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5 RESPONSABILITÀ E CIBERNETICA DI HEINZ VON FOERSTER NELLA COMPLESSITÀ DEL CONTESTO TERAPEUTICO Autore: Enrico ONGARO

RESPONSABILITÀ E CIBERNETICA DI HEINZ VON · 7 […] apre un nuovo orizzonte non raggiungibile dal riduzionismo, la prospettiva sistemica (Bröcker, 2004). Chi era mai, quindi, questo

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RESPONSABILITÀ E CIBERNETICA DI HEINZ VON

FOERSTER NELLA COMPLESSITÀ DEL CONTESTO

TERAPEUTICO

Autore: Enrico ONGARO

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Chi era mai questo von Foerster?1

“Heinz von Foerster more than anyone else rappresented this human face of cybernetic”

Peter Krieg

“You lay a path by walking it” Buddhism

Parlare di Heinz von Foerster può risultare difficile, ma può essere

anche un viaggio curioso, discorrendo della sua vita e della costruzione del suo pensiero. Difficile per il fatto che lo stesso Heinz non si lasciava intrappolare entro una categoria professionale o scientifica. Quindi come definirlo, in che specialità scientifica collocarlo? Il problema potrebbe proprio iniziare con il significato della parola scienza, e di conseguenza con la definizione di scienziato e della classe scientifica alla quale uno studioso dovrebbe appartenere, e soprattutto del modo di avvicinarsi al proprio “oggetto” di studio.

Heinz von Foerster si considerava più un sistemico che uno scienziato e infatti tracciò una distinzione tra la sistemica e la scienza. Il termine “scienza” viene dal latino “scientia” che contiene la radice indo-europea “skei”: questa radice si riferisce ad attività come “separare”, “distinguere”, “prendere da parte”. Tra le parole derivate dalla radice “skei” troviamo termini come “scisma” o “schizofrenia e, come amava far notare Heinz, anche il termine “schifo” (ingl. shit), qualcosa da cui ci si vuol separare. […] la parola “scienza” deriva da questa radice perché si riferisce al tracciare distinzioni tra le cose (Bröcker, 2004). La sua visione di come dovrebbe essere la scienza è tale da imporre l’utilizzo di un altro termine, “sistemica” che come vedremo si preoccupa di tracciare uguaglianze e di vedere le cose nel loro insieme.

Ai concetti di “separare”, “distinguere”, “prendere da parte” Heinz von Foerster propose di sostituire i termini complementari di “mettere insieme”, “unificare”, “identificare”. Questi termini di “unificazione” hanno una comune radice greca, “hen”, da cui “un”, “sin”, “sim”, che ci riporta al significato di “uno”; […] Da qui nasce la parola “sistema”. Un sistema è qualcosa che noi mettiamo insieme. Heinz von Foerster propose di utilizzare il termine “sistemico” come una struttura di pensiero complementare al pensiero scientifico che, attraverso il mettere insieme 1 Il titolo si riferisce all’articolo in inglese “Who was von Foerster, anyway?”, scritto da Pietro Barbetta e Dario Toffanetti, come contributo alla monografia in ricordo di Heinz von Foerster, sulla rivista Kybernetes del 2005.

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[…] apre un nuovo orizzonte non raggiungibile dal riduzionismo, la prospettiva sistemica (Bröcker, 2004). Chi era mai, quindi, questo Heinz von Foerster? Tra le varie definizioni che incontreremo, quella che lo caratterizza è senz’altro “Cibernetica”, in particolare la “Cibernetica di secondo ordine”. Eccomi qui, dunque, a parlare di von Foerster, di Cibernetica, dell’influenza del suo pensiero nella psicoterapia, (definita per l’appunto, psicoterapia sistemica), delle sue “verità”, retaggio per chi le volesse utilizzare, sotto la propria “responsabilità”, a sua “scelta”. E responsabilità e scelta, sono due termini che incontreremo spesso lungo questa “riflessione” sul pensiero di Heinz von Foerster. Così parole quali “costruzione”, “circolarità”, “etica” e “imperativi etici”, che vedremo, entreranno a pieno titolo anche nel discorso clinico.

Non ho potuto incontrare personalmente von Foerster, infatti l’ultima sua magia è stata nell’ottobre del 2002, anno della sua dipartita da questa realtà. Anno in cui iniziavo a muovere i primi passi nel mondo accademico. Dunque, vi parlerò per mezzo delle parole di chi l’ha incontrato quando era ancora in vita e attraverso l’idea che mi sono fatta di lui con i suoi scritti, il suo pensiero e ciò che ne è emerso intrecciandosi con il mio. Tuttavia, mi è bastato vedere un’intervista registrata2 pochi anni prima della sua scomparsa, in un documentario a lui dedicato, per restare affascinato dal suo modo di proporsi, dall’entusiasmo ed enfasi nell’esprimere le proprie idee.

Seduto su una sedia a rotelle nella propria abitazione a Pescadero, California, dietro i suoi occhi profondi di un azzurro intenso, Heinz trasmette tutta la sua passione e voglia di realizzare insieme un dialogo e costruire una realtà condivisa con chiunque gli stia davanti, e non solo nell’intervista di quell’occasione. Peter Krieg lo definisce “[…] this human face of cybernetic”3, mentre Wendel A. Ray racconta che dei suoi incontri con lui:

“What most remains with me from that first contact with Heinz was the piercingly optimistic, enthusiastic presentation of self that exuded from him. Anyone who has been in Heinz’s presence has an awarnesess of what I am talking about. Looking at you with penetratingly clear eyes, smiling with every muscle in his face, and radiating the execitement of life; hearing Heinz say “Hallo! How are you?” or “Fantastic!” was an invigorating and contagious experience.

2 Dal documentario “Das Netz” di Lutz Dammbeck trasmesso in lingua tedesca dalla rete televisiva Arte nel 2004, rintracciabile su: http://www.youtube.com/watch?v=PcPtl-vuGbI. 3 “Il volto umano della cibernetica”, (trad. mia).

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There was something extraordinary about being in the presence of this man.” (Ray, 2005)4

Chi era, quindi, von Foerster? Un ingegnere, un matematico, un fisico, un cibernetico, un costruttivista o un filosofo? Ecco come lui vi risponderebbe:

“Chi è questo Heinz von Foerster? Naturalmente un pazzo, questo è chiaro. Ma chi è? Cosa vuol dire? Nel momento in cui l’altro si pone queste domande, incomincia ad ascoltare. Il nostro colloquio trova una base. E può incominciare la danza del dialogo comune.” (Foerster, Pörksen, 2001).

Dialogo comune, vuole dire co-costruire il significato che diamo alla nostra realtà, la quale prende forma dalla nostra posizione, dalla nostra esperienza e dalla nostra istruzione, da ciò che conosciamo, e che si intreccia con quella dell’altro, cambiando continuamente e costruendone una nuova realtà e punto di vista, dove la specializzazione di ognuno è solo posizione di riferimento e non di identificazione. Per questo motivo von Foerster si considerava allergico alle etichette come cardine dell’esistenza di ognuno, come unica possibilità di essere considerato. A tale proposito Dezsoe Birkas parla di Heinz come: “The Withoutist”, colui che è senza il suffisso finale –ista, che fa coincidere la specialità o corrente scientifica all’individuo stesso (per es.: costruttivista, comportamentista ecc.). Lo stesso autore parla di posizione etica del withoutist, che permette di accettare a priori le opinioni degli altri come giuste (Birkas, 2005), in modo da aprire il dialogo ad una co-costruzione di significati. Posizione, quella di von Foerster e Birkas, che paradossalmente permette di essere classificati senza esserlo veramente: “The term ‘withoutist’ has paradoxical meaning: being classified a withoutist means at the same time not to be classificable.5” (Birkas, 2005).

Ecco chi era Heinz von Foerster, un ingegnere, un fisico, un matematico, un cibernetico, un filosofo, ecc., tutto quanto sopra visto con 4 Ciò che più è rimasto con me di quel primo incontro con Heinz fu la pungente, ottimistica ed entusiastica presentazione di sé che ne emergeva. Chiunque è stato in sua presenza può capire quello che intendo. Guardandoti con quei penetranti occhi chiari, sorridendo con ogni muscolo del suo viso, e radiando l’eccitamento della vita; sentendo Heinz dire: “Ciao! Come va?” o “Fantastico!” fu un’invigorente e contagiosa esperienza. C’era qualcosa di straordinario essere in presenza di quell’uomo. (trad. mia) 5 Il termine “withuotist” ha un significato paradossale, essere classificato un “withoutist” significa allo stesso tempo non essere classificabile (trad. mia).

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gli occhi di chi lo guarda, di chi legge i suoi scritti, di chi legge di lui e che con lui “dialoga” e vuole co-costruire un momento della propria esistenza.

La costruzione di una vita, una vita in costruzione

Caminante, son tus huellas, el camino, nada más;

caminante, no hay camino, se hace camino al andar.6

Antonio Machado

Per capire meglio il pensiero di von Foerster e quanto scritto precedentemente, è opportuno parlare un po’ della sua storia. La persona che si è dipende da dove si viene (Foerster, Pörksen, 2001). E’ proprio ripercorrendo le tappe principali del suo viaggio che von Foerster ci dimostra come si possa costruire il proprio cammino e come la vita sia sempre in costruzione. Ecco quindi una contestualizzazione storico-culturale dell’ambiente nel quale egli ha vissuto, del suo contesto di apprendimento, direbbero i terapeuti sistemici. Una vita di scelte, nei momenti più tristi della storia, tra giochi di astuzia e inganno, ma anche di coraggio e forza d’animo, che come vedremo lo hanno portato dall’Europa agli Stati Uniti, ad incontrare filosofi del primo novecento e scienziati americani nella seconda metà del XX secolo. Due mondi e due modi di pensare diversi che hanno collaborato alla costituzione di un pensiero complesso (o meglio di pensieri complessi). In effetti è proprio dal racconto della costruzione della sua vita che possiamo comprendere quello che ci ha lasciato, ovvero la possibilità di scegliere la direzione del nostro cammino da co-costruire in modo da ampliare le possibilità di scelta anche per gli altri.

Dal Circolo di Vienna al Circolo Cibernetico

Heinz von Foerster nasce, all’inizio del secondo decennio del ‘900, (13 novembre 1911) in una Vienna nel pieno del suo splendore, soprattutto intellettuale e artistico. Erano gli anni nei quali si potevano incontrare artisti come Gustav Klimt ed Egon Schiele, oppure filosofi e scienziati che da lì a poco avrebbero costituito il Circolo di Vienna. Uno degli esponenti

6 Viandante, son le tue orme / la via, e nulla più; / viandante, non c’è via, / la via si fa con l’andare. (trad. da La danza che crea, Ceruti, M., 1989).

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che parteciperà assiduamente alle riunioni del Circolo sarà Ludwig von Bertalanffy, il fautore della Teoria Generale dei Sistemi, una delle pietre fondanti la struttura teorica della psicoterapia sistemico-relazionale. Karl Popper e Ludwig Wittgenstein, che erano alcuni dei saggi di quel periodo, non partecipavano direttamente alle riunioni del Circolo di Vienna, ma erano a conoscenza delle tematiche trattate tramite alcuni esponenti che lo frequentavano. Ed è proprio lo “zio” Wittgenstein la personalità che influenzerà maggiormente il pensiero di von Foerster. Questi, partecipava alle riunioni di salotto nella casa dei genitori di Heinz, (con altre autorità del mondo culturale viennese) tanto da chiamarlo confidenzialmente “Zio”. E’ leggendo il suo Tractatus Logico – Philosophicus che Heinz prenderà spunto per costruire il suo di pensiero etico. La sua idea principale è che l’etica appartiene al dominio dell’indicibile, al dominio del mistico. (Foerster, Glaserfeld, 2001).

Più che filosofi nel senso tradizionale del termine, il Circolo di Vienna raccoglieva studiosi di varie discipline, che avevano in comune l'insoddisfazione per i risultati raggiunti fino ad allora dalla filosofia. Situazione che si ripeterà nel Circolo Cibernetico. Nel Circolo di Vienna troviamo, infatti, così come in quello Cibernetico, un discorso di interdisciplinarietà, di collaborazione tra le varie specializzazioni e soprattutto la contaminazione di quelle che von Foerster definisce “scienze morbide” con le “scienze dure”. Nel Circolo Cibernetico (in questo caso parliamo degli anni del primo dopo guerra, anni ‘50), tra i più autorevoli e conosciuti vi troviamo matematici come Norbert Wiener e John von Neumann, antropologi quali Gregory Bateson e Margaret Mead, i biologi Humberto Maturana e Francisco Varela, il neurofisiologo Warren McCulloch e altri ancora.

Lo stesso Heinz von Foerster trova un parallelo tra il Circolo di Vienna, dove è cresciuto intellettualmente, e il Circolo Cibernetico (Franchi, Güzeldere, Minch, 2005) negli Stati Uniti. E’ proprio qui che egli passerà gran parte della sua vita da studioso fino agli ultimi suoi giorni e si circonderà, (come direttore del Biological Computer Laboratory presso il Departement of Elettrical Ingeneering, University of Illinois, Urbana, USA), di altrettante personalità del mondo scientifico, filosofico e artistico, portando anche nel contesto accademico di allora quel pensiero multidisciplinare che lo caratterizza. Tra le varie personalità del mondo scientifico troviamo lo psicologo Gordon Pask, lo psichiatra Ross Ashby e un grande esperto del pensiero di Hegel nonché filosofo e logico Gotthard Günter.

Già dai primi anni della carriera di scienziato von Foerster capì, quindi, l’importanza della contaminazione delle idee, della risorsa di

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osservare la scienza, anche quella più “dura”, sotto ottiche diverse. “Quando due o tre campi dello scibile si incontrano, si entra facilmente nella filosofia” (Foerster, Pörksen, 2001). E ancora Heinz dice di “[…] considerare la scienza come un’’attività’, il creare scienza (Foerster, Glaserfeld, 2001).

Dall’Europa all’America

Nel sistema scolastico austriaco, ai tempi di Heinz, le materie privilegiate nell’insegnamento erano latino e greco, materie nelle quali non era certo il primo della classe. Infatti, Heinz si dimostrava molto più portato per quelle materie dette periferiche, quali la matematica e la fisica (Franchi, Güzeldere, Minch, 2005, trad. mia). Diplomato in tecniche ingegneristiche presso la Hochschule Wien Physik e appassionato di fisica e matematica, Heinz si trasferisce e lavora per un periodo a Colonia. Dopo qualche anno ritorna a Vienna, dove incontra la donna che diventerà poi sua moglie, un’attrice di nome Mai Stürmer. Era una delle epoche più buie della storia, dove il nazismo stava mostrando la sua faccia peggiore. Heinz e famiglia non vengono esclusi dal delirio hitleriano. Ma indomito, nonostante le sue origini ebree, ritorna a Berlino, la capitale del Reich, falsificando i documenti, consacrando così la sua fasulla origine ariana. Heinz aveva fatto un altro trucco da mago, da esperto appassionato di “illusionismo” quale era, o meglio dire, esperto inventore di realtà quale era.

La Seconda Guerra Mondiale passa non senza difficoltà, decide così di ritornare in patria. Nell’immediato dopoguerra, Vienna si trovava ad essere una città bombardata e divisa tra Francesi, Inglesi, Americani e Russi, tra mille difficoltà e con aiuto di amici, Heinz si barcamena tra due lavori. La compagnia telefonica (associata a quella che sarà poi una delle maggiori compagnie telefoniche, la Ericsson svedese), e lo speaker presso la radio di bandiera austriaca, Rot-Weiss-Rot. In quest’ultima condurrà diversi dibattiti su tematiche contemporanee e sulla scienza. Politici, scienziati, uomini di cultura di vario genere saranno gli ospiti delle trasmissioni da lui condotte.

Nell’altro lavoro, invece, la prima cosa che realizzò, assieme ai colleghi della compagnia telefonica, fu quello di costruire qualcosa che potesse costruire altre cose. Infatti tra vari pezzi raccolti qua e là nella fabbrica distrutta dai bombardamenti, misero insieme un tornio, con il quale ne costruirono un altro e così via, e con più torni si possono costruire altre cose e così via. Insomma, hanno co-costruito possibilità di co-

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costruire altre possibilità. E’ in quegli anni, che von Foerster si dedica alla stesura del suo primo libro, o meglio, del libro che ha aperto la strada alla sua carriera di uomo della scienza. Il titolo è: “La memoria: uno studio fisico-quantistico”7 del quale l’autore prende spunto da una riflessione spontanea riguardo la sua carriera di alunno e la difficoltà di ricordare le date degli avvenimenti storici. Foerster notò che le date degli avvenimenti accaduti nelle varie epoche erano sempre più rare man mano ci si allontanava dal periodo storico contemporaneo, il quale era, invece molto più denso e concentrato. Nel libro di Hubert Rohracher, Einfürung in die Psychologie, comprato per curiosità in una biblioteca di Vienna, trovò descritta la “curva della dimenticanza” dello psicologo sperimentale tedesco Hermann Ebbinghaus del 1885, dalla quale egli prese spunto per dimostrare la sua tesi. E’ proprio il suo libro sulla memoria che utilizzerà come biglietto da visita per approdare nel nuovo mondo ed essere accolto a pieno titolo dai colleghi scienziati di oltre oceano.

Gli anni del Biological Computer Laboratory

Siamo a cavallo degli anni ’50 quando von Foerster si trasferisce negli Stati Uniti d’America. Fu Warren McCulloch che dopo aver preso visione del suo trattato sulla memoria, lo invita a unirsi al Circolo Cibernetico (Foerster, Pörksen, 2001). Erano gli anni delle Josia Macy Conferences nelle quali si trovavano tra i più innovativi pensatori e scienziati americani, per la maggior parte americani d’adozione. Alle conferenze partecipavano personalità di varie discipline come matematici, fisici, neurologi, psichiatri, antropologi, biologi ecc., che daranno vita, da lì a poco, alla costituzione della Cibernetica, termine coniato da Norbert Wiener. Ma siamo ancora agli esordi di questa disciplina, la cibernetica di quel periodo è ancora la Cibernetica di primo ordine. Nonostante l’inglese stentato di von Foerster, i fautori di quello che verrà definito il Circolo Cibernetico, lo accolsero con passione e decisero di fargli imparare il loro linguaggio. Linguaggio inteso, sia come lingua anglosassone che come cibernetica, e lo imparò curando in lingua inglese appunto, le pubblicazioni dei convegni delle Macy Conferences . Tra le varie possibilità di scelta che l’america gli offre, Heinz decide di accettare l’offerta di lavorare presso l’università dell’Illinois, nell’Electron Tube Laboratory. Sarà proprio in quella sede universitaria che von Foerster avrà l’opportunità di mettere in pratica quel discorso

7 Titolo originale: von Foerster, H., (1948), Das Gedächtnis: eine quantenphysikalische Untersuchung, Deuticke, Wien.

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interdisciplinare, anzi “indisciplinare”8 (Foerster, Pörksen, 2001), che lo porterà a creare l’Epistemologia Cibernetica, dove la Cibernetica di primo ordine diventerà, Cibernetica di secondo ordine. Finanziato dalle forze armate statunitensi fonderà il Biological Computer Lab, ovvero il Laboratorio di “computazione” o informatica biologica. Progetto all’avanguardia per quei tempi, che ha decretato gli inizi della bionica, l’avvento dei computer, la teoria dei sistemi auto-organizzanti e soprattutto, un modo nuovo di guardare alla scienza e alla conoscenza.

Rattlesnake, Pescadero, California USA

Come si può notare, il titolo di questo paragrafo è anche l’indirizzo dell’abitazione scelta da von Foerster. Rattlesnake – serpente a sonagli in italiano – quasi a dimostrare la scomodità e la pericolosità di von Foerster, o meglio delle sue idee. Forse troppo lontane e apparentemente troppo avanti.

Rattlesnake è una collina di Pescadero che si affaccia sull’Oceano Pacifico, nella San Francisco Bay Area, zona nella quale Heinz si ritira dall’attività scientifica del BCL nel 1975. Manterrà i contatti con gli amici di sempre e verrà chiamato a portare il suo contributo scientifico e filosofico in varie località dell’Europa, passerà anche dall’Italia.

Ma quali sono queste idee scomode, e perché sono tali? Cosa hanno a che fare con il contesto terapeutico? Nei capitoli che seguiranno avremo modo di approfondirle. Alcune le abbiamo già incontrate. A termini quali “cibernetica, responsabilità, etica, scelta, costruzione, realtà e verità” sottostanno significati fondamentali per il pensiero foersteriano. Potremmo racchiudere tutto il suo pensiero con una parola, un principio dormitivo, direbbe Bateson (Bateson, 1977), e questa parola è “complessità”. Principio dormitivo, significa esprimere solo con un termine ciò che in realtà è il risultato dell’intreccio di più significati, e che quindi la parola scelta non potrà mai spiegare l’intreccio dei significati che sottende. Paradossalmente, però, “complessità” definisce se stessa. Il termine deriva dal latino com = cum insieme e plesso = plecto intreccio, che indica qualcosa composto di più parti collegate fra loro e dipendenti l’una dall’altra9. Così il pensiero foersteriano è un pensiero complesso. Egli si unisce a tutti quegli altri uomini e donne di scienza che hanno dato adito allo svilupparsi di un’epistemologia detta, epistemologia della complessità, ovvero, un 8 Interdisciplinarietà è una parola che non va bene […] non disciplinarietà o indisciplinarietà. (Foerster, Pörksen, 2001) 9 Da: www.etimo.it.

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tentativo di cambiare occhiali epistemologici ed osservare quindi la “realtà” in modo differente da quello attualmente in uso nella società contemporanea occidentale.

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La verità è l’invenzione di un bugiardo10

Nell’infinito del regno di Dio non esiste menzogna,

tutto è vero. Niccolò Cusano

Un discorso di complessità

Qualcosa di complicato non può essere qualcosa di complesso. Complicato deriva da com = cum assieme e plicare = gr plèiken piegare, letteralmente: piegare assieme, e ciò che è piegato assieme può anche essere spiegato11. Se si potesse spiegare la complessità in maniera chiara, ne verrebbe evidentemente che il termine non sarebbe più complesso (Morin, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007). La complessità è sempre nella relazione fra noi stessi e il mondo, e naturalmente anche nelle relazioni entro noi stessi, e nelle relazioni entro il mondo (Bocchi, Ceruti, 1985, 2007). Ciò significa che siamo intrecciati in una rete di relazioni, o meglio un “sistema” di reti di relazioni. Un sistema, cioè quell’insieme di elementi che interagiscono fra di loro o anche, in relazione tra di loro. Ma un sistema è anch’esso un elemento di un altro sistema, infatti un sistema avrà sempre dei sottosistemi e dei sovrasistemi con i quali interagire. Ora, si capisce che quando si parla di “interazione” o “interdipendenza” si parla di influenza reciproca degli elementi. Ogni spostamento o cambiamento di un componente del sistema apporta un cambiamento del sistema stesso nella sua totalità.

A system is a composite entity that exists simultanneously both as (a) a collection of components interconnected in a way such that if one acts on one of them one acts on all, and (b) as a singular entity that operates as a whole in a medium or domain of interactions that contains it and makes possible its operation or existence as a totality. (Maturana, 2005).12

10 Il titolo si riferisce all’omonimo libro di Heinz von Foerster e Bernhard Pörksen, 2001. 11 www.etimo.it 12 Un sistema è un’entità composita che esiste simultaneamente entrambi come (a) una collezione di componenti interconnessi in modo tale che se uno agisce su uno di loro uno agisce su tutti, e (b) come unità tipica che opera come un insieme nel mezzo o dominio di interazione che lo contiene e rende possibile le sue operazioni o esistenza come una totalità.

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Il pensiero cibernetico, quindi, si riferisce alla complessità delle modalità di funzionamento della struttura e dell’organizzazione dei sistemi, del loro modo di comunicare, di interagire, di evolvere o morire.

Ma come è costituito un sistema? I biologi cileni, Maturana e Varela, parlando di sistemi viventi, considerano quell’insieme di elementi, di cellule nello specifico della loro materia, come sistemi strutturalmente aperti ma chiusi nella loro organizzazione. Questo fa si che l’organizzazione del sistema tenda sempre all’omeostasi, a mantenere un’organizzazione stabile e favorevole alla propria sopravvivenza. La struttura, essendo aperta alle perturbazioni esterne, è sempre in contatto e scambio di energia con l’ambiente. A seconda della compatibilità con la struttura dell’altro sistema, apporterà novità che potranno farlo evolvere, e in questo caso avremo un adattamento nella propria organizzazione oppure verrà escluso dall’interazione. A tal proposito ci viene incontro un altro termine di vitale importanza, auto-organizzazione, capacità propria di un sistema di ordinare gli input aleatori provenienti dall’ambiente (Foerster, Glaserfeld, 2001). E sono proprio questi input aleatori che rendono complesso un sistema vivente. Il fatto di ricevere input aleatori dall’ambiente introduce, quindi, l’incertezza nell’evoluzione del sistema stesso. Incertezza che non è contemplata dalle scienze dure, le quali tentano di tenere sotto controllo l’oggetto del loro studio. Complessità quindi, come cambiamento di paradigma con il quale si tenta di conoscere. Un cambiamento di paradigma dove i canoni del metodo sperimentale appaiono limitati, dove la razionalità scientifica non può prescindere dai contesti storici (Bocchi, Ceruti, 1985, 2007). La complessità è una nozione ambivalente […] come ostacolo in quanto reintroduce l’incertezza […] in positivo, come pensiero multidimensionale (Morin, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007).

Ma qual è la particolarità del pensiero cibernetico e come si connette a quello della complessità? Cibernetica è parte di quella multidimensionalità irriducibile della conoscenza, conoscenza alla quale von Foerster ha dato un grande apporto. Proprio con il titolo di questo capitolo, (La verità è l’invenzione di un bugiardo), von Foerster intende sottolineare questi processi di cambiamento verso nuovi paradigmi della scienza. Infatti ciò che era “verità scientifica” un tempo si è dimostrata suscettibile di modificazioni se non di false costruzioni. Costruzioni, è proprio qui che Heinz intende arrivare. Questo è un nuovo modo di vedere la realtà e quindi anche la conoscenza: “Ho sempre considerato la scienza come un’attività, il creare scienza” (Foerster, Pörksen, 2001). Von Foerster mette in discussione, perciò, che cosa è reale, il concetto di verità. Padre del Costruttivismo, Heinz et all., asserisce che la realtà non è nient’altro che la

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costruzione condivisa del significato degli input ricevuti dall’ambiente che i nostri sensi accusano. I nostri sensi non raffigurano nessuna rappresentazione della realtà (Foerster, Pörksen, 2001) in quanto è nel sistema nervoso centrale che vengono calcolati gli stimoli percepiti come impulsi elettrici e tramite il linguaggio riusciamo a dargli un senso. E il senso cui diamo agli stimoli deve essere condiviso da altri da noi con i quali decidiamo cosa è vero e cosa è reale:

…un’ipotesi, che è giusta per A e per B, può essere accettabile soltanto se vale anche per A e B insieme (Foerster, Pörksen, 2001).

Creando verità

Da quanto detto sopra, risulta che una realtà esterna non esiste, e che chiunque tenti di esporci la sua verità, come unica verità plausibile, direbbe Heinz von Foerster è un “bugiardo”. La sua verità diventerà tale anche per noi nel momento in cui decidiamo di condividerla con chi ce l’ha proposta. La verità di von Foerster, quindi, è quella di non credere a chi asserisce di essere detentore di verità, e paradossalmente questa è la verità di Heinz von Foerster: “La verità è l’invenzione di un bugiardo”. Ma questo significherebbe che anche von Foerster è, come Parmenide13, un bugiardo, ma se è bugiardo dice la verità e se dice la verità non è un bugiardo, e se non è un bugiardo la sua affermazione è vera, ma se è vera è, quindi, un bugiardo e così via. Ecco qui un altra “verità” importante di von Foerster, che oltre ad essere un paradosso, (come vedremo nei capitoli più avanti è un concetto molto importante anche per il contesto terapeutico) è un pensiero che si applica a se stesso, detto anche autologico (Foerster, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007). Ecco un altro motivo per il quale dubitare della realtà, ovvero, ogni affermazione non fa altro che confermare se stessa, dandogli statuto di verità. Il pensiero cibernetico è quindi un pensiero circolare e riflessivo, proprio come lo è l’affermazione di Von Foerster o quella di Parmenide. Circolare e riflessivo in quanto è un continuo rimando di significati che cambieranno a seconda di dove ci si sofferma, dove l’inizio della frase non è che la fine della stessa e la fine non è che l’inizio della frase. Forse qualche lettore storcerà il naso davanti a questi apparenti giochi di parole. Ecco, probabilmente è anche per questo che il pensiero foersteriano non era ben visto, perché si toglieva da quella logica lineare, retaggio del pensiero aristotelico e cartesiano, tipica del mondo occidentale.

13 Mi riferisco alla frase: “Tutti i cretesi sono bugiardi”, e Parmenide era un cretese.

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Infatti, Aristotele affermava che tra le cause da lui descritte (causa formale, causa materiale, causa efficiente e causa finale) la causa finalis era per lui la più importante: “Tutto coopera per uno scopo” (Foerster, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007), mentre per Kant la causa efficiens era la più rilevante: “Tutto ciò che accade ha una causa” (Foerster, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007). Ebbene tutte e due le affermazioni rimandano alla causalità lineare in contrasto con quella di Heinz che influenzato dallo “zio” Ludwig Wittgenstein, dichiarando che: “La credenza nel nesso causale è superstizione” (Foerster, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007), credeva nella circolarità e quindi nella riflessività della causa, ovvero il cambiamento non avviene soltanto da una parte ma anche in ciò che apparentemente è stata la causa di quel mutamento. Ecco qui un altro esempio di complessità. Oltre agli input aleatori dell’ambiente il sistema deve fare anche i conti con una causalità circolare che porterà ad una multifinalità (da uno stesso punto del sistema si potranno avere finalità diverse) o equifinalità (da punti diversi del sistema si potrà avere una stessa finalità).

Riassumendo la complessità è un cambio di paradigmi che riguardano un’epistemologia della rappresentazione a quella della costruzione (Ceruti, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007); dal punto di vista dell’evidenza oggettiva al punto di vista della pertinenza…irreversibilità come tipicità dei sistemi dinamicamente complessi (Stenger, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007); dalla cibernetica dei sistemi osservati alla cibernetica dei sistemi osservanti (Foerster, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007); da un punto di vista della causalità lineare a quella circolare; dalla complessità interna alla complessità esterna…la complessità non è nella natura ma nel codice, non nel semplice sistema osservato ma nella congiunzione del sistema osservato e quello osservante, in cui hanno posto le scelte, gli scopi, i fini dell’osservatore (Gallino, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007); si deve passare da un punto di vista del controllo e della previsione ad un punto di vista del gioco (Bocchi, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007), dove sono i vincoli degli eventi e le strategie dei giocatori che in questa vita costruiscono nuovi scenari (Bocchi, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007).

Gli imperativi etici

Gli “imperativi etici” di Heinz von Foerster come vedremo creano già un paradosso per via del loro statuto di imperativo, quindi di comando esterno, ma che, come vedremo, ha un significato intrinseco e capiremo anche perché dovrebbe rimanere tale. Anche qui l’influenza di Ludwig Wittgenstein su un’altra delle “verità” di von Foerster si fa sentire. Infatti

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l’etica di von Foerster si configura come un’etica tutta interna ad una posizione epistemologica (Bertrando, Bianciardi; Barbetta, Toffanetti, 2006), proprio come lo stesso Ludwig dichiara nella sua differenziazione tra etica e morale dando alla prima uno statuto epistemologico di significato intrinseco ad ognuno di noi mentre la morale è esterna a noi (Foerster, Pörksen, 2001):

“La mia opinione è: la morale è esplicita, l’etica dovrebbe rimanere implicita, dovrebbe essere in un certo senso intessuta nelle azioni del singolo.” (Foerster, Pörksen, 2001).

Qui di seguito uno degli imperativi etici di von Foerster:

1. “Agisci in modo da aumentare le possibilità di scelta” dove il termine “agisci” è autoreferenziale, in quanto se non lo fosse, rischierebbe di essere ricondotto ad un’etica di tipo normativo (Bertrando, Bianciardi; Barbetta, Toffanetti, 2006), quindi alla morale. Ma che differenza c’è tra etica e morale? Per quest’ultima Wittgenstein scrive:

“Se viene enunciata una legge etica della forma ‘devi’ allora il primo pensiero è: ‘e cosa succede se non lo faccio?’” (Foerster, Pörksen, 2001).

Ebbene, la morale richiama ad un imperativo esterno che, se non attuato, è passibile di punizione per chi non l’ha osservato, e che rimanda a quella realtà oggettiva e determinata a guida dell’individuo nel mondo. Moralità che deresponsabilizza, proprio perché data da altri. E chi dice che quella morale data da altri sia quella giusta, anche per noi, o la migliore per condurre la nostra esistenza? Discutendo proprio di questo concetto, Heinz von Foerster risponde così al suo interlocutore Bernhard Pörksen, nell’intervista del libro “La verità è l’invenzione di un bugiardo”:

“Lei sembra conoscere bene questo ambito. Come fa a sapere cosa è buono, giusto e bello? […] La conseguenza di queste discriminazioni assolute tra il buono e il cattivo, il giusto, il falso, il bello e il brutto è che ci si erge a giudici e ci si considera alla stregua di un Dio giusto, che sa tutto alla perfezione” (Foerster, Pörksen, 2001).

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Ancora una volta, von Foerster esorta il suo interlocutore a riflettere sul concetto di realtà, su cosa è giusto e cosa è sbagliato e come tutto questo sia il risultato di una costruzione di una realtà condivisa, una “costruzione sociale”. Un esempio fra tutti, il periodo storico che lo stesso Heinz ha vissuto, la seconda guerra mondiale e il delirio nazionalsocialista. Periodo nel quale, la morale nazista sembrava essere ben accettata, per lo meno dalla grande maggioranza della popolazione. Questo ha portato alla realizzazione, come sappiamo di azioni contro l’umanità in nome di un ideale, di una “morale” esterna dettata dalla follia di pochi. Questo ha fatto si che la responsabilità di quelle azioni venissero attribuite ad un potere superiore, Bandura parlerebbe di “disimpegno morale”, (Bandura, 1986) (anche se egli non si riferisce a quel periodo storico), ovvero de-responsabilizzazione delle proprie azioni. E qui sta la differenza fondamentale tra etica e morale, l’etica essendo implicita in ognuno di noi, nelle nostre azioni richiama alla responsabilità delle stesse, delle scelte che noi realizziamo. Da qui l’imperativo etico “agisci” riguarda le nostre azioni, coscienti che qualsiasi scelta noi facciamo si rifletterà su tutto il sistema con il quale stiamo interagendo, direttamente o indirettamente, anche con sistemi più ampi con i quali non abbiamo un contatto diretto (vedi contesti macro quali le società) e che tutto ciò che facciamo si ripercuoterà sulla nostra esistenza. “Tutto ciò che faccio cambia il mondo” (Bertrando, Banciardi; Barbetta, Toffanetti, 2006).

Ricordiamo che la posizione etica è: a) consapevolezza che la realtà è inventata; b) consapevolezza che è inventata nella relazione, nel contesto, entro una comunità. […] Responsabilità, significa che la nostra affermazione – e le nostre azioni – non vive in uno spazio vuoto ma è circondata di conseguenze logiche: noi ci rendiamo disponibili a fornire ragioni a favore di ciò che diciamo (Bertrando, Bianciardi; Barbetta, Toffanetti, 2006).

Ora veniamo ad un altro imperativo etico, anzi, che possiamo definire, imperativo estetico (Pakman; Barbetta, Toffanetti, 2006):

2. “Se vuoi vedere, impara ad agire” . Questo imperativo etico, oltre che richiamare alla responsabilità delle

proprie scelte, mette in evidenza il fatto di dover agire se si vuole costruire possibilità. Come vedremo nei capitoli successivi, (quando entreremo in merito a ciò che è il principale oggetto di questa tesi, ovvero il contesto terapeutico), la difficoltà sta proprio nel fare la mossa necessaria per

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prendere una strada, una decisione. Gli psicoterapeuti questo lo sanno bene quando incontrano i loro clienti e li vedono bloccati nello scegliere narrazioni diverse. Solo imparando ad agire, infatti, possiamo realizzare queste opzioni (Pakman; Barbetta, Toffanetti, 2006).

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Cibernetica e cibernetica della cibernetica La cibernetica è la scienza della regolazione e della trasmissione di notizie negli esseri viventi e nelle macchine.

Norbert Wiener

Cibernetica come scienza dell’informazione. Stafford Beer

Cibernetica come gnosologia che si interessa della generazione del sapere attraverso la comunicazione.

Warren McCulloch

In epigrafe, alcune delle definizioni di cosa è la cibernetica secondo alcuni degli esponenti che facevano parte di quel circolo cibernetico nel quale von Foerster ha collaborato attivamente. Qui di seguito, invece, le due descrizioni che più si accompagnano alla mia struttura mentale. Affermazioni che a mio parere, rendono meglio l’idea dell’apporto teorico e filosofico che può scaturire dall’incontro di più discipline dello scibile umano e che soprattutto riassumono meglio il pensiero costruttivista e riflessivo di von Foerster:

Cybernetic is a way of thinking, not a collection of fact. American Society for Cybernetics It may be an art, or a philosophy, a way of thinking. Gordon Pask

In “realtà”, cibernetica deriva dal greco kybernetes, che significa timoniere, o anche governor in latino, colui che governa, che guida la nave14. Il termine si riferisce alla cibernetica di primo ordine. Quella cibernetica che Norbert Wiener così chiamò per definire le modalità di regolazione dei meccanismi omeostatici, dove il “timoniere” è colui che regola l’omeostasi del sistema a seconda delle informazioni che riceve dall’ambiente esterno. Nella cibernetica di primo ordine i sistemi viventi appaiono simili ai sistemi tecnici o sistemi non viventi (Foerster, Pörksen,

14 Tratto da: www.etimo.it

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2001). La cibernetica di primo grado (ordine), separa il soggetto dall’oggetto, vi è una realtà là fuori ed è caratterizzata da processi lineari. La cibernetica di secondo ordine, quella teorizzata da von Foerster, è circolare, siamo una componente del mondo che si osserva. Si passa, quindi, da una cibernetica dei sistemi osservati ad una cibernetica dei sistemi osservanti (Foerster, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007). Da una cibernetica dove i sistemi tendono all’omeostasi ad una cibernetica dove i sistemi sono in continuo cambiamento. Dove l’interazione con il proprio ambiente è unidirezionale a quella dove l’interazione con l’ambiente e reciproca e riflessiva. Dove l’organizzazione del soggetto osservante rimane separata dall’oggetto osservato mentre nell’altra si parla di organizzazione dell’organizzazione, un’auto-organizzazione del sistema che si viene a creare con l’oggetto osservato (Foerster, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007).

Solo a livello di secondo grado si forma la possibilità dell’auto-riflessione. Là non esiste niente di semplice, non esiste più niente di ovvio. Decisivo che l’osservatore diventa responsabile della propria osservazione. (Foerster, Pörksen, 2001).

Quindi, la cibernetica di secondo ordine è quelle delle macchine non banali; quella dei sistemi viventi; quella del linguaggio, dei paradossi, della logica circolare. La cibernetica di primo ordine è quella delle macchine banali, dei sistemi non viventi, della logica matematica, della logica lineare.

5x5=Natale

Una delle applicazioni del pensiero foersteriano è quella che riguarda l’apprendimento, e quindi l’insegnamento nei sistemi di istruzione delle società occidentali. Ovvero l’acquisizione di concetti che in questo caso specifico, si riferisce agli individui che sono in fase di apprendimento nelle strutture scolastiche del nostro contesto storico – culturale, e che von Foerster definirà la banalizzazione dell’individuo (Foerster, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007). Parliamo quindi di quanto già citato nel capitolo precedente riguardo le “macchine banali” e “macchine non banali”. In riferimento al tema di questo paragrafo ci viene in aiuto un piccolo aneddoto riportato nel film di Giuseppe Tornatore: “Nuovo Cinema Paradiso” (1989), dove nella scuola elementare di un piccolo paesino della Sicilia degli anni ‘40, un

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maestra chiede ad un suo alunno di risolvere un piccolo quesito di aritmetica. Quanto fa 5x5? - chiese la maestra – L’alunno, dopo ripetuti reclami dell’insegnante, con relative punizioni per aver dato risposte non adeguate, raccoglie il suggerimento di un suo compagno che gli mostra il disegno di un abete. L’ultima risposta del ragazzo fu quindi: “5x5=Natale”. Ciò comportò le relative vergate da parte della istruttrice, come del resto a quel tempo era in uso se non si faceva “giudizio” e non si rispondeva come di “dovere” ad una domanda. Ecco un esempio di come banalizzare una macchina non banale direbbe von Foerster. Banalizzazione data da domande delle quali si sa già la risposta. Domande illegittime, direbbe lui, perdendo così lo statuto di domanda. Domande legittime, invece, sono tutte quelle per le quali non si conosce risposta. Dove la risposta è tutta da costruire e da inventare.

Ma quale è la differenza tra “macchine banali” e “macchine non banali”? La loro diversità la si può riassumere in una piccola tabella come la seguente (Foerster, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007):

Macchine Banali

Determinate sinteticamente Indipendenti dalla storia Determinabili analiticamente Prevedibili

Macchine non Banali

Determinate sinteticamente Dipendenti dalla storia Indeterminabili analiticamente Imprevedibili

Come si può vedere nonostante tutte e due siano determinate sinteticamente, si possono notare tre fondamentali differenze. La prima è quella che riguarda un concetto importante per Heinz von Foerster, il “fattore temporale”. Le macchine banali infatti non sono passibili ai cambiamenti, sono indipendenti dalla loro storia. La loro tendenza all’omeostasi le rende statiche. Le macchine non banali, al contrario, dipendono dalla loro storia, dagli eventi e dalla contingenza, tali da modificarne la struttura e l’organizzazione delle stesse.

Le macchine banali sono determinabili analiticamente, sono macchine complicate, a causa della loro struttura ed organizzazione si può capirne il funzionamento e prevederne i risultati:

La macchina banale è attendibile, gli apparati interni rimangono sempre gli stessi. Determinabili, indipendenti dal passato (Foerster, Pörksen, 2001).

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Essa risponde alla logica input – output. E’ l’idea fissa di tutti i sostenitori dell’idea di causalità lineare. (Foerster, Pörksen, 2001).

La complessità15, contrariamente, è ciò che caratterizza le macchine non banali, così come l’imprevedibilità del loro comportamento. Gli esseri viventi sono quindi delle macchine non banali, imprevedibili, determinati dal proprio passato. Il mondo intero è una macchina non banale (Foerster, Pörksen, 2001). Per quanto riguarda i sistemi viventi, in particolare gli “esseri” umani, egli tenterà di abolire il verbo “essere” e cambiarlo con il verbo “divenire”, a sottolineare il continuo cambiamento al quale siamo sottoposti. Il verbo “essere” come “causa” del pensiero lineare (Foerster, Pörksen, 2001).

Nel momento in cui si dice “è”, si ferma tutto, si diventa onnipotenti, perché “è” è la verità. In questa epoca moderna, si sa qual è la verità, la verità sta nell’essere (Foerster, Pörksen, 2001).

Essendo l’uomo una macchina non banale, è sempre in questione, quindi sempre in divenire. In continuo cambiamento così come lo è l’ambiente che lo circonda, con il quale interagisce. E quando un sistema smette di evolvere, si blocca, fino al punto che il sistema muore. Gli psicoterapeuti della famiglia lo sanno bene, l’hanno potuto constatare nella professione clinica, i sistemi umani che stanno male sono i sistemi bloccati (Cecchin, Barbetta, Toffanetti, 2005).

15 Per comprendere meglio la differenza tra i termini “complessità” e “complicato” vedi cap. “Un discorso di complessità”.

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La responsabilità di von Foerster

La personificazione della conoscenza

Sin dai tempi della frequentazione del Circolo di Vienna, Heinz venne ispirato dal discorso interdisciplinare che là si professava, tanto che nel Biological Computer Laboratory approfondì quest’idea. La conseguenza fu che il suo pensiero, quello cibernetico di secondo ordine, con tutte le sue “verità”, diede adito alla sua applicazione in diversi campi di indagine sia scientifica che in quella sociale. Alcune delle sue applicazioni le passeremo in rassegna in questo capitolo, fino ad arrivare a quella che a noi interesserà di più, ovvero la complessità del contesto terapeutico.

L’aspetto più connesso ad un discorso cibernetico è sicuramente quello sull’Intelligenza Artificiale, la scienza che studia l'abilità di un computer di svolgere funzioni e ragionamenti tipici della mente umana. Von Foerster sin dagli anni del suo lavoro come ricercatore e docente nell’Università dell’Illinois, si dedicò alla questione della possibilità di costruire delle macchine in grado di eguagliare le qualità cognitive del cervello umano. E’ proprio in quegli anni di studi che si viene a formare anche il suo pensiero costruttivista. Esso è collegato al discorso della realizzazione di macchine pensanti in quanto riguarda la costruzione della realtà. Von Foerster asserisce che ciò che noi denominiamo come realtà, la realtà esterna, oggettivabile, tangibile, quella che tutto noi pensiamo di conoscere bene, è il frutto di una costruzione, costruzione condivisa. Egli parte dal presupposto che tutto ciò che percepiamo non è altro che grandi quantità di impulsi elettrici i quali vengono computati nel cervello umano, “il mondo non racchiude nessuna informazione” (Foerster, Pörksen, 2001). “Il sistema nervoso trasforma i segnali neuronali in altri segnali neuronali” (Foerster, 1985; Porr, Wörgötter, F., 2005). Computare significa “considerare le cose insieme” (Foerster, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007), fu così che si decise di chiamare queste macchine artificiali “computer”, macchine che mettono insieme gli impulsi che arrivano all’interno dei loro circuiti. La tentazione di dire che questi cervelli artificiali funzionano come il cervello degli esseri viventi è molto forte. Tanto da essere una delle aporie che divideva la cibernetica e l’Intelligenza Artificiale. I computer funzionano come il cervello umano? Heinz risponde con queste parole alla domanda proposta da Bernhard Pörksen (2001):

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Ciò che sembra decisivo, è che il computer o una qualche macchina vengono prodotti sinteticamente: sono costruiti da noi e perciò noi sappiamo anche come funzionano. (Foerster, Pörksen, 2001).

mentre, nel funzionamento del cervello umano a tutt’oggi, nonostante siano stati fatti grandi passi in avanti, rimangono ancora cose da scoprire o da “inventare”. Lo stesso von Foerster agli inizi della sua carriera di cibernetico usava il termine computare per entrambi i processi del sistema nervoso e quello delle macchine, ma fu uno dei primi a farne notare la differenza. Così come fece notare la tendenza ad antropomorfizzare e romanticizzare ciò che apparivano essere funzioni “intellettuali” delle macchine (Ziemke, T., 2005). Computer e mente sembrano essere, quindi, due termini che non possono essere comparati, così come dice Tom Ziemke:

[…] cognitive science, and for abvious reasons AI in particolar, during the 1960s and 1970s grew up under the influence of an all too literal interpretation of their own computer metaphor for mind, and they are still today recovering only slowly from this childhood trauma16. (Ziemke, 2005).

Dreyfus (1979) seguendo l’esempio di Heidegger (1962) affermò che i computer dell’Intelligenza Artificiale erano solo descrizioni isolate di piccole parti della conoscenza umana “viste dall’esterno” e che il programma stesso non poteva essere situato in nessuna di queste descrizioni (Ziemke, 2005). Quindi i computer potevano essere visti come sistemi osservati, non sono delle macchine non banali come Von Foerster aveva teorizzato con la sua cibernetica di secondo ordine, (la cibernetica dei sistemi che osservano o osservanti) (Foerster, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007), le macchine non banali e complesse sono i sistemi viventi. I computer, quindi, sono macchine banali. Cosa ci rende diversi da essi? E riusciremo mai ad eguagliare artificialmente la mente umana? Humberto Maturana afferma che la domanda contiene in se un aspetto fuorviante, essa dovrebbe essere formulata in questo modo: “are we mere robots guided in their existence by emotion?”.17 (Maturana, 2005). Sottolineando che le 16 …le scienze cognitive, e per ovvie ragioni, in particolare l’Intelligenza Artificiale, durante gli anni ’60 e ’70 crebbero sotto l’influenza di una interpretazione troppo letterale della loro metafore del “computer come metafora della mente”, e a tutt’oggi stanno lentamente guarendo dal questo trauma infantile. (trad. mia). 17 “siamo noi forse robot guidati dalle emozioni nella propria esistenza?” (trad. mia).

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emozioni sono una concetto fondamentale per distinguerci dalle macchine artificiali. Maturana si chiede, se anche noi forse, non siamo dei robot che esprimono emozioni. Maturana aggiunge che le emozioni e l’auto-coscienza tipica di noi umani potrebbero essere replicate in un futuro forse nemmeno così lontano, ma solo se probabilmente riuscissimo a ricreare un struttura plastica artificiale simile al cervello. (Maturana, 2005). Egli non esclude che ciò un giorno possa accadere e conclude così:

The fundamental questioni is not if we can make robots capable of self consciousness, but, do we want to creat them, and what purpose? We do not have to do all that we can do. The basic question is, what world do we want to creat through wanting to do what we want to do? (Maturana, 2005)18

L’affermazione di Maturana non mette in dubbio le capacità umane con le quali un giorno si potrà realizzare un cervello sinteticamente simile a quello umano tale da ricreare in queste macchine una autocoscienza affine a quella umana. Essa tratta un discorso meta o epistemologico, nonché etico (in riferimento sempre all’etica implicita di von Foerster) che richiama alla responsabilità delle nostre azioni, di ciò che creiamo, costruiamo e alla necessità di realizzare ciò che pensiamo di poter creare.

18 La questione fondamentale non è se noi siamo in grado di costruire robot con una autocoscienza, ma, se vogliamo proprio crearli e a quale scopo? Noi non dobbiamo creare tutto ciò che siamo in grado di creare. La questione di base è che mondo vogliamo costruire attraverso il voler fare ciò che vogliamo fare? (trad. mia).

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Il discorso clinico

La collisione dei punti di vista

C’è un termine inventato da Marshall McLuhans per indicare la tipicità del pensiero foersteriano che, come capita spesso nelle traduzioni, perderebbe di significato se venisse tradotto in un'altra lingua. “Collide-oscope”, (Bexte, 2005) così egli lo definisce, un incontro di punti di vista. Nell’articolo di Peter Bexte, (ancora una volta si parla di costruzione della realtà e dell’incertezza delle nostre percezioni), utilizza proprio quel termine. Egli fa riferimento ad un seminario che von Foerster tenne presso l’Art Departement dell’Università dell’Illinois, lezione che riguardava la percezione. Egli mostrò al pubblico una serie di diapositive che rappresentavano dei quadri famosi, riproduzioni originali e false riproduzioni. I partecipanti avrebbero dovuto distinguere tra le due versioni. L’eterogeneità del pubblico era ciò che distingueva il seminario e così il risultato dell’esperimento fu sorprendente. Infatti emerse che la maggior parte degli esperti d’arte lì presenti scambiassero i falsi con quelli veri, mentre i non esperti del settore indovinassero quali erano gli originali. Ecco un esempio di false percezioni, e come si debba stare attenti all’esperienza acquisita e alle nostre aspettative, le quali incidono sul nostro giudizio:

Perception is nothing we should take for granted. It is based on an interplay of distinctions and connections we have to adjust again and again. The whole process is highly influenced by expectation19. (Bexte, 2005).

I meno competenti d’arte avevano più possibilità di guardare le diapositive raffiguranti i quadri, falsi o veri che fossero, con premesse differenti dagli altri, tali da notare particolari che probabilmente per gli esperti erano dati per scontati. Dall’esempio sopra citato emerge anche l’importanza dell’interdisciplinarietà, della collisione dei punti di vista, in quanto uno sguardo alle cose con premesse diverse porta a risultati più affidabili. Questi personaggi, direbbe von Foerster, forse, “non vedevano di 19 La percezione non è niente che noi dovremmo prendere come garanzia. E’ basata sull’interazione tra la distinzione e la connessione che dobbiamo sistemare tutte le volte. L’intero processo è altamente influenzato dalle aspettative. (trad. mia).

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non vedere”, così come dall’esempio che spesso si trova negli scritti di Heinz. Il “principio del punto cieco” (Foerster, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007), paradigma del costruttivismo, spesso da lui utilizzato per spiegare quanto sia fragile la nostra percezione del mondo. Il punto cieco non è altro che il punto di connessione del nervo ottico con la retina. Quindi ne troveremo uno sia sull’occhio destro che su quello sinistro. L’esempio che von Foerster propone è il seguente:

Tenete il foglio con la mano destra, chiudete l’occhio sinistro e fissate la stella. Ora avvicinate il foglio lentamente mantenendo sempre lo sguardo sulla stella, partendo da una distanza di circa 30 cm, il pallino nero ad un certo punto sparirà dal vostro campo visivo, mentre la stella rimarrà sempre ben visibile.

Con questa piccola dimostrazione von Foerster ci suggerisce una variante di quella che viene definita l’ignoranza socratica “I know that I don’t know, but many don’t even know that”20 (Foerster, 1995; Thomas, 2005) asserendo: “Non vedo di non vedere” (Foerster, 1987). Ecco cosa accade probabilmente in un sistema familiare. Nello studio dei terapeuti, infatti, arrivano sistemi bloccati che non riescono a vedere il proprio circuito riflessivo, disfunzionale per il sistema tale da crearne disagio patologico, per l’intero sistema e in particolare per uno degli elementi di esso “il paziente designato” (Selvini Palazzoli, Cirillo, Selvini, Sorrentino, 1988). Il sistema praticamente “non vede di non vedere”; ciò che gli sta accadendo è proprio lì sotto i suoi occhi ma non lo vede. Cosa dovrebbe accadere in un contesto terapeutico sistemico relazionale, per smuovere il sistema bloccato? A tale proposito von Foerster dice: “If I don’t see I am blind; but if I see I am blind, I see”21 (Foerster, 1984a; Thomas, 2005). Uno dei compiti dei terapeuti, sarà far prendere coscienza del proprio punto cieco; che la propria realtà è uno dei punti di vista possibili.

Il lavoro del terapeuta come sostituzione della realtà che procura dolore con una meno penosa e meno dolorosa (Foerster, Pörksen, 2001). Compito del terapeuta è quindi secondo Heinz von Foerster:

20 So di non sapere, ma molti non sanno nemmeno questo” (trad. mia). 21 Se io non vedo, sono cieco; ma se io vedo che cieco, io vedo. (trad. mia).

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[…] nell’invitare queste persone, che interagiscono in questo ambito, a una nuova condotta personale, nell’allettarle a cercare altri valori basilari, che formino nuovi valori personali (Foerster, Pörksen, 2001).

Ampliare le possibilità di scelta

Come il lettore avrà notato stiamo entrando nel vivo della collisione del pensiero di von Foerster con il contesto terapeutico. Ci avviciniamo sempre di più a definire i concetti di “responsabilità” e “cibern-etica” nel discorso di una pratica clinica, nello specifico del discorso della “complessità” della terapia sistemico relazionale. La famiglia come sistema complesso che interagendo con il terapeuta viene a costituire un unico sistema di relazioni. Sistema che si auto-organizza in modo tale da funzionare il miglior modo possibile. Ma questo come vedremo non accade quando la famiglia che chiede aiuto al terapeuta è in una fase di staticità, ha smesso di “divenire”. I sistemi umani che stanno male sono i sistemi bloccati (Cecchin, Barbetta, Toffanetti, 2006). Come vedremo, il paziente che la famiglia porta in terapia “il paziente designato” (Selvini Palazzoli, Cirillo, Selvini, Sorrentino, 1988) è la dimostrazione dell’incapacità del sistema familiare di uscire dallo stallo. “Il comportamento sintomatico tende ad essere velocemente incorporato come parte di tutta l’organizzazione della realtà della famiglia, e la loro attivazione prontamente attiva o definisce i ruoli. I sintomi e i corrispondenti comportamenti complementari di un membro non sintomatico costituiscono dei potenti marcatori che contribuiscono al ripresentarsi, riconfermare e riattualizzare gli accordi della famiglia riguardo la punteggiatura, vedute, valori e norme […] catturati in un “gioco senza fine” (Sluzky, 1983, trad. mia), o come ci insegna von Foerster, in un circuito cibernetico auto-referenziale, dove gli elementi del sistema “non vedono di non vedere”. Compito del terapeuta è quindi far “de-lirare”22 il sistema, farlo deviare da quella realtà che si è creata in un certo momento della sua esistenza. E’ in questo frangente che si inserisce l’imperativo etico di von Foerster “Agisci in modo da aumentare le possibilità di scelta” in quanto l’attività e la partecipazione del terapeuta alla narrazione del sistema fa si che si aprano nuove possibilità. Egli ribadisce “[…] l’aumento delle possibilità di scelta ha questo vantaggio pratico, se io descrivo in diversi modi lo stesso fenomeno creo mondi possibili, cioè costruisco il senso in modo molteplice

22 Delirare significa uscire dal solco, la lira come veniva definito all’epoca dei romani il solco lasciato dall’aratro.

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[…]” (Cecchin, Barbetta, Toffanetti, 2005), e il terapeuta cerca di facilitare la creazione di questi nuovi mondi possibili. E come li può creare? Heinz chiama in causa il linguaggio, importante veicolo con il quale diamo significato a ciò che percepiamo, e che ci permette, essendo il linguaggio una sistema di significati condiviso, di creare una realtà condivisa: “[…] aumento le mie possibilità di scelta se posso riconoscere che il mio linguaggio è ‘inventato’, e, quindi, posso abbandonarlo, modificarlo, cambiarlo (Bertrando, Bianciardi; Barbetta, Toffanetti, 2006). “[…] il termine ‘possibilità di scelta’ debba intendersi come riferito al linguaggio secondo cui ordinare l’esperienza e dare forma ad un mondo, piuttosto che riferito a qualcosa di ‘concreto’, misurabile, quantificabile.” (Bertrando, Bianciardi; Barbetta, Toffanetti, 2006). Questo fa si che ciò che cambiamo non è il mondo, in modo da far diminuire le possibilità di scelta dell’altro e aumentando le mie, in quanto ciò che cambia è il modo con cui guardo il mondo:

“[…] l’intendere la ‘scelta’ come scelta di un nuovo linguaggio per inventare la realtà soggettiva, o come scelta di una possibile altra narrazione dell’esperienza, sgombra il campo da qualsiasi rischio che maggiori possibilità di scelta per me implichino minori possibilità di scelta per l’altro”. “[…] se parliamo di ‘oggetti’ concreti, è ovvio che ove l’uno abbia maggiori possibilità di scegliere gli oggetti che preferisce, la possibilità di scelta diminuirà per l’altro; ma se parliamo dei modi di ‘vedere’ gli oggetti, è altrettanto ovvio che le maggiori possibilità di scelta per l’uno possono divenire maggiori possibilità di scelta per l’altro.” (Bertrando, Bianciardi; Barbetta, Toffanetti, 2006).

A livello etico Marcelo Pakman nella pratica del contesto terapeutico, si pone delle precise domande (Pakman; Barbetta, Toffanetti, 2006):

Quali sono le alternative e le possibili interpretazioni di questa situazione?

Come possiamo descrivere la situazione e le possibili interpretazioni da adesso in poi?

Dando rilevanza a questo tempo come una cosa giovevole, lo consideriamo non dal fatto che è desiderabile in sé per accrescere il numero di possibilità?

Quali altre alternative sono presenti al momento attuale, ma per qualche ragione non vengono seguite?

C’è modo di ripristinare qualcuna di queste alternative?

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Si può esplorarne qualcuna e renderle più esplicite possibile, moltiplicando i dettagli per esprimerle, disegnando possibili scenari prevedendo la maniera in cui la gente può cambiare posizione in proposito?

Ci sono altre persone coinvolte che possiamo vedere, potremmo vedere, o potrebbero mostrarci un’altra alternativa o interpretazione?

Quali sono, caso per caso, le fonti e le conseguenze delle interpretazioni alternative implicate in questa situazione?

Ad esse, Pakman, continua con alcune che rispondono all’imperativo estetico23: “se vuoi vedere impara ad agire” ovvero riguardo il fatto di scegliere tra le opzioni e ciò che dobbiamo imparare per vederle accadere:

Tra le opzioni, le interpretazioni e le loro conseguenze che abbiamo discusso, quali il nostro cliente preferisce veder accadere?

Quali sono i criteri per cui queste vengono preferite?

Quali sono i parametri usati per giudicarli preferibili in ordine al loro accadere?

Quali sono i parametri che usa la gente coinvolta nella vicenda?

Quali sono i conflitti che sorgono quando vede alcune opzioni come più desiderabili secondo certi criteri, ma non secondo altri?

Quali sono i valori? Piacere? Benessere? Lealtà? Ecc.?

Tramite queste domande emerge spontanea la responsabilità del terapeuta nella conduzione della terapia, e dell’influenza che egli potrebbe avere sulle scelte del cliente. Alan Tjelveit (1999) a tal proposito, asserisce che la conversione dei valori e della teoria etica del cliente a quelli del suo terapeuta è, prima facie, non etica” (Bertrando, Bianciardi; Barbetta, Toffanetti, 2006) e che quindi come dice anche il codice deontologico della materia in questione, il terapeuta non dovrebbe influenzare i valori o le scelte del cliente (Bertrando, Bianciardi; Barbetta, Toffanetti, 2006). Ma se in terapia arrivasse Himler? - si domandano Bertrando e Bianciardi – al quale chiediamo di fare appello alla responsabilità delle proprie scelte, egli potrebbe rispondere che faceva appello ad un’assunzione di responsabilità verso il Führer o al popolo tedesco. E quale era la responsabilità del Führer

23 Vedi anche il capitolo su “Gli imperativi etici”

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o del popolo tedesco? Ebbene la responsabilità che ci chiede di assumere Heinz von Foerster è di secondo ordine. Responsabilità della responsabilità. Himler è responsabile della responsabilità del popolo tedesco o del Führer. Tutto ciò che faccio cambia il mondo. Tutto ciò che faccio è in relazione con l’Io e il Tu (Bertrando, Bianciardi; Barbetta, Toffanetti, 2006) in modo tale che tutto ciò che faccio agli altri avrà ripercussioni anche su di me, per il principio di riflessività e ricorsività di cui tanto ci ha parlato Heinz von Foerster. “La responsabilità delle mie scelte è una responsabilità di secondo ordine” (Foerster, Pörksen, 2001).

La diagnosi come costruzione sociale della malattia

Nel contesto terapeutico sistemico relazionale la patologia viene intesa come espressione di un disagio che coinvolge tutto il sistema nella sua struttura ed organizzazione. La famiglia che arriva in terapia, al contrario, mossa dalla speranza di risolvere il problema di uno dei suoi componenti, si rivolge al terapeuta per confermare la propria realtà, per dare uno statuto di certezza a ciò che sta accadendo al membro malato, definendolo con il termine che il contesto storico culturale di quel momento identifica chi è portatore di una certa patologia. Ciò è dato dal fatto che noi umani non possiamo psicologicamente tollerare di vivere in un mondo al quale manca un ordine logico (Watzlawick, 1984; Nardone e Portelli, 2005). Quindi, lo strumento diagnostico stesso è uno mezzo per costruire questo ordine logico che noi chiamiamo realtà e nello specifico che chiamiamo disturbi mentali (per es. depressione, schizofrenia ecc.).

Therefore, the same diagnostic tools that were intended to better our understanding of an incomprehensible situation, end up creating a conditioned self-conforming reality. (Nardone, Perletti, 2005).24

Muovendosi dal rigido paradigma dei disordini mentali della letteratura psichiatrica e del DSM-IV R, il modello sistemico relazionale e quindi costruttivista considera la patologia come espressione della disfunzionalità dei sistemi nella rappresentazione della propria realtà (Nardone, Portelli, 2005). I primi ad utilizzare il paradigma costruttivista, mettendo in pratica il concetto di costruzione della realtà, nonché, 24 Perciò, gli stessi strumenti diagnostici intesi per migliorare la nostra comprensione di una situazione incomprensibile, finiscono per creare e condizionare una realtà che si auto-conferma (trad. mia).

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costruzione della malattia sono stati i pionieri del Mental Research Institute di Palo Alto in California. Capitanati da Don Jackson, John Weakland, Gregory Bateson e Paul Watzlawick et all., porta nel contesto terapeutico della terapia familiare un nuovo metodo di cura denominata Terapia Breve Strategica (Brief Therapy). Per illustrare come le etichette possano essere auto-referenziali, Nardone e Portelli (2005), raccontano di un episodio accaduto presso l’ospedale di Grosseto nell’aprile del 1989. Una donna viene momentaneamente ricoverata nell’ospedale della cittadina in questione a causa di un episodio maniaco depressivo, così diagnosticato. Essendo l’ospedale lontano da casa, decidono di trasferire la donna in un'altra struttura con all’interno un reparto specializzato per queste patologie, che sia vicino la residenza della donna. Fu così che quando venne il momento di trasferire la paziente, il personale dell’ambulanza trovò accanto al letto della degente una donna (la paziente era in quel momento in bagno) che asseriva di esserne la sorella. Con tutte le rimostranze di quest’ultima, anche in modo violento, il personale infermieristico riuscì, dopo averla sedata, a caricarla sull’ambulanza. La donna venne sedata più volte durante il tragitto. La polizia, poco dopo, fermò l’autoambulanza, con sorpresa dell’equipaggio, avvisandoli che stavano trasportando la persona sbagliata. Ecco un esempio di come la diagnosi può inventare la malattia. Infatti, la reazione della sorella della paziente avrebbe potuto essere quella tipica di un disturbo psicotico di depersonalizzazione (così come definisce il DSM), ben interpretato dal personale infermieristico, ben istruito su come si sarebbe potuta comportare una paziente del genere.

But, who, in her place, would not have protested or expressed “depersonalisation”25? (Nardone, Portelli, 2005)26

Nardone e Portelli nel loro articolo (2005) fanno anche riferimento ad un esempio di diagnosi, ormai diventato un classico. Si riferiscono alla soppressione dalla definizione di patologia, sotto il nome di perversione, riguardo all’omosessualità, tolta nel DSM III R del 1972 a causa delle pressioni dei diritti sui gay negli Stati Uniti. Oltre ad evidenziare l’effetto normativo e auto-referenziale dell’etichettamento di una patologia,

25 In psicopatologia, depersonalizzazione è lo stato in cui un individuo non percepisce più la realtà di sé nel mondo, e si sente e dichiara di essere un'altra persona. E’ uno stato mentale tipico delle psicosi. 26 Ma, chi al suo posto non avrebbe protestato nella stessa maniera o avrebbe espresso una depersonalizzazione? (trad. mia).

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sottolinea come il contesto storico-culturale incida sulla costruzione della realtà e in questo caso sulla definizione di ciò che è normale e ciò che è deviante. “[…] malattia e salute non sono grandezze statiche, ma devono essere valutate di volta in volta nel loro specifico sistema di relazioni” (Foerster, Pörksen, 2001). Del resto lo stesso von Foerster disse che siamo “esseri in divenire”, cambia la società, cambia il linguaggio con cui diamo ordine logico alla nostra realtà. “Ciò che è stato ‘insano’ da una definizione improvvisamente diventa ‘sano’ sempre da una definizione” (Nardone, Portelli, 2005, trad. mia). La diagnosi psichiatrica tradizionale, classificando la differenza tra normale e ciò che è anormale, rischia di essere intrappolata in interazioni con i pazienti che auto-confermano la diagnosi stessa. Era già conosciuto da Kant il fatto della costruzione della realtà solo nominando qualcosa (Nardone, Portelli, 2005) e Spencer Brown in “Laws of Form” (1972), distingueva il linguaggio che prescriveva la realtà, per esempio quando un soggetto è descritto come “psicotico”, la sua famiglia lo tratterà come tale, (Nardone, Portelli, 2005) anche se la diagnosi fosse errata, egli finirà per convincersi di essere psicotico. “Il risultato di questa complessa interazione dei processi di comunicazione e relazione è che il soggetto stesso conferma la “profezia diagnosticata” (Brown, 1973; Nardone, Portelli, 2005, trad. mia). Se il soggetto percepisce di avere un problema, (o gli viene diagnosticato quel tal problema) finirà per percepirlo come tale. Heinz von Foerster direbbe che il problema è solo un problema in quanto è percepito come tale da qualcuno, altrimenti non c’è nessun problema (Anger-Diaz, 2005). I paladini della terapia Breve Strategica concludono dicendo che:

[…] each of us constructs reality that we then become subject to. From this perspective, a mental disorder is also the result of interactions between a person and reality. In this case, it is a disfunctional mode of perception and reaction to certain realities that is, of course, connected with the subject’s relationship with self, others and the world. (Nardone, Portelli, 2005).27

Gianfranco Cecchin in questo caso, d’accordo con la prospettiva della scuola di Palo Alto, afferma che le interazioni forniscono le opportunità e i limiti al nostro mondo (Cecchin, 1998). Egli passa dal paradigma

27 …ognuno di noi costruisce realtà delle quali ne diventiamo soggetti. Da questa prospettiva, un disordine mentale è anche il risultato dell’interazione tra una persona e la realtà. In questo caso è un modo disfunzionale di percezione e reazione a certe realtà che è, naturalmente, connesso tra la relazione del soggetto e se, gli altri e il mondo. (trad. mia).

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dell’energia a quello dell’informazione dove la comunicazione diventa un processo sociale in cui le informazioni vengono costruite socialmente. Con la pratica clinica, Cecchin et all. hanno potuto notare che le relazioni all’interno di una famiglia disfunzionale erano relazioni di potere, non per mettersi in scacco l’un l’altro - e quindi avere più potere degli altri ma – cercavano di dare un senso alla loro relazione […] e gareggiare per il potere era solo uno dei tanti modi con cui la gente cerca di darsi un senso (Cecchin, 1998). E questo accade quando altre opzioni non vengono viste o non sono disponibili.

Psicoterapia cibernetica, una questione irrisolvibile

Therapie! In der Tat, welch eine Magie! Sprache! In der Tat, welch eine Magie!

Heinz von Foerster

Questioni risolvibili sono quelle la cui risolvibilità è assicurata dalle regole del gioco e i formalismi che si devono comunque accettare (Foerster, Pörksen, 2001). Una questione risolvibile risponderebbe quindi ad una domanda illegittima, ovvero si sa già la soluzione, la quale è accettata dal contesto sociale nel quale viene posta, un esempio classico che von Foerster propone è quella dell’insegnante che a scuola chiede il risultato di un’operazione aritmetica (Foerster, Pörksen, 2001), e che come sappiamo porta alla banalizzazione dell’individuo. Questioni irrisolvibili sono quelle che possiedono una quantità di risposte possibili. Un esempio di questione irrisolvibile potrebbe essere paragonato alla risposta di una domanda legittima, alla quale non si può dare una risposta certa, per esempio, il senso della vita o la continuazione della vita dopo la morte (Foerster, Pörksen, 2001). Ma qual è l’importanza di questo nuovo concetto di von Foerster, e soprattutto perché nel discorso clinico? Perché nel momento che io ho risolto una questione irrisolvibile entra in gioco la “responsabilità” (Foerster, Pörksen, 2001). Ebbene, il sistema familiare che arriva in terapia, ovvero il sistema bloccato che porta all’interno di se il paziente designato, che fa da capro espiatorio per la disfunzione delle relazioni all’interno di esso, continua a rispondere a questioni irrisolvibili, ma in maniera disfunzionale. I soggetti che partecipano alle relazioni di quel sistema conoscono bene le regole del gioco, che continuano ad applicare, per risolvere le “questioni” che incontrano, soprattutto quando si tratta di risolvere il problema del paziente designato, una “questione irrisolvibile”, appunto. Noi lavoriamo con persone che lottano in linea di

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principio con questioni irrisolvibili (Hoffmann, 2005, trad. mia). Ilka Hoffmann fa notare come il tentativo di risolvere queste questioni (irrisolvibili) venga messo in atto con le stesse regole del gioco; regole del “senso comune” (Hoffmann, 2005) di una logica lineare dove si utilizza la particella disgiuntiva “o” per potersi mettere in una posizione che dia un senso di stabilità alla propria realtà e che porti probabilmente alla soluzione della questione. Per esempio, giusto o sbagliato, con me o con loro, buono o cattivo, vincente o perdente, (cfr. Ugazio, V., [1998], Storie permesse storie proibite. Polarità semantiche familiari e psicopatologia. Bollati Boringhieri, Torino). Esse sono tutte soluzioni che la famiglia prende, non basandosi su decisioni personali, ma su ciò che è la verità per quella famiglia (Hoffmann, 2005). Ovvero una realtà esterna che deresponsabilizza il soggetto dal prendere le proprie decisioni, in quanto si basa sulla realtà percepita anziché sulla coscienza di una realtà definita socialmente. L’idea cardine che von Foerster propone, è quella di “complementarità”, (anziché dicotomia) della definizione della realtà e visione del mondo, e anche delle posizioni nelle relazioni all’interno del sistema. Utilizzando la congiunzione “e”, Hoffmann fa notare, sotto l’influenza del pensiero foersteriano, la possibilità di tener conto di entrambe le posizioni (Hoffmann, 2005). Servendosi dell’esempio sopra citato: buono e cattivo, giusto e sbagliato, vincente e perdente e così via, ognuno è responsabile della propria scelta che prenderà, della propria posizione nel proprio contesto relazionale, sapendo che ogni decisione, ogni risposta ad una questione irrisolvibile amplierà le possibilità di scelta. La risposta ad una questione irrisolvibile non risulterà un unica possibilità di vedere il mondo (per es. la realtà è questa o è quella) ma aprirà la possibilità a nuove costruzioni e opzioni (per es. la realtà è questa e è anche quella). Come direbbe von Foerster: “We can choose who we wish to become when we have decided on an in principle undecidable question”28 (Hoffmann, 2005). Come mai risulta così difficile accettare l’idea che entrambe le posizioni sono possibili e forse persino utili? – si domanda Hoffmann (2005, trad. mia) – come mai la complementarietà risulta così difficile da accettare? Bene, questa potrebbe essere un questione irrisolvibile. Hoffmann risponde dicendo che il prendere decisioni comporta tollerare insicurezza e disagio e che necessita di flessibilità – quella flessibilità che un sistema bloccato non può avere e che creerebbe un disequilibrio nel sistema, tale da richiedere energia e fatica per riequilibrare il tutto – flessibilità richiede libertà e libertà richiede responsabilità, responsabilità delle decisioni da prendere, allora ci si rivolge a qualcuno di 28 Noi possiamo scegliere chi diventare quando abbiamo deciso su una principale questione irrisolvibile (trad. mia).

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esterno che ci dica ciò che è giusto o ciò che è sbagliato, in modo da toglierci ogni responsabilità. (Hoffmann, 2005). Ma qual è la posizione del terapeuta in questo contesto? Cosa direbbe von Foerster a tal proposito?

Danzando insieme “You can’t tango alone, you need two to tango”

Heinz von Foerster

L’inclusione dell’osservatore nei processi conoscitivi implica infatti che le definizioni di regolarità di funzionamento di una persona o di una famiglia non siano caratteristiche di quella persona o di quella famiglia, ma descrizioni del terapista. […] secondo le proprie mappe, egli vede ciò che il punto di vista che adotta gli permette di vedere. (Fruggeri, 1998) Nell’approccio sistemico, o se vogliamo, che si ispira al pensiero di von Foerster, il terapeuta diventa parte di unico sistema con il proprio cliente (Anger-Diaz, 2005), un sistema complesso, che si intreccia alle azioni che emergono dalle interazioni con il cliente. “Noi diventiamo parte del loro mondo, […] loro diventano parte del nostro. Effettivamente, insieme ne inventiamo uno nuovo” (Anger-Diaz, 2005, trad. mia). Terapista e cliente danzano insieme. Anger-Diaz si serve non a caso una metafora che von Foerster già utilizzò per spiegare il principio stabilito costruttivista, egli si definiva uno che “danza con il mondo” (Anger-Diaz, 2005). Il terapista, quindi, danza con i propri clienti una danza che emerge passo dopo passo.

Ora, per danzare con qualcuno, dobbiamo adattarci ai passi dell’altro, e nel processo dell’apprendimento di come ballare con un altro, noi creiamo una particolare danza, un modo di vedere, un comprenderci a vicenda. (Anger-Diaz, 2005, trad. mia).

Adattarsi ai passi dell’altro significa comprendere i suoi moventi, le sue azioni e i pensieri che lo guidano. Danzare con il cliente significa anche capire in che relazioni muove i passi, come sono costruite e come le vive. Il terapista muove i passi di danza con il cliente, senza farsi guidare o guidare egli stesso una danza particolare già conosciuta, ma tenterà di aprire a nuovi passi ed evoluzioni.

Abbandonando la metafora della danza Cecchin et all. pur mantenendo l’idea di co-costruzione (o costruzione sociale anche riferita al solo sistema terapeutico) delle possibilità di scelta, parla di “pregiudizi” e

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“ipotesi” per la costruzione di nuove narrazioni e nuove possibilità (Cecchin, 1998).

L’ipotesi è un modo di contribuire alla costruzione di una relazione terapeutica. E’ la base di partenza per una conversazione. Il terapeuta, con le sue parole, rivela le proprie idee su ciò che sta succedendo e si connette alla famiglia in modo da creare risonanza in tutti i partecipanti. Questo tipo di risonanza […] è il biglietto di ingresso per essere accolti o invitati alla costruzione di un nuovo sistema (Cecchin, 1998).

Con ciò si capisce che il gioco non dipende più esclusivamente dalla famiglia, ma anche dalla capacità del terapeuta di costruire possibilità differenti da quelle della famiglia. Ma se in terapia la famiglia porta il suo modo di vedere la realtà, così anche il terapeuta porterà nel contesto terapeutico i suoi “pregiudizi”. Proprio come i clienti, egli porta in terapia la propria visione della realtà. Portare i propri pregiudizi in terapia, non significa eliminarli, cosa che risulterebbe al quanto difficile, e non indica nemmeno essere neutrali, ma utilizzarli come risorsa da cui partire per aprire nuove possibilità. Quelle possibilità che Cecchin chiamerà “ipotesi” che, sempre limitate da una base prevenuta, saranno punto di partenza per la co-costruzione di nuovi significati (Cecchin, 1998). Co-costruzione di significati è un complesso momento interattivo, significa che il terapeuta ha in comune la “responsabilità” delle scelte e della realtà che verrà condivisa in quel contesto terapeutico. Responsabilità delle sue convinzioni, di collocarle nel contesto giusto e al momento giusto. Responsabilità che richiamano all’etica di von Foerster, risultato di standard etici che derivano dalla storia personale del terapeuta, dal contesto culturale e dall’orientamento teorico (Cecchin,1998).

“Assumersi la responsabilità del proprio potere di costruzione entro il vincolo dato dal carattere relazionale che ogni costruzione sociale sempre comporta.” (Fruggeri, 1998).

Un invito alla curiosità

Cecchin utilizzando il concetto di ricorsività, caratteristica della cibernetica di secondo ordine, introduce una modalità (nel discorso clinico) comunque cara a von Foerster, quella della “curiosità” (Cecchin, 1998).

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L’idea di curiosità di quest’ultimo era più diretta verso il mondo, verso ciò che accade intorno a noi, più che nello specifico contesto terapeutico. Heinz parlava di “curiosologia”, (Foerster, Pörksen, 2001), ovvero essere curiosi per mettere in discussione ed essere scettici riguardo alla propria realtà, essere scettici persino sul costruttivismo: “Ciò che viene definito costruttivismo, io penso, dovrebbe rimanere semplicemente un atteggiamento scettico, che mette in dubbio le ovvietà del realismo” (Foerster, 1998; Foerster, Pörksen, 2001). Cecchin utilizza proprio questo scetticismo riguardo la visione della realtà, nel dialogo all’interno del sistema cliente e terapeuta. Partendo dalla riflessione sulla neutralità all’interno di un’interazione terapeutica. Come dicevamo, il terapeuta condivide la relazione con i clienti facendo emergere i propri pregiudizi, con la conseguente impossibilità di essere neutrali, astinenti nel prendere una posizione definita rispetto ad un membro della famiglia piuttosto che ad un altro. Neutralità che fino ad allora, (e forse ancora oggi) il terapeuta tentava di coltivare e mantenere, che Cecchin definisce: “La coltivazione di una fredda e distaccata posizione relativista” (Cecchin, 1987, trad. mia). Il pensiero di Cecchin, al contrario, vede ciò che è definita come “neutralità” la creazione di uno stato di curiosità nella mente del terapista (Cecchin, 1987), in quanto la curiosità lo porta ad esplorare e quindi a creare punti di vista diversi che ricorsivamente alimentano la curiosità stessa. E’ proprio per mezzo di questo modo di agire, di esplorare che emergono i significati che gli elementi del sistema familiare danno alle sollecitazioni o alle domande curiose del terapista. Essi generano un senso che può essere definito di neutralità. Ognuno è chiamato in causa. Neutralità che genera rispetto per le persone, gli eventi, le idee e i comportamenti del sistema che ricorsivamente creano un clima di curiosità (Cecchin, 1987). Per far ciò Cecchin utilizza un metodo, con il quale lui stesso assieme a suoi collaboratori ha creato, che viene definito il metodo del Milan Approach. Si tratta di una modalità di conduzione della terapia che si basa su una tecnica particolare nel porre domande che creino proprio questo clima di curiosità da parte di entrambe le parti in interazione (terapeuta e cliente famiglia). Essi utilizzano, come notò lo stesso Heinz von Foerster presenziando ad una di queste sedute, domande che poste ad un elemento del sistema, la risposta da esso data ne coinvolga anche gli altri componenti, facendone emergere così le relazioni e il significato che essi danno a quest’ultime, portandole allo scoperto. Queste domande vengono definite “domande circolari” (Cecchin, 1987). Cecchin, parla di tre principi per condurre la terapia, quello del fare ipotesi “ipotizzazione”, la “circolarità” e la “neutralità”, i quali possono essere visti come interconnessi tra loro (Cecchin, 1987). Infatti, la neutralità, che come abbiamo visto

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precedentemente è utilizzata come sinonimo di curiosità, permette di costruire una molteplicità di ipotesi le quali ci permettono di vedere il modo circolare in cui le relazioni all’interno del sistema familiare sono costituite e quindi aprendo il discorso alla possibilità di fare domande circolari ed essere curiosi e perciò neutrali. Quando questo non accade, significa che l’ipotesi iniziale che è stata fatta con relativa domanda, non teneva conto della circolarità delle relazioni, era quindi una ipotesi lineare di causa effetto, perdendo quella proprietà di curiosità e quindi non riuscendo ad alimentare la costituzione di nessun’altra nuova ipotesi (Cecchin, 1998).

Visone del mondo e intersezione

Altri autori e psicoterapeuti, che hanno incontrato Heinz von Foerster e il suo pensiero, ricorrono alla necessità e alla validità di fare ipotesi per poter condurre una psicoterapia. Una tra questi è Mony Elkaïm (dell’Institute for Family and Human Studies and Free University of Brussels, Belgium) che in un intervista con Monika Bröcker (2003) parla della possibilità di avere strumenti che ci permettano di analizzare i nostri sentimenti, i nostri pensieri e le nostre ipotesi alla luce di un sistema del quale noi facciamo parte (Elkaïm, 2003), quale è, appunto, un sistema terapeutico. Ricollegandosi al concetto di von Foerster sulla costruzione della realtà, ella in prima istanza parla di “Mappa del mondo”, definizione della quale cambierà poi, sotto il consiglio di von Foerster, in “Visone del Mondo”. Il termine “visione”, infatti, richiama il concetto di costruzione della realtà o quantomeno di visione soggettiva del mondo (Elkaïm, 2003). L’autrice in questione utilizza anche un concetto che in principio chiamò “intersezione”, il quale chiariva un certo tipo di regola isomorfica che si viene a formare tra sistemi e sottosistemi. Per esempio stesse modalità di coalizione di due elementi della famiglia in terapia si dimostravano essere le stesse modalità di coalizione tra il terapeuta e il paziente verso lo staff terapeutico e così via. (Elkaïm, 2003). Anche qui si fa sentire l’influenza di von Foerster il quale suggerì di cambiare il termine “intersezione” con quello di “risonanza”. Così disse von Foerster: “Mony, this concept ‘intersection’ is too static. Use the word ‘resonance’. Resonance is more dynamic”29 (Elkaïm, 2003). La domanda a cui tenta di rispondere l’autrice riguardo la risonanza di ciò che il terapeuta sente in un contesto terapeutico quando interagisce con il cliente non è da confondere con il concetto 29 “Mony, questo concetto ‘intersezione’ è troppo statico. Usa la parola ‘risonanza’. Risonanza è molto dinamico” (trad. mia).

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psicodinamico di contro-transfer. Infatti, la domanda da porsi in questa condizione sarebbe quella di chiedersi cosa è che connette la mia storia con quella del paziente, tale da creare quel determinato sentimento verso di lui. Da un punto di vista sistemico, invece, Elkaïm pone l’enfasi su che cosa giova al paziente il fatto di creare nel terapeuta quel determinato sentimento (Elkaïm, 2003).

Per concludere, e riconnetterci al titolo di questo intero capitolo, la responsabilità di Heinz von Foerster è quella di aver dato adito, prendendo la posizione che ha preso, ad una co-costruzione della realtà terapeutica, rispondendo ad alcune delle cosiddette questioni irrisolvibili.

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Responsabilità e CibernEtica di Heinz von Foerster nella Complessità del Contesto Terapeutico

L’ascoltatore, non il parlante, determina il significato

Heinz von Foerster

Auto-Riflessioni

The Ouroboros, a dragon that bites its tail,

is a symbol for self-reference.30

La “causa” che mi ha portato ad intraprendere un percorso di conoscenza e approfondimento del pensiero di Heinz von Foerster e di raccontarlo in questo scritto, (o forse, come potrebbe dire lo stesso von Foerster, il punto dal quale “ho deciso di partire” e raccontare di lui) è stata per mezzo dell’esame di “Psicodinamica delle relazioni familiari” presieduto dallo stesso docente relatore di questa tesi, il Prof. Barbetta. E’ proprio l’incontro con il pensiero di questo autore che, (tramite la lettura di un testo di riferimento dell’esame, “Divenire Umano, von Foerster e l’analisi del discorso clinico”), ha destato in me fascino e curiosità per la tipicità del pensiero foersteriano. Non che si aprisse un mondo a me del tutto sconosciuto, il percorso universitario del corso di laurea prevedeva già al suo interno una vasta letteratura riguardo il pensiero sistemico e della complessità, soprattutto riguardo il contesto terapeutico. Ma da questa lettura è emerso un personaggio degno di attenzione con il quale si poteva interagire, anche se in modo virtuale, tramite i suoi scritti e costruire qualcosa di piacevole e interessante, almeno per me. Suggerito da una frase del Prof. Barbetta, che indicava von Foerster come uno scienziato di grande interesse ma poco considerato, nonostante il suo contributo al cambiamento

30 L’Ouroborus, un drago che morde la propria coda, è un simbolo della auto-referenza (trad. mia).

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epistemologico, sono partito con la domanda che spontaneamente è emersa da quella frase: “Chi era mai questo von Foerster?” (Barbetta, Toffanetti, 2006). Da qui a definire il titolo della tesi sono passati sotto i miei occhi alcuni suoi testi e altri scritti di chi con Heinz ha collaborato o anche l’ha solo conosciuto e/o è rimasto colpito dal suo modo di pensare e di scrivere. Questi sono stati quindi fonte di ispirazione di questa tesi e di questo capitolo. Quest’ultimo è un tentativo di utilizzare i giochi linguistici che caratterizzano la cibernetica, ovvero la circolarità e l’auto-referenzialità del linguaggio. Infatti il titolo di questo capitolo è la tesi, e la tesi è il titolo di questo capitolo. Potremmo anche definire questo capitolo la tesi della tesi, una Metatesi con il suo titolo del titolo, il Metatitolo. Quindi, il Metatitolo della Metatesi. Come ci fa notare Lucas Pawlik (del quale, anch’egli ispirato da von Foerster, possiamo trovare alcuni esempi di giochi linguistici31):

“[..] giochi simili a questi si possono trovare nel ‘Philosophical Investigation’ di Ludwig Wittgenstein, nell’epistemologia Thaoista, così come negli scritti di Lao-tzu o Chuang-tzu, oppure nella teologia medioevale come in ‘The Cloud of Unknowing’” (Pawlik, 2005, trad. mia).

Nel Metatitolo di questo capitolo si evincono alcuni dei termini principali che caratterizzano le riflessioni di Heinz: “Responsabilità”, “Cibernetica”, “Etica”, “Complessità”, “Contesto” e “Contesto Terapeutico”. Altri termini, relativi significati e loro posizioni nei vari contesti li abbiamo già incontrati, parole che fanno da cornice a questi ultimi così come questi ultimi fanno da cornice a quelli già citati. Termini interconnessi tra di loro, intrecciati, in continuo cambiamento a seconda che uno faccia da contesto all’altro in un continuo rimando di significati. E’ mia intenzione spiegare questi termini utilizzando proprio questi giochi linguistici. Ma l’ultimo significato, o forse l’”unico” significato, spetta a chi leggerà queste righe. Così come è l’ascoltatore di von Foerster che determina il significato (Foerster, Pörksen, 2001), così sarà il lettore a determinare il significato di ciò che sta leggendo.

31 “Forget the obeserve: the presence, the paradox and the self – reference”, in Kybernetes, 34, (3/4), 558-566 (2005).

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Responsabilità La Responsabilità di32 Heinz von Foerster è stata quella di parlare di

“responsabilità”. Responsabilità in Heinz von Foerster è la responsabilità nostra di accettare questo termine così come lo intende lui. Responsabilità di Heinz von Foerster è stata quella di esplicitare il suo pensiero, quella di rispondere alle “questioni irrisolvibili”, e una questione irrisolvibile alla quale ha paradossalmente risposto, è proprio che “La verità è l’invenzione di un bugiardo” (Foerster, Pörksen, 2001). Responsabilità in Heinz von Foerster è quella di credere alla frase sopra citata e che lui dicesse la verità, quindi, fosse un bugiardo; noi siamo responsabili dell’ultima decisione che prendiamo al riguardo. Responsabilità di Heinz von Foerster è quella di dire che ognuno è responsabile delle proprie “scelte”. Responsabilità in Heinz von Foerster è la responsabilità delle proprie scelte. Responsabilità di Heinz von Foerster è quella di asserire che l’”etica” è implicita. Responsabilità in Heinz von Foerster è quella che nel contesto terapeutico, cornice alla relazione del terapista con i suoi clienti (sistema complesso) si fa portavoce dell’”etica” e quindi che le scelte da essi intraprese, sono state decise in modo implicito allo scopo di costruire nuove possibilità e significati nelle proprie relazioni, scelte delle quali sono responsabili. Responsabilità di Heinz von Foerster è quella di aver creato differenze di differenze e di aver saputo utilizzare una “logica paradossale”, una logica della logica. Responsabilità in Heinz von Foerster è quella del terapista che utilizza proprio questa logica paradossale per co-costruire punti di vista diversi che permettano ai suoi clienti di smuovere il sistema da suoi circoli patologici. Responsabilità di Heinz von Foerster è quella di essere “parte del mondo” (Broecker, 2004) in cui ha vissuto. Responsabilità in Heinz von Foerster è quella di poter scegliere di essere “a parte del mondo” (Broecker, 2004) oppure “parte del mondo”. Responsabilità di Heinz von Foerster è quella di destare “curiosità” per il mondo. Responsabilità in Heinz von Foerster è quella che alcuni terapeuti utilizzano nel contesto terapeutico per essere neutrali in modo tale da essere curiosi e destare curiosità. Responsabilità di Heinz von Foerster è quella che viene esplicitata nei suoi scritti e nei suoi lavori. La mia responsabilità è quella di aver accolto il suo pensiero e di averlo descritto in questa tesi.

Cibernetica di Heinz von Foerster

La cibernetica di von Foerster è la cibernetica della cibernetica, quella di secondo ordine o di secondo grado. La prima Cibernetica, invece, è la 32 Invito il lettore a fare attenzione al corsivo in quanto denota una differenza di significato. “di” si riferisce alla “responsabilità” personale di von Foerster. “in” si riferisce al significato che egli da a questa “responsabilità” e all’uso che ognuno di noi ne fa.

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Cibernetica di primo grado o ordine. “La Cibernetica = (Norbert Wiener, 1949) è la scienza del controllo e della comunicazione nell’animale e nella macchina” (Foerster, 1987). La cibernetica della cibernetica è la scienza del controllo del controllo e l’informazione dell’informazione (Foerster, 1987). Cibernetica di secondo grado è un modo di vedere noi in relazione con il mondo. Quella di primo grado è quella che separa la realtà là fuori, da noi. Al contrario, per la Cibernetica di secondo ordine la realtà è costruita, così come è costruita nel contesto terapeutico e può essere quindi cambiata, perché può essere vista in modo diverso. La seconda Cibernetica è il modo con cui si muovono e si creano le relazioni con la “struttura che connette33”. La Cibernetica di primo ordine è il percorso dell’informazione che arriva dall’ambiente esterno e noi, la “struttura” non ci connette ma ci da solo informazioni. Il principio fondamentale – della cibernetica di secondo grado - è la “circolarità” (Foerster, Pörksen, 2001). Circolarità o anche auto-riflessività sono termini che indicano la modalità con cui si muovono queste relazioni all’interno di un sistema. Circolarità e riflessività sono anche termini che designano la complementarità delle relazioni all’interno di un sistema o di un circuito cibernetico (sempre di secondo ordine), infatti ogni relazione rimanda ad un’altra che può essere sempre la stessa. Linearità, causa ed effetto, sono termini che indicano la modalità con la quale viene trasmessa l’informazione all’interno di un circuito cibernetico di primo grado. Cibernetica, di Heinz von Foerster, è quel concetto che cambia di significato a seconda dell’osservatore e del contesto. Cibernetica di primo ordine, viene utilizzata sempre con lo stesso significato nonostante cambino l’osservatore e il contesto. Cibernetica, di secondo ordine, è quella scienza che tratta di etica e di responsabilità delle proprie scelte. Quella di primo ordine, tratta di moralità e di responsabilità esterna. La Cibernetica della cibernetica è quella scienza che circoscrive l’epistemologia di una determinata pratica clinica, quella sistemica, o sistemico cibernetica. Cibernetica, invece, è utilizzata come parte di un epistemologia di quella psicologia della sperimentazione e dei comportamenti espressi. Il contesto terapeutico è un sistema cibernetico di secondo ordine. Una ricerca di laboratorio di psicologia sperimentale può essere vista come sistema cibernetico di primo ordine. La Cibernetica di un sistema terapeutico è la proprietà di auto-riflessività dell’organizzazione degli elementi che interagiscono all’interno di esso, delle relazioni e delle emozioni, nonché del significato dato alle stesse. Quando si parla di auto-riflessività si parla di Cibernetica di secondo ordine. Quando si parla di 33 Termine coniato da Gregory Bateson (1977) per indicare quel sovrasistema che ci connette agli altri e al mondo in cui viviamo. Heinz von Foerster parla del mondo del quale noi ne siamo parte (Bröcker, 2004)

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logica lineare e di dialogica si parla di Cibernetica di primo ordine. La Cibernetica di von Foerster è quella dei sistemi che si osservano, dove l’osservatore è incluso nel mondo che osserva. Essa si distingue dalla prima cibernetica, in quanto quest’ultima è quella dei sistemi osservati, quella che separa il soggetto dall’oggetto. La Cibernetica di secondo grado risponde con interesse al cambiamento, quella di primo grado tende all’omeostasi e il cambiamento non è visto di buon occhio. La Cibernetica di secondo grado è quella dei sistemi familiari funzionali, quella di primo ordine è quella dei sistemi familiari bloccati. Responsabilità e Cibernetica sono parte di un unico discorso, due termini auto-riflessivi.

Etica E’ di fatto impossibile parlare di etica.

Heinz von Foerster

Oltre a Responsabilità e Cibernetica vi è un altro termine che è parte integrante del pensiero foersteriano, anch’esso elemento di un discorso di auto-referenzialità: “etica”. Etica, “come” parlare; non si può parlare dell’etica senza fare del moralismo (Foerster, 1987). L’Etica, dice von Foerster, ha due sorelle: la Metafisica e la Dialogica34 (Foerster, 1990). L’etica di von Foerster è la sua Etica, implicita, che emerge nelle sue scelte, nei suoi scritti. La sua Etica può diventare anche la nostra, ma solo se rimane implicita. L’Etica è implicita nelle scelte che operiamo, perché le scelte che operiamo sono implicitamente mosse dall’Etica. L’Etica richiama alla responsabilità delle proprie scelte e a scegliere secondo la propria Etica. L’Etica di von Foerster è l’Etica della Cibernetica di secondo ordine. All’interno del contesto terapeutico, contesto sistemico cibernetico, l’Etica è implicita, essa emerge nelle azioni mosse dalle relazioni degli elementi di quel sistema familiare, nei discorsi che emergono tramite il terapeuta, nella co-costruzione della realtà di quel momento. Il sistema familiare bloccato confonde l’Etica con la morale. Il sistema familiare bloccato non riesce a scegliere in quanto non si assume la responsabilità delle scelte o forse non sa che può compierne secondo una propria Etica (implicita) e non solo da una morale esterna. La morale deresponsabilizza mentre l’Etica richiama alla responsabilità delle proprie scelte. Nel sistema terapeutico, il terapeuta ha una sua Etica ed ha la responsabilità della direzione che intraprenderà secondo la propria Etica. I clienti o gli elementi 34 La Metafisica in von Foerster è ciò che sta a livello meta, autoreferenziale, autologico, per esempio la Cibernetica di secondo ordine. La Dialogica è la proprietà miracolosa del linguaggio che emerge da due persone. (Foerster, 1990).

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del sistema familiare, agiranno secondo una propria etica che non è la stessa Etica del terapeuta, quella dei clienti è generalmente esplicita. L’Etica in von Foerster amplia le possibilità di scelta anche degli altri. L’Etica del terapeuta amplia le possibilità di scelta dei suoi clienti, così come le possibilità di scelta dei clienti possono portare alla co-costruzione di una nuova Etica. L’Etica, è paradossalmente un imperativo auto-referenziale. L’Etica di Heinz von Foerster è l’imperativo etico: “Agisci in modo da aumentare le possibilità di scelta”. Etica, estetica, pragmatica e politica sono cornici per condurre un colloquio […] linguaggio, riflessività e temporalità ne sono gli strumenti (Pakman; Barbetta, Toffanetti, 2006)35 utilizzabili in terapia.

Il contesto Il contesto dell’autore

non è il contesto del lettore. Heinz von Foerster

Contesto = lat. CONTEXTUS, che veramente è il p. p. di CON-TEXERE tessere insieme36. Contesto è l’intreccio dei fili in una stoffa di concetti (Foerster, 1987). Contestualizzare, quindi, significa tessere insieme una serie di concetti, di significati o di relazioni. Contestualizzare è porre una cornice a queste relazioni, così come queste relazioni fanno da cornice o da contesto. Il contesto terapeutico è la cornice di relazioni che delimita il sistema terapeutico, relazioni (tra il terapista e i clienti, tra il sistema terapeutico e la cornice in cui esso è inserito) che fanno da contesto. Il contesto di questa tesi è il mondo accademico di questa università inserita nel contesto della Provincia di Bergamo, e così via. Questa tesi letta in questo contesto ha un significato diverso se letta in un contesto non accademico. E’ colui che legge cha da il significato, non colui che scrive, in quanto “il contesto dell’autore non è il contesto del lettore (Foerster, Pörksen, 2001). Più allarghiamo il contesto, più il sistema diventa complesso. Il sistema terapeutico è un tessere l’intreccio dell’intreccio. Il sistema terapeutico è un contesto complesso. Il contesto in Heinz von Foerster è un contesto in continuo cambiamento, ogni cambiamento comporta un nuovo contesto. Il contesto terapeutico è in continuo

35 Per una spiegazione degli altri termini (estetica, pragmatica politica, linguaggio, riflessività e temporalità vedi “Elementi di poetica foersteriana nella pratica psicoterapeutica” di Pakman, M., (2003, p. 47) in Barbetta P., Toffanetti D. (a cura di), Divenire umano. Von Foerster e l’analisi del discorso clinico, Roma, Meltemi, 2006. 36 www.etimo.it

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cambiamento. Il contesto dell’osservatore fa si che l’osservatore cambi il contesto con il quale interagisce. Il contesto dell’osservatore ha un determinato linguaggio, il suo linguaggio definisce il contesto. Il linguaggio all’interno del contesto terapeutico definisce a che contesto disfunzionale si rivolge la terapia.

Complessità e contesto terapeutico

“Se si potesse spiegare la complessità

in maniera chiara, ne verrebbe evidentemente che il termine

non sarebbe più complesso” Edgar Morin

Complessità è quando si considera la brevità della descrizione di una

configurazione con il grado di ordine in quella configurazione; il numero di passi per computare quella descrizione è la complessità della configurazione (Foerster, 1987). La Complessità è un intreccio di sistemi cibernetici in relazione tra loro, interdipendenti e in continuo cambiamento. Questo cambiamento è aleatorio e imprevedibile e necessita di scelte, quindi di etica e di responsabilità. Riflessività, Cibernetica ed Etica fanno parte di un discorso di complessità. La Complessità in Heinz von Foerster è quella delle Macchine non Banali e delle domande legittime. Delle Macchine Banali, al contrario, se ne può spiegare il funzionamento e prevedere il comportamento. Le domande alle Macchine Banali sono quelle illegittime, sapendo come funzionano, conosciamo anche le loro risposte. Le Macchine non Banali sono macchine complesse, imprevedibili. L’uomo è una Macchina non Banale, un sistema complesso, un sistema cibernetico. Lo stesso cervello è una Macchina non Banale. Possiamo dire che l’uomo è un insieme di sistemi complessi (sistema nervoso centrale e sistema nervoso autonomo, ecc.). Così come l’uomo è una Macchina non Banale (un insieme di sistemi cibernetici complessi), più uomini faranno più Macchine non Banali, ovvero, più sistemi cibernetici e complessi in interazione tra di loro. Il terapeuta e i suoi clienti costituiscono, quindi, un sistema cibernetico complesso (più Macchine non Banali in interazione tra loro) ovvero, un contesto terapeutico. Responsabilità, Cibernetica, Etica e Contesto Terapeutico sono espressioni auto-riflessive, elementi della Complessità. Il contesto terapeutico è quindi un sistema cibernetico complesso, nel quale ognuno impara ad agire in modo da ampliare le proprie possibilità di scelta, sotto la propria responsabilità e la propria etica,

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co-costruendo punti di vista diversi, inventando una nuova realtà. Il contesto terapeutico è la cornice tra due sistemi che si incontrano e si osservano. “[…] il sistema varia a seconda che il terapista sia assente o presente, o che venga alla fine eliminato. Il terapista viene a far parte dell’organizzazione chiusa, e ciò consente il mutamento di una determinata configurazione del sistema in un’altra configurazione. Ma questo è in definitiva reso possibile dal fatto che gli elementi del sistema possono mutare i propri stati interni, il fatto che si comportino come macchine non banali. Se gli individui fossero macchine banali la terapia non sarebbe possibile (Foerster, 1985; Bocchi, Ceruti, 2007)”. Il contesto terapeutico è il limite o la cornice entro la quale delimitiamo quella porzione di complessità che è parte di un sistema cibernetico più ampio, contesto nel quale abbiamo la possibilità di creare una nuova realtà, più funzionale per la famiglia o il cliente che viene a chiedere aiuto.

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