitaria di Pola – siamo im-pegnati in tre segmenti di questo evento: la mostra, che sarà aperta in autunno; il catalogo, che pro-babilmente seguirà l’anno prossi-mo; e per la digitalizzazione degli atti della Dieta, progetto grosso che sta prendendo l’avvio proprio in questi giorni. E poi ci sono al-tre iniziative minori, ma non per questo meno importanti. Nel cam-po editoriale, dove abbiamo due

collane – Histria Colloquium, che raccoglie gli atti di vari convegni e conferenze e quindi è una mi-scellanea, e Histria Documentum, ossia pubblicazione di documenti –, ad esempio, abbiamo in piano di pubblicare le vedute di Pie-tro Nobile, 872 schizzi relativi a vedute di località istriane che si conservano presso l’Archivio di Fiume e che sono ancora inedite. Abbiamo raggiunto l’accordo con il direttore dell’Archivio, dott. Go-ran Crnković, e l’opera sarà cura-ta dal prof. Marijan Bradanović, storico dell’arte di Fiume, e re-datta da Tajana Ujčić, del Museo etnografi co di Pisino. Sarà la ter-za opera di Histria Documentum, dopo quella sulla Pianta di Ca-pod’Istria di Giacomo Fino, cu-rata da Salvator Žitko, e quella sull’Esposizione con il materia-le fotografi co dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste, e con i te-sti di Brigitta Mader e dello stesso Žitko. Il quarto volume conterrà 25 fotografi e realizzate nel 1876 durante la costruzione della fer-rovia Divaccia – Pola, che sono

tra le più vecchie immagini dal-l’Istria e sono state trovate da un nostro collega di Lubiana, Dra-gan Božič, a Vienna, ancora ine-dite, e speriamo pertanto di poter procedere con la loro pubblicazio-ne. Quindi, visto che dedichiamo particolare attenzione ai vari an-niversari, ricorderò che a giugno ricorrono i 130 anni dell’istituzio-ne della Civica commissione ar-cheologica di Capodistria. La no-stra collega e vicepresidente della Società, Deborah Rogoznica, che lavora all’Archivio, ha trovato al-cuni documenti risalenti al 1881, il che sta a signifi care che questa commissione è ancora più vecchia di quella di Parenzo. Raccoglie-remo una decina di studiosi della conservazione dei beni culturali e cerchermo di fare una piccola ta-vola rotonda, un simposio, di cui gli atti usciranno l’anno prossi-mo. E poi, c’è un progetto che du-rerà nel tempo, anche perché è più dispensioso, soprattutto per quel che riguarda le risorse umane, è quello della trascrizione della vi-sita pastorale di Francesco Zeno, vescovo di Capodistria della se-conda metà del Seicento. Rober-ta Vincoletto sta studiando queste carte e, assieme a Giovanna Pao-lin, curerà quest’opera che pub-blicheremo l’anno prossimo, ma che però è già in atto ora e sulla quale si sta lavorando. Poi, in col-laborazione con la Comunità de-gli Italiani ‘Santorio Santorio’ si proverà a fare una tavola rotonda sul Beato Monaldo, frate france-scano di Capodistria, autore del-la famosa ‘Summa juris canonici’,

Dalla pagina 3

vissuto nel Duecento, di cui si fe-steggiano gli ottocento anni della nascita, e quindi proveremo anche qui a riunire gli esperti, in colla-borazione con altre istituzioni. Un programma, dunque, che mi pare abbastanza denso.

Problemi?I problemi sono sempre legati

ai fi nanziamenti. Avendo maggio-ri risorse si potrebbero coinvolge-re più ricercatori e fare cose an-cora più particolareggiate.

Diffi coltà a trovare collabo-ratori e ricercatori?

No, fi nora nessuno ci ha dato picche. Siamo molto soddisfatti, anche perché abbiamo avuto, nei

vari campi, degli esperti di altis-simo livello, anche europeo, e dei nomi di richiamo. Ma siamo con-tenti anche dell’appoggio scienti-fi co che ci danno la varie istitu-zioni, il cui patrocinio conferisce ancora maggiore credibilità alla nostra attività e operato. Citerò, a esempio, la Società italiana di de-mografi a storica, la Società croa-ta di storia di Zagabria, l’Univer-sità del Litorale, l’Istituto per la tutela dei beni culturali della Slo-venia, la Società italiana di storia della medicina e quelle croata e slovena... Istituzioni scientifi che ed esperti non ci hanno mai re-spinto e ciò ci rallegra. E noi cer-chiamo di curare portare avanti questo aspetto scientifi co, che è importante.

Riassumendo, l’attività della Società consiste nella promozio-ne di convegni, conferenze, mo-stre, pubblicazioni, raccolta di materiali, d’archivio, museali, o fonti orali. Il progetto della Prima Esposizione Provinciale Istriana ha inglobato in sé un po’ tutte queste dimensioni. Un bilancio, ora che si è pratica-mente concluso?

Sì, il progetto si è concluso con l’appendice che noi saremmo lieti di poter portare questa mostra an-cora a Trieste, il che mi pare quasi naturale visto che molto materia-le usato appartiene ai Civici Mu-sei di Trieste, e quindi – visto an-che che sia la mostra che il cata-logo ed il documentario sono stati curati in quattro lingue (italiano, sloveno, croato e tedesco) – anche a Vienna. A Trieste andremo quasi sicuramente, a primavera inoltra-ta, conconsiderati anche gli ottimi rapporti con il direttore Adriano Dugulin. A Vienna ci sono mag-giori problemi logistici, aveva-mo quasi concordato la cosa con l’Archivio di Stato, ma poi c’è sta-to un avvicendamento ai loro ver-tici e temo che l’iniziativa slitterà un po’ nel tempo. Ma credo alla fi ne che riusciremo a farcela.

La mostra è stata aperta nel-l’esatta ricorrenza del centena-rio, il 1.mo maggio del 2010 alle ore 11, in piazza Brolo a Capodi-stria, con l’esecuzione della mar-cia trionfale sinfonica ‘Concordia e Progresso’, composta dal mae-stro Giuseppe Mariotti nel 1910, trascritta riarranangiata ed ese-guita dall’Orchestra a fi ati di Capodistria, rispolverata dunque per l’occasione dall’oblio, così come abbiamo recuperato le foto-grafi e storiche. Abbiamo organiz-zato sei conferenze, sempre nelle tre lingue – e tengo a rimarcarlo – con studiosi provenienti sia dal-l’Italia, sia dalla Croazia e dalla Slovenia, e due visite guidate dal professor Žitko, che ci ha fatto co-noscere i luoghi dove si è tenuta l’Esposizione, nonché Capodi-stria e altri luoghi della memoria storica. Poi a settembre abbiamo portato la mostra a Pola, al Mu-seo storico, a ottobre al Museo etnografi co di Pisino – entrambi nostri partner del progetto –, e infi ne ci è giunta la proposta del Museo del turismo di portarla ad Abbazia, e visto il periodo natali-zio e di fi ne anno abbiamo avuto un ottimo riscontro di pubblico.

Una rivista di storia della popolazioneProgetti che stanno partico-

larmente a cuore a lei e alla So-cietà?

Oddio, i progetti sono tanti. Personalmente ho un po’ un pal-lino fi sso: quello di fondare una rivista di storia della popolazione dell’Istria – visto anche che mi oc-cupo di demografi a storica –, una rivista specialistica che si occupi però non solo di demografi a stori-

ca, ma anche di biografi e di perso-naggi, di onomastica, di genealo-gie e in generale di tutti quegli ar-gomenti che riguardano la popola-zione nell’accezione più ampia. La Società ne potrebbe essere la promotrice, considerata anche la collaborazione che ha instaurato con i vari enti e istituzioni. Ci stia-mo lavorando sopra, raccogliendo vari collaboratori per mettere in piede una pubblicazione del gene-re. Ma la vogliamo fare bene, per cui procediamo con i piedi per ter-ra e in qualche modo sottovoce.

Far diventare i materiali di-sponibili facilmente accessibili a tutti gli interessati su Internet è una tendenza che sta prendendo sempre più piede. State ragio-nando anche voi in questa di-rezione?

Sì, ha fatto bene a chieder-melo, perché attualmente stia-mo aggiornando il nostro sito, www.histriaweb.eu, e cerchermo in futuro di mettere tutto online. Già lo facciamo con le fotocro-nache dei nostri eventi e con le notizie. Cerchermo però di avere attraverso il sito anche un contat-to diretto con gli ipotetici fruito-ri, sia per il dizionario biografi -co, dove si potrà in qualche modo proporre delle biografi e o dare suggerimenti, sia per le recensio-ni, in cui si proporrà ciò che vie-ne pubblicato sull’Istria, oltre che i nostri eventi. Forse arriveremo pure a mettere su Internet inte-ri libri e pubblicazioni, anche se personalmente preferisco avere in mano l’opera cartacea. Con il progetto sulla Dieta istriana avre-mo online le pagine delle delibe-razioni e dei suoi atti e verbali.

Uno degli appunti che vie-ne mosso alle nostre istituzioni di ricerca e studio – ma che ri-guarda un po’ tutte le opere a carattere scientifi co – riguarda la scarsa diffusione o distribu-zione delle loro pubblicazioni, rispettivamente sono diffi cil-mente reperibili nelle librerie.

È una nota dolente e purtrop-po per il momento è così, entra in gioco la burocrazia, una pro-cedura lunghissima e intermina-bile, e alla fi ne si arriva a capire che costa di più portare a termine questa procedura che ciò che si otterrebbe vendendo i libri. Que-sto è sicuramente un problema sul quale dovremo lavorare. Nasceva da questa esigenza di far circuita-re tali edizioni anche la fi era del libro sull’Istria, dove sono venu-ti sia i grandi editori sia le case minori e i musei e le associazioni con le loro pubblicazioni.