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L’IMPRENDITORE 1. IL SISTEMA LEGISLATIVO. IMPRENDITORE E IMPRENDITORE COMMERCIALE Nel nostro sistema giuridico la disciplina delle attività economiche ruota intorno alla figura dell’imprenditore. Ma la disciplina non è identica per tutti gli imprenditori. Il c.c. distingue diversi tipi di imprese e di imprenditori in base a tre criteri: in base all’oggetto dell’impresa, si distingue fra imprenditore agricolo e imprenditore commerciale; in base alla dimensione dell’impresa, si distingue fra piccolo imprenditore e imprenditore medio-grande; in base alla natura del soggetto che esercita l’impresa, si distingue fra impresa individuale, società e impresa pubblica. Il c.c. detta innanzitutto un corpo di norme applicabile a tutti gli imprenditori, detto statuto generale dell’imprenditore. Comprende la disciplina dell’azienda, dei segni distintivi, della concorrenza e dei consorzi e di alcuni contratti. Poi, detta lo statuto dell’imprenditore commerciale che disciplina l’iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale, la rappresentanza commerciale, le scritture contabili, il fallimento e le procedure concorsuali. Nel sistema del c.c. la qualifica di imprenditore agricolo e piccolo imprenditore ha rilievo solo al fine di delimitare l’ambito di applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale. Infatti, imprenditore agricolo e piccolo imprenditore (anche commerciale) sono esonerati dalla tenute delle scritture contabili, dall’assoggettamento alle procedure concorsuali, mentre è stato esteso ad essi l’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese. Anche la distinzione fra impresa individuale, società e impresa pubblica rileva essenzialmente al fine di definire l’ambito di applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale. Infatti, le società commerciali ( diverse dalla s.s.) sono tenute all’iscrizione nel registro delle imprese con effetti di 1 Tipi di imprese Tipi di statut CAP. 1

Riassunto Campobasso volume 1

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Riassunto completo di diritto commerciale volume 1

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L’IMPRENDITORE

1. IL SISTEMA LEGISLATIVO. IMPRENDITORE E IMPRENDITORE COMMERCIALE

Nel nostro sistema giuridico la disciplina delle attività economiche ruota intorno alla figura dell’imprenditore. Ma la disciplina non è identica per tutti gli imprenditori.Il c.c. distingue diversi tipi di imprese e di imprenditori in base a tre criteri:

in base all’oggetto dell’impresa, si distingue fra imprenditore agricolo e imprenditore commerciale;

in base alla dimensione dell’impresa, si distingue fra piccolo imprenditore e imprenditore medio-grande;

in base alla natura del soggetto che esercita l’impresa, si distingue fra impresa individuale, società e impresa pubblica.

Il c.c. detta innanzitutto un corpo di norme applicabile a tutti gli imprenditori, detto statuto generale dell’imprenditore. Comprende la disciplina dell’azienda, dei segni distintivi, della concorrenza e dei consorzi e di alcuni contratti.Poi, detta lo statuto dell’imprenditore commerciale che disciplina l’iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale, la rappresentanza commerciale, le scritture contabili, il fallimento e le procedure concorsuali.Nel sistema del c.c. la qualifica di imprenditore agricolo e piccolo imprenditore ha rilievo solo al fine di delimitare l’ambito di applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale. Infatti, imprenditore agricolo e piccolo imprenditore (anche commerciale) sono esonerati dalla tenute delle scritture contabili, dall’assoggettamento alle procedure concorsuali, mentre è stato esteso ad essi l’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese.Anche la distinzione fra impresa individuale, società e impresa pubblica rileva essenzialmente al fine di definire l’ambito di applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale. Infatti, le società commerciali ( diverse dalla s.s.) sono tenute all’iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale, anche se l’attività esercitata non è commerciale. (art. 2200)1

Con la riforma delle società del 2006 è stata soppressa la regola per cui le società non potevano essere mai considerate piccoli imprenditori; regola per cui le società erano sempre espose al fallimento se esercitavano attività commerciale.Gli enti pubblici che esercitano impresa commerciale sono sempre sottratti alla disciplina dell’imprenditore commerciale. In ogni caso non sono mai esposti al fallimento.

1 Art. 2200 Società

Sono soggette all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese le società costituite secondo uno dei tipi regolati nei Capi III e seguenti del Titolo V e le società cooperative (2511 e seguenti), anche se non esercitano un'attività commerciale. L'iscrizione delle società nel registro delle imprese (att. 100) è regolata dalle disposizioni dei Titoli V e VI.

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Tipi di imprese

Tipi di statuti

CAP. 1

In conclusione : lo statuto dell’imprenditore commerciale è statuto proprio dell’imprenditore privato commerciale non piccolo.

2. NOZIONE DI IMPRENDITORE

Secondo l’ art. 2082 è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.Tale concetto si richiama alla nozione economica di imprenditore, ma che non coincide con la nozione giuridica di imprenditore.La nozione economica descrive l’imprenditore come il soggetto che nel processo economico svolge una funzione intermediaria fra chi dispone di fattori produttivi e chi domanda prodotti e servizi. Nello svolgimento di tale funzione l’imprenditore coordina, organizza e dirige, secondo scelte tecniche ed economiche, il processo produttivo ( funzione organizzativa ) assumendo su di sé il rischio di impresa, cioè il rischio che i costi non siano coperti da ricavi sufficienti.Il rischio di impresa giustifica il potere dell’imprenditore di dirigere il processo produttivo e legittima l’acquisizione da parte dello stesso dell’eventuale eccedenza dei ricavi sui costi ( profitto ). E proprio nell’intento di conseguire il massimo profitto si ravvisa il tipico movente dell’attività imprenditoriale.I requisiti giuridici minimi necessari e sufficienti che devono sussistere perché un dato soggetto sia qualificato come imprenditore e sia esposto alla disciplina dell’imprenditore sono stati fissati dal legislatore nell’ art. 2082.Dall’art. 2082 si ricava che :

- l’impresa è attività, cioè una serie coordinata di atti unificati da una funzione unitaria,

- tale attività ha uno specifico scopo, cioè la produzione o scambio di beni o servizi,

- tale attività ha specifiche modalità di svolgimento, cioè con organizzazione, economicità e professionalità.

Si discute se siano altresì indispensabili:- che l’intento dell’imprenditore sia quello di ricavare dei profitti,

scopo di lucro,- che i beni o servizi prodotti o scambiati siano destinati al mercato,- che l’attività svolta sia lecita.

Questi requisiti sono rilevanti ai fini dell’applicazione delle norme di diritto privato, ma altri requisiti sono richiesti da altri settori dell’ordinamento nazionale ( es. diritto tributario ) o dall’ordinamento comunitario.Non esiste, quindi, una sola nozione di impresa, ma vi sono più nozioni di impresa.

3. L’ATTIVITA’ PRODUTTIVA

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Nozione economica

Requisiti giuridici

Relatività della nozione di imprenditore

L’impresa è attività ( serie di atti coordinati ) finalizzata alla produzione o allo scambio di beni 2 o servizi. Quindi l’impresa è attività produttiva. Per qualificare un’attività come produttiva è irrilevante la natura dei beni o servizi prodotti o scambiati ed il tipo di bisogno che essi vanno a soddisfare. È impresa anche la produzione di servizi di natura assistenziale, culturale o ricreativa.Inoltre è irrilevante che l’attività produttiva possa qualificarsi nel contempo come attività di godimento o di amministrazione di determinati beni o del patrimonio del soggetto agente. Non è impresa l’attività di mero godimento, cioè l’attività che non dà luogo alla produzione di nuovi beni o servizi. Es. il proprietario di immobili che ne gode dei frutti dandoli in locazione.È attività di godimento e produttiva quella di un proprietario di un fondo agricolo che destini lo stesso a coltivazione, oppure di un proprietario di un immobile che adibisca lo stesso ad albergo. In questi casi, la locazione è accompagnata dall’erogazione di servizi collaterali che eccedono il mero godimento del bene.È attività di godimento o amministrazione del proprio patrimonio e attività di produzione l’impiego di proprie disponibilità finanziarie nella compravendita di strumenti finanziari con intenti di investimento, speculazione o concessione di finanziamento. Quindi, sono imprese commerciali le società di investimento e le società finanziarie.Sono imprese commerciali anche le holding, cioè le società che hanno per oggetto esclusivo l’acquisto e la gestione di partecipazioni di controllo in altre società, con funzione di direzione, di coordinamento e di finanziamento della loro attività.

4. L’ORGANIZZAZIONE

Non è concepibile un’attività senza programmazione e coordinamento della serie di atti in cui essa si sviluppa, ossia priva di organizzazione. Non è concepibile attività di impresa senza l’impiego coordinato di fattori produttivi (capitale e lavoro) propri e/o altrui.La funzione organizzativa dell’imprenditore si concretizza nella creazione di un apparato produttivo stabile e complesso, formato da persone e da beni strumentali, ossia di un’ attività organizzata. Affinché un’attività produttiva possa dirsi organizzata in forma di impresa non è necessario :

- che la funzione organizzativa dell’imprenditore abbia per oggetto anche altrui prestazioni lavorative autonome o subordinate. È imprenditore anche chi opera utilizzando solo il fattore capitale e il proprio lavoro, senza avvalersi del lavoro altrui.

- che l’attività organizzativa dell’imprenditore si concretizzi nella creazione di un apparato strumentale fisicamente percepibile ( beni strumentali). È vero che non vi può essere impresa senza impiego e organizzazione di mezzi materiali, ma questi possono ridursi al solo

2 Art. 810 Nozione - Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti.

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Attività di godimento e impresa

Attività di investimento e finanziamento

Holding

Organizzazione imprenditoriale

impiego di mezzi finanziari. Ciò che qualifica l’impresa è l’utilizzazione di fattori produttivi ed il loro coordinamento da parte dell’imprenditore per un fine produttivo.

In conclusione : la qualità di imprenditore non può essere negata sia quando l’attività è esercitata senza l’ausilio di collaboratori, sia quando il coordinamento degli altri fattori produttivi non si concretizzi nella creazione di un complesso aziendale materialmente percepibile.

5. IMPRESA E LAVORO AUTONOMO

Si è posto il problema se si possa parlare di impresa anche quando il processo produttivo si fonda esclusivamente sul lavoro personale del soggetto agente, cioè quando non vengono utilizzati né lavoro altrui né capitale proprio o altrui, quindi manca la c.d. eteroorganizzazione . Il problema si pone, quindi, per i prestatori autonomi d’opera manuale (elettricisti, idraulici, ecc.) o di servizi personalizzati ( mediatori, agenti di commercio).La semplice organizzazione a fini produttivi del proprio lavoro non può essere considerata organizzazione imprenditoriale e in mancanza di un minimo di eteroorganizzazione deve negarsi l’esistenza di un’impresa, anche se piccola.Una parte della dottrina, invece, basandosi sull’art. 20833, ritiene imprenditore anche chi si limita ad organizzare il proprio lavoro, senza impiegare né lavoro altrui né capitali. Ma tale tesi non è condivisibile, in quanto la nozione di piccolo imprenditore non vuol indicare la superfluità di ogni forma di eteroorganizzazione. L’organizzazione del lavoro dei propri familiari è pur sempre organizzazione del lavoro altrui. E comunque, il requisito dell’organizzazione è richiesto sia per l’imprenditore che per il piccolo imprenditore, ma non per il lavoratore autonomo.In conclusione : un minimo di organizzazione di lavoro altrui o di capitale è sempre necessario per aversi impresa, anche se piccola. In mancanza si avrà lavoro autonomo non imprenditoriale. Semplici lavoratori autonomi restano i prestatori d’opera manuale (elettricisti, idraulici) o di servizi (mediatori, agenti), fin quando si limitano ad utilizzare mezzi materiali inespressivi, in quanto strumentali allo svolgimento di ogni attività o strettamente necessari all’esplicazione delle proprie energie lavorative. Ossia, fin quando non si supera la soglia della semplice autoorganizzazione del proprio lavoro; al di là si diventa imprenditori.

6. ECONOMICITA’ DELL’ATTIVITA’

3 Art. 2083 Piccoli imprenditori

Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo (1647, 2139), gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia (2202, 2214, 2221).

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Autoorga-nizzazione

Lavoro autonomo e piccola impresa

Nell’art. 20824 abbiamo visto che l’impresa è un’attività economica, dove attività economica è sinonimo di attività produttiva, cioè attività rivolta alla produzione o allo scambio di beni o servizi.Ma, nell’art. 2082 l’economicità è richiesta in aggiunta allo scopo produttivo dell’attività . Ciò che qualifica un’attività “economica” non è solo il fine (produttivo) cui essa è indirizzata, ma anche il modo con cui essa è svolta.L’attività può dirsi condotta con metodo economico quando è tesa ad ottenere la copertura dei costi con ricavi ed assicurino l’autosufficienza economica. Altrimenti si ha consumo e non produzione di ricchezza. In conclusione : non è perciò imprenditore chi produca beni o servizi che vengono erogati gratuitamente o a prezzo politico, tale cioè da far oggettivamente escludere la possibilità di coprire i costi con i ricavi.

7. LA PROFESSIONALITA’

L’ultimo requisito richiesto dall’art. 2082 è il carattere professionale dell’attività.Professionalità significa esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva. La professionalità non implica però che l’attività imprenditoriale debba essere necessariamente svolta in modo continuato e senza interruzioni. Per le attività stagionali è sufficiente il costante ripetersi di atti di impresa secondo le cadenze periodiche di quel tipo di attività.La professionalità non implica nemmeno che quella impresa sia l’unica attività o l’attività principale. È possibile anche il contemporaneo esercizio di più attività di impresa da parte dello stesso soggetto.Può aversi impresa anche quando si opera per il compimento di un unico affare. Il compimento di un unico affare può costituire impresa quando, per la rilevanza economica, implichi il compimento di operazioni molteplici e complesse e l’utilizzo di un apparato produttivo idoneo ad escludere il carattere occasionale e non coordinato dei singoli atti economici. La professionalità va accertata in base ad indici esteriori ed oggettivi. Non è necessario che si abbia reiterazione degli atti di impresa, che l’attività si sia già protratta nel tempo. Indice di professionalità può essere anche la creazione di un complesso aziendale idoneo allo svolgimento di un’attività potenzialmente stabile e duratura. Altro è professionalità e altro è organizzazione. Infatti, si può avere esercizio non professionale di attività organizzata, come previsto dall’art. 2070 3° comma 5.

4 Art. 2082 Imprenditore

E' imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata (2555, 2565) al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi5 Art. 2070 Criteri di applicazione

L'appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell'applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l'attività effettivamente esercitata dall'imprenditore (2082). Se l'imprenditore esercita distinte attività aventi carattere autonomo, si applicano ai rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività. Quando il datore di lavoro esercita non professionalmente un'attività organizzata, si applica il contratto collettivo che regola i rapporti di lavoro relativi alle imprese che esercitano la stessa attività.

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Attività economica e attività produttiva

Abitualità

Attività stagionali

Pluralità di attività

Unico affare

Professionalità ed

organizzazione

8. ATTIVITA’ DI IMPRESA E SCOPO DI LUCRO

Non c’è dubbio sul fatto che lo scopo che normalmente anima l’imprenditore è la realizzazione del profitto e del massimo profitto consentito dal mercato. Ma ci si chiede se lo scopo di lucro sia necessario e, quindi, si debba negare la qualità di imprenditore e l’applicabilità della relativa disciplina quando ricorrano tutti i requisiti dell’art. 2082 ma manchi lo scopo di lucro.La risposta è negativa quando lo scopo lucrativo si intende come movente psicologico dell’imprenditore, c.d. lucro soggettivo. Lo scopo di lucro soggettivo non può ritenersi essenziale perché l’applicazione della disciplina dell’impresa, volta a tutelare i terzi, deve basarsi su dati esteriori ed oggettivi. Essenziale è solo che l’attività venga svolta secondo modalità oggettive astrattamente lucrative, (lucro oggettivo). Irrilevante è sia la circostanza che un profitto venga poi realmente conseguito, sia il fatto che l’imprenditore devolva integralmente a fini altruistici il profitto conseguito. È sufficiente che l’attività venga svolta secondo modalità oggettive tendenti al pareggio fra costi e ricavi (metodo economico) e non anche che le modalità di gestione tendano alla realizzazione di ricavi eccedenti i costi (metodo lucrativo).La nozione di imprenditore è unitaria, comprensiva sia dell’impresa privata sia dell’impresa pubblica, art. 20936. Ciò implica che requisito essenziale può essere considerato solo ciò che è comune a tutte le imprese e a tutti gli imprenditori. L’impresa pubblica è tenuta ad operare secondo criteri di economicità, ma non è preordinata alla realizzazione di un profitto.Le società, invece, sono tenute ad operare con metodo lucrativo e nel duplice senso che l’attività di impresa deve essere rivolta al conseguimento di utili, lucro oggettivo, e che l’utile deve essere devoluto ai soci, lucro soggettivo.Nel caso particolare delle società cooperative, essendo caratterizzata dallo scopo mutualistico, si deve considerare pienamente rispondente alla legge e alla Costituzione una gestione dell’impresa mutualistica fondata su criteri di pura economicità e non tesa alla realizzazione di profitti. La recente disciplina delle imprese sociali, introdotta dal d.lgs. n. 155/2006, art. 37, vieta a questo tipo di impresa di distribuire utili in qualsiasi forma ai

6 Art. 2093 Imprese esercitate da enti pubblici

Le disposizioni di questo libro si applicano agli enti pubblici inquadrati nelle associazioni professionali. Agli enti pubblici non inquadrati si applicano le disposizioni di questo libro, limitatamente alle imprese da essi esercitate. 7 Art. 3. Assenza dello scopo di lucro

1. L'organizzazione che esercita un'impresa sociale destina gli utili e gli avanzi di gestione allo svolgimento dell'attivita' statutaria o ad incremento del patrimonio.2. A tale fine e' vietata la distribuzione, anche in forma indiretta, di utili e avanzi di gestione, comunque denominati, nonche' fondi e riserve in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori. Si considera distribuzione indiretta di utili:a) la corresponsione agli amministratori di compensi superiori a quelli previsti nelle imprese che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni, salvo comprovate esigenze attinenti allanecessita' di acquisire specifiche competenze ed, in ogni caso, con un incremento massimo del venti per cento;b) la corresponsione ai lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori a quelli previsti dai contratti o accordi collettivi per le medesime qualifiche, salvo comprovateesigenze attinenti alla necessita' di acquisire specifiche professionalita';

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Lucro soggettivo

Lucro oggettivo

Impresa pubblica

Società

Impresa mutualistica

Impresa sociale

soci, amministratori, partecipanti, lavoratori o collaboratori. Nel contempo, però, si richiede che esse svolgano un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi, art. 18.In conclusione : requisito minimo essenziale dell’attività di impresa è l’economicità della gestione e non lo scopo di lucro. La qualità di imprenditore deve essere riconosciuta sia alla persona fisica sia agli enti di diritto privato (associazioni e fondazioni) con scopo ideale o altruistico.

9. IL PROBLEMA DELL’IMPRESA PER CONTO PROPRIO

Le imprese operano di regola per il mercato, cioè destinano allo scambio i beni o servizi prodotti. Ma l’art. 20829 non richiede la destinazione al mercato della produzione, quindi è imprenditore anche l’imprenditore per conto proprio.Ma una parte della dottrina è contraria vista la concezione economica dell’imprenditore come soggetto che svolge funzione intermediaria fra proprietari dei fattori produttivi e consumatori. Ciò induce a ritenere che la destinazione allo scambio della produzione è implicitamente richiesta dal carattere professionale dell’attività di impresa ovvero dalla natura economica della stessa o quanto meno dalla funzione di tutela dei terzi della disciplina dell’impresa. Funzione di tutela che non avrebbe senso quando un soggetto risolve la propria attività produttiva in se stesso senza entrare in contatto con i terzi. In conclusione : l’impresa per conto proprio non è impresa, in quanto per l’acquisto della qualità di imprenditore basta una destinazione parziale o potenziale della produzione al mercato.Vi sono alcune ipotesi in cui non si può parlare di imprese per conto proprio. Non è impresa per conto proprio:

- la società cooperativa che produce esclusivamente per i propri soci. La società cooperativa è soggetto di diritto distinto dai suoi soci ed i soci fruiscono dei beni prodotti dalla società in base a rapporti di scambio con la cooperativa;

- l’azienda costituita dallo Stato o da altri enti pubblici per la produzione di beni o servizi da fornire dietro corrispettivo.

c) la remunerazione degli strumenti finanziari diversi dalle azioni o quote, a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, superiori di cinque punti percentuali al tasso ufficiale di riferimento.8 Art. 1. Nozione1. Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un'attivita' economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilita' sociale, diretta a realizzare finalita' di interesse generale, e che hanno i requisiti di cui agli articoli 2, 3 e 4.2. Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e le organizzazioni i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l'erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci, associati o partecipi non acquisiscono la qualifica di impresa sociale.3. Agli enti ecclesiastici e agli enti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese si applicano le norme di cui al presente decreto limitatamente allo svolgimento delle attivita' elencate all'articolo 2, a condizione che per tali attivita' adottino un regolamento, in forma di scrittura privata autenticata, che recepisca le norme del presente decreto. Per tali attivita' devono essere tenute separatamente le scritture contabili previste dall'articolo 10. Il regolamento deve contenere i requisiti che sono richiesti dal presente decreto per gli atti costitutivi.9 Art. 2082 Imprenditore

E' imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata (2555, 2565) al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.

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Destinazione al mercato

Eccezioni

Possono, invece, considerarsi imprese per conto proprio: - la coltivazione del fondo finalizzata al soddisfacimento dei bisogni

dell’agricoltore e della sua famiglia;- la costruzione in economia, cioè la costruzione di appartamenti non

destinati alla rivendita.Il caso del coltivatore del fondo ci dimostra che non vi è incompatibilità fra impresa per conto proprio ed economicità, dato che l’attività produttiva può considerarsi svolta con metodo economico anche quando i costi sono coperti da un risparmio di spesa o da un incremento del patrimonio del produttore. Inoltre, le esigenze di tutela dei terzi possono ricorrere anche rispetto all’impresa per conto proprio. Quindi, l’applicazione della disciplina dell’impresa non si può far dipendere dalle intenzioni di chi produce, ma deve fondarsi esclusivamente sui caratteri oggettivi fissati dall’art. 2082. Caratteri che possono ricorrere tutti anche quando i beni prodotti vengono in fatto consumati o utilizzati dallo stesso produttore. Il costruttore in economia deve perciò essere qualificato come imprenditore commerciale, così come il coltivatore del fondo.

10. IL PROBLEMA DELL’IMPRESA ILLECITA

Punto controverso è se la qualifica di imprenditore debba essere riconosciuta anche all’attività illecita, cioè contraria a norme imperative ( norme che subordinano l’accesso all’attività a concessione, autorizzazione o licenza, detta impresa illegale), all’ordine pubblico o al buon costume.Un attività di impresa illecita può dar luogo al compimento di una serie di atti leciti e validi. Infatti, l’illiceità del risultato globalmente perseguito dall’imprenditore non comporta di per sé l’illiceità della causa o dell’oggetto, art. 141810, dei singoli atti di impresa.I terzi creditori meritevoli di tutela possono esistere anche quando l’attività di impresa è illecita, quindi chi esercita attività commerciale illecita è esposto al fallimento.Nel caso di impresa illegale, l’illecito non impedisce l’acquisto della qualità di imprenditore con pienezza di effetti, ferme restando le conseguenti sanzioni amministrative e penali. Il titolare dell’impresa illegale è esposto al fallimento.Nel caso di impresa immorale, cioè di un’attività che abbia un oggetto illecito (es. traffico di droga), al fine di tutelare i terzi estranei all’illecito, si nega l’esistenza di impresa. Questo, per il timore che il riconoscimento della qualità di imprenditore porti all’applicazione non solo delle norme che tutelano i creditori di un imprenditore commerciale (fallimento), ma anche delle norme che tutelano l’imprenditore nei confronti dei terzi ( disciplina dell’azienda, dei segni distintivi, della concorrenza sleale). In questi casi 10

Art. 1418 Cause di nullità del contratto Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente. Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'art. 1325, l'illiceità della causa (1343), l'illiceità dei motivi nel caso indicato dall'art. 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'art. 1346. Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge

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Impresa illegale

Impresa illecita

Impresa immorale

deve applicarsi il principio secondo cui da un comportamento illecito non possono mai derivare effetti favorevoli per l’autore dell’illecito o per chi ne è stato parte. In conclusione : chi esercita attività commerciale illecita è imprenditore ed in quanto tale potrà fallire. Non potrà però avanzare le pretese del titolare di un’azienda o agire in concorrenza sleale contro altri imprenditori, in applicazione del principio della non invocabilità della qualificazione per la non invocabilità del proprio illecito.La stessa regola vale anche per l’impresa illegale e per l’impresa mafiosa, cioè per quella impresa, che pur avendo un oggetto lecito, è lo strumento per il perseguimento di un disegno criminoso.

10.IMPRESA E PROFESSIONI INTELLETTUALI

Esistono delle attività produttive per le quali la qualifica imprenditoriale è esclusa in via di principio dal legislatore, come per le professioni intellettuali. I liberi professionisti non sono mai in quanto tali imprenditori. Infatti l’art. 2238, 1° comma,11 stabilisce che le disposizioni in tema di impresa si applicano alle professioni intellettuali solo se l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di impresa. I liberi professionisti, ma anche gli artisti e gli inventori, diventano imprenditori solo se ed in quanto la professione intellettuale è esplicata nell’ambito di altra attività di per sé qualificabile come impresa. Ad es. il medico che gestisce una clinica privata, l’artista titolare di un teatro nel quale recita, ecc. In questi casi si è in presenza di due casi: l’attività intellettuale e l’attività di impresa, perciò troveranno applicazione nei confronti dello stesso soggetto sia la disciplina dettata per la professione intellettuale sia la disciplina dell’impresa.Il professionista intellettuale o l’artista che si limita a svolgere la propria attività, per contro, non diventa mai imprenditore. E, non lo diventa, non solo quando superi la soglia dell’autoorganizzazione del proprio lavoro, ma anche quando si avvale di collaboratori e di un complesso apparato di mezzi materiali, dando vita così ad un’organizzazione complessa di capitale e/o lavoro (Relazione al codice civile).Al professionista intellettuale che impieghi collaboratori, pur non diventando imprenditore, si applicano le norme che disciplinano il lavoro nell’impresa, ma non la restante parte.Questa scelta legislativa si è giustificata dal fatto che nell’attività intellettuale mancherebbero sempre e comunque l’uno o l’altro dei requisiti richiesti dall’art. 2082. Tuttavia, i requisiti propri dell’attività di impresa possono ricorrere tutti anche nell’esercizio delle professioni intellettuali. Infatti, l’attività professionale è attività produttiva di servizi suscettibili di

11 Art. 2238 Rinvio

Se l'esercizio della professione costituisce elemento di un'attività organizzata in forma d'impresa, si applicano anche le disposizioni del Titolo II (2082 e seguenti). In ogni caso, se l'esercente una professione intellettuale impiega sostituti o ausiliari, si applicano le disposizioni delle Sezioni II, III e IV del Capo I del Titolo II (2094 e seguenti).

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Impresa mafiosa

Esonero dalla disciplina dell’impresa

valutazione economica, è un’attività condotta con metodo economico e a scopo di lucro. In conclusione : i professionisti non sono imprenditori per libera opzione del legislatore.In pratica non è sempre agevole stabilire se un’attività costituisce professione intellettuale. Per tale distinzione si deve tener conto non della iscrizione in albi professionali (criterio formale), ma del carattere intellettuale dei servizi prestati (criterio sostanziale).

LE CATEGORIE DI IMPRENDITORI

IMPRENDITORE AGRICOLO E IMPRENDITORE COMMERCIALE

1. IL RUOLO DELLA DESTINAZIONE

Il codice civile distingue, in base all’ oggetto, gli imprenditori in :- imprenditore commerciale, art. 219512;- imprenditore agricolo, art. 213513.

L’imprenditore commerciale è destinatario di un’ampia ed articolata disciplina fondata su:

- l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, con funzione di pubblicità legale;

- l’obbligo di tenuta delle scritture contabili;- l’assoggettamento al fallimento e alle altre procedure concorsuali.

12 Art. 2195 Imprenditori soggetti a registrazione

Sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano: 1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; 2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni; 3) un'attività di trasporto per terra, o per acqua o per aria; 4) un'attività bancaria o assicurativa; 5) altre attività ausiliarie delle precedenti (1754). Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano (att 100, 200). 13

Art. 2135 Imprenditore agricolo E imprenditore agricolo chi esercita un'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame e attività connesse. Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura

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Disciplina imprenditore commerciale

Disciplina imprenditore agricolo

CAP. 2

La nozione di imprenditore agricolo ha valore essenzialmente negativo. Ha la funzione di restringere l’ambito di applicazione della disciplina dell’imprenditore commerciale. L’imprenditore agricolo è sottoposto alla disciplina prevista per l’imprenditore in generale ed è esonerato da:

- la tenuta delle scritture contabili, art. 221414;- l’assoggettamento alle procedure concorsuali, art. 222115;

Originariamente l’imprenditore agricolo era esonerato anche dall’iscrizione nel registro delle imprese, tranne per le società agricole, art. 213616. Poi, l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, è stato introdotto dalla riforma del 1993, con funzione di pubblicità notizia, art. 8 legge 580/1993 e, la recente riforma ne ha stabilito la funzione di pubblicità legale, art. 2 d.lgs. 228/200117, così come previsto per gli imprenditori commerciali.Si discute sul fatto se si debba ammettere una terza categoria di imprese , le imprese civili. Imprese, non menzionate dal legislatore e che non possono qualificare né come commerciali, né come agricoli. Perciò, tale imprese sarebbero da sottoporre alla disciplina generale dell’imprenditore, ma non a quella dell’imprenditore commerciale.

2. L’IMPRENDITORE AGRICOLO LE ATTIVITA’ AGRICOLE ESSENZIALI.

L’art. 2135 stabiliva: È imprenditore agricolo chi esercita un'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame e attività connesse. Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura.

Le attività agricole vengono distinti in due categorie: attività agricole essenziali; attività agricole connesse.

Questa distinzione è stata mantenuta anche dalla nuova nozione di imprenditore agricolo. L’art. 1 del d.lgs n. 228/2001 ridefinisce la nozione di imprenditore agricolo, sostituendo l’art. 2135 del c.c. :

"E' imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.

14 Art. 2214 Libri obbligatori e altre scritture contabili

L'imprenditore che esercita un'attività commerciale (2195) deve tenere il libro giornale e il libro degli inventari. Deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa (att. 200) e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle lettere ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite (2709 e seguenti). Le disposizioni di questo paragrafo non si applicano ai piccoli imprenditori (2083).15

Art. 2221 Fallimento e concordato preventivo Gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti, in caso d'insolvenza, alle procedure del fallimento e del concordato preventivo, salve le disposizioni delle leggi speciali. 16

Art. 2136 Inapplicabilità delle norme sulla registrazione Le norme relative all'iscrizione nel registro delle imprese (2188 e seguenti) non si applicano agli imprenditori agricoli, salvo quanto e disposto dall'art. 2200. 17

Art. 2. Iscrizione al registro delle imprese L'iscrizione degli imprenditori agricoli, dei coltivatori diretti e delle societa' semplici esercenti attivita' agricola nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all'articolo 2188 e seguenti del codice civile, oltre alle funzioni di certificazione anagrafica ed a quelle previste dalle leggi speciali, ha l'efficacia di cui all'articolo 2193 del codice civile.

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Imprese civili

Nozione originaria

Nuova nozione

Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge".2. Si considerano imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli ed i loro consorzi quando utilizzano per lo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, prevalentemente prodotti dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico”.

Coltivazione del fondo, silvicoltura ed allevamento del bestiame sono attività tipicamente e tradizionalmente agricole, ma che negli ultimi decenni hanno subito profonde trasformazioni, a causa del progresso tecnologico che ha coinvolto anche l’agricoltura e che l’ha trasformata in un’agricoltura industrializzata. Oggi, l’attività agricola può dar luogo ad investimenti ingenti di capitali e ciò può far dubitare sulla correttezza della loro disciplina. Che l’imprenditore agricolo sia sempre e comunque esonerato dalla disciplina dell’imprenditore commerciale è una scelta legislativa che dà luogo a molti contrasti. È necessario infatti stabilire fino a che punto l’evoluzione tecnologica dell’agricoltura sia compatibile con la qualificazione agricola dell’impresa agli effetti del c.c.Vi era, infatti, chi riteneva che impresa agricola fosse ogni impresa che produce specie vegetali o animali, cioè ogni forma di produzione fondata sullo svolgimento di un ciclo biologico naturale. Poi, vi era chi riteneva che doveva essere dato rilievo anche al modo di produzione tipico dell’agricoltore e, quindi, che doveva essere qualificato imprenditore commerciale chi produce specie animali o vegetali in modo del tutto svincolato dal fondo agricolo o dallo sfruttamento della terra (coltivazioni artificiali e allevamenti in batteria). La recente riforma ha però optato per la prima impostazione, al fine di contrastare l’abbandono dalle campagne e di favorire lo sviluppo tecnologico dell’agricoltura, ma che non giustifica la sottrazione al fallimento dell’imprenditore agricolo medio - grande.

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Evoluzione dell’ agricoltura

L’attuale nozione di imprenditore agricolo, dopo aver elencato le attività svolte dall’imprenditore agricolo, specifica che: “Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”. In base a questa nuova nozione si deve perciò ritenere che la produzione di specie vegetali o animali è sempre qualificabile giuridicamente come attività agricola essenziale, anche se realizzata con metodi che prescindono del tutto dallo sfruttamento della terra e dei suoi prodotti.Quindi si possono far rientrare nella nozione di coltivazione del fondo: l’orticoltura, le coltivazioni in serra e vivai e la floricoltura. Sono coltivazioni anche le coltivazioni fuori terra di ortaggi e frutta. Quanto alla selvicoltura, è l’attività di cura del bosco per ricavarne i relativi prodotti. Non costituisce perciò attività agricola l’estrazione di legname disgiunta dalla coltivazione del bosco.Nell’allevamento di animali, il criterio del ciclo biologico, porta a riconoscere come attività agricola essenziale anche la zootecnia svolta fuori dal fondo o utilizzando il fondo per allevamenti in batteria, oppure allevamenti in cui gli animali sono alimentati con mangimi naturali non ottenuti dal fondo. Rimane attività commerciale l’acquisto di animali all’ingrosso per rivenderli.Per allevamento di animali deve intendersi sia l’allevamento diretto ad ottenere prodotti tipicamente agricoli (carne, latte, lana), sia l’allevamento di cavalli da corsa o animali da pelliccia, l’ allevamento dei cani (attività cineteca) e l’allevamento di gatti. La sostituzione nella nuova nozione del termine “bestiame” col termine “animali”, qualifica come impresa agricola anche l’allevamento di animali da cortile e l’apicoltura.È attività agricola anche l’ acquacoltura (pesci e mitili).All’imprenditore agricolo (essenziale) è equiparato l’imprenditore ittico, cioè l’imprenditore che esercita l’attività professionale diretta alla cattura o alla raccolta di organismi acquatici in ambienti marini, salmastri o dolci, nonché attività connesse.

3. L’IMPRENDITORE AGRICOLO LE ATTIVITA’ AGRICOLE PER CONNESSIONE

La seconda categoria di attività agricole sono le attività agricole connesse.La vecchia nozione di imprenditore agricolo le individuava:

- in quelle dirette alla trasformazione o all’alienazione di prodotti agricoli che rientravano nell’esercizio normale dell’agricoltura;

- in tutte le altre attività esercitate in connessione con la coltivazione del fondo, la silvicoltura e l’allevamento del bestiame (es. agriturismo, trebbiatura, motoaratura per conto terzi).

La nuova nozione intende per attività connesse:

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Ciclo biologico

Coltivazione del fondo

Selvicoltura

Allevamenti di animali

Animali da cortile

Imprenditore ittico

- le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente da un’attività agricola essenziale;

- le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, comprese quelle di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale e le attività agrituristiche.

Entrambe sono, oggettivamente, attività commerciali, ma sono considerate per legge attività agricole quando sono esercitate in connessione con una delle attività agricole essenziali. È importante precisare quando un’attività intrinsecamente commerciale possa qualificarsi come agricola per connessione. Ci sono due condizioni necessarie:- è necessario che il soggetto che la esercita sia già qualificabile

imprenditore agricolo in quanto svolge in forma di impresa una delle tre attività agricole tipiche e sia un’attività coerente con quella connessa, connessione soggettiva. È imprenditore commerciale chi trasforma o commercializza prodotti agricoli altrui o il viticultore che produce formaggi (quindi un prodotto fuori dal proprio campo). Mentre è imprenditore agricolo il viticoltore che produce vino. La qualifica di imprenditore agricolo è estesa anche alle cooperative di imprenditori agricoli ed ai loro consorzi, quando utilizzano prevalentemente prodotti dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni o servizi diretti alla cura o allo sviluppo del ciclo biologico.

- È necessario che vi sia una connessione oggettiva fra le due attività. Non si richiede più che le attività di trasformazione e alienazione dei prodotti agricoli rientrino nell’esercizio normale dell’agricoltura, né che le attività connesse diverse da queste abbiano carattere accessorio. Entrambi questi criteri sono stati sostituiti dal criterio della prevalenza. Necessario e sufficiente è solo che si tratti di attività aventi ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dall’esercizio dell’attività agricola essenziale, ovvero di beni o servizi forniti mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda agricola. In breve: è sufficiente che le attività connesse non prevalgano, per rilievo economico, sull’attività agricola essenziale. È del tutto irrilevante che una determinata attività di trasformazione o di commercializzazione sia normale per gli agricoltori in relazione alle dimensioni dell’impresa, alla località ed al tempo in cui l’impresa opera e ai mezzi di cui si avvale.

4. L’IMPRENDITORE COMMERCIALE

Secondo l’art. 2195 c.c,.1° comma, sono imprenditori commerciali gli imprenditori che esercitano:

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Connessione soggettiva

Connessione oggettiva

1. un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; darà vita ad impresa commerciale ogni attività di impresa nel settore della produzione che sia qualificabile come “attività industriale”;

2. un'attività intermediaria nella circolazione dei beni; è impresa commerciale ogni attività di scambio che realizzi intermediazione nella circolazione di beni o servizi;

3. un'attività di trasporto per terra, o per acqua o per aria; le imprese di trasporto producendo servizi può essere considerata specificazione dell’attività produttiva di servizi, indicata nel primo punto dell’art. 2195;

4. un'attività bancaria o assicurativa; l’impresa bancaria ha per oggetto tipico la raccolta del risparmio tra il pubblico e l‘esercizio del credito; perciò, l’attività bancaria, in sostanza, è attività di intermediazione nella circolazione del danaro; anche l’impresa di assicurazione produce servizi;

5. altre attività ausiliarie delle precedenti; in questa categoria rientrano le imprese: di agenzia (art. 1742)18, di mediazione (art. 1754)19 , di deposito (art. 1787)20, di commissione (art. 1731)21, di spedizione (art. 1737)22, di pubblicità commerciale, di marketing.Tutte imprese che possono qualificarsi come imprese produttrici di

servizi.

Le attività degli ultimi tre punti, costituiscono specificazione delle prime due categorie ed in queste possono essere ricomprese in quanto hanno per oggetto o la produzione di servizi o l’intermediazione nella circolazione. Perciò, gli elementi che individuano e distinguono l’impresa commerciale rispetto all’impresa agricola sono tutti racchiusi nel carattere industriale dell’attività di produzione dei beni o servizi o nel carattere intermediario dell’attività di scambio.

5. LE IMPRESE CIVILI

18 Art. 1742 Nozione Col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione,

la conclusione di contratti in una zona determinata. Ciascuna parte ha il diritto di ottenere dall'altra una copia del contratto dalla stessa sottoscritto.19

Art. 1754 Mediatore E' mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza. 20 Art. 1787 Responsabilità dei magazzini generali I magazzini generali sono responsabili della conservazione delle merci depositate, a meno che si provi che la perdita, il calo o l'avaria è derivata dal caso fortuito, dalla natura delle merci ovvero da vizi di esse o dell'imballaggio (1218). 21

Art. 1731 Nozione Il contratto di commissione e un mandato (1703 e seguenti) che ha per oggetto l'acquisto o la vendita di beni per conto del committente e in nome del commissionario. 22

Art. 1737 Nozione Il contratto di spedizione è un mandato (1703 e seguenti) col quale lo spedizioniere assume l'obbligo di concludere, in nome proprio e per conto del mandante, un contratto di trasporto (1678) e di compiere le operazioni accessorie (1374 e seguenti).

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Industria

Commercio

Trasporto

Banche e assicurazioni

Imprese ausiliari

Oltre alla categoria delle imprese commerciali e alla categoria delle imprese agricole è possibile individuare una terza categoria, la categoria delle imprese civili, anche se non prevista da alcuna norma.L’imprenditore civile, non essendo né commerciale né agricolo, è sottoposto solo allo statuto generale dell’imprenditore, ma non a quello dell’imprenditore commerciale. Perciò non è sottoposto a fallimento.Se si ritiene che il requisito dell’industrialità debba essere inteso nel suo significato tecnico-economico, ossia di attività che implichi l’impiego di materie prime e la loro trasformazione in nuovi beni a d opera dell’uomo, si dovrebbero considerare imprese civili e non commerciali:- le imprese che producono beni senza trasformare materie prime, come

le imprese minerarie e le imprese di caccia e pesca;- le imprese che producono servizi senza trasformare materie prime e che

non siano imprese produttrici ricompresse nell’art. 2195, come le imprese di pubblici spettacoli, agenzie matrimoniali, investigative;

Più in generale, sarebbero imprese civili tutte le imprese ausiliarie di attività non commerciali.Inoltre, visto che attività di intermediazione nella circolazione presuppone sia l’acquisto sia la vendita, sarebbe imprenditore civile chi vende beni propri dietro corrispettivo o l’imprenditore che eroga credito con mezzi propri (impresa finanziaria) e che perciò non esercita attività bancaria. Tale teoria però non è condivisa dalla dottrina prevalente, in quanto questa parte della dottrina ritiene che il significato al requisito dell’industrialità e dell’intermediazione sia un altro. Ritengono, infatti, che il significato di “attività industriale” significhi “attività agricola” e “attività di intermediazione” significhi “attività di scambio”.Si arriva perciò alla conclusione che l’art. 2195 va letto come se dicesse che è attività commerciale quella diretta alla produzione di beni o servizi non agricoli (n.1) e quella rivolta alla circolazione di beni non qualificabile come agricola per connessione (n.2). Quindi, è imprenditore commerciale ogni imprenditore non agricolo, dato che le altre categorie previste dall’art. 2195 sono tutte specificazioni delle prime due. Per le imprese civili non c’è spazio.Vi è però una serie di altri indici che depone contro l’ammissibilità delle imprese civili:- non vi è alcuna disposizione che possa far pensare all’esistenza di

imprese diverse da quelle agricole e commerciali;- vi sono norme che confermano che per il legislatore il binomio agricolo -

commerciale esaurisce la tipologia delle imprese in base all’oggetto dell’attività;

- vi sono norme che rendono plausibile l’interpretazione dell’aggettivo industriale nel senso di non agricolo.

Infine, ammettendo la categoria delle imprese civili si amplierebbe l’area delle attività produttive sottratte allo statuto dell’imprenditore commerciale, senza che vi sia una giustificazione sostanziale.

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Tesi favorevole

Tesi contraria

Queste considerazioni fanno propendere per una ricostruzione del sistema che non lasci vuoti fra l’imprenditore agricolo e quello commerciale.In conclusione : È perciò preferibile interpretare il requisito della industrialità come sinonimo di attività non agricola, e quindi si devono qualificare come imprese commerciali anche quelle che producono beni o servizi senza dar luogo a trasformazione di materie prime.Altresì, è preferibile interpretare il requisito della intermediazione nella circolazione dei beni come sinonimo di attività di scambio, perciò sarà impresa commerciale ogni attività che comporti circolazione di beni non inquadrabile fra quelle agricole per connessione. Sarà commerciale ogni attività che non è agricola.

PICCOLO IMPRENDITORE. IMPRESA FAMILIARE

6. IL CRITERIO DIMENSIONALE. LA PICCOLA IMPRESA

La dimensione dell’impresa è il secondo criterio di differenziazione della disciplina degli imprenditori, che individua la figura del piccolo imprenditore in contrapposizione all’imprenditore medio - grande.Il piccolo imprenditore è sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore, invece, è esonerato, anche se esercita attività commerciale, dalla tenuta delle scritture contabili, art. 2214, 3° comma23, e, dall’assoggettamento al fallimento e alle altre procedure concorsuali, art. 222124 e art. 1 legge fallimentare. Inoltre, mentre l’iscrizione era originariamente esclusa, art. 220225, ora ha funzione di pubblicità notizia, art. 8 legge n. 580 /1993.Anche la nozione di piccolo imprenditore ha, nel codice civile, un rilievo essenzialmente negativo, ossia serve a restringere il campo di applicazione dello statuto dell’ imprenditore commerciale. La piccola impresa o alcune figure di piccola impresa sono destinatarie di una ricca ed articolata disciplina, cioè di una legislazione speciale, ispirata dalla finalità di favorirne la sopravvivenza e lo sviluppo attraverso agevolazioni finanziarie, lavoristiche e tributarie. Il piccolo imprenditore è definito sia dal codice civile, sia dalla legge fallimentare.

7. IL PICCOLO IMPRENDITORE NEL CODICE CIVILE

L’art. 2083 prevede che “Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività

23 Art. 2214 Libri obbligatori e altre scritture contabili L'imprenditore che esercita un'attività commerciale (2195) deve tenere il libro

giornale e il libro degli inventari. Deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa (att. 200) e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle lettere ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite (2709 e seguenti). Le disposizioni di questo paragrafo non si applicano ai piccoli imprenditori (2083). 24

Art. 2221 Fallimento e concordato preventivo Gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti, in caso d'insolvenza, alle procedure del fallimento e del concordato preventivo, salve le disposizioni delle leggi speciali. 25

Art. 2202 Piccoli imprenditori Non sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese i piccoli imprenditori (2083).

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Statuto del piccolo imprenditore

Pluralità di nozioni

professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”.L’ultima parte della norma, quando prevede che sono imprenditori coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia, ricomprende nella categoria figure di piccoli imprenditori diverse da quelle espressamente menzionate. L’art. 2083 va letto come se dicesse che “la prevalenza del lavoro proprio e familiare costituisce il carattere distintivo di tutti i piccoli imprenditori”. Per aversi piccola impresa è perciò necessario che:

a. l’imprenditore presti il proprio lavoro nell’impresa;b. il suo lavoro e quello degli eventuali familiari che collaborano

nell’impresa prevalgano sia rispetto al lavoro altrui sia rispetto al capitale (proprio o altrui) investito nell’impresa. Quindi, non è mai piccolo imprenditore chi investe ingenti capitali nell’impresa, anche chi non si avvale di alcun collaboratore (es. gioielliere).La prevalenza del lavoro familiare sugli altri fattori produttivi deve intendersi in senso qualitativo - funzionale e non come prevalenza quantitativo – aritmetica.

8. IL PICCOLO IMPRENDITORE NELLA LEGGE FALLIMENTARE

Anche la legge fallimentare fissa una definizione di piccolo imprenditore, modificata di recente dal d.lgs. n. 5 del 09/01/2006.L’art. 1, 2° comma, della legge fallimentare26, oltre a ribadire che i piccoli imprenditori non falliscono, stabilisce che “Sono considerati piccoli imprenditori, gli imprenditori esercenti un’attività commerciale, i quali sono stati riconosciuti, in sede di accertamento ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, titolari di un reddito inferiore al minimo imponibile. Quando è mancato l’accertamento ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, sono considerati piccoli imprenditori gli imprenditori esercenti un’attività commerciale nella cui azienda risulta essere stato investito un capitale non superiore a lire novecentomila”. La stessa norma fallimentare disponeva poi che in nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le società commerciali. Nella legge fallimentare, il piccolo imprenditore era individuato esclusivamente in base a parametri monetari e quindi con criterio palesemente non coincidente con quello fissato dal codice civile (prevalenza funzionale del lavoro familiare).

26 Art. 1.Sostituzione dell'articolo 1del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267

1. L'articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e' sostituito dal seguente:«Art. 1 (Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo). - Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori.Ai fini del primo comma, non sono piccoli imprenditori gli esercenti un'attività commerciale in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente:a) hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale di valore superiore a euro trecentomila;b) hanno realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro duecentomila.I limiti di cui alle lettere a) e b) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni, con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenute nel periodo di riferimento.».

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Criterio della prevalenza

Da qui la necessità di trovare un coordinamento fra le due norme, per evitare di dover nel contempo riconoscere e negare allo stesso soggetto la qualità di piccolo imprenditore.Poi, sono intervenute due modifiche nel sistema normativo:

a. l’imposta di ricchezza mobile è stata soppressa a partire dal 1° gennaio 1974, sostituita dall’ IRPEF. Il criterio del reddito fissato dalla legge fallimentare non era più applicabile, per implicita abrogazione della relativa previsione normativa;

b. il criterio del capitale investito non superiore a lire novecentomila fu dichiarato incostituzionale nel 1989, in quanto non più idoneo vista la svalutazione monetaria.

Della nozione originaria data dalla legge fallimentare sopravviveva solo la parte secondo cui in nessun caso erano considerati piccoli imprenditori le società commerciali. Ma, anche, questa parte di norma non era più salda, visto che la Corte Costituzionale aveva manifestato l’orientamento che esso non trovasse applicazione nei confronti delle società artigiane.Se la parziale abrogazione della definizione della legge fallimentare aveva risolto alcuni problemi interpretativi il permanere in vigore della sola definizione del codice civile di piccolo imprenditore creava però non trascurabili inconvenienti pratici in sede di dichiarazione di fallimento. Accertare in concreto la prevalenza del lavoro familiare sugli altri fattori produttivi non è sempre agevole, con gravi conseguenze del fallimento per il fallito e per i terzi suscitava insoddisfazione.Per queste ragioni, la riforma del diritto fallimentare del 2006 ha reintrodotto nell’art. 1, 2° comma, legge fallimentare, una definizione di piccolo imprenditore basata su criteri esclusivamente quantitativi e monetari. In base alla nuova definizione è piccolo imprenditore colui che esercita un’attività d’impresa senza superare nessuno dei seguenti due limiti dimensionali:

a. aver effettuato investimenti nell’azienda per un capitale di valore superiore a trecentomila euro;

b. aver realizzato ricavi lordi, calcolati sulla media degli ultimi tre anni, per un ammontare complessivo annuo non superiore a duecentomila euro.

Questi limiti potranno essere aggiornati ogni tre anni dal Ministero della Giustizia, sulla base degli indici Istat, per adeguarli alla svalutazione monetaria.La nuova disciplina puntualizza che tale definizione vale per chiunque eserciti attività d’impresa in forma individuale o collettiva. Dunque, a differenza del passato, anche le società commerciali possono essere esonerate dal fallimento in quanto piccoli imprenditori.

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Nuova definizione legge fall.

Modifiche al sistema normativo

Società

L’art. 1, 2° comma, legge fallimentare27, precisa inoltre che, chi supera anche uno solo dei due limiti dimensionali non è piccolo imprenditore ai fini dell’esposizione al fallimento. Ne consegue un migliore coordinamento con la definizione codicistica. In conclusione : Chi può essere dichiarato fallito si determina esclusivamente in base alla nozione di piccolo imprenditore stabilita dall’art. 1. 2° comma, legge fallimentare. La definizione del codice civile rileva invece ai fini dell’applicazione della restante parte dello statuto dell’imprenditore commerciale.

9. L’IMPRESA ARTIGIANA

La piccola impresa e, soprattutto, la piccola impresa artigiana godono di una legislazione speciale di ausilio e di sostegno. Tali leggi speciali spesso prevedono autonomi criteri di identificazione delle imprese destinatarie, non coincidenti con quelli fissati dall’art. 208328. Essendo definizioni dettate da leggi speciali esse non pongono alcun problema di coordinamento con la nozione civilistica e fallimentare di piccolo imprenditore. Tuttavia, resta fermo che, per stabilire se un dato imprenditore è esonerato dal fallimento in quanto piccolo imprenditore, si deve guardare solo al rispetto dei limiti dimensionali fissati dall’art. 1, 2° comma, legge fallimentare. Questo principio subiva però fino a qualche tempo fa un’eccezione per l’impresa artigiana. La legge n. 860 del 25/07/1956 (legge sull’artigianato) affermava espressamente all’art. 1, 1° comma, che l’impresa rispondente ai requisiti fondamentali fissati nella stessa legge era da considerarsi artigiana a tutti gli effetti di legge, e quindi anche agli effetti civilistici e fallimentari. La nozione speciale sostituiva perciò quella del codice e della legge fallimentare. Il dato caratterizzante l’impresa artigiana risiedeva nella natura artistica o usuale dei beni o servizi prodotti e non più nella prevalenza del lavoro familiare nel processo produttivo. La qualifica artigiana era riconosciuta anche alle imprese costituite in forma di società, purché si trattasse di società cooperative o in nome collettivo ed alla condizione che la maggioranza dei soci partecipi personalmente al lavoro e, nell’impresa, il lavoro abbia funzione preminente sul capitale, art. 3, 1° comma.Perciò, le società artigiane dovevano considerarsi esonerate dal fallimento.

27 Art. 1. Sostituzione dell'articolo 1del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267

1. L'articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e' sostituito dal seguente:«Art. 1 (Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo). - Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori.Ai fini del primo comma, non sono piccoli imprenditori gli esercenti un'attività commerciale in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente:a) hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale di valore superiore a euro trecentomila;b) hanno realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro duecentomila.I limiti di cui alle lettere a) e b) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni, con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenute nel periodo di riferimento.». 28

Art. 2083 Piccoli imprenditori Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo (1647, 2139), gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.

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Legge sull’ artigianato

La legge n. 860/1956 è stata abrogata dalla legge n. 443 del 08/08/1985, legge quadro sull’artigianato. La nuova legge contiene una propria definizione dell’impresa artigiana, basata :

a. l’oggetto dell’impresa, che può essere costituito da qualsiasi attività di produzione di beni, anche semilavorati, o di prestazioni di servizi, sia pure con alcune limitazioni ed esclusioni29;

b. sul ruolo dell’artigiano nell’impresa, richiedendosi che esso svolga in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo, art. 2, 1° comma30, ma non che il suo lavoro prevalga sugli altri fattori produttivi.

Continuano ad essere imposti limiti per quanto riguarda i dipendenti, ma il numero massimo è più elevato rispetto alla legge del 1956. Ma, è riaffermato il principio che il personale dipendente deve essere personalmente diretto dall’artigiano ed è stabilito che l’imprenditore artigiano può essere titolare di una sola impresa artigiana, art. 3, 5° comma31.La legge del 1985 riafferma altresì la qualifica artigiana delle imprese costituite in forma di società cooperativa o in nome collettivo, a condizione che la maggioranza dei soci, svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e che nell’impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale, art. 3, 2° comma.Inoltre, la qualifica di impresa artigiana è stata successivamente estesa, dapprima alla società a responsabilità limitata unipersonale ed alla società in accomandita semplice, purché il socio unico o tutti i soci accomandatari siano in possesso dei requisiti previsti per l’imprenditore artigiano e non siano nel contempo socio unico di un’altra s.r.l. o socio di un’altra s.a.s. (art. 3, 3° comma, legge n. 133/1997) e, recentemente, anche alla s.r.l. pluripersonale a condizione che la maggioranza dei soci svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e detenga la maggioranza del capitale sociale e degli organi deliberanti della società, art. 5, 3° comma, legge n. 57/200132.

29 Sono escluse le attività agricole e le attività di prestazioni di servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione dei beni o ausiliarie di quest’ultime, di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano accessorie all’esercizio dell’impresa.30E' imprenditore artigiano colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l'impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo. Sono escluse limitazioni alla libertà d'accesso del singolo imprenditore all'attività artigiana e di esercizio della sua professione.31 Art. 3 - Definizione di impresa artigiana E' artigiana l'impresa che, esercitata dall'imprenditore artigiano nei limiti dimensionali di cui alla presente legge, abbia per scopo prevalente lo svolgimento di una attività di produzione di beni, anche semilavorati, o di prestazioni di servizi, escluse le attività agricole e le attività di prestazioni di servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione dei beni o ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano solamente strumentali e accessorie all'esercizio dell'impresa. E' altresì artigiana l'impresa che, nei limiti dimensionali di cui alla presente legge e con gli scopi di cui al precedente comma, è costituita ed esercitata in forma di società, anche cooperativa, escluse le società a responsabilità limitata e per azioni ed in accomandita semplice e per azioni, a condizione che la maggioranza dei soci, ovvero uno nel caso di due soci, svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e che nell'impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale.L'impresa artigiana può svolgersi in luogo fisso, presso l'abitazione dell'imprenditore o di uno dei soci o in appositi locali in altra sede designata dal committente oppure in forma ambulante o di posteggio.In ogni caso, l'imprenditore artigiano può essere titolare di una sola impresa artigiana. 32 Art. 5(Modifiche al decreto-legge n. 857 del 1976, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 39 del 1977)3. Agli effetti di cui al comma 2, per danno biologico si intende la lesione all'integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale. Il danno biologico è risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito del danneggiato.

? Art. 2 - Imprenditore artigiano

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Legge quadro artigianato

Società artigiane

La categoria delle imprese artigiane risulta quindi notevolmente ampliata rispetto alla legge precedente. È scomparso ogni riferimento alla natura artistica o usuale dei beni o servizi prodotti e si qualificano artigiane anche le imprese di costruzioni edili. Inoltre, l’elevazione del numero dei dipendenti consente di conservare la qualifica artigiana anche raggiungendo le dimensioni di una piccola industria di qualità. L’impresa artigiana si caratterizza anche per il rilievo del lavoro personale dell’imprenditore nel processo produttivo e per la funzione preminente del lavoro sul capitale investito, ma da nessuna norma della legge speciale è invece consentito desumere che debba necessariamente ricorrere anche la prevalenza del lavoro proprio e dei componenti della famiglia sul lavoro altrui e sul capitale investito. Perciò, si deve convenire che la legge quadro ha realizzato una frattura rispetto alla legge del 1956 e preclude ogni residua possibilità di ricondurre il nuovo modello di impresa artigiana nell’alveo della definizione codicistica di piccolo imprenditore. Lo scopo della legge quadro era quello di fissare i principi direttivi che dovrebbero essere osservati dalle regioni nell’emanazione dei provvedimenti a favore dell’artigianato, art. 1, 2° comma.Il riconoscimento della qualifica artigiana in base alla legge quadro non basta per sottrarre l’artigiano allo statuto dell’imprenditore commerciale. È necessario altresì che sia rispettato il criterio della prevalenza fissato dall’art. 2083, ed i limiti dimensionali fissati dall’art. 1, 2° comma, legge fallimentare33. In mancanza, l’imprenditore sarà artigiano ai fini delle provvidenze regionali, ma dovrà qualificarsi imprenditore commerciale non piccolo ai fini civilistici e/o del diritto fallimentare, quindi potrà fallire. Non costituisce ostacolo alla dichiarazione di fallimento il riconosciuto carattere costitutivo dell’iscrizione nell’albo delle imprese artigiane, art. 534, dato che l’iscrizione non preclude all’autorità giudiziaria di accertare se effettivamente sussistano i presupposti per il riconoscimento della qualifica di piccolo imprenditore. Secondo la giurisprudenza, l’imprenditore artigiano è soggetto a fallimento quando per l’organizzazione e l’espansione della sua azienda, egli abbia industrializzato la produzione, conferendo al suo guadagno, di regola modesto, i caratteri del profitto.

33 Art. 1. Sostituzione dell'articolo 1del regio decreto 16 marzo 1942, n. 2671. L'articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e' sostituito dal seguente:«Art. 1 (Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo). - Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori.Ai fini del primo comma, non sono piccoli imprenditori gli esercenti un'attività commerciale in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente:a) hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale di valore superiore a euro trecentomila;b) hanno realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro duecentomila.I limiti di cui alle lettere a) e b) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni, con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenute nel periodo di riferimento.». 34 Art. 5 - Albo delle imprese artigiane L'iscrizione all'albo è costitutiva e condizione per la concessione delle agevolazioni a favore delle imprese artigiane. Le imprese artigiane, che abbiano superato, fino ad massimo del 20 per cento e per un periodo non superiore a tre mesi nell'anno, i limiti di cui al primo comma dell'articolo 4, mantengono l'iscrizione all'albo di cui al primo comma del presente articolo. Per la vendita nei locali di produzione, o ad essi contigui, dei beni di produzione propria, ovvero per la fornitura al committente di quanto strettamente occorrente all'esecuzione dell'opera o alla prestazione del servizio commessi, non si applicano alle imprese artigiane iscritte all'albo di cui al primo comma le disposizioni relative all'iscrizione al registro degli esercenti il commercio o all'autorizzazione amministrativa di cui alla legge 11.06.1971, n. 426, fatte salve quelle previste dalle specifiche normative statali.

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Anche l’esonero delle società artigiane al fallimento si deve ritenere cessato. Oggi infatti, non è più possibile sostenere che la legislazione speciale in tema di artigianato configura deroga ai principi fissati dalla legge fallimentare. E ciò per due motivi:- perché la legge del 1985 opera solo ai fini della normativa di

agevolazione;- perché la nuova disciplina fallimentare è univoca nello stabilire che ai

fini della dichiarazione di fallimento rileva solo la definizione di piccolo imprenditore che essa stessa detta all’art. 1, 2° comma35.

Ne consegue che una società artigiana godrà delle provvidenze di cui godono le altre imprese artigiane, ma in caso di dissesto fallirà al pari di ogni altra società che esercita attività commerciale, se supera i limiti dimensionali della piccola impresa.Non è sostenibile che le imprese artigiane siano imprese civili e non commerciali per difetto del requisito dell’industrialità. Oggi, come ieri, l’imprenditore artigiano non è che un piccolo industriale e quindi, giuridicamente, rientra nella categoria degli imprenditori commerciali, infatti, alcune delle attività esercitabili dall’impresa artigiana sono espressamente ricomprese nell’elenco delle attività commerciali di cui all’art. 2195 c.c. In conclusione: Al pari di ogni altro imprenditore commerciale, l’imprenditore artigiano individuale e le società artigiane saranno esonerate dal fallimento solo se in concreto ricorrono i presupposti per poter essere qualificati piccoli imprenditori in base all’art. 1, 2° comma, legge fallimentare.

10. L’IMPRESA FAMILIARE

È impresa familiare l’impresa nella quale collaborano (anche attraverso il lavoro nella famiglia) il coniuge, i parenti entro il terzo grado (fino ai nipoti) e gli affini entro il secondo grado (fino ai cognati) dell’imprenditore: c.d. famiglia nucleare36.

35 Art. 1.Sostituzione dell'articolo 1del regio decreto 16 marzo 1942, n. 2671. L'articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e' sostituito dal seguente:«Art. 1 (Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo). - Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori.Ai fini del primo comma, non sono piccoli imprenditori gli esercenti un'attività commerciale in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente:a) hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale di valore superiore a euro trecentomila;b) hanno realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro duecentomila.I limiti di cui alle lettere a) e b) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni, con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenute nel periodo di riferimento.». 36

Art. 230-bis Impresa familiare Salvo che configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità alla qualità del lavoro prestato. Le decisioni concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano alla impresa stessa. I familiari partecipanti all'impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi. / Il lavoro della donna è considerato equivalente a quello dell'uomo. / Ai fini della disposizione di cui al primo comma si intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo; per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo. / Il diritto di partecipazione di cui al primo comma è intrasferibile, salvo che il trasferimento avvenga a favore di familiari indicati nel comma precedente col consenso di tutti i partecipi. Esso può essere liquidato in danaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione del lavoro, ed altresì in caso di alienazione dell'azienda. Il pagamento può avvenire in più annualità, determinate, in difetto di accordo, dal giudice. / In caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell'azienda i partecipi di cui al

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Società artigiane e falliment

Impresa familiare

L’impresa familiare non va confusa con la piccola impresa. Può aversi piccola impresa senza che sia impresa familiare e viceversa. Il legislatore ha voluto predisporre una tutela minima ed inderogabile del lavoro familiare nell’impresa, attraverso il riconoscimento per i membri della famiglia nucleare che lavorino in modo continuativo nella famiglia e nell’impresa determinati diritti patrimoniali e amministrativi. Sul piano patrimoniale sono riconosciuti i seguenti diritti:

a. diritto al mantenimento, secondo le condizioni patrimoniali della famiglia, anche se non dovuto ad altro titolo (come per i figli maggiorenni);

b. diritto di partecipazione agli utili dell’impresa in proporzione alla quantità del lavoro prestato nell’impresa e nella famiglia;

c. diritto sui beni acquistati con gli utili e sugli incrementi di valore dell’azienda, anche dovuti ad avviamento, sempre in proporzione alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato;

d. diritto di prelazione sull’azienda in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda stessa.

Sul piano gestorio è previsto che le decisioni in merito alla gestione straordinaria dell’impresa e su talune decisioni di particolare rilievo sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa. Ciascun familiare ha diritto a un solo voto e che alle decisioni non prenda parte l’imprenditore in quanto destinatario della decisione adottata dagli altri membri della famiglia.Le decisioni in merito alla gestione ordinaria rientrano nella competenza esclusiva dell’imprenditore e che nessun potere competa al riguarda agli altri familiari. La violazione da parte dell’imprenditore dei poteri gestori ex lege riconosciuti ai familiari lo esporrà al risarcimento dei danni eventuali nei loro confronti, ma non inciderà sulla validità o sull’efficacia degli atti compiuti, che saranno perciò ugualmente validi nei confronti dei terzi. È previsto che il diritto di partecipazione:

è trasferibile solo a favore di altri membri della famiglia nucleare e con il consenso unanime dei familiari già partecipanti;

è inoltre liquidabile in danaro qualora cessi la prestazione di lavoro ed in caso di alienazione dell’azienda.

La disciplina dell’impresa familiare ha sollevato molti problemi interpretativi, sia per quanto riguarda i rapporti interni all’impresa, sia per quanto riguarda i rapporti con i terzi. Problemi condizionati dal fatto se l’impresa familiare resti un’impresa individuale o dia vita a un’impresa collettiva (società, associazione non riconosciuta, associazione in partecipazione). Oggi prevale la tesi secondo cui la disciplina delle prestazioni lavorative dei familiari dell’imprenditore non altera la struttura individuale dell’impresa e non incide sulla titolarità dei beni aziendali, che restano di proprietà esclusiva dell’imprenditore.

primo comma hanno diritto di prelazione sull'azienda. Si applica, nei limiti in cui è compatibile, la disposizione dell'art. 732. Le comunioni tacite familiari nell'esercizio dell'agricoltura (2140) sono regolate dagli usi che non contrastino con le precedenti norme.

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Diritti patrimoniali

Poteri gestori

Trasferimento della partecipazione

Struttura dell’ impresa familiare

Accogliendo questa tesi, i diritti patrimoniali dei partecipanti all’impresa familiare vanno concepiti come semplici diritti di credito nei confronti del familiare imprenditore. L’imprenditore agisce nei confronti dei terzi in proprio e non quale rappresentante dell’impresa familiare, sicché solo a lui saranno imputati gli effetti degli atti posti in essere nell’esercizio dell’impresa e solo lui sarà responsabile nei confronti dei terzi delle relative obbligazioni contratte.Infine, se l’impresa è commerciale (e non piccola) solo l’imprenditore sarà eventualmente esposto al fallimento.

IMPRESA COLLETTIVA. IMPRESA PUBBLICA

11. L’IMPRESA SOCIETARIA

Il terzo ed ultimo criterio di distinzione della disciplina delle imprese è dato dalla natura giuridica del soggetto titolare dell’impresa che distingue fra impresa individuale, impresa societaria ed impresa pubblica.Le società sono le forme associative tipiche, anche se non esclusive37, previste dall’ ordinamento per l’esercizio collettivo di attività di impresa. Esistono diversi tipi di società e la società semplice è utilizzabile solo per l’esercizio di attività non commerciali, mentre le altre società possono svolgere attività commerciali ed agricole. Le società diverse da quella semplice sono dette società commerciali e potranno essere imprenditori agricoli (società commerciali con oggetto agricolo) o imprenditori commerciali (società commerciali con oggetto commerciale) a seconda dell’ attività esercitata. L’applicazione alle società commerciali degli istituti dell’imprenditore commerciale segue alcune regole:

a. Parte della disciplina propria dell’imprenditore commerciale si applica alle società commerciali qualunque sia l’attività svolta, come per l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, (art. 213638 e art. 220039), e per la tenuta delle scritture contabili. Resta invece fermo l’esonero delle società commerciali che gestiscono un’attività agricola dal fallimento e dalle altre procedure concorsuali, art. 222140 e art. 1, 1° comma, legge fallimentare41.

37 Infatti l’attività di impresa può essere svolta anche dalle associazioni, dalle fondazioni, dai consorzi e dal geie38

Art. 2136 Inapplicabilità delle norme sulla registrazione Le norme relative all'iscrizione nel registro delle imprese (2188 e seguenti) non si applicano agli imprenditori agricoli, salvo quanto e disposto dall'art. 2200. 39

Art. 2200 Società Sono soggette all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese le società costituite secondo uno dei tipi regolati nei Capi III e seguenti del Titolo V e le società cooperative (2511 e seguenti), anche se non esercitano un'attività commerciale. L'iscrizione delle società nel registro delle imprese (att. 100) è regolata dalle disposizioni dei Titoli V e VI. 40

Art. 2221 Fallimento e concordato preventivo Gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti, in caso d'insolvenza, alle procedure del fallimento e del concordato preventivo, salve le disposizioni delle leggi speciali. 41

Art. 1 (Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo). Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori.Ai fini del primo comma, non sono piccoli imprenditori gli esercenti un'attività commerciale in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente:a) hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale di valore superiore a euro trecentomila;b) hanno realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro duecentomila.

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Tripartizione soggettiva delle

Tipi societari e impresa

Società e statuto dell’ imprenditore

A seguito della riforma del diritto fallimentare del 2006, anche le società possono essere piccoli imprenditori, e tale società sono esonerate anch’essi dalle procedure concorsuali, art. 1, 2° comma, legge fallimentare.

b. Nelle società in nome collettivo ed in accomandita semplice parte della disciplina dell’imprenditore commerciale trova poi applicazione solo o anche nei confronti dei soci a responsabilità illimitata: tutti i soci nella società in nome collettivo, i soci accomandatari nella società in accomandita semplice.Trovano applicazione solo nei confronti dei soci le norme che

regolano l’esercizio di impresa commerciale da parte di un incapace.

Trova applicazione anche nei confronti dei soci la sanzione del fallimento in quanto il fallimento della società comporta automaticamente il fallimento dei singoli soci a responsabilità illimitata.

12. LE IMPRESE PUBBLICHE

Attività di impresa può essere svolta anche dallo Stato e dagli altri enti pubblici. Ai fini dell’applicazione della disciplina dell’impresa è tuttavia rilevante distinguere fra tre possibili forme di intervento dei pubblici poteri nel settore dell’economia.a. Lo stato o altro ente pubblico territoriale possono svolgere direttamente

attività di impresa avvalendosi di proprie strutture organizzative, prive di distinta soggettività, ma dotate di una più o meno ampia autonomia decisionale e contabile. In questi casi l’attività di impresa è per definizione secondaria ed accessoria rispetto ai fini istituzionali dell’ente pubblico. Si parla perciò di imprese – organo. Es. le aziende municipalizzate, e i monopoli di stato.L’art. 209342, per le imprese-organo, dispone che a tali enti si applicano le disposizioni del libro Quinto del codice civile, limitatamente alle imprese da essi esercitate e nel libro Quinto è compresa la disciplina dell’impresa commerciale. Ma, sono salve le diverse disposizioni di legge. Inoltre, gli enti titolari di imprese-organo sono implicitamente esonerati dall’iscrizione nel registro delle imprese, in quanto prevista solo per gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale, art. 220143. Infine sono esonerati dalle procedure concorsuali.

b. La pubblica amministrazione può dar vita anche ad enti di diritto pubblico il cui compito istituzionale esclusivo o principale è l’esercizio di

I limiti di cui alle lettere a) e b) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni, con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenute nel periodo di riferimento.». 42

Art. 2093 Imprese esercitate da enti pubblici Le disposizioni di questo libro si applicano agli enti pubblici inquadrati nelle associazioni professionali. / Agli enti pubblici non inquadrati si applicano le disposizioni di questo libro, limitatamente alle imprese da essi esercitate. Sono salve le diverse disposizioni della legge43

Art. 2201 Enti pubblici Gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un'attività commerciale (2093) sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese (att. 100).

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Imprese - organo

Enti pubblici economici

attività di impresa. Questi enti sono detti enti pubblici economici. Avevano tale veste giuridica molte banche pubbliche, enti statali ed enti a partecipazione statale. Dagli inizi degli anni ‘90 però questi enti sono stati ristrutturati e con una serie di interventi legislativi sono stati trasformati in spa a partecipazione statale (privatizzazione formale) oppure in spa senza partecipazione statale (privatizzazione sostanziale).Gli enti pubblici economici, che hanno per oggetto esclusivo o principale un’attività, sono sottoposti allo statuto generale dell’imprenditore e, se l’attività è commerciale, sono sottoposti anche allo statuto proprio dell’imprenditore commerciale, con la sola eccezione dell’esonero dal fallimento e dalle procedure concorsuali minori44, sostituiti dalla liquidazione coatta amministrativa o da altre procedure previste dalle leggi speciali. Secondo l’art. 220145, sono obbligati all’iscrizione al registro delle imprese.Se ne deve desumere che gli enti pubblici economici che svolgono attività commerciale accessoria sono sottoposti allo statuto generale dell’imprenditore, nonché a tutte le restanti norme previste per gli imprenditori commerciali, anche all’obbligo di tenuta delle scritture contabili, per il quale manca un’ espressa norma di esonero. Ma vi è anche una parte della dottrina che ritiene che l’esonero dall’iscrizione nel registro delle imprese, per gli enti pubblici che esercitano attività commerciale in via accessoria, debba essere interpretato come espressione di un più generale principio di esonero di tali enti dalla disciplina dell’ imprenditore commerciale. Perciò, agli enti pubblici si applicherebbe solo lo statuto generale dell’imprenditore , mentre sarebbero integralmente sottratti alla disciplina dell’imprenditore commerciale, anche in assenza di norme che dispongano ciò espressamente. Ma questa teoria non può essere condivisa: sia per il generale richiamo di tutta la disciplina di diritto privato

dell’attività di impresa operato dal 2° comma dell’art. 209346 che prevede che agli enti pubblici non inquadrati nelle associazioni professionali si applicano le disposizioni del libro Quinto limitatamente alle imprese da essi esercitate;

44 Art. 2221 Fallimento e concordato preventivo Gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli

imprenditori, sono soggetti, in caso d'insolvenza, alle procedure del fallimento e del concordato preventivo, salve le disposizioni delle leggi speciali. 45

Art. 2201 Enti pubblici Gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un'attività commerciale (2093) sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese (att. 100). 46

Art. 2093 Imprese esercitate da enti pubblici Le disposizioni di questo libro si applicano agli enti pubblici inquadrati nelle associazioni professionali. Agli enti pubblici non inquadrati si applicano le disposizioni di questo libro, limitatamente alle imprese da essi esercitate.

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sia per il carattere eccezionale che si deve riconoscere all’art. 220147

e all’art. 222148 che sottraggono gli enti pubblici alla disciplina dell’impresa commerciale.

c. Lo stato e gli enti pubblici possono infine svolgere attività di impresa servendosi di strutture di diritto privato, in genere di società con partecipazione pubblica, totalitaria, di maggioranza o di minoranza. In questo caso, l’impresa si presenta formalmente come un’impresa societaria privata, come ogni altra società, anche se le azioni o quote appartengono allo Stato o ad altro ente pubblico. Perciò sono soggetti allo statuto dell’imprenditore come ogni altra società.

13. ATTIVITA’ COMMERCIALE DELLE ASSOCIAZIONI E DELLE FONDAZIONI

Le associazioni, le fondazioni e, in generale, tutti gli enti privati con fini ideali o altruistici possono svolgere attività commerciale qualificabile come attività di impresa. Affinché si abbia impresa, l’attività produttiva deve essere condotta con metodo economico e tale metodo può ricorrere anche quando lo scopo perseguito sia ideale. L’esercizio di attività commerciale da parte di tali enti, pur essendo sempre strumentale rispetto allo scopo istituzionale perseguito, può costituirne anche l’oggetto esclusivo e principale. In tal caso l’ente acquista la qualità di imprenditore commerciale e resta esposto a tutte le relative conseguenze, compresa l’esposizione al fallimento in caso di insolvenza, fatta eccezione per le associazioni qualificabili come imprese sociali.Ma è più frequente che l’attività commerciale presenti carattere accessorio rispetto all’ attività ideale costituente l’oggetto principale dell’ente. Ma il carattere accessorio dell’attività commerciale non impedisce l’acquisto della qualità di imprenditore, non potendosi eccepire che manchi il requisito della professionalità: la professionalità non implica che l’attività di impresa sia esclusiva o principale. Per tali enti non è dettata alcuna norma specifica per quanto concerne l’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale, perciò essi acquistano la qualità di imprenditori commerciali con pienezza di effetti anche se l’attività commerciale ha carattere accessorio o secondario. Quindi saranno esposti anche al fallimento. Una parte minoritaria della dottrina e la giurisprudenza ritengono che la disciplina delle imprese commerciali non sia applicabile agli enti di diritto privato diversi dalle società, quando l’attività di impresa abbia carattere accessorio. Ritengono che si debba applicare lo stesso regime dettato per gli enti pubblici titolari di imprese – organo.Si ritiene che l’art. 220149 sia un principio generale valido per tutte le imprese collettive non societarie. Quindi, le associazioni e le fondazioni, che

47 Art. 2201 Enti pubblici

Gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un'attività commerciale (2093) sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese (att. 100). 48

Art. 2221 Fallimento e concordato preventivo Gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti, in caso d'insolvenza, alle procedure del fallimento e del concordato preventivo, salve le disposizioni delle leggi speciali. 49

Art. 2201 Enti pubblici Gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un'attività commerciale (2093) sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese (att. 100).

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Società a partecipazione pubblica

Attività commerciale principale

Attività commerciale accessoria

esercitano attività commerciale in via accessoria sarebbero esonerate dall’intero statuto dell’ imprenditore commerciale. Cioè sarebbero imprenditori, ma non imprenditori commerciali. Ma questa tesi non può essere condivisa per due motivi:

1. l’art. 2201 è una norma eccezionale che trova fondamento nella struttura pubblicistica dell’ente, il che è sufficiente per respingere l’applicazione ad enti di diritto privato quali l’associazione o la fondazione;

2. l’art. 2201 si limita a prevedere l’esonero dalla registrazione e non può essere inteso come esonero degli enti pubblici titolari di imprese – organo dall’intero statuto degli imprenditori commerciali. Tanto è vero che per le procedure concorsuali è dettata una espressa norma, l’art. 222150.

In conclusione: le associazioni e le fondazioni esercenti attività commerciale in forma di impresa diventano sempre e comunque imprenditori commerciali e restano esposte al fallimento, senza possibilità di operare distinzioni in base al carattere principale o accessorio dell’attività di impresa.Problema è invece se il fallimento di un’associazione non riconosciuta comporti anche il fallimento degli associati illimitatamente responsabili. Ma dalla formulazione dell’art. 147, 1° comma, legge fallimentare51, dall’art. 9 del d.lgs. 240/1991, è desumibile che il fallimento di un’impresa collettiva senza scopo di lucro non comporta il fallimento di chi risponde illimitatamente per le relative obbligazioni.

14. L’IMPRESA SOCIALE

Secondo l’art. 1, 1° comma, d.lgs. 155/2006 prevede che possono acquistare la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale. Inoltre l’impresa sociale non ha scopo di lucro. L’impresa sociale è impresa in base all’art. 208252, perché è espressamente tenuta ad operare con metodo economico. Nulla vieta, inoltre, che l’esercizio dell’attività imprenditoriale produca un avanzo dei ricavi sui costi, detto avanzo di gestione. È vietata solo l’autodestinazione degli utili, che devono essere destinati allo svolgimento dell’attività o all’incremento del patrimonio dell’ente.Inoltre sul patrimonio grava un vincolo di indisponibilità, in quanto, né durante l’esercizio dell’impresa, né allo scioglimento, è possibile distribuire fondi o riserve a vantaggio di coloro che fanno parte dell’organizzazione:

50 Art. 2221 Fallimento e concordato preventivo

Gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti, in caso d'insolvenza, alle procedure del fallimento e del concordato preventivo, salve le disposizioni delle leggi speciali. 51 Art. 147 (Società con soci a responsabilità illimitata). La sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili.52

Art. 2082 Imprenditore E' imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata (2555, 2565) al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi

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Fallimento associati

Oggetto

Scopo non lucrativo

amministratori, partecipanti, lavoratori, collaboratori, art. 3, 2° comma, d.lgs. 155/200653. In caso di cessazione dell’impresa, il patrimonio residuo è devoluto ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale, associazioni, comitati, fondazioni ed enti ecclesiastici, secondo l’art. 13, 3° comma, d.lgs. 155/200654. L’art. 13, 1° comma, inoltre, stabilisce che l’assenza di lucro venga preservato in caso di operazioni di trasformazione, fusione e scissione cui partecipi l’impresa sociale, o di cessione dell’azienda.Le finalità di interesse generale dell’impresa sociale sono favorite dal legislatore con alcuni privilegi.Il primo privilegio è quello di potersi organizzare in qualsiasi forma di organizzazione privata. In particolare può essere impiegato qualsiasi forma societaria anche se l’impresa non ha uno scopo lucrativo. Inoltre, più imprese sociali possono formare fra loro un gruppo di imprese, holding.Invece, non possono avere la forma di imprese sociali, secondo l’art. 1, 2° comma55:- le amministrazioni pubbliche;- le organizzazioni che erogano beni e servizi esclusivamente a favore dei

propri soci, associati o partecipi.L’impresa sociale non è un nuovo tipo di ente diverso da quelli già previsti e regolati dall’ordinamento, bensì una qualifica che gli enti di diritto privato possono assumere a certe condizioni e che comporta l’applicazione di una disciplina speciale. Ne consegue che, ove non espressamente derogata, continuerà a trovare applicazione la disciplina propria dell’ente che esercita l’impresa sociale.Il secondo privilegio è quello di poter limitare a certe condizioni la responsabilità patrimoniale dei partecipanti, anche quando è impiegata una forma giuridica che prevedrebbe la responsabilità personale illimitata di costoro.

53 Art. 3. Assenza dello scopo di lucro 1. L'organizzazione che esercita un'impresa sociale destina gli utili e gli avanzi di gestione allo svolgimento dell'attivita' statutaria o ad incremento del patrimonio.2. A tale fine e' vietata la distribuzione, anche in forma indiretta, di utili e avanzi di gestione, comunque denominati, nonche' fondi e riserve in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori. Si considera distribuzione indiretta di utili:a) la corresponsione agli amministratori di compensi superiori a quelli previsti nelle imprese che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni, salvo comprovate esigenze attinenti allanecessita' di acquisire specifiche competenze ed, in ogni caso, con un incremento massimo del venti per cento;b) la corresponsione ai lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori a quelli previsti dai contratti o accordi collettivi per le medesime qualifiche, salvo comprovateesigenze attinenti alla necessita' di acquisire specifiche professionalita';c) la remunerazione degli strumenti finanziari diversi dalle azioni o quote, a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, superiori di cinque punti percentuali al tasso ufficiale di riferimento.54 Art. 13. Trasformazione, fusione, scissione e cessione d'azienda e devoluzione del patrimonio1. Per le organizzazioni che esercitano un'impresa sociale, la trasformazione, la fusione e la scissione devono essere realizzate in modo da preservare l'assenza di scopo di lucro di cui all'articolo 3 dei soggetti risultanti dagli atti posti in essere; la cessione d'azienda deve essere realizzata in modo da preservare il perseguimento delle finalita' di interesse generale di cui all'articolo 2 da parte del cessionario. Per gli enti di cui di cui all'articolo 1, comma 3, la disposizione di cui al presente comma si applica limitatamente alle attivita' indicate nel regolamento.3. Salvo quanto previsto in tema di cooperative, in caso di cessazione dell'impresa, il patrimonio residuo e' devoluto ad organizzazioni non lucrative di utilita' sociale, associazioni, comitati, fondazioni ed enti ecclesiastici, secondo le norme statutarie. La disposizione di cui al presente comma non si applica agli enti di cui all'articolo 1, comma 3.55 Art. 1. Nozione2. Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e le organizzazioni i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l'erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci, associati o partecipi non acquisiscono la qualifica di impresa sociale.

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Soggetti

Privilegi

Responsabilità

Più precisamente: se l’impresa sociale è dotata di un patrimonio netto di almeno ventimila euro, dal momento dell’iscrizione nel registro delle imprese risponde delle obbligazioni assunte soltanto l’organizzazione con il suo patrimonio. Qualora, però, il patrimonio diminuisca per perdite di oltre un terzo ( a meno di 13.333 euro), delle obbligazioni assunte ne rispondono personalmente e solidalmente anche coloro che hanno agito in nome e per conto dell’impresa, ma non gli altri soci.Di fatto, la limitazione di responsabilità opera solo a vantaggio delle imprese sociali in bonis, ma cessa quando il patrimonio diventa insufficiente. Le imprese sociali sono soggette, anche, a delle regole speciali per quanto riguarda l’applicazione degli istituti tipici dell’imprenditore commerciale. Indipendentemente dalla natura agricola o commerciale dell’attività esercitata, esse:

a. devono iscriversi in un’apposita sezione del registro delle imprese, art. 556;

b. devono redigere le scritture contabili, art. 1057;c. in caso di insolvenza, sono assoggettate alla liquidazione coatta

amministrativa, invece che a fallimento, art. 1558.Le organizzazioni che intendono assumere la qualifica di impresa sociale devono costituirsi per atto pubblico, osservando le disposizioni in merito all’atto costitutivo.L’atto costitutivo deve:

1) determinare l’oggetto sociale, individuandolo fra le attività di utilità sociale riconosciute dalla legge;

2) enunciare l’assenza dello scopo di lucro;3) indicare la denominazione dell’ente, integrata dalla locuzione

“impresa sociale”, art. 759;4) fissare i requisiti e regole per la nomina dei componenti delle

cariche sociali;5) disciplinare le modalità di ammissione ed esclusione dei soci, nel

rispetto del principio della non discriminazione, art. 960;

56 Art. 5. Costituzione2. Gli atti costitutivi, le loro modificazioni e gli altri fatti relativi all'impresa devono essere depositati entro trenta giorni a cura del notaio o degli amministratori presso l'ufficio del registrodelle imprese nella cui circoscrizione e' stabilita la sede legale, per l'iscrizione in apposita sezione. Si applica l'articolo 31, comma 2, della legge 24 novembre 2000, n. 340.57 Art. 10. Scritture contabili1. L'organizzazione che esercita l'impresa sociale deve, in ogni caso, tenere il libro giornale e il libro degli inventari, in conformita' alle disposizioni di cui agli articoli 2216 e 2217 del codice civile, nonche' redigere e depositare presso il registro delle imprese un apposito documento che rappresenti adeguatamente la situazione patrimoniale ed economica dell'impresa.58 Art. 15. Procedure concorsuali1. In caso di insolvenza, le organizzazioni che esercitano un'impresa sociale sono assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa, di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. La disposizione di cui al presente comma non si applica agli enti di cui all'articolo 1, comma 3.59

Art. 7. Denominazione1. Nella denominazione e' obbligatorio l'uso della locuzione: «impresa sociale».2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli enti di cui all'articolo 1, comma 3.3. L'uso della locuzione: «impresa sociale» ovvero di altre parole o locuzioni idonee a trarre in inganno e' vietato a soggetti diversi dalle organizzazioni che esercitano un'impresa sociale.60

Art. 9. Ammissione ed esclusione1. Le modalita' di ammissione ed esclusione dei soci, nonche' la disciplina del rapporto sociale sono regolate secondo il principio di non discriminazione, compatibilmente con la forma giuridica dell'ente.2. Gli atti costitutivi devono prevedere la facolta' dell'istante che dei provvedimenti di diniego di ammissione o di esclusione possa essere investita l'assemblea dei soci.

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Impresa sociale e statuto dell’impresa commercial

Costituzione e atto costitutivo

6) prevedere forme di coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari dell’ attività di impresa nell’assunzione delle decisioni che possono incidere direttamente sulle condizioni di lavoro e sulla qualità delle prestazioni erogate, art. 1261. Devono essere coinvolti anche i lavoratori volontari.

7) prevedere una forma di controllo contabile affidato ad uno o più revisori contabili, iscritti presso il registro del Ministero della Giustizia, ed una forma di controllo di legalità della gestione e del rispetto dei principi di corretta amministrazione, che è riservato ad uno o più sindaci. A questi sindaci, che devono vigilare anche sull’osservanza delle finalità sociali dell’impresa, è riconosciuto, in qualsiasi momento, il potere di ispezione e controllo e di chiedere notizie agli amministratori.

Le imprese sociali sono sottoposte anche a dei controlli esterni da parte del Ministero del Lavoro, che può procedere ad ispezioni. Il Ministero del Lavoro può anche disporre la perdita della qualifica di impresa sociale in due circostanze:- se rileva l’assenza delle condizioni per il riconoscimento (natura di ente

privato, attività in settori di utilità sociale, assenza dello scopo di lucro, indipendenza da enti pubblici o imprese lucrative);

- se riscontra violazione della disciplina e, diffidati gli organi direttivi a porre fine ai comportamenti illegittimi, l’impresa non ottempera entro un congruo termine.

Ne consegue la cancellazione dell’impresa dal registro e l’obbligo di devolvere il patrimonio ad enti non lucrativi determinati dallo statuto, art. 16, 4° comma62.

61 Art. 12. Coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari delle attivita'

1. Ferma restando la normativa in vigore, nei regolamenti aziendali o negli atti costitutivi devono essere previste forme di coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari delle attivita'.2. Per coinvolgimento deve intendersi qualsiasi meccanismo, ivi comprese l'informazione, la consultazione o la partecipazione, mediante il quale lavoratori e destinatari delle attivita' possono esercitare un'influenza sulle decisioni che devono essere adottate nell'ambito dell'impresa, almeno in relazione alle questioni che incidano direttamente sulle condizioni di lavoro e sulla qualita' dei beni e dei servizi prodotti o scambiati. 62 Art. 16. Funzioni di monitoraggio e ricerca4. In caso di accertata violazione delle norme di cui agli articoli 1, 2, 3 e 4, o di mancata ottemperanza alla intimazione di cui al comma 3, gli uffici competenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali dispongono la perdita della qualifica di impresa sociale. Il provvedimento e' trasmesso ai fini della cancellazione dell'impresa sociale dall'apposita sezione del registro delle imprese.

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Controllo interno

Controlli esterni

L’ACQUISTO DELLA QUALITA’ DI IMPRENDITORE

1. PREMESSA

L’acquisto della qualità di imprenditore è presupposto per l’applicazione ad un dato soggetto del complesso di norme che l’ordinamento ricollega a tale qualifica e, se l’attività è commerciale, di quelle specificatamente dettate per l’imprenditore commerciale.Si diventa imprenditore commerciale, secondo l’art. 208263, con l’esercizio di attività di impresa. Per poter affermare che un soggetto è diventato imprenditore è necessario che l’esercizio dell’attività di impresa sia a lui giuridicamente riferibile, sia a lui imputabile. L’art. 2082 nulla dice in merito al momento in cui deve ritenersi iniziato l’esercizio dell’impresa, con conseguente acquisto della qualità di imprenditore. E nulla dice circa il momento finale dell’attività di impresa, con conseguente perdita della qualità di imprenditore.

L’IMPUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ DI IMPRESA

2. ESERCIZIO DIRETTO DELL’ATTIVITA’ DI IMPRESA

Principio generale del nostro ordinamento è che centro di imputazione degli effetti dei singoli atti giuridici posti in essere è il soggetto e solo il soggetto il cui nome è stato validamente speso nel traffico giuridico. Solo costui è obbligato nei confronti del terzo contraente. Questo criterio di imputazione degli effetti attivi e passivi degli atti negoziali, spendita del nome, risponde ad esigenze di certezza giuridica ed è chiaramente enunciato in tema di mandato senza rappresentanza. Il mandatario è un soggetto che opera nell’interesse di un altro soggetto e può porre in essere i relativi atti giuridici sia spendendo il proprio nome (mandato senza rappresentanza, art. 170564) sia spendendo il nome del mandante, se questi gli ha conferito il potere di agire in suo nome, cioè se gli ha conferito il potere di rappresentanza, mandato con rappresentanza, art. 170465. L’imputazione degli effetti degli atti posti in essere dal mandatario è retta da principi contrapposti a seconda che il mandato sia o meno con

63 Art. 2082 Imprenditore. E' imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata (2555, 2565) al fine della

produzione o dello scambio di beni o di servizi.64

Art. 1705 Mandato senza rappresentanza. Il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato. I terzi non hanno alcun rapporto col mandante. Tuttavia il mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del manda, salvo che ciò possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario dalle disposizioni degli articoli che seguono. 65

Art. 1704 Mandato con rappresentanza. Se al mandatario è stato conferito il potere di agire in nome del mandante, si applicano anche le norme del capo VI del titolo II di questo libro (1387 e seguenti).

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CAP. 3

Spendita del nome

rappresentanza, anche se in entrambi i casi il reale interessato è il mandante:

- quando il mandatario agisce in nome del mandante, tutti gli effetti negoziali si producono direttamente nella sfera giuridica del mandante, art. 138866;

- quando il mandatario agisce in proprio nome, secondo l’art. 170567, acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato. I terzi non hanno alcun rapporto con il mandante.

Quindi, è il principio formale della spendita del nome, e non il criterio sostanziale della titolarità dell’interesse economico, che domina nel nostro ordinamento l’imputazione dei singoli atti giuridici e dei loro effetti. In conclusione: la qualità di imprenditore è acquistata, con pienezze di effetti, dal soggetto e solo dal soggetto il cui nome è speso nel compimento dei singoli atti di impresa. Diventa imprenditore colui che esercita personalmente l’attività di impresa compiendo in nome proprio gli atti relativi. Non diventa imprenditore chi esercita l’altrui impresa quando operi spendendo il nome dell’imprenditore, per effetto del potere di rappresentanza conferitogli dall’imprenditore o riconosciutogli dalla legge.Perciò, quando gli atti di impresa sono compiuti tramite rappresentante, imprenditore diventa il rappresentato e non il rappresentante. E ciò anche quando il rappresentante abbia ampi poteri decisionali in merito agli atti di impresa, mentre il rappresentato (l’imprenditore) ne è privo, tanto da poter affermare che l’attività di impresa è sostanzialmente esercitata dal rappresentante.

3. ESERCIZIO INDIRETTO DELL’ATTIVITA’ DI IMPRESA. LA TEORIA DELL’ IMPRENDITORE OCCULTO.

L’esercizio di attività di impresa può dar luogo a una dissociazione fra il soggetto cui è formalmente imputabile la qualità di imprenditore ed il reale interessato.Questo fenomeno è detto esercizio dell’impresa tramite interposta persona. Si hanno due soggetti:

- il soggetto (persona fisica o giuridica) che compie in nome proprio i singoli atti di impresa, detto imprenditore palese o prestanome;

- e il soggetto (persona fisica o giuridica) che somministra al prestanome i mezzi finanziari necessari, dirige di fatto l’impresa e fa propri i guadagni, detto imprenditore occulto o indiretto.

Questo modo di operare solleva dei problemi quando gli affari vanno male ed il prestanome sia una persona fisica nullatenente o una spa o srl con

66 Art. 1388 Contratto concluso dal rappresentante. Il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell'interesse del rappresentato , nei

limiti delle facoltà conferitegli , produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato.67

Art. 1705 Mandato senza rappresentanza. Il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato. I terzi non hanno alcun rapporto col mandante. Tuttavia il mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del manda, salvo che ciò possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario dalle disposizioni degli articoli che seguono.

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Esercizio tramite rappresentante

Pericoli per i creditori

capitale irrisorio, detta società di comodo o etichetta. Ciò potrebbe causare notevoli ripercussioni nei confronti dei creditori, soprattutto se piccoli.Infatti i creditori potrebbero provocare il fallimento del prestanome, in quanto esso ha agito in nome proprio ed ha perciò acquistato la qualità di imprenditore commerciale. Ma, essendo nullatenente o quasi, i creditori non potranno ricavarne nulla. Con ciò il rischio di impresa non sarà sopportato dal reale imprenditore, ma da questi è trasferito, attraverso l’imprenditore palese, sui creditori.Parte della dottrina ha ritenuto di poter neutralizzare questi pericoli negativi per i creditori, derivanti dall’applicazione del principio della spendita del nome, escludendo che la stessa sia requisito necessario ai fini dell’imputazione della responsabilità per i debiti dell’impresa. Per l’attività di impresa opererebbero dei principi che consentirebbero di imputare anche all’imprenditore occulto i debiti contratti dall’imprenditore palese, e quindi di sottoporre anche l’imprenditore occulto al fallimento.La responsabilità cumulativa dell’imprenditore palese e dell’imprenditore occulto, con esclusione di quest’ultima dal fallimento, è stata affermata muovendo dall’idea che nel nostro ordinamento giuridico è espressamente sanzionata la inscindibilità del rapporto del rapporto potere-responsabilità. Chi esercita il potere di direzione di un’impresa se ne assume necessariamente anche il rischio e risponde delle relative obbligazioni. Tale principio si desume da una serie di norme dettate in tema di società di persone:

- l’art. 2267, 1° comma, che ammette la possibilità di limitare la responsabilità dei soci nei confronti dei creditori, ma esclude che possa essere limitata la responsabilità dei soci amministratori;

- l’art. 2291, che esclude che sia efficace nei confronti dei terzi la limitazione di responsabilità dei soci di una snc;

- l’art. 2318, che affermano che l’amministrazione della sas può essere conferita soltanto ai soci accomandatari (che hanno una responsabilità illimitata);

- l’art. 2320, che afferma la perdita del beneficio della responsabilità limitata per i soci accomandanti di una sas che compiano atti di amministrazione;

- l’art. 2362, modificato dal d.lgs. n° 6/2003, che prevede la responsabilità illimitata del socio unico di una spa;

- l’art. 2497, modificato dal d.lgs. n° 6/2003, che prevede la responsabilità illimitata del socio unico di una srl.

Esso consentirebbe di affermare che, quando l’attività di impresa è esercitata tramite prestanome, responsabili verso i creditori sono sia il prestanome sia l’imprenditore occulto, anche se solo il prestanome acquista la qualità di imprenditore e, quindi, sia senz’altro esposto al fallimento, dato che è stato speso solo il suo nome. Secondo la teoria dell’imprenditore occulto, l’imprenditore occulto non solo risponderà insieme al prestanome, ma fallirà sempre e comunque qualora fallirà il prestanome. La parificazione sul piano della responsabilità

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Rimedi

Teoria del potere di impresa

Teoria dell’ imprenditore occulto

di impresa sarebbe giustificata dall’art. 147, 2° comma della legge fallimentare; oggi 4° comma68.Tale norma completa il principio secondo cui il fallimento di una società comporta il fallimento dei soci a responsabilità illimitata e dispone che il fallimento della società si estenda ai soci la cui esistenza sia scoperta dopo la dichiarazione di fallimento della società e dei soci palesi. Cioè, si abbia fallimento del socio occulto di società palese. La teoria proseguiva affermando che l’art. 147, 2° comma, legge fallimentare, fosse applicabile per analogia alla diversa ipotesi in cui i soci abbiano occultato l’esistenza stessa della società. Ossia quando si è in presenza di una società occulta, dove chi contratta con i terzi si presenta come imprenditore individuale ma in realtà è socio occulto di una società occulta.Oggi, il fallimento dei soci occulti di una società occulta è disposto espressamente dal 5° comma dell’art. 147, legge fallimentare69. Se fallisce la società occulta è inevitabile che fallisca anche l’imprenditore occulto.È affermata anche la responsabilità del socio tiranno di una spa, cioè dell’azionista che usa la società come cosa propria e ne dispone a suo piacimento con l’assoluto disprezzo delle regole fondamentali del diritto societario. Regole violate anche attraverso la confusione dei patrimoni della società e del socio. È affermata anche la responsabilità del socio sovrano, cioè dell’azionista che, pur rispettando le regole di funzionamento della società, in fatto domini la società in forza del possesso di un pacchetto azionario di controllo. In conclusione: si sanziona con la responsabilità personale e con il fallimento ogni forma di dominio occulto o palese dell’altrui impresa.

10. CRITICA. L’IMPUTAZIONE DEI DEBITI DI IMPRESA.

Entrambe le tesi si fondano sulla presunta esistenza nel nostro ordinamento di due criteri generali di imputazione della responsabilità per debiti di impresa:a. il criterio formale della spendita del nome, in base alla quale acquista la

qualità di imprenditore, con pienezza di effetti, la persona fisica o la società nel cui nome l’attività di impresa è svolta;

b. il criterio sostanziale del potere di direzione, in base al quale risponderebbe e fallirebbe anche il reale interessato.

Ma quest’ultima affermazione non può essere condivisa, in quanto né le norme societarie né la legge fallimentare consentono di dimostrare che un soggetto può essere chiamato a rispondere, né ad assumere la qualità di imprenditore, solo perché egli è il vero imprenditore di un’impresa

68Art. 147 (Società con soci a responsabilità illimitata).

4. Allo stesso modo si procede, qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l'impresa e' riferibile ad una società di cui il fallito e' socio illimitatamente responsabile.69

Art. 147 (Società con soci a responsabilità illimitata). Allo stesso modo si procede, qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l'impresa e' riferibile ad una società di cui il fallito e' socio illimitatamente responsabile.

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Socio occulto

Società occulta

Socio tiranno

Criteri di imputazione dei debiti di impresa

individuale formalmente imputabile ad altro soggetto o di una società di capitali. Non lo dimostra la disciplina societaria in quanto è vero che nelle società di persone il socio amministratore non può limitare la propria responsabilità, ma non è vero che la responsabilità illimitata è indissolubilmente legata al potere di gestione.Infatti, nella snc tutti i soci rispondono illimitatamente anche se la gestione è riservata solo ad alcuni soci. Così come per i soci accomandatari della sas. L’assunto che nelle società di capitali la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali sia legata al potere di gestione è smentito dalla disciplina introdotta, dapprima dal d.lgs. del 1993 per le srl e, nel 2003 per le spa.Infatti, non basta più essere unico socio per incorrere in responsabilità illimitata, ma è necessario che vi siano altre condizioni oggettive e formali. Condizioni che la riforma del 2003 ha ridotto di numero e rigore, favorendo il mantenimento della limitazione di responsabilità da parte del socio unico.Il collegamento indissolubile fra potere di gestione e responsabilità illimitata non è dimostrabile neppure in base all’art. 147 della legge fallimentare70.La teoria dell’imprenditore occulto fonda le sue conclusione su un’estensione analogica: dal fallimento del socio occulto di società palese e dal fallimento del socio occulto di una società occulta, passa per analogia, al fallimento dell’imprenditore occulto. Ma non è così.Nel fallimento del socio occulto di società palese (regolata dall’art. 147, 4° comma) è fuori contestazione che esista una società con soci a responsabilità illimitata, che il soggetto successivamente scoperto sia socio di questa società e che gli atti di impresa siano posti in essere in nome della società. Ciò che è stato occultato è il numero reale dei soci e il socio occulto fallisce per lo stesso motivo per cui falliscono i soci palesi, ossia perché fa parte della società. Quindi per un criterio formale : la partecipazione a una società di persone. Nel fallimento del socio occulto di società occulta (regolata dall’art. 147, 5° comma) è fuori contestazione che esiste una società a responsabilità illimitata e che i soggetti successivamente scoperti ne facciano parte. I soci occulti sono tuttavia chiamati a rispondere di atti posti in essere non in nome della società, ma in nome di un socio che opera con i terzi come mandatario senza rappresentanza. I soci occulti, mediante la non 70 Art. 147 (Società con soci a responsabilità illimitata). La sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili.Il fallimento dei soci di cui al comma primo non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata anche in caso di trasformazione, fusione o scissione, se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati. La dichiarazione di fallimento e' possibile solo se l'insolvenza della società attenga, in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata.Il tribunale, prima di dichiarare il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, deve disporne la convocazione a norma dell'articolo 15.Se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l'esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, dichiara il fallimento dei medesimi.Allo stesso modo si procede, qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l'impresa e' riferibile ad una società di cui il fallito e' socio illimitatamente responsabile.Contro la sentenza del tribunale e' ammesso appello a norma dell'articolo 18.In caso di rigetto della domanda, contro il decreto del tribunale l'istante può proporre reclamo alla corte d'appello a norma dell'articolo 22.

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Critica dal diritto societario

Critica dal diritto fallimentare

esteriorizzazione del vincolo sociale, cercano di sottrarsi al fallimento personale ed alla responsabilità illimitata per i debiti sociali, che sono invece regole inderogabili del tipo di società scelto (snc). Ma, i soci che intendono limitare la propria responsabilità per i debiti sociali devono farlo costituendo un diverso tipo societario, che preveda tale beneficio. Ciò che l’ordinamento intende colpire è l’uso distorto della forma societaria. Anche i soci occulti di società occulta falliscono e rispondono in base a un criterio formale ed oggettivo : la partecipazione ad una società di persone. L’art. 147, 1° comma, della legge fallimentare, circoscrive il fallimento dei soci illimitatamente responsabili a tre soli tipi societari: snc, sas, sapa. Pertanto, non falliscono né l’unico azionista, né il socio unico di srl, anche se rispondono illimitatamente dei debiti sociali. Dall’art. 147, 4° e 5° comma, legge fallimentare, si può desumere il principio che chi è socio di una srl risponde verso i terzi anche se la sua partecipazione alla società non è esteriorizzata o se non è stata esteriorizzata l’esistenza della società stessa. Non può essere chiamato a rispondere chi non è socio. Nel rapporto fra imprenditore occulto e imprenditore palese non vi è nessuna società, dato che nel rapporto che si instaura fra i due soggetti, mancano tutti gli elementi costitutivi del contratto di società: fondo comune, esercizio in comune dell’ attività, divisione degli utili. Il prestanome è solo mandatario senza rappresentanza dell’ imprenditore occulto e non suo socio. Quindi, la situazione giuridica è diversa da quella prevista dall’art. 147, 4° e 5° comma. Perciò, a seguito del fallimento della società occulta, non vi è, per analogia, responsabilità illimitata dell’imprenditore occulto di un’altrui impresa individuale o di una società di capitali.Ciò trova conferma nei principi che regolano le società di capitali. In queste è sempre individuabile un socio o un gruppo di soci che in fatto controlla e dirige la società. Ma costoro non sono in quanto tali chiamati dal legislatore a rispondere personalmente dei debiti della società. Ne rispondono solo quando ricorre la situazione formale ed oggettiva della concentrazione di tutte le azioni o quote nelle mani di un solo soggetto e le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni. Con la riforma del diritto societario del 2003 è stata introdotta la disciplina dell’attività di direzione e coordinamento di società . Le nuove norme riconoscono infatti che le società o gli enti che esercitano il potere di direzione e coordinamento su altre società possono incorrere in responsabilità nei confronti dei soci e dei creditori di quest’ultime società, in caso di abuso del potere di controllo, ossia quando la controllante ha agito nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società controllate, art. 2497, 1° comma71 (così come modificato dal d.lgs. n° 6/2003).

71 2497. (Responsabilità). Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a

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Validità del solo criterio formale

Disciplina dell’ attività di direzione e coordinamento

Regole che non vengono considerate dalla teoria dell’imprenditore occulto quando afferma la responsabilità illimitata e l’esposizione al fallimento sia del socio tiranno che del socio sovrano, di chi abusa e di chi usa lo schermo societario. In conclusione: è vero che la spendita del nome non è il solo criterio di imputazione dei debiti di impresa, ma è anche vero che tale imputazione è pur sempre retta da indici esclusivamente formali ed oggettivi (qualità di socio illimitatamente responsabile, mancato rispetto della disciplina dei conferimenti e della pubblicità nelle società unipersonale, abuso del potere di direzione e coordinamento). Perciò, il dominio di fatto non è condizione sufficiente per esporre a responsabilità e fallimento, né determina di per sé l’acquisto della qualità di imprenditore. Ma questo regime è iniquo e pericoloso in quanto, non chiamando a rispondere chi comanda dietro le quinte, si danneggiano i creditori dell’imprenditore palese. Ma, l’opposta soluzione, avvantaggerebbe tali creditori oltre i limiti della tutela dell’affidamento poiché finirebbero col giovarsi di un patrimonio (quello dell’imprenditore occulto), su cui non potevano fare affidamento quando concessero il credito al prestanome. Tutto ciò a scapito dei creditori personali dell’imprenditore occulti, che vedrebbero concorrere sul patrimonio del loro debitore anche i creditori del prestanome, di cui ignoravano l’esistenza, con altrettanto ingiusta lesione del loro affidamento. Quindi vi sono creditori da tutelare da ogni parte.

5. UNA TECNICA PER REPRIMERE GLI ABUSI

Il dominio di fatto su un’impresa individuale o societaria, formalmente imputabile ad altro soggetto, non implica di per sé responsabilità illimitata per i debiti di impresa. Diverse tecniche sono state proposte per affermare, in applicazione e non in deroga ai criteri di imputazione previsti dall’ordinamento, la responsabilità personale e l’esposizione al fallimento di chi abusi della posizione di dominio su una società di capitali. La giurisprudenza ritiene che i comportamenti tipici del socio tiranno possono integrare gli estremi di una autonoma attività di impresa di un’impresa di finanziamento e/o gestione a latere della o delle società di capitale dominate. Pertanto, sempre che ricorrano i requisiti fissati dall’art. 208272, il socio o i soci che hanno abusato dello schermo societario risponderanno come titolari di un’autonoma impresa commerciale individuale o societaria (società di fatto), per le obbligazioni da loro contratte nello svolgimento dell’attività fiancheggiatrice della società di capitale ed in quanto tali potranno fallire sempreché si accerti l’insolvenza della loro impresa.

seguito di operazioni a ciò dirette.Risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.

72 Art. 2082 Imprenditore. E' imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello

scambio di beni o di servizi

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L’impresa fiancheggiatrice

Questa tecnica tutela in modo pieno e diretto solo i creditori delle società di capitali che hanno titolo per agire anche contro il socio e quindi i creditori più forti, ma va a vantaggio anche degli altri creditori.

INIZIO E FINE DELL’IMPRESA

6. L’INIZIO DELL’IMPRESA

La qualità di imprenditore si acquista con l’effettivo inizio dell’esercizio dell’attività di impresa. Non è sufficiente l’intenzione di dare inizio all’attività, anche se esternata con la richiesta delle eventuali autorizzazioni amministrative necessarie o con l’iscrizione in albi o registri. L’effettivo inizio fa acquistare la qualità di imprenditore indipendentemente dalle intenzioni del soggetto agente ed anche se l’attività è esercitata in violazione di norme amministrative abilitanti. La stessa iscrizione nel registro delle imprese non è condizione né necessaria né sufficiente per l’attribuzione della qualità di imprenditore commerciale.Le società acquisterebbero la qualità di imprenditore fin dal momento della loro costituzione e, quindi, prima ed indipendentemente dall’effettivo inizio dell’attività produttiva. Fin dalla costituzione si applicherebbe nei loro confronti tutta la disciplina dell’imprenditore. Per le società lo svolgimento di attività di impresa costituisce la ragione stessa della loro costituzione e ciò rende superfluo l’accertamento del concreto inizio dell’attività programmata. Accertamento, invece, richiesto per le persone fisiche. È vero che per le società non è necessario l’accertamento dei requisiti della organizzazione e della professionalità richiesti dall’art. 2082, ma è anche vero che, rispetto all’attività di impresa, la costituzione della società non è che una dichiarazione programmatica e tale resta fin quando non si dia inizio alla fase attuativa. Ma, l’art. 2082 ricollega l’acquisto della qualità di imprenditore all’ esercizio e non alla mera intenzione di esercitare attività di impresa. Quindi, il principio dell’effettività può e deve trovare applicazione anche per le società.

7. ATTIVITA’ DI ORGANIZZAZIONE E ATTIVITA’ DI ESERCIZIO

Per stabilire quando si ha l’effettivo inizio dell’attività di impresa bisogna distinguere a seconda che il compimento di atti tipici di impresa (atti di esercizio) sia o meno preceduta da una fase organizzativa (atti di organizzazione) oggettivamente percepibile. In mancanza di tale fase preparatoria, solo la ripetizione nel tempo di atti di impresa omogenei e funzionalmente coordinati renderà certo che non si tratta di atti occasionali, bensì di attività professionalmente esercitata. Anche un solo atto di esercizio sarà sufficiente per affermare che l’attività è iniziata. Non sarà necessario concludere il ciclo produttivo con la vendita del prodotto. La stabile organizzazione è già di per sé indice non equivoco di attività professionale.

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Principio di effettività

Società

Comunque la qualità di imprenditore si acquista già nella fase preliminare di organizzazione e prima del compimento del primo atto di gestione. Infatti, anche l’ organizzazione della produzione è attività imprenditoriale ed è un’attività che pone esigenze di tutela dei creditori non diverse da quelle che sorgono durante l’esercizio.In conclusione: anche gli atti di organizzazione sono atti di impresa e possono essere equiparati agli atti di gestione non preceduti da una fase organizzativa. Per le persone fisiche, gli atti di organizzazione determineranno l’acquisto della qualità di imprenditore e l’esposizione al fallimento quando, per il loro numero e per la loro significatività, manifestano in modo non equivoco lo stabile orientamento dell’attività verso un determinato fine produttivo, sia pure non ancora realizzato.Per le società, anche un singolo atto di organizzazione imprenditoriale, particolarmente qualificato, sarà di regola sufficiente per affermare che l’attività di impresa è iniziata.

8. LA FINE DELL’IMPRESA

In passato, mentre per l’imprenditore individuale era pacifico che la qualità di imprenditore si perdesse solo con l’effettiva cessazione dell’attività (principio di effettività), per le società il punto era controverso.Una parte della giurisprudenza riteneva che le società non potessero mai considerarsi estinte fin quando non fossero state cancellate dal registro delle imprese.Il dibattito era alimentato dalla versione originale dell’art. 10 legge fallimentare che disponeva che l’imprenditore commerciale poteva essere dichiarato fallito entro un anno dalla cessazione dell’impresa. La fine dell’impresa è preceduta da una fase di liquidazione, in cui l’imprenditore termine il ciclo produttivo iniziato, vende le giacenze e gli impianti, licenzia i dipendenti e definisce i rapporti pendenti. Nessuno dubitava sul fatto che la fase di liquidazione costituisse ancora esercizio dell’impresa e che la qualità di imprenditore si perdesse con la chiusura della fase di liquidazione. Secondo la giurisprudenza, la fase di liquidazione poteva ritenersi chiusa solo con la definitiva disgregazione del complesso aziendale, che rende definitiva ed irrevocabile la cessazione.Per l’imprenditore individuale la giurisprudenza precisava che non era necessario che fossero stati definiti i rapporti sorti durante l’esercizio dell’impresa, cioè non era necessario che fossero stati riscossi tutti i crediti e fossero stati pagati tutti i debiti. Se l’impresa dovesse ritenersi in vita fin quando vi fossero state passività, il vecchio art. 10 sarebbe stato privo di significato: l’anno per la dichiarazione

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Fase di liquidazione

Situazione previgente

di fallimento avrebbe cominciato a decorrere da quando l’insolvenza in pratica non era più possibile essendo stati pagati tutti i creditori. Per le società, si riteneva che perdessero la qualità di imprenditore con la cancellazione dal registro delle imprese. Secondo la giurisprudenza, la cancellazione avrebbe presupposto non solo la disgregazione dell’azienda, ma anche l’integrale pagamento delle passività ad opera dei liquidatori e la definizione dei rapporti con i soci. Solo da tale momento avrebbe iniziato a decorrere il termine previsto dall’art. 10 legge fallimentare, che si presentava inapplicabile alle società. Se si verificava che creditori ritardatari (quasi sempre fisco e istituti previdenziali) avessero delle pretese dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese, la giurisprudenza affermava che, nonostante fosse cancellata dal registro delle imprese, la società si riteneva esistente ed esposta al fallimento fin quando non fosse stato pagato l’ultimo debito. Quindi l’art. 10 legge fallimentare non valeva per le società, in quanto una società poteva fallire anche dopo anni dalla cessazione dell’attività di impresa e dalla cancellazione dal registro delle imprese.La situazione cambiò a seguito degli interventi della Corte Costituzionale a partire dal 1999. Infatti, dapprima, la Corte dichiarò incostituzionale la parte dell’art. 10 legge fallimentare, dove non prevedeva che il termine di un anno per la dichiarazione di fallimento della società decorresse dalla cancellazione della società stessa dal registro delle imprese, a prescindere dall’integrale pagamento dei debiti. In seguito, la Corte, al fine di non provocare disparità con l’imprenditore individuale, sostenne che anche per quest’ultimo il termine annuale dovesse decorrere dalla cancellazione dal registro delle imprese, salva però la possibilità per i creditori di dimostrare la prosecuzione dell’attività da parte dell’imprenditore individuale anche dopo la cancellazione. Il d.lgs. n° 5/2006 ha riformato l’art. 10 legge fallimentare per conformarlo con i principi enunciati dalla Corte Costituzionale. Il nuovo articolo 10 legge fallimentare dispone ora che gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente dalla stessa o entro l’anno successivo. In caso di impresa individuale o di cancellazione d’ufficio degli imprenditori collettivi è fatta salva la facoltà di dimostrare il momento effettivo della cessazione dell’attività da cui decorre il termine di un anno. L’attuale norma permette di affermare che per gli imprenditori collettivi (società) la qualità di imprenditore è oggi regolata dal criterio formale della cancellazione dal registro delle imprese, anche se non sono stati pagati tutti i debiti sociali. Da questo momento decorre il termine annuale per la dichiarazione di fallimento. Ne consegue che le società irregolari (non iscritte al registro delle imprese) e le società occulte potranno essere dichiarate fallite senza limiti di tempo finché sussistono debiti insoluti. Ma questo principio non vale per gli imprenditori individuali, in quanto il secondo comma dell’art. 10 legge fallimentare consente ai creditori di

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Interventi della Corte Costituzionale

Riforma del 2006

dimostrare che l’imprenditore commerciale ha proseguito l’attività nonostante la cancellazione. Ma, la norma permette anche allo stesso imprenditore di dimostrare che l’attività sia cessata prima della cancellazione, per anticipare il decorso del termine annuale. Quindi, la cancellazione dal registro delle imprese costituisce solo una presunzione di avvenuta cessazione dell’attività d’impresa, ma in realtà è sempre il principio di effettività che governa la perdita della qualità di imprenditore e l’applicazione dell’ art. 10 legge fallimentare.Ciò ripropone la disparità di trattamento fra imprenditore individuale e società, dato che tra la cessazione effettiva dell’attività di impresa e la cancellazione dal registro possono trascorrere dei mesi. Sembrerebbe plausibile estendere per analogia la soluzione prevista per la cancellazione d’ufficio dell’imprenditore collettivo, e consentire ai creditori la prova che la società ha fraudolentemente continuato l’attività anche dopo la cancellazione.Ma il recente intervento legislativo non ha previsto tale eventualità, lasciando la disparità di trattamento.

CAPACITA’ E IMPRESA

9. INCAPACITA’ E INCOMPATIBILITA’

La capacità all’esercizio di un’attività di impresa si acquista con la piena capacità di agire e quindi con il compimento della maggiore età.Si perde in seguito ad interdizione o inabilitazione.L’esercizio di attività di impresa da parte di un incapace non fa sorgere la qualità di imprenditore in capo all’incapace, anche se i singoli atti compiuti restano validi.Non sono limitazioni alla capacità di agire, ma incompatibilità, i divieti di esercizio di impresa commerciale posti a carico di coloro che esercitano determinati uffici o professioni. La violazione di tale divieti non preclude l’acquisto della qualità di imprenditore, ma espone solo a sanzioni amministrative e ad un aggravamento delle sanzioni penali per bancarotta in caso di fallimento, art. 219 legge fallimentare.Non impedisce l’acquisto della qualità di imprenditore commerciale nemmeno l’ inabilitazione temporanea all’esercizio di attività commerciale che consegue alla condanna per bancarotta o per ricorso abusivo al credito in caso di fallimento, art. 216 legge fallimentare.

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10. L’IMPRESA COMMERCIALE DELL’INCAPACE

È possibile l’esercizio di attività di impresa per conto e nell’interesse di un incapace (minore e interdetto) o da parte di soggetti limitatamente capaci di agire (inabilitato, minore emancipato, beneficiario di amministrazione di sostegno), con l’osservanza delle disposizioni dettate a riguardo.Il codice non prevede regole particolari per l’attività agricola, sicché si applicano le norme di diritto comune che regolano il compimento di atti giuridici da parte di un incapace.È prevista, invece, una disciplina specifica per l’attività commerciale.L’amministrazione del patrimonio degli incapaci è regolata in modo da garantirne la conservazione e l’integrità impedendo che lo stesso venga impiegato in operazione aleatorie o di pura sorte.Perciò il rappresentante legale del minore o dell’interdetto è legittimato a compiere solo gli atti di ordinaria amministrazione, mentre quelli di straordinaria amministrazione possono essere compiuti solo in caso di necessità o di utilità evidente, accertata dall’autorità giudiziaria con autorizzazione concessa atto per atto. Gli stessi principi reggono il compimento di atti giuridici da parte dell’ inabilitato o del minore emancipato, che agiscono personalmente con l’assistenza di un curatore. Il legislatore considera con sfavore l’impiego del patrimonio di un incapace in attività commerciali e in tale prospettiva pone un divieto assoluto di iniziare impresa commerciale per il minore, l’interdetto e l’inabilitato.Per il minore emancipato è consentito solo la continuazione dell’esercizio di un’attività commerciale preesistente, quando ciò sia utile per l’incapace e purché la continuazione sia autorizzata dal tribunale.

MINORE e INTERDETTO. In nessun caso è consentito l’inizio di una nuova impresa commerciale in nome e nell’interesse del minore. Quando questi acquista, per successione ereditaria o per donazione, una preesistente attività commerciale, il rappresentante legale può essere autorizzato dal tribunale a continuare l’esercizio dell’impresa. Per evitare l’ interruzione temporanea dell’attività, il giudice tutelare può consentire l’esercizio provvisorio dell’impresa fin quando il tribunale non abbia autorizzato la continuazione, art. 320 5° comma73, art. 371 2° comma74. Una volta autorizzato definitivamente l’esercizio dell’impresa, il genitore o il tutore è legittimato a compiere tutti gli atti che rientrano nell’esercizio dell’impresa, siano essi di ordinaria amministrazione che di straordinaria amministrazione. Sono soggetti a specifica autorizzazione quegli atti che non sono finalizzati alla gestione dell’ impresa.

INABILITATO. L’inabilitato è un soggetto con capacità di agire limitata agli atti di ordinaria amministrazione. Per essi è vietato iniziare una nuova

73 Art. 320, 5° comma. L'esercizio di una impresa commerciale (2195) non può essere continuato se non con l'autorizzazione del tribunale su parere del giudice tutelare. Questi può consentire l'esercizio provvisorio dell'impresa, fino a quando il tribunale abbia deliberato sulla istanza74 Art. 371, 2° comma. Nel caso in cui il giudice stimi evidentemente utile per il minore la continuazione dell'esercizio dell'impresa, il tutore deve domandare l'autorizzazione del tribunale. In pendenza della deliberazione del tribunale il giudice tutelare può consentire l'esercizio provvisorio dell'impresa

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Principi ispiratori

Minore

Inabilitato

Amministrazione di sostegno

attività commerciale, mentre è consentito solo la continuazione di un’attività commerciale preesistente, art. 42575. Una volta autorizzata la continuazione dell’impresa, l’inabilitato potrà esercitare personalmente l’impresa, sia pure con l’assistenza del curatore e con il consenso di quest’ultimo per gli atti di straordinaria amministrazione.Il tribunale può subordinare l’autorizzazione alla nomina di un institore (direttore generale); nomina che può essere fatta dallo stesso inabilitato col consenso del curatore.

MINORE EMANCIPATO. Il minore emancipato può essere autorizzato dal tribunale all’inizio di una nuova attività commerciale, art. 39776. Con l’autorizzazione il minore emancipato acquista la piena capacità di agire, potendo gestire l’impresa senza l’assistenza di un curatore e potrà compiere anche atti di straordinaria amministrazione.

BENEFICIARIO DI AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO. Esso conserva capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza dell’ amministrazione di sostegno, art. 490. Di conseguenza, egli potrà liberamente iniziare o proseguire un’attività di impresa senza assistenza, salvo che il giudice tutelare disponga diversamente nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno o con successivo decreto motivato, art. 405 e 410.

I provvedimenti autorizzativi del tribunale e i provvedimenti di revoca dell’ autorizzazione sono soggetti ad iscrizione nel registro delle imprese, art. 219877. L’esercizio autorizzato dell’impresa da parte del tribunale determina l’acquisto della qualità di imprenditore commerciale da parte dell’incapace. Tale qualità è acquistata dal minore emancipato e dall’inabilitato, in quanto l’impresa è da essi esercitata personalmente. Tale qualità è acquistata anche dal minore e dall’interdetto, in quanto tutti gli atti sono compiuti dal rappresentante legale in loro nome. L’incapace resta esposto, perciò, a tutte le conseguenze che derivano dalla qualità di imprenditore commerciale, compresa l’esposizione al fallimento.

75 Art. 425 Esercizio dell'impresa commerciale da parte dell'inabilitato

L'inabilitato può continuare l'esercizio dell'impresa commerciale soltanto se autorizzato dal tribunale su parere del giudice tutelare. L'autorizzazione può essere subordinata alla nomina di un institore. 76

Art. 397 Emancipato autorizzato all'esercizio di un'impresa commerciale Il minore emancipato può esercitare un'impresa commerciale senza l'assistenza del curatore, se è autorizzato dal tribunale, previo parere del giudice tutelare e sentito il curatore (2198; att. 100). L'autorizzazione può essere revocata dal tribunale su istanza del curatore o d'ufficio, previo, in entrambi i casi, il parere del giudice tutelare e sentito il minore emancipato. Il minore emancipato, che è autorizzato all'esercizio di una impresa commerciale, può compiere da solo gli atti che eccedono l'ordinaria amministrazione, anche se estranei all'esercizio dell'impresa77

Art. 2198 Minori interdetti e inabilitati I provvedimenti di autorizzazione all'esercizio di una impresa commerciale da parte di un minore emancipato (397) o di un inabilitato (425; att. 199) o nell'interesse di un minore non emancipato (320, 371) o di un interdetto (424) e i provvedimenti con i quali l'autorizzazione viene revocata devono essere comunicati senza indugio a cura del cancelliere all'ufficio del registro delle imprese per l'iscrizione.

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Minore emancipato

LO STATUTO DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE

1. PREMESSA

L’imprenditore commerciale è destinatario di una particolare disciplina dell’attività, in parte comune con gli altri imprenditori, detto statuto generale dell’imprenditore, in parte propria e specifica, detto statuto speciale dell’imprenditore commerciale. Inoltre ci sono alcuni tipi di imprese commerciali, che svolgono attività di particolare rilievo economico e/o sociale, che sono destinatarie di un’ulteriore normativa speciale e settoriale, prevista da leggi speciali. Esempio ne sono le imprese bancarie, le imprese assicurative, le imprese editoriali, le società di revisione contabile, le società di gestione di organismi di investimento collettivo e le società di investimento a capitale variabile ( Sicav), le società di intermediazione mobiliare (Sim).

LA PUBBLICITA’ LEGALE

2. LA PUBBLICITA’ DELLE IMPRESE COMMERCIALI

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CAP. 4

Da sempre gli imprenditori avvertono l’esigenza di poter disporre con facilità di informazioni veritiere e non contestabili sulle aziende con cui entrano in contatto. Cioè hanno la necessità di ricevere e dare informazioni di carattere organizzativo rilevanti per il sicuro svolgimento della vita economica.Per le imprese commerciali tale esigenza è stata soddisfatta dal legislatore con l’ introduzione di un sistema di pubblicità legale. Cioè, ha previsto l’obbligo di rendere di pubblico dominio determinati atti o fatti della vita dell’impresa, secondo forme e modalità predeterminate per legge. In tal modo, le informazioni ritenute legislativamente rilevanti:

a. sono rese accessibili ai terzi interessati, pubblicità notizia;b. sono opponibili a chiunque, conoscibilità legale.

Il codice civile del 1942 prevedeva come strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali non piccole e delle società commerciali il registro delle imprese. L’entrata in funzione del registro delle imprese era però subordinata a dei regolamenti di attuazione che sono arrivati solo nel 1995. Nel frattempo, ha trovato applicazione il regime transitorio, imperniato sull’iscrizione nei preesistenti registri di cancelleria del Tribunale e sull’esonero temporaneo dall’iscrizione degli imprenditori commerciali individuali e degli enti pubblici economici. Quindi, il sistema di pubblicità legale operava solo per le società commerciali e per i consorzi con attività esterna. Nell’attesa del registro delle imprese la situazione si è ulteriormente complicata con l’ introduzione di nuove forme di pubblicità per le società di capitali e delle società cooperative.Per le società di capitali, nel 1969, fu prevista, per una serie di atti, la pubblicazione nel Bollettino ufficiale delle società per azioni a responsabilità limitata, Busarl, in aggiunta all’iscrizione nel registro delle imprese (cancelleria del tribunale).Per le società cooperative , nel 1973, fu introdotta la pubblicazione nel Bollettino ufficiale delle società cooperative e dei consorzi di cooperative, Busc, sempre in aggiunta all’iscrizione nel registro delle imprese.Inoltre, leggi speciali, prevedettero ulteriori adempimenti pubblicitari, con valore di pubblicità notizia. Infatti, chiunque esercitasse l’industria, il commercio o l’agricoltura era tenuto all’ iscrizione nel registro delle ditte, tenuto dalla Camera di Commercio. Quindi anche i piccoli imprenditori e le imprese agricole.Ne risultava un sistema di pubblicità delle imprese disorganico e complesso.Dopo numerosi tentativi falliti, la situazione si sblocca con la legge n. 580/1993, contenente norme per il riordino delle camere di commercio. Tale legge all’art. 8, e il successivo regolamento di attuazione (d.p.r. n. 581/1995, modificato dal d.p.r. n.559/1996) hanno finalmente istituito il registro delle imprese, che è divenuto operativo solo dal 1997, ponendo fine al regime transitorio.

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Funzione

Registro delle imprese

Regime transitorio

Il nuovo registro delle imprese

Ha cessato di esistere il registro delle ditte, sono state soppresse il Busarl e il Busc, sicché per tutte le società di capitali e cooperative l’unico sistema di pubblicità legale è il registro delle imprese. La nuova disciplina del registro delle imprese ha però introdotto alcune novità rispetto al sistema previsto dal codice del 1942:

a. L’attuale registro delle imprese non è più solo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali, ma è anche strumento di informazione sui dati organizzativi di tutte le altre imprese. Infatti, l’iscrizione nel registro delle imprese è stata estesa agli imprenditori agricoli78, ai piccoli imprenditori, alle società semplici e con la legge n. 96/2001 è stata estesa anche alle società tra avvocati. Nel contempo, presso il registro delle imprese, è stato istituito il Repertorio delle notizie economiche e amministrative (Rea), destinato a raccogliere notizie di carattere economico, statistico ed amministrativo, con esclusione delle notizie già iscritte nel registro delle imprese.

b. La tenuta del registro delle imprese è affidata alle camere di commercio, con cessazione dei compiti in passato svolte dalle cancellerie del tribunale.

c. Il registro delle imprese è tenuto con tecniche informatiche, in modo da assicurare completezza ed organicità della pubblicità, e garantire tempestività dell’informazione su tutto il territorio nazionale.Il registro delle imprese è pubblico. Chiunque può consultarne i dati

sui terminali installati presso l’ufficio o su terminali collegati tramite il sistema informatico delle camere di commercio (Telemaco).

Ciascun ufficio rilascia certificati e copie di atti tratti dai propri archivi informatici.

3. IL REGISTRO DELLE IMPRESE

L’ufficio del registro delle imprese è istituito presso la camera di commercio di ogni provincia, art. 8, 1° comma, legge 580/199379, ed è retto da un conservatore (segretario generale o dirigente) nominato dalla giunta della camera di commercio.L’attività dell’ufficio è svolta sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale della provincia, art. 8, 2° comma, legge 580/199380.

78 Dapprima con effetto di pubblicità notizia (legge n. 580/1993) e oggi con effetti di pubblicità legale per gli imprenditori agricoli (legge n. 228/2001).79 Art. 8   Registro delle imprese1. E' istituito presso la camera di commercio l'ufficio del registro delle imprese di cui all'articolo 2188 del codice civile. 80 Art. 8   Registro delle imprese 2. L'ufficio provvede alla tenuta del registro delle imprese in conformità agli articoli 2188 e seguenti del codice civile, nonché alle disposizioni della presente legge e al regolamento di cui al comma 8 del presente articolo, sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale del capoluogo di provincia.

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Registro informatico

Il registro delle imprese è attualmente articolato in:- una sezione ordinaria, e- varie sezioni speciali.

Nella sezione ordinaria sono iscritti gli imprenditori per i quali l’iscrizione nel registro delle imprese era già previsto dal codice del 1942 e produce gli effetti di pubblicità legale. Infatti, sono tenuti all’iscrizione nella sezione ordinaria, secondo l’art. 7 della legge 581/199581:

a. gli imprenditori individuali commerciali non piccoli;82

b. tutte le società tranne la società semplice, anche se non svolgono attività commerciale;

c. i consorzi fra imprenditori con attività esterna;d. i gruppi europei di interesse economico, Geie, con sede in Italia;e. gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale

un’attività commerciale;83 f. le società estere che hanno in Italia la sede dell’amministrazione

ovvero l’oggetto principale della loro attività.

La sezioni speciali sono attualmente tre:1. nella prima, sono iscritti gli imprenditori che secondo il codice civile ne erano esonerati e per i quali l’iscrizione, introdotta dalla riforma del 1993, aveva funzione di pubblicità notizia; cioè: gli imprenditori agricoli individuali, i piccoli imprenditori, le società semplici e gli imprenditori artigiani qualificabili come piccoli imprenditori;2. nella seconda, sono iscritti le società tra professionisti; attualmente si iscrivono solo le società fra avvocati, con funzione di pubblicità notizia;3. nella terza, si iscrivono le società o gli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento su altre società e quelle che vi sono

81 Art. 7. Registro delle imprese.

1. Il registro delle imprese, tenuto secondo il modello approvato con decreto del Ministero dell'industria, è unico e comprende le sezioni speciali (1). 2. Nel registro delle imprese sono iscritti: a) i soggetti previsti dalla legge e in particolare: 1) gli imprenditori di cui all'art. 2195 del codice civile; 2) le società di cui all'art. 2200 del codice civile; 3) i consorzi di cui all'art. 2612 del codice civile e le società consortili di cui all'art. 2615-ter del codice civile; 4) i gruppi europei di interesse economico di cui al decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240; 5) gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un'attività commerciale, di cui all'art. 2201 del codice civile; 6) le società che sono soggette alla legge italiana ai sensi dell'art. 25 della legge 31 maggio 1995, n. 218; 7) gli imprenditori agricoli di cui all'art. 2135 del codice civile; 8) i piccoli imprenditori di cui all'art. 2083 del codice civile; 9) le società semplici di cui all'art. 2251 del codice civile; b) gli atti previsti dalla legge. 3. I soggetti previsti nei numeri 7), 8) e 9) del comma 2 sono iscritti nelle corrispondenti sezioni speciali del registro delle imprese. I coltivatori diretti sono iscritti nella sezione speciale dei piccoli imprenditori. I singoli partecipanti alle comunioni tacite familiari di cui all'art. 230-bis, ultimo comma, del codice civile, sono iscritti, quali imprenditori individuali, nella sezione dei piccoli imprenditori o in quella degli imprenditori agricoli (2). 4. Le persone fisiche, le società e i consorzi iscritti negli albi di cui alla legge 8 agosto 1985, n. 443, sono altresì annotati in apposita sezione speciale per le imprese artigiane. 5. La bollatura e la numerazione dei libri e delle scritture contabili obbligatori previsti dall'art. 2214 del codice civile sono memorizzate nel registro delle imprese a fini di mera ricognizione dell'avvenuta formalità. La bollatura e la numerazione eseguite dal notaio sono comunicate all'ufficio entro il mese successivo. La numerazione di ogni libro o scrittura contabile è progressiva per ciascun imprenditore ad eccezione dei libri-giornale sezionali per i quali ogni libro ha numerazione separata e progressiva. 6. La numerazione dell'iscrizione degli imprenditori è annuale e progressiva, e comprende anche le sezioni speciali. 82 Compresi gli artigiani non qualificabili come piccoli imprenditori.83 Non sono invece soggetti a iscrizione gli enti pubblici che esercitano attività commerciale in via accessoria, cioè le imprese-organo

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Sezione ordinaria

Sezioni speciali

soggette, in aggiunta all’ iscrizione nel registro a cui ciascuna di queste società è tenuta ad iscriversi.

Il d.lgs. n. 155/2006 ha previsto un’ulteriore sezione speciale, per l’iscrizione delle imprese sociali. Ma, attualmente, manca il relativo regolamento attuativo.

Gli atti e i fatti da registrare sono specificati da una serie di norme e sono diversi a seconda della struttura soggettiva dell’impresa. Riguardano, essenzialmente:

- gli elementi di individuazione dell’imprenditore e dell’impresa84, - la struttura e l’organizzazione delle società85.

Le iscrizioni devono essere fatte nel registro delle imprese della provincia in cui l’ impresa ha sede e, per agevolare i terzi, negli atti e nella corrispondenza deve essere indicato il registro presso cui l’iscrizione è avvenuta.86 L’iscrizione è eseguita su domanda dell’interessato ma può avvenire anche d’ufficio se l’iscrizione è obbligatoria e l’interessato non vi provvede. D’ufficio può essere disposta anche la cancellazione di un’iscrizione avvenuta senza che esistano le condizioni richieste dalla legge. Può essere disposta d’ufficio la cancellazione dell’impresa che ha cessato l’attività, qualora l’imprenditore non vi provveda e l’ufficio rileva talune circostanze fissate dalla legge, che dimostrino la definitiva assenza di vitalità dell’impresa. In ogni caso, l’ufficio del registro, prima di procedere all’iscrizione, deve controllare che il fatto o l’atto è soggetto a iscrizione e che la documentazione è formalmente regolare, nonché l’esistenza e la veridicità dell’atto o del fatto (legalità formale).È controverso che il controllo possa investire anche la validità dell’atto (legalità sostanziale) e quindi, che l’ufficio possa rilevare cause di nullità dell’atto stesso. Tuttavia, per gli atti societari sottoposti a controllo notarile di legalità (atto costitutivo e sue modifiche), l’ufficio del registro può e deve verificare solo la regolarità formale della documentazione presentata.

L’iscrizione deve essere eseguita senza indugio e comunque entro dieci giorni dalla data di protocollo della domanda, mediante inserimento dei dati nella memoria informatica e messa degli stessi a disposizione del pubblico.Contro il provvedimento motivato di rifiuto dell’iscrizione, il richiedente può ricorrere entro otto giorni al giudice del registro, che provvede con decreto.Contro il decreto del giudice del registro può essere presentato ricorso al tribunale che provvede anch’esso con decreto. Al tribunale può essere presentato ricorso anche contro il decreto del giudice del registro che dispone l’iscrizione o la cancellazione di ufficio.

84 Dati anagrafici dell’imprenditore, ditta, oggetto, sedi dell’azienda, inizio e fine dell’attività, ecc.85 Atto costitutivo e sue modificazioni, nomina e revoca degli amministratori, dei sindaci, dei liquidatori, ecc.86 L’imprenditore che istituisce sedi secondarie con rappresentanza stabile, deve chiedere, con unica domanda, l’ iscrizione sia presso l’ufficio del registro della provincia dove vi è la sede principale dell’impresa, sia presso l’ufficio del registro della provincia dove vi è la sede secondaria.

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Atti da registrare

Procedimento

Cancellazione d’ufficio

Iscrizione

Controllo d’ufficio

Ricorso

L’inosservanza dell’iscrizione al registro delle imprese è punita con sanzioni amministrative pecuniarie, art. 219487, e con sanzione indirette, come il mancato decorso del termine annuale per la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore che ha cessato l’attività e dell’ex socio.L’iscrizione al registro delle imprese non è più condizione di ammissione al concordato preventivo.

Per quanto riguarda gli effetti dell’iscrizione, è necessario distinguere fra l’ iscrizione nella sezione ordinaria e quella nelle sezioni speciali.L’iscrizione nella sezione ordinaria ha sempre funzione di pubblicità legale e, a seconda dei casi, ha anche efficacia dichiarativa, costitutiva o normativa. Di regola, l’iscrizione nella sezione ordinaria ha semplicemente efficacia dichiarativa. Cioè, i fatti o gli atti iscritti sono opponibili a chiunque e lo sono dal momento della loro registrazione, c.d. efficacia positiva immediata. Intervenuta la registrazione, i terzi non potranno eccepire l’ignoranza del fatto o dell’atto iscritto. L’omessa iscrizione invece impedisce che il fatto o l’atto possa essere opposto ai terzi, c.d. efficacia negativa. Tuttavia, l’imprenditore potrà dimostrare che, nonostante l’omessa registrazione, i terzi hanno avuto ugualmente conoscenza effettiva del fatto o dell’atto. In alcune ipotesi, tassativamente previste, l’iscrizione ha efficacia costitutiva, ossia l’iscrizione è presupposto affinché l’atto sia produttivo di effetti, sia fra le parti, che per i terzi, detta efficacia costitutiva totale, oppure solo nei confronti dei terzi, detta efficacia costitutiva parziale. Ha efficacia costitutiva totale l’iscrizione, nel registro delle imprese, dell’atto costitutivo delle società di capitali e delle società cooperative. Prima della registrazione queste società non esistono giuridicamente. Infine, in altri casi, l’iscrizione può avere efficacia normativa, ossia l’iscrizione nella sezione ordinaria è presupposto per l’applicazione di un determinato regime giuridico. La snc e la sas vengono ad esistenza anche se non registrate, ma la mancata registrazione impedisce che operi il regime di autonomia patrimoniale proprio di tale società e comporta l’applicazione del regime più gravoso dettato per le ss. Tale società si dicono società irregolari. L’iscrizione nelle sezioni speciali del registro, oltre agli eventuali effetti previsti da leggi speciali, ha solo funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia. Perciò, l’iscrizione consente di prendere visione degli atti o dei fatti iscritti, ma non li rende opponibili ai terzi dovendosi provare l’effettiva conoscenza. L’art. 2 del d.lgs. 228/2001 ha stabilito che per gli imprenditori agricoli anche piccoli e per le ss esercenti attività agricola, l’iscrizione nella sezione speciale ha anche efficacia di pubblicità legale.

87 Art. 2194 Inosservanza dell'obbligo d'iscrizione

Salvo quanto disposto dagli artt. 2626 e 2634, chiunque omette di richiedere l'iscrizione nei modi e nel termine stabiliti dalla legge, è punito con l'ammenda da L 20.000 a L. 1.000.000 (att. 100) (Ora sanzione amministrativa).

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Sanzioni

Effetti

Così è stata cancellata la diversità di disciplina fra imprenditore agricolo e imprenditore commerciale ed è venuta meno la distinzione fra sezione ordinaria e sezioni speciali introdotta dalla riforma del 1993.

4. LA PUBBLICITA’ DELLE SOCIETA’ DI CAPITALI E DELLE COOPERATIVE

La normativa di attuazione del registro delle imprese del 1993 aveva lasciato inalterate alcune previsioni, cioè:

a. la disciplina della pubblicità delle società di capitali introdotta dal d.p.r. 1127/1969, che prevedeva per una serie di atti la pubblicazione nel Busarl in aggiunta all’iscrizione nel registro delle imprese, facendo decorrere gli effetti della sola pubblicità dichiarativa dalla pubblicazione nel Busarl e non dall’ iscrizione nel registro delle imprese;

b. la disciplina della pubblicità delle società cooperative introdotta dall’art. 9 della legge 256/1993, che prevedeva per una serie di atti la pubblicazione nel Busc in aggiunta all’iscrizione nel registro delle imprese, ma solo con effetti di pubblicità notizia.

L’intervenuta informatizzazione del registro delle imprese, del Busarl e del Busc aveva finito col rendere inutile questi bollettini, e quindi sono stati soppressi a decorrere dal 1° ottobre 1997. Ne consegue che unico strumento di pubblicità legale delle società di capitali e delle società cooperative torna ad essere il registro delle imprese, così come previsto dal legislatore nel codice del 1942. Ma restano due differenze:

a. mentre in base alla disciplina generale del registro delle imprese gli atti iscritti sono immediatamente opponibili ai terzi senza possibilità per quest’ultimi di eccepire l’ignoranza degli stessi, per le sole società di capitali l’opponibilità diventa piena solo dopo 15 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese. Per le operazione compiute in questi 15 giorni i terzi potranno provare di essere stati nell’impossibilità di avere conoscenza dell’atto;

b. restano ferme alcune disposizioni che prevedono per alcuni atti delle società di capitali e delle società cooperative la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale anziché nel registro delle imprese. Esempio la convocazione dell’assemblea della spa.

LE SCRITTURE CONTABILI

5. L’OBBLIGO DI TENUTA DELLE SCRITTURE CONTABILI

La vita delle imprese si sviluppa attraverso una serie continuata di atti di scambio che modificano continuamente la consistenza quantitativa e la composizione qualitativa del patrimonio dell’imprenditore. La

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Riforma del 1993

Soppressione del Busarl e Busc

Norme speciali

programmazione dell’attività di impresa presuppone perciò una costante informazione ed un costante controllo sull’ andamento degli affari. Informazione e controllo facilitati da un sistema di rilevazione contabile dei fatti aziendali. Altresì è regola razionale di condotta delle imprese accertare periodicamente la consistenza quantitativa e monetaria del patrimonio, attività e passività, nonché i costi sopportati e i ricavi realizzati nello stesso periodo al fine di verificare se e quale sia l’utile conseguito o la perdita subita.Le scritture contabili sono i documenti che contengono la rappresentazione, in termini quantitativi e/o monetari, dei singoli atti di impresa, della situazione del patrimonio dell’imprenditore e del risultato economico dell’attività svolta. Le scritture contabili contribuiscono a rendere razionale ed efficiente l’organizzazione e la gestione dell’impresa e perciò sono di regola spontaneamente tenute da qualsiasi imprenditore. Tuttavia, la tenuta delle scritture contabili è un obbligo per tutti gli imprenditori che esercitano attività commerciale, art. 221488. Ma non vi è una coincidenza fra la categoria degli imprenditori commerciali e coloro che secondo il codice civile sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili. Infatti, la disciplina della tenuta delle scritture contabili prevista dal codice civile non si applica ai piccoli imprenditori, art. 2214, 3° comma, e quindi nemmeno ai piccoli imprenditori che esercitano attività commerciale. Inoltre, le società commerciali devono ritenersi obbligate alla tenuta delle scritture commerciali anche se non esercitano attività commerciale. Vi è l’obbligo di tenuta delle scritture contabili anche per gli enti pubblici e per gli enti di diritto privato diversi dalla società che svolgono attività commerciale in via secondaria ed accessoria, sia pure limitatamente all’attività commerciale esercitata. Infine, sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili anche le imprese sociali, art. 10 d.lgs. 155/200689, indipendentemente dalla natura commerciale o agricola dell’ attività esercitata.

6. LE SCRITTURE CONTABILI OBBLIGATORIE. REGOLARITA’ E CONTROLLLO

Le scritture necessarie per un’ordinata contabilità variano a seconda del tipo di attività, delle dimensioni e dell’articolazione territoriale dell’impresa.

88 Art. 2214 Libri obbligatori e altre scritture contabili

L'imprenditore che esercita un'attività commerciale (2195) deve tenere il libro giornale e il libro degli inventari. Deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa (att. 200) e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle lettere ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite (2709 e seguenti). Le disposizioni di questo paragrafo non si applicano ai piccoli imprenditori (2083). 89 Art. 10. Scritture contabili1. L'organizzazione che esercita l'impresa sociale deve, in ogni caso, tenere il libro giornale e il libro degli inventari, in conformita' alle disposizioni di cui agli articoli 2216 e 2217 del codice civile, nonche' redigere e depositare presso il registro delle imprese un apposito documento che rappresenti adeguatamente la situazione patrimoniale ed economica dell'impresa.2. L'organizzazione che esercita l'impresa sociale deve, inoltre, redigere e depositare presso il registro delle imprese il bilancio sociale, secondo linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentita l'Agenzia per le organizzazioni non lucrative di utilita' sociale, in modo da rappresentare l'osservanza delle finalita' sociali da parte dell'impresa sociale.3. Per gli enti di cui all'articolo 1, comma 3, le disposizioni di cui al presente articolo si applicano limitatamente alle attivita' indicate nel regolamento.

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Nozione

Soggetti obbligati

Soggetti esonerati

L’art. 221490 pone un principio generale nello stabilire che l’imprenditore deve tenere tutte le scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’ impresa. Inoltre, stabilisce che in ogni caso devono essere tenuti il libro giornale, il libro degli inventari e gli originali della corrispondenza commerciale ricevuta e le copie della corrispondenza spedita. Il libro giornale è un registro cronologico – analitico, in cui sono indicate giorno per giorno le operazioni relative all’esercizio dell’impresa, art. 221691. Basta che le operazione siano registrate nell’ordine in cui sono compiute e non necessariamente il giorno in cui sono compiute. Non è altresì necessario registrare operazione per operazione, purché le singole registrazioni riguardino operazione omogenee fra loro compiute nello stesso giorno. Il libro giornale può essere articolato anche in libri parziali in relazione all’articolazione dell’impresa. Il libro degli inventari è un registro periodico – sistematico, che deve essere redatto all’inizio dell’impresa e successivamente ogni anno, art. 221792. L’inventario ha la funzione di fornire il quadro completo della situazione patrimoniale dell’imprenditore. Deve perciò contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e delle passività dell’imprenditore, anche se estranee all’impresa. L’inventario si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite, o meglio con il bilancio comprensivo dello stato patrimoniale e del conto economico, che deve dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti o le perdite subite. Nelle valutazioni di bilancio l'imprenditore deve attenersi ai criteri stabiliti per i bilanci delle società per azioni.

In base alla natura e alle dimensioni dell’impresa, l’imprenditore è obbligato alla tenuta di altre scritture contabili, come il libro mastro, libro cassa, libro magazzino, ecc. La scelta delle altre scritture è rimessa alla discrezionalità dell’imprenditore nei limiti segnati dalle norme tecniche e dalla prassi di una ordinata contabilità.

90 Art. 2214 Libri obbligatori e altre scritture contabili

L'imprenditore che esercita un'attività commerciale (2195) deve tenere il libro giornale e il libro degli inventari. Deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa (att. 200) e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle lettere ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite (2709 e seguenti). Le disposizioni di questo paragrafo non si applicano ai piccoli imprenditori (2083). 91

Art. 2216 Contenuto e vidimazione del libro giornale Il libro giornale deve indicare giorno per giorno le operazioni relative all'esercizio dell'impresa. 92

Art. 2217 Redazione dell'inventario L'inventario deve redigersi all'inizio dell'esercizio dell'impresa e successivamente ogni anno, e deve contenere l'indicazione e la valutazione delle attività e delle passività relative all'impresa, nonché delle attività e delle passività dell'imprenditore estranee alla medesima. L'inventario si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite, il quale deve dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti o le perdite subite. Nelle valutazioni di bilancio l'imprenditore deve attenersi ai criteri stabiliti per i bilanci delle società per azioni, in quanto applicabili (2425). L'inventario deve essere sottoscritto dall'imprenditore entro tre mesi dal termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini delle imposte dirette (Comma modificato dall'art. 8 della Legge 30 dicembre 1991, n. 413, e poi così sostituito dall'art. 7 bis, Decr.Legge 10 giugno 1994, n. 357, convertito con modificazioni dalla Legge 8 agosto 1994, n. 489).

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Scritture obbligatorie

Altre scritture

Per garantire la veridicità delle scritture contabili ed in particolare per evitare che vengano alterate è imposta l’osservanza di alcune regole formali e sostanziali nella loro tenuta. L’inosservanza di tale regole rende le scritture irregolari e quindi giuridicamente irrilevanti.Le regole formali sono state ridotte per facilitare la tenuta delle scritture contabili con procedure informatiche. In base all’attuale disciplina, art. 221593, il libro giornale e il libro degli inventari devono essere numerati progressivamente in ogni pagina prima di essere messi in uso essendo stata soppressa la bollatura foglio per foglio da parte dell’ufficio del registro delle imprese o dal notaio94

Secondo l’art. 2219 tutte le scritture devono essere tenute secondo le norme di un'ordinata contabilità, senza spazi in bianco, senza interlinee e senza trasporti in margine. Non vi si possono fare abrasioni e, se è necessaria qualche cancellazione, questa deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili, c.d. formalità intrinseche. Le scritture contabili e la corrispondenza devono essere conservati per 10 anni, anche su supporti magnetici. Le scritture contabili possono essere tenute con sistemi informatici, purché le registrazioni corrispondono ai documenti e possano in ogni momento essere rese leggibili con mezzi messi a disposizione dal soggetto che utilizza tali sistemi, art. 222095.

Le scritture contabili di regola non sono soggette a controllo esterno, volto ad accertare la regolarità della tenuta e la verità dei fatti documentati. A partire dal 1975 la contabilità delle società con azioni quotate in borsa è sottoposta al controllo esterno di apposite società di revisione. A partire dal 2003 anche le spa non quotate sono sottoposte a controllo esterno da parte di un revisore o di una società di revisione.

L’obbligo di tenuta delle scritture contabili non è assistito da nessuna sanzione generale e diretta, salvo quelle previste dalla legislazione tributaria. Ma, non mancano però delle sanzioni eventuali ed indirette:

- L’imprenditore che non tiene regolarmente le scritture contabili non può utilizzarle come mezzo di prova a suo favore, art. 271096.

- È inoltre assoggettato alle sanzioni penali per i reati di bancarotta semplice o fraudolenta in caso di fallimento, art. 216 e 217 legge fallimentare.

93 Art. 2215 Libro giornale e libro degli inventari

Il libro giornale e il libro degli inventari, prima di essere messi in uso, devono essere numerati progressivamente in ogni pagina e bollati in ogni foglio dall'ufficio del registro delle imprese o da un notaio secondo le disposizioni delle leggi speciali (att. 200). L'ufficio del registro o il notaio deve dichiarare nell'ultima pagina dei libri il numero dei fogli che li compongono (2710). 94 Rimane obbligatoria la bollatura per i libri sociali previsti dall’art. 2421, mentre è facoltativa per le scritture contabili diverse dal libro giornale e dal libro inventari.95

Art. 2220 Conservazione delle scritture contabili Le scritture devono essere conservate per dieci anni dalla data dell'ultima registrazione (2312). / Per lo stesso periodo devono conservarsi le fatture, le lettere e i telegrammi ricevuti e le co pie delle fatture, delle lettere e dei telegrammi spediti. Le scritture e documenti di cui al presente articolo possono essere conservati sotto forma di registrazioni su supporti di immagini, sempre che le registrazioni corrispondano ai documenti e possano in ogni momento essere rese leggibili con mezzi messi a disposizione dal soggetto che utilizza detti supporti (Comma aggiunto dall'art. 7 bis, Decr.Legge 10 giugno 1994, n. 357, convertito con modificazioni dalla Legge 8 agosto 1994, n. 489 ) 96

Art. 2710 Efficacia probatoria tra imprenditori. I libri bollati e vidimati nelle forme di legge (2214 e seguenti), quando sono regolarmente tenuti, possono fare prova tra imprenditori (2082) per i rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa.

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Regole nella tenuta delle scritture contabili

Controllo

Sanzioni

La regolare tenuta delle scritture contabili non è più requisito per l’ammissione al concordato preventivo, art. 160 legge fallimentare.

7. LA RILEVANZA ESTERNA DELLE SCRITTURE CONTABILI. L’EFFICACIA PROBATORIA

Le scritture contabili sono destinate in via di principio a restare nella sfera interna dell’imprenditore. Le informazioni sulla vita dell’impresa desumibili dalle scritture contabili non sono accessibili ai terzi in quanto l’interesse dell’imprenditore al segreto riceve tutela preferenziale. Fanno eccezione il bilancio delle società di capitali e delle società cooperative che devono essere resi pubblici mediante deposito presso l’ufficio del registro delle imprese. Nelle imprese soggette al controllo pubblico (società con azioni quotate in borsa, società assicurative, imprese bancarie), il diritto al segreto non sussiste nei confronti dell’organo pubblico preposto alla vigilanza. Più in generale, il diritto al segreto contabile cede di fronte alle esigenze conoscitive della pubblica amministrazione, finalizzate ad accertamenti di carattere tributario o alla repressione di reati anche di natura economica. L’ipotesi più significativa di rilevanza esterna delle scritture contabili si ha sul piano processuale, potendo le stesse essere utilizzate come mezzo di prova sia a favore che contro l’imprenditore che le tiene, art. 270997. Le scritture contabili, anche non tenute regolarmente, potranno essere utilizzate dai terzi come mezzo processuale di prova contro l’imprenditore che le tiene. Il terzo che vuol tranne vantaggio dalle scritture contabili di un imprenditore non potrà scinderne il contenuto, cioè non può avvalersi solo della parte a lui favorevole. L’imprenditore potrà dimostrare con qualsiasi mezzo che le proprie scritture non rispondono a verità. Affinché l’imprenditore possa usare le proprie scritture contabili come mezzo processuale di prova contro i terzi è necessario che ricorrano tre condizioni:

1. le scritture devono essere regolarmente tenute;2. la controparte sia a sua volta un imprenditore 3. la controversia sia relativa a rapporti inerenti all’esercizio

dell’impresa. In ogni caso, è rimesso all’apprezzamento del giudice riconoscere valore probatorio alle scritture contabili. Il giudice può chiedere, di ufficio o su istanza di parte, solo l’esibizione di singole scritture contabili, o di tutti i libri, ma solo per estrarne le registrazioni concernenti la controversia in esame, art. 271198 . In soli tre

97 Art. 2709 Efficacia probatoria contro l'imprenditore

I libri e le altre scritture contabili (2214 e seguenti) delle imprese soggette a registrazione (2195) fanno prova contro l'imprenditore. Tuttavia chi vuol trarne vantaggio non può scinderne il contenuto. 98

Art. 2711 Comunicazione ed esibizione La comunicazione integrale dei libri, delle scritture contabili e della corrispondenza può essere ordinata dal giudice solo nelle controverse relative allo scioglimento della società, alla comunione dei beni (1100) e alla successione per causa di morte (456). Negli altri casi il giudice può ordinare, anche d'ufficio, che si esibiscano i libri per estrarne le registrazioni concernenti la controversia in corso (Cod. Proc. Civ. 212). Può ordinare altresì l'esibizione di singole scritture contabili, lettere, telegrammi o fatture concernenti la controversia stessa.

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Segreto contabile

Eccezioni

Efficacia probatoria

Esibizione e comunicazione

casi il giudice può ordinare la comunicazione alla controparte di tutte le scritture contabili. Per controversie relative:

1. allo scioglimento della società,2. alla comunione dei beni,3. alla successione per causa di morte.

LA RAPPRESENTANZA COMMERCIALE

8. AUSILIARI DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE E RAPPRESENTANZA

Nello svolgimento della propria attività l’imprenditore può avvalersi della collaborazione di altri soggetti, che potranno essere:

- soggetti interni , stabilmente inseriti nella propria organizzazione aziendale, con un rapporto di lavoro subordinato che li lega all’imprenditore, detti ausiliari interni o subordinati;

- soggetti esterni all’organizzazione imprenditoriale che collaborano con l’imprenditore, in modo occasionale o stabile, detti ausiliari esterni o autonomi.

In entrambi i casi la collaborazione può riguardare anche la conclusione di affari con terzi in nome e per conto dell’imprenditore, cioè possono agire in rappresentanza dell’imprenditore.Il fenomeno della rappresentanza è regolato:

- in via generale dagli articoli 1387 a 1400 del codice civile, - da norme speciali per effetto del rinvio operato dall’art. 1400, quando

si tratti di atti inerenti all’esercizio di impresa commerciale posti in essere da alcune figure tipiche di ausiliari interni: institori, procuratori e commessi. È detta rappresentanza commerciale.

È regola generale che il conferimento ad altro soggetto dell’incarico di compiere uno o più atti giuridici relativi alla propria sfera patrimoniale non abilita di per sé l’incaricato ad agire in nome dell’interessato, con conseguente imputazione diretta degli effetti degli atti posti in essere. A tal fine è necessario l’espresso conferimento del potere di rappresentanza attraverso la procura, art. 138799. Inoltre, il potere di rappresentanza sussiste nei limiti fissati dalla procura, art. 1388100 e, presuppone che questa sia conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere, art. 1392101. Il terzo che contratta con chi dichiara di agire in veste di rappresentante è tenuto ad accertare esistenza, contenuto e regolarità formale della procura, esigendo che il rappresentante giustifichi i suoi poteri, art. 1393102. Quindi,

99 Art. 1387 Fonti della rappresentanza

Il potere di rappresentanza è conferito dalla legge, ovvero dall'interessato. 100

Art. 1388 Contratto concluso dal rappresentante Il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell'interesse del rappresentato , nei limiti delle facoltà conferitegli (19), produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato. 101

Art. 1392 Forma della procura.La procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere. 102

Art. 1393 Giustificazione dei poteri del rappresentante

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Disciplina generale della rappresentanza

Rappresentanza commerciale

è sul terzo contraente che ricade il rischio della mancanza o del difetto di potere rappresentativo della controparte. Il contratto concluso dal falsus procurator è improduttivo di effetti ed il terzo non potrà vantare alcun diritto nei confronti del preteso rappresentato. L’art. 1398103 gli riconosce solo la possibilità di chiedere al falsus procurator il risarcimento del danno che ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto. Queste sono regole che trovano applicazione anche quando si tratti di atti compiuti per un imprenditore commerciale da parte di collaboratori esterni alla sua organizzazione, anche se stabili.

Queste regole però sono sostituite da altre quando si tratti di ausiliari interni, che sono destinati ad entrare stabilmente in contatto con i terzi ed a concludere affari per l’imprenditore. Al riguardo vige un sistema speciale di rappresentanza fissato dagli artt. 2203-2213.Per la posizione rivestita nell’organizzazione aziendale, institori, procuratori e commessi sono automaticamente investiti del potere di rappresentanza dell’imprenditore e di un potere di rappresentanza commisurato al tipo di mansioni che la qualifica comporta. Il loro potere di vincolare l’imprenditore non si fonda su una procura ma costituisce effetto naturale della loro collocazione nell’impresa ad opera dell’imprenditore. Se l’imprenditore vuole modificare il contenuto legale tipico del potere di rappresentanza di tali ausiliari, sarà necessario uno specifico atto, opponibile ai terzi solo se portato a conoscenza nelle forme stabilite dalla legge. Il terzo che conclude affari con uno di questi ausiliari dell’imprenditore commerciale dovrà solo verificare che l’imprenditore non abbia modificato, con atto espresso e pubblico, i loro naturali poteri rappresentativi. Non dovrà invece verificare se la rappresentanza è stata loro conferita.

9. L’INSTITORE

È institore colui che è preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa o di una sede secondaria o di un ramo particolare della stessa, art. 2203104.Nel linguaggio comune è il direttore generale dell’impresa, di una filiale o di un settore produttivo.L’institore è di regola un lavoratore subordinato con la qualifica di direttore, che in virtù di un atto di preposizione dell’ imprenditore, sarà:

- al vertice assoluto se è preposto all’intera impresa. In tal caso, dipenderà solo dall’imprenditore, da cui riceverà direttive e dovrà rendere conto del suo operato.

Il terzo che contratta col rappresentante può sempre esigere che questi giustifichi i suoi poteri e, se la rappresentanza risulta da un atto scritto, che gliene dia una copia da lui firmata. 103

Art. 1398 Rappresentanza senza potere Colui che ha contrattato come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli, è responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto. 104

Art. 2203 Preposizione institoria E institore colui che è preposto dal titolare all'esercizio di un'impresa commerciale. La preposizione può essere limitata all'esercizio di una sede secondaria o di un ramo particolare dell'impresa. Se sono preposti più institori, questi possono agire disgiuntamente, salvo che nella procura sia diversamente disposto.

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Nozione

Posizione nell’impresa

Rappresentanza processuale

- al vertice relativo se è preposto ad una filiale o ad un ramo d’impresa. In tal caso, potrà trovarsi in posizione subordinata anche rispetto ad un altro institore.

È possibile che più institori siano preposti contemporaneamente all’esercizio dell’ impresa ed in tal caso essi agiranno disgiuntamente se nella procura non è diversamente previsto, art. 2203, 3° comma. Rilevante è che l’institore sia stato investito dall’imprenditore di un potere di gestione generale, che abbracci tutte le operazioni della struttura alla quale è preposto. La posizione che ricopre comporta che l’institore è tenuto, congiuntamente all’ imprenditore, all’adempimento degli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili dell’impresa o della sede cui è preposto, art. 2205105.In caso di fallimento dell’imprenditore, anche nei confronti dell’institore saranno applicate le sanzioni penali previste a carico del fallito, art. 227 legge fallimentare, anche se solo l’imprenditore potrà essere dichiarato fallito e solo l’imprenditore sarà esposto agli effetti personali e patrimoniali del fallimento.

L’institore ha, accanto al potere di gestione, un ampio e generale potere di rappresentanza, sia sostanziale che processuale, art. 2204106.

Rappresentanza sostanziale. Anche in mancanza di espressa procura, l’institore può compiere in nome dell’ imprenditore, tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa a cui è preposto. La pertinenza di un dato atto all’esercizio dell’impresa deve essere valutata con riferimento astratto alle imprese di quel determinato tipo e non con riferimento alla specifica impresa cui l’institore è preposto. Questo perché, questa valutazione tutela maggiormente i terzi. L’institore non è legittimato a compiere atti che esorbitano dall’esercizio dell’impresa, quali la vendita o l’affitto dell’azienda, il cambiamento dell’oggetto dell’attività. Inoltre, gli è fatto divieto espresso di alienare o ipotecare i beni immobili del preponente, se non vi è stato espressamente autorizzato. Tale divieto non opera quando oggetto dell’impresa è proprio il commercio di immobili, cioè rientri negli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa.

Rappresentanza processuale. L’institore può stare in giudizio, sia come attore (rappresentanza processuale attiva), sia come convenuto (rappresentanza processuale passiva) per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell’esercizio

105 Art. 2205 Obblighi dell'institore

Per le imprese o le sedi secondarie alle quali è preposto l'institore è tenuto, insieme con l'imprenditore, all'osservanza delle disposizioni riguardanti l'iscrizione nel registro delle imprese e la tenuta delle scritture contabili. 106

Art. 2204 Poteri dell'institore L'institore può compiere tutti gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa a cui è preposto, salve le limitazioni contenute nella procura. Tuttavia non può alienare o ipotecare i beni immobili del preponente, se non è stato a ciò espressamente autorizzato. L'institore può stare in giudizio in nome del preponente per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell'esercizio dell'impresa a cui è preposto.

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Oggetto

Rappresentanza sostanziale

dell’impresa a cui è preposto, art. 2204. Quindi, non solo per gli atti da lui compiuti, ma anche per quelli posti in essere direttamente dall’imprenditore o a lui imputabili in qualità di imprenditore. I poteri rappresentativi dell’institore, determinati dal legislatore, possono essere ampliati o limitati dall’imprenditore, sia all’atto della preposizione sia successivamente. Le limitazioni saranno opponibili ai terzi solo se la procura originaria o la successiva limitazione siano stati pubblicati nel registro delle imprese, art. 2206107. Mancando tale pubblicità legale, la rappresentanza si reputa generale, salva la prova da parte dell’imprenditore che i terzi effettivamente conoscevano l’esistenza di limitazioni al momento della conclusione dell’affare. Anche se il legislatore parla in più norme di una procura da parte del preponente, questa non è affatto necessaria perché l’institore possa ritenersi investito della rappresentanza generale dell’imprenditore. Questo è un effetto che discende in modo automatico e diretto dall’atto interno di preposizione all’esercizio dell’impresa. Procura e pubblicità saranno necessarie solo se l’imprenditore voglia limitare i poteri rappresentativi dell’institore fissati ex lege. Perciò è da escludersi che la rappresentanza dell’institore sia una rappresentanza da procura; non sarà necessaria una procura institoria per iscritto affinché l’institore possa compiere atti per i quali è richiesta la forma scritta a pena di nullità. Non è nemmeno una rappresentanza legale, in quanto il potere di rappresentanza dell’institore si fonda su una manifestazione di volontà dell’imprenditore. È una rappresentanza volontaria, sia pure derivante da una procura.

Gli stessi principi valgono anche per la revoca della procura, art. 2207108, o più esattamente della revoca dell’atto di preposizione. La revoca è opponibile ai terzi solo se pubblicata o se l’imprenditore prova la loro effettiva conoscenza.

È principio generale che il rappresentante deve rendere palese al terzo con cui contratta tale sua veste, affinché l’atto compiuto e i relativi effetti ricadano direttamente sul rappresentato (imprenditore) e, deve renderla palese spendendo il nome del rappresentato, art. 1388109

107 Art. 2206 Pubblicità della procura

La procura con sottoscrizione del preponente autenticata deve essere depositata per l'iscrizione presso il competente ufficio del registro delle imprese (att. 100). In mancanza dell'iscrizione, la rappresentanza si reputa generale e le limitazioni di essa non sono opponibili ai terzi, se non si prova che questi le conoscevano al momento della conclusione dell'affare (2193). 108

Art. 2207 Modificazione e revoca della procura Gli atti con i quali viene successivamente limitata o revocata la procura devono essere depositati, per l'iscrizione nel registro delle imprese, anche se la procura non fu pubblicata. In mancanza dell'iscrizione, le limitazioni o la revoca non sono opponibili ai terzi, se non si prova che questi le conoscevano al momento della conclusione dell'affare. 109

Art. 1388 Contratto concluso dal rappresentante Il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell'interesse del rappresentato , nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato.

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Modifica e revoca

Responsabilità dell’institore

Chi non rispetta tale principio obbliga solo se stesso ed il terzo non si può rivolgere al rappresentato. Questo è il c.d. principio della contemplatio domini. L’art. 2208110 prevede anche il principio secondo cui l’institore è personalmente obbligato se omette di far conoscere al terzo che tratta per il preponente, tuttavia il terzo può agire anche contro il preponente per gli atti compiuti dall'institore, che siano pertinenti all'esercizio dell'impresa a cui è preposto. La disposizione tutela il terzo contraente, evitando che su di lui ricada il rischio di comportamenti dell’institore che possono generare incertezze circa il reale dominus dell’affare. Se l’atto è pertinente all’esercizio dell’impresa, ma le modalità di conclusione dell’affare sono tali da rendere incerto se l’institore abbia operato per sé o per l’imprenditore, il legislatore tronca ogni possibilità di contestazione a danno del terzo: nei suoi confronti risponderanno solidalmente sia l’institore, sia il preponente.

10. I PROCURATORI

I procuratori sono coloro che in base ad un rapporto continuativo, abbiano il potere di compiere per l’imprenditore gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa , pur non essendo preposti ad esso, art. 2209111 . I procuratori sono degli ausiliari inferiori rispetto agli institori, in quanto:

a. non sono posti a capo dell’impresa o di un ramo o di una sede secondaria;

b. pur non essendo degli ausiliari con funzioni direttive, il loro potere decisionale è circoscritto ad un determinato settore operativo dell’impresa o ad una serie specifica di atti. Es. dirigente settore acquisti, personale,ecc.

L’art. 2209 estende ai procuratori la disciplina dell’art. 2206 (pubblicità della procura institoria) e dell’art. 2207112 (modifica e revoca della procura institoria). Pertanto, in mancanza di specifiche limitazioni iscritte nel registro delle imprese, i procuratori sono ex lege investiti di un potere di rappresentanza generale dell’ imprenditore, rispetto alla specie di operazioni per le quali essi sono stati investiti di autonomo potere decisionale. Il procuratore:

110 Art. 2208 Responsabilità personale dell'institore

L'institore è personalmente obbligato (1337) se omette di far conoscere al terzo che egli tratta per il preponente; tuttavia il terzo può agire anche contro il preponente per gli atti compiuti dall'institore, che siano pertinenti all'esercizio dell'impresa a cui è preposto. 111

Art. 2209 Procuratori Le disposizioni degli artt. 2206 e 2207 si applicano anche ai procuratori, i quali, in base a un rapporto continuativo, abbiano il potere di compiere per l'imprenditore gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa, pur non essendo preposti ad esso. 112

Art. 2207 Modificazione e revoca della procura Gli atti con i quali viene successivamente limitata o revocata la procura devono essere depositati, per l'iscrizione nel registro delle imprese, anche se la procura non fu pubblicata. In mancanza dell'iscrizione, le limitazioni o la revoca non sono opponibili ai terzi, se non si prova che questi le conoscevano al momento della conclusione dell'affare.

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Poteri rappresentativi

1. non ha la rappresentanza processuale dell’imprenditore, neppure per gli atti da lui posti in essere, se tale potere non gli è stato espressamente conferito;

2. non è soggetto agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili;

3. non trova applicazione l’art. 2208113, quindi l’imprenditore non risponderà per gli atti, pur pertinenti all’esercizio dell’impresa, compiuti da un procuratore senza spendita del nome dell’imprenditore stesso.

11. I COMMESSI

I commessi sono ausiliari subordinati cui sono affidate mansioni esecutive e materiali che li pongono in contatto con i terzi. Per questa loro posizione, ai commessi è riconosciuto il potere di rappresentanza dell’imprenditore anche in mancanza di specifico atto di conferimento: potere limitato rispetto a quello degli institori e dei procuratori. Secondo l’art. 2210114, i commessi possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie di operazioni di cui sono incaricati. Salva espressa autorizzazione, i commessi:

a. non possono esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la consegna, né concedere dilazioni o sconti non in uso;

b. non hanno il potere di derogare alle condizioni generali di contratto predisposte dall’imprenditore o alle clausole stampate nei moduli dell’impresa;

c. se preposti alla vendita nei locali dell’impresa, non possono esigere il prezzo fuori dei locali stessi, né possono esigerlo all’interno dell’impresa se alla riscossione è destinata apposita cassa.

A tutti i commessi è poi riconosciuta la legittimazione a ricevere per conto dell’ imprenditore le dichiarazioni che riguardano l’esecuzione dei contratti ed i reclami relativi alle inadempienze contrattuali. È riconosciuta, altresì, la legittimazione a chiedere provvedimenti cautelari nell’ interesse dell’imprenditore, art. 2212115. L’imprenditore potrà limitare o ampliare tali poteri. Non è tuttavia previsto un sistema di pubblicità legale, perciò le limitazioni saranno opponibili ai

113 Art. 2208 Responsabilità personale dell'institore

L'institore è personalmente obbligato (1337) se omette di far conoscere al terzo che egli tratta per il preponente; tuttavia il terzo può agire

anche contro il preponente per gli atti compiuti dall'institore, che siano pertinenti all'esercizio dell'impresa a cui è preposto. 114

Art. 2210 Poteri dei commessi dell'imprenditore I commessi dell'imprenditore, salve le limitazioni contenute nell'atto di conferimento della rappresentanza, possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie delle operazioni di cui sono incaricati. Non possono tuttavia esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la consegna, né concedere dilazioni o sconti che non sono d'uso, salvo che siano a ciò espressamente autorizzati (2211). 115

Art. 2212 Poteri dei commessi relativi agli affari conclusi Per gli affari da essi conclusi, i commessi dell'imprenditore sono autorizzati a ricevere per conto di questo le dichiarazioni che riguardano l'esecuzione del contratto e i reclami relativi alle inadempienze contrattuali. Sono altresì legittimati a chiedere i provvedimenti cautelari (Cod. Proc. Civ. 670 e seguente) nell'interesse dell'imprenditore.

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terzi solo se portate a conoscenza degli stessi con mezzi idonei o se si prova l’effettiva conoscenza.

L’AZIENDA

1. LA NOZIONE DI AZIENDA. ORGANIZZAZIONE ED AVVIAMENTO

Secondo l’art. 2555 l'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l' esercizio dell'impresa.L’azienda costituisce l’apparato strumentale (locali, attrezzatura, merci, ecc.) di cui l’ imprenditore si avvale per lo svolgimento e nello svolgimento della propria attività.Il fattore più importante nella nozione di azienda è l’organizzazione. Infatti, l’azienda è un insieme di beni eterogenei, che subisce modificazioni qualitative e quantitative nel corso dell’attività. Comunque è un complesso caratterizzato da unità di tipo funzionale, per il coordinamento ed il rapporto di complementarietà fra i diversi elementi costitutivi instaurato dall’imprenditore e soprattutto per l’unitaria destinazione ad uno specifico fine produttivo. L’organizzazione e la destinazione ad un fine produttivo sono dati fattuali che attribuiscono ai beni costituiti in azienda e all’azienda nel suo complesso specifico e particolare rilievo economico, prima ancora che giuridico.

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CAP. 5

Unità funzionale dell’ azienda

Rilievo economico

I beni organizzati ad azienda consentono la produzione di utilità nuove, diverse e maggiori di quelle tradibili dai singoli beni isolatamente considerati. Se sul piano statico, l’azienda si risolve nei beni che la compongono, sul piano dinamico essa è un nuovo valore, per l’attitudine alla produzione di nuova ricchezza che l’organizzazione le conferisce. Ed è questo valore dinamico dell’azienda che acquista rilievo per i creditori. Il rapporto di strumentalità e di complementarietà fra i singoli elementi costitutivi dell’ azienda, fa sì che il complesso unitario acquisti di regola un valore di scambio maggiore della somma dei valori dei singoli beni che in un dato momento lo costituiscono. Tale maggior valore è detto avviamento.L’avviamento di un’azienda è rappresentato dalla sua attitudine a consentire la realizzazione di un profitto e dipende da fattori oggettivi e da fattori soggettivi.L’avviamento oggettivo è l’avviamento che dipende da fattori oggettivi, ed è quello ricollegabile a fattori indipendenti dalla persona dell’imprenditore, in quanto insiti nel coordinamento funzionale esistente fra i diversi beni.L’avviamento soggettivo è l’avviamento che dipende da fattori soggettivi, ed è quello ricollegabile all’abilità operativa dell’imprenditore sul mercato ed in particolare alla sua abilità nel formare, conservare e accrescere la clientela.

Sotto l’aspetto normativo, l’unità economica dell’azienda e gli interessi al mantenimento di tale unità trovano riconoscimento nella disciplina, dettata dal codice civile, per il trasferimento dell’azienda, artt. 2556-2562.Infatti, il trasferimento dell’azienda, a titolo definitivo o temporaneo, è sottoposto ad un regime normativo che sotto più profili deroga alla disciplina di diritto comune delle corrispondenti vicende circolatorie aventi ad oggetto singoli beni o complessi di beni non finalizzati allo svolgimento dell’attività di impresa.Il passaggio dell’azienda da un soggetto ad un altro comporta infatti degli effetti ex lege, ispirati dalla finalità di favorire la conservazione dell’unità economica e del valore di avviamento dell’azienda, a tutela di quanti su tale unità e su tale valore hanno fatto affidamento (acquirente dell’azienda, lavoratori e creditori).

2. GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELL’AZIENDA

Secondo l’art. 2555116 elementi costitutivi dell’azienda sono tutti i beni, di qualsiasi natura, organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. Per qualificare un bene come bene aziendale basta considerare solo la destinazione funzionale datagli dall’imprenditore. È irrilevante, invece, il titolo giuridico che legittima l’imprenditore ad utilizzare un dato bene nel processo produttivo. Non possono perciò essere considerati beni aziendali i beni di proprietà dell’imprenditore che non siano da questi effettivamente destinati allo svolgimento dell’attività di impresa. Mentre, sono beni 116

Art. 2555 Nozione. L'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore (2082) per l'esercizio dell'impresa.

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Avviamento

Rilevo normativo

Beni aziendali e proprietà

aziendali quei beni di proprietà di terzi di cui l’imprenditore può disporre in base ad un valido titolo giuridico, purché attualmente impiegati nell’attività di impresa.

Tuttora è ancora controverso quale sia il significato da attribuire alla parola beni nell’art. 2555.In giurisprudenza vi è la tendenza ad ampliare la nozione di bene aziendale ed a ricomprendere fra gli elementi costitutivi dell’azienda ogni elemento patrimoniale facente capo all’imprenditore nell’esercizio della propria attività e più in generale tutto ciò che può costituire oggetto di tutela giuridica. Secondo questa concezione, l’azienda è organizzazione non solo di beni ma anche di servizi. Infatti, fanno parte di essa i rapporti di lavoro col personale, i rapporti contrattuali stipulati per l’esercizio dell’impresa, i crediti verso la clientela, i debiti verso i fornitori e lo stesso avviamento (che è una qualità dell’azienda valutabile patrimonialmente e giuridicamente tutelato).Ma questa concezione non è condivisibile. Più fedele ai dati normativi e più corretta è l’opinione che considera elementi costitutivi dell’azienda solo le cose in senso proprio di cui l’imprenditore attualmente si avvale per l’esercizio dell’impresa. Secondo l’art. 810117, beni sono le cose che possono formare oggetto di diritti e la disciplina dell’azienda riprende tale definizione. Infatti, il trasferimento dell’azienda comporta come effetto ex lege il subingresso del cessionario nei contratti stipulati per l’esercizio dell’impresa, art. 2558118. Ma, questi sono effetti solo naturali del trasferimento dell’azienda, potendo le parti escludere la successione. Quindi, non possono essere considerati elementi essenziali dell’azienda quelli che le parti possono eliminare, senza compromettere la qualificazione come azienda del residuo. Manca qualsiasi riferimento che possa far considerare i crediti ed i debiti come elementi costitutivi dell’azienda. In conclusione: l’azienda è un complesso di soli beni (cose) e non è concepibile come un complesso di beni e di rapporti giuridici. Il che comporta che di trasferimento di azienda si potrà parlare anche quando le parti abbiano espressamente escluso dal trasferimento i contratti aventi ad oggetto prestazioni di cose future o di servizi, i crediti e i debiti, e anche quando non è riscontrabile un valore positivo di avviamento, (es. se in vendita o affitto è il patrimonio di un fallito).

3. L’AZIENDA FRA CONCEZIONE ATOMISTICA E CONCEZIONE UNITARIA. AZIENDA E UNIVERSALITA’ DI BENI

117 Art. 810 Nozione. Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti.

118 Art. 2558 Successione nei contratti Se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio

dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale. Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell'alienante. Le stesse disposizioni si applicano anche nei confronti dell'usufruttuario e dell'affittuario per la durata dell'usufrutto e dell'affitto.

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Concezione estensiva dell’azienda

Complesso di soli beni

Si è molto discusso sulla natura giuridica dell’azienda, da cui è derivato il contrasto fra teorie unitarie e teorie atomistiche.

La teoria unitaria considera l’azienda come un bene unico, un bene nuovo e distinto rispetto ai singoli beni che la compongono. Si è così affermato che l’azienda è un bene immateriale, rappresentato dall’organizzazione stessa. In questa prospettiva l’azienda è stata qualificata come una universalità di beni.Si ritiene perciò che il titolare dell’azienda abbia sulla stessa un vero e proprio diritto di proprietà unitario, destinato a coesistere con i diritti che vanta sui singoli beni.

La teoria atomistica concepisce invece l’azienda come una semplice pluralità di beni tra loro funzionalmente collegati e sui quali l’imprenditore può vantare diritti diversi. Si esclude perciò che esista un “bene” azienda formante oggetto di autonomo diritto di proprietà o di altro diritto reale unitario. La possibilità di concepire l’azienda come un nuovo bene sotto ogni profilo e a tutti gli effetti trova ostacolo nei dati normativi. Da questi emerge con chiarezza che l’unificazione giuridica dei beni aziendali è solo relativa e funzionale, dato che secondo l’art. 2556119, il trasferimento dell’azienda dovrà necessariamente osservare le forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda. L’assenza di una legge di circolazione propria dell’azienda è sufficiente a negare la piena unità giuridica e la natura di nuovo bene della stessa, lasciando preferire la teoria atomistica. L’unità funzionale dell’azienda trova significativo riconoscimento nella relativa disciplina e costituisce il principio di molte disposizioni ed in particolare dell’art. 2561, 2° comma120, secondo cui l'usufruttuario deve gestire l'azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte. L’azienda resta perciò la stessa nonostante il mutare dei suoi elementi costitutivi.

La salvaguardia dell’unità funzionale dell’azienda deve fungere da criterio interpretativo della relativa disciplina nei punti in cui essa non risulti chiara e debba ispirare la soluzione dei problemi pratici della stessa lasciati aperti.

119 Art. 2556 Imprese soggette a registrazione

Per le imprese soggette a registrazione (2195, 2200) i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà (2565, 2573) o il godimento dell'azienda devono essere provati per iscritto (2725), salva l'osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l'azienda (1350) o per la particolare natura del contratto (162, 782). I contratti di cui al primo comma, in forma pubblica o per scrittura privata autenticata, devono essere depositati per l'iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di trenta giorni, a cura del notaio rogante o autenticante. 120

Art. 2561 Usufrutto dell'azienda L'usufruttuario dell'azienda deve esercitarla sotto la ditta che la contraddistingue. Egli deve gestire l'azienda senza modificarne la destinazione (985) e in modo da conservare l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti (997) e le normali dotazioni di scorte. Se non adempie a tale obbligo o cessa arbitrariamente dalla gestione dell'azienda, si applica l'art. 1015. La differenza tra le consistenze d'inventario all'inizio e al termine dell'usufrutto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell'usufrutto (2112).

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Azienda e universalità

In questa prospettiva deve essere valutata la definizione dell’azienda in termini di universalità di beni, proposta dalla giurisprudenza e da una parte della dottrina. Anche se l’azienda è espressamente equiparata alle universalità di beni dall’art. 670 c.p.c.121, (che prevede il sequestro giudiziario di aziende e di altre universalità di beni), il considerare l’azienda un’universalità di beni non offre argomenti per concepire la stessa come un bene nuovo ed unitario. Oltre all’art. 670 c.p.c. non esistono altre norme che disciplinino direttamente le universalità di beni.

Norme specifiche sono dettate per le universalità di beni mobili, definite dall’ art. 816122 come la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria. Questi aggregati di cose mobili hanno un regime normativo parzialmente coincidente con quello previsto per i beni mobili, ma non totalmente coincidente. Infatti, l’art. 2784123 dispone che le universalità di mobili, al pari dei singoli beni mobili, possono costituire oggetto di pegno. Ma la disciplina delle universalità di mobili non si può applicare all’azienda, visto che l’azienda può comprendere dei beni che non siano di proprietà dell’ imprenditore. È fuori dubbio che la fattispecie prevista dall’art. 816 (universalità di mobili) e soprattutto la disciplina degli artt. 1156124, 1160125 e 2784126

presuppongono sia l’esclusiva composizione mobiliare del complesso, sia la proprietà dei singoli beni costituiti in universalità. Infatti, questi articoli non sono applicabili ai beni mobili che non siano di proprietà del titolare dell’universalità.

Tali problemi non si risolvono nemmeno considerando l’azienda come universalità mista, dato che la disciplina delle universalità mobiliari non è applicabile direttamente ad altre forme di universalità.

Le diversità strutturali fra azienda ed universalità di mobili non implicano però che si debba escludere l’applicazione per analogia, dato che sia l’azienda sia le universalità di mobili costituiscono aggregati di cose a

121 Art. 670 Sequestro giudiziario

Il giudice può autorizzare il sequestro giudiziario: 1) di beni mobili o immobili, aziende o altre universalità di beni, quando ne è controversa la proprietà o il possesso, ed è opportuno provvedere alla loro custodia o alla loro gestione temporanea; 2) di libri, registri, documenti, modelli, campioni e di ogni altra cosa da cui si pretende desumere elementi di prova, quando è controverso il diritto alla esibizione o alla comunicazione; ed è opportuno provvedere alla loro custodia temporanea. 122

Art. 816 Universalità di mobili E' considerata universalità di mobili la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria.Le singole cose componenti l'universalità possono formare oggetto di separati atti e rapporti giuridici. 123

Art. 2784 Nozione.Il pegno è costituito a garanzia dell'obbligazione dal debitore o da un terzo per il debitore. Possono essere dati in pegno i beni mobili, le universalità di mobili, i crediti e altri diritti aventi per oggetto beni mobili. 124

Art. 1156 Universalità di mobili e mobili iscritti in pubblici registri Le disposizioni degli articoli precedenti non si applicano alle universalità di mobili e ai beni mobili iscritti in pubblici registri (815 e seguente, 2683 e seguenti; Cod. Nav. 146 e seguenti,753 e seguenti). 125

Art. 1160 Usucapione delle universalità di mobili L'usucapione di un'universalità di mobili (816) o di diritti reali di godimento sopra la medesima si compie in virtù del possesso continuato per venti anni. Nel caso di acquisto in buona fede (1147) da chi non e proprietario, in forza di titolo idoneo, l'usucapione si compie con il decorso

di dieci anni. 126

Art. 2784 Nozione. Il pegno è costituito a garanzia dell'obbligazione dal debitore o da un terzo per il debitore. Possono essere dati in pegno i beni mobili, le universalità di mobili, i crediti e altri diritti aventi per oggetto beni mobili.

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destinazione unitaria e finalizzati alla produzione di un’utilità complessiva nuova e diversa rispetto a quella offerta dalla semplice somma dei singoli beni.

Così può ammettersi che, al pari delle universalità di mobili:

a. l’insieme dei beni mobili aziendali di proprietà dell’imprenditore sia sottratto all’applicazione della regola “possesso vale titolo” valida per i singoli beni mobili, art. 1156, mentre il problema non si pone nemmeno per gli immobili aziendali e i beni mobili registrati;

b. il complesso mobiliare aziendale può essere acquistato per usucapione solo in virtù del possesso continuato per 20 anni, art. 1160, in luogo dei 10 anni previsti per i singoli beni mobili, art. 1161127;

c. il titolare di un’azienda può avvalersi dell’azione di manutenzione, oltre che per gli immobili, anche per tutelare il possesso dell’insieme dei beni mobili aziendali, art. 1170128.

4. LA CIRCOLAZIONE DELL’AZIENDA. OGGETTO E FORMA DEI NEGOZI TRASLATIVI

L’azienda può formare oggetto di atti di disposizione di diversa natura. Può essere venduta, conferita in società, donata oppure su di essa possono essere costituiti diritti reali (usufrutto) o personali (affitto) di godimento a favore di terzi. L’imprenditore può anche compiere atti di disposizione che riguardano uno o più beni aziendali.È principio consolidato che la qualificazione di una data vicenda circolatoria come trasferimento di azienda o come trasferimento di singoli beni aziendali deve essere operata secondo criteri oggettivi, cioè guardando al risultato perseguito e realizzato e non al nomen dato al contratto dalle parti o alla loro intenzione soggettiva. E ciò perché il trasferimento di azienda produce effetti che incidono nei confronti dei terzi. Quindi, per aversi trasferimento di azienda non è necessario che l’atto di disposizione comprenda l’intero complesso aziendale. Nell’ambito della disciplina del trasferimento di azienda si resta anche quando l’imprenditore trasferisca un ramo particolare della sua azienda, purché dotato di organicità operativa.Necessario e sufficiente è che sia trasferito un insieme di beni di per sé potenzialmente idoneo ad essere utilizzato per l’esercizio di una

127 Art. 1161 Usucapione dei beni mobili

In mancanza di titolo idoneo (922), la proprietà dei beni mobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per dieci anni, qualora il possesso sia stato acquistato in buona fede. Se il possessore è di mala fede, l'usucapione si compie con il decorso di venti anni. 128

Art. 1170 Azione di manutenzione Chi è stato molestato nel possesso di un immobile, di un diritto reale sopra un immobile o di un'universalità di mobili (816) può, entro l'anno dalla turbativa, chiedere la manutenzione del possesso medesimo.L'azione e data se il possesso dura da oltre un anno, continuo e non interrotto, e non è stato acquistato violentemente o clandestinamente. Qualora il possesso sia stato acquistato in modo violento o clandestino, l'azione può nondimeno esercitarsi, decorso un anno dal giorno in cui la violenza o la clandestinità è cessata. Anche colui che ha subito uno spoglio non violento o clandestino può chiedere di essere rimesso nel possesso, se ricorrono le condizioni indicate dal comma precedente.

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Trasferimento di azienda e dei singoli beni

determinata attività di impresa, e ciò anche quando il nuovo titolare debba integrare il complesso con ulteriori fattori produttivi per farlo funzionare. È però necessario che i beni esclusi dal trasferimento non alterino l’unità economica e funzionale dell’azienda. L’atto di disposizione del trasferimento di azienda comprenderà tutti i beni presenti in quel momento nell’azienda, anche se non specificatamente menzionati nel contratto. I vari beni aziendali passeranno all’acquirente nella medesima situazione giuridica in cui si trovavano presso il trasferente, (proprietà, diritto reale o personale di godimento), se nulla è espressamente pattuito al riguardo. Le forme da osservare nel trasferimento dell’azienda sono fissate dall’art. 2556129, modificato dalla legge 310/1993. Bisogna distinguere fra forma necessaria per la validità del trasferimento e forma richiesta ai fini probatori e per l’opponibilità ai terzi. Al fine della validità del trasferimento è dettata una disciplina per ogni tipo di azienda, agricola o commerciale. I contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o la concessione di godimento dell’azienda sono validi solo se stipulati con l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto . Manca quindi un’autonoma ed unitaria legge di circolazione dell’azienda e il trasferimento di ciascun bene aziendale segue il regime dettato in via generale. Cosi, per il trasferimento in proprietà all’acquirente degli immobili aziendali di proprietà dell’alienante sarà necessaria la forma scritta a pena di nullità, art. 1350130. Inoltre, dovranno essere rispettate le regole di forma previste per il particolare tipo di negozio traslativo posto in essere. (per atto pubblico o scrittura privata autenticata).

Solo per le imprese soggette a registrazione, secondo il sistema originario del codice civile (non per le piccole imprese e le imprese agricole individuali o in forma di ss), è previsto che ogni atto di disposizione dell’azienda deve essere provato per iscritto, art. 2556, 1° comma. La scrittura è richiesta solo ad probationem e la sua mancanza comporterà come unico effetto che, in un’eventuale controversia giudiziaria, le parti (ma non i terzi) non potranno avvalersi della prova per testimoni per dimostrare l’esistenza del contratto art. 2725, 1° comma131.

Per le imprese soggette a registrazione, il secondo comma dell’art. 2556, stabilisce che i relativi contratti sono soggetti ad iscrizione nel registro delle

129 Art. 2556 Imprese soggette a registrazione

Per le imprese soggette a registrazione i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell'azienda devono essere provati per iscritto , salva l'osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l'azienda o per la particolare natura del contratto. I contratti di cui al primo comma, in forma pubblica o per scrittura privata autenticata, devono essere depositati per l'iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di trenta giorni, a cura del notaio rogante o autenticante. 130

Art. 1350 Atti che devono farsi per iscritto Devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili 131

Art. 2725 Atti per i quali è richiesta la prova per iscritto o la forma scritta Quando, secondo la legge o la volontà delle parti, un contratto deve essere provato per iscritto, la prova per testimoni è ammessa soltanto nel caso indicato dal n. 3 dell'articolo precedente. (quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova)La stessa regola si applica nei casi in cui la forma scritta è richiesta sotto pena di nullità.

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Forma negoziale

Prova

Validità

Pubblicità

imprese. E, nel nuovo testo introdotto dalla legge 310/1993, la norma prescrive che, a tal fine, il contratto di trasferimento deve essere sempre redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e deve essere depositato a cura del notaio (e non più dalle parti) per l’iscrizione, entro trenta giorni. La disposizione, come oggi è formulata, persegue finalità di ordine pubblico (antiriciclaggio), ecco perché si tende a riconoscere che l’obbligo di registrazione sussiste anche quando le parti non siano imprenditori tenuti all’iscrizione nella sezione ordinaria (piccoli imprenditori, imprenditori agricoli individuali, ss).

5. LA VENDITA DELL’AZIENDA. IL DIVIETO DI CONCORRENZA DELL’ALIENANTE

Oltre agli effetti dedotti in contratto, l’alienazione dell’azienda produce ex lege ulteriori effetti che riguardano:

- il divieto di concorrenza dell’alienante, art. 2557132 ;- i contratti, art. 2558133;- i crediti, art. 2559134;- i debiti aziendali, art. 2560135.

Divieto di concorrenza. Secondo l’art. 2557, chi vende un’azienda commerciale deve astenersi, per un periodo massimo di 5 anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che possa comunque, per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze, sviare la clientela dall’azienda ceduta. Se l’azienda è agricola, il divieto opera solo per le attività ad essa connesse e sempre che rispetto a tali attività sia possibile sviamento della clientela. La norma contempera due esigenze opposte:

132 Art. 2557 Divieto di concorrenza

Chi aliena l'azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta (2125, 2596). Il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di quelli previsti dal comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale dell'alienante. Esso non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento. Se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata non e stabilita, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal trasferimento. Nel caso di usufrutto o di affitto dell'azienda il divieto di concorrenza disposto dal primo comma vale nei confronti del proprietario o del locatore per la durata dell'usufrutto o dell'affitto. Le disposizioni di questo articolo si applicano alle aziende agricole solo per le attività ad esse connesse (2135), quando rispetto a queste sia possibile uno sviamento di clientela. 133

Art. 2558 Successione nei contratti Se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale (2112, 2610). Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell'alienante. Le stesse disposizioni si applicano anche nei confronti dell'usufruttuario e dell'affittuario per la durata dell'usufrutto e dell'affitto. 134

Art. 2559 Crediti relativi all'azienda ceduta La cessione dei crediti relativi all'azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione (1265 e seguente), ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell'iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. Tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all'alienante (att. 100-5). Le stesse disposizioni si applicano anche nel caso di usufrutto dell'azienda, se esso si estende ai crediti relativi alla medesima. 135

Art. 2560 Debiti relativi all’azienda ceduta L'alienante non è liberato dai debiti, inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito. Nel trasferimento di un'azienda commerciale (2195) risponde dei debiti suddetti anche l'acquirente dell'azienda, se essi risultano dai libri

contabili obbligatori (2212 e seguenti).

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Contenuto del divieto

- quella dell’acquirente dell’azienda, di trattenere la clientela dell’impresa e quindi di godere dell’avviamento soggettivo, del quale si è tenuto conto nel prezzo di vendita;

- quella dell’alienante, a non vedere compressa la propria libertà di iniziativa economica oltre un certo periodo, ritenuto sufficiente per consentire all’ acquirente di consolidare la propria clientela.

Il divieto di concorrenza è derogabile ed ha carattere relativo: sussiste nei limiti in cui la nuova attività di impresa dell’alienante sia potenzialmente idonea a sottrarre clientela all’azienda ceduta. Le parti possono anche ampliare la portata dell’obbligo di astensione, purché non sia impedita ogni attività professionale dell’alienante. In ogni caso è vietato prolungare oltre i cinque anni la durata del divieto. Il divieto si applica, oltre in caso di vendita volontaria, anche nel caso di vendita coattiva. Il divieto graverà in testa all’imprenditore fallito nel caso di vendita in blocco dell’azienda da parte degli organi fallimentari, dato che la vendita ha sempre per oggetto l’azienda del fallito.

L’applicazione del divieto di concorrenza è, invece, controverso:- nella divisione ereditaria con assegnazione dell’azienda caduta in

successione a uno degli eredi;- nello scioglimento di una società con assegnazione dell’azienda

sociale ad uno dei soci quale quota di liquidazione;- vendita dell’intera partecipazione sociale o di una partecipazione

sociale di controllo in una società di persone o di capitali.Nei primi due casi non si può affermare che vi è stato trasferimento di azienda da un erede all’altro o da un socio ad un altro, sicché gli altri erede o gli altri soci non sono tenuti a rispettare il divieto di concorrenza. Vi è però chi applica il divieto di concorrenza a favore dell’erede o del socio che subentra nell’azienda ed a carico degli altri eredi o degli altri soci. Nel terzo caso il negozio traslativo c’è, ma ha per oggetto le quote e non l’azienda. Quindi, non ricorre il presupposto della vendita dell’azienda per l’applicazione dell’ art. 2557136. Ma, vi è chi assoggetta al divieto di concorrenza il socio alienante, purché ricorrano in concreto i presupposti dell’art. 2557 ed in particolare l’attitudine dell’ alienante a sviare la clientela per la posizione rivestita nell’impresa sociale.

Il divieto di concorrenza ha per oggetto l’inizio di una nuova impresa commerciale. Ma esso, spesso, non è rispettato. Ad esempio, si vende l’azienda e se ne apre un’ altra concorrente avvalendosi di un prestanome o costituendo una società di comodo. Oppure, si vende l’azienda e si entra

136 Art. 2557 Divieto di concorrenza

Chi aliena l'azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta (2125, 2596). Il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di quelli previsti dal comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale dell'alienante. Esso non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento. Se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata non e stabilita, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal trasferimento. Nel caso di usufrutto o di affitto dell'azienda il divieto di concorrenza disposto dal primo comma vale nei confronti del proprietario o del locatore per la durata dell'usufrutto o dell'affitto. Le disposizioni di questo articolo si applicano alle aziende agricole solo per le attività ad esse connesse (2135), quando rispetto a queste sia possibile uno sviamento di clientela.

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Vendita coattiva

Casi controversi

Inizio di una nuova impresa

come dirigente in un’impresa concorrente o si diventa amministratore unico di una società concorrente.In questi casi, è discutibile se vi sia inizio di una nuova impresa da parte dell’ alienante e violazione del relativo obbligo di non fare. Il divieto dovrà ritenersi violato ogni qualvolta si sia avuto sviamento di clientela dall’azienda ceduta, per fatto concorrenziale direttamente o indirettamente imputabile all’alienante. Visto che questo non è facile da provare, è opportuno che l’atto di alienazione contenga specifiche clausole a riguardo, possibili grazie all’estensione patrizia del divieto di concorrenza, art. 2557.

6. LA SUCCESSIONE NEI CONTRATTI AZIENDALI

La disciplina del trasferimento dell’azienda si preoccupa di favorire il mantenimento dell’unità economica della stessa. A tal fine è agevolato il subingresso dell’ acquirente nei rapporti contrattuali in corso di esecuzione che l’alienante ha stipulato con fornitori, finanziatori, lavoratori e clienti. Infatti, l’art. 2558137 prevede che se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale. Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell'alienante.

Il subingresso dell’acquirente nei contratti in corso di esecuzione si produce anche se le parti nulla hanno previsto a riguardo. Quindi, è un effetto ex lege della vendita, sicché un’espressa pattuizione fra le parti è necessaria solo se si vuole escludere la successione in uno o più contratti in corso di esecuzione.

La deroga ai principi di diritto comune è vistosa per quanto concerne la posizione del terzo contraente. Infatti, mentre per diritto comune la cessione del contratto non può avvenire senza il consenso del contraente ceduto, art. 1406138, nel trasferimento di contratti, inerenti l’esercizio di impresa, il consenso del terzo contraente non è necessario e l’effetto successorio si produce dal momento stesso in cui diventa efficace il trasferimento dell’azienda. Da questo momento il terzo contraente dovrà eseguire le proprie prestazioni nei confronti del nuovo titolare dell’azienda. Il terzo contraente non resta senza tutela, anche se limitata. Infatti, il diritto di recesso del terzo, entro tre mesi, potrà essere esercitato solo se sussiste una giusta causa e spetterà al terzo contraente provare che

137 Art. 2558 Successione nei contratti

Se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale (2112, 2610). Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell'alienante. Le stesse disposizioni si applicano anche nei confronti dell'usufruttuario e dell'affittuario per la durata dell'usufrutto e dell'affitto. 138

Art. 1406 Nozione Ciascuna parte può sostituire a se un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l'altra parte vi consenta.

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Il rapporto alienante – acquirent

La posizione del terzo contraente

l’acquirente dell’azienda si trova in una situazione oggettiva tale da non dare affidamento sulla regolare esecuzione del contratto.Inoltre, il recesso dal contratto non determina il ritorno del contratto in testa all’ alienante bensì la sua definitiva estinzione. Resta al terzo contraente solo la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni all’alienante dando la prova che questi non ha osservato la normale cautela nella scelta dell’acquirente dell’azienda. È evidente il favor legislativo per il mantenimento dell’unità funzionale dell’azienda, che ispira anche altre norme che regolano taluni rapporti contrattuali inerenti all’ azienda.

Naturalmente non vi è successione dei contratti che abbiano carattere personale. Per il trasferimento di tali contratti sarà necessaria un’espressa pattuizione contrattuale fra le parti ed il consenso del terzo contraente ceduto. Cioè secondo la disciplina di diritto comune. Contratti personali, ai fini dell’art. 2558139, sono quei contratti nei quali l’identità e le qualità personali dell’imprenditore sono state in concreto determinanti del consenso del terzo contraente.

7. I CREDITI E I DEBITI AZIENDALI

L’art. 2558 si applica ai contratti a prestazioni corrispettive non integralmente eseguiti da entrambe le parti al momento del trasferimento dell’azienda. Se invece, l’imprenditore ha già adempiuto le obbligazioni a suo carico, residuerà un credito a suo favore nei confronti del terzo. Viceversa, residuerà un debito dell’ imprenditore qualora il terzo contraente abbia integralmente eseguito le proprie prestazioni. In tali casi, in sede di vendita dell’azienda troverà applicazione la disciplina dettata dall’art. 2559140 e dall’art. 2560141 per i crediti e i debiti aziendali e non quella prevista dall’art. 2558.

CESSIONE DEI CREDITI. Per le imprese soggette a registrazione nella sezione ordinaria, per rendere opponibile la cessione dei crediti ai terzi, la notifica al debitore ceduto o l’accettazione da parte di questi è sostituita dall’iscrizione del trasferimento

139 Art. 2558 Successione nei contratti

Se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale (2112, 2610). Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell'alienante. Le stesse disposizioni si applicano anche nei confronti dell'usufruttuario e dell'affittuario per la durata dell'usufrutto e dell'affitto. 140

Art. 2559 Crediti relativi all'azienda ceduta La cessione dei crediti relativi all'azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione (1265 e seguente), ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell'iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. Tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all'alienante (att. 100-5). Le stesse disposizioni si applicano anche nel caso di usufrutto dell'azienda, se esso si estende ai crediti relativi alla medesima. 141

Art. 2560 Debiti relativi all’azienda ceduta L'alienante non è liberato dai debiti, inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito. Nel trasferimento di un'azienda commerciale (2195) risponde dei debiti suddetti anche l'acquirente dell'azienda, se essi risultano dai libri

contabili obbligatori (2212 e seguenti).

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I contratti personali

dell’azienda nel registro delle imprese. Da tale momento, la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta ha effetto nei confronti dei terzi, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione. Tuttavia, il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante. Per le altre imprese, si applica la disciplina generale della cessione dei crediti.

CESSIONE DEI DEBITI.Per quanto riguarda la cessione dei debiti si cerca di evitare che la modificazione del patrimonio dell’alienante pregiudichi le aspettative di soddisfacimento dei creditori aziendali. Pertanto è mantenuto il principio generale per cui non è ammesso il mutamento del debitore senza il consenso del creditore. Infatti, secondo l’art. 2560, 1° comma, l'alienante non è liberato dai debiti, inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito. Consenso che deve riguardare specificatamente la liberazione dell’alienante e non genericamente il trasferimento dell’azienda. Per le aziende commerciali, invece, è derogato l’altro principio secondo cui ciascuno risponde solo delle obbligazioni da lui assunte. Infatti, secondo l’art. 2560, 2° comma, nel trasferimento di un'azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l'acquirente dell'azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori. Perciò, l’acquirente di un’azienda commerciale risponde in solido con l’alienante nei confronti dei creditori che non abbiano consentito alla liberazione dell’alienante. La responsabilità ex lege dell’acquirente sussiste solo per i debiti aziendali che risultano dai libri contabili obbligatori, (tranne che per i debiti di lavoro, per cui l’acquirente ne risponde anche se questi non risultano dalle scritture contabili obbligatorie).

L’art. 2559 e l’art. 2560 disciplinano le conseguenze del trasferimento dell’azienda per i creditori e i debitori aziendali, ma nulla dispongono circa la sorte dei crediti e debiti nel rapporto tra alienante e acquirente. La soluzione è tuttora controversa poiché i dati normativi non offrono alcun argomento per risolvere il problema. Comunque, prevale la tesi che i crediti e i debiti non passino automaticamente in testa all’acquirente, ma a tal fine è necessaria un’espressa pattuizione. In mancanza, l’acquirente riceverà il pagamento dei crediti anteriori come semplice legittimato a riscuotere per conto dell’alienante e sarà tenuto a trasferirgli quanto riscosso, nonché pagherà i debiti anteriori al trasferimento dell’azienda quale garante ex lege dell’alienante stesso e avrà diritto di rivalsa per l’intero nei confronti di questi. Ma le intenzioni del legislatore erano diverse, dato che sia il Progetto di codice di commercio del 1940 e il Progetto del libro dell’impresa e del lavoro del codice civile espressamente prevedevano la successione automatica dell’acquirente nei crediti e nei debiti. Comunque, non è accettabile l’idea che, nel silenzio delle parti, passino all’acquirente i crediti ma non i debiti.

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Crediti e debiti nei rapporti interni

8. USUFRUTTO E AFFITTO DELL’AZIENDA

L’azienda può formare oggetto di un diritto reale o personale di godimento. Può essere costituito in usufrutto o può essere concessa in affitto.

USUFRUTTO. La costituzione in usufrutto di un complesso di beni destinati allo svolgimento di attività di impresa modifica la disciplina generale dell’usufrutto. Infatti, l’art. 2561142 prevede particolari poteri-doveri in testa all’usufruttuario per consentire all’usufruttuario la libertà operativa necessaria per gestire proficuamente l’impresa e per tutelare l’interesse del concedente a che non sia diminuita l’efficienza del complesso aziendale. L’art. 2561 dispone che l'usufruttuario dell'azienda deve esercitarla sotto la ditta che la contraddistingue. Egli deve gestire l'azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte. Se non adempie a tale obbligo o cessa arbitrariamente dalla gestione dell'azienda, si applica l'art. 1015143, cioè la cessazione dell’usufrutto per abuso dell’usufruttuario.Il potere-dovere di gestione dell’usufruttuario comporta che lo stesso ha il diritto di godere dei beni aziendali ed il potere di disporne nei limiti segnati dalle esigenze della gestione. Tale potere sussiste sia rispetto alle scorte, e più in generale al capitale circolante, ma anche rispetto al capitale fisso, purché tali atti di disposizione non alterino l’identità e l’efficienza dell’azienda. L’usufruttuario potrà acquistare ed immettere nell’azienda nuovi beni; beni che diventeranno di proprietà del nudo proprietario e sui quali l’usufruttuario avrà diritto di godimento e potere di disposizione.Siccome, al termine dell’usufrutto l’azienda potrebbe risultare composta da beni diversi da quelli originari, l’art. 2561, 4° comma, prevede che venga redatto un inventario all’inizio e alla fine dell’usufrutto e che la differenza fra le sue consistenze sia regolata in danaro.

AFFITTO. La disciplina dell’usufrutto si applica anche all’affitto di azienda, art. 2562144.Usufrutto e affitto di azienda sono parzialmente regolati dalle stesse norme previste per la vendita.

142 Art. 2561 Usufrutto dell'azienda.

L'usufruttuario dell'azienda deve esercitarla sotto la ditta che la contraddistingue. Egli deve gestire l'azienda senza modificarne la destinazione (985) e in modo da conservare l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti (997) e le normali dotazioni di scorte. Se non adempie a tale obbligo o cessa arbitrariamente dalla gestione dell'azienda, si applica l'art. 1015.La differenza tra le consistenze d'inventario all'inizio e al termine dell'usufrutto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell'usufrutto (2112). 143

Art. 1015 Abusi dell'usufruttuario L'usufrutto può anche cessare per l'abuso (2561, 2814) che faccia l'usufruttuario del suo diritto alienando i beni o deteriorandoli o lasciandoli andare in perimento per mancanza di ordinarie riparazioni (1004). L'autorità giudiziaria può, secondo le circostanze, ordinare che l'usufruttuario dia garanzia, qualora ne sia esente, o che i beni siano locati o posti sotto amministrazione a spese di lui, o anche dati in possesso al proprietario con l'obbligo di pagare annualmente all'usufruttuario, durante l'usufrutto, una somma determinata. I creditori dell'usufruttuario possono intervenire nel giudizio per conservare le loro ragioni, offrire il risarcimento dei danni e dare garanzia per l'avvenire.144

Art. 2562 Affitto dell'azienda Le disposizioni dell'articolo precedente si applicano anche nel caso di affitto dell'azienda.

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Ad entrambe le fattispecie si applicano gli artt. 2557145 (divieto di concorrenza) e 2558146 (successione nei contratti aziendali). Il nudo proprietario e il locatore, per la durata dell’affitto e dell’usufrutto, non potranno iniziare una nuova impresa che possa sviare clientela e subentreranno automaticamente nei contratti aziendali.All’usufrutto, ma non all’affitto, si applica l’art. 2559 (cessione dei crediti aziendali).L’art. 2560147 non si applica a nessuna delle due fattispecie. Perciò dei debiti aziendali anteriori alla costituzione dell’usufrutto o dell’affitto risponderanno esclusivamente il nudo proprietario o il locatore, salvo per i debiti di lavoro espressamente accollati anche all’usufruttuario, art. 2112, 4° comma148.

145 Art. 2557 Divieto di concorrenza

Chi aliena l'azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta (2125, 2596). Il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di quelli previsti dal comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale dell'alienante. Esso non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento. Se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata non e stabilita, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal trasferimento. Nel caso di usufrutto o di affitto dell'azienda il divieto di concorrenza disposto dal primo comma vale nei confronti del proprietario o del locatore per la durata dell'usufrutto o dell'affitto. Le disposizioni di questo articolo si applicano alle aziende agricole solo per le attività ad esse connesse (2135), quando rispetto a queste sia possibile uno sviamento di clientela. 146

Art. 2558 Successione nei contratti Se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale (2112, 2610). Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell'alienante. Le stesse disposizioni si applicano anche nei confronti dell'usufruttuario e dell'affittuario per la durata dell'usufrutto e dell'affitto. 147

Art. 2560 Debiti relativi all’azienda ceduta L'alienante non è liberato dai debiti, inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito. Nel trasferimento di un'azienda commerciale (2195) risponde dei debiti suddetti anche l'acquirente dell'azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori (2212 e seguenti). 148

Art. 2112 Trasferimento dell'azienda I primi tre commi sono stati così sostituiti dall’ art.47 della Legge 29 dicembre 1990, n.428. In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con l'acquirente ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. L'alienante e l'acquirente sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli artt. 410 e 411 Cod. Proc. Civ. il lavoratore può consentire la liberazione dell'alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. L'acquirente e tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi, previsti dai contratti collettivi anche aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa dell'acquirente. Le disposizioni di quest'articolo si applicano anche in caso di usufrutto o di affitto della azienda (2561 e seguente).

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I SEGNI DISTINTIVI

1. IL SISTEMA DEI SEGNI DISTINTIVI

L’attività di impresa è un’attività di relazioni in un mercato che vede coesistere più imprenditori che producono e/o distribuiscono beni o servizi uguali o simili. Ciascun imprenditore può utilizzare uno o più segni distintivi che consentano di individuarlo sul mercato e di distinguerlo dagli altri imprenditori concorrenti.I principali segni distintivi dell’imprenditore sono:

a. la ditta, che contraddistingue la persona dell’imprenditore nell’esercizio dell’attività di impresa; detta anche nome commerciale;

b. l’insegna, che individua i locali in cui l’attività di impresa è esercitata;

c. il marchio, che individua e distingue i beni o i servizi prodotti.d. sempre più rilievo sta acquistando il nome a dominio, cioè il sito

internet aziendale149.

I segni distintivi hanno la funzione di favorire la formazione ed il mantenimento della clientela in quanto consentono ai consumatori di distinguere fra i vari operatori economici e di effettuare scelte consapevoli. Si definiscono collettori di clientela. Intorno ai segni distintivi ruotano vari interessi:- l’interesse degli imprenditori:

o di dotarsi di segni che abbiano spiccata forza distintiva ed attrattiva e di precludere ai concorrenti l’uso di segni similari idonei a sviare la propria clientela;

149 Nome a dominio. Il nome a dominio si crea mediante registrazione presso l’autorità di registrazione. L’organizzazione mondiale delle autorità di registrazione fa sì che non esistano due nomi a dominio identici. Il codice della proprietà industriale ha introdotto una disciplina dei nomi a dominio, per cui è possibile tutelare il nome a dominio contro l’uso di segni distintivi confondibili mediante l’applicazione della disciplina sui segni distintivi.

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CAP. 6

Funzione dei segni distintivi

o di poter liberamente cedere ad altri i propri segni distintivi, in modo da monetizzare il valore economico di tali segni;

- l’interesse di coloro che con essi entrano in contatto (fornitori, finanziatori e consumatori) a non essere tratti in inganno sull’identità dell’imprenditore o sulla provenienza dei prodotti immessi sul mercato.

- il più ampio interesse a che la competizione concorrenziale si svolga in modo ordinato e leale. Questa finalità è l’obiettivo a cui tende la regolamentazione dei segni distintivi.

Nel nostro ordinamento i tre segni distintivi, ditta, insegna e marchio, sono disciplinati in modo differente, ma è fuor di dubbio la centralità del ruolo del marchio. Infatti, oltre alla disciplina del codice civile riservati a tutti e tre, il marchio è disciplinato anche dal codice della proprietà industriale, d.lgs. n. 30 del 10/02/2005 che sostituisce la legge marchi del 1942.Dalle tre discipline è possibile desumere dei principi comuni, espressione della funzione comune dei segni distintivi e dell’identità degli interessi coinvolti:

a. l’imprenditore gode di ampia libertà nella formazione dei propri segni distintivi, ma è tenuto a rispettare determinate regole ( verità, novità, capacità distintiva ) , per evitare inganno e confusione sul mercato;

b. l’imprenditore ha diritto all’uso esclusivo dei propri segni distintivi; è un diritto relativo e strumentale alla realizzazione della funzione distintiva e non un diritto assoluto: il titolare di un segno distintivo non può impedire che altri adottino lo stesso segno distintivo quando, per la diversità delle attività di impresa o per la diversità dei mercati su cui operano, non vi è pericolo di confusione o sviamento della clientela;

c. l’imprenditore può trasferire ad altri i propri segni distintivi, purché la circolazione dei segni non tragga in inganno il pubblico.

Da questi principi emerge che i tre segni distintivi tipici dell’imprenditore sono tutelati sul piano patrimoniale, ma in modo relativo e funzionale. Ciò rende controverso se i segni distintivi possano essere considerati beni immateriali e, quindi, si possa parlare di diritto di proprietà su un bene immateriale. Visto che ormai la dottrina accetta il concetto di proprietà limitata e funzionale, in presenza dei segni distintivi si può parlare di proprietà industriale.

LA DITTA

2. FORMAZIONE DELLA DITTA E CONTENUTO DEL DIRITTO SULLA DITTA

La ditta è il nome commerciale dell’imprenditore, che lo individua come soggetto di diritto nell’esercizio dell’attività di impresa. È un segno distintivo necessario, ossia in mancanza di diversa scelta essa coincide con il nome civile dell’ imprenditore.

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Principi comuni

La ditta, secondo l’art. 2563, 1° comma150, può essere liberamente scelto dall’ imprenditore. Nella scelta l’imprenditore deve rispettare due limiti specifici, cioè:

o il principio di verità, o il principio di novità.

Il principio di verità della ditta ha un contenuto assai limitato e diverso a seconda che si tratti di:

o ditta originaria , è quella formata dall’imprenditore che la utilizza. Essa deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore, poi l’imprenditore può completarlo come preferisce. L’imprenditore non è tenuto a modificare la ditta patronomica qualora intervengano mutamenti nel suo nome civile (per matrimonio, divorzio o adozione);

o ditta derivata , è quella formata da un dato imprenditore e successivamente trasferita ad altro imprenditore insieme all’azienda. Infatti, l’art. 2563, 2° comma, fa salvo quanto è disposto dall’art. 2565151 (trasferimento della ditta), e né tale norma né altre norme impongono a chi utilizzi una ditta derivata di integrarla col proprio cognome o con la propria sigla.

Il principio della novità, art. 2564152, sancisce che la ditta non deve essere uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e tale da creare confusione per l’oggetto dell’impresa o per il luogo in cui questa è esercitata. Per risolvere il conflitto fra ditte confondibili si applica il criterio della priorità dell’uso : chi ha adottato per primo una ditta ha diritto esclusivo della stessa e tale diritto acquista per il solo fatto dell’uso della ditta. Chi successivamente adotti una ditta uguale o simile, può perciò essere costretto ad integrarla o modificarla con indicazioni idonee a differenziarla. E ciò anche quando la ditta usata per seconda corrisponda al nome civile dell’imprenditore (ditta patronomica).In passato, vista la mancanza dell’attuazione del registro delle imprese, il criterio della priorità dell’uso trovava applicazione anche per le imprese commerciali individuali. La recente attuazione del registro delle imprese rende oggi applicabile il secondo comma dell’art. 2564, in base al quale per le imprese commerciali l'obbligo dell'integrazione o modificazione spetta a chi ha iscritto la propria ditta nel registro delle imprese in epoca posteriore. Quindi, per le imprese commerciali trova applicazione il criterio della priorità dell’iscrizione nel registro delle imprese e non il criterio della priorità dell’uso.

150 Art. 2563 Ditta

L'imprenditore (2082) ha diritto all'uso esclusivo della ditta da lui prescelta. La ditta, comunque sia formata, deve contenere almeno il cognome o la sigla dell'imprenditore, salvo quanto è disposto dall'art. 2565. 151

Art. 2565 Trasferimento della ditta La ditta non può essere trasferita separatamente dall'azienda (2610). Nel trasferimento dell'azienda per atto tra vivi (2556) la ditta non passa all'acquirente senza il consenso dell'alienante.152

Art. 2564 Modificazione della ditta Quando la ditta è uguale o simile a quella usata da un altro imprenditore e può creare confusione per l'oggetto dell'impresa e per il luogo in cui questa è esercitata, deve essere integrata o modificata con indicazioni idonee a differenziarla. Per le imprese commerciali (2195) l'obbligo dell'integrazione o modificazione spetta a chi ha iscritto la propria ditta nel registro delle imprese in epoca posteriore.

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Il diritto all’uso esclusivo della ditta ed il corrispondente obbligo di differenziazione sussistono però solo se i due imprenditori si trovino in rapporto di concorrenza fra loro e quindi possa determinarsi confusione per l’oggetto dell’impresa e/o per il luogo in cui questa è esercitata. Perciò è possibile l’omonimia fra ditte che non creano confusione sul mercato, non potendosi imporre la differenziazione a chi produce beni o servizi destinati a soddisfare bisogni diversi dei consumatori, né a chi opera in un diverso territorio. Il diritto all’uso esclusivo è quindi un diritto relativo. La confondibilità fra ditte deve essere valutata sulla base delle ditte effettivamente utilizzate, anche se diverse da quelle ufficialmente prescelte ( ditta ufficiosa ). Inoltre, nel giudizio di confondibilità si deve dare rilievo al nucleo caratterizzante e predominate (cuore della ditta) e non a indicazioni marginali o a denominazioni generiche inserite nella ditta stessa (bar, taxi, moda).Il principio della novità opera anche nei rapporti fra la ditta e gli altri segni distintivi, in particolare con il marchio. Infatti, è fatto divieto di adottare come propria ditta il marchio altrui, se sussiste pericolo di confusione fra i segni. È questo il principio di unitarietà dei segni distintivi, in base al quale il diritto di esclusiva che spetta al titolare di un marchio ha effetto nei confronti di tutti i segni distintivi usati da altri imprenditori.

3. IL TRASFERIMENTO DELLA DITTA

Secondo l’art. 2565153, la ditta non può essere trasferita separatamente dall'azienda. Nel trasferimento dell'azienda per atto tra vivi la ditta non passa all'acquirente senza il consenso dell'alienante. Nella successione nell'azienda per causa di morte la ditta si trasmette al successore, salvo diversa disposizione testamentaria. Il collegamento fra circolazione della ditta e circolazione dell’azienda consente al titolare della ditta di monetizzare il valore dell’avviamento dell’azienda e di tutelare quanti hanno avuto rapporti con l’originario imprenditore.

La circostanza che la ditta derivata non deve essere integrata con indicazioni idonee ad individuare l’attuale titolare dell’impresa (cognome o sigla) e il ritardo nell’attuazione del registro delle imprese esponevano i terzi a vistose possibilità di inganno circa la reale identità dell’attuale titolare dell’impresa. Pericoli aumentati dal fatto che, nel silenzio della legge, si ammette che la ditta possa essere trasferita anche quando non è trasferita l’intera azienda, ma un ramo della stessa, purché dotato di organica unità.

153 Art. 2565 Trasferimento della ditta

La ditta non può essere trasferita separatamente dall'azienda (2610). Nel trasferimento dell'azienda per atto tra vivi (2556) la ditta non passa all'acquirente senza il consenso dell'alienante. Nella successione nell'azienda per causa di morte la ditta si trasmette al successore, salvo diversa disposizione testamentaria.

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Pericoli per i terzi

Trasferibilità con l’azienda

Il pericolo che chi entra in contatto con un imprenditore possa essere tratto in inganno dall’uso di una ditta derivata è stato mitigato dalla giurisprudenza. Infatti, si ritiene che chi ha trasferito l’azienda è responsabile in solido con l’acquirente per i debiti da questi contratti spendendo la ditta derivata, qualora il terzo contraente abbia potuto ragionevolmente ritenere di trattare col cedente.

Conseguenza di questo orientamento è che l’alienante ha l’onere di portare a conoscenza dei terzi, con mezzi idonei, l’avvenuto trasferimento dell’azienda e della ditta se si tratta di impresa non commerciale e comunque di imporre all’acquirente di integrare la ditta con indicazioni non equivoche. 4. DITTA E NOME CIVILE. DITTA E NOME DELLE SOCIETA’

L’imprenditore individuale ha:- un nome civile, che lo individua come soggetto di diritto come ogni

altra persona fisica. Esso è attribuito per legge, è fisso (cognome + prenome) ed non è liberamente modificabile;

- una ditta o nome commerciale, che lo individua come imprenditore. Un imprenditore può avere più ditte.

Nome civile e ditta sono diversamente tutelati e formano oggetto di diritti diversi. Il nome civile è un attributo della personalità e come tale è tutelato nei limiti fissati dagli artt. 6-9 del codice civile. La ditta è invece tutelata come mezzo di attrazione della clientela e come valore patrimoniale. Perciò, mentre l’omonimia fra nomi civili è ammessa, non è consentita omonimia fra ditte di imprenditori in concorrenza, anche se corrispondenti ai nomi civili. Inoltre, il nome civile a differenza della ditta è indisponibile e intrasmissibile.

La distinzione fra nome civile e nome commerciale dell’imprenditore è valida anche per le società. In base all’art. 2567154, la ragione sociale delle società di persone e la denominazione sociale delle società di capitali e delle cooperative sono regolate dalle norme dettate in sede di disciplina dei singoli tipi di società. Tuttavia si applicano anche ad esse le disposizioni dell’art. 2564155, cioè il divieto di utilizzare ditta uguale o simile a quella di altro imprenditore

154 Art. 2567 Società

La ragione sociale e la denominazione delle società sono regolate dai titoli V e VI di questo libro. Tuttavia si applicano anche ad esse le disposizioni dell'art. 2564. 155

Art. 2564 Modificazione della ditta Quando la ditta è uguale o simile a quella usata da un altro imprenditore e può creare confusione per l'oggetto dell'impresa e per il luogo in cui questa è esercitata, deve essere integrata o modificata con indicazioni idonee a differenziarla. Per le imprese commerciali (2195) l'obbligo dell'integrazione o modificazione spetta a chi ha iscritto la propria ditta nel registro delle imprese in epoca posteriore.

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Differenza fra nome civile e ditta

Nome e ditta nelle società

concorrente. Non sono richiamati, invece, né l’art. 2563156 (scelta della ditta), né l’art. 2565157 (trasferimento della ditta).Si è chiarito che ragione sociale e denominazione sociale non vanno identificate con la ditta. Esse costituiscono il nome necessario delle società e vanno poste sullo stesso piano del nome civile della persona fisica in quanto servono per individuarle come soggetti di diritto e non come esercenti di impresa. Quindi, la disciplina dell’art. 2567 regola solo il nome delle società e non impedisce l’uso di una ditta distinta dalla ragione o denominazione sociale.

In conclusione : le società devono avere una ragione sociale o una denominazione, formata rispettando le norme sulla società e l’art. 2564. Quindi, il nome di una società non può essere uguale o simile a quello di un’altra società concorrente e non è trasferibile. Le società possono avere una ditta originaria, formata rispettando le norme sulla ditta, nonché una o più ditte derivate. Ditte che sono distinte dal nome e che possono essere trasferite con l’azienda.

IL MARCHIO

5. NOZIONE E FUNZIONI DEL MARCHIO

Il marchio è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa. Esso è disciplinato sia dall’ordinamento nazionale sia da quello comunitario ed internazionale. Il marchio nazionale è regolato dagli artt. 2569-2574 del codice civile e dal codice della proprietà industriale (d.lgs. n. 30 del 10/02/2005, sostitutivo del r.d. n. 929/1942, legge marchi). Inoltre, la disciplina nazionale sui marchi è stata più volte modificata in attuazione delle direttive comunitarie e degli accordi internazionali.

156 Art. 2563 Ditta

L'imprenditore (2082) ha diritto all'uso esclusivo della ditta da lui prescelta. La ditta, comunque sia formata, deve contenere almeno il cognome o la sigla dell'imprenditore, salvo quanto è disposto dall'art. 2565. 157

Art. 2565 Trasferimento della ditta La ditta non può essere trasferita separatamente dall'azienda (2610). Nel trasferimento dell'azienda per atto tra vivi (2556) la ditta non passa all'acquirente senza il consenso dell'alienante. Nella successione nell'azienda per causa di morte la ditta si trasmette al successore, salvo diversa disposizione testamentaria.

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Marchio nazionale

Marchio comunitario

Il marchio comunitario è stato istituito con il regolamento CE n. 40/94 del 20/12/1993. La relativa disciplina permette di ottenere un marchio unico, regolato e tutelato in tutti i paesi dell’Unione Europea.Il marchio internazionale è disciplinato da due convenzioni internazionali, la Convenzione di Parigi del 1883 e l’Accordo di Madrid del 1891, recentemente integrato dal Protocollo di Madrid del 1989.

Tali normative, basate sulla registrazione del marchio (nazionale, comunitaria, internazionale), riconoscono al titolare del marchio, il diritto all’uso esclusivo dello stesso, così permettendo che il marchio assolva la sua funzione di identificazione e differenziazione dei prodotti similari esistenti sul mercato. Il marchio costituisce perciò il principale simbolo di collegamento fra produttori e consumatori e svolge quindi un ruolo centrale nella formazione e nel mantenimento della clientela. Il marchio è anche indicatore della provenienza del prodotto da una fonte unitaria di produzione. Dopo la riforma del 1992, è caduto il divieto di circolazione del marchio separatamente dall’azienda e soprattutto si è riconosciuta la legittimità del co-uso di uno stesso marchio da parte di più imprenditori concorrenti, sulla base di una licenza di marchio non esclusiva concessa dal titolare dello stesso. I co-utenti di uno stesso marchio sono tenuti ad assicurare l’omogeneità dei caratteri essenziali e della qualità dei prodotti dello stesso tipo contraddistinti dal marchio comune in modo da evitare che il pubblico sia tratto in inganno. Fra le funzioni del marchio non può comprendersi quella di garanzia della qualità dei prodotti. Non vi è alcuna norma che assolva una funzione di garanzia della qualità dei prodotti o che vieti al produttore variazioni qualitative della propria produzione. È dato comune che certi marchi finiscono con l’assumere un’autonoma forza attrattiva dei consumatori. È comprensibile perciò l’interesse dei titolari di marchi celebri a contrastare l’uso degli stessi da parte di altri produttori, anche per prodotti diversi da quelli da loro immessi sul mercato. Mentre in passato tale interesse è stato ignorato dalla legge, l’attuale disciplina ha recepito la distinzione fra marchi ordinari e marchi celebri, estendendo per quest’ultimi la tutela oltre i limiti segnati dalla necessità di evitare confusione fra prodotti affini, dando così riconoscimento giuridico alla funzione attrattiva degli stessi.

6. I TIPI DI MARCHI

I marchi possono essere classificati e raggruppati secondo diversi criteri.In base alla natura dell’attività svolta dal titolare del marchio, distinguiamo:

- il marchio di fabbrica è il marchio apposto dal fabbricante del prodotto. I beni che subiscono successivi fasi di lavorazione o di assemblaggio, possono presentare anche più marchi di fabbrica.

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Marchio internazionale

Funzione del marchio

Classificazione

- il marchio di commercio è il marchio apposto dal commerciante del prodotto, sia esso un distributore intermedio (grossista) o rivenditore finale. Su uno stesso prodotto possono perciò coesistere più marchi ed in tal caso l’art. 2572158, e l’art. 20, 3° comma c.p.i.159, prevedono che il rivenditore può apporre il proprio marchio ai prodotti che mette in vendita, ma non può sopprimere il marchio del produttore.

- il marchio di servizio è il marchio utilizzato da chi produce servizi (es. imprese di trasporto, banche, ecc.). La forma tipica di questi marchi è quella pubblicitaria, essendo essi posti su materiali pubblicitari o divise.

Altra classificazione dei marchi è fra marchio generale e marchi speciali:- si ha marchio generale quando l’imprenditore utilizzerà un solo

marchio per identificare tutti i suoi prodotti.- si avranno marchi speciali quando utilizzerà più marchi per

differenziare i suoi singoli prodotti. Inoltre è possibile l’uso contemporaneo di un marchio generale e più marchi speciali, quando si vuole evidenziare contemporaneamente l’unità della fonte di produzione e la diversità dei prodotti, (es. FIAT, aziende di cosmetici). L’imprenditore nella scelta del marchio potrà utilizzare come marchio tutti i nuovi segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, art. 7 c.p.i.160, purché rispetti i requisiti di validità del marchio.Il marchio può essere costituito:

- solo da parole, che può coincidere con il nome della ditta o il nome civile dell’imprenditore, detto marchio denominativo;

- solo da figure, lettere, cifre, disegni, colori, suoni, detto marchio figurativo;

- sia da parole che da simboli o altro, detto marchio misto.

Il marchio di regola è qualcosa di esterno al prodotto, che si aggiunge al prodotto stesso per indicarne la provenienza. Il marchio può essere costituito dalla forma del prodotto o dalla sua confezione, ed è detto marchio di forma o tridimensionale. Ma secondo l’art. 9 c.p.i.161, non possono essere registrati come marchio le forme imposte dalla natura del prodotto, quelle necessarie per ottenere un risultato tecnico e quelle che danno un valore sostanziale al prodotto.

158 Art. 2572 Divieto di soppressione del marchio

Il rivenditore può apporre il proprio marchio ai prodotti che mette in vendita, ma non può sopprimere il marchio del produttore. 159 Art. 20. Diritti conferiti dalla registrazione Il commerciante può apporre il proprio marchio alle merci che mette in vendita, ma non può sopprimere il marchio del produttore o del commerciante da cui abbia ricevuto i prodotti o le merci.160 Art. 7. Oggetto della registrazione1. Possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purche' siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese.161 Art. 9. Marchi di forma1. Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni costituiti esclusivamente dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto, dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico, o dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto.

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Composizione del marchio

Marchio di forma

Insomma, si deve trattare di una forma arbitraria e capricciosa che consenta l’individuazione del prodotto.

L’art. 2570162 e l’art. 11 c.p.i.163 , prevedono il marchio collettivo. Titolare del marchio collettivo è un soggetto che svolge la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi e che, non usa esso il marchio, ma concede l’utilizzo del marchio a produttori o commercianti consociati. Quest’ultimi si impegnano a rispettare nella loro attività le norme dello statuto fissate dall’ente e a consentire i relativi controlli. (Es. consorzi)Questi marchio sono utilizzati in aggiunta a quelli individuali.

7. I REQUISITI DI VALIDITA’ DEL MARCHIO

Per essere tutelato giuridicamente il marchio deve rispondere a determinati requisiti di validità:

- liceità,- verità,- originalità,- novità.

LICEITÀ. Il marchio non deve contenere:- segni contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume, art. 14,

lett. a, c.p.i164.- stemmi o altri segni protetti da convenzioni internazionali, senza

l’autorizzazione dell’autorità competente, art. 10, c.p.i165.- segni lesivi di un altrui diritto di autore o di proprietà industriale, art. 14,

lett. c., c.p.i.- l’altrui ritratto, o nome (se persona famosa) senza il consenso

dell’interessato o dei suoi eredi, art. 8, c.p.i166.

162 Art. 2570 Marchi collettivi

I soggetti che svolgono la funzione di garantire l'origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi possono ottenere la registrazione di marchi collettivi per concederne l'uso, secondo le norme dei rispettivi regolamenti, a produttori o commercianti.163 Art. 11. Marchio collettivo1. I soggetti che svolgono la funzione di garantire l'origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi, possono ottenere la registrazione per appositi marchi come marchi collettivi ed hanno la facoltà di concedere l'uso dei marchi stessi a produttori o commercianti. 164 Art. 14. Liceità1. Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa:a) i segni contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume;b) i segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi;c) i segni il cui uso costituirebbe violazione di un altrui diritto di autore, di proprietà industriale o altro diritto esclusivo di terzi.165

Art. 10. Stemmi1. Gli stemmi e gli altri segni considerati nelle convenzioni internazionali vigenti in materia, nei casi e alle condizioni menzionati nelle convenzioni stesse, nonche' i segni contenenti simboli, emblemi e stemmi che rivestano un interesse pubblico non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa, a meno che l'autorità competente non ne abbia autorizzato la registrazione.166

Art. 8. Ritratti di persone, nomi e segni notori1. I ritratti di persone non possono essere registrati come marchi senza il consenso delle medesime e, dopo la loro morte, senza il consenso del coniuge e dei figli; in loro mancanza o dopo la loro morte, dei genitori e degli altri ascendenti, e, in mancanza o dopo la morte anche di questi ultimi, dei parenti fino al quarto grado incluso.2. I nomi di persona diversi da quelli di chi chiede la registrazione possono essere registrati come marchi, purche' il loro uso non sia tale da ledere la fama, il credito o il decoro di chi ha diritto di portare tali nomi. L'Ufficio italiano brevetti e marchi ha tuttavia la facoltà di subordinare la registrazione al consenso stabilito al comma 1. In ogni caso, la registrazione non impedirà a chi abbia diritto al nome di farne uso nella ditta da lui prescelta.3. Se notori, possono essere registrati come marchio solo dall'avente diritto, o con il consenso di questi, o dei soggetti di cui al comma 1: i nomi di persona, i segni usati in campo artistico, letterario, scientifico, politico o sportivo, le denominazioni e sigle di manifestazioni e quelli di enti ed associazioni non aventi finalità economiche, nonche' gli emblemi caratteristici di questi.

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Marchio collettivo

VERITÀ. L’art. 14, lett. b, c.p.i. vieta di inserire nel marchio segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi.

ORIGINALITÀ. Per assolvere alla sua funzione il marchio deve essere originale, cioè deve essere composto in modo da consentire l’individuazione dei prodotti contrassegnati da tutti gli altri prodotti dello stesso genere presente sul mercato. Il legislatore, all’art. 12 e 13, c.p.i. predetermina i tipi di segni privi di capacità distintiva:

a. le denominazioni generiche del prodotto o del servizio o la loro figura generica. Es. scarpa o la figura di una scarpa.

b. le indicazioni descrittive dei caratteri essenziali, delle prestazioni e della provenienza geografica del prodotto.

c. i segni di uso comune nel linguaggio corrente. Es. super, extra, lusso.

Questo divieto è stato posto per impedire l’acquisto di posizioni di monopolio su simboli che nel lessico comune individuano genericamente quel dato prodotto. Perciò, rispettano il requisito della originalità, quei marchi, detti marchio di fantasia, che utilizzano denominazioni o figure generiche che non abbiano alcuna relazione con il prodotto contraddistinto. Es. sigarette Capri.

Si definiscono marchi deboli quei marchi a cui basta una lieve modifica per escludere la confondibilità con altri marchi. Es. amplifon - udifon.Sono marchi forti, invece, quei marchi che sono dotati di accentuata capacità distintiva e sono tali i marchi di pura fantasia. Per tali marchi una modifica non basterà ad evitare la contraffazione. La distinzione fra marchi deboli e marchi forti non è sempre agevole, e si può verificare che un marchio, inizialmente dotato di scarsa capacità distintiva, diventi col tempo un marchio forte a seguito della notorietà raggiunta tra il pubblico grazie alla pubblicità (detta secondary meaning).L’attuale disciplina, art. 13, c.p.i.167 , riconosce che il secondary meaning:- può far acquistare carattere distintivo ad un segno che originariamente

ne era privo rendendone così possibile la registrazione come marchio;- può trasformare un marchio originariamente debole (e perciò nullo) in

un marchio valido;

NOVITÀ.

167 Art. 13 Capacità distintiva1. Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni privi di carattere distintivo e in particolare quelli costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono, come i segni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l'epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio o altre caratteristiche del prodotto o servizio.2. In deroga al comma 1 e all'articolo 12, comma 1, lettera a), possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni che prima della domanda di registrazione, a seguito dell'uso che ne sia stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo.3. Il marchio non può essere dichiarato o considerato nullo se prima della proposizione della domanda o dell'eccezione di nullità, il segno che ne forma oggetto, a seguito dell'uso che ne e' stato fatto, ha acquistato carattere distintivo.4. Il marchio decade se, per il fatto dell'attività o dell'inattività del suo titolare, sia divenuto nel commercio denominazione generica del prodotto o comunque servizio o abbia perduto la sua capacità distintiva.

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Marchi deboli e marchi forti

Un marchio per essere valido deve essere nuovo rispetto agli altri, per non creare confusione fra i consumatori.Il codice della proprietà industriale distingue fra marchi ordinari e marchi celebri.Per i marchi ordinari la regola è che non sono nuovi i segni che possono determinare un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni, perché si tratta di segni identici o simili ad un segno già noto come marchio, ditta, insegna o nome a dominio di un altro imprenditore concorrente o comunque già registrato da altri come marchio per prodotti identici o affini, art. 12.Il rapporto di affinità fra prodotti non è però necessario se il marchio già registrato è un marchio celebre. Infatti, non è nuovo un marchio confondibile da altri successivamente utilizzato per prodotti o servizi non affini, se chi lo usa trarrebbe indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi, art. 12.

Il difetto di questi requisiti comporta la nullità del marchio, art. 25 c.p.i.168

, che può riguardare anche solo parte dei prodotti o servizi per i quali il marchio è stato registrato, art. 27, c.p.i.169 Ma, sono previste due eccezioni:1. la nullità del marchio per difetto di novità non può essere più dichiarato

quando chi ha richiesto la registrazione non era in mala fede ed il titolare del marchio anteriore abbia tollerato l’uso per 5 anni. Questo è l’istituto della convalida del marchio, che in base all’art. 28 c.p.i.170, è applicabile anche al conflitto fra due marchi registrati e comporta la coesistenza dei due marchi confondibili.

2. la nullità del marchio per difetto di originalità non può essere dichiarata quando, a seguito dell’uso che ne è stato fatto, ha acquistato capacità distintiva prima della proposizione della domanda o dell’eccezione di nullità, art. 13 c.p.i. E’ il caso di sopravvenuto secondary meaning.

8. IL MARCHIO REGISTRATO

168 Art. 25. Nullità1. Il marchio e' nullo:a) se manca di uno dei requisiti previsti nell'articolo 7 o se sussista uno degli impedimenti previsti dall'art. 12;b) se e' in contrasto con il disposto degli articoli 9, 10, 13, 14, comma 1, e 19, comma 2;c) se e' in contrasto con il disposto dell'articolo 8;d) nel caso dell'articolo 118, comma 3, lettera b).169 Art. 27. Decadenza e nullità parziale1. Se i motivi di decadenza o di nullità di un marchio d'impresa sussistono soltanto per una parte dei prodotti o servizi per i quali il marchio e' registrato, la decadenza o nullità riguardano solo questa parte dei prodotti o servizi.170

Art. 28. Convalidazione1. Il titolare di un marchio d'impresa anteriore ai sensi dell'articolo 12 e il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale, i quali abbiano, durante cinque anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l'uso di un marchio posteriore registrato uguale o simile, non possono domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore ne' opporsi all'uso dello stesso per i prodotti o servizi in relazione ai quali il detto marchio e' stato usato sulla base del proprio marchio anteriore o del proprio preuso, salvo il caso in cui il marchio posteriore sia stato domandato in mala fede. Il titolare del marchio posteriore non può opporsi all'uso di quello anteriore o alla continuazione del preuso.

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Nullità

Il titolare di un marchio rispondente ai requisiti di validità ha diritto all’uso esclusivo, su tutto il territorio nazionale, il marchio scelto. Il contenuto del diritto sul marchio e la relativa tutela sono però diversi a seconda che il marchio sia stato o meno registrato presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi, istituito presso il Ministero delle attività produttive, e a seconda che si tratta di marchi celebri o ordinari.Il marchio registrato può essere ottenuto non solo dall’imprenditore che intenda utilizzarlo direttamente nella propria impresa, ma anche da chi si proponga di utilizzarlo in altre imprese di cui abbia il controllo o che ne facciano uso con il suo consenso, art. 19 c.p.i.171

Il titolare di un marchio registrato può impedire a terzi di mettere in commercio, di importare o di esportare prodotti contrassegnati col proprio marchio, nonché di utilizzare lo stesso nella pubblicità, quando ciò possa determinare un rischio di confusione per il pubblico, art. 20 c.p.i.172

Tale potere però subisce alcune limitazioni, previste dall’art. 21 c.p.i.173

Il diritto di esclusiva sul marchio registrato copre non solo i prodotti identici, ma anche quelli affini, qualora possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico. Però, la tutela del marchio registrato contro l’altrui usurpazione o contraffazione non impedisce che un altro imprenditore registri o usi lo stesso marchio per prodotti diversi. L’applicazione di tale regola può causare problemi nel caso in cui si tratti di marchi celebri. L’uso di tali marchi, anche per prodotti diversi, oltre a costituire usurpazione dell’altrui fama, può facilmente determinare equivoci sulla reale fonte di produzione, per la spontanea tendenza a riferire

171 Art. 19. Diritto alla registrazione1. Può ottenere una registrazione per marchio d'impresa chi lo utilizzi o si proponga di utilizzarlo, nella fabbricazione o commercio di prodotti o nella prestazione di servizi della propria impresa o di imprese di cui abbia il controllo o che ne facciano uso con il suo consenso.2. Non può ottenere una registrazione per marchio di impresa chi abbia fatto la domanda in mala fede.3. Anche le amministrazioni dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni possono ottenere registrazioni di marchio. 172 Art. 20. Diritti conferiti dalla registrazione1. I diritti del titolare del marchio d'impresa registrato consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell'attività economica:a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso e' stato registrato;b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell'identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni;c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l'uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.2. Nei casi menzionati al comma 1 il titolare del marchio può in particolare vietare ai terzi di apporre il segno sui prodotti o sulle loro confezioni; di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire i servizi contraddistinti dal segno; di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno stesso; di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.3. Il commerciante può apporre il proprio marchio alle merci che mette in vendita, ma non può sopprimere il marchio del produttore o del commerciante da cui abbia ricevuto i prodotti o le merci. 173 Art. 21. Limitazioni del diritto di marchio1. I diritti di marchio d'impresa registrato non permettono al titolare di vietare ai terzi l'uso nell'attività economica:a) del loro nome e indirizzo;b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all'epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio;c) del marchio d'impresa se esso e' necessario per indicare la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio, purche' l'uso sia conforme ai principi della correttezza professionale.2. Non e' consentito usare il marchio in modo contrario alla legge, ne', in specie, in modo da ingenerare un rischio di confusione sul mercato con altri segni conosciuti come distintivi di imprese, prodotti o servizi altrui, o da indurre comunque in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui viene utilizzato, o da ledere un altrui diritto di autore, di proprietà industriale, o altro diritto esclusivo di terzi.3. E' vietato a chiunque di fare uso di un marchio registrato dopo che la relativa registrazione e' stata dichiarata nulla, quando la causa di nullità comporta la illiceità dell'uso del marchio.

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Marchi celebri

qualsiasi prodotto contrassegnato dal marchio celebre allo stesso fabbricante. Es. coca-cola.Con la riforma del 1992 la tutela dei marchi celebri è stata svincolata dal criterio dell’ affinità merceologica. Il titolare di un marchio registrato, che sia celebre, può vietare a terzi di usare un marchio identico o simile al proprio anche per prodotti o servizi non affini, quando l’uso del segno, senza giustificato motivo, consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi, art. 20 c.p.i.

Il diritto di esclusiva sul marchio consente di impedire l’utilizzo di segni confondibili non solo in funzione di marchio, bensì anche come ditta, insegna o nome a dominio aziendale.

Il diritto di esclusiva sul marchio registrato decorre dalla data di presentazione della relativa domanda all’Ufficio brevetti, art. 15 c.p.i.174 Il titolare di un marchio registrato è, perciò, tutelato ancora prima che inizi ad utilizzare il marchio stesso, e quindi anche nella fase di lancio pubblicitario di un prodotto. Una volta presentata la domanda di registrazione, sempre che poi la registrazione venga accolta, ogni marchio uguale o simile, successivamente presentato, è ex lege nullo per difetto del requisito della novità, art. 25 c.p.i.175

La registrazione nazionale è presupposto per poter estendere la tutela del marchio in ambito internazionale, attraverso la registrazione presso l’Organizzazione mondiale per la proprietà industriale, OMPI, di Ginevra. Per il marchio comunitario la registrazione è invece indipendente da quella nazionale. La registrazione è effettuata presso l’Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno, UAMI, di Alicante (Spagna) e produce gli stessi effetti in tutta Europa.

La registrazione nazionale, comunitaria e internazionale dura 10 anni, art. 15 c.p.i. , e non più 20 anni come prima. È però rinnovabile per un numero illimitato di volte, sempre con efficacia decennale, art. 16 c.p.i.176

174 Art. 15. Effetti della registrazione1. I diritti esclusivi considerati da questo codice sono conferiti con la registrazione.2. Gli effetti della prima registrazione decorrono dalla data di deposito della domanda. Trattandosi di rinnovazione gli effetti di essa decorrono dalla data di scadenza della registrazione precedente.3. Salvo il disposto dell'articolo 20, comma 1, lettera c), la registrazione esplica effetto limitatamente ai prodotti o servizi indicati nella registrazione stessa ed ai prodotti o servizi affini.4. La registrazione dura dieci anni a partire dalla data di deposito della domanda, salvo il caso di rinuncia del titolare.5. La rinuncia diviene efficace con la sua annotazione nel registro dei marchi di impresa e di essa deve essere data notizia nel Bollettino ufficiale.175 Art. 25. Nullità1. Il marchio e' nullo:a) se manca di uno dei requisiti previsti nell'articolo 7 o se sussista uno degli impedimenti previsti dall'art. 12;b) se e' in contrasto con il disposto degli articoli 9, 10, 13, 14, comma 1, e 19, comma 2;c) se e' in contrasto con il disposto dell'articolo 8;d) nel caso dell'articolo 118, comma 3, lettera b).176 Art. 16. Rinnovazione1. La registrazione può essere rinnovata per lo stesso marchio precedente, con riguardo allo stesso genere di prodotti o di servizi secondo la classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi risultante dall'Accordo di Nizza, testo di Ginevra del 13 maggio 1977, ratificato con legge 27 aprile 1982, n. 243.2. La rinnovazione si effettua per periodi di dieci anni.

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Unitarietà dei segni distintivi

Decorrenza

Durata

Volgarizzazione

Quindi, il marchio ha tutela perpetua, a meno che il marchio sia dichiarato nullo per difetto originario di uno dei requisiti essenziali, art. 25 c.p.i. , o sopravvenga una causa di decadenza, art. 26 c.p.i.177

Dal marchio si decade per:1. volgarizzazione;2. sopravvenuta ingannevolezza del marchio;3. mancata utilizzazione entro 5 anni dalla registrazione o se

l’utilizzazione è stata sospesa per 5 anni, salvo che l’inerzia sia dipesa da un motivo legittimo;

4. se il titolare del marchio collettivo omette i controlli previsti dalle disposizioni che ne regolano l’uso.

Si ha volgarizzazione quando il marchio è divenuto nel commercio denominazione generica di quel dato prodotto, perdendo così la propria capacità distintiva. Es. Nylon, Biro. L’art. 14 c.p.i. richiede espressamente che la volgarizzazione si sia verificata per fatto dell’attività o dell’inattività del titolare del marchio. Il titolare del marchio non perderà il diritto di esclusiva qualora ne difenda la capacità distintiva, diffidando o negando giudizialmente contro i concorrenti che utilizzano il proprio marchio come denominazione generica. Es. aspirina.

Il marchio registrato è tutelato civilmente e penalmente. In particolare, il titolare del marchio, il cui diritto di esclusiva sia stato leso da un concorrente, può promuovere contro questi l’azione di contraffazione, art. 124 c.p.i.178

3. La rinnovazione della registrazione di un marchio che e' stato oggetto di trasferimento per una parte dei prodotti o servizi e' effettuata separatamente dai rispettivi titolari.4. Restano immutate la decorrenza e la durata degli effetti della registrazione per i marchi registrati presso l'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale di Ginevra.177 Art. 26. Decadenza1. Il marchio decade:a) per volgarizzazione ai sensi dell'articolo 13, comma 4;b) per illiceità sopravvenuta ai sensi dell'articolo 14, comma 2;c) per non uso ai sensi dell'articolo 24.178 Art. 124. Sanzioni civili1. Con la sentenza che accerta la violazione di un diritto di proprietà industriale può essere disposta l'inibitoria della fabbricazione, del commercio e dell'uso di quanto costituisce violazione del diritto.2. Pronunciando l'inibitoria, il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento.3. Con la sentenza che accerta la violazione di un diritto di proprietà industriale può essere ordinata la distruzione di tutte le cose costituenti la violazione. Non può essere ordinata la distruzione della cosa e l'avente diritto può conseguire solo il risarcimento dei danni, se la distruzione della cosa e' di pregiudizio all'economia nazionale. Nel caso della violazione di diritti di marchio, la distruzione concerne il marchio ma può comprendere le confezioni e, quando l'autorità giudiziaria lo ritenga opportuno, anche i prodotti o i materiali inerenti alla prestazione dei servizi, se ciò sia necessario per eliminare gli effetti della violazione del diritto.4. Con la sentenza che accerta la violazione dei diritti di proprietà industriale, può essere ordinato che gli oggetti prodotti importati o venduti in violazione del diritto e i mezzi specifici che servono univocamente a produrli o ad attuare il metodo o processo tutelato siano assegnati in proprietà al titolare del diritto stesso, fermo restando il diritto al risarcimento del danno.5. E' altresì in facoltà del giudice, su richiesta del proprietario degli oggetti o dei mezzi di produzione di cui al comma 4, tenuto conto della residua durata del titolo di proprietà industriale o delle particolari circostanze del caso, ordinare il sequestro, a spese dell'autore della violazione, fino all'estinzione del titolo, degli oggetti e dei mezzi di produzione. In quest'ultimo caso, il titolare del diritto di proprietà industriale può chiedere che gli oggetti sequestrati gli siano aggiudicati al prezzo che, in mancanza di accordo tra le parti, verrà stabilito dal giudice dell'esecuzione, sentito, occorrendo, un perito.6. Delle cose costituenti violazione del diritto di proprietà industriale non si può disporre la rimozione o la distruzione, ne' può esserne interdetto l'uso quando appartengono a chi ne fa uso personale o domestico.7. Sulle contestazioni che sorgono nell'eseguire le misure menzionate in questo articolo decide, con ordinanza non soggetta a gravame, sentite le parti, assunte informazioni sommarie, il giudice che ha emesso la sentenza recante le misure anzidette.

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Decadenza

Difesa del marchio

L’azione di contraffazione è volta ad ottenere l’inibitoria alla continuazione degli atti lesivi del proprio diritto e la rimozione degli effetti degli stessi, attraverso la distruzione delle cose materiali per mezzo dei quali è stata attuata la contraffazione. Inoltre, il giudice può attuare la pubblicazione della sentenza di condanna in uno o più giornali, art. 126 c.p.i.179 Resta fermo il diritto del titolare del marchio al risarcimento del danno in caso di dolo o colpa del contraffattore.L’attuale disciplina consente al titolare stesso di ottenere, mediante azione di rivendica, la cancellazione o il trasferimento di un nome a dominio lesivo del proprio diritto, o comunque registrato da altri in mala fede, art. 118180 e 133 c.p.i.181

Il titolare di un marchio registrato può crearsi una rete di difesa del proprio marchio contro le altrui contraffazioni registrando uno o più marchi protettivi, art. 24 c.p.i.182, che sono marchi simili a quello effettivamente usato e che sono registrati al solo fine di precostituire la prova della confondibilità.

9. IL MARCHIO DI FATTO

L’ordinamento tutela anche chi usa un marchio senza registrazione, art. 2571183 e art. 12 c.p.i.184

L’art. 2571 dispone che chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui anteriormente se ne e valso.

179 Art. 126. Pubblicazione della sentenza1. L'autorità giudiziaria può ordinare che l'ordinanza cautelare o la sentenza che accerta la violazione dei diritti di proprietà industriale sia pubblicata integralmente o in sunto o nella sola parte dispositiva, tenuto conto della gravità dei fatti, in uno o più giornali da essa indicati, a spese del soccombente.180 Art. 118. Rivendica1. Chiunque ne abbia diritto ai sensi del presente codice può presentare una domanda di registrazione oppure una domanda di brevetto.2. Qualora con sentenza passata in giudicato si accerti che il diritto alla registrazione oppure al brevetto spetta ad un soggetto diverso da chi abbia depositato la domanda, questi può, se il titolo di proprietà industriale non e' stato ancora rilasciato ed entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza:a) assumere a proprio nome la domanda di brevetto o la domanda di registrazione, rivestendo a tutti gli effetti la qualità di richiedente;b) depositare una nuova domanda di brevetto oppure di registrazione la cui decorrenzac) ottenere il rigetto della domanda.3. Se il brevetto e' stato rilasciato oppure la registrazione e' stata effettuata a nome di persona diversa dall'avente diritto, questi può in alternativa:a) ottenere con sentenza il trasferimento a suo nome del brevetto oppure dell'attestato di registrazione a far data dal momento del deposito;b) far valere la nullità del brevetto o della registrazione concessi a nome di chi non ne aveva diritto.4. Decorso il termine di due anni dalla data di pubblicazione della concessione del brevetto per invenzione, per modello di utilità, per una nuova varietà vegetale, oppure dalla pubblicazione della concessione della registrazione della topografia dei prodotti a semiconduttori, senza che l'avente diritto si sia valso di una delle facoltà di cui al comma 3, la nullità può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse.181 Art. 133. Tutela cautelare dei nomi a dominio1. L'Autorità giudiziaria può disporre, in via cautelare, oltre all'inibitoria dell'uso del nome a dominio aziendale illegittimamente registrato, anche il suo trasferimento provvisorio, subordinandolo, se ritenuto opportuno, alla prestazione di idonea cauzione da parte del beneficiario del provvedimento.182 Art. 24. Uso del marchio1. A pena di decadenza il marchio deve formare oggetto di uso effettivo da parte del titolare o con il suo consenso, per i prodotti o servizi per i quali e' stato registrato, entro cinque anni dalla registrazione, e tale uso non deve essere sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni, salvo che il mancato uso non sia giustificato da un motivo legittimo.183

Art. 2571 Preuso Chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui anteriormente se ne e valso. 184 Art. 12. Novità2. In deroga al comma 1 e all'articolo 12, comma 1, lettera a), possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni che prima della domanda di registrazione, a seguito dell'uso che ne sia stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo.

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Perciò la tutela del diritto di esclusiva sul marchio non registrato si fonda sull’uso di fatto dello stesso e sull’effettivo grado di notorietà raggiunto.

Il titolare di un marchio non registrato, diventato noto su tutto il territorio nazionale, potrà impedire che altri usi in fatto lo stesso marchio per gli stessi prodotti, ma non per prodotti affini. Potrà altresì ottenere che sia dichiarato nullo, per difetto di novità, un marchio confondibile successivamente registrato. Ma la relativa azione dovrà essere esercitata entro 5 anni, per evitare la convalida del marchio successivamente registrato, art. 28 c.p.i.185

Il titolare di un marchio non registrato, noto solo su territorio locale, riceverà una tutela più modesta. Infatti, non potrà impedire che altro imprenditore usi di fatto lo stesso marchio per gli stessi prodotti in altra zona del territorio nazionale. Non potrà impedire che un concorrente registri validamente il marchio ed in tal caso potrà solo continuare ad usare il proprio marchio solo a livello locale. Il titolare del marchio registrato, avrà esclusiva d’uso in ogni altra zona del paese.

Sul piano penale, il marchio non registrato ha una tutela più limitata e non ha tutela internazionale. Infine, il marchio non registrato non viene tutelato dalle azioni previste dal c.p.i., ma da quelle previste in via generale in tema di disciplina della concorrenza sleale.

10. IL TRASFERIMENTO DEL MARCHIO

Il marchio è trasferibile e può essere trasferito sia a titolo definitivo, sia a titolo temporaneo, cd licenza di marchio. Così il titolare di un marchio potrà monetizzare il valore commerciale del marchio, determinato dalla forza attrattiva della clientela. La disciplina del trasferimento del marchio è stata modificata dalla riforma del 1992. Infatti, è stato abolito il collegamento di circolazione dell’azienda (o un suo ramo) e circolazione del marchio, per evitare inganni e confusione per il pubblico. L’attuale disciplina, art. 2573186 e art. 23 c.p.i.187 , permette una più libera circolazione del marchio. Oggi infatti, il marchio può essere trasferito o 185 Art. 28. Convalidazione1. Il titolare di un marchio d'impresa anteriore ai sensi dell'articolo 12 e il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale, i quali abbiano, durante cinque anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l'uso di un marchio posteriore registrato uguale o simile, non possono domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore ne' opporsi all'uso dello stesso per i prodotti o servizi in relazione ai quali il detto marchio e' stato usato sulla base del proprio marchio anteriore o del proprio preuso, salvo il caso in cui il marchio posteriore sia stato domandato in mala fede. Il titolare del marchio posteriore non può opporsi all'uso di quello anteriore o alla continuazione del preuso.186

Art. 2573 Trasferimento del marchio Il marchio può essere trasferito o concesso in licenza per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato, purché in ogni caso dal trasferimento o dalla licenza non derivi inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell' apprezzamento del pubblico. Quando il marchio è costituito da un segno figurativo, da una denominazione di fantasia o da una ditta derivata, si presume che il diritto all'uso esclusivo di esso sia trasferito insieme con l'azienda. 187 Art. 23. Trasferimento del marchio1. Il marchio può essere trasferito per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali e' stato registrato.2. Il marchio può essere oggetto di licenza anche non esclusiva per la totalità o per parte dei prodotti o dei servizi per i quali e' stato registrato e per la totalità o per parte del territorio dello Stato, a condizione che, in caso di licenza non esclusiva, il licenziatario si obblighi espressamente ad usare il marchio per contraddistinguere prodotti o servizi eguali a quelli corrispondenti messi in commercio o prestati nel territorio dello Stato con lo stesso marchio dal titolare o da altri licenziatari.

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Notorietà nazionale

Notorietà locale

concesso in licenza, per tutti o per parte dei prodotti per i quali è stato registrato, senza che sia necessario il contemporaneo trasferimento dell’azienda o del corrispondente ramo produttivo. Resta però ferma la regola che il trasferimento del marchio non costituito dalla ditta originaria si presume quando è trasferita l’azienda, art. 2573, 2° comma.È quindi possibile il trasferimento a titolo definitivo del marchio solo per una parte dei prodotti coperti dal diritto di esclusiva dell’alienante con conseguente con titolarità del marchio. La novità principale della nuova disciplina è costituita dal riconoscimento espresso dell’ammissibilità della licenza di marchio non esclusiva, cioè è espressamente consentito che lo stesso marchio sia contemporaneamente utilizzato dal titolare originario e da uno o più concessionari, sia per tutti che per una parte dei prodotti per i quali il marchio è stato registrato. È quindi consentito che vengano immessi sul mercato prodotti dello stesso genere, con lo stesso marchio, ma provenienti da fonti diverse. Ma il legislatore si è preoccupato di limitare i pericoli di inganno per il pubblico derivante dalla libera circolazione del marchio e dalla licenza non esclusiva. È stato fissato il principio che dal trasferimento o dalla licenza del marchio non deve derivare inganno nei caratteri dei prodotti o dei servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico. La licenza non esclusiva è subordinata alla condizione che il licenziatario si obblighi ad utilizzare il marchio per prodotti con caratteristiche qualitative uguali a quelli dei corrispondenti prodotti messi in commercio dal concedente o dagli altri licenziatari, art. 23 c.p.i.188

Il titolare del marchio potrà avvalersi delle azioni (inibitoria, rimozione, ecc.) di tutela previsti dalla legge marchi nei confronti del licenziatario che violi le disposizioni al riguardo contenute nel contratto di licenza, art. 23 c.p.i. , che prevede clausole di controllo sull’attività del licenziatario. La violazione di tale regole espone alla decadenza del marchio per sopravvenuto uso ingannevole dello stesso, art. 26 c.p.i.189

188 Art. 23. Trasferimento del marchio

1. Il marchio può essere trasferito per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali e' stato registrato.2. Il marchio può essere oggetto di licenza anche non esclusiva per la totalità o per parte dei prodotti o dei servizi per i quali e' stato registrato e per la totalità o per parte del territorio dello Stato, a condizione che, in caso di licenza non esclusiva, il licenziatario si obblighi espressamente ad usare il marchio per contraddistinguere prodotti o servizi eguali a quelli corrispondenti messi in commercio o prestati nel territorio dello Stato con lo stesso marchio dal titolare o da altri licenziatari.189 Art. 26. Decadenza1. Il marchio decade:a) per volgarizzazione ai sensi dell'articolo 13, comma 4;b) per illiceità sopravvenuta ai sensi dell'articolo 14, comma 2;c) per non uso ai sensi dell'articolo 24.

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Licenza non esclusiva

Limiti

L’INSEGNA

11. NOZIONE E DISCIPLINA

L’insegna contraddistingue i locali dell’impresa o l’intero complesso aziendale. L’insegna è disciplinata da solo due norme.L’art. 2568190, che dispone che le disposizioni del primo comma dell'art. 2564191 si applicano anche all'insegna.

Quindi, l’insegna:- non potrà essere uguale o simile a quella già utilizzata da altro

imprenditore concorrente, con conseguente obbligo di differenziazione qualora possa ingenerare confusione nel pubblico (novità);

- dovrà essere lecita;- non dovrà contenere indicazioni idonee a trarre in inganno il pubblico

circa l’attività o i prodotti (veridicità);- dovrà avere sufficiente capacità distintiva (originalità).Non è disposto nulla circa il trasferimento dell’insegna, tuttavia si ritiene che il diritto sull’insegna possa essere trasferito, applicandosi la disciplina del trasferimento del marchio, dato che l’insegna identifica elementi materiali e non la persona dell’imprenditore. Ne consegue che deve ritenersi lecita anche la licenza non esclusiva ed il conseguente co-uso della stessa insegna da parte di più imprenditori collegati, come nel caso del franchising .

190 Art. 2568 Insegna

Le disposizioni del primo comma dell'art. 2564 si applicano all'insegna. 191

Art. 2564 Modificazione della ditta Quando la ditta è uguale o simile a quella usata da un altro imprenditore e può creare confusione per l'oggetto dell'impresa e per il luogo in cui questa è esercitata, deve essere integrata o modificata con indicazioni idonee a differenziarla. Per le imprese commerciali l'obbligo dell'integrazione o modificazione spetta a chi ha iscritto la propria ditta nel registro delle imprese in epoca posteriore.

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Requisiti

Trasferimento

OPERE DELL’INGEGNO. INVENZIONI INDUSTRIALI

1. LE CREAZIONI INTELLETTUALI

Le opere dell’ingegno, idee creative nel campo culturale, e le invenzioni industriali, idee creative nel campo della tecnica, sono le due categorie di creazioni intellettuali regolate dal nostro ordinamento.Le opere dell’ingegno formano oggetto del diritto d’autore, regolato dal codice civile e dalla legge n. 633 del 22/04/1941, più volte modificata.Le invenzioni industriali a loro volta possono formare oggetto, a seconda dello specifico contenuto:

a. del brevetto per invenzioni industriali, regolato dal codice civile e dal c.p.i.

b. del brevetto per modelli di utilità oppure della registrazione per disegni e modelli, regolato dal codice civile e dal c.p.i.

Diritto d’autore e brevetti industriali formano anche oggetto di un’articolata disciplina internazionale, che integra ed estende la protezione offerta dalle singole legislazioni nazionali.

2. PRINCIPI ISPIRATORI DELLA DISCIPLINA

La disciplina legislativa delle creazioni intellettuali, pur diversamente articolata per le opere dell’ingegno e per le invenzioni industriali, si fonda su identici principi ispiratori. Principi che tendono:

- di promuovere ed incentivare l’attività creativa dei privati in quanto fattore di sviluppo culturale e tecnologico;

- di consentire che tutti possano fruire del progresso raggiunto evitando che si creino stabili posizioni di monopolio culturale e tecnologico.

Il primo obiettivo è perseguito riconoscendo all’autore o all’inventore il diritto esclusivo di sfruttamento economico dell’opera o dell’invenzione, sia direttamente, sia mediante cessione a terzi, diritto di privativa. Il secondo obiettivo è perseguito escludendo che una posizione di esclusiva possa essere riconosciuta rispetto a talune creazioni intellettuali particolarmente significative per la collettività.

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CAP. 7

Distinzioni legislative

Diritto di privativa

Limiti

Infatti, l’art. 45 c.p.i.192 elenca una serie di invenzioni non considerate giuridicamente tali o che non possono costituire oggetto di brevetto. Per le creazioni intellettuali protette, tali obiettivi sono perseguiti attraverso una regolamentazione del diritto di esclusiva, volta a far si che i progressi conseguiti diventino di pubblica conoscenza e a limitare gli effetti monopolistici insiti nel riconoscimento del diritto di privativa. Mentre il diritto d’autore si acquista per il solo fatto della creazione dell’opera, art. 2576193, per le invenzioni industriali il diritto di esclusiva sorge solo in seguito alla loro brevettazione. Brevettazione che permette la piena tutela dell’invenzione e serve a rendere di pubblico dominio il contenuto dell’invenzione stessa, art. 51 c.p.i.194

Il diritto di esclusiva è limitato nel tempo:- le opere dell’ingegno durano fino a 70 anni dopo la morte dell’autore.- le invenzioni industriali durano 20 anni, art. 60 c.p.i.195 dalla domanda

di brevetto.- i modelli di utilità durano 10 anni, art. 93 c.p.i.196 dalla domanda di

brevetto.- i disegni e i modelli durano 5 anni, art. 37 c.p.i.197 dalla domanda di

brevetto.Decorsi tali periodi l’opera dell’ingegno è liberamente riproducibile e l’invenzione è liberamente sfruttabile.

Infine, il legislatore predispone per le invenzioni industriali strumenti tesi a tutelare l’interesse generale alla loro adeguata realizzazione. Infatti, l’invenzione deve essere attuata nel territorio dello stato in misura tale da non risultare in grave sproporzione con i bisogni del Paese, art. 69 c.p.i.198

192 Art. 45. Oggetto del brevetto1. Possono costituire oggetto di brevetto per invenzione le invenzioni nuove che implicano un'attività inventiva e sono atte ad avere un'applicazione industriale.2. Non sono considerate come invenzioni ai sensi del comma 1 in particolare:a) le scoperte, le teorie scientifiche e i metodi matematici;b) i piani, i principi ed i metodi per attività intellettuali, per gioco o per attività commerciale ed i programmi di elaboratore;c) le presentazioni di informazioni.3. Le disposizioni del comma 2 escludono la brevettabilità di ciò che in esse e' nominato solo nella misura in cui la domanda di brevetto o il brevetto concerna scoperte, teorie, piani, principi, metodi, programmi e presentazioni di informazioni considerati in quanto tali.4. Non sono considerati come invenzioni ai sensi del comma 1 i metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale e i metodi di diagnosi applicati al corpo umano o animale. Questa disposizione non si applica ai prodotti, in particolare alle sostanze o alle miscele di sostanze, per l'attuazione di uno dei metodi nominati.5. Non possono costituire oggetto di brevetto le razze animali ed i procedimenti essenzialmente biologici per l'ottenimento delle stesse. Questa disposizione non si applica ai procedimenti microbiologici ed ai prodotti ottenuti mediante questi procedimenti.193

Art. 2576 Acquisto del diritto Il titolo originario dell'acquisto del diritto di autore è costituito dalla creazione dell'opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale. 194 Art. 51 Sufficiente descrizione1. Alla domanda di concessione di brevetto per invenzione industriale debbono unirsi la descrizione e i disegni necessari alla sua intelligenza.2. L'invenzione deve essere descritta in modo sufficientemente chiaro e completo perche' ogni persona esperta del ramo possa attuarla e deve essere contraddistinta da un titolo corrispondente al suo oggetto.195 Art. 60. Durata1. Il brevetto per invenzione industriale dura venti anni a decorrere dalla data di deposito della domanda e non può essere rinnovato, ne' può esserne prorogata la durata.196 Art. 93 Decorrenza e durata della tutela2. I diritti esclusivi di cui al comma 1 si estinguono dopo dieci anni.197 Art. 37 Durata della protezione1. La registrazione del disegno o modello dura cinque anni a decorrere dalla data di presentazione della domanda. Il titolare può ottenere la proroga della durata per uno o più periodi di cinque anni fino ad un massimo di venticinque anni dalla data di presentazione della domanda di registrazione.198

Art. 69 Onere di attuazione

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Durata

Trascorsi 3 anni dal rilascio del brevetto, senza che l’invenzione sia stata attuata, può essere concessa licenza obbligatoria per l’uso dell’invenzione a favore di ogni interessato che ne faccia richiesta, dietro corrispettivo di un equo compenso, art. 70 c.p.i.199

In definitiva, il diritto patrimoniale su una creazione intellettuale è un diritto funzionale e limitato. Si parla di proprietà letteraria, proprietà artistica, proprietà industriale.

IL DIRITTO D’AUTORE

3. OGGETTO E CONTENUTO DEL DIRITTO D’AUTORE

Formano oggetto del diritto d’autore le opere dell’ingegno scientifiche, letterarie, musicali, figurative, architettoniche, teatrali e cinematografiche, qualunque ne sia il modo e la forma di espressione, art. 2575200.Tali opere sono protette indipendentemente dal loro pregio, dall’utilità pratica ed anche se illegali o immorali. Unica condizione richiesta è che l’opera abbia carattere creativo, cioè presenti un minimo di originalità oggettiva rispetto a opere preesistenti dello stesso genere. Fatto costitutivo del diritto d’autore è la creazione dell’opera, art. 2576201. Non è necessario che l’opera sia stata divulgata fra il pubblico, bastando che essa sia stata estrinsecata (pubblicazione nel registro pubblico generale delle opere protette).

Il diritto di autore gode di una tutela sia morale, sia patrimoniale. Si distingue perciò fra diritto morale e diritto patrimoniale di autore.

L’autore ha diritto:- di rivendicare nei confronti di chiunque la paternità dell’opera, - di decidere se pubblicarla o meno (diritto di inedito) e se pubblicarla col

proprio nome o in anonimo,- di opporsi a modificazioni o deformazioni dell’opera e ad ogni altro atto

a danno dell’opera che possa arrecare pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione, art. 20 l. autore,

- di ritirare l’opera dal commercio quando ricorrano gravi ragioni morali, previo indennizzo di coloro ai quali ha ceduto i diritti di utilizzazione economica, art. 2582202 e art. 142 l. autore.

1. L'invenzione industriale che costituisce oggetto di brevetto deve essere attuata nel territorio dello Stato in misura tale da non risultare in grave sproporzione con i bisogni del Paese.199

Art. 70 Licenza obbligatoria per mancata attuazione1. Trascorsi tre anni dalla data di rilascio del brevetto o quattro anni dalla data di deposito della domanda se questo termine scade successivamente al precedente, qualora il titolare del brevetto o il suo avente causa, direttamente o a mezzo di uno o più licenziatari, non abbia attuato l'invenzione brevettata, producendo nel territorio dello Stato o importando oggetti prodotti in uno Stato membro della Unione europea o dello Spazio economico europeo ovvero in uno Stato membro dell'Organizzazione mondiale del commercio, ovvero l'abbia attuata in misura tale da risultare in grave sproporzione con i bisogni del Paese, può essere concessa licenza obbligatoria per l'uso non esclusivo dell'invenzione medesima, a favore di ogni interessato che ne faccia richiesta.200

Art. 2575 Oggetto del diritto Formano oggetto del diritto di autore le opere dell'ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all'architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. 201

Art. 2576 Acquisto del diritto Il titolo originario dell'acquisto del diritto di autore è costituito dalla creazione dell'opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale. 202

Art. 2582 Ritiro dell'opera dal commercio

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Oggetto

Originalità

Acquisto del diritto

Diritto morale

Questi diritti sono irrinunciabili, inalienabili, art. 22 l. autore, non si perdono con la cessione dei diritti patrimoniali, art. 2577203 e possono essere esercitati anche dai congiunti dopo la morte dell’autore, art. 23 l. autore

L’autore ha il diritto di utilizzazione economica esclusiva dell’opera in ogni forma e modo, originale o derivato, art. 12 l. autore. Diritto che consiste in una serie di facoltà elencate dagli artt. 13 – 18 l. autore (riproduzione, trascrizione, diffusione, noleggio, traduzione) e che si estende anche allo sfruttamento economico di singole parti dell’opera, se dotate di autonomo carattere creativo. Questo diritto, a differenza del diritto morale, ha durata limitata. Il diritto patrimoniale si estingue in 70 anni dopo la morte dell’autore, art. 17 legge n. 52 del 06/02/1996.

L’opera dell’ingegno può essere il frutto dell’attività creativa di una sola persona ed in tal caso il diritto d’autore è acquistato a titolo originario dall’autore stesso, anche se l’opera è stata realizzata su commissione o in esecuzione di un rapporto di lavoro subordinato. Nel caso in cui l’opera sia il frutto della collaborazione fra più persone, l’attribuzione dei diritti segue regole specifiche e diverse a seconda dei caratteri della collaborazione.

L’opera collettiva è l’opera costituita da più contributi autonomi e separabili, organizzati in forma unitaria da un direttore o da un coordinatore. Essa è un’opera originale e autore della stessa è considerato il direttore o il coordinatore, art. 3 e 7 l. autore, mentre i diritti di sfruttamento economico spettano all’editore, art. 38 l. autore. Ai singoli autori è riconosciuto però il diritto d’autore sulla propria parte, diritto suscettibile di utilizzazione separata.L’opera in collaborazione è l’opera composta da contributi omogenei ed oggettivamente non distinguibili e non divisibili. In tal caso fra i coautori si instaura un rapporto di comunione, art. 10 l. autore. Ogni autore può tutelare autonomamente il diritto morale, mentre è necessario l’accordo di tutti per pubblicare l’opera o per modificare l’opera già pubblicata. Accordo sostituibile da un’autorizzazione del tribunale in caso di rifiuto ingiustificato di uno dei coautori, art. 10 l. autore. L’opera composta è l’opera costituita da contributi eterogenei e distinti, ma che danno vita ad un’opera funzionalmente unitaria ed indivisibile. Es. opere liriche, operette, canzoni e balletti, alla cui realizzazione concorrono l’autore delle musiche, il paroliere o il coreografo, art. 33 l. autore. Tali opere cadono in regime di comunione, art. 34 l. autore, ma sono legislativamente individuati sia il soggetto cui è riservato l’esercizio del

L'autore, qualora concorrano gravi ragioni morali, ha diritto di ritirare l'opera dal commercio, salvo l'obbligo di indennizzare coloro che hanno acquistato i diritti di riprodurre, diffondere, eseguire, rappresentare o mettere in commercio l'opera medesima. Questo diritto è personale e intrasmissibile. 203

Art. 2577 Contenuto del diritto L'autore ha il diritto esclusivo di pubblicare l'opera e di utilizzarla economicamente in ogni forma e modo, nei limiti e per gli effetti fissati dalla legge. L'autore, anche dopo la cessione dei diritti previsti dal comma precedente, può rivendicare la paternità dell'opera e può opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione dell'opera stessa, che possa essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione.

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Diritto patrimoniale

Durata

Opera collettiva

Opera in collaborazione

Opera composta

diritto di utilizzazione economica dell’opera complessiva, sia la quota di ciascuno nei proventi, art. 34-37 l. autore.

Diritti connessi ed affini al diritto d’autore sono poi riconosciuti a determinate categorie di soggetti: produttori di dischi, interpreti ed esecutori di opere dell’ingegno, quali attori e cantanti, autori di fotografie non artistiche, autori di progetti di ingegneria.A tali soggetti è riconosciuto il diritto ad un equo compenso da parte di chiunque utilizzi, in qualsiasi modo ed anche senza scopo di lucro, la loro opera creativa o interpretativa.

4. TRASFERIMENTO DEL DIRITTO DI UTILIZZAZIONE ECONOMICA. TUTELA.

Il diritto di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno è liberamente trasferibile, sia unitariamente che nelle sue singole manifestazioni, sia fra vivi che a causa di morte, art. 2581204.Il trasferimento per atto tra vivi, che deve essere provato per iscritto, può essere sia a titolo definitivo che a titolo temporaneo e le parti possono usare qualsiasi schema contrattuale. I contratti previsti e utilizzati per lo sfruttamento economico di un’opera di ingegno sono:1. il contratto di edizione, con cui l’autore concede in esclusiva ad un

editore l’esercizio del diritto di pubblicare per la stampa l’opera, per conto e a spese dell’editore stesso. L’editore a sua volta si obbliga a stampare, a mettere in commercio l’opera e a corrispondere all’autore il compenso pattuito. Il contratto non può eccedere i 20 anni;

2. il contratto di rappresentazione e di esecuzione, con cui l’autore cede, non in esclusiva, il solo diritto di rappresentazione in pubblico di opere destinate a tal fine o di eseguire in pubblico una composizione musicale. L’altra parte si obbliga a provvedervi a proprie spese.

Il diritto d’autore è protetto con specifiche sanzioni civili, amministrative pecuniarie e penali, a carico di chi ponga in essere comportamenti lesivi, che possono andare dall’imitazione totale o parziale degli elementi creativi essenziali di un’opera altrui (plagio – contraffazione), alla lesione di singole manifestazioni del diritto di autore, quali l’abusiva riproduzione o diffusione fra il pubblico di opere cinematografiche, letterarie e musicali. Il titolare di uno dei diritti di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno possono adire l’autorità giudiziaria per chiedere l’accertamento del proprio diritto e l’inibizione della violazione temuta o in atto. In questo secondo caso può chiedere che vengano applicate le sanzioni tipiche della rimozione e della distruzione di quanto è stato strumento materiale della lesione del

204 Art. 2581 Trasferimento dei diritti di utilizzazione

I diritti di utilizzazione sono trasferibili. Il trasferimento per atto tra vivi deve essere provato per iscritto (2725).

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Diritti connessi

Difesa del diritto di autore

diritto patrimoniale o morale, salvo in ogni caso il diritto al risarcimento dei danni subiti, art. 158 l. autore.Il giudice può inoltre ordinare la pubblicazione della sentenza di condanna in uno o più giornali a spese della parte soccombente, art. 166 l. autore.

Le opere dell’ingegno godono di una protezione circoscritta al territorio nazionale e per le loro caratteristiche sono esposte al pericolo della concorrente utilizzazione abusiva da parte di terzi in altri Stati. Tale pericolo ha sollecitato accordi internazionali volti ad estendere l’ambito territoriale di tutela del diritto d’autore e l’Italia ha aderito alle due Convenzioni Internazionali in materia:

1. la convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche del 1896,

2. la convenzione universale sul diritto d’autore di Ginevra del 1952.LE INVENZIONI INDUSTRIALI

5. OGGETTO E REQUISITI DI VALIDITA’

Le invenzioni industriali sono disciplinate dagli artt. 2584-2591 del codice civile e dal codice della proprietà industriale, che sostituisce la vecchia disciplina del 1939 e successive modificazioni, al fine di attuare gli accordi internazionali e le direttive comunitarie in materia.

Le invenzioni industriali sono idee creative che appartengono al campo della tecnica. Esse consistono nella soluzione originale di un problema tecnico, suscettibile di pratica applicazione nel settore della produzione di beni o servizi. Si distinguono dalle opere dell’ingegno, tutelate dal diritto d’autore, anche per il diverso modo di acquisto del diritto di utilizzazione economica: la concessione del corrispondente brevetto da parte dell’Ufficio italiano brevetti e marchi, salvo la limitata tutela accordata alle invenzioni non brevettate.

Possono formare oggetto di brevetto per invenzione industriale le idee inventive di maggior rilievo tecnologico. Queste possono essere divise in tre categorie:

1. invenzioni di prodotto, che hanno per oggetto un nuovo prodotto materiale;

2. invenzioni di procedimento, che possono consistere in un nuovo metodo di produzione di beni già noti, in un nuovo processo di lavorazione, in un nuovo dispositivo meccanico;

3. invenzioni derivate, art. 46, 4° comma, c.p.i.205, che sono una derivazione di un’invenzione precedente. Esse possono consistere:

205 Art. 46 La novità4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 non escludono la brevettabilità di una sostanza o di una composizione di sostanze già compresa nello stato della tecnica, purche' in funzione di una nuova utilizzazione.

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Nozione

Tipologia

a. in un’ingegnosa combinazione di invenzioni precedenti in modo da ricavarne un trovato tecnicamente nuovo, invenzione di combinazione;

b. nel migliorare un’invenzione precedente, invenzione di perfezionamento;

c. in una nuova utilizzazione di una sostanza o di una composizione di sostanza già conosciute, invenzione di traslazione.

Non sono considerate invenzioni, quindi tutti ne possono usufruire:a. le scoperte, le teorie scientifiche e i metodi matematici;b. i piani, i principi ed i metodi dell’attività intellettuale, per gioco o

per attività commerciali e i programmi di elaboratori;c. le prestazioni di informazioni, art. 45 c.p.i.206

Perciò, non può formare oggetto di brevetto ciò che già esiste in natura e l’uomo si limita a percepire o una nuova teoria. Inoltre, non sono brevettabili le invenzioni come software, mentre lo è l’hardware. Non sono brevettabili i metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale e i metodi di diagnosi.Sono invece brevettabili le nuove varietà vegetali, artt. 100-116 c.p.i., le invenzioni bio - tecnologiche.

I trovati che non ricadono in queste esclusioni devono poi rispondere a determinati requisiti di validità per poter formare oggetto di brevetto. Devono:

- essere leciti, art. 50 c.p.i.207;- essere nuovi, cioè l’invenzione non deve essere compresa nello stato

della tecnica; lo stato della tecnica è tutto ciò che sia accessibile al pubblico, prima della data di deposito della domanda di brevetto, art. 46 c.p.i.208, cioè non è nuova un’invenzione già divulgata;

- implicare un’attività inventiva, cioè un’invenzione implica attività inventiva se per una persona esperta del ramo, essa non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica; ossia, non sia conseguibile da un tecnico medio del ramo facendo ricorso alle sue ordinarie capacità e conoscenze, giudizio di non ovvietà;

206 Art. 45 Oggetto del brevetto1. Possono costituire oggetto di brevetto per invenzione le invenzioni nuove che implicano un'attività inventiva e sono atte ad avere un'applicazione industriale.207 Art. 50 Liceità1. Non possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni la cui attuazione e' contraria all'ordine pubblico o al buon costume.2. L'attuazione di un'invenzione non può essere considerata contraria all'ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto di essere vietata da una disposizione di legge o amministrativa.208 Art. 46 La novità1. Un'invenzione e' considerata nuova se non e' compresa nello stato della tecnica.2. Lo stato della tecnica e' costituito da tutto ciò che e' stato reso accessibile al pubblico nel territorio dello Stato o all'estero prima della data del deposito della domanda di brevetto, mediante una descrizione scritta od orale, una utilizzazione o un qualsiasi altro mezzo.3. E' pure considerato come compreso nello stato della tecnica il contenuto di domande di brevetto nazionale o di domande di brevetto europeo o internazionali designanti e aventi effetto per l'Italia, così come sono state depositate, che abbiano una data di deposito anteriore a quella menzionata nel comma 2 e che siano state pubblicate o rese accessibili al pubblico anche in questa data o più tardi.4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 non escludono la brevettabilità di una sostanza o di una composizione di sostanze già compresa nello stato della tecnica, purche' in funzione di una nuova utilizzazione.

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Esclusioni

Requisiti

- essere idonei ad avere un’applicazione industriale, art 45 c.p.i, cioè quando il trovato può essere fabbricato o utilizzato in qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola, art. 49 c.p.i.

6. IL DIRITTO DI BREVETTO

La tutela giuridica dell’invenzione ha contenuto sia morale che patrimoniale. L’inventore ha diritto ad essere riconosciuto come autore dell’invenzione, diritto morale, art. 62 c.p.i.209 Ha il diritto, trasferibile, art. 63 c.p.i.210, di conseguire il brevetto, diritto al brevetto, che ha funzione costitutiva ai fini dell’acquisto del diritto all’utilizzazione economica in esclusiva del trovato, diritto sul brevetto.Però non sempre l’autore dell’invenzione coincide con il soggetto legittimato a richiedere il brevetto e a sfruttarlo economicamente. Come ad esempio nel caso in cui le invenzioni siano realizzate dai dipendenti di un imprenditore.Il lavoratore ha sempre il diritto ad essere riconosciuto come autore dell’invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro, art. 2590211, diritto morale.Invece, l’attribuzione dei diritti patrimoniali derivanti dall’invenzione è regolata in base al tipo di invenzione, art. 64 c.p.i.212:1. nel caso di invenzione di servizio, cioè quando l’attività inventiva è

prevista come oggetto del contratto o del rapporto di lavoro, che preveda una retribuzione specifica per tale attività. Le invenzione realizzate da questi autori appartengono al datore di lavoro, che acquista a titolo originario il diritto di chiedere e di sfruttare il brevetto, art. 64, 1° comma, c.p.i., mentre al lavoratore non spetta nulla;

2. nel caso di invenzione aziendale, cioè quando l’invenzione è fatta nell’ esecuzione di un contratto o di un rapporto di lavoro, ma non è prevista una retribuzione specifica per l’attività inventiva. I diritti patrimoniali

209 Art. 62 Diritto morale1. Il diritto di essere riconosciuto autore dell'invenzione può essere fatto valere dall'inventore e, dopo la sua morte, dal coniuge e dai discendenti fino al secondo grado; in loro mancanza o dopo la loro morte, dai genitori e dagli altri ascendenti ed in mancanza, o dopo la morte anche di questi, dai parenti fino al quarto grado incluso.210 Art. 63 Diritti patrimoniali1. I diritti nascenti dalle invenzioni industriali, tranne il diritto di essere riconosciuto autore, sono alienabili e trasmissibili.2. Il diritto al brevetto per invenzione industriale spetta all'autore dell'invenzione e ai suoi aventi causa.211

Art. 2590 Invenzione del prestatore di lavoro Il prestatore di lavoro ha diritto di essere riconosciuto autore dell'invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro.

I diritti e gli obblighi delle parti relative all'invenzione sono regolati dalle leggi speciali.212 Art. 64 Invenzioni dei dipendenti1. Quando l'invenzione industriale e' fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego, in cui l'attività inventiva e' prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall'invenzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all'inventore di esserne riconosciuto autore.2. Se non e' prevista e stabilita una retribuzione, in compenso dell'attività inventiva, e l'invenzione e' fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, i diritti derivanti dall'invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all'inventore, salvo sempre il diritto di essere riconosciuto autore, spetta, qualora il datore di lavoro ottenga il brevetto, un equo premio per la determinazione del quale si terrà conto dell'importanza della protezione conferita all'invenzione dal brevetto, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall'inventore, nonche' del contributo che questi ha ricevuto dall'organizzazione del datore di lavoro.3. Qualora non ricorrano le condizioni previste nei commi 1 e 2 e si tratti di invenzione industriale che rientri nel campo di attività del datore di lavoro, quest'ultimo ha il diritto di opzione per l'uso, esclusivo o non esclusivo dell'invenzione o per l'acquisto del brevetto, nonche' per la facoltà di chiedere od acquistare, per la medesima invenzione, brevetti all'estero verso corresponsione del canone del prezzo, da fissarsi con deduzione di una somma corrispondente agli aiuti che l'inventore abbia comunque ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all'invenzione. Il datore di lavoro potrà esercitare il diritto di opzione entro tre mesi dalla data di ricevimento della comunicazione dell'avvenuto deposito della domanda di brevetto. I rapporti costituiti con l'esercizio dell'opzione si risolvono di diritto, ove non venga integralmente pagato alla scadenza il corrispettivo dovuto.

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Invenzioni dei dipendenti

appartengono al datore di lavoro, ma se ottiene il brevetto al lavoratore spetta un equo premio per l’invenzione trovata, art. 64, 2° comma, c.p.i. ;

3. nel caso di invenzione occasionale, cioè quando l’invenzione rientra nel campo di attività d’impresa cui è addetto l’inventore, ma è indipendente dal contratto o dal rapporto di lavoro. In tal caso i diritti patrimoniali spettano al lavoratore e solo il lavoratore potrà chiedere il brevetto. Il datore di lavoro ha però diritto di prelazione per l’uso dell’invenzione, (da esercitarsi entro 3 mesi dalla comunicazione del conseguimento del brevetto), per l’acquisto del brevetto e per la brevettazione all’estero della stessa invenzione. Per ciò dovrà pagare un corrispettivo, concordato col lavoratore o, se non si raggiunge un accordo, da un collegio di arbitri, art. 64 c.p.i. La stessa disciplina si applica anche alle invenzioni per le quali sia stato chiesto il brevetto entro un anno dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Queste distinzioni oggi sono venute meno quando il rapporto di lavoro intercorre con un’università o altra amministrazione pubblica di ricerca. In tal caso, titolare esclusivo dei diritti derivanti dall’invenzione brevettabile è sempre il ricercatore autore dell’invenzione e solo lui potrà chiedere il brevetto. L’inventore ha il diritto a ricevere non meno del 50% dei proventi dello sfruttamento dell’invenzione, il cui ammontare massimo è però determinato dall’università o dalla pubblica amministrazione interessata, art. 65 c.p.i.213

Il c.p.i. ha stabilito che questa disciplina non si applica in caso di ricerche universitarie finanziate in tutto o in parte da privati, ovvero da soggetti pubblici diversi dall’ente di appartenenza del ricercatore, art. 65 5° comma c.p.i.

Lo svolgimento di attività inventiva può essere anche affidato, dietro corrispettivo, a lavoratori autonomi o a gruppi organizzati di ricercatori tramite appositi contratti di ricerca, nei quali il committente può essere sia un privato sia un ente pubblico. Per tali contratti manca una disciplina generale che regoli il diritto al rilascio del brevetto e allo sfruttamento economico dell’invenzione.

213 Art. 65 Invenzioni dei ricercatori delle università e degli enti pubblici di ricerca1. In deroga all'articolo 64, quando il rapporto di lavoro intercorre con un università o con una pubblica amministrazione avente tra i suoi scopi istituzionali finalità di ricerca, il ricercatore e' titolare esclusivo dei diritti derivanti dall'invenzione brevettabile di cui e' autore. In caso di più autori, dipendenti delle università, delle pubbliche amministrazioni predette ovvero di altre pubbliche amministrazioni, i diritti derivanti dall'invenzione appartengono a tutti in parti uguali, salvo diversa pattuizione. L'inventore presenta la domanda di brevetto e ne dà comunicazione all'amministrazione.2. Le Università e le pubbliche amministrazioni, nell'ambito della loro autonomia, stabiliscono l'importo massimo del canone, relativo a licenze a terzi per l'uso dell'invenzione, spettante alla stessa università o alla pubblica amministrazione ovvero a privati finanziatori della ricerca, nonche' ogni ulteriore aspetto dei rapporti reciproci.3. In ogni caso, l'inventore ha diritto a non meno del cinquanta per cento dei proventi o dei canoni di sfruttamento dell'invenzione. Nel caso in cui le università o le amministrazioni pubbliche non provvedano alle determinazioni di cui al comma 2, alle stesse compete il trenta per cento dei proventi o canoni.4. Trascorsi cinque anni dalla data di rilascio del brevetto, qualora l'inventore o i suoi aventi causa non ne abbiano iniziato lo sfruttamento industriale, a meno che ciò non derivi da cause indipendenti dalla loro volontà, la pubblica amministrazione di cui l'inventore era dipendente al momento dell'invenzione acquisisce automaticamente un diritto gratuito, non esclusivo, di sfruttare l'invenzione e i diritti patrimoniali ad essa connessi o di farli sfruttare da terzi, salvo il diritto spettante all'inventore di esserne riconosciuto autore.5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nelle ipotesi di ricerche finanziate, in tutto o in parte, da soggetti privati ovvero realizzate nell'ambito di specifici progetti di ricerca finanziati da soggetti pubblici diversi dall'università, ente o amministrazione di appartenenza del ricercatore.

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Ricerca universitaria

Contratti di ricerca

Nei contratti di ricerca privati tali diritti sono di regola riservati al committente (finanziatore della ricerca) e non all’inventore. Lo stesso si fa anche per i contratti di ricerca a committenza pubblica.

7. L’INVENZIONE BREVETTATA

Il brevetto per invenzione industriale è concesso dall’Ufficio italiano brevetti e marchi, sulla base di una domanda, a pena di nullità art. 76 c.p.i.214.La domanda dovrà essere corredatadalla descrizione dell’invenzione in modo sufficientemente chiaro e completo perché ogni persona esperta del ramo possa attuarla, nonché dai disegni necessari alla sua intelligenza, art. 51 c.p.i.215 Ogni domanda può avere ad oggetto una sola invenzione, art. 161 c.p.i.216 e deve specificare ciò che si intende debba formare oggetto del brevetto, rivendicazione. L’Ufficio brevetti è tenuto ad accertare solo la regolarità formale della domanda, la liceità e che l’invenzione abbia un oggetto per cui è consentita la brevettazione. Non accerta se il richiedente sia titolare del diritto al brevetto, art. 119 c.p.i.217, né se il trovato abbia i requisiti della novità, dell’originalità, e dell’industrialità. Dovrà rigettare la domanda se l’assenza dei requisiti di validità del brevetto risulti evidente sulla base delle stesse dichiarazioni e allegazioni del richiedente, oppure sia certa come fatto notorio, art. 170 c.p.i. Contro le decisioni dell’ufficio l’interessato può ricorrere all’apposita Commissione dei ricorsi, art. 135 c.p.i.218

Il brevetto per le invenzioni industriali dura 20 anni dalla data di deposito della domanda, art. 60 c.p.i.219, ed è esclusa ogni possibilità di rinnovo. 214 Art. 76 Nullità 1. Il brevetto e' nullo:a) se l'invenzione non e' brevettabile ai sensi degli articoli 45, 46, 48, 49, e 50;b) se, ai sensi dell'articolo 51, l'invenzione non e' descritta in modo sufficientemente chiaro e completo da consentire a persona esperta di attuarla;c) se l'oggetto del brevetto si estende oltre il contenuto della domanda iniziale;d) se il titolare del brevetto non aveva diritto di ottenerlo e l'avente diritto non si sia valso delle facoltà accordategli dall'articolo 118.215 Art. 51 Sufficiente descrizione1. Alla domanda di concessione di brevetto per invenzione industriale debbono unirsi la descrizione e i disegni necessari alla sua intelligenza.2. L'invenzione deve essere descritta in modo sufficientemente chiaro e completo perche' ogni persona esperta del ramo possa attuarla e deve essere contraddistinta da un titolo corrispondente al suo oggetto.3. Se un'invenzione riguarda un procedimento microbiologico o un prodotto ottenuto mediante tale procedimento e implica l'utilizzazione di un microrganismo non accessibile al pubblico e che non può essere descritto in modo tale da permettere ad ogni persona esperta del ramo di attuare l'invenzione, nella domanda di brevetto si dovranno osservare, quanto alla descrizione, le norme previste nel regolamento.216 Art. 161 Unicità dell'invenzione e divisione della domanda1. Ogni domanda deve avere per oggetto una sola invenzione.2. Se la domanda comprende più invenzioni, l'Ufficio italiano brevetti e marchi inviterà l'interessato, assegnandogli un termine, a limitare tale domanda ad una sola invenzione, con facoltà di presentare, per le rimanenti invenzioni, altrettante domande, che avranno effetto dalla data della domanda primitiva.3. Il ricorso alla Commissione dei ricorsi sospende il termine assegnato dall'Ufficio.217 Art. 119 Paternità1. L'Ufficio italiano brevetti e marchi non verifica l'esattezza della designazione dell'inventore o dell'autore, ne' la legittimazione del richiedente, fatte salve le verifiche previste dalla legge o dalle convenzioni internazionali. Dinnanzi l'Ufficio italiano brevetti e marchi si presume che il richiedente sia titolare del diritto alla registrazione oppure al brevetto e sia legittimato ad esercitarlo.218 Art. 135 Commissione dei ricorsi1. Contro i provvedimenti dell'Ufficio italiano brevetti e marchi che respingono totalmente o parzialmente una domanda o istanza che rifiutano la trascrizione oppure che impediscono il riconoscimento di un diritto e negli alti casi previsti dal presente codice, e' ammesso ricorso entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di ricevimento della comunicazione del provvedimento alla Commissione dei ricorsi.219

Art. 60 Durata

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Procedimento

Durata

Il diritto di esclusiva sul brevetto si può perdere prima della scadenza qualora sia dichiarata la nullità del brevetto o sopravvenga una causa di decadenza dello stesso. Il brevetto conferisce al suo titolare la facoltà esclusiva di attuare l’invenzione e di trarne profitto nel territorio nazionale, fatte salve alcune specifiche forme di libera utilizzazione dell’invenzione da parte di terzi per scopi privati e non commerciali, art. 68, 1°comma c.p.i.220 L’esclusiva comprende non solo la fabbricazione, ma anche il commercio e l’importazione dei prodotti cui l’invenzione si riferisce, art. 66, 2° comma c.p.i.L’esclusiva di commercio si esaurisce con la prima immissione in circolazione del prodotto brevettato in uno Stato membro dell’Unione Europea o dello spazio economico europeo, art. 5 c.p.i. L’esclusiva sussiste nei limiti dell’invenzione brevettata. Tuttavia, se l’invenzione riguarda un nuovo metodo o un nuovo processo di produzione, cioè sia un’invenzione di procedimento, l’esclusiva copre solo la messa in commercio del prodotto identico a quello direttamente ottenuto con il nuovo metodo o processo, art. 66, 2° comma c.p.i.221 Quindi, il titolare del brevetto potrà impedire che altri metta in commercio prodotti identici ottenuti con lo stesso metodo, ma non potrà impedire il commercio degli stessi prodotti ottenuti con metodo diverso.

Il brevetto è liberamente trasferibile sia fra vivi, sia mortis causa, indipendentemente dal trasferimento dell’azienda, art. 2589222 e 63, 1° comma c.p.i.223 Sul brevetto possono essere costituiti diritti reali di godimento o di garanzia, art. 140 c.p.i.224 e lo stesso può anche formare oggetto di esecuzione forzata e di espropriazione per pubblica utilità.

Il titolare del brevetto può altresì concedere licenza d’uso dello stesso, con o senza esclusiva di fabbricazione a favore del licenziatario. La licenza d’uso non è espressamente regolata, perciò può avere i contenuti più vari sia sugli obblighi reciproci delle parti, sia per il compenso, che può

1. Il brevetto per invenzione industriale dura venti anni a decorrere dalla data di deposito della domanda e non può essere rinnovato, ne' può esserne prorogata la durata.220 Art. 68 Limitazioni del diritto di brevetto1. La facoltà esclusiva attribuita dal diritto di brevetto non si estende, quale che sia l'oggetto dell'invenzione:a) agli atti compiuti in ambito privato ed a fini non commerciali, ovvero in via sperimentale ancorche' diretti all'ottenimento, anche in paesi esteri, di un'autorizzazione all'immissione in commercio di un farmaco ed ai conseguenti adempimenti pratici ivi compresi la preparazione e l'utilizzazione delle materie prime farmacologicamente attive a ciò strettamente necessarie;b) alla preparazione estemporanea, e per unità, di medicinali nelle farmacie su ricetta medica ed ai medicinali così preparati, purche' non si utilizzino principi attivi realizzati industrialmente.221 Art. 66 Diritto di brevetto2. In particolare, il brevetto conferisce al titolare i seguenti diritti esclusivi:a) se oggetto del brevetto e' un prodotto, il diritto di vietare ai terzi, salvo consenso del titolare, di produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto in questione;b) se oggetto del brevetto e' un procedimento, il diritto di vietare ai terzi, salvo consenso del titolare, di applicare il procedimento, nonche' di usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto direttamente ottenuto con il procedimento in questione.222

Art. 2589 Trasferibilità I diritti nascenti dalle invenzioni industriali, tranne il diritto di esserne riconosciuto autore, sono trasferibili.223 Art. 63 Diritti patrimoniali1. I diritti nascenti dalle invenzioni industriali, tranne il diritto di essere riconosciuto autore, sono alienabili e trasmissibili.224 Art. 140 Diritti di garanzia1. I diritti di garanzia sui titoli di proprietà industriale devono essere costituiti per crediti di denaro.

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Diritto di esclusiva

Trasferimento del brevetto

Licenza di brevetto

consistere sia da una percentuale sui prodotti venduti ( royalties ) o da una partecipazione agli utili.

L’invenzione brevettata è tutelata con sanzioni civili e penali, art. 127 c.p.i.225 e art. 473226 cod. pen. In particolare, il titolare del brevetto e il licenziatario possono esercitare azione di contraffazione nei confronti di chi abusivamente sfrutti l’invenzione. La sentenza che accerta la contraffazione ordina l’inibitoria per il futuro della fabbricazione o dell’uso di quanto forma oggetto del brevetto. Sono previste anche delle sanzioni volte ad eliminare dal mercato gli oggetti realizzati in violazione del brevetto, artt. 124 – 132 c.p.i.Il titolare del brevetto ha, in ogni caso, diritto al risarcimento del danno subito ed il giudice può disporre, come sanzione accessoria, anche la pubblicazione della sentenza sui giornali a spese del soccombente, art. 126 c.p.i.227

8.BREVETTAZIONE INTERNAZIONALE. BREVETTOEUROPEO. BREVETTO COMUNITARIO.

Il rilascio del brevetto per invenzione attribuisce diritto di esclusiva solo sul territorio nazionale. L’esclusiva però può essere conseguita anche in altri Stati ed alcuni trattati internazionali agevolano il conseguimento di tale risultato.

BREVETTAZIONE INTERNAZIONALE. La Convenzione di Parigi del 1883 per la protezione della proprietà industriale, riconosce a chi ha richiesto il brevetto per invenzione in uno Stato membro diritto di priorità per ciascuno degli stati. L’inventore dovrà presentare distinte domande per ciascun paese, ma la novità dell’invenzione è valutata con riferimento alla data del primo deposito nazionale, purché le successive domande siano presentate entro 12 mesi. L’inventore in questo modo conseguirà tanti distinti brevetti nazionali, regolati in tutto dalle singole legislazioni.

225 Art. 127 Sanzioni penali e amministrative1. Salva l'applicazione degli articoli 473, 474 e 517 del codice penale, chiunque fabbrica, vende, espone, adopera industrialmente, introduce nello Stato oggetti in violazione di un titolo di proprietà industriale valido ai sensi delle norme del presente codice, e' punito, a querela di parte, con la multa fino a 1.032,91 euro.2. Chiunque appone, su un oggetto, parole o indicazioni non corrispondenti al vero, tendenti a far credere che l'oggetto sia protetto da brevetto, disegno o modello oppure topografia o a far credere che il marchio che lo contraddistingue sia stato registrato, e' punito con la sanzione amministrativa da 51,65 euro a 516,46 euro.3. Salvo che il fatto costituisca reato, e' punito con la sanzione amministrativa fino a 2.065,83 euro, anche quando non vi sia danno al terzo, chiunque faccia uso di un marchio registrato, dopo che la relativa registrazione e' stata dichiarata nulla, quando la causa di nullità comporta la illiceità dell'uso del marchio, oppure sopprima il marchio del produttore o del commerciante da cui abbia ricevuto i prodotti226

Art. 473 Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell'ingegno o di prodotti industriali Chiunque contraffà o altera i marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, delle opere dell'ingegno o dei prodotti industriali, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire quattro milioni. Alla stessa pena soggiace chi contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati. Le disposizioni precedenti si applicano sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale. 227 Art. 126 Pubblicazione della sentenza1. L'autorità giudiziaria può ordinare che l'ordinanza cautelare o la sentenza che accerta la violazione dei diritti di proprietà industriale sia pubblicata integralmente o in sunto o nella sola parte dispositiva, tenuto conto della gravità dei fatti, in uno o più giornali da essa indicati, a spese del soccombente.

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La procedura di conseguimento del brevetto internazionale è stato semplificato dal Trattato di Washington del 1970, recepito in Italia nel 1985.

BREVETTO EUROPEO. La Convenzione di Monaco del 1973, entrata in vigore in Italia nel 1978, ha regolato il conseguimento del brevetto europeo. La procedura è ancora più snella del brevetto internazionale, essendo prevista una sola domanda al solo Ufficio europeo dei brevetti di Monaco. Inoltre, i brevetti europei hanno un’unica disciplina per i requisiti di brevettibilità e il procedimento di brevettazione. Ma il contenuto del diritto di esclusiva è regolato dalle singole legislazioni nazionali dei paesi in cui il brevetto ha efficacia. Quindi, il brevetto europeo, come il brevetto internazionale, non è un brevetto autonomo ed unitario.

BREVETTO COMUNITARIO.Un brevetto unitario ed autonomo è il brevetto comunitario, regolato dalla Convenzione di Lussemburgo del 1975, ratificata in Italia nel 1993 ma non ancora entrata in vigore per la mancata ratifica da parte di tutti i paesi dell’Unione. Il brevetto comunitario è rilasciato dall’Ufficio europeo di Monaco, secondo le regole ed il procedimento previsti per il brevetto europeo, e produce gli stessi effetti in tutti i paesi aderenti alla Convenzione. Inoltre, la concessione del brevetto comunitario comporta la cessazione degli effetti degli eventuali brevetti nazionali per la stessa invenzione.

9. L’INVENZIONE NON BREVETTATA

L’inventore può astenersi dal brevettare il proprio trovato e sfruttarlo in segreto. Ma corre il rischio che un altro arrivi allo stesso risultato, lo brevetti e acquisti il diritto di esclusiva, dato che è indubbio che fra due inventori prevale chi per primo ha presentato la domanda di brevetto, se non ricorre un diritto di priorità.La nuova disciplina delle invenzioni, introdotta nel 1979, riconosce una certa tutela a chi abbia utilizzato un’invenzione senza brevettarla. L’art. 68, 3° comma c.p.i.228, dispone che chiunque ha fatto uso dell’invenzione nella propria azienda, nei 12 mesi anteriori al deposito dell’altrui domanda di brevetto, può continuare a sfruttare l’invenzione stessa nei limiti del preuso. Inoltre, il preutente può trasferire tale facoltà, ma solo insieme all’azienda in cui l’invenzione è utilizzata, restando a suo carico la prova del preuso e dell’ampiezza dello stesso. Tale tutela opera anche nel caso di preuso segreto, la cui violazione configura anche atto di concorrenza sleale, art. 99 c.p.i.229 228 Art. 68 Limitazioni del diritto di brevetto3. Chiunque, nel corso dei dodici mesi anteriori alla data di deposito della domanda di brevetto o alla data di priorità, abbia fatto uso nella propria azienda dell'invenzione può continuare ad usarne nei limiti del preuso. Tale facoltà e' trasferibile soltanto insieme all'azienda in cui l'invenzione viene utilizzata. La prova del preuso e della sua estensione e' a carico del preutente.229 Art. 99 Tutela1. Salva la disciplina della concorrenza sleale, e' vietato rivelare a terzi oppure acquisire od utilizzare le informazioni e le esperienze aziendali di cui all'articolo 98.

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Tutela del preuso

Se, invece, l’inventore o il preutente hanno divulgato l’invenzione, il successivo brevetto difetterà del requisito della novità e quindi potrà essere chiesta la nullità dello stesso, art. 76 c.p.i.230 Dichiarato nullo il brevetto chiunque potrà liberamente sfruttare l’invenzione.

I MODELLI INDUSTRIALI

I modelli industriali sono creazioni intellettuali applicate all’industria di minor rilievo rispetto alle invenzioni industriali. Essi sono disciplinati dal codice civile e dal c.p.i. In base a tale disciplina i modelli industriali sono distinti in:

- modelli di utilità, che sono nuovi trovati destinati a conferire particolare funzionalità a macchine, strumenti, utensili o oggetti d’uso, art. 2592231 e 82 c.p.i232; es. una nuova poltrona di dentista che aumenta la comodità;

- disegni e modelli, che sono nuove idee destinate a migliorare l’aspetto dei prodotti industriali, art. 31 c.p.i.233 Sono detti anche industrial design.

In sostanza, i modelli industriali riguardano la foggia funzionale (modelli di utilità) o estetica (disegni e modelli) dei prodotti.Distinguere fra i due tipi di modelli industriali non è sempre agevole, perciò il legislatore ha permesso di ottenere contemporaneamente il brevetto per modello di utilità e la registrazione per disegno o modello, art. 40 c.p.i.234 e, di godere delle due tutele, che tuttavia risultano differenziate con la riforma del 2001.

10. MODELLI DI UTILITA’

230 Art. 76 Nullità1. Il brevetto e' nullo:a) se l'invenzione non e' brevettabile ai sensi degli articoli 45, 46, 48, 49, e 50;b) se, ai sensi dell'articolo 51, l'invenzione non e' descritta in modo sufficientemente chiaro e completo da consentire a persona esperta di attuarla;c) se l'oggetto del brevetto si estende oltre il contenuto della domanda iniziale;d) se il titolare del brevetto non aveva diritto di ottenerlo e l'avente diritto non si sia valso delle facoltà accordategli dall'articolo 118.231 Art. 2592 Modelli di utilità Chi, in conformità della legge, ha ottenuto un brevetto per una invenzione atta a conferire a macchine o parti di esse, strumenti, utensili od oggetti particolare efficacia o comodità di applicazione o d'impiego, ha il diritto esclusivo di attuare l'invenzione, di disporne e di fare commercio dei prodotti a cui si riferisce. Il brevetto per le macchine nel loro complesso non comprende la protezione delle singole parti. 232 Art. 82 Oggetto del brevetto1. Possono costituire oggetto di brevetto per modello di utilità i nuovi modelli atti a conferire particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego a macchine, o parti di esse, strumenti, utensili od oggetti di uso in genere, quali i nuovi modelli consistenti in particolari conformazioni, disposizioni, configurazioni o combinazioni di parti.233 Art. 31 Oggetto della registrazione1. Possono costituire oggetto di registrazione come disegni e modelli l'aspetto dell'intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale ovvero dei materiali del prodotto stesso ovvero del suo ornamento, a condizione che siano nuovi ed abbiano carattere individuale.2. Per prodotto si intende qualsiasi oggetto industriale o artigianale, compresi tra l'altro i componenti che devono essere assemblati per formare un prodotto complesso, gli imballaggi, le presentazioni, i simboli grafici e caratteri tipografici, esclusi i programmi per elaboratore.3. Per prodotto complesso si intende un prodotto formato da più componenti che possono essere sostituiti, consentendo lo smontaggio e un nuovo montaggio del prodotto.234 Art. 40 Registrazione contemporanea1. Se un disegno o modello possiede i requisiti di registrabilità ed al tempo stesso accresce l'utilità dell'oggetto al quale si riferisce, possono essere chiesti contemporaneamente il brevetto per modello di utilità e la registrazione per disegno o modello, ma l'una e l'altra protezione non possono venire cumulate in un solo titolo.

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La tutela dei modelli di utilità continua a fondarsi sull’istituto della brevettazione e in merito, visto il rinvio degli artt. 2594235 e 86 c.p.i.236, trova applicazione la disciplina delle invenzioni industriali. Si differenzia solo rispetto alla durata del brevetto, 10 anni per i modelli di utilità, art. 85 c.p.i.237 , mentre il brevetto per le invenzioni dura 20 anni. Quindi, la concessione di un brevetto esclude la concedibilità dell’altro, art. 40 c.p.i.

La differenza fra invenzione e modello di utilità non è solo quantitativa ma è di tipo qualitativo: l’invenzione dà vita alla creazione di un nuovo prodotto o di un nuovo procedimento, mentre il modello presuppone un prodotto già esistente al quale apporta solo particolare efficacia o comodità di impiego.

11. DISEGNI E MODELLI

Il d.lgs. 95/2001, emanato in attuazione della direttiva Ce 98/71, ha significativamente modificato l’originaria disciplina. Oggi, vengono tutelati, mediante registrazione presso l’Ufficio Italiano brevetti e marchi, tutti i disegni e i modelli che siano nuovi ed abbiano carattere individuale, art. 31, 1° comma, c.p.i. Ossia, il disegno o il modello non deve essere identico ad un disegno o modello precedentemente divulgato, art. 32 c.p.i.238 , e deve suscitare nell’utilizzatore informato un’impressione generale diversa da quella suscitata da qualsiasi altro disegno o modello già divulgato, art. 33 c.p.i.239 Inoltre, è consentita la tutela separata di componenti destinati ad essere assemblati in un prodotto complesso, purché le caratteristiche visibili del componente possiedano di per sé i requisiti della novità e del carattere individuale, art. 35 c.p.i.240

La registrazione dura 5 anni dalla domanda, ma può essere prorogato per un massimo di 25 anni, art. 37 c.p.i.241

235 Art. 2594 Norme applicabili

Ai diritti di brevetto contemplati in questo capo si applicano gli artt. 2588, 2589 e 2590. Le condizioni e le modalità per la concessione del brevetto, l'esercizio dei diritti che ne derivano e la loro durata sono regolati dalle leggi speciali. 236 Art. 86 Rinvio1. Le disposizioni della sezione IV, sulle invenzioni industriali, oltre che a tali invenzioni, spiegano effetto anche nella materia dei modelli di utilità, in quanto applicabili.2. In particolare sono estese ai brevetti per modello di utilità le disposizioni in materia di invenzioni dei dipendenti e licenze obbligatorie.237 Art. 85 Durata ed effetti della brevettazione1. Il brevetto per modello di utilità dura dieci anni dalla data di presentazione della domanda.238 Art. 32 La novità1. Un disegno o modello e' nuovo se nessun disegno o modello identico e' stato divulgato anteriormente alla data di presentazione della domanda di registrazione, ovvero, qualora si rivendichi la priorità, anteriormente alla data di quest'ultima. I disegni o modelli si reputano identici quando le loro caratteristiche differiscono soltanto per dettagli irrilevanti.239 Art. 33 Carattere individuale1. Un disegno o modello ha carattere individuale se l'impressione generale che suscita nell'utilizzatore informato differisce dall'impressione generale suscitata in tale utilizzatore da qualsiasi disegno o modello che sia stato divulgato prima della data di presentazione della domanda di registrazione o, qualora si rivendichi la priorità, prima della data di quest'ultima.2. Nell'accertare il carattere individuale di cui al comma 1, si prende in considerazione il margine di libertà di cui l'autore ha beneficiato nel realizzare il disegno o modello.240 Art. 35 Prodotto complesso1. Il disegno o modello applicato od incorporato nel componente di un prodotto complesso possiede i requisiti della novità e del carattere individuale soltanto:a) se il componente, una volta incorporato nel prodotto complesso, rimane visibile durante la normale utilizzazione e cioe' durante l'utilizzazione da parte del consumatore finale, esclusi gli interventi di manutenzione, assistenza e riparazione;b) se le caratteristiche visibili del componente possiedono di per sé i requisiti di novità e di individualità.241 Art. 37 Durata della protezione

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Differenza

Disciplina

La registrazione di un disegno o modello conferisce al titolare il diritto esclusivo di utilizzarlo e di vietare a terzi di utilizzarlo senza il suo consenso, art. 41 c.p.i.

Infine, è stato abrogato il divieto di cumulo fra tutela del diritto di autore e quella dei modelli industriali, sollevando dei problemi di distinzione fra modelli ornamentali e le opere d’arte applicate all’industria, cioè quella particolare categoria di opere dell’ingegno, tutelata dal diritto di autore, art. 2, n. 4, legge autore. Con l’attuale disciplina, invece, le opere del disegno industriale sono ammesse a godere della tutela del diritto d’autore, quando presentino di per sé carattere creativo e valore artistico, art. 2 n. 10, legge autore (non è necessaria la registrazione)Per esse la durata della tutela del diritto d’autore è accorciata a 25 anni dalla morte dell’autore, anziché 70 come normale, art. 44 c.p.i.242

Ai disegni e modelli nazionali si sono di recente affiancati i disegni e modelli comunitari i quali ricevono una protezione autonoma ed unitaria estesa a tutti i paesi dell’Unione Europea dal Regolamento Ce 6/2002 del 12-12-2001.La relativa disciplina è in larga parte coincidente con la nostra legge e si basa sulla registrazione del modello o disegno presso l’Ufficio per l’armonizzazione nel Mercato interno (UAMI).A differenza del c.p.i. , il regolamento Ce 6/2002 riconosce una limitata e provvisoria tutela anche ai disegni e modelli non registrati. Il disegno o modello che abbia i requisiti della novità e del carattere individuale è protetto come disegno o modello comunitario non registrato per un periodo di tre anni dalla data in cui lo stesso è stato divulgato al pubblico per la prima volta nella Comunità, art. 11 regolamento Ce e, consente al suo titolare di vietarne l’imitazione da parte di terzi.

1. La registrazione del disegno o modello dura cinque anni a decorrere dalla data di presentazione della domanda. Il titolare può ottenere la proroga della durata per uno o più periodi di cinque anni fino ad un massimo di venticinque anni dalla data di presentazione della domanda di registrazione.242 Art. 44 Durata del diritto di utilizzazione economica per diritto d'autore1. I diritti di utilizzazione economica dei disegni e modelli industriali protetti ai sensi dell'articolo 2, primo comma, numero 10, della legge 22 aprile 1941, n. 633, durano tutta la vita dell'autore e sino al termine del venticinquesimo anno solare dopo la sua morte o dopo la morte dell'ultimo dei coautori.

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LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA

LA LEGISLAZIONE ANTIMONOPOLISTICA

1. CONCORRENZA PERFETTA E MONOPOLIO

Il modello ideale di funzionamento del mercato teorizzato dagli economisti è la cosiddetta CONCORRENZA PERFETTA, che presenta le seguenti caratteristiche:- contemporanea presenza sul mercato di una pluralità di operatori

economici in competizione fra loro, ma in modo che nessuna di loro sia in grado di condizionare il prezzo delle merci;

- piena mobilità dei fattori produttivi che assicuri il pronto adeguamento della produzione alle richieste del mercato;

- piena mobilità della domanda da parte dei consumatori, liberi di orientare le proprie scelte verso i prodotti più convenienti per qualità e prezzo;

- assenza di ostacoli all’ingresso di nuovi operatori in ogni settore della produzione e della distribuzione, nonché di accordi fra le imprese che falsino la libertà di competizione economica.

Questo modello di mercato è ideale e perfetto in quanto la concorrenza:- spinge verso una riduzione sia dei costi di produzione sia dei prezzi di

vendita;- assicura la naturale eliminazione dal mercato delle imprese meno

competitive;- stimola il progresso tecnologico e l’accrescimento dell’efficacia

produttiva delle imprese;- determina la più razionale utilizzazione delle risorse limitate e il

raggiungimento del grado più elevato possibile di benessere economico e sociale.

Ma la concorrenza perfetta è solo un modello ideale e teorico, mentre in realtà vari fattori portano il mercato verso una situazione di OLIGOPOLIO, cioè ad un mercato caratterizzato dal controllo dell’offerta da parte di poche grandi imprese. Molto spesso gli imprenditori stipulano fra loro dei patti, dette intese, volti a limitare la reciproca concorrenza. Vi sono delle volte in cui tutta l’offerta di un dato prodotto è controllata da una sola impresa o da poche imprese coalizzate, detto MONOPOLIO DI FATTO. Il riconoscimento legislativo della libertà di iniziativa economica privata e della conseguente libertà di concorrenza , art. 41 Cost., è presupposto necessario ma non sufficiente perché si instauri un regime oggettivo di mercato caratterizzato da un sufficiente grado di concorrenza effettiva. Necessaria è anche una regolamentazione giuridica della concorrenza che impedisca situazioni di monopolio o quasi - monopolio.

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CAP. 8

Modello ideale di mercato

La realtà

Libertà di concorrenza e limitazioni

L’art. 2595243 dispone che la concorrenza deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell'economia nazionale e nei limiti stabiliti dalla legge (e dalle norme corporative), e l’art. 41 Cost. al 2° comma ribadisce che l’iniziativa economica privata è si libera , ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale. Perciò, se il funzionamento concorrenziale del mercato tendenzialmente coincide con l’interesse collettivo, situazioni oggettive e/o obiettivi di politica economica e sociale dei pubblici poteri possono in concreto imporre limitazioni legislative vistose ed anche radicali della libertà di concorrenza.

La ricerca di un punto di equilibrio fra modello teorico ed utopico della piena e perfetta concorrenza e la realtà operativa, costituisce la linea direttiva che ispira la disciplina della concorrenza nei sistemi giuridici ad economia libera, detta concorrenza sostenibile. Su questo principio guida della libertà di concorrenza, il legislatore italiano:

a. consente limitazioni legali della stessa per fini di utilità sociale e la creazione di monopoli legali in specifici settori di interesse generale;

b. ricollega alla stipulazione di determinati contratti divieti di concorrenza fra le parti, finalizzati al corretto svolgimento del rapporto cui accedono ed alla tutela degli interessi patrimoniali del beneficiario del divieto stesso;

c. consente limitazioni negoziali della concorrenza, ma ne subordina nel contempo la validità al rispetto di condizioni che non comportino un radicale sacrificio della libertà di iniziativa economica attuale e futura, art. 2596244 ;

d. assicura l’ordinato e corretto svolgimento della concorrenza attraverso la repressione degli atti di concorrenza sleale, artt. 2598-2601.

Per lungo tempo il sistema italiano della concorrenza si era contraddistinto per una vistosa lacuna: la mancanza di una normativa antimonopolistica, finalizzata al controllo dei fenomeni che possono determinare posizioni di prepotere economico sul mercato ed alla repressione degli abusi che esse posso generare. A partire dagli anni cinquanta la lacuna fu parzialmente colmata dalla diretta applicabilità nel nostro ordinamento della disciplina antitrust, dettata dai Trattati della CEE. Tale normativa però consentiva di colpire solo le pratiche che possono pregiudicare il regime concorrenziale del mercato comune europeo, non quelle che incidono esclusivamente sul mercato italiano. L’esigenza di colmare tale lacuna è stato colmato dalla legge n. 287 del 10-10-1990, recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato.

243 Art. 2595 Limiti legali della concorrenza

La concorrenza deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell'economia nazionale e nei limiti stabiliti dalla legge (e dalle norme corporative). 244

Art. 2596 Limiti contrattuali della concorrenza Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto (2725). Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni (2125, 2557). Se la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio (att. 222).

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Il sistema italiano

Lacuna

Tale legge ha infatti introdotto una disciplina antimonopolistica nazionale a carattere generale, che si affianca a quella comunitaria ed integra la normativa specifica emanata precedentemente per i settori dell’editoria (legge n. 416/1981) e quello radiotelevisivo (legge n. 223/1990, oggi sostituito dal Testo Unico della radiotelevisione).

2. LA DISCIPLINA ITALIANA E COMUNITARIA

La libertà di iniziativa economica e la competizione fra imprese non possono tradursi in atti e comportamenti che pregiudicano in modo rilevante e durevole la struttura concorrenziale del mercato.

Questo principio è il cardine della legislazione antimonopolistica dell’UE, dettata dal Trattato Ce artt. 81-82 e dai Regolamenti Ce n. 1 del 16-12-1993 e n. 139 del 20-01-2004. Questa disciplina, applicabile direttamente alle imprese italiane, è volta a preservare il regime concorrenziale del mercato comunitario e a reprimere le pratiche anticoncorrenziali che pregiudicano il commercio fra stati membri. La Commissione della CE:

- vigila sul rispetto di tali normative, - adotta i provvedimenti necessari per reprimere i comportamenti

anticoncorrenziali vietati- irroga le sanzioni pecuniarie previste dalla legislazione comunitaria.

Questo principio è stato recepito anche dalla legislazione antimonopolistica italiana, legge n. 287 del 10-10-1990, volta a preservare il regime concorrenziale del mercato nazionale e a reprimere i comportamenti anticoncorrenziali che incidono solo sul mercato nazionale. Per le imprese che opera nel campo dell’editoria e radiotelevisivo, trova applicazione la specifica disciplina volta a garantire il pluralismo dell’informazione di massa impedendo posizioni monopolistiche.

Da qui l’esigenza di coordinare le due normative, visto che il legislatore italiano ha riconosciuto posizione preminente e sovraordinata alla disciplina comunitaria. Infatti, la normativa nazionale ha carattere residuale , cioè è applicabile solo se la fattispecie non è prevista dalla normativa comunitaria, art. 1 legge 287/1993 e, si applica alle pratiche anticoncorrenziali che hanno rilievo esclusivamente locale e che non incidono sulla concorrenza nel mercato comunitario.Mentre, per le fattispecie che incidono sul mercato comunitario è applicabile solo il diritto comunitario della concorrenza, cd principio della barriera unica, anche se la Commissione Ce sta decentrando l’applicazione della disciplina comunitaria da parte dell’Autorità nazionale, art. 54 legge 52/1996. I principi del diritto comunitario prevalgono anche sull’interpretazione dell’art. 8 della legge 287/1990 che definisce l’ambito soggettivo di

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Disciplina comunitaria

Coordinamento fra le due normative

Ambito soggettivo

Disciplina italiana

applicazione della disciplina antimonopolistica italiana: imprese private, imprese pubbliche e a partecipazione statale, escluse le imprese in monopolio legale e quelle che gestiscono servizi di interesse economico generale.Nella nozione comunitaria di impresa sono ricomprese anche gli esercenti professioni intellettuali, che per il nostro ordinamento non sono imprenditori.Quindi, anche ad essi si applica la disciplina antimonopolistica italiana e comunitaria.

La legge n. 287/1990 ha istituito un apposito organo pubblico indipendente, Autorità garante della concorrenza e del mercato245, che vigila sul rispetto della normativa antimonopolistica in tutti i settori economici, tranne qualche eccezione:

- per il settore assicurativo, l’Autorità deve sentire l’Isvap;- per il settore dell’editoria e radiotelevisivo vi è l’apposita Autorità.

L’Autorità garante:- ha ampi poteri di indagine ed ispettivi,- adotta i provvedimenti antimonopolistici necessari- irroga le sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla legge.

Contro i provvedimenti amministrativi dell’Autorità può essere proposto ricorso giudiziario, per il quale è competente il Tar del Lazio, art. 33.Le azioni di nullità e di risarcimento dei danni, nonché i ricorsi diretti ad ottenere provvedimenti di urgenza, vanno promossi alla Corte dei appello competente per territorio. Si omette, perciò, il primo grado di giudizio davanti al Tribunale.

3-5. LE SINGOLE FATTISPECIE

I fenomeni rilevanti per la disciplina antimonopolistica italiana e comunitaria sono:

A. le intese restrittive della concorrenza;B. gli abusi di posizione dominante;C. le concentrazioni.

A. LE INTESE RESTRITTIVE DELLA CONCORRENZA.

245 L’Autorità è un organo collegiale composto da un presidente e da 4 membri, nominati dai Presidenti di Camera e Senato, che restano in

carica per 7 anni e non possono essere confermati. L’Autorità ha sede in Roma ed ha autonomia organizzativa e decisionale e, dispone di proprio personale. Ogni anno presenta al Parlamento una relazione sull’attività svolta.

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Autorità garante

Nozione

Le intese sono comportamenti concordati fra imprese volti a limitare la propria libertà di azione sul mercato, art. 2 legge 287/1990246 e art. 81 Trattato Ce.In particolare, sono considerate intese:

a. gli accordi fra imprese, anche se non vincolanti;b. le deliberazioni di consorzi, di associazioni di imprese o altri

organismi similari;c. le pratiche concordate fra imprese, che ricomprende i

comportamenti concertati che non derivano da accordi espressi. Non tutte le intese anticoncorrenziali sono però vietate. Sono vietate solo le intese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o comunitario, o in una sua parte rilevante247. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto. Chiunque può agire in giudizio per farne accertare la nullità, anche prima che gli effetti si realizzino. L’Autorità, dopo aver accertato le infrazioni commesse, con apposita istruttoria, art. 14248, adotta i provvedimenti per la rimozione degli effetti anticoncorrenziali ed irroga le sanzioni pecuniarie previste dall’art. 15249.

246 Art. 2 Intese restrittive della libertà di concorrenza1. Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari.2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel:a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali;b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico;c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;d) applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni quivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l'oggetto dei contratti stessi.3. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto.247 Le intese espressamente elencate dall’art. 2 legge 287/1990, e art. 81 Trattato Ce, sono solo esemplificative: - fissare i prezzi di acquisto o di vendita o altre condizioni contrattuali;- impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico;- ripartire i mercati e le fonti di approvvigionamento;- applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare ingiustificati svantaggi nella concorrenza;- subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che non abbiano alcun

rapporto con l’oggetto dei contratti stessi.248 Art. 14 Istruttoria1. L'Autorità, nei casi di presunta infrazione agli articoli 2 o 3, notifica l'apertura dell'istruttoria alle imprese e agli enti interessati. I titolari o legali rappresentanti delle imprese ed enti hanno diritto di essere sentiti, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, nel termine fissato contestualmente alla notifica ed hanno facoltà di presentare deduzioni e pareri in ogni stadio dell'istruttoria, nonché di essere nuovamente sentiti prima della chiusura di questa.2. L'Autorità può in ogni momento dell'istruttoria richiedere alle imprese, enti o persone che ne siano in possesso, di fornire informazioni e di esibire documenti utili ai fini dell'istruttoria; disporre ispezioni al fine di controllare i documenti aziendali e di prenderne copia, anche avvalendosi della collaborazione di altri organi dello Stato; disporre perizie e analisi economiche e statistiche nonché la consultazione di esperti in ordine a qualsiasi elemento rilevante ai fini dell'istruttoria.3. Tutte le notizie, le informazioni o i dati riguardanti le imprese oggetto di istruttoria da parte dell'Autorità sono tutelati dal segreto d'ufficio anche nei riguardi delle pubbliche amministrazioni.4. I funzionari dell'Autorità nell'esercizio delle loro funzioni sono pubblici ufficiali. Essi sono vincolati dal segreto d'ufficio.5. Con provvedimento dell'Autorità, i soggetti richiesti di fornire gli elementi di cui al comma 2 sono sottoposti alla sanzione amministrativa pecuniaria fino a cinquanta milioni di lire se rifiutano od omettono, senza giustificato motivo, di fornire le informazioni o di esibire i documenti ovvero alla sanzione amministrativa pecuniaria fino a cento milioni di lire se forniscono informazioni od esibiscono documenti non veritieri. Sono salve le diverse sanzioni previste dall'ordinamento vigente.249

Art. 15 Diffide e sanzioni1. Se a seguito dell'istruttoria di cui all'articolo 14 l'Autorità ravvisa infrazioni agli articoli 2 o 3, fissa alle imprese e agli enti interessati il termine per l'eliminazione delle infrazioni stesse. Nei casi di infrazioni gravi, tenuto conto della gravità e della durata dell'infrazione, dispone inoltre l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria in misura non inferiore all'uno per cento e non superiore al dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell'ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida relativamente ai prodotti oggetto dell'intesa o dell'abuso di posizione dominante, determinando i termini entro i quali l'impresa deve procedere al pagamento della sanzione.

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Intese vietate

Sanzioni

L’Autorità può concedere anche delle esenzioni temporanee, individuali e per categoria di accordi, purché ricorrano le condizioni specificate dalla legge. Cioè, si deve trattare di intese che migliorino le condizioni di offerta sul mercato e producono un sostanziale beneficio per i consumatori in termini di aumento della produzione, di miglioramento qualitativo della stessa o della distribuzione, di progresso tecnico. È comunque necessario che non sia eliminata la concorrenza da una parte sostanziale del mercato, art. 4250.

Sono lecite le intese minori, cioè quelle intese che, per la struttura del mercato interessato, le caratteristiche delle imprese operanti e gli effetti sull’andamento dell’ offerta, non incidono sull’assetto concorrenziale del mercato.

B. ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE E ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA .

L’art. 3 della legge 287/1990251 vieta l’abuso di posizione dominante da parte di una o più imprese, con comportamenti lesivi dei concorrenti e dei consumatori, capaci di pregiudicare la concorrenza effettiva.Nella valutazione della posizione dominante un ruolo decisivo gioca l’individuazione, merceologica e geografica, del mercato rilevante.Questo comprende tutti i prodotti e/o servizi che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati e, abbraccia quella zona in cui le imprese fornitrici si pongono fra loro in rapporto di concorrenza. L’individuazione del mercato rilevante non è agevole.I comportamenti tipici che possono dar luogo ad abuso di posizione dominante sono identificati negli stessi comportamenti che possono formare oggetto di intese vietate. Perciò, ad un’impresa in posizione dominante è vietato di:- fissare i prezzi di acquisto o di vendita o altre condizioni contrattuali

ingiustificatamente gravose;

250 Art. 4 Deroghe al divieto di intese restrittive della libertà di concorrenza 1. L'Autorità può autorizzare, con proprio provvedimento, per un periodo limitato, intese o categorie di intese vietate ai sensi dell'articolo 2, che diano luogo a miglioramenti nelle condizioni di offerta sul mercato i quali abbiano effetti tali da comportare un sostanziale beneficio per i consumatori e che siano individuati anche tenendo conto della necessità di assicurare alle imprese la necessaria concorrenzialità sul piano internazionale e connessi in particolare con l'aumento della produzione, o con il miglioramento qualitativo della produzione stessa o della distribuzione ovvero con il progresso tecnico o tecnologico.L'autorizzazione non può comunque consentire restrizioni non strettamente necessarie al raggiungimento delle finalità di cui al presente comma né può consentire che risulti eliminata la concorrenza da una parte sostanziale del mercato.251 Art. 3 Abuso di posizione dominante1. è vietato l'abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ed inoltre è vietato:a) imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose;b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori;c) applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;d) subordinare la conclusione dei contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l'oggetto dei contratti stessi.

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Esenzioni

Mercato rilevante

Comportamenti tipici

Abuso di posizione dominante

- impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico a danno dei consumatori;

- ripartire i mercati e le fonti di approvvigionamento;- applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti,

così da determinare ingiustificati svantaggi nella concorrenza;- subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli

altri contraenti di prestazioni supplementari che non abbiano alcun rapporto con l’oggetto dei contratti stessi.

Il divieto di abuso di posizione dominante non ammette eccezioni. Accertata l’infrazione l’Autorità competente:

- ne ordina la cessazione prendendo le misure necessarie;- infligge sanzione pecuniarie identiche a quelle stabilite per le intese- in caso di reiterata inottemperanza, l’Autorità italiana può disporre la

sospensione dell’attività dell’impresa fino a trenta giorni, art. 15252. Nell’ordinamento nazionale è vietato anche l’abuso di dipendenza economica, cioè di quella situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi. Il patto attraverso cui si realizza l’abuso di dipendenza economica è nullo ed espone al risarcimento dei danni nei confronti dell’impresa che ha subito l’abuso. Inoltre, l’Autorità garante applica le sanzioni previste per l’abuso di posizione dominante qualora ravvisi che l’abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato.

C. LE CONCENTRAZIONI

Gli artt. 5-7 legge 287/1990 e il regolamento Ce n. 139 del 20-01-2004 prevedono le operazioni di concentrazione fra imprese. Si ha concentrazione quando:

- due o più imprese si fondano dando così luogo ad un’impresa unica, concentrazione giuridica;

- due o più imprese, pur restando giuridicamente distinte, diventano un’unica entità economica, concentrazione economica, cioè sono sottoposte ad un controllo unitario che consente di esercitare un’influenza determinante sull’ attività produttiva delle imprese controllate;

252 Art. 15 Diffide e sanzioni1. Se a seguito dell'istruttoria di cui all'articolo 14 l'Autorità ravvisa infrazioni agli articoli 2 o 3, fissa alle imprese e agli enti interessati il termine per l'eliminazione delle infrazioni stesse. Nei casi di infrazioni gravi, tenuto conto della gravità e della durata dell'infrazione, dispone inoltre l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria in misura non inferiore all'uno per cento e non superiore al dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell'ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida relativamente ai prodotti oggetto dell'intesa o dell'abuso di posizione dominante, determinando i termini entro i quali l'impresa deve procedere al pagamento della sanzione.2. In caso di inottemperanza alla diffida di cui al comma 1, l'Autorità applica la sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato ovvero, nei casi in cui sia stata applicata la sanzione di cui al comma 1, di importo minimo non inferiore al doppio della sanzione già applicata con un limite massimo del dieci per cento del fatturato come individuato al comma 1, determinando altresì il termine entro il quale il pagamento della sanzione deve essere effettuato. Nei casi di reiterata inottemperanza l'Autorità può disporre la sospensione dell'attività d'impresa fino a trenta giorni.

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Sanzioni

Abuso di dipendenza economica

Sanzioni

Forme di concentrazione

- due o più imprese indipendenti costituiscono un’impresa societaria comune.

Le imprese comuni sono però sottratte alla disciplina delle concentrazioni quando abbiano come scopo principale il coordinamento dei comportamenti concorrenziali delle imprese partecipanti, art. 5 legge 287/1990253.Quindi, gli strumenti giuridici che possono dar luogo ad un’operazione di concentrazione sono diversi, ma hanno tutti lo scopo di ampliare la quota di mercato detenuta da un’impresa, realizzato attraverso operazioni che comportano la stabile riduzione del numero di imprese indipendenti operanti nel settore. Perciò, la disciplina delle concentrazioni è da escludersi quando le imprese partecipanti fanno parte di uno stesso gruppo.Le concentrazioni sono un utile strumento di ristrutturazione e rispondono all’ esigenza di accrescere la competitività delle imprese. Sono illecite e vietate quando diano luogo a gravi alterazioni del mercato, cioè quando superino determinati dimensioni. È previsto che le operazioni che superino determinate soglie di fatturato, a livello nazionale o comunitario, devono essere preventivamente comunicate all’Autorità italiana o alla Commissione Ce, al fine di valutare se esse comportano la costruzione o il rafforzamento di una posizione dominante che elimina o riduce in modo sostanziale e durevole la concorrenza sul mercato nazionale o comunitario o in una parte rilevante di essi. Se l’Autorità ritiene di dover indagare sulla liceità della concentrazione, apre un’apposita istruttoria che deve essere conclusa entro 45 giorni, art. 16254. 253

Art. 5 Operazioni di concentrazione1. L'operazione di concentrazione si realizza:a) quando due o più imprese procedono a fusione;b) quando uno o più soggetti in posizione di controllo di almeno un'impresa ovvero una o più imprese acquisiscono direttamente od indirettamente, sia mediante acquisto di azioni o di elementi del patrimonio, sia mediante contratto o qualsiasi altro mezzo, il controllo dell'insieme o di parti di una o più imprese;c) quando due o più imprese procedono, attraverso la costituzione di una nuova società, alla costituzione di un'impresa comune.2. L'assunzione del controllo di un'impresa non si verifica nel caso in cui una banca o un istituto finanziario acquisti, all'atto della costituzione di un'impresa o dell'aumento del suo capitale, partecipazioni in tale impresa al fine di rivenderle sul mercato, a condizione che durante il periodo di possesso di dette partecipazioni, comunque non superiore a ventiquattro mesi, non eserciti i diritti di voto inerenti alle partecipazioni stesse.3. Le operazioni aventi quale oggetto o effetto principale il coordinamento del comportamento di imprese indipendenti non danno luogo ad una concentrazione.254 Art. 16 Comunicazione delle concentrazioni1. Le operazioni di concentrazione di cui all'articolo 5 devono essere preventivamente comunicate all'Autorità qualora il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall'insieme delle imprese interessate sia superiore a cinquecento miliardi di lire, ovvero qualora il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall'impresa di cui è prevista l'acquisizione sia superiore a cinquanta miliardi di lire. Tali valori sono incrementati ogni anno di un ammontare equivalente all'aumento dell'indice del deflatore dei prezzi del prodotto interno lordo.2. Per gli istituti bancari e finanziari il fatturato è considerato pari al valore di un decimo del totale dell'attivo dello stato patrimoniale, esclusi i conti d'ordine, e per le compagnie di assicurazione pari al valore dei premi incassati.3. Entro cinque giorni dalla comunicazione di una operazione di concentrazione l'Autorità ne dà notizia al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato.4. Se l'Autorità ritiene che un'operazione di concentrazione sia suscettibile di essere vietata ai sensi dell'articolo 6, avvia entro trenta giorni dal ricevimento della notifica, o dal momento in cui ne abbia comunque avuto conoscenza, l'istruttoria attenendosi alle norme dell'articolo 14. L'Autorità, a fronte di un'operazione di concentrazione ritualmente comunicata, qualora non ritenga necessario avviare l'istruttoria deve dare comunicazione alle imprese interessate ed al Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato delle proprie conclusioni nel merito, entro trenta giorni dal ricevimento della notifica.5. L'offerta pubblica di acquisto che possa dar luogo ad operazione di concentrazione soggetta alla comunicazione di cui al comma 1 deve essere comunicata all'Autorità contestualmente alla sua comunicazione alla Commissione nazionale per le società e la borsa.6. Nel caso di offerta pubblica di acquisto comunicata all'Autorità ai sensi del comma 5, l'Autorità deve notificare l'avvio dell'istruttoria entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione e contestualmente darne comunicazione alla Commissione nazionale per le società e la borsa.

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Comunicazione preventiva

Nel frattempo può ordinare alle imprese interessate di sospendere la realizzazione della concentrazione, art. 17255.Terminata l’istruttoria, l’autorità può vietare la concentrazione se ritiene che la stessa comporta la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante con effetti distorsivi per la concorrenza stabili e durevoli. In alternativa, può autorizzarla prescrivendo le misure necessarie per impedire tali conseguenze, art. 6256. Qualora la concentrazione sia già stata realizzata prescrive le misure necessarie a ripristinare condizioni di concorrenza effettiva e ad eliminare gli effetti distorsivi, art. 18257.In presenza di rilevanti interessi generali dell’economia nazionale, l’Autorità può tuttavia eccezionalmente autorizzare anche concentrazioni altrimenti vietate, in conformità dei criteri generali preventivamente fissati dal Governo, art. 25258.Se la concentrazione vietata viene ugualmente esercitata o se le imprese non si adeguano a quanto prescritto, l’Autorità può infliggere pesanti sanzioni pecuniarie.Diversamente dalle intese però, non è sancita la nullità delle operazioni che hanno dato luogo ad una concentrazione vietata.

7. L'Autorità può avviare l'istruttoria dopo la scadenza dei termini di cui al presente articolo, nel caso in cui le informazioni fornite dalle imprese con la comunicazione risultino gravemente inesatte, incomplete o non veritiere.8. L'Autorità, entro il termine perentorio di quarantacinque giorni dall'inizio dell'istruttoria di cui al presente articolo, deve dare comunicazione alle imprese interessate ed al Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, delle proprie conclusioni nel merito. Tale termine può essere prorogato nel corso dell'istruttoria per un periodo non superiore a trenta giorni, qualora le imprese non forniscano informazioni e dati a loro richiesti che siano nella loro disponibilità.255 Art. 17 Sospensione temporanea dell'operazione di concentrazione1. L'Autorità, nel far luogo all'istruttoria di cui all'articolo 16, può ordinare alle imprese interessate di sospendere la realizzazione della concentrazione fino alla conclusione dell'istruttoria.2. La disposizione del comma 1 non impedisce la realizzazione di un'offerta pubblica di acquisto che sia stata comunicata all'Autorità ai sensi dell'articolo 16, comma 5, sempre che l'acquirente non eserciti i diritti di voto inerenti ai titoli in questione.256 Art. 6 Divieto delle operazioni di concentrazione restrittive della libertà di concorrenza1. Nei riguardi delle operazioni di concentrazione soggette a comunicazione ai sensi dell'articolo 16, l'Autorità valuta se comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza. Tale situazione deve essere valutata tenendo conto delle possibilità di scelta dei fornitori e degli utilizzatori, della posizione sul mercato delle imprese interessate, del loro accesso alle fonti di approvvigionamento o agli sbocchi di mercato, della struttura dei mercati, della situazione competitiva dell'industria nazionale, delle barriere all'entrata sul mercato di imprese concorrenti, nonché dell'andamento della domanda e dell'offerta dei prodotti o servizi in questione.2. L'Autorità, al termine dell'istruttoria di cui all'articolo 16, comma 4, quando accerti che l'operazione comporta le conseguenze di cui al comma 1, vieta la concentrazione ovvero l'autorizza prescrivendo le misure necessarie ad impedire tali conseguenze.257 Art. 18 Conclusione dell'istruttoria sulle concentrazioni1. L'Autorità, se in esito all'istruttoria di cui all'articolo 16 accerta che una concentrazione rientra tra quelle contemplate dall'articolo 6, ne vieta l'esecuzione.2. L'Autorità, ove nel corso dell'istruttoria non emergano elementi tali da consentire un intervento nei confronti di un'operazione di concentrazione, provvede a chiudere l'istruttoria, e deve dare immediata comunicazione alle imprese interessate ed al Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato delle proprie conclusioni in merito. Tale provvedimento può essere adottato a richiesta delle imprese interessate che comprovino di avere eliminato dall'originario progetto di concentrazione gli elementi eventualmente distorsivi della concorrenza.3. L'Autorità, se l'operazione di concentrazione e già stata realizzata, può prescrivere le misure necessarie a ripristinare condizioni di concorrenza effettiva, eliminando gli effetti distorsivi.258 Art. 25 Poteri del Governo in materia di operazioni di concentrazione1. Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, determina in linea generale e preventiva i criteri sulla base dei quali l'Autorità può eccezionalmente autorizzare, per rilevanti interessi generali dell'economia nazionale nell'ambito dell'integrazione europea, operazioni di concentrazione vietate ai sensi dell'articolo 6, sempreché esse non comportino la eliminazione della concorrenza dal mercato o restrizioni alla concorrenza non strettamente giustificate dagli interessi generali predetti. In tali casi l'Autorità prescrive comunque le misure necessarie per il ristabilimento di condizioni di piena concorrenza entro un termine prefissato.2. Nel caso delle operazioni di cui all'articolo 16 alle quali partecipano enti o imprese di Stati che non tutelano l'indipendenza degli enti o delle imprese con norme di effetto equivalente a quello dei precedenti titoli o applicano disposizioni discriminatorie o impongono clausole aventi effetti analoghi nei confronti di acquisizioni da parte di imprese o enti italiani, il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, può, entro trenta giorni dalla comunicazione di cui all'articolo 16, comma 3, vietare l'operazione per ragioni essenziali di economia nazionale.

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Sanzioni

Perciò, ai terzi resta solo la possibilità di richiedere il risarcimento dei danni in via giudiziaria, art. 33259.

LE LIMITAZIONI DELLA CONCORRENZA

6. LIMITAZIONI PUBBLICISTICHE E MONOPOLI LEGALI

La Costituzione e il codice civile prevedono che la libertà di iniziativa economica e la libertà di concorrenza, possono essere limitate dal legislatore ordinario per fini di utilità sociale.Molte sono le forme di regolamentazione pubblicistica dell’iniziativa economica privata che si risolvono in limitazioni della libertà di concorrenza. Alcune sono:

a. i controlli sull’accesso al mercato di nuovi imprenditori, con concessioni o autorizzazioni amministrative;

b. gli ampi poteri di indirizzo e di controllo dell’attività riconosciuti alla pubblica amministrazione nei confronti delle imprese che operano in alcuni settori;

c. l’articolato sistema di controllo pubblico dei prezzi di vendita, che per alcuni beni può giungere fino alla fissazione del prezzo di imperio da parte del CIP, comitato interministeriale prezzi, es. farmaci, giornali.

L’interesse generale può legittimare anche la radicale soppressione della libertà di iniziativa economica privata e di concorrenza. L’art. 43 della Costituzione260 pone dei limiti al potere statale di creare monopoli pubblici. È necessario che la riserva di attività sia disposta con legge ordinaria e che abbia un fine di utilità generale. Inoltre, sono prefissati i settori in cui può essere legittimato un monopolio pubblico.

7. OBBLIGO DI CONTRARRE DEL MONOPOLISTA

Quando la produzione di determinati beni o servizi è attuata in regime di monopolio legale non trova applicazione nei confronti dell’impresa monopolistica la normativa antitrust, art. 2 legge 287/1990261, ma il 259

Art. 33 Competenza giurisdizionale1. I ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi adottati sulla base delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV della presente legge rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Essi devono essere proposti davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio.2. Le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV sono promossi davanti alla corte d'appello competente per territorio.260

Art. 43 Cost. A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.261 Art. 2 Intese restrittive della libertà di concorrenza1. Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari.2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel:a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali;b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico;c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;d) applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni quivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l'oggetto dei contratti stessi.3. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto.

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Limitazioni di diritto pubblico

Monopoli legali

legislatore tutela gli utenti contro possibili comportamenti arbitrari del monopolista.

L’art. 2597262 pone un duplice obbligo a carico di chi opera in regime di monopolio:

a. l’obbligo di contrattare con chiunque richiede le prestazioni che formano oggetto dell’impresa;

b. l’obbligo di rispettare la parità di trattamento fra i diversi richiedenti; quindi, il monopolista dovrà rendere note le proprie condizioni contrattuali, che saranno poi applicate a tutti coloro che faranno richiesta della prestazione. Potranno essere previste varie tariffe differenziate, purché siano predeterminati i relativi presupposti di applicazione e ne faccia godere chiunque si trovi nelle condizioni richieste. Ogni altra deroga è nulla.

Gli stessi obblighi sono previsti dall’art. 1679263 a carico di chi eserciti in regime di concessione amministrativa pubblici servizi di linea per il trasporto di cose o persone.

La disciplina del monopolista legale non si applica al monopolista di fatto, cioè all’ imprenditore che, pur non godendo di un regime di esclusiva, abbia una posizione dominante sul mercato ed in fatto controlli la produzione ed il commercio di un bene o di un servizio non facilmente sostituibili dai consumatori. Al monopolista di fatto è applicabile la normativa a tutela della concorrenza introdotta dalla legge 287/1990, e ciò consente di reprimere per altra via le pratiche discriminatorie e vessatorie poste in essere dallo stesso nei confronti di altri imprenditori, ma non dei consumatori.

8. I DIVIETI LEGALI DI CONCORRENZA

Oltre le limitazioni di natura pubblicistica, la libertà di concorrenza subisce un ulteriore limitazione, disposta dal legislatore, a tutela di interessi patrimoniali e privati. Nel codice civile ci sono delle norme che pongono a carico di soggetti legati da particolari rapporti contrattuali l’obbligo di astenersi dal far concorrenza alla controparte, al fine di assicurare il corretto svolgimento o la corretta esecuzione di un contratto. Tali divieti sono detti divieti legali di concorrenza.

262 Art. 2597 Obbligo di contrattare nel caso di monopolio

Chi esercita un'impresa in condizione di monopolio legale (1679) ha l'obbligo di contrattare (2932) con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell'impresa, osservando la parità di trattamento.263

Art. 1679 Pubblici servizi di linea Coloro che per concessione amministrativa (2597) esercitano servizi di linea per il trasporto di persone o di cose sono obbligati ad accettare le richieste di trasporto che siano compatibili con i mezzi ordinari dell'impresa, secondo le condizioni generali stabilite o autorizzate nell'atto di concessione e rese note al pubblico (2951). I trasporti devono eseguirsi secondo l'ordine delle richieste; in caso di più richieste simultanee, deve essere preferita quella di percorso maggiore. Se le condizioni generali ammettono speciali concessioni, il vettore è obbligato ad applicarle a parità di condizioni a chiunque ne faccia richiesta. Salve le speciali concessioni ammesse dalle condizioni generali, qualunque deroga alle medesime è nulla (1421 e seguenti), e alla clausola difforme è sostituita la norma delle condizioni generali (1339, 1419).

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Monopolista di fatto

Questi sono divieti che durano per tutto il tempo della collaborazione economica e la portata del divieto si modella in funzione dell’attività imprenditoriale effettivamente esercitata dall’avente diritto.Essendo previsti nell’interesse della controparte, tali divieti hanno carattere dispositivo, cioè operano senza una necessaria pattuizione, ma sono convenzionalmente derogabili. Sono divieti legali di concorrenza:

a. l’obbligo di fedeltà a carico dei prestatori di lavoro previsto dall’art. 2105264, che gli vieta di trattare affari in concorrenza con l’imprenditore fin quando dura il rapporto di lavoro;

b. il divieto di esercitare attività concorrente con quello della società, posto a carico degli amministratori di società di capitali e dei soci illimitatamente responsabili di società di persone;

c. il diritto di esclusiva reciproca nel contratto di agenzia, art. 1743, in base al quale né il preponente non può valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività, né l'agente può assumere l'incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza tra loro.

9. LIMITAZIONI CONVENZIONALI DELLA CONCORRENZA

Dall’art. 2596265 desumiamo che la libertà individuale di iniziativa economica di concorrenza è libertà parzialmente disponibile. Infatti, questo articolo permette la stipulazione di accordi restrittivi della concorrenza e detta una disciplina di carattere generale degli stessi fondata su tre regole:

1. il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto;2. il patto non può precludere al soggetto che si vincola lo

svolgimento di ogni attività professionale in quanto è previsto che il patto stesso è valido solo se circoscritto ad un determinato ambito territoriale o ad un determinato tipo di attività;

3. il patto può durare massimo 5 anni.Rispettate le condizioni fissate dall’art. 2596266, ogni accordo limitativo della concorrenza fra imprese italiane deve ritenersi valido quando non ricorrono i presupposti per l’applicazione delle norme antimonopolistiche comunitarie e purché non ricadono nel divieto di intese anticoncorrenziali o di abuso di posizione dominante introdotto dalla legge 287/1990.

264 Art. 2105 Obbligo di fedeltà

Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio. 265

Art. 2596 Limiti contrattuali della concorrenza Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto (2725). Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni (2125, 2557). Se la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio (att. 222). 266

Art. 2596 Limiti contrattuali della concorrenza Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto (2725). Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni (2125, 2557). Se la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio (att. 222).

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Disciplina generale

Oltre alla disciplina generale fissata dall’art. 2596 vi sono anche altre disposizioni che dettano una regolamentazione specifica per alcuni patti anticoncorrenziali innominati: i patti autonomi e i patti accessori.I patti autonomi sono gli accordi limitativi della concorrenza che si presentano sotto forma di autonomo contratto che ha come oggetto e funzione esclusivi la restrizione della libertà di concorrenza. Un tale contratto può prevedere obblighi nei confronti di una sola delle parti, restrizioni unilaterali, o nei confronti di entrambe le parti, restrizioni reciproche. Quest’ultime si chiamano cartelli o intese e possono prevedere impegni reciproci di vario tipo:

- la quantità totale di produzione e la quota spettante ad ogni impresa, cartelli di contingentamento;

- si ripartiscono le zone di distribuzione, cartelli di zona;- predeterminare i prezzi di vendita da praticare, cartelli di prezzo.

Il limite dei 5 anni è applicabile solo alle restrizioni reciproche della concorrenza che non prevedono la costituzione di una organizzazione comune per la realizzazione del loro oggetto, consorzi. I patti accessori sono gli accordi restrittivi della concorrenza che si presentano come clausola accessoria di un altro contratto con diverso oggetto. Anch’essi possono essere a carico di una sola delle parti o di entrambe. Inoltre, essi possono intercorrere sia fra imprenditori in diretta concorrenza, in quanto operano nello stesso livello del processo produttivo o commerciale, restrizioni orizzontali, oppure tra imprenditori che operano a livelli diversi fra i quali manca una concorrenza diretta, restrizioni verticali. (es. concessione di vendita in esclusiva, somministrazione di merci con prezzo imposto).Il codice disciplina esplicitamente:

- la clausola di esclusiva, che può essere inserita in un contratto di somministrazione;

- il patto di preferenza a favore del somministrante inserito nel contratto di somministrazione; non può superare i 5 anni;

- il patto di non concorrenza con il quale si limita l’attività del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del contratto. Tale patto è nullo se non risulta da atto scritto o se non è previsto un compenso per il lavoratore;

- il patto di concorrenza dell’agente dopo lo scioglimento del contratto di agenzia; tale patto deve farsi per iscritto, non può durare più di 2 anni e deve riguardare la stessa zona, clientela e genere di servizi o beni oggetto del contratto di agenzia.

Quindi, l’art. 2596 si applica solo ai patti accessori innominati.Il limite dei 5 anni si applica ai patti innominati solo se comportano limitazioni della concorrenza non funzionali al tipo di contratto cui accedono, e non quando il patto e il contratto abbiano la stessa funzione economica. Secondo l’opinione più diffusa, le limitazioni dell’art. 2596 si applicherebbero solo alle restrizioni orizzontali della concorrenza. Mentre le

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Patti autonomi

Patti accessori

Patti nominati

restrizioni verticali sarebbero regolati dall’art. 1379 che prevede che il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti, e non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde a un apprezzabile interesse di una delle parti. Ma tale tesi non è condivisibile.

LA CONCORRENZA SLEALE

10. LIBERTA’ DI CONCORRENZA E DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA SLEALE

La libertà di iniziativa economica implica la normale presenza sul mercato di più imprenditori che offrono beni o servizi identici o similari e, che sono in concorrenza fra loro per conquistare i consumatori e il successo economico. Il danno che un imprenditore subisce a causa della sottrazione della clientela da parte dei concorrenti non è danno ingiusto e risarcibile. Tuttavia, è interesse generale che la competizione fra imprenditori si svolga in modo corretto e leale. Nell’ordinamento vigente questa esigenza è soddisfatta dalla disciplina della concorrenza sleale, che recepisce la normativa della Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale del 1883.Nello svolgimento della competizione fra imprenditori concorrenti è vietato servirsi di mezzi e tecniche non conformi ai principi della correttezza professionale, art. 2598267. I fatti, gli atti e i comportamenti che violino tale regola sono atti di concorrenza sleale, cd illecito concorrenziale ( atti di confusione, atti di denigrazione, atti di vanteria). Tali atti sono sanzionati anche se compiuti senza dolo o colpa, art. 2600268

e, anche se non hanno arrecato danno ai concorrenti. Infatti, basta il cd danno potenziale, cioè basta che l’atto sia idoneo a danneggiare l’altrui azienda. Le sanzioni tipiche di questi atti sono l’inibitoria alla continuazione degli atti di concorrenza sleale e la rimozione degli effetti prodotti, art. 2599269, salvo il diritto al risarcimento dei danni in presenza di dolo o colpa e di un danno patrimoniale attuale.

267 Art. 2598 Atti di concorrenza sleale

Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi (2563 e seguenti) e dei diritti di brevetto (2584 e seguenti), compie atti di concorrenza sleale chiunque: 1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente; 2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinare il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente; 3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda.268

Art. 2600 Risarcimento del danno Se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con dolo o con colpa, l'autore è tenuto al risarcimento dei danni (2056). In tale ipotesi può essere ordinata la pubblicazione della sentenza. Accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume.269

Art. 2599 Sanzioni La sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti

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Sistema attuale

Principi

La disciplina della concorrenza sleale deriva dalla disciplina generale dell’illecito civile, art. 2043270, ma è una disciplina speciale che offre agli imprenditori una tutela più energica e privilegiata, al fine di evitare che pratiche scorrette alterino il corretto funzionamento del mercato.Quindi, la disciplina della concorrenza sleale non tutela solo l’interesse dell’imprenditore a non veder alterato il proprio guadagno, ma ad essere tutelato è il più generale interesse a che non vengano falsati gli elementi di valutazione e di giudizio del pubblico e non siano tratti in inganno i consumatori. Ma, il consumatore è tutelato in maniera mediata e riflessa, in quanto l’atto di concorrenza sleale deve essere idoneo a danneggiare gli imprenditori concorrenti.Infatti, contro gli atti di concorrenza sleale sono legittimati a reagire solo gli imprenditori concorrenti o loro associazioni di categoria, art. 2601271, e non i consumatori.

11. AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA SLEALE

L’applicazione della disciplina della concorrenza sleale postula due presupposti:

1. la qualità di imprenditore sia del soggetto che pone in essere l’atto di concorrenza vietato, sia del soggetto che ne subisce le conseguenze;

2. l’esigenza di un rapporto di concorrenza economica fra i due.Chi è leso nella propria attività di impresa da un soggetto che non è imprenditore o non è suo concorrente potrà reagire avvalendosi della disciplina dell’illecito civile, art. 2043272, se vi sono i presupposti.

I SOGGETTI. Soggetto passivo dell’atto di concorrenza sleale può essere solo un imprenditore, in quanto solo nei confronti di un imprenditore si verifica la condizione dell’idoneità dell’atto a danneggiare l’altrui azienda. L’imprenditore risponde a titolo di concorrenza sleale non solo per gli atti da lui direttamente compiuti, ma anche per quelli posti in essere da altri, nel suo interesse e su sua istigazione o incarico. Infatti, l’art. 2598, 3° comma273, prevede espressamente che l’atto di concorrenza sleale può essere compiuto anche indirettamente.

270 Art. 2043 Risarcimento per fatto illecito

Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno (Cod. Pen. 185). 271

Art. 2601 Azione delle associazioni professionali Quando gli atti di concorrenza sleale pregiudicano gli interessi di una categoria professionale, l'azione per la repressione della concorrenza sleale può essere promossa anche dalle associazioni professionali (ora Consigli degli Ordini) e dagli enti che rappresentano la categoria. 272

Art. 2043 Risarcimento per fatto illecito Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.273

Art. 2598 Atti di concorrenza sleale Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi (2563 e seguenti) e dei diritti di brevetto (2584 e seguenti), compie atti di concorrenza sleale chiunque: 1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente; 2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinare il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente; 3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda.

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Concorrenza sleale e illecito civile

Interessi tutelati

RAPPORTO CONCORRENZIALE. Fra soggetto passivo e soggetto attivo deve esistere un rapporto di concorrenza prossima o effettiva, cioè entrambi devono offrire nello stesso ambito di mercato beni o servizi che siano destinati a soddisfare lo stesso bisogno dei consumatori.Nel valutare l’esistenza del rapporto di concorrenza bisogna tener conto della prevedibile espansione territoriale e merceologica dell’attività dell’imprenditore che subisce l’atto di concorrenza sleale, detta concorrenza potenziale.

La disciplina della concorrenza sleale è stata estesa, dalla giurisprudenza, anche a imprenditori che agiscono a livelli economici diversi, purché il risultato ultimo di entrambe le attività incida sulla stessa categoria di consumatori, detta concorrenza verticale.

12. GLI ATTI DI CONCORRENZA SLEALE. LE FATTISPECIE TIPICHE

I comportamenti che costituiscono atti di concorrenza sleale sono definiti dall’art. 2598274 :

1. gli ATTI DI CONFUSIONE, cioè ogni atto idoneo a creare confusione con i prodotti o con l’attività di un concorrente; è lecito attirare a sé l’altrui clientela, ma non è lecito farlo avvalendosi di mezzi che traggono in inganno i consumatori sulla provenienza dei prodotti o sull’identità dell’imprenditore. Questi mezzi sfruttano il successo sul mercato dei concorrenti, generando equivoci e possibile sviamento della clientela. I mezzi per far ciò possono essere tanti, ma il legislatore ne individua due:

- l’uso di nomi o di segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o segni distintivi legittimamente usati da altri, cioè che si tratti di segni distintivi che abbiano capacità distintiva;

- l’imitazione servile dei prodotti di un concorrente, cioè l’imitazione della forma esteriore dei prodotti altrui, attuata in modo da indurre il pubblico a supporre che i due prodotti provengano dalla stessa impresa. L’imitazione deve riguardare elementi formali non necessari ma al tempo stesso caratterizzanti, cioè idonei a differenziare esteriormente quel dato prodotto dagli altri dello stesso genere.

- ogni altro mezzo idoneo a creare confusione con i prodotti o con l’attività di un concorrente.

274 Art. 2598 Atti di concorrenza sleale

Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi (2563 e seguenti) e dei diritti di brevetto (2584 e seguenti), compie atti di concorrenza sleale chiunque: 1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente; 2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinare il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente; 3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda

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Concorrenza verticale

2. gli ATTI DI DENIGRAZIONE, che consistono del diffondere notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinare il discredito; oppure l’APPROPRIAZIONE DI PREGI di prodotti del concorrente. I mezzi denigratori sono diversi, come:

- le denunzie al pubblico di pratiche concorrenziali illecite da parte di concorrenti specifici, quando la diffida sia priva di fondamento o il suo contenuto oltrepassi i limiti della necessaria tutela del proprio diritto; più in generale la divulgazione di notizie che possono screditare la reputazione commerciale del concorrente;

- la pubblicità iperbolica, cioè la pubblicità con cui si tende ad accreditare l’idea che il proprio prodotto sia il solo a possedere specifiche qualità o determinati pregi, che invece vengono implicitamente negati ai prodotti dei concorrenti. Lecito è invece il cd puffing, consistente nella generica ed innocua affermazione di superiorità dei propri prodotti;

- la pubblicità parassitaria, consistente nella mendace attribuzione a se stessi di qualità, pregi, riconoscimenti che in realtà appartengono al concorrente;

- la pubblicità per riferimento, che consiste nel far credere che i propri prodotti siano simili a quelli del concorrente, attraverso l’uso di espressioni come tipo, modello, sistema (es. pezzo di ricambio tipo Fiat), al fine di avvantaggiarsi indebitamente dell’altrui rinomanza commerciale;

- la pubblicità comparativa, che la pubblicità che confronta la propria attività e i propri prodotti con quelli di uno o più concorrenti, in modo da esprimere un giudizio negativo sui concorrenti. Oggi è consentita a determinate condizioni, ossia quando non sia ingannevole e non ingenera confusione sul mercato e non causa discredito o denigrazione del concorrente.

3. OGNI ALTRO MEZZO non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.

12. GLI ALTRI MEZZI DI CONCORRENZA SLEALE

L’art. 2598 chiude l’elenco degli atti di concorrenza sleale con “ ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.Con ciò il legislatore affida al giudice il compito di valutare se un comportamento concorrenziale, diverso da quelli elencati, sia o meno eticamente professionale.Fra gli atti contrari alla correttezza professionale vi è la pubblicità menzognera, cioè la falsa attribuzione ai propri prodotti di qualità o pregi non appartenenti ad alcun concorrente, quando il messaggio pubblicitario

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sia tale da trarre in inganno il pubblico con danno potenziale a tutti i concorrenti.Poi la giurisprudenza ha individuato altre forme di concorrenza sleale:- la concorrenza parassitaria, che consiste nella sistematica imitazione

delle altrui iniziative imprenditoriali ;- il boicottaggio economico, cioè il rifiuto ingiustificato ed arbitrario di

un’impresa in posizione dominante sul mercato (boicottaggio individuale) o di un gruppo di imprese associate (boicottaggio collettivo) di fornire prodotti a determinati rivenditori, in modo da escluderli dal mercato;

- il dumping, cioè la sistematica vendita sotto costo dei propri prodotti;- la sottrazione ad un concorrente di dipendenti o collaboratori

particolarmente qualificati, quando venga attuata con mezzi scorretti e col deliberato proposito di trarne vantaggio con danno all’altrui azienda;

- la violazione di segreti aziendali, cioè la rilevazione a terzi e l’acquisizione o l’utilizzazione da parte di terzi, in modo contrario alla correttezza professionale, delle informazioni aziendali segrete.

14. LE SANZIONI

La repressione degli atti di concorrenza sleale si fonda su due distinte sanzioni:1. l’inibitoria, cioè la cessazione delle turbative alla propria attività e di

ottenerla, se possibile, prima che l’atto gli abbia causato un danno patrimoniale. L’azione inibitoria e le relative sanzioni prescindono dal dolo o dalla colpa del soggetto attivo dell’atto di concorrenza sleale e dall’esistenza di un danno patrimoniale attuale del soggetto passivo; art. 2599275;

2. il risarcimento dei danni, art. 2600.Fra le misure risarcitorie il giudice può disporre anche la pubblicazione della sentenza in uno o più giornali a spese del soccombente.

L’azione per la repressione della concorrenza sleale può essere promossa dall’imprenditore o dagli imprenditori lesi, e dalle associazioni professionali degli imprenditori quando gli atti pregiudichino gli interessi di una categoria professionale, art. 2600276.Non sono legittimati invece i consumatori o loro associazioni.

15. LA PUBBLICITA’ INGANNEVOLE E COMPARATIVA

La disciplina della concorrenza sleale è oggi affiancata, al fine di tutelare anche i consumatori, da una specifica disciplina contro la pubblicità

275 Art. 2599 Sanzioni

La sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti276

Art. 2600 Risarcimento del danno Se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con dolo o con colpa, l'autore è tenuto al risarcimento dei danni (2056). In tale ipotesi può essere ordinata la pubblicazione della sentenza. Accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume.

128

ingannevole e la pubblicità comparativa illecita, prevista dal codice del consumo.A partire dagli anni sessanta i più importanti mezzi di pubblicità hanno dato vita ad un sistema di autodisciplina pubblicitaria, che li impegna a non diffondere messaggi pubblicitari che contrastino con le regole di comportamento fissate in un apposito codice privato, il codice di autodisciplina pubblicitaria. Sul rispetto di tale codice vigila un organismo di giustizia privato, il Giurì di autodisciplina, al quale può rivolgersi chiunque si ritenga pregiudicato da attività pubblicitarie contrarie al codice. Le decisioni del Giurì sono insindacabili, ma sono vincolanti solo per coloro che aderiscono all’autodisciplina.Con il d.lgs. 74/1992, oggi confluito nel codice del consumo, l’interesse del pubblico ad essere tutelato contro gli effetti distorsivi della pubblicità ingannevole è diventato un interesse tutelato dall’ordinamento statale. Quindi, alla autodisciplina si affianca anche la legislazione. La pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta, nonché chiaramente riconoscibile come tale. La legge vieta qualsiasi forma di pubblicità ingannevole o di pubblicità sublimale, cioè che stimoli l’inconscio.Chiunque può rivolgersi all’Autorità garante per inibire ogni atto di pubblicità ingannevole o comparativa illecita.

129

I CONSORZI FRA IMPRENDITORI

1. NOZIONE E TIPOLOGIA

Secondo l’art. 2602277 con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un'organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese. Questa definizione è stata introdotta dalla legge n. 377 del 10/05/1976, che ha modificato l’originaria disciplina sui consorzi.Questa nuova definizione legislativa comporta che il consorzio è oggi uno schema associativo tra imprenditori idoneo a ricomprendere due diversi fenomeni:

1. un consorzio può essere costituito al fine prevalente o esclusivo di disciplinare, limitandola, la reciproca concorrenza sul mercato fra imprenditori che svolgono la stessa attività o attività similari; questo tipo di consorzio è detto consorzio con funzione anticoncorrenziale. In questo caso il contratto di consorzio si presenta come un patto

limitativo della concorrenza previsto e regolato dall’art. 2596278.2. un consorzio può essere costituito anche per lo svolgimento di

determinate fasi delle rispettive imprese, cioè al fine di ridurre i costi di gestione delle singole imprese consorziate; questo tipo di consorzio è detto consorzio con funzione di coordinamento.

Entrambi questi tipi di consorzi sollecitano vari problemi legislativi quando si considera il profilo pubblicistico della loro incidenza sulla struttura concorrenziale del mercato:

- i consorzi anticoncorrenziali sollecitano controlli volti ad impedire che per loro tramite si instaurino situazioni di monopolio di fatto contrastanti con l’interesse generale. Esigenza soddisfatta dalla disciplina antimonopolistica nazionale e comunitaria.

- i consorzi interaziendali , invece, favorendo le piccole e medie imprese sono viste con favore dal legislatore, che ne agevola la

277 Art. 2602 Nozione e norme applicabili

Con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un'organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese (att. 223). Il contratto di cui al precedente comma è regolato dalle norme seguenti, salve le diverse disposizioni delle leggi speciali. 278

Art. 2596 Limiti contrattuali della concorrenza Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto (2725). Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni (2125, 2557). Se la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio (att. 222).

130

CAP. 9

Tipi di consorzio

Nozione

Consorzi e concorrenza

costituzione e il funzionamento con una serie di favori redditizie e tributarie.

Sul piano della disciplina di diritto privato i consorzi anticoncorrenziali e i consorzi interaziendali sono regolati in modo uniforme.Sul piano civilistico, invece, bisogna distinguere fra:

- consorzi con sola attività interna; in questo caso, il consorzio non entra in contatto e non opera con i terzi e quindi il suo compito si esaurisce nel regolare i rapporti reciproci fra i consorziati e nel controllare il rispetto di quanto convenuto;

- consorzi destinati a svolgere anche attività esterna; in questo caso le parti prevedono l’istituzione di un ufficio comune, art. 2612279, destinato a svolgere attività con i terzi nell’interesse delle imprese consorziate.

Tenendo presente questa differenza, il codice prevede innanzitutto una disciplina comune, volta a regolare la costituzione del consorzio ed i rapporti fra i consorziati.Poi, detta disposizioni relative ai soli consorzi con attività esterna, che regolano i rapporti fra i consorzi e i terzi.

2. IL CONTRATTO DI CONSORZIO

Il contratto di consorzio può essere stipulato solo fra imprenditori. Non sono richiesti ulteriori requisiti soggettivi e perciò al consorzio potrà partecipare qualsiasi imprenditore, anche se svolgono attività differenti fra loro.L’art. 2603 stabilisce la forma e il contenuto del contratto: - forma : il contratto deve essere fatto per iscritto sotto pena di nullità - contenuto : esso deve indicare:

1. l'oggetto e la durata del consorzio (può essere fissata dalle parti, in caso di silenzio il contratto dura 10 anni);

2. la sede dell'ufficio eventualmente costituito; 3. gli obblighi assunti e i contributi dovuti dai consorziati; 4. le attribuzioni e i poteri degli organi consortili anche in ordine alla

rappresentanza in giudizio; 5. le condizioni di ammissione di nuovi consorziati (se il contratto

nulla prevede è da ritenersi che il consorzio sia a struttura chiusa); 6. i casi di recesso (per volontà del consorziato uscente) e di

esclusione (per volontà degli altri consorziati); al consorziato uscente competerà la liquidazione della sua quota di partecipazione al fondo patrimoniale del consorzio;

7. le sanzioni per l'inadempimento degli obblighi dei consorziati. 279

Art. 2612 Iscrizione nel registro delle imprese Se il contratto prevede l'istituzione di un ufficio destinato a svolgere un'attività con i terzi, un estratto del contratto deve, a cura degli amministratori, entro trenta giorni dalla stipulazione, essere depositato per l'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese (att. 108) del luogo dove l'ufficio ha sede: L'estratto deve indicare: 1) la denominazione e l'oggetto del consorzio e la sede dell'ufficio; 2) il cognome e il nome dei consorziati; 3) la durata del consorzio; 4) le persone a cui vengono attribuite la presidenza, la direzione e la rappresentanza del consorzio ed i rispettivi poteri; 5) il modo di formazione del fondo consortile e le norme relative alla liquidazione. Del pari devono essere iscritte nel registro delle imprese le modificazioni del contratto concernenti gli elementi sopra indicati.

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Consorzi con attività interna ed esterna

Forma e contenuto

Se il consorzio ha per oggetto il contingentamento della produzione o degli scambi, il contratto deve inoltre stabilire le quote dei singoli consorziati o i criteri per la determinazione di esse.

L’art. 2611 elenca i casi in cui è previsto lo scioglimento dell’intero contratto di consorzio:1) per il decorso del tempo stabilito per la sua durata; 2) per il conseguimento dell'oggetto o per l'impossibilità di conseguirlo; 3) per volontà unanime dei consorziati; 4) per deliberazione dei consorziati, presa a norma dell'art. 2606, se sussiste una giusta causa; 5) per provvedimento dell'autorità governativa, nei casi ammessi dalla legge; 6) per le altre cause previste nel contratto.

3. I CONSORZI CON ATTIVITA’ INTERNA. L’ORGANIZZAZIONE CONSORTILE

Carattere strutturale essenziale dei consorzi è la creazione di un’organizzazione comune, cui è demandato il compito di attuare il contratto assumendo e portando in esecuzione le decisioni a tal fine necessarie. Questa organizzazione può avere rilievo solo interno o anche nei confronti dei terzi, ma in ogni caso non può mancare.Nei consorzi, quindi, è necessario determinare quali siano gli organi preposti all’ attuazione del contratto, nonché le rispettive funzioni e le modalità di funzionamento.La disciplina legislativa è molto lacunosa avendo lasciato ampia libertà all’ autonomia contrattuale dei consorziati, tuttavia la struttura organizzativa di ogni consorzio si fonda, di regola, sulla presenza:

- di un’assemblea, quale organo con funzioni deliberative composto da tutti i consorziati,

- di un organo direttivo, con funzioni gestorie ed esecutive.Riguardo all’assemblea, l’art. 2606280 prevede che le delibere relative all’attuazione dell’oggetto del consorzio sono prese col voto favorevole della maggioranza dei consorziati. Le delibere prese a maggioranza possono essere impugnate, dai consorziati, entro 30 giorni davanti all’autorità giudiziaria, se non prese in conformità della legge o del contratto.Mentre, l’art. 2607281 richiede il consenso di tutti i consorziati per la modificazione del contratto.

280 Art. 2606 Deliberazioni consortili

Se il contratto non dispone diversamente, le deliberazioni relative all'attuazione dell'oggetto del consorzio sono prese col voto favorevole della maggioranza dei consorziati. Le deliberazioni che non sono prese in conformità alle disposizioni di questo articolo o a quelle del contratto possono essere impugnate davanti all'autorità giudiziaria entro trenta giorni (2964 e seguenti). Per i consorziati assenti il termine decorre dalla comunicazione o, se si tratta di deliberazione soggetta ad iscrizione, dalla data di questa. 281

Art. 2607 Modificazioni del contratto Il contratto, se non è diversamente convenuto, non può essere modificato senza il consenso di tutti i consorziati. Le modificazioni devono essere fatte per iscritto sotto pena di nullità (1350, 1418 e seguenti 2725).

132

Scioglimento del consorzio

Assemblea

Entrambe le regole hanno carattere dispositivo, in quanto le parti possono disporre diversamente nel contratto.In base all’art. 2605, i consorziati devono consentire i controlli e le ispezioni da parte degli organi previsti dal contratto, al fine di accertare l'esatto adempimento delle obbligazioni assunte. L’articolazione dell’organo direttivo, attribuzioni ulteriori a quella di controllo, modalità di nomina, di revoca e di esercizio delle funzioni sono rimesse all’autonomia contrattuale.L’art. 2608 dispone che la responsabilità verso i consorziati di coloro che sono preposti al consorzio è regolata dalle norme sul mandato (1710 e seguente).

4. I CONSORZI CON ATTIVITA’ ESTERNA

Una disciplina specifica è invece prevista per i consorzi destinati a svolgere attività con i terzi, attraverso un ufficio a tal fine istituito. Questo al fine di regolare i rapporti patrimoniali fra il consorzio e i terzi, visto anche che i consorzi costituiscono una delle possibili forme di attività imprenditoriale.

Innanzitutto per i consorzi con attività esterna è previsto un regime di pubblicità legale, destinato a portare a conoscenza dei terzi i dati essenziali del consorzio.Infatti, l’art. 2612, 1° comma282, prevede che un estratto del contratto di consorzio deve essere depositato per l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese, entro 30 giorni dalla stipulazione a cura degli amministratori. A tale forma di pubblicità sono soggette tutte le modificazioni del contratto.Altresì, l’art. 2615-bis283, prevede che le persone che hanno la direzione del consorzio sono tenute a redigere annualmente la situazione patrimoniale del consorzio, seguendo le regole per la redazione del bilancio delle spa, e a depositarla presso l’ufficio del registro delle imprese.

L’art. 2612, n. 4, stabilisce che il contratto di consorzio debba indicare le persone a cui vengono attribuite la presidenza, la direzione e la rappresentanza del consorzio ed i rispettivi poteri; dati che poi devono essere iscritti presso l’ufficio del registro delle imprese.L’art. 2613 prevede che i consorzi possono essere convenuti in giudizio in persona di coloro ai quali il contratto attribuisce la presidenza o la direzione, anche se la rappresentanza è attribuita ad altre persone. Ciò

282 Art. 2612 Iscrizione nel registro delle imprese

Se il contratto prevede l'istituzione di un ufficio destinato a svolgere un'attività con i terzi, un estratto del contratto deve, a cura degli amministratori, entro trenta giorni dalla stipulazione, essere depositato per l'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese (att. 108) del luogo dove l'ufficio ha sede:L'estratto deve indicare: 1) la denominazione e l'oggetto del consorzio e la sede dell'ufficio; 2) il cognome e il nome dei consorziati; 3) la durata del consorzio; 4) le persone a cui vengono attribuite la presidenza, la direzione e la rappresentanza del consorzio ed i rispettivi poteri; 5) il modo di formazione del fondo consortile e le norme relative alla liquidazione. Del pari devono essere iscritte nel registro delle imprese le modificazioni del contratto concernenti gli elementi sopra indicati. 283

Art. 2615 bis Situazione patrimoniale Entro due mesi dalla chiusura dell'esercizio annuale le persone che hanno la direzione del consorzio redigono la situazione patrimoniale osservando le norme relative al bilancio di esercizio delle società per azioni (2423 e seguenti) e la depositano presso l'ufficio del registro delle imprese.

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Organo direttivo

Pubblicità legale

Rappresentanza

Rappresentanza processuale passiva

significa che, in deroga agli effetti propri della pubblicità legale, la mancanza di rappresentanza processuale passiva del presidente o del direttore è inopponibile ai terzi, anche se iscritta nel registro delle imprese.

Nei consorzi con attività esterna è espressamente prevista la formazione di un fondo patrimoniale, detto fondo consortile, costituito dai contributi iniziali e successivi dei consorziati e dai beni acquistati con tali contributi, art. 2614284. Tale fondo consortile è un patrimonio autonomo rispetto al patrimonio dei singoli consorziati. Esso è destinato solo a garantire il soddisfacimento dei creditori del consorzio. Infatti, fin quando il consorzio dura, i consorziati non possono chiedere la divisione del fondo e i creditori particolari dei consorziati non possono far valere i loro diritti sul fondo medesimo, art. 2614.

L’art. 2615285 stabilisce quali siano le obbligazioni gravanti sul fondo consortile, distinguendoli fra:

- obbligazioni assunte in nome del consorzio dai suoi rappresentanti, per queste i terzi posso far valere i loro diritti solo sul fondo consortile;

- obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati, per tali obbligazioni rispondono solidalmente sia il consorziato o i consorziati interessati, sia il fondo consortile. In caso di insolvenza del consorziato interessato, il debito dell’insolvente si ripartisce fra tutti gli altri consorziati in proporzione delle loro quote. Cioè, per tali obbligazioni, la responsabilità del fondo consortile ha funzione di garanzia. Se il consorzio è costretto a pagare, avrà azione di rivalsa per l’intero nei confronti del consorziato interessato e, qualora sia insolvente avrà azione di rivalsa pro quota nei confronti degli altri consorziati.

5. LE SOCIETA’ CONSORTILI

I consorzi si differenziano dalle società. Tale differenza è più tangibile nel caso di consorzi con solo attività interna. Mentre, nel caso di consorzi con attività esterna, la differenza fra consorzi e società può notarsi maggiormente nello scopo perseguito. Lo scopo consortile, che si ricava dall’art. 2602286, non è lo scopo di lucro come per le società, ma è quello di usufruire dei beni o servizi prodotti e messi a loro disposizione dall’impresa consortile in modo da conseguire un

284 Art. 2614 Fondo consortile

I contributi dei consorziati e i beni acquistati con questi contributi costituiscono il fondo consortile. Per la durata del consorzio i consorziati non possono chiedere la divisione del fondo, e i creditori particolari dei consorziati non possono far valere i loro diritti sul fondo medesimo.285

Art. 2615 Responsabilità verso i terzi Per le obbligazioni assunte in nome del consorzio dalle persone che ne hanno la rappresentanza, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo consortile. Per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati rispondono questi ultimi solidalmente (1292 e seguenti) col fondo consortile. In caso d'insolvenza nei rapporti tra i consorziati il debito dell'insolvente si ripartisce tra tutti in proporzione delle quote. 286

Art. 2602 Nozione e norme applicabili Con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un'organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese (att. 223). Il contratto di cui al precedente comma è regolato dalle norme seguenti, salve le diverse disposizioni delle leggi speciali.

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Fondo consortile

Obbligazioni consortili

vantaggio patrimoniale diretto nelle rispettive economie, sotto forma di minori costi sopportati o di maggiori ricavi conseguiti nella gestione delle proprie imprese. Lo scopo consortile è più vicino allo scopo tipicamente perseguito dalle società cooperative, cioè lo scopo mutualistico. Perciò si parla si scopo mutualistico dei consorzi e di mutualità consortile. La prassi di utilizzare forme societarie per il perseguimento di uno scopo consortile ha trovato riconoscimento legislativo con la riforma del 1976 nell’art. 2615-ter che, dispone che tutte le società lucrative, ad eccezione della società semplice, possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati dall’art. 2602, cioè gli scopi di un consorzio. Tale società sono dette società consortili. Perciò, si può costituire una spa che abbia una finalità consortile, senza voler conseguire utili da dividere fra i soci. Ma nasce il problema di quale disciplina applicale, se quella delle società o quella dei consorzi o ad una disciplina mista.I sostenitori della disciplina mista, prevedono che per i profili formali (articolazione, competenze, funzionamento degli organi) si applicano le norme societarie, mentre per i profili sostanziali (rapporti fra soci, e fra soci e terzi) si applicano le norme consortili.Ma esigenze di certezza del diritto inducono a preferire l’impostazione che vede nelle società consortili vere e proprie società, in via di principio integralmente assoggettate alla disciplina delle società.Gli imprenditori che danno vita ad una società consortile potranno inserire nell’atto costitutivo specifiche pattuizioni volte ad adattare la struttura societaria alla specifica finalità consortile perseguita, purché tali clausole non siano incompatibili con norme inderogabili dei tipo societario prescelto.In mancanza di specifiche disposizioni di legge o dell’atto costitutivo, troverà integrale applicazione la disciplina legale del tipo societario prescelto.

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Società consortile

IL GRUPPO EUROPEO DI INTERESSE ECONOMICO

1. CARATTERI GENERALI

Il Gruppo europeo di interesse economico, Geie, è un nuovo istituto giuridico predisposto dall’Unione Europea per favorire la cooperazione fra imprese appartenenti a diversi stati membri, rimuovendo gli ostacoli derivanti dalle diverse legislazioni nazionali.

La disciplina del Geie è fissata dal regolamento comunitario n. 2137 del 25/07/1985, direttamente applicabile in tutti gli stati membri.Ciascun legislatore ha poi provveduto ad emanare specifiche norme integrative per disciplinare i punti che il regolamento rinvia agli ordinamenti nazionali o per i quali consente la scelta fra diverse alternative. L’Italia ha provveduto con il d.lgs. n. 240 del 23/07/1991. I gruppi con sede legale in Italia sono perciò disciplinati dalle norme del regolamento comunitario e dalle norme integrative della legge italiana.Struttura e funzione del Geie coincidono in larga parte con quelle dei consorzi con attività esterna.

Parti del contratto costitutivo del gruppo possono essere solo persone fisiche o giuridiche che svolgono un’attività economica, art. 4 reg.287 , ma,

287 Articolo 4 1. Possono essere membri di un gruppo soltanto: a) le società, ai sensi dell'articolo 58, secondo comma del trattato, nonché gli altri enti giuridici di diritto pubblico o privato, costituiti conformemente alla legislazione di uno stato membro ed hanno la sede sociale o legale e l'amministrazione centrale nella Comunità; qualora, secondo la legislazione di uno stato membro, una società o altro ente giuridico non sia tenuto ad avere una sede sociale o legale, è sufficiente che la società o altro ente giuridico abbia l'amministrazione centrale nella Comunità; b) le persone fisiche che esercitano un'attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, una libera professione o prestano altri servizi nella Comunità. 2. Un gruppo deve essere composto almeno: a) da due società o altri enti giuridici, ai sensi del paragrafo 1, aventi l'amministrazione centrale in stati membri diversi; b) da due persone fisiche, ai sensi del paragrafo 1, che esercitano un'attività a titolo principale in stati membri diversi;

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CAP. 10

Nozione

Fonti normative

Struttura

al contrario dei consorzi, non è necessario che siano imprenditori. Ma è necessario che almeno due membri abbiano l’amministrazione e/o esercitano la loro attività economica in stati diversi della comunità. Cioè non può essere utilizzato da imprese dello stesso stato.Al pari del consorzio, il Geie ha la capacità, a proprio nome, di essere titolare di diritti e di obbligazioni di qualsiasi natura, ed ha capacità processuale, art. 1 reg.288

Finalità del gruppo è quella di agevolare e di sviluppare l’attività economica dei suoi membri, e non di realizzare profitti per se stesso, art. 3 reg.289

2. LA DISCIPLINA

Il contratto costitutivo del Geie deve essere redatto per iscritto, pena la nullità, art. 2 d.lgs. 240/1991.Nel contratto devono essere indicati, almeno:

1. la denominazione del gruppo, preceduta o seguita dall’espressione “gruppo europeo di interesse economico” o dalla sigla “Geie”;

2. la sede, che deve essere situata nell’Unione Europea;3. l’oggetto;4. il nome dei membri;5. la durata, che può essere anche a tempo indeterminato, art. 5 reg.290

Il contratto è soggetto a pubblicità legale, mediante iscrizione nel registro delle imprese (pubblicità costitutiva) e successiva pubblicazione

c) ai sensi del paragrafo 1, da una società o altro ente giuridico e da una persona fisica, di cui il primo abbia l'amministrazione centrale in uno stato membro e la seconda eserciti la sua attività a titolo principale in uno stato membro diverso. 3. Un stato membro può prevedere che i gruppi iscritti nei suoi registri ai sensi dell'articolo 6 non possano avere più di 20 membri. A tal fine detto stato membro può prevedere che, conformemente alla sua legislazione, ogni membro di un ente giuridico costituito conformemente alla sua legislazione, diverso da una società iscritta, sia considerato come membro individuale del gruppo. 4. Ogni stato membro è autorizzato ad ecludere o a limitare, per ragioni di pubblico interesse, la partecipazione di talune categorie di persone fisiche, di società o di altri enti giuridici a qualsiasi gruppo. 288 Articolo 1 1. Il presente regolamento stabilisce le condizioni, le modalità e gli effetti secondo cui sono costituiti i gruppi europei di interesse economico. A tal fine, coloro che intendono costituire un gruppo devono stipulare un contratto e procedere alla iscrizione prevista all'articolo 6. 2. Il gruppo in tal modo costituito ha la capacità, a proprio nome, di essere titolare di diritti e di obbligazioni di qualsiasi natura, di stipulare contratti o di compiere altri atti giuridici e di stare in giudizio a decorrere dalla iscrizione prevista all'articolo 6. 3. Gli stati membri stabiliscono se i gruppi iscritti nei loro registri in virtù dell'articolo 6 hanno o no personalità giuridica. 289 Articolo 3 1. Il fine del gruppo è di agevolare o di sviluppare l'attività economica dei suoi membri, di migliorare o di aumentare i risultati di questa attività; il gruppo non ha lo scopo di realizzare profitti per se stesso. La sua attività deve collegarsi all'attività economica dei suoi membri e può avere soltanto un carattere ausiliario rispetto a quest'ultima. 2. Pertanto il gruppo non può: a) esercitare, direttamente o indirettamente, il potere di direzione o di controllo delle attività proprie dei suoi membri o delle attività di un'altra impresa, segnatamente nei settori relativi al personale, alle finanze e agli investimenti; b) detenere direttamente o indirettamente, a qualsiasi titolo, alcuna quota o azione sotto qualsiasi forma, in un'impresa membro; il possesso di quote o di azioni in un'altra impresa è possibile solo qualora sia necessario per realizzare lo scopo del gruppo e avvenga per conto dei suoi membri; c) contare più di cinquecento lavoratori salariati; d) essere utilizzato da una società per concedere un prestito a un dirigente di una società o a qualsiasi persona a lui legata quando siffatti prestiti siano soggetti a restrizioni o a controllo in virtù delle leggi degli stati membri applicabili alle società; un gruppo non può neppure essere utilizzato per il trasferimento di un bene tra la società e un dirigente, o qualsiasi persona a lui legata, salvo nei limiti consentiti dalle leggi degli stati membri applicabili alle società. Ai fini della presente disposizione, il prestito comprende qualsiasi operazione avente effetto analogo e il bene può essere mobile o immobile; e) essere membro di un altro gruppo europeo di interesse economico. 290 Articolo 5 Nel contratto di gruppo devono figurare almeno: a) la denominazione del gruppo preceduta o seguita dall'espressione « gruppo europeo di interesse economico » o dalla sigla « GEIE », a meno che tale espressione o sigla figuri già nella denominazione; b) le sede del gruppo; c) l'oggetto del gruppo; d) i nomi, la ragione o la denominazione sociale, la forma giuridica, il domicilio o la sede sociale e, eventualmente, il numero ed il luogo di iscrizione di ciascun membro del gruppo; e) la durata del gruppo, se quest'ultimo non è costituito a tempo indeterminato.

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Funzione

Costituzione

nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica (pubblicità dichiarativa), art. 3 e 4 d.lgs. 240/1991. Solo con l’iscrizione nel registro delle imprese il Geie acquista la capacità di essere titolare di diritti ed obbligazioni, art. 1 reg. Per gli atti compiuti prima dell’ iscrizione sono responsabili solidalmente ed illimitatamente coloro che li hanno compiuti, qualora il gruppo non assuma gli obblighi derivanti da tali atti, art. 9 reg.291

Le cause di nullità del contratto costitutivo del Geie sono quelle previste dai singoli ordinamenti nazionali. La nostra legge non dispone nulla, perciò si applicano le norme di diritto comune fissate dalla disciplina generale dei contratti associativi, art. 15 reg.292

Invece, gli effetti della nullità sono fissati dal regolamento comunitario, che coincidono con quelli previsti per le società di capitali, art. 2332293 c.c. e perciò si discosta dalla disciplina del diritto comune.Infatti, la dichiarazione di nullità del gruppo:

- non ha effetto retroattivo;- non pregiudica la validità degli atti precedentemente compiuti;- opera solo come causa di scioglimento ex lege del gruppo;- la sentenza che dichiara la nullità provvede alla nomina dei liquidatori

determinandone i poteri, art. 8 d.lgs. 240/1991.La nullità del Geie è sanabile ed il tribunale, se ritiene possibile la regolarizzazione della situazione del gruppo, deve concedere un termine che consenta di provvedervi, art. 15 reg.

291 Articolo 9 1. Gli atti e le indicazioni soggetti all'obbligo di pubblicazione a norma del presente regolamento sono opponibili dal gruppo ai terzi alle condizioni previste dalla legge nazionale applicabile in conformità dell'articolo 3, paragrafi 5 e 7, della direttiva 68/151/CEE del Consiglio, del 9 marzo 1968, intesa a coordinare, per rederle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli stati membri, alle società a mente dell'articolo 58, secondo comma, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi (1). 2. Qualora siano stati compiuti degli atti in nome di un gruppo prima della sua iscrizione conformemente all'articolo 6 e il gruppo non assuma dopo l'iscrizione gli obblighi che derivano da tali atti, le persone fisiche, le società o gli altri enti giuridici che li hanno compiuti ne sono responsabili solidalmente e illimitatamente. 292 Articolo 15 1. Se la legge applicabile al gruppo in forza dell'articolo 2 prevede la nullità del gruppo, la nullità deve essere accertata o pronunciata con decisione giudiziaria. Tuttavia, il tribunale adito, quando una regolarizzazione della situazione del gruppo è possibile, deve accordare un termine che consenta di procedervi. 2. La nullità del gruppo comporta la sua liquidazione alle condizioni previste dall'articolo 35. 3. La decisione che accerta o pronuncia la nullità del gruppo è opponibile ai terzi alle condizioni di cui all'articolo 9, paragrafo 1. Tale decisione non pregiudica per sé stessa la validità degli obblighi sorti a carico o a favore del gruppo anteriormente alla data alla quale essa diventa opponibile ai terzi alle condizioni previste al comma precedente293 Art. 2332 Nullità della società Avvenuta l'iscrizione nel registro delle imprese, la nullità della società può essere pronunciata soltanto nei seguenti casi: 1) mancanza dell'atto costitutivo; 2) mancata stipulazione dell'atto costitutivo nella forma di atto pubblico; 3) inosservanza delle disposizioni di cui all'art. 2330 relative al controllo preventivo 4) illiceità o contrarietà all'ordine pubblico dell'oggetto sociale; 5) mancanza nell'atto costitutivo o nello statuto di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, o i conferimenti, o l'ammontare del capitale sottoscritto o l'oggetto sociale; 6) inosservanza della disposizione di cui all'art. 2329, n. 2; 7) incapacità di tutti i soci fondatori; 8) mancanza della pluralità dei fondatori. La dichiarazione di nullità non pregiudica l'efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo l'iscrizione nel registro delle imprese. I soci non sono liberati dall'obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali. La sentenza che dichiara la nullità nomina i liquidatori. La nullità non può essere dichiarata quando la causa di essa è stata eliminata per effetto di una modificazione dell'atto costitutivo iscritta nel registro delle imprese (2475).

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Nullità del Geie

Organizzazione

L’organizzazione interna e le regole di funzionamento del Geie sono in larga parte rimesse all’autonomia privata. Ma, sono espressamente previsti due organi:

- un organo collegiale composto da tutti i membri,- un organo amministrativo.

I membri del gruppo possono adottare collegialmente qualsiasi decisione per la realizzazione dell’oggetto del gruppo. Le decisioni più importanti, specificate dall’art. 17 reg.294 , devono essere prese all’unanimità. Ciascun membro dispone di un solo voto, ma il contratto può prevedere più voti per alcuni membri, a condizione che nessuno disponga da solo della maggioranza dei voti, art. 17 reg.Nulla è disposto in merito all’invalidità delle delibere assembleari, perciò si applica la disciplina dettata per i consorzi.

La gestione del Geie è affidata ad uno o più amministratori, nominati dal contratto costitutivo del gruppo verso i terzi o con decisione dei membri. Può essere nominato amministratore anche una persona giuridica, la quale svolge le sue funzioni tramite un rappresentante, persona fisica, art. 5 d.lgs. 240/1991.

I poteri degli amministratori sono fissati dal contratto. Solo ad essi spetta la rappresentanza del gruppo verso i terzi, art. 20 reg.295 Se sono più di uno, la rappresentanza spetta a ognuno di loro disgiuntamente, salvo che il contratto preveda l’amministrazione congiunta.

Il Geie deve tenere le scritture contabili previste per gli imprenditori commerciali, indipendentemente dalla natura commerciale o meno dell’attività svolta. Gli amministratori redigono il bilanci, lo sottopongono all’approvazione dei membri e provvedono a depositarlo nel registro delle

294 Articolo 17 1. Ciascun membro dispone di un voto. Tuttavia il contratto di gruppo può attribuire più voti a taluni membri, a condizione che nessuno di essi disponga della maggioranza dei voti. 2. I membri decidono all'unanimità di: a) modificare l'oggetto del gruppo, b) modificare il numero di voti attribuito a ciscuno di essi, c) modificare le condizioni di adozione delle decisioni, d) prorogare la durata del gruppo oltre il termine fissato nel contratto di gruppo, e) modificare la quota del contributo di ciascuno dei membri o di alcuni di essi al finanziamento del gruppo, f) modificare qualsiasi altro obbligo di un membro, salvo che il contratto di gruppo non disponga altrimenti, g) procedere a qualsiasi modifica del contratto di gruppo non considerata dal presente paragrafo, salvo che tale contratto non disponga altrimenti. 3. In tutti i casi in cui il presente regolamento non prevede che le decisioni debbano essere prese all'unanimità, il contratto di gruppo può determinare a quali condizioni di numero legale e di maggioranza saranno prese le decisioni o alcune di esse. In mancanza di disposizioni contrattuale, le decisioni sono prese all'unanimità. 4. Su iniziativa di un amministratore o su richiesta di un membro l'amministratore o gli amministratori devono organizzare una consultazione dei membri affinché questi ultimi prendano una decisione. 295 Articolo 20 1. Soltanto l'amministratore o, se sono vari, ciascuno degli amministratori rappresenta il gruppo verso i terzi. Ciascuno degli amministratori, quando agisce a nome del gruppo, impegna il gruppo nei contronti dei terzi, anche se i suoi atti non rientrano nell'oggetto del gruppo, a meno che il gruppo stesso non provi che il terzo sapeva o non poteva ignorare, tenuto conto delle circostanze, che l'atto superava i limiti dell'oggetto del gruppo; la sola pubblicazione della menzione di cui all'articolo 5 lettera c) non è sufficiente a costituire tale prova. Qualsiasi limitazione apportata dal contratto di gruppo o da una decisione dei membri ai poteri dell'amministratore o degli amministratori è inopponibile ai terzi anche se è stata pubblicata. 2. Il contratto di gruppo può prevedere che questo sia validamente impegnato solo da due o più amministratori operanti congiuntamente. Questa clausola è opponibile ai terzi alle condizioni di cui all'articolo 9, paragrafo 1, soltanto se sia stata pubblicata conformemente all'articolo 8.

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Assemblea

Amministratori

Rappresentanza

Scritture contabili

imprese entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, art. 7 d.lgs. 240/1991.

In applicazione del principio che il Geie non ha lo scopo di realizzare profitti per se stesso, art. 3 reg. , i profitti risultanti dall’attività del gruppo sono considerati direttamente profitti dei membri e ripartiti fra gli stessi secondo la proporzione prevista nel contratto o, nel silenzio, in parti uguali. Con lo stesso criterio i membri contribuiscono a coprire le perdite, art. 21 reg.296

Delle obbligazioni assunte dal Geie rispondono solidalmente ed illimitatamente tutti i membri del gruppo, anche con il proprio patrimonio.Tuttavia, la responsabilità di membri è sussidiaria rispetto a quella del Geie, infatti, i creditori possono agire nei confronti dei membri soltanto dopo aver chiesto al gruppo di pagare e qualora il pagamento non sia stato effettuato entro un congruo termine.Ogni nuovo membro risponde anche delle obbligazioni precedenti al suo ingresso, salvo patto contrario opponibile ai terzi solo se pubblicato, art. 26 reg.297

I membri uscenti continuano a rispondere delle obbligazioni anteriori alla loro uscita, art. 33 reg.298 , e la responsabilità permane anche dopo lo scioglimento del Geie, per un periodo massimo di 5 anno, art. 37 reg.299

L’ammissione di nuovi membri deve essere decisa all’unanimità, art. 26 reg. , e l’unanimità è necessaria anche per l’efficacia della cessazione della quota di partecipazione, sia ad un terzo sia ad altro membro, art. 22 reg.300

296 Articolo 21 1. Il profitti risultanti dalle attività del gruppo sono considerati come profitti dei membri e ripartiti tra questi ultimi secondo la proporzione prevista nel contratto di gruppo o, nel silenzio del contratto, in parti uguali. 2. I membri del gruppo contribuiscono al saldo dell'eccedenza delle uscite rispetto alle entrate nella proporzione prevista nel contratto di gruppo o, in mancanza di questo, in parti uguali. 297 Articolo 26 1. La decisione di ammettere nuovi membri è presa dai membri del gruppo all'unanimità. 2. Ogni nuovo membro risponde dei debiti del gruppo, compresi quelli risultanti dall'attività del gruppo anteriore alla sua ammissione, alle condizioni stabilite dall'articolo 24. Egli può tuttavia essere esonerato, mediante una clausola del contratto di gruppo o dell'atto di ammissione, dal pagamento dei debiti sorti anteriormente alla sua ammissione. Questa clausola è opponibile ai terzi, alle condizioni di cui all'articolo 9, paragrafo 1 soltanto se sia stata pubblicata conformemente all'articolo 8. 298 Articolo 33 Se un membro cessa di far parte del gruppo per una causa diversa dalla cessione dei suoi diritti alle condizioni previste all'articolo 22, paragrafo 1, il valore dei diritti che gli spettano o delle obbligazioni che gli incombono è determinato tenendo conto del patrimonio del gruppo quale si presenta al momento in cui tale membro cessa di farne parte. Il valore dei diritti e delle obbligazioni del membro uscente non può essere fissato forfettariamente in anticipo. 299 Articolo 37 1. Ogni termine più lungo eventualmente previsto dal diritto nazionale applicabile è sostituito dal termine di prescrizione di cinque anni dalla pubblicazione, conformemente all'articolo 8, della cessazione della qualità di membro del gruppo per le azioni contro tale membro relative ai debiti risultanti dall'attività del gruppo anteriore a tale cessazione. 2. Ogni termine più lungo eventualmente previsto dal diritto nazionale applicabile è sostituito dal termine di prescrizone di cinque anni dalla pubblicazone, conformemente all'articolo 8, della chiusura della liquidazione del gruppo per le azioni contro un membro del gruppo relative ai debiti risultanti dall'attività del gruppo. 300 Articolo 22 1. Ogni membro del gruppo può cedere a un altro membro o a un terzo la sua partecipazione nel gruppo o una frazione di questa; l'efficacia della cessione è subordinata all'autorizzazione data dagli altri membri all'unanimità. 2. Un membro del gruppo può costituire una garanzia sulla sua partecipazione nel gruppo solo previa autorizzazione data dagli altri membri all'unanimità, salvo disposizione contraria del contratto di gruppo. Il titolare della garanzia non può in alcun momento diventare membro del gruppo in forza della garanzia.

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Profitti e perdite

Responsabilità

Ammissione nuovi membri

Le cause di recesso ed esclusione devono essere fissate nel contratto. Tuttavia, il recesso è sempre possibile per giusta causa o con l’accordo unanime degli altri membri, art. 27 reg.301

Inoltre, per gravi inadempienze, l’esclusione può essere pronunciata dal giudice su richiesta della maggioranza degli altri membri. Inoltre, sono esclusi:

- il componente che perda i requisiti soggettivi per la partecipazione al Geie, art. 28 reg.302 ;

- il membro insolvente che sia assoggettato a procedura concorsuale, art. 6 d.lgs. 240/1991 ;

Il componente uscente ha diritto alla liquidazione del valore della sua quota di partecipazione, art. 34 reg.303

Sono cause obbligatorie di scioglimento del Geie:- la scadenza del termine;- il conseguimento o l’impossibilità di conseguire l’oggetto;- il venir meno della pluralità dei membri o della diversa nazionalità;- per sentenza del giudice per giusta causa.

Il verificarsi di una causa di scioglimento apre la liquidazione del gruppo, che è regolato dalle disposizioni in tema di società di persone, art. 8 d.lgs. 240/1991.

Il Geie che esercita attività commerciale è esposto al fallimento in caso di insolvenza, art. 9 d.lgs. 240/1991. Ma il fallimento del gruppo non determina il fallimento dei singoli membri, benché responsabili illimitatamente. Tuttavia, i liquidatori potranno chiedere ai membri il versamento delle somme necessarie per estinguere i debiti secondo la proporzione prevista in contratto, o, se non previsto, in parti uguali.

301 Articolo 27 1. Il recesso di un membro del gruppo è possibile alle condizioni previste nel contratto di gruppo o, in mancanza di disposizionii contrattuali, con l'accordo unanime degli altri membri. Ogni membro del gruppo può inoltre recedere per giusta causa. 2. Ogni membro del gruppo può essere escluso per i motivi indicati nel contratto di gruppo e comunque quando contravvenga gravemente ai suoi obblighi o quando causi o minacci di causare perturbazioni gravi nel funzionamento del gruppo. Tale esclusione può avvenire soltanto mediante decisione del giudice pronunciata su richiesta congiunta della maggioranza degli altri membri, salvo diversa disposizione del contratto di gruppo. 302 Articolo 28 1. Un membro di un gruppo cessa di farne parte al momento del decesso o quando non soddisfa più alle condizioni fissate dall'articolo 4, paragrafo 1. Uno stato membro può inoltre prevedere, nella propria legislazione in materia di liquidazione, scioglimento, insolvenza o cessazione dei pagamenti, che il membro di un gruppo cessi di farne parte al momento stabilito da detta legislazione. 2. In caso di decesso di una persona fisica membro del gruppo, nessuno può subentrarvi se non alle condizioni previste dal contratto di gruppo o, altrimenti, con il consenso unanime degli altri membri. 303 Articolo 34 Fatto salvo l'articolo 37, paragrafo 1, ogni membro che cessa di far parte del gruppo continua ad essere responsabile, alle condizioni previste dall'articolo 24, per le obbligazioni derivanti dall'attività del gruppo anteriore alla cessazione della sua qualità di membro.

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Recesso ed esclusione

Scioglimento del Geie

Fallimento

LE ASSOCIAZIONI TEMPORANEE DI IMPRESE

1. LA COLLABORAZIONE TEMPORANEA ED OCCASIONALE FRA IMPRESE

Le associazioni temporanee o raggruppamenti temporanei di imprese, dette anche joint ventures, sono forme di cooperazione temporanea ed occasionale fra imprese poste in essere per realizzare congiuntamente un’opera o un affare complesso. Si tratta di grandi opere pubbliche o private, che superano le capacità operative della singola impresa ma che, nel contempo, presentano caratteristiche tali da consentire il concorso di più imprese.

La costituzione di tali organismi comporta delle spese preventive che potrebbero risultare inutili qualora la gara di appalto non venga vinta. Inoltre, se le imprese partecipano alla gara attraverso una società o un consorzio, saranno tali organismi a risultare, giuridicamente, aggiudicatici dell’appalto e non le singole imprese che intendono cooperare nell’esecuzione dell’opera. Ma spesso le imprese voglio evitare la costituzione di queste società o consorzi. Cioè vogliono cooperare ma al tempo stesso mantenere la loro autonomia operativa. Vogliono eseguire ciascuna direttamente, con i propri mezzi e con la propria organizzazione, una parte dell’opera, pur assicurando al committente il coordinamento imposto dal carattere unitario dell’opera, garantendo l’esecuzione integrale dell’appalto.Da qui si sono sviluppate degli accordi reciproci di cooperazione strutturati in modo da soddisfare le esigenze operative evitando nel contempo di dar

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CAP. 11

Problema giuridico

Nozione

La prassi contrattuale

vita ad un rapporto societario. In base a tali accordi, le imprese interessate si presentano alla controparte come imprese distinte ma collegate. Esse presentano un’offerta congiunta e si obbligano congiuntamente ad eseguire l’opera complessiva affidando ad una di esse , detta impresa capogruppo o capofila, il compito di gestire unitariamente i rapporti col committente e di coordinare i lavori nella fase esecutiva. Nel contempo, ogni impresa conserva la piena autonomia giuridica ed economica nel compimento della parte di opera o della specifica prestazione da essa direttamente assunta e risponde direttamente nei confronti del committente per la parte di propria competenza.

Queste forme di cooperazione fra imprese rendono difficile il loro inquadramento nei tipi contrattuali legislativamente previsti e regolati.Secondo la giurisprudenza esse costituiscono contratti associativi innominati, espressione dell’autonomia contrattuale delle parti, art. 1322304.Nel nostro ordinamento questi fenomeni non sono stati ancora disciplinati in maniera organica ed unitaria. La nostra legislazione si limita a regolare solo alcuni aspetti di alcune forme tipiche di cooperazione temporanea relative a determinati settori di attività:

- gli accordi di cooperazione internazionale per la produzione di opere cinematografiche, art. 6 d.lgs. n. 28 del 22/01/2004;

- l’istituto della contitolarità della concessione per la ricerca e la coltivazione di giacimenti di idrocarburi, art. 18 legge n. 613 del 21/07/1967, o minerari, art. 12 legge n. 221 del 30/07/1990;

- le associazioni temporanee di imprese per la partecipazione agli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi, oggi disciplinate dal Codice degli appalti pubblici, d.lgs. n. 163 del 12/04/2006.

2. LE ASSOCIAZIONI TEMPORANEE PER LA PARTECIPAZIONE AGLI APPALTI PUBBLICI

La legislazione in tema di appalti pubblici consente che l’esecuzione di una stessa opera, ovvero la prestazione di forniture e servizi, siano affidate in appalto ad una pluralità di imprese che conservano la propria individualità. Queste norme sono volte a garantire che la cooperazione di più imprese non pregiudichi gli interessi del committente nella fase di esecuzione del contratto.

Il raggruppamento temporaneo di imprese, disciplinato dal Codice degli appalti pubblici (d.lgs. n. 163/2006), si fonda su un mandato collettivo con rappresentanza, art. 1726305, conferito dalle imprese che intendono partecipare alla gara di appalto ad una di esse, qualificata capogruppo.

304 Art. 1322 Autonomia contrattuale

Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge (e dalle norme corporative). Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico. 305

Art. 1726 Revoca del mandato collettivo Se il mandato è stato conferito da più persone con unico atto e per un affare d'interesse comune, la revoca non ha effetto qualora non sia fatta da tutti i mandanti, salvo che ricorra una giusta causa (2609).

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Figure tipiche

Mandato collettivo

Rappresentanza della

capogruppo

Il mandato deve risultare da scrittura privata autenticata ed è per legge gratuito, art. 34, 1° comma, lett. d, cod. appalti.306 In base a tale mandato la capogruppo è ammessa a formulare un’unica offerta, in nome e per conto proprio e delle altre imprese riunite.

Per assicurare all’ente pubblico committente un unico interlocutore per tutta la durata dell’appalto, la capogruppo conserva la veste di rappresentante per tutto tale periodo. Il mandato conferito alla capogruppo è irrevocabile e la revoca, anche per giusta causa, non ha effetto nei confronti del soggetto appaltante, art. 37, 15° comma, cod. appalti307. Al contrario in diritto comune, art. 1726, il mandato è sempre revocabile, purché sia richiesta da tutti o dal singolo mandante se sussiste giusta causa. È stabilito che la capogruppo ha la rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti nei confronti dell’appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo dei lavori, fino all’estinzione di ogni rapporto, art. 37, 16° comma, cod. appalti.308 La posizione di rappresentante ex lege della capogruppo opera però solo a favore dell’ente committente in quanto questo conserva il diritto di far valere direttamente le responsabilità facenti capo ai mandanti.

La finalità di tutela dell’ente committente emerge anche dalla disciplina della responsabilità nei suoi confronti, diversamente articolata a seconda che l’opera comprenda o meno parti dichiarate scorporabili dall’ente stesso. Cioè, parti che possono essere assunte separatamente dalle imprese raggruppate. Gli appalti non scorporabili danno vita ai cosiddetti raggruppamenti orizzontali. In tali raggruppamenti, tutte le imprese rispondono solidalmente per l’intera opera, anche nei confronti delle imprese subappaltatori e dei fornitori. La divisione dei lavori ha valore solo interno e l’ente committente potrà richiedere il risarcimento del danno, per l’intero, ad una qualsiasi delle imprese riunite.Gli appalti con parti scorporabili danno vita ai cosiddetti raggruppamenti verticali. In essi, responsabile per l’intera opera è solo la capogruppo. Le altre imprese riunite rispondono esclusivamente per l’esecuzione della

306 Art. 34. Soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici 1. Sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici i seguenti soggetti, salvo i limiti espressamente indicati: d) i raggruppamenti temporanei di concorrenti, costituiti dai soggetti di cui alle lettere a), b) e c), i quali, prima della presentazione dell'offerta, abbiano conferito mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, qualificato mandatario, il quale esprime l'offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti; si applicano al riguardo le disposizioni dell'articolo 37;307

Art. 37. Raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di concorrenti15. Il mandato deve risultare da scrittura privata autenticata. La relativa procura è conferita al legale rappresentante dell'operatore economico mandatario. Il mandato è gratuito e irrevocabile e la sua revoca per giusta causa non ha effetto nei confronti della stazione appaltante. 308 Art. 37. Raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di concorrenti16. Al mandatario spetta la rappresentanza esclusiva, anche processuale, dei mandanti nei confronti della stazione appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall'appalto, anche dopo il collaudo, o atto equivalente, fino alla estinzione di ogni rapporto. La stazione appaltante, tuttavia, può far valere direttamente le responsabilità facenti capo ai mandanti.

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Responsabilità

parte di propria competenza, in solido con la capogruppo, art. 37, 5° comma, cod. appalto.309

La posizione di particolare rilievo assegnata alla capogruppo trova conferma nella disciplina dettata per le ipotesi di fallimento di una delle imprese riunite e di morte, interdizione o inabilitazione del suo titolare, art. 37, 18° e 19° comma, cod. appalto.310

Se il fallimento riguarda la capogruppo, l’ente committente ha la facoltà o di proseguire il rapporto di appalto con altra capogruppo che sia di suo gradimento o di recedere dall’appalto. Se il fallimento riguarda una delle imprese riunite, l’appalto prosegue senz’altro e la capogruppo ha la facoltà, ma non l’obbligo, di sostituirla con altra impresa che abbia gli stessi requisiti. Qualora la capogruppo non provveda alla sostituzione, sarà tenuta ad eseguire la parte rimasta scoperta o direttamente o a mezzo di altra impresa del raggruppamento.

Per quanto riguarda i rapporti reciproci fra imprese riunite e con i terzi diversi dal committente, il legislatore lascia piena libertà alle stesse imprese. È affermato espressamente che il rapporto di mandato non determina di per sé organizzazione o associazione delle imprese riunite e ognuna di esse conserva la propria autonomia ai fini della gestione, degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali, art. 37, 17° comma, cod. appalti.311

Le imprese sono perciò libere di mantenere il collegamento funzionale minimo determinato dal mandato collettivo oppure di dotarsi di un’organizzazione comune di tipo consortile, destinata a coordinare e regolamentare l’esecuzione dell’appalto. Inoltre, è consentito che le imprese riunite per la partecipazione ad appalti di lavori pubblici costituiscono fra loro una società, anche consortile, dopo l’aggiudicazione dell’appalto per l’esecuzione unitaria totale o parziale dei lavori, art. 96 d.p.r. 554/1999. Tale società subentra automaticamente, senza bisogno di autorizzazione o di approvazione del committente, nell’esecuzione dei lavori. Per evitare che il subingresso leda gli interessi dell’ente committente, è mantenuto fermo il regime di responsabilità delle imprese riunite, art. 96,

309 Art. 37. Raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di concorrenti

5. L'offerta dei concorrenti raggruppati o dei consorziati determina la loro responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante, nonché nei confronti del subappaltatore e dei fornitori. Per gli assuntori di lavori scorporabili e, nel caso di servizi e forniture, per gli assuntori di prestazioni secondarie, la responsabilità è limitata all'esecuzione delle prestazioni di rispettiva competenza, ferma restando la responsabilità solidale del mandatario. 310 Art. 37. Raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di concorrenti18. In caso di fallimento del mandatario ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal presente codice purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire; non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante può recedere dall'appalto. (comma così modificato dall'art. 2, comma 1, lettera i), d.lgs. n. 113 del 2007)19. In caso di fallimento di uno dei mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire. 311 Art. 37. Raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di concorrenti17. Il rapporto di mandato non determina di per sé organizzazione o associazione degli operatori economici riuniti, ognuno dei quali conserva la propria autonomia ai fini della gestione, degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali.

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Fallimento

Rapporto fra le imprese

2° comma. Perciò, per l’esecuzione dell’opera risponderanno sia la società appositamente costituita, sia le imprese del raggruppamento. Sul raggruppamento graverà perciò l’obbligo di eseguire l’appalto, qualora la società a tal fine costituita si renda inadempiente o fallisca.

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