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Aggiornamento del 13 Aprile 2018 Convento di San Francesco dei Frati Minori Conventuali in Oristano Relazione storico-architettonica Redazione In collaborazione con: Marcello Schirru

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Aggiornamento del 13 Aprile 2018

Convento di San Francesco dei Frati Minori Conventuali in Oristano

Relazione storico-architettonica

Redazione

In collaborazione con:

Marcello Schirru

Convento di San Francesco di Oristano Relazione storica

Aggiornamento del 13 Aprile 2018

Nonostante l’incisiva riconfigurazione otto e novecentesca, il convento di San Francesco di Oristano conserva tracce evidenti delle origini medioevali e delle trasformazioni sopraggiunte durante le prima Età Moderna. Emergono, inoltre, per imponenza, le alterazioni otto e novecentesche, conseguenti alla parziale riconversione in distretto militare. La recente cessione al Demanio Statale ha restituito alla comunità civile una preziosa testimonianza architettonica, il cui recupero e futura

riconversione implicano adeguate interpretazioni del manufatto e indagini critiche volte a individuarne le fasi fondative e di sviluppo. Allo stato attuale, la porzione del convento un tempo destinata a Distretto Militare versa in deplorevole stato di abbandono. Evidenti appaiono le opere introdotte nell’ultimo Novecento, in particolare nelle coperture, incuranti delle preesistenze e della logica compositiva d’insieme, per altro già compromesse dalla forzata suddivisione tra le

Fig. 1. Foto zenitale dell'intero complesso di San Francesco

Considerazioni Generali sul MonuMento

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pertinenze del Demanio Militare e la residenza residua dei Padri Conventuali, unica porzione conservata in apprezzabile stato. Nell’ex Distretto si scorgono, a mala pena, gli ambienti e le dotazioni tipiche della vita monastica, quali il refettorio, la sala capitolare, le celle private dei frati, la cui individuazione richiede notevoli sforzi interpretativi o l’affidamento alla mera logica distributiva.Tuttavia, proprio il degrado generale del convento offre opportunità di lettura impensabili in un’architettura integra. Come in un libro aperto, la rimozione degli intonaci svela all’osservatore tecniche e materiali costruttivi, unità di misura, porte e finestre un tempo nascosti alla vista: indici fondamentali, questi, per definire le cronologie evolutive del convento. Si consideri, inoltre, il contributo delle indagini archeologiche, solo parzialmente condotte all’interno del convento, i cui reperti forniscono preziose indicazioni sulla cultura materiale e immateriale degli antichi frequentatori. Le uniche indagini di scavo, concentrate nell’ala sud-occidentale del chiostro e in alcuni ambienti del corpo nord-occidentale, hanno riportato alla luce decine di reperti, in buona parte ceramici, per lo più di epoca moderna (XV-XVIII secolo). Mancano, allo stato attuale, letture organiche e multidisciplinari dei dati raccolti11. Alle campagne archeologiche nel sottosuolo, si aggiungono puntuali e più dettagliate informazioni sulle unità stratigrafiche murarie, raccolte all’interno di un database digitale, commissionato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Cagliari e Oristano.Le indagini stratigrafiche e archeologiche rientrano nel programma, ormai trentennale, di interpretazione, restauro e riconversione del monumento, condotto dalla stessa Soprintendenza, di cui la presente relazione storico-architettonica costituisce un ulteriore passo, che proseguirà con il rilievo con laser-scanner delle superfici murarie. Riportiamo, di seguito, gli interventi reperiti presso l’archivio di deposito dell’ufficio ministeriale a Cagliari:

1 Ci riferiamo alla Catalogazione, restituzione grafica, fotografi-ca di reperti ceramici ritrovati durante i lavori di scavo nell’ex Convento di San Francesco in Oristano, condotta nel 2006-2007, nell’ambito del progetto di Consolidamento e restauro statico dell’ex Convento di San Francesco, diretto dall’Ing. Gabriele Tola.

2006-2007Consolidamento e restauro statico dell’ex Convento di San Francesco.

La busta contiene la Catalogazione, restituzione grafica, fotografica di reperti ceramici ritrovati durante i lavori di scavo nell’ex Convento di San Francesco in Oristano.Perizia n. 4 del 16 febbraio 2006;Perizia n. 34 del 2007.Ing. Gabriele Tola

2004Restauro ex Convento di San Francesco di Oristano.

118.030,93 €Perizia n. 45 del 29 luglio 2004.Ing. Gabriele Tola

2003Restauro statico architettonico dell’ex Convento di San Francesco in Oristano. 202.437,12 €Perizia n. 48 dell’8 agosto 2003.Ing. Gabriele Tola

2002Ex Convento di San Francesco in Oristano. Progetto di ricomposizione architettonica e funzionale.

1.913.252,02 €Ing. Gabriele Tola con5+1 architetti associati – GenovaArch. Maurizio Giufré - MilanoIng. Domenico Napolitano (impianti) – TorinoIng. Daniel Meloni (strutture)Arch. Rossella Sanna (rilievi)

1999Restauro del Convento di San Francesco.

250.000.000 LirePerizia n. 38 del 20 settembre 2009.Arch. Raffaella Strati

1979Caserma Eleonora d’Arborea in Oristano – rifacimento facciata.

La busta contiene la Domanda di autorizzazione dei lavori e l’atto autorizzativo.

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Date queste premesse, si propone ora un quadro interpretativo generale dell’ex convento di San Francesco, per quanto concerne le fasi cronologiche della fabbrica plurisecolare, i caratteri estetici del monumento e il confronto con le informazioni desunte dalle campagne archeologiche, dalla

bibliografia e dalla letteratura. Il difficile reperimento di manoscritti antichi sulla storia del convento, in particolare di epoca tardo-medioevale, affida al confronto estetico e all’analisi delle strutture superstiti un ruolo decisivo nell’interpretazione complessiva del monumento.

Valenza arChitettoniCa e urbanistiCa del ConVento

Come gran parte dei complessi ecclesiastici, la residenza dei Frati Minori Conventuali (o Claustrali) di Oristano rivela, attraverso le proprie vestigia, una storia plurisecolare. Intitolato al santo fondatore dell’Ordine, Francesco d’Assisi, il monastero riveste un ruolo di primo piano nel tessuto antico del capoluogo lagunare in virtù delle valenze monumentali e urbanistiche. Il colonnato tuscanico della chiesa e il fronte nord-orientale del convento completano la lunga quinta architettonica tra il Palazzo Arcivescovile e la Porta Sant’Antonio, allestita tra il secondo e il quarto decennio dell’Ottocento, sotto la colta regia del prelato arborense Giovanni Maria Bua. Inizialmente affidato a Giuseppe Cominotti, l’ambizioso progetto ridefinisce l’estetica urbana dell’intero complesso capitolare, prevedendo nuove immagini per la Curia Arcivescovile, la cattedrale della Vergine Assunta e il Seminario Tridentino; progetto, per altro, già avviato nel Settecento finale, ma con minori fortune e disponibilità economiche2. La vicinanza del convento di San Francesco alle fabbriche capitolari spinge i Frati Minori ad emulare l’iniziativa dell’arcivescovo Bua: in appena un decennio, i chierici sacrificano la loro chiesa medioevale a favore di un edificio centrico, di ispirazione neo-palladiana, preceduto da un pronao con timpano triangolare. È lecito ipotizzare il coevo rinnovo dell’adiacente nosocomio di Sant’Antonio, amministrato dai Frati Ospitalieri, teso a ridisegnare il fronte principale dell’edificio; i due complessi ecclesiastici, come detto, offrono l’ultimo abbrivio architettonico alla Porta Sant’Antonio, varco nord-

2 Giuseppe Pazzona, Giuseppe Cominotti, architetto e pittore (1792-1833), Carlo Delfino Editore, Sassari, 2011. Marcello Schirru, Le vicende architettoniche dei Seminari sardi tra le carte d’archivio sette ed ottocentesche, in Ignazio Sanna (ed.), Il Seminario Arcivescovile di Oristano. Studi e ricerche sul Seminario, I, Edizioni l’Arborense, Oristano, 2013, pp. 261-331.

occidentale alla città murata, oggi non più esistente. Dati questi presupposti, acquistano ulteriori valenze le note trasformazioni ottocentesche della vicina piazza Eleonora e delle architetture al contorno. Gravitano attorno al centro amministrativo: il Collegio di San Vincenzo, residenza dei Frati Scolopi, disegnato dal converso Antonio Cano, attuale sede municipale e dell’Archivio Storico Comunale; l’ex Municipio; il palazzo Corrias Carta, opera di Gaetano Cima, rinnovato intorno al 1860. Risale al 1881 il posizionamento della statua della giudicessa Eleonora, dello scultore Ulisse Campi. Indissolubilmente legata all’indotto celebrativo della giostra equestre della Sartiglia, l’intensa campagna architettonica e di arredo urbano trasforma il cuore politico e religioso di Oristano, in linea con le tendenze del momento: il risultato è una delle espressioni più compiute dell’estetica classicista in Sardegna. Ciò è dimostrato dal coinvolgimento dei migliori progettisti attivi nella regione; alcuni di essi, come: i citati Cano e Cima, svolgono ruoli direzionali nella trasformazione ottocentesca del San Francesco. Traspare, altresì, una sapiente regia, riconducibile all’arcivescovo Giovanni Maria Bua, capace di coordinare interessi, opere e canali di finanziamento apparentemente indipendenti3.Ma la valenza architettonica del convento francescano si impone sulla scena oristanese fin

3 Archivio di Stato di Cagliari, Regia Segreteria di Stato e di Guerra, II Serie, busta 583 (Materie Ecclesiastiche – Ordini Religiosi). Per l’opera di Antonio Cano e Gaetano Cima nella Sardegna dell’Ottocento, si vedano:Salvatore Naitza, Architettura dal tardo ‘600 al classicismo purista (Storia dell’Arte in Sardegna), Ilisso Nuoro, 1992; Aldo Sari, L’opera architettonica di Antonio Cano tra neocinquecentismo e rigore neoclassico, in «Biblioteca Francescana Sarda», I/1987, pp. 145-167; Antonella del Panta, Un architetto e la sua città. L’opera di Gaetano Cima (1805-1878) nelle carte dell’Archivio Comunale di Cagliari, Edizioni della Torre, Cagliari, 1983.

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dalla fondazione, avvenuta nella seconda metà del Duecento. Possiamo ricondurre al Pieno Medioevo almeno due fasi costruttive del convento: l’una, di primo impianto, testimoniata dalle murature bicrome conservate nell’ala ancora abitata dai Frati Minori Conventuali; la seconda, dalla chiesa antica. Della prima, si conservano estesi paramenti a ricorsi chiari e scuri, realizzati con grandi blocchi squadrati. La tecnica costruttiva si diffonde in Sardegna nei secoli XII e XIII, grazie ai rapporti tra le committenze giudicali ed ecclesiastiche della regione e il panorama tosco-ligure. Tracce illuminanti di questa influenza permangono nei pochi resti della cattedrale di Oristano, il cui disegno originario è caratterizzato da eleganti murature bicrome e da un ricco apparato scultoreo. Data la comparsa nello scenario arborense del Duecento, l’opera è un imprescindibile termine di confronto per la primitiva fondazione del convento di San Francesco e, più in generale, per varie architetture religiose della Sardegna4.Contenuti estetici evidenti differenziano il primitivo impianto francescano dalla chiesa antica, di cui permangono il primo ordine della facciata e consistenti residui murari lungo il fianco occidentale dell’aula e del transetto. Il fronte principale denota l’ascendenza francese del modello benché il classicismo latente derivi dalla probabile interpretazione di progettisti e maestranze scultoree toscane. La dimensione ragguardevole delle porzioni rimaste testimonia l’imponenza originaria della facciata; impreziosito di modanature, cornici e statue, l’elaborato fronte architettonico disegna un imponente fondale per chi accede alla città dalla Porta di Sant’Antonio. Si noti, a tal proposito, l’inserimento della facciata in un sistema di piazze geometriche attraversate da un’importante asse viario, sul cui versante settentrionale affacciano schiere residenziali forse pianificate dagli stessi Frati Francescani e, quindi, annotate nel libro mastro del convento. Sul fronte opposto, come detto, sorge l’Ospedale di Sant’Antonio, amministrato dai Frati Ospitalieri soltanto dal primo Seicento.

4 Per quanto concerne la storia architettonica della cattedrale di Oristano, si consulti:Maria Manconi de Palmas, La cattedrale di Oristano, «Quaderni Oristanesi», V/VI, 1984.

Fig. 2. Il muro bicromo delle preesistenze romaniche all'interno dell'attuale convento

Fig. 3. La facciata gotica

Fig. 4. La facciata gotica, dettagli

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Le tracce superstiti della primitiva chiesa appartengono ad un edificio cultuale di notevoli dimensioni, con caratteri estetici solo parzialmente riscontrabili nelle architetture realizzati dai Frati Minori Conventuali in Sardegna: San Francesco di Cagliari, Iglesias e Alghero; Santa Maria di Betlem di Sassari5. Tutti questi edifici conoscono intense trasformazioni nei decenni di transizione fra Cinque e Seicento; destino comune a gran parte delle fabbriche conventuali dell’Occidente cristiano, siano esse appartenenti ad Ordini religiosi di antica o recente istituzione. Per l’imponenza architettonica e la ricca collezione di opere d’arte, i San Francesco di Cagliari e Oristano assumono particolare rilevanza. Durante il Cinquecento sardo, la committenza francescana è un veicolo straordinario di maturazione e diffusione delle arti decorative, in riferimento alla cosiddetta “scuola di Stampace”: consorteria di pittori, le cui botteghe sorgono accanto alla residenza dei Frati Minori di Cagliari. I provinciali dell’Ordine commissionano a Pietro Cavaro, uno degli artisti più affermati della scuola, le pale presbiteriali destinate ai conventi delle due città6.

5 Marcello Schirru, Per una storia dei conventi di Cagliari e dei suoi vuoti urbani in ambito consolidato, pp. 99-119, in Carlo Atzeni (ed.), Nella città storica. Architettura contemporanea e contesti consolidati fra teoria e didattica del progetto, Libria, Melfi (Pt), 2017, pp. 102-105; Aldo Sari, Severa e raccolta: una bella chiesa sarda in stile gotico catalano: il San Francesco di Iglesias, «Sardegna Fieristica», XLI, 2002; Marisa Porcu Gaias, Santa Maria di Betlem a Sassari, la chiesa e la città dal XIII secolo ai giorni nostri, Chiarella, Sassari, 1993; Ambrogio Sanna, La chiesa di Santa Maria di Betlem del 1236-1238, in P. Atzei, La chiesa di Santa Maria di Betlem nel quarto centenario dell’incoronazione (1586-1986), Chiarella, Sassari, 1988, pp. 14-16; Grete Stefani, La chiesa nell’Ottocento: cronaca di un crollo annunciato, Alfredo Ingegno, Prospettive di recupero dell’area conventuale, «Quaderno della Soprintendenza ai Beni Architettonici, Artistici e Archeologici per le Province di Cagliari e Oristano», IV, pp. 7-22, 41-56; Carlo Aru, La chiesa di San Francesco di Iglesias, «Fontana Viva. Voci di Sardegna», I, 1928.

6 Luigi Agus, Le relazioni artistiche e culturali del Mediterraneo occidentale. I Raxis-Sardo, pittori, scultori e architetti del XVI secolo tra Sardegna e Andalusia, Aracne editrice, Canterano (Rm), 2017; Aldo Pillittu, Cavaro, in SAUR Allgemeines kunstlerlexikon: Die bildenden Kunstler aller Zeiten und Völker, XVII, Munchen-Leipzig 1997, p. 381; Renata Serra, Pittura

Accanto a queste chiese sorgono complessi monastici altrettanto imponenti, modellati sulla regola di vita dell’Ordine Conventuale. Ciò non esclude la riconfigurazione degli stessi insediamenti nella prima e tarda Età Moderna, sorte, come accennato, condivisa da gran parte delle architetture monastiche. Anche nel San Francesco di Oristano, dunque, le cospicue testimonianze sei e settecentesche presuppongono la sovrapposizione a strutture murarie o di fondazione medioevali, come, per altro, evidenziano le unità stratigrafiche più antiche.La grandiosità architettonica e urbanistica è una componente fondamentale del convento di San Francesco; trascurare questo aspetto rischierebbe di comprometterne ogni ipotesi di tutela e valorizzazione: un bene da preservare, dunque, oltre la componente materiale, cercando di ricucire il rapporto perduto con la città. Si pensi a quanto accaduto nelle residenze conventuali di Cagliari e Iglesias, mortificate da miopi scelte d’intervento, appena giustificabili dalla cultura ottocentesca dei loro autori: del monastero cagliaritano si conserva appena il chiostro, afflitto da un preoccupante degrado, e alcuni muri della chiesa, inglobati nell’edificato recente; nella residenza iglesiente sopravvive integra la chiesa cinquecentesca, ma il corpo conventuale ha subito notevoli perdite. Sotto questo profilo, il San Francesco di Oristano gode di un destino favorevole: la chiesa ottocentesca e l’attuale residenza dei Frati Minori versano in buone condizioni, svelando all’osservatore dettagli architettonici di notevole pregio; il corpo dell’ex Distretto Militare, nonostante la fatiscenza, conserva la continuità dei percorsi, del chiostro e delle strutture murarie di contorno. Un misurato restauro restituirebbe al monumento la valenza architettonica originaria; la rinnovata interfaccia con la via Sant’Antonio e la piazza antistante aprirebbe un nuovo e insperato dialogo con la città.

e scultura dall’età romanica alla fine del Cinquecento (Storia dell’Arte in Sardegna), Ilisso, Nuoro, 1990, p. 177.

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La residenza dei Frati Minori Conventuali di Oristano sorge accanto ai resti della Porta di Sant’Antonio, accesso alla città antica demolito nel secondo Ottocento, il cui toponimo deriva dal vicino nosocomio dei Frati Ospitalieri, a sua volta confinante con il margine occidentale della residenza francescana. Sul fronte opposto della strada, l’antica chiesa dello Spirito Santo, già sede dell’omonima confraternita, completa un settore urbano oggetto di profonde trasformazioni, la cui vocazione originaria, tra il sacro e l’assistenziale, lascia tutt’oggi tracce evidenti.

Il convento di San Francesco è la più imponente di queste emergenze monumentali: la residenza ecclesiastica occupa un’area di poco inferiore al vicino complesso capitolare, composto però da tre grandi edifici, e alle porzioni superstiti dell’Ospedale di Sant’Antonio. Attorno al chiostro gravitano quattro ali, distribuite su due ordini, in origine destinate alla vita comunitaria e contemplativa dei monaci. Tre di esse sono incamerate dal Demanio Militare nel secondo Ottocento, in seguito alla applicazione delle leggi eversive e dopo precise ripartizioni con il Municipio di Oristano; nella

Fig. 5. Complesso di San Francesco

Area del chiostro antico

Parte occupata dall’Ex Caserma D. d’Arborea

Parte occupata dai padri Conventuali

Considerazioni Generali sul ConVento di san FranCesCo

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quarta, risiedono ancora i Frati Minori Conventuali. Recenti accordi trasferiscono la proprietà delle pertinenze ex demaniali con il Ministero dei Beni Culturali, da cui l’esigenza di provvedere al restauro conservativo e alla rifunzionalizzazione degli ampi spazi disponibili. Il corpo residenziale dei Frati Minori si distacca leggermente dal chiostro, sopravanzando, verso sud-ovest, la sagoma conchiusa del monastero e congiungendosi con l’ampliamento novecentesco del convento, costituito da un edificio multipiano. Le due porzioni del convento, l’una ex militare, l’altra abitata dai padri Conventuali, sono separate da uno spesso muro, dal quale emergono le sagome degli archi un tempo aperti sul braccio sud-orientale del chiostro, oggi demolito. Immaginando di ricoprire l’antica galleria, ridotta ad un esile giardino a cielo aperto, e unendola alla residenza dei Frati Minori, si ottiene una corpo di fabbrica analogo, per dimensioni, all’ala opposta, rivolta a nord-ovest. Nella configurazione completa, il versante sud-occidentale è la più stretta fra le ali del monastero; su entrambi i livelli si aprono lunghe sale continue benché i rilievi del primo Novecento mostrino tamponature e partizioni forse assenti in origine. Come consuetudine nei conventi francescani, il chiostro fiancheggia una parete laterale della chiesa, nel caso specifico ad occidente dell’aula, sopravanzandola di svariati metri. In tal modo, i religiosi delimitano la piazza di pertinenza, spazio nodale nella filosofia di vita monastica, interfaccia di rappresentanza dell’Ordine e luogo privilegiato di predicazione; fonte, quindi, di sostentamento dei monaci, attraverso le elemosine. L’avanzamento del corpo conventuale offre, inoltre, al visitatore il fronte libero per l’accesso al vestibolo e al parlatoio, unici spazi destinati al contatto tra i religiosi e il cosiddetto “secolo”, come imposto dalla clausura. Tenendo ferme queste considerazioni, emerge con chiarezza una modifica sostanziale al modello planimetrico originario, forse introdotta dopo la dismissione dell’antica chiesa: l’avanzamento del vestibolo. Coperto con volta a crociera, il nuovo varco cela alla cittadinanza il portale a ogiva, antico accesso al convento, contornato da una ghiera decorativa con motivi ‘a dente di lupo’

e dalla particolare simmetria bicroma. Parliamo di modifiche sostanziali, giustificabili con la sola dismissione della chiesa medioevale, al punto da sacrificare una porzione consistente della sua facciata e l’antico ingresso. La presenza degli esili ‘mattoni di campione’, mutuati dalla tradizione costruttiva piemontese, conferma l’ipotesi, spostando la cronologia del vestibolo tra Sette e Ottocento; forse in prossimità della ristrutturazione del monastero, ad opera del progettista fra’ Antonio Cano. D’altra parte, la nuova chiesa centrica ha ormai rotto ogni rapporto planimetrico con il precedente accesso al convento, discostandosi di alcune decine di metri dal vestibolo: occupata l’area dell’antico presbiterio, il tempio ottocentesco ruota l’asse liturgico in direzione ortogonale alla strada, proponendo un inedito e diretto rapporto con la città. L’antico fronte, rivolto alla piazza e alla via Sant’Antonio, perde così ogni significato: l’avanzare delle murature fagocita decori, arcate, stipiti angolari, un tempo distintivi della sua immagine, in attesa delle più drastiche modifiche novecentesche.

Fig. 6. L'arco ad ogiva soprastato da una ghiera a "dente di lupo".

Fig. 7. La facciata della chiesa di San Francesco.

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Le trasformazioni moderne del San Francesco di Oristano traspaiono con chiarezza osservando il monumento dall’esterno. Ciononostante, oltre le mura della città, laddove un tempo sorgeva la Porta di Sant’Antonio, si ergono ancora i resti della chiesa medioevale annessa al convento. Porzioni significative della facciata affiorano tra superfetazioni antiche e ampliamenti novecenteschi, offrendo al passante il ricordo di una architettura monumentale. I segni superstiti raccontano di un fronte due-trecentesco, di ispirazione francese, reinterpretato secondo il gusto classicista dei progettisti, di probabile provenienza toscana. Racchiuso da una ghiera modanata con sopracciglio, il portale a ogiva dà accesso all’antica chiesa; due arcate laterali cieche completano l’ordine inferiore, l’unico rimasto, e incorniciano due sculture stilizzate ormai abrase. Il canovaccio decorativo evita marcate differenziazioni, almeno fra le parti ancora in opera, scelta capace di rendere giusto valore alle sculture incastonate nelle ogive laterali. Non a caso, la tessitura muraria continua esclude l’apertura di portali minori e la presenza retrostante di navate; deduzione confermata dall’assenza di ammorsature nella controfacciata. Rileviamo, anzi, la raffinata interposizione di un esile ricorso lapideo, la cui linea grafica ideale evidenzia il piedistallo delle sculture e il profilo d’appoggio dei capitelli nelle paraste angolari. Proprio nel punto di incontro tra i due fronti visibili della chiesa, i capitelli mutano consistenza e forma, trasformandosi in fasce decorative applicate al paramento murario. La soluzione d’angolo denota la maestria dei progettisti, capaci di addolcire il rinforzo strutturale della svolta con la stilizzata combinazione di colonnine e profonde scanalature. La completezza del gruppo scultoreo angolare, nel versante opposto della facciata, oramai interno al convento, testimonia l’isolamento originario della chiesa; il paramento esterno, infatti, mostra una analoga cura del dettaglio, giustificabile con la sola possibilità di percepire il monumento nella sua interezza architettonica. L’occlusione delle lunghe Fig. 10. Dettagli della facciata: capitelli, colonnine

la Chiesa MedioeVale

Fig. 8. La facciata gotica, dettagli

Fig. 9. Dettaglio facciata

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monofore nella parete sud-occidentale dell’aula conferma il tardo affiancamento del chiostro.Nonostante l’originale isolamento, la chiesa descritta non è il primitivo edificio di culto del convento francescano. L’esistenza di una chiesa antecedente pare giustificata dai paramenti bicromi conservati nell’ala sud-orientale, ancora abitata dai Frati Minori. Discrepanze proporzionali, costruttive e cronologiche separano opere e artefici di diversa cultura; il che potrebbe denotare le potenzialità di aggiornamento non solo della committenza monastica locale, ma, più in generale, della Corte giudicale e della Curia Arcivescovile arborensi. Di questo edificio di culto ignoriamo tutto: l’ubicazione nel sedime dell’attuale convento; la forma e i decori; la data di costruzione; l‘eventuale esistenza prima dell’insediamento francescano; l’appartenenza o meno ad un Ordine religioso. Autorevoli studiosi fissano l’arrivo dei Frati Minori Conventuali ad Oristano intorno alla metà del secolo XIII, basandosi sulle attestazioni documentarie del padre Costantino Devilla: secondo il religioso, i seguaci di San Francesco frequenterebbero la capitale

arborense almeno dal 1253. Sagacemente, Devilla distingue l’arrivo dei frati in laguna dalla effettiva costruzione del convento. In un primo tempo, i padri potrebbero aver preso dimora in altra sede, identificata da Devilla con il convento benedettino di San Nicolò, per poi stabilirsi nel luogo prescelto intra moenia. Il religioso ricorda una raccolta di atti notarili custodita dai padri di San Francesco, denominata “Campion”, compilata tra il 1462 e il 1709: alcuni manoscritti citerebbero il 1292 quale anno di fondazione della residenza francescana, notizia, tuttavia, attinta da una tradizione orale. Come vedremo a breve, la data potrebbe non discostarsi dal vero, ponendosi, forse, quale termine conclusivo di una fabbrica intrapresa da alcuni anni7.Sono questi anni importanti per l’affermazione dei Frati Minori ad Oristano: il Giudicato di Arborea

7 Costantino Devilla, Il convento di San Francesco in Oristano e i suoi cimeli, Premiata Tipografia Pascuttini, Oristano, 1927, pp. 5-7.Le date contenute nel “Campion” sono riportate anche dal padre Marco Ardu:Marco Ardu, Il complesso monumentale San Francesco di Assisi in Oristano, Edizioni il Pittore d’Oro, Oristano, 2015, pp. 23-25.

Fig. 12. Facciata Chiesa San Pietro di Zuri (Ghilarza) - (1291 - ante 1336) (foto da abbasantaghilarza.it)

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attraversa una fase di relativa stabilità politica ed economica, sotto il regno di Mariano II de Serra Bas; l’Ordine francescano consolida l’influenza sulla Curia Arcivescovile locale, riuscendo ad eleggere propri rappresentanti nel prestigioso ufficio ecclesiastico. La parentesi positiva si conclude nei primi decenni del Trecento; periodo particolarmente critico per i dibattiti interni alla famiglia francescana. Anche queste considerazioni delimitano la probabile forbice cronologica per il secondo impianto della chiesa all’ultimo trentennio del Duecento; forse al periodo compreso tra il 1275-12908.Molto di francese traspare, dunque, dai resti della facciata due-trecentesca del San Francesco; un gusto di latente declinazione classicista, attento a quanto di nuovo si realizza fra XIII e XIV secolo lungo l’asse tosco-ligure, tra Siena e Genova. Già lo storico Raffaello Delogu ha evidenziato le 8 Per le vicende legate all’Ordine dei Frati Minori ad Oristano fra Due e

Trecento, si veda:Rafael Conde y Delgado de Molina, Conflictos entre franciscanos y clero secular en Oristano (1329-1330), «Biblioteca Francescana», anno XII, pp.47-70.

influenze transalpine nella chiesa oristanese, cui si rifà la configurazione planimetrica originaria del monumento. Qualche affinità di disegno accomuna gli ordini inferiori del San Francesco e del San Pietro di Zuri, anche in questo caso porzione superstite del fronte originario. Il noto edificio del Guilcer conserva intatta l’epigrafe commemorativa della fabbrica, conclusa nel 1291 sotto la direzione di Anselmo da Como e riconducibile alla giurisdizione dei giudici d’Arborea, in particolare di Mariano II de Serra Bas.L’acerbità di alcune soluzioni adottate nel San Pietro di Zuri, ad iniziare dalla timida adesione all’estetica francese, potrebbe fornire qualche ragguaglio sulla fondazione del San Francesco di Oristano, anteponendola all’opera di Anselmo: in altre parole, il costruttore avrebbe imitato la facciata francescana senza riuscire, tuttavia, a riprodurne la pregevole qualità. Troverebbe, così, conferma l’attitudine imitativa di Anselmo o dei progettisti da lui coordinati: la consorteria artigiana, educata nella secolare tradizione comacina, assimila paradigmi estetici dalle fabbriche più raffinate incrociate lungo

Fig. 13. Facciata Chiesa San Pietro Extra-muros (Bosa) - (1062-73; ultimo quarto XIII sec.) (foto da sardegnanet.it)

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l’itinerario professionale, declinandoli secondo le potenzialità del proprio scalpello. Concordiamo, quindi, con l’interpretazione di Delogu, il quale vede, nei lacerti superstiti della facciata oristanese un orizzonte internazionale benché ricondotto nell’alveo di un rassicurante classicismo; le sculture incastonate nelle ogive laterali avrebbero fugato ogni dubbio, ma l’improvvida abrasione costringe a vagare nel campo dell’ipotesi. Una volta all’interno della chiesa francescana, la squadra di fabbricieri rimette mano alla raccolta di disegni, modelli, copie dal vero: le scelte di progetto guardano, ora, al più consueto panorama tosco-ligure, con particolare attenzione all’architettura cistercense e mendicante. In ogni caso, sia i pochi resti medioevali del San Francesco sia la più integra chiesa di Zuri testimoniano l’internazionalità della Corte arborense e dei circoli intellettuali gravitanti attorno ad essa, ad iniziare dalla residenza dei Frati Minori; apertura culturale decisiva per l’approdo in Sardegna di progettisti e maestranze da varie zone d’Europa9.È da rimarcare l’ulteriore affinità tra il San Francesco di Oristano e la chiesa di San Pietro di Bosa, già cattedrale di Bosa Vetus, realizzata in più fasi tra l’XI secolo i decenni a cavallo fra XIII e XIV, fino alle radicali ricostruzioni del 1938. Anche il monumento della Planargia offre al visitatore un ordine inferiore di facciata con tre specchiature ad ogiva; il fornice centrale racchiude il portale d’accesso, i laterali sono ciechi. Sono, dunque, chiare le similitudini con la chiesa oristanese, rilevandosi, nel caso specifico, una maestria superiore al precedente esempio di Zuri. Il piccolo campanile sorretto da colonne ofitiche, posto in cima alla facciata, riconduce il San Pietro di Bosa al mondo delle maestranze comacine senza, per altro, fornire particolari ragguagli sulla datazione e paternità degli ultimi interventi. È ipotizzabile l’influenza dell’architettura giudicale arborense, per l’ascendente culturale della corte e la saltuaria appartenenza di Bosa Vetus e del nuovo abitato tardo-medioevale ai territori del regno10.

9 Raffaello Delogu, L’architettura del Medioevo in Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari, 1988 (rist. anast. Del 1953), pp. 206-211.

10 Roberto Coroneo, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo ‘300 (Storia dell’Arte in Sardegna), Ilisso, Nuoro, 1993,

Il corpo nord-orientale del convento di San Francesco corrisponde, dunque, al volume un tempo occupato dalla chiesa medioevale. Attraverso le ingombranti superfetazioni, scorgiamo un’aula mononavata con asse liturgico parallelo alla strada. Considerata la luce interna e l’assenza di ammorsature nella controfacciata e nelle pareti laterali interne, escludiamo la presenza di navate laterali; ciò lascia supporre l’impiego di imponenti carpenterie lignee, probabilmente combinate, poggiate sulle murature perimetrali dell’edificio. La nuova chiesa centrica, realizzata fra la terza e quarta decade dell’Ottocento, cancellerà il presbiterio e il braccio orientale del transetto, risparmiando estese porzioni del braccio occidentale. I grandi blocchi squadrati sono tutt’ora visibili nelle mura perimetrali del tempio, lungo i fianchi condivisi con il monastero e l’antica chiesa. La descrizione architettonica risponde al modello ecclesiastico mendicante, con evidenti richiami ai conventi di area toscana e francese, forse favoriti dai rapporti economici tra i giudici d’Arborea e l’élite pisana. Nonostante la perdita cospicua di apparati decorativi e arredi sacri, la nuova chiesa e il convento di San Francesco conservano opere antiche di notevole pregio, la cui ipotetica dislocazione nel monumento dismesso pone stimolanti interrogativi di ordine architettonico. La secolare venerazione per il Crocifisso di Nicodemo, ad esempio, suggerisce l’esistenza di uno spazio dedicato al costante afflusso di pellegrini e alla indiscutibile qualità artistica del simulacro. Data la cronologia quattrocentesca dell’opera, posteriore alla fabbrica della chiesa, è lecito ipotizzare l’aggiunta di uno spazio devozionale nel braccio destro del transetto o in una cappella accessibile dalla chiesa, ma incastonata nell’ala conventuale oggi abitata dai Frati Minori. Permangono, qui, tracce di imponenti strutture architettoniche, su cui torneremo in seguito11.

scheda 146; Delogu … cit., pp. 72-73.Anche per la chiesa di San Pietro di Bosa è accolta con favore dalla maggior parte degli studiosi la datazione al Duecento finale.

11 Tra i contributi più recenti sul crocifisso oristanese, ricordiamo:Andrea Pala, Il crocifisso ligneso di Nicodemo a Oristano: un modello di iconografia francescana in Sardegna, «Journal of Iconographic Studies», X/2017, pp. 125-136; Aldo Sari, Crocifissi doloroi della Sardegna. Il Nicodemo di Oristano,

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Analoga attenzione suscita l’antico presbiterio, in parte coincidente con la cappella meridionale della chiesa attuale, oggi deputata ad accogliere il Crocifisso di Nicodemo e a fornire l’abbrivio d’accesso alla sacrestia. All’interno di questo spazio, addossato alla parete di fondo, si stagliava il retablo maggiore della chiesa: i Conventuali di Oristano, come noto, commissionano la loro ancona al pittore Pietro Cavaro. Sincerarsi sull’operato dell’artista è un desiderio facilmente esaudibile da parte dei frati oristanesi, considerata la vicinanza della rinomata bottega artigiana al convento cagliaritano di San Francesco, residenza madre della Provincia francescana di Sardegna. L’ancona confezionata da Cavaro ha dimensioni ragguardevoli, come dimostra lo scomparto centrale, raffigurante San Francesco che riceve le stimmate, custodito nella sacrestia del convento oristanese. L’opera comprende 15 tavole, distribuite fra i polvaroli, le predelle e la cornice superiore. Smembrata la composizione originaria, i vari dipinti arricchiscono, oggi, le collezioni d’arte dell’Antiquarium Arborense e del Municipio di Oristano o risultano, al momento, dispersi12. Lo sviluppo spaziale del retablo richiede l’avanzamento del vano ospitante oltre l’ingombro dell’attuale cappella del Crocifisso di Nicodemo; esigenza confermata dalla probabile presenza di piccole cappelle ai lati dell’antico presbiterio, secondo il modello tipico delle chiese mendicanti, mutuato dall’architettura cistercense. Indagini archeologiche o geognostiche nell’attuale tempio fornirebbero informazioni preziose al riguardo, ma creerebbero notevoli problematiche dovute all’interruzione delle funzioni sacre e alla sopraelevazione del monumento ottocentesco rispetto al sedime della chiesa medioevale.Tra Cinque e Seicento, la compravendita diffusa di presbiteri e cappelle tra religiosi e finanziatori privati determina la costruzione di nuovi spazi liturgici all’interno della chiesa. Gli studi condotti dal padre Marco Ardu testimoniano l’esistenza di cinque cappelle lungo la navata del San Francesco, tre sul lato destro, due sul sinistro; riteniamo, però,

ISKRA, Ghilarza, 2015.12 Corrado Maltese, Arte in Sardegna dal X al XVIII secolo, De

Luca editore, Roma, 1962, p. 224.

verosimile l’occupazione simmetrica degli spazi disponibili su ambo i fronti interni della chiesa.Nel secondo Ottocento, dopo un complesso palleggio di pertinenze e accordi tra il Demanio Militare e il Comune di Oristano, si procede alla demolizione delle cappelle lungo il lato sinistro, adiacenti la strada, e alla costruzione di un nuovo muro perimetrale sul fianco nord-orientale dell’aula. La diversa composizione materica denota lo scarto cronologico tra i paramenti destro della chiesa, parzialmente ricostruito con i blocchi medioevali, e sinistro, costituito da una tessitura ad opera incerta. Sul fianco destro, in particolare, si osserva la presenza di due arcate: l’una ad ogiva, caratterizzata dal florealismo degli ornati, secondo un modello diffuso nella Sardegna meridionale e centrale tra il Cinquecento finale e i primi decenni del secolo seguente; l’altra meno elaborata e a tutto sesto. Non a caso, secondo le fonti citate dal padre Ardu, la cessione della prima area, destinata alla cappella della Vergine del Carmelo, risale al 1606: stipulato con il mercante Giuliano Zappi, l’accordo decadrebbe entro dieci anni qualora l’acquirente non ottemperi ai suoi obblighi13. Come vedremo in seguito, la costruzione di questo spazio liturgico è un elemento dirimente per datare il retrostante braccio del chiostro. La completa esecuzione dell’arco, cui non corrisponde oggi alcuna cappella retrostante, suggerisce una cronologia tarda per la galleria adiacente; deduzione, per altro, in linea con l’ipotizzato isolamento originario della chiesa.Ma l’accordo più importante risale al 1611: il mercante Antioco Parti acquista il patrocinio sul presbiterio del San Francesco, con diritto di sepoltura familiare, a favore di un lascito di 2.000 lire da investire nel rinnovo del convento14. Come consueto nelle chiese parrocchiali o conventuali, l’accordo anticipa o completa radicali opere architettoniche e di decoro, tese a manifestare alla cittadinanza il ruolo sociale degli investitori, di cui si ignorano, al momento, entità e onere economico.Nel braccio destro del transetto, corrispondente al presbiterio della chiesa attuale, trova spazio il coro destinato ad ospitare i frati durante le celebrazioni

13 Ardu, …, cit., p. 91.14 Ardu, …, cit., pp. 75-79.

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liturgiche. Si tratta di un cospicuo corredo di scranni, adeguato al numero di religiosi ospitati nel convento: 25 nel 162215.Gli ultimi interventi ottocenteschi condotti all’interno della chiesa alterano la sua percezione; senza l’ordine inferiore della facciata, l’occhio inesperto faticherebbe ad individuare i resti medioevali del monumento. Alle trasformazioni già descritte, si aggiungono: l’inserimento di un solaio nel volume dell’ex aula liturgica; l’allargamento degli archi diaframma originali, ora contornati da robusti profilati d’acciaio. Una colata di cemento ricopre l’antico sedime, impedendo, di fatto, qualsiasi velleità di indagine archeologica.

il ConVento

Delle fasi medioevali del monastero francescano permangono, oggi, flebili tracce, per quanto le modifiche introdotte fino al secondo Novecento ricalchino la razionalità distributiva d’un tempo. È questo un dato fondamentale nell’ottica del recupero fisico e funzionale del monumento; comprendere e preservare le caratteristiche compositive originarie è, infatti, un obiettivo auspicabile al pari dell’imprescindibile restauro conservativo. L’ingresso al convento rimane inalterato nella sua posizione, ma l’accennato avanzamento del vestibolo e la demolizione delle cappelle lungo il fianco sinistro della chiesa antica alterano in modo irreparabile la configurazione della piazza, ora solcata da una strada dilatatasi nel suo sedime e divenuta carrabile. Spostandoci ora all’interno del convento, immaginiamo di percorrere i bracci attorno al chiostro in senso orario.

il Vestibolo

Date le consuetudini insediative dei Frati Minori Conventuali, la prima singolarità evidente è la sparizione dell’originario vestibolo, di cui non rileviamo traccia. L’unico elemento superstite è il citato portale ad ogiva, impreziosito dal motivo ‘a dente di lupo’, di probabile fattura trecentesca16.

15 Archivo de la Corona de Aragón, Consejo de Aragón, Legajos, vol. 1228, s.c..

16 All’elegante arco d’ingresso ha dedicato un interessante approfondimento la studiosa Anna Saiu Deidda:

Percepiamo, al contrario, l’aggiunta di un nuovo volume di ingresso, sul quale insiste una volta a crociera: la tessitura di ‘mattoni di campione’ conferma la datazione alla fine del Sette o al primo Ottocento. A conferma di ciò, si consideri la planimetria del convento custodita presso l’Archivio Storico del Comune di Cagliari, nel fondo denominato “Carte Cima”: la curiosa tavola illustra la situazione del complesso francescano antecedente la ricostruzione della chiesa, di cui viene proposta una sommaria traccia a matita17. L’assenza

Anna Saiu Deidda, L’antico portale del chiostro di San Francesco in Oristano, in «Biblioteca Francescana Sarda», I/1987, pp. 169-176.

17 Archivio Storico del Comune di Cagliari, Carte Cima, Cartella I.

Fig. 14. Due immagini del portale trecentesco del vestibolo: si nota la bicromia assiale verticale

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di relazioni di corredo non consente di intuire se il disegno fotografi la situazione prima dell’opera condotta dal frate Antonio Cano o dal successore Gaetano Cima. Incuriosisce l’inspiegabile raffigurazione parziale del chiostro e dei corpi di fabbrica circostanti. Il dato inappuntabile è, però, l’assenza del vestibolo: il portale trecentesco è ancora rappresentato come primo interfaccia con la città e varco d’accesso al convento18. Ancora oggi, il portale a ogiva mostra un curioso fuori asse rispetto al braccio nord-occidentale del chiostro, prospetticamente allineato all’apertura: l’ordine inferiore della chiesa medioevale e il gruppo delle paraste d’angolo ne ignorano la presenza, completando, senza soluzione di continuità, il proprio disegno e la svolta laterale. L’ipotesi più probabile è, dunque, l’addossamento del portale in epoca successiva al palinsesto compositivo e grafico della

18 Troviamo, quindi, inspiegabile la scelta di concentrare una delle prime campagne archeologiche in questo spazio, di “recente” acquisizione, il quale per evidenti ragioni cronologiche non avrebbe restituito informazioni e reperti di particolare interesse in merito alle cronologie antiche del convento.

facciata. Non si spiegherebbe altrimenti l’esigenza di affiancarlo all’ordine inferiore della chiesa; operazione, per altro, condotta maldestramente, come dimostra l’abrasione della scultura inserita nell’ogiva sinistra della chiesa e il montaggio fuori asse del portale. Ogni parvenza di simmetria è, infine, alterata dall’inserimento di una colonnina angolare nel punto di tangenza con la chiesa e dal parziale inserimento del portale nel paramento della stessa. Anche in questo caso, l’accostamento degli elementi denota l’indipendenza delle parti aggiuntive: la colonnina si sovrappone alla base della facciata, le cui modanature proseguono fino all’incontro con le paraste d’angolo.Queste riflessioni, oltre alla robustezza dal sapore quasi militare del portale, denotano qualità operative e modi espressivi lontani dalla raffinato prospetto della chiesa. In assenza di documenti precisi, l’ipotesi proposta è la datazione al Duecento finale per la primitiva chiesa del San Francesco, comunque prima del 1291, per quanto detto in merito al San Pietro di Zuri, e l’apertura del nuovo portale d’accesso al convento al pieno Trecento.

Fig. 15. Il chiostro

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il Chiostro

Tutte le ali attorno al giardino di meditazione sono distribuite su due livelli. Mancano, come accennato, le logge sud-orientali, demolite dopo l’incameramento del convento nel Demanio Militare; al loro posto, uno stretto spazio a cielo aperto garantisce il distacco fra la residenza residua dei Frati Minori Conventuali e l’ex Distretto. I piani di calpestio del primo ordine di logge giacciono ad una quota inferiore all’attuale livello del giardino. La recente asportazione degli intonaci ha riportato alla luce un ampio repertorio di archi, cornici e punti di discontinuità nelle murature perimetrali del chiostro. La presenza diffusa di ‘mattoncini di campione’ testimonia le radicali trasformazioni condotte tra fine Sette e primo Ottocento, sotto la probabile direzione di Antonio Cano, opere tese a rinnovare l’intero convento, al fine di razionalizzare la distribuzione degli spazi e delle funzioni.

ala nord-orientale

Appena varcato il portale trecentesco, la facciata della chiesa medioevale giunge al punto di svolta: come nel fronte opposto, l’angolo è segnato dal gruppo scultoreo delle paraste intervallate da esili scanalature. Il fronte laterale si staglia per due ordini, fungendo da paramento di fondo per entrambi i livelli del chiostro. Nella galleria inferiore, la tessitura muraria è composta da cantoni di arenaria di media pezzatura che sembrerebbero assimilabili all’architettura cinque e seicentesca e quindi frutto di un rifacimento successivo; al contrario, l’ordine superiore conserva porzioni della muratura medioevale: grandi blocchi squadrati a supporto di uno strato interno costituito da pietrame informe. Il paramento è intervallato da alte tamponature, corrispondenti alle finestre dell’antica chiesa; la sagoma svettante delle aperture testimonia la notevole altezza raggiunta dall’aula liturgica.Lungo la parete di fondo della prima galleria, si aprono due fornici databili al Seicento, unica memoria superstite delle cappelle aperte sul fianco destro della chiesa. Il primo di essi, di non eccelsa

Fig. 16. La parasta d'angolo della facciata gotica all'interno dell'a-la nord orientale del chiostro

Fig. 17. La muratura "a sacco" tra i due paramenti in conci regola-ri della parete tra la chiesa gotica ed il chiostro

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fattura, denota l’inclinazione per il florealismo, estetica diffusa nella Corona di Spagna fin dall’ultimo Quattrocento e ancora apprezzata, a distanza di oltre un secolo, in alcune aree della penisola iberica, come i Regni di Valencia e Andalusia, con i quali il Regno di Sardegna intrattiene frequenti rapporti commerciali e culturali. Esempi analoghi si ritrovano in tante parrocchiali sarde o in architetture conventuali di più elevato tenore artistico. Il secondo arco, forse successivo, si presenta spoglio e risolto nel più canonico profilo a tutto sesto. Nella campata mediana della galleria e della chiesa

Fig. 18. L'arco a tutto sesto inserito sulla parete della navata

non vi sono archi, sebbene la ricostruzione del paramento murario non escluda l’antica presenza di una cappella, ricordata nelle fonti19. D’altra parte, il paramento interno del chiostro giace su un piano arretrato rispetto agli archi, visibili solo all’interno dell’aula liturgica. Già questo elemento comproverebbe la sovrapposizione posteriore del chiostro; ipotesi confermata dalle tecniche murarie riscontrabili nelle volte del primo ordine di gallerie. Le indagini archeologiche, in questo caso, fornirebbero preziose informazioni sulla presenza di murature sotto il rivestimento pavimentale della galleria, costituito da quadrelli di laterizio adottati, senza interruzioni, almeno tra il Cinque e l’Ottocento.Come nelle restanti ali, una lunga volta a botte si dispiega per l’intera lunghezza della galleria, scaricando il proprio peso sulle mura perimetrali interne e sul paramento di contorno del giardino. Su di essa, insiste il piano di calpestio dell’ordine superiore. La tessitura muraria della volta, composta da esili mattoni di laterizio, porta a datarne la fabbrica almeno al secondo Settecento. Riteniamo, però, verosimile ricomprendere l’opera

19 Ardu, …, cit., pp. 75-79.

Fig. 19. Il braccio sud orientale: arcate murate al confine con l'attuale convento

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nel grande progetto di riforma del convento, condotto tra Sette e Ottocento, culminato con la ricostruzione della chiesa. Gli stessi mattoni sono riscontrabili in tutte le gallerie gravitanti attorno al chiostro e in buona parte delle partizioni interne al convento. Nell’ala nord-orientale, i caratteristici laterizi occupano estese porzioni del paramento esterno, sebbene frammiste ad altri litotipi, a testimoniare la costruzione coeva dell’intera galleria e l’accostamento sette-ottocentesco al corpo della chiesa medioevale.Le manomissioni del secondo Novecento hanno alterato le coperture del secondo ordine, introducendo pesanti e invasivi solai di latero-cemento in luogo delle precedenti carpenterie lignee. Di esse, permangono i fori di allettamento distribuiti lungo le pareti contrapposte, visibili dopo la rimozione degli intonaci.

ala sud-orientale

Come affermato più volte, il corpo sud-orientale del convento è l’unica porzione tutt’ora abitata dai Frati Minori Conventuali. Invero, parliamo dell’ala più sontuosa, ricca di decori, ardite strutture architettoniche e spazi scenografici. Oggetto di recenti restauri, la porzione del convento non è, al momento, inserita nel programma dei prossimi interventi di recupero e rifunzionalizzazione. Preferiamo, tuttavia, illustrarne le caratteristiche architettoniche per meglio comprendere l’evoluzione cronologica della residenza francescana e la logica generatrice dell’intero complesso.Nel livello inferiore riaffiorano tracce delle fasi insediative duecentesche, connotate dalla bicromia delle apparecchiature murarie. Raffinate e, allo stesso tempo, sontuose, le prime strutture murarie del convento sorprendono l’osservatore per l’imponenza. Tra le parti architettoniche più interessanti segnaliamo l’ingresso all’antica aula capitolare, segnata, come consueto, da un portale affiancato da due finestre con balaustra; in posizione arretrata, incastonate nelle murature, due colonne medioevali sono i probabili sostegni delle volte un tempo presenti nella sala. Fino a qualche decennio orsono, questi resti architettonici giacevano all’interno delle pareti o nascosti da

spessi strati di intonaco.L’ingresso alla sala capitolare è un ottimo indicatore per stabilire la posizione del primitivo chiostro; la loggia antistante coincide con la più tarda galleria sud-orientale, oggi suddivisa tra uno spazio a cielo aperto, proprietà dei Frati Conventuali, e un locale chiuso. Una sequenza di archi murati mette in comunicazione la galleria demolita con il giardino di meditazione, oggi interno all’ex Distretto Militare. Tra la sala capitolare e la chiesa si inserisce la sacrestia; il sistema poggia sulle mura dell’antico transetto medioevale, già inglobato nella ricostruzione del tempio ottocentesco. Qualora il Cristo di Nicodemo occupasse una cappella con volume architettonico proprio, questa è la posizione più verosimile; a meno di ipotizzare la collocazione originaria del simulacro nel braccio destro del transetto, adiacente la strada, essendo il cappellone sinistro occupato dal coro dei monaci.Il livello superiore dell’ala nord-orientale ospita le celle dei religiosi, servite da uno scenografico corridoio coperto con volta a botte. Anche in questo caso, l’apparecchiatura muraria con ‘mattoni di

Fig. 20. Il braccio sud occidentale, piano terra

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campione’ denota un intervento tardo, coincidente con la riorganizzazione complessiva del convento, da noi ipotizzata tra Sette ed Ottocento.Per ragioni ignote quest’ala del monastero sopravanza il perimetro quadrangolare del chiostro e degli annessi corpi di fabbrica per protendersi in direzione del Seminario Tridentino, fino ad

incontrare il nuovo corpo degli uffici e delle

scuole, realizzato nel secondo Novecento. Per

evidenti ragioni, le superfetazioni introdotte nell’ex

Distretto Militare mancano in quest’ala dove, anzi,

misurati restauri hanno consentito di preservare le

parti più antiche e genuine del convento.

Fig. 21. Il braccio nord occidentale

ala sud-oCCidentale

Due lunghe sale occupano il braccio sud-occidentale del convento. Rilievi planimetrici di epoca fascista testimoniano l’elevazione di tramezzi trasversali, al fine di ricavare una successione di locali al servizio del Distretto Militare. In anni recenti, la Soprintendenza ha provveduto a demolire queste partizioni, ripristinando la configurazione originaria delle due sale.Indagini archeologiche condotte nella galleria inferiore del chiostro hanno riportato alla luce una ricca collezione di reperti, riconducibili alla forbice cronologica compresa fra il XV e il XIX secolo. Gli oggetti rinvenuti, per lo più ceramici, testimoniano la vita materiale e quotidiana del convento. Pur non conservandosi reperti di pregio artistico, la variegata

provenienza e le forme offrono temi di sicuro interesse per gli archeologici e per gli studiosi della vita monastica. Gli scavi archeologici, tuttavia, si limitano al livello inferiore di quest’ala conventuale, per altro nemmeno indagata nella sua interezza, e al vestibolo d’ingresso. Ulteriori campagne di scavo potrebbero fornire preziose informazioni sulla storia del complesso ecclesiastico e sulle sue fasi costruttive; proposito, invero, vanificato dalle grandi superfici di calpestio ricoperte con colate di conglomerato cementizio.Per ragioni ignote, i due grandi locali presenti in questo corpo di fabbrica giacciono ad una quota superiore ai piani di calpestio delle gallerie; più comprensibile il diverso piano di giacitura rispetto al giardino,

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situazione comune a tutti i bracci del chiostro. Piccole rampe di scale mettevano in comunicazione le due lunghe sale, la cui destinazione originaria rimane ignota. I conventi di media e grande dimensione ospitano servizi di varia natura, non necessariamente riservati alla vita monastica: infermerie; ospedali; biblioteche; aule per lezioni; dormitori per viandanti etc.. Alcune di queste funzioni sono compatibili con i locali descritti; situazione favorita dalla dislocazione nel fronte interno del monastero, distante dai contatti promiscui con la cittadinanza. Parliamo, in ogni caso, di locali poco capienti, tali da escludere affollati ricoveri di persone. Qualche problematica ulteriore riserva la sala superiore, data la posizione in genere occupata dalle celle private dei monaci. Anche in quest’ala si osserva l’impiego diffuso di ‘mattoncini di campione’, tanto da supporre la consueta datazione all’ultimo Sette o primo Ottocento. Segnaliamo, in particolare, la sequenza di crociere nel locale del livello inferiore, poggianti su robusti pilastri. Tutta l’apparecchiatura muraria delle coperture in questa sala e negli spazi di raccordo con i bracci confinanti è ottenuta con il medesimo

impiego del laterizio. L’unica aggiunta recente riguarda una solaio di conglomerato cementizio: la forma delle travi di sostegno, caratterizzata da smussature angolari e mensole d’appoggio, rimanda a soluzioni analoghe introdotte nel primo Novecento, esordi applicativi di questa tecnica costruttiva.Il corpo sud-occidentale è, forse, il versante più recente del convento oristanese; la diversa cronologia potrebbe fornire qualche ragguaglio sull’anomalo sopravanzamento del braccio sud-orientale. Il convento confina, sul retro, con un ampio giardino, probabile residuo di un’area verde più ampia, un tempo estesa fino al confine con il complesso capitolare. Sul lato interno, il terreno comunica con il grande spazio a cielo aperto, da cui, oggi, si accede al convento. Incolto e infestato da piante rampicanti, il giardino ospita un pozzo sormontato da un piccolo padiglione, risalente agli inizi del Novecento. La posizione decentrata denota l’accorciamento del giardino, in seguito alla costruzione dell’adiacente palazzo per scuole e uffici.

Fig. 22. Uno degli archi ogivali trecenteschi nel braccio nord occidentale

Fig. 23. Fondazioni di antiche costruzioni, in un ambiente dell'ala nord ovest

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ala nord-oCCidentale

Fig. 24. La loggia seicentesca sul chiostro

Tra l’antico portale, il nuovo ingresso carrabile e il retrostante cortile di pertinenza sorge il corpo di fabbrica più ampio del convento. Le dimensioni accomunano questa porzione dell’ex Distretto all’ala opposta abitata dai Frati Minori, ma la demolizione, in quest’ultimo versante, dei due ordini di gallerie ne ha ridotto in modo significativo la larghezza.Il corpo di fabbrica nord-occidentale è uno dei più antichi del monastero, come testimonia la presenza di aperture e cantoni lapidei tardo-medioevali inglobati nelle murature. È, per contro, uno dei settori maggiormente intaccati dalle trasformazioni otto e novecentesche, in considerazione dei grandi spazi racchiusi, sebbene non manchino chiari riferimenti ai secoli della prima Età Moderna. D’altra parte, le opere programmate dai Frati Conventuali intorno al 1611, favorite dal lascito del mercante Antioco Partis, acquirente del presbiterio, non possono risparmiare la porzione più consistente della residenza ecclesiastica.

Non a caso, la rimozione degli intonaci ha riportato alla luce svariate fasi costruttive, per quanto sia complesso stabilire la logica di accavallamento tra di esse. L’aggiunta sette-ottocentesca delle volte laterizie emerge qui con maggior chiarezza rispetto agli altri corpi di fabbrica per la sovrapposizione, o affiancamento, dei caratteristici mattoncini ai paramenti lapidei più antichi. Nonostante l’asportazione degli intonaci, non mancano le parti decorative, in origine ben più estese. Un po’ ovunque emergono cornici modanate e capitelli di differente foggia. Nella galleria superiore, la recente eliminazione di alcune tamponature ha riportato alla luce la loggia d’affaccio sul giardino, impreziosita da colonnine con angoli smussati di probabile fattura seicentesca.La demolizione delle antiche coperture lignee, a favore di ampi solai di latero-cemento, ha cancellato una delle componenti architettoniche di maggior rilievo del convento: data l’ampiezza dei locali, è lecito ipotizzare l’impiego di carpenterie lignee combinate o di grande sezione.

Fig. 25. La cupola del Cima vista dall'antico chiostro

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Nei fronti esterni del corpo di fabbrica sono ubicati gli accessi al convento, attraverso il grande cortile di pertinenza. Nel corso di recenti restauri, la Soprintendenza ha installato una scala di profilati metallici funzionale ad un progetto di riuso a fini

espositivi ormai supertato. Incastonata tra le ali nord-occidentale e sud-occidentale, l’antica scala del monastero non è al momento praticabile senza adeguate opere di consolidamento.

la Chiesa ottoCentesCa

Fig. 26. L'attuale convento dei francescani visto dalla piazza della cattedrale

La fase architettonica più nota nella storia del convento di San Francesco è la costruzione della chiesa ottocentesca. Assai meno conosciute sono i presupposti e la situazione al contorno del radicale intervento, concretizzatosi in due fasi tra il 1836 ed il 1847. Concentrati sugli aspetti linguistici, i contributi bibliografici sul tema tendono a contrapporre le qualità professionali di Gaetano Cima e Antonio Cano, senza, per altro, disporre di informazioni precise sul progetto del frate converso. Sterile e per lunghi tratti immotivato, l’insensato confronto non tiene conto di evidenti differenze cronologiche, formative e professionali tra i due personaggi: da un lato, un intellettuale a tutto tondo,

cattedratico e con un solido praticantato; dall’altro un dignitoso scultore prestato all’architettura, il cui profilo biografico attende adeguata luce. L’unico punto di contatto è la formazione accademista di entrambi, vissuta però in momenti, circostanze e contesti differenti.Vi è, inoltre, da considerare il contributo di Ludovico Bonino, all’epoca responsabile del Genio Civile per il Circondario di Oristano, protagonista di una brillante carriera nella complessa stagione pre e post unitaria. Al progettista, sono riconducibili delicati incarichi in varie località della Sardegna, nei quali è spesso desumibile il ruolo decisionale e di responsabilità dell’apprezzato funzionario. Stando

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alle fonti disponibili, Bonino dirige la fabbrica della chiesa francescana, data l’impossibilità da parte di Gaetano Cima di seguirne le complesse vicende esecutive. È difficile ipotizzare un ruolo da mero spettatore, in un’opera appena funestata da uno sciagurato crollo e dalla perdita di quanto realizzato. Tuttavia, i manoscritti attribuiscono il progetto di ricostruzione della chiesa a Gaetano Cima e la sua fedele attuazione, al punto da richiedere la presenza del cattedratico in sede di collaudo, avvenuto nel 184720.Chi, oggi, visita il San Francesco di Oristano accede ad un’aulica chiesa neopalladiana, ispirata ad un modello chiesastico centrico, con infinite applicazioni in giro per il mondo. La fabbrica dell’edificio inizia nel 1835, con la demolizione parziale del presbiterio medioevale, sotto la direzione di fra’ Antonio Cano. Il principale fautore dell’intervento è l’arcivescovo di Oristano, l’oschirese Giovanni Maria Bua, presule di elevata personalità e cultura. Il peso politico dell’ecclesiastico spinge le autorità ecclesiastiche a caldeggiarne la nomina a Delegato Apostolico per gli Ordini Regolari di Sardegna, scelta verosimilmente gradita agli Uffici di Governo. Bua svolge con indomito zelo il complesso incarico, al punto da prendere in mano le sorti di tutte le residenze dei Frati Minori nel Regno di Sardegna; non senza ricevere piccate lamentele da parte dei provinciali francescani, i quali rivendicano a sé la gestione economica dei conventi. Soppresse alcune residenze minori, la mano riformatrice del presule non tentenna davanti all’importante sede oristanese: la trasformazione della chiesa conventuale completerebbe la grandiosa opera architettonica tesa a conferire una nuova immagine classicista all’intero complesso capitolare. Nonostante le critiche post mortem dei Frati Conventuali, le scelte dell’arcivescovo non possono aggirare del tutto i religiosi: dopo tutto, i finanziamenti alla fabbrica provengono dagli infiniti beni immobili appartenenti alla residenza oristanese. La fiducia accordata ad un progettista interno all’Ordine, il sorsese Antonio Cano, lascia supporre il costante dialogo tra il frate converso e i confratelli, ai quali non possono sfuggire i

20 Archivio di Stato di Cagliari, Regia Segreteria di Stato e Guerra, II Serie, busta 583 (Materie Ecclesiastiche – Ordini Religiosi).

propositi di grandeur di Giovanni Maria Bua, certamente subiti, ma forse non disapprovati da tutti gli amministratori della Provincia Francescana. Comunque si siano svolti i fatti, il crollo della cupola, l’8 settembre 1838, riconduce l’opera ad uno stato rovinoso, di cui non conosciamo l’effettiva entità. Nonostante l’episodio negativo, Cano non viene esonerato dalla direzione della fabbrica, cui dovrà rinunciare solo per cause di forza maggiore: nel 1840, il frate cade da un’impalcatura mentre sovraintende alla fabbrica del Seminario di Nuoro ed esala l’ultimo respiro dopo terribili sofferenze. Come detto, è il cagliaritano Gaetano Cima ad ereditare il prestigioso cantiere oristanese; il cattedratico ha facoltà di rielaborare il progetto, cui mette mano nel 1841. Non potendo soggiornare in laguna, Cima deve cedere ad altri responsabili la direzione delle opere. La scelta, più che comprensibile, ricade su Lodovico Bonino, autorevole progettista del Genio Civile, all’epoca distaccato presso il Circondario di Oristano. Bonino, infatti, incarna l’autorità di Stato, la cui ingerenza abbraccia ogni fabbrica in qualche modo relazionabile con l’interesse comune; compresa la sicurezza e l’incolumità pubbliche, temi caldi al momento, al punto da ascrivere l’erigenda chiesa tra gli edifici ‘pericolanti’ dopo il recente crollo.Continua, però, a mancare l’elemento dirimente della vicenda: i contenuti progettuali di Antonio Cano. In primo luogo, si ignora il ruolo della chiesa medioevale nel piano di trasformazione elaborato dal frate converso. Allo stesso modo, non sappiamo se il progetto di rinnovo riguardi la sola chiesa o si estenda all’intero convento, giustificando, ad esempio, l’ingente presenza di volte e murature laterizie distribuite nelle quattro ali del convento. A ben vedere, Cano ha già coordinato un incarico simile in un altro tempio dei Frati Minori Conventuali: nella chiesa di Santa Maria di Betlem, a Sassari, l’ecclesiastico ha disegnato un nuovo volume presbiteriale, adottando linee estetiche classiciste. Con un gesto di sapore bramantesco, Cano cancella l’antico terminale della chiesa per incastonarvi un corpo cupolato di forma ellittica, rinforzato da robusti contrafforti. Una scelta analoga potrebbe essere stata fatta ad Oristano, immaginando di connettere il corpo della chiesa medioevale ad un

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grande presbiterio centrico sormontato da una cupola. In alternativa, dovremmo pensare ad una chiesa anticipatrice delle forme assunte in seguito dal monumento. In ogni caso, il risultato evidente è l’alterazione irreparabile della chiesa medioevale, a cui Cano, nella sua visione di uomo ottocentesco, intende conferire nuovo vigore e slancio architettonico.Le opere finali sull’edificio, delineate da Gaetano

Cima, investono l’intero transetto medioevale oltre all’abside e alle probabili cappellette adiacenti. Estese porzioni delle mura antiche sono inglobate nel profilo perimetrale della rinnovata chiesa, su cui si innesta un’ampia calotta cassettonata. Sotto la direzione di Ludovico Bonino, la fabbrica si conclude nel 1847, anno in cui lo stesso Cima esegue il collaudo del rinnovato monumento.

il seCondo ottoCento e il noVeCento

Il secondo Ottocento è una fase storica non meno interessante per le sorti del convento di San Francesco. Come gran parte dei complessi ecclesiastici dell’occidente cristiano, anche la residenza dei Frati Minori di Oristano subisce il pesante effetto delle leggi sull’Asse Ecclesiastico (leggi Siccardi, del 1850; legge Rattazzi del 1855; leggi eversive del 1866 e 1867). Pur preservando, nel complesso, le forme architettoniche del convento, i nuovi strumenti legislativi inaugurano una stagione di profondi mutamenti. Il 22 gennaio 1875, la chiesa francescana e il cortile adiacente rivolto alla viabilità pubblica vengono nuovamente ceduti ai Frati Minori, rappresentati dal teologo Efisio Marras; i locali interni al convento rimangono in proprietà del Ministero della Guerra, il quale, in data imprecisata, vi ha insediato il Distretto Militare della Provincia di Oristano. Nel 1887, il Municipio di Oristano delibera l’acquisto di un’ampia porzione dell’ex

chiesa, ormai in stato di abbandono e privata delle antiche coperture, e del cortile adiacente; prevede, inoltre, la cessione della porzione residua del tempio al Ministero della Guerra, al fine di ampliare i locali del Distretto Militare. L’Archivio Storico del Comune di Oristano conserva le testimonianze grafiche del complesso iter progettuale. Stime e proposte di rettilineamento mirano a riconfigurare il fronte esterno della chiesa, un tempo occupato dalle cappelle. Nel 1885, quando ancora l’area appartiene al Municipio, l’ingegnere Antonio Busachi redige una relazione di perizia, prevedendo due soluzioni da sottoporre all’attenzione dell’assemblea civica; la prima, prescelta dall’amministrazione, coincide con la situazione attuale; la seconda, fortunatamente abbandonata, prevede ampi demolizioni nell’ex chiesa, fino all’antico portale di ingresso21.Con l’operazione descritta, il Municipio ottiene il

21 Archivio Storico del Comune di Oristano, Ampliamento Caserma di Fanteria, Cessione Area Chiesa San Francesco, 1885-1894.

Fig. 27. 1885 - Tavola grafica allegata alla perizia dell'ing. Busachi nella quale si scorgono i resti delle antiche cappelle laterali e viene tracciato il nuovo allineamento diagonale della strada

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duplice obiettivo di rispondere alle pressanti richieste del Ministero della Guerra, affinché l’istituzione civica partecipi al mantenimento in efficienza della presidio militare, e armonizzare la viabilità pubblica adiacente, ritenuta angusta. Da parte sua, il Genio Militare ha da tempo elaborato il progetto di ampliamento della caserma, prevedendo negli spazi in via di acquisizione l’insediamento di cameroni per i soldati. Si deve all’ufficiale Lorenzo Arthemalle, comandante del presidio oristanese, una tavola raffigurante la porzione dell’antica chiesa acquistata dal Municipio e ceduta all’amministrazione l’attuale via Sant’Antonio. Il disegno, del 1886, raffigura le mura delle antiche cappelle seicentesche, sulle quali è apposta l’inesorabile scritta: “Mura da demolirsi per l’allargamento della via Pubblica”22. È questo un passaggio fondamentale nella storia più recente del convento, con profonde implicazioni sulla situazione attuale. Si evince, ad esempio, la pertinenza municipale del piccolo cortile triangolare racchiuso tra l’antica chiesa e la via Sant’Antonio; così come la pertinenza municipale del paramento esterno del tempio. Trova ulteriore motivazione l’anomala composizione materica della parete, oggi leggibile solo dall’interno della chiesa, diversa dalle altre murature antiche del monumento.

22 Ivi.

Gli accordi sono formalmente siglati il 3 giugno 1890 quando il sindaco di Oristano, Giovanni Battista Sanna, e il rappresentante del Ministero della Guerra, il capitano Demetrio de Martis, stipulano un accordo formale: il Municipio cede al dicastero l’area triangolare incastonata fra la chiesa e la viabilità pubblica, affinché il Distretto Militare possa ampliare i propri locali. Il documento sancisce quanto gli uffici tecnici del Genio Militare stanno elaborando da almeno un quindicennio23.Durante il Novecento, si susseguono le trasformazioni all’interno del convento di San Francesco, tutte finalizzate ad ampliare o riadattare i locali interni del presidio militare. Spessi strati di intonaco occludono per anni alla vista i decori originali, parzialmente riportati alla luce nelle recenti opere di ripulitura delle pareti. Le superfetazioni più incisive risalgono alla seconda metà del secolo quando le antiche coperture sono sostituite da imponenti solai di latero-cemento a vista. Le nuove strutture poggiano sulle murature antiche, inaugurando preoccupanti fenomeni fessurativi, in particolare nelle gallerie superiori attorno al chiostro.

23 Ivi.

Fig. 28. 1886 - Tavola redatta dall'ufficiale Lorenzo Arthemalle nella quale si indica la trasformazione della navata centrale della chiesa medievale in tre cameroni per l'alloggio delle truppe.

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• Alloggi militari, f.6829 Corrispondenza relativa alla Chiesa di San Francesco ed ai lavori di adattamento dell’edificio per utilizzarlo come caserma militare. 1869 - 1874;

• Chiese parrocchiali, cappelle ed altri edifici destinati al Culto f. 6595, Atti relativi a lavori di restauro nella Chiesa di San Francesco. 1931 - 1932;

• Istituti scientifici e culturali, f. 7597, “Opere d’arte antiche”: elenchi e descrizioni delle opere d’arte esistenti nel Duomo, nella Chiesa di San Francesco e nella scuola di Avviamento 1929 - 1936.

Archivio Storico Comune di Cagliari (ASCCa)

• Fondo Cartografico – Serie M – Piante, mappe e disegni di altri comuni;

• Carte Cima – Cartella II – Fascicoli 79, 89, 138, 140, 142,

Archivio di Stato di Oristano (ASOr)

• Fondo Cartografia, C.C. (ex U.T.E.) - Mappa centro urbano di Oristano del 1875;

• Fondo Cartografia, Mappa catastale di Oristano F. 14 all. B, 1950.

Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Cagliari e Oristano –

Archivio Storico via Cesare Battisti (MBAC-SABAP)

• Archivio documenti

o Fondo Oristano - Ex Convento di San Francesco.

• Archivio fotograficoo Cart. 50 – Chiesa di San Francesco

Interni – Crocifissi – Dipinti – Statue – Reliquario San Basilio;

o Cart. 80 – Oristano Convento di San Francesco – Ex-caserma San Francesco.

o Cart. 130 – Oristano Chiesa di San Francesco esterni - interni – Rest. 1995-1996-2002-2003;

o Cart. 133 – Oristano Chiesa di San Francesco interni..

• Archivio schede di catalogazioneo Cart. 12 – Oristano – Chiesa di San

Francesco NCTN 28881, 28802; Convento francescano NCTN 28803;

o Cart. 13 – Oristano – Chiesa (Conventuale) di San Francesco NCTN da 134747 a 144770; 28626; 28716; Convento Francescano NCTN da 134771 a 134794.

Archivio Soprintendenza archeologica della Sardegna – Piazza Indipendenza (ASAS)

• Archivio correnteo Cart. Comune di Oristano –

Caserma Eleonora d’Arborea (Ex Convento di S. Francesco);

o Cart. Oristano – Chiesa di S. Francesco;

o Cart. Oristano – Chiesa di S. Francesco, indagini 2000;

o Cart. Comune di Oristano – Convento di S. Francesco.

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Cartografia interpretativa delle trasformazioni dell’edifico

Nelle immagini che seguono vengono ripercorse le principali trasformazioni dell’edificio occupato dalla ex-caserma militare E. d’Arborea desumibili dai dati d’archivio e dalle carte storiche. Le fasi individuate sono le seguenti:

1. Prima del 1886: ricostruzione della probabile situazione antecedente i lavori di ampliamento della caserma. La situazione è desumibile dalla Carta UTE del 1875 e dal progetto di modifica del 1886.

2. 1886: modifiche introdotte dai militari per l’ampliamento della caserma nei locali precedentemente occupati dalla chiesa. Contestualmnete viene abbattuto anche il muro laterale delle cappelle verso la strada.

3. Primi decenni del XX secolo: situazione desumibile dalla Mappa catastale di impianto geometrico.

4. 1929-1943: la situazione si desume da una mappa dell’accertamento della proprietà immobiliare che porta un timbro dell’Ufficio Lavori Genio di Cagliari con stemma del Regno d’Italia utilizzato in quel periodo.

5. Prima del 1950: si ricava dal confronto delle tavole di progetto per l’adeguamento dei locali che presentano una configurazione antecedente alla carta catastale del 1950.

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Rilievo dello stato attuale.

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Confronto del piano terra dello stato attuale con le strutture murarie esistenti in data antecedente ai lavori di ampliamento della caserma del 1886.

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riCostruzione dell’eVoluzione storiCa del ManuFatto

Piano terra

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Inserimento delle modifiche apportate dai militari a seguito del progetto di ampliamento del 1886

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opere murarie 1886

riCostruzione dell’eVoluzione storiCa del ManuFatto

Piano terra

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Le modifiche rilevabili nell’ala sud-est dalla mappa catastale di impianto geometrico

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opere murarie 1886

opere murarie primi decenni XX secolo

riCostruzione dell’eVoluzione storiCa del ManuFatto

Piano terra

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Si osserva l’aggiunta di un corpo di fabbrica sul fronte strada come prolungamento dell’ala nord-ovest, l’inserimento di un volume ad un piano nel lato sud-est del chiostro, la rettifica dell’ala del convento sud-ovest e l’aggiunta di tettoie e piccoli volumi nella corte.

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opere murarie 1886

opere murarie primi decenni XX secolo

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Consistono principalmente in opere di trasformazione interna e nella trasformazione della tettoia sulla corte in un volume collegato al corpo di fabbrica principale.

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opere murarie 1886

opere murarie 1929-43

opere murarie ante 1950

riCostruzione dell’eVoluzione storiCa del ManuFatto

opere murarie primi decenni XX secolo

Piano terra

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Rilievo dello stato attuale.

riCostruzione dell’eVoluzione storiCa del ManuFatto

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Opere murarie esistenti ai primi decenni del novecento. Per il primo piano non è possibile ricostruire la situazione alla seconda metà del XIX secolo.

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riCostruzione dell’eVoluzione storiCa del ManuFatto

Piano PriMo

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riCostruzione dell’eVoluzione storiCa del ManuFatto

Si osserva l’aggiunta di un corpo di fabbrica sul fronte strada come prolungamento dell’ala nord-ovest, l’inserimento di un volume ad un piano nel lato sud-est del chiostro, la rettifica dell’ala del convento sud-ovest e alcune modifiche alla distribuzione interna.

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opere murarie 1929-43

Piano PriMo

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Si osserva l’aggiunda di un piccolo volume al primo piano al di sopra della terrazza del corpo di fabbrica costruito dentro il cortile del chiostro e il raddoppio in altezza del volumetto accostato all’ala nord-ovest.All’interno della corte del chiostro compare una nuova scala per l’accesso al ballatoio.

legendaopere murarie - stato attuale

opere murarie 1929-43

opere murarie ante 1950

riCostruzione dell’eVoluzione storiCa del ManuFatto

opere murarie primi decenni XX secolo

Piano PriMo

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Cartografia storica

Nelle immagini che seguono sono rappresentate le carte storiche reperite dai documenti d’archivio sovrapposte attraverso il metodo della georeferenziazione alla situazione attuale.

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Convento di San Francesco di Oristano Relazione storica

Aggiornamento del 13 Aprile 2018

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. 7.

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Aggiornamento del 13 Aprile 2018

Fig

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Aggiornamento del 13 Aprile 2018

Fig

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R).

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Fig

. 10.

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Aggiornamento del 13 Aprile 2018

Fig

. 11.

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Aggiornamento del 13 Aprile 2018

Fig

. 12.

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Aggiornamento del 13 Aprile 2018

Fig

. 13.

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Convento di San Francesco di Oristano Relazione storica

Aggiornamento del 13 Aprile 2018

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Aggiornamento del 13 Aprile 2018

Fig

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