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Direzione generale delle politiche interne dell'Unione Unità tematica B - Politiche strutturali e di coesione SVILUPPO REGIONALE Regioni in declino: un nuovo paradigma demografico e territoriale STUDIO IP/B/REGI/IC/2007-044 11/07/2008 PE 408.928 IT

Regioni in declino: un nuovo paradigma demografico e ... · 2 Myriam Baron, Sophie Baudet-Michel, Estelle Ducom, Dominique Rivière, Camille Schmoll, Christine Zanin 3 Jérome Gensel,

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Direzione generale delle politiche interne dell'Unione

Unità tematica B - Politiche strutturali e di coesione

SVILUPPO REGIONALE

Regioni in declino: un nuovo paradigma demografico e territoriale

STUDIO IP/B/REGI/IC/2007-044 11/07/2008 PE 408.928 IT

Il presente studio è stato elaborato su richiesta della commissione per lo sviluppo regionale del Parlamento europeo. Il documento è pubblicato nelle seguenti lingue:

- Originale: FR - Traduzioni: EN, DE

La sintesi è pubblicata nelle seguenti lingue: BG, CS, DA, DE, EL, EN, ES, ET, FI, FR, HU, IT, LT, LV, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, SV.

Autori: UMS RIATE, (Università Paris Diderot, capofila)1, geografia-città (CNRS Parigi-A) 2, LIG (Università Joseph Fourier) 3, IGEAT (Université Libre de Bruxelles) 4, Università di Umeå 5, dipartimento di Scienze sociali – Università "L'Orientale" di Napoli , Università di Napoli 6, CUGUAT – TIGRIS (Università Alexandru Ioan Cuza) 7

Funzionario responsabile: Ivana Katsarova Unità tematica B:

Politiche strutturali e di coesione Parlamento europeo Rue Wiertz 60 B-1047 Bruxelles E-mail:[email protected] Manoscritto completato nel giugno 2008. Lo studio è disponibile sul sito Internet al seguente indirizzo: www.europarl.europa.eu/activities/expert/eStudies.do?language=FR Bruxelles, Parlamento europeo, 2008. I pareri espressi nel presente documento sono unicamente di responsabilità dell'autore e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo. Riproduzione e traduzione autorizzate, salvo che per scopi commerciali, mediante citazione della fonte e previa informazione dell'editore e invio di una copia a quest'ultimo.

1 Claude Grasland, Ronan Ysebaert, Bernard Corminboeuf, Nicolas Gaubert, Nicolas Lambert, Isabelle Salmon 2 Myriam Baron, Sophie Baudet-Michel, Estelle Ducom, Dominique Rivière, Camille Schmoll, Christine Zanin 3 Jérome Gensel, Jean-Marc Vincent, Christine Plumejeaud 4 Gilles Van Hamme 5 Einar Holm, Magnus Strömgren 6 Pasquale Coppola, Alessia Salaris 7 Octavian Groza, Ionel Muntele, George Turcanasu e Oana Stoleriu

Regioni in declino: un nuovo paradigma demografico e territoriale

Direzione generale delle politiche interne dell'Unione

Unità tematica B - Politiche strutturali e di coesione

SVILUPPO REGIONALE

Regioni in declino: un nuovo paradigma demografico e territoriale

STUDIO

Oggetto:

L'Unione europea è attualmente, insieme a Russia e Giappone, la zona del mondo che negli anni a venire registrerà la crescita demografica più ridotta. Al di là delle questioni di politica estera, tali sviluppi avranno ripercussioni anche sulla situazione regionale e locale. È quindi la politica di coesione economica, sociale e territoriale nel suo insieme a essere interessata dai fenomeni demografici attuali. Il decremento demografico che interessa intere regioni si aggiunge e talvolta si confonde con problematiche legate alla disparità di sviluppo, tradizionalmente al centro della politica di coesione dell'Unione europea. Gli autori ritengono che il fenomeno debba condurre a un ripensamento di tale politica in tutte le sue dimensioni: economica, sociale, ambientale e soprattutto territoriale. Le risposte al problema del decremento demografico passerebbero quindi attraverso la realizzazione di una governance multiscalare, che preveda livelli di intervento sovraregionali (Unione europea, Stati), infraregionali (autorità locali, agglomerati) e transregionali (spazi transfrontalieri, confini interni).

IP/B/REGI/IC/2007-044 PE 408.928 IT

Il presente studio è dedicato alla memoria del professor Pasquale Coppola

Regioni in declino: un nuovo paradigma demografico e territoriale

Sintesi Il carattere relativamente prevedibile, a medio termine, degli andamenti demografici nazionali e, in minor misura, regionali o locali, attribuisce una responsabilità particolare ai decisori politici. Infatti, benché si possa scusare, in certa misura, l'imprevidenza dei decisori politici dinanzi alle turbolenze economiche esterne (per esempio crisi dei mutui "subprime", aumento del prezzo dell'energia), oppure alle catastrofi ambientali (inondazioni, tempeste, terremoti, ecc.), è molto più difficile perdonare la mancata anticipazione di fenomeni demografici di cui si conoscono piuttosto bene gli andamenti prevedibili dei prossimi 20 o 30 anni.

L'Unione europea è attualmente, insieme a Russia e Giappone, la zona del mondo che negli anni a venire registrerà la crescita demografica più ridotta. In assenza di ulteriori allargamenti, la sua popolazione dovrebbe stabilizzarsi all'incirca attorno ai 500 milioni di abitanti. Ciononostante, vari Stati membri devono attendersi una flessione demografica, segnatamente la Germania, l'Italia e la totalità dei nuovi Stati membri, a eccezione di Cipro e Malta. Al contrario, i paesi dell'est e del sud del Mediterraneo continueranno a registrare una forte crescita demografica nell'arco del medesimo periodo e la popolazione della Turchia supererà quella della Germania a partire dal 2015 (82 milioni di abitanti), mentre la popolazione del Marocco sarà superiore a quella della Spagna all'incirca nel 2035 (44 milioni di abitanti). Questi andamenti globali sono ben noti e sollevano numerosi dilemmi politici e geopolitici in merito alla prosecuzione dell'allargamento e all'apertura o chiusura delle frontiere all'immigrazione.

Tali evoluzioni interferiscono inoltre con evoluzioni regionali e locali molto più problematiche in materia di decremento demografico e invecchiamento. In quasi tutti i paesi dell'Unione europea, vi sono regioni dove la popolazione ha iniziato a diminuire negli ultimi vent'anni (1980-2000). Il fenomeno continuerà ad accentuarsi nel corso dei prossimi decenni. Al di là delle questioni di politica estera, è quindi l'intera politica interna di coesione economica, sociale e territoriale a essere interessata dalle trasformazioni demografiche attuali.

Le cosiddette "shrinking region": definizioni e caratteristiche È possibile cercare di prevedere la dinamica demografica regionale dei prossimi 25 anni? Esiste un collegamento sistematico tra invecchiamento e flessione demografica? La flessione demografica è legata alle migrazioni o piuttosto al saldo negativo nascite-morti? • Il concetto di "shrinking region" (ossia di regioni che subiscono una contrazione in termini

di popolazione) è emerso di recente (inizio anni 2000) anche se si riferisce a realtà più risalenti. La novità essenziale risiede nella generalizzazione del fenomeno dello spopolamento a livello di intere regioni, città comprese (le cosiddette "shrinking city").

• La stessa definizione del concetto in questione resta oggetto di dibattiti. Benché la diminuzione della popolazione sia associata ad altri fenomeni, quali l'invecchiamento, è preferibile attenersi alla definizione più semplice, ossia la diminuzione del numero di abitanti di una regione in una generazione. È questa la definizione adottata nella presente relazione.

• È stato utilizzato il livello NUTS2, ma la definizione delle regioni in flessione demografica sarebbe diversa se si fosse optato per un'altra ripartizione regionale.

• Le "shrinking region" si suddividono in quattro tipologie, a seconda che il decremento della popolazione nel 2005-2030 sia quasi certo, probabile, improbabile, molto improbabile.

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Figura 1: tipologie di "shrinking region" (2005-2030)

• Le "shrinking region" sono più numerose negli ex paesi socialisti e nei paesi mediterranei. Tuttavia, quasi tutti i paesi dell'Unione europea hanno almeno una regione con decremento demografico probabile o molto probabile nell'arco dei prossimi 25 anni e il fenomeno tende a diffondersi a livello spaziale.

• Su scala regionale (NUTS2) non esiste alcuna relazione tra la densità di popolazione delle regioni e la loro futura crescita demografica. Il fenomeno dello spopolamento colpisce sia le vecchie regioni industriali a forte concentrazione di popolazione, che le regioni periferiche rurali.

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• L'invecchiamento dipende non solo dall'età media delle popolazioni, ma anche dalla loro aspettativa di vita in buona salute. Gli autori dello studio propongono un nuovo indicatore sintetico di invecchiamento, che unisce questi due parametri (figura 3) e consente di evidenziare il legame stretto che intercorre tra decremento demografico e invecchiamento delle regioni.

• La flessione demografica non dipende sempre da un maggior numero di morti rispetto alle nascite. È anche sempre più una conseguenza delle migrazioni verso le aree metropolitane, in particolare da parte dei giovani attivi alla ricerca di un posto di lavoro. La perdita di tali giovani accentua il fenomeno dell'invecchiamento e della flessione della natalità nelle "shrinking region", creando un vero e proprio circolo vizioso.

• La mobilità in direzione inversa dei pensionati non compensa tali perdite e le "shrinking region" sono, in genere, scarsamente attraenti per i pensionati delle fasce più elevate, che possono "drogare" l'economia con i trasferimenti di pensioni.

Le regioni che perdono popolazione sono necessariamente quelle con maggiori difficoltà sul piano economico e sociale? • Nel 1995-2005, le "shrinking region" erano caratterizzate da situazioni economiche più

sfavorevoli delle altre: PIL/abitante inferiore, tasso di disoccupazione più elevato; la maggioranza di queste regioni è costituita da territori periferici relativamente poveri, che nella maggior parte di casi beneficiano della politica di coesione; occorre però sottolineare la forte diversità tra le regioni in declino demografico (agricole, industriali e talvolta metropolitane);

• se si tiene conto dei trasferimenti interregionali (redditi, aiuti pubblici, consumi turistici, ecc.) gli scarti di reddito tra le diverse tipologie demografiche si attenuano;

• le "shrinking region" sono più povere delle altre, ma il loro tasso di crescita economica nel periodo 1995-2005 non è stato realmente più debole rispetto a quello delle altre regioni, dato che la maggior di loro si trova nei nuovi Stati membri, dove il recupero del ritardo economico e la flessione demografica sono andati di pari passo.

Quali nuove informazioni emergono quando si studiano le variazioni demografiche a livello locale (vale a dire dei comuni o delle città)? In particolare, come si ridistribuiscono i servizi pubblici nel contesto della flessione demografica e della concentrazione spaziale della popolazione? • Indipendentemente dal fatto che la regione sia caratterizzata da crescita, da una fase di

stabilizzazione o da declino demografico, i fenomeni di spopolamento riguardano essenzialmente le zone rurali scarsamente popolate e isolate. Le grandi città, invece, danno spesso prova di un certo dinamismo. Lo stesso vale per i comuni situati in prossimità delle grandi città, in ragione del fenomeno di periurbanizzazione.

• I recenti fenomeni di spopolamento riguardano soprattutto spazi già fragili, caratterizzati pertanto da una perdita delle capacità creative di innovazione e di reazione dinanzi ai cambiamenti. Questi fenomeni di spopolamento mettono a repentaglio l'opportunità di far emergere nuovi spazi economici allettanti e rendono inevitabile il ricorso alla manodopera esterna, nazionale o straniera.

• L'invecchiamento, unito allo spopolamento, produce conseguenze sull'ambiente e sul mercato locale del lavoro. Tali processi accelerano la destrutturazione di alcuni servizi e

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accentuano la disparità di accesso a tali servizi. Essi comportano inoltre nuovi bisogni, in particolare per le persone anziane.

Figura 2: evoluzione della popolazione 1980 – 2000

In materia di governance delle "shrinking region", come si articolano attualmente i livelli europeo, nazionale, regionale e locale? Si assiste all'emergere di soluzioni specifiche? • Gli interventi condotti a livello nazionale (ossia il livello che costituisce il quadro di

riferimento principale) assicurano una ridistribuzione della ricchezza tra regioni, oltre che tra città e zone rurali; tale meccanismo è in parte all'origine di quello che viene definito il

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"premio per le piccole regioni". Tuttavia, il contesto generale di ristrutturazione dello Stato sociale pone le collettività locali e regionali europee in prima linea per gli investimenti. La regione, in particolare, si afferma in quanto livello di programmazione. Nel caso specifico delle "shrinking region", emergono quindi nuove opportunità (promozione delle condizioni di vita) per queste collettività, ma anche nuovi vincoli finanziari, in un contesto di crescenti disuguaglianze in termini di risorse.

• Il settore della sanità è rappresentativo di tali mutamenti. Che si tratti della modifica della tessera sanitaria e ospedaliera in Francia o in Italia, le risposte ai problemi legati al mantenimento dei servizi pubblici nelle zone in declino uniscono, a livello nazionale e regionale, misure rivolte ai singoli individui, basate sul binomio stimolo/coercizione, misure basate sulla complementarietà tra settori pubblico e privato e, a livello regionale e internazionale, cooperazioni basate su logiche transfrontaliere.

• Tali ristrutturazioni della governance dei territori mettono in evidenza due tipi di difficoltà: quelle legati alla rarefazione delle risorse pubbliche, che attualmente riguardano soprattutto i paesi dell'Europa centrale e orientale, quelle legate a una crisi di solidarietà interterritoriale, che per il momento riguardano soprattutto i paesi in fase di regionalizzazione-federalizzazione, ma potrebbero estendersi in futuro ad altri paesi europei.

• In questo contesto complesso e spesso problematico che caratterizza la governance in Europa emerge come la politica di coesione dell'Unione europea, attraverso il potere di impulso nei confronti delle politiche nazionali e regionali, rappresenti un elemento di stabilità essenziale. Tuttavia, i suoi orientamenti sono mutati e tale aspetto incide sulla capacità di esercitare un "effetto leva".

"Shrinking region" e coesione territoriale Il decremento demografico che interessa intere regioni si aggiunge a, e talvolta si confonde con problematiche di disparità di sviluppo che si trovano tradizionalmente al centro della politica di coesione dell'Unione europea. Ciò deve portare a un ripensamento di tale politica in tutte le sue dimensioni: economica, sociale, ambientale e soprattutto territoriale. L'attenzione rivolta alla dimensione territoriale (sia regionale che locale) delle trasformazioni demografiche comporta un mutamento radicale delle questioni affrontate, giacché solleva nuovi interrogativi e consente di dare nuove risposte relativamente agli studi macroeconomici condotti a livello di Stati membri. Benché il Libro verde della Commissione europea del marzo 2005 segni un punto di rottura evidente nella riflessione europea, ciò non dipende tanto dalle sue conclusioni scritte (relativamente banali) quanto, piuttosto, dal fatto che fornisce per la prima volta in allegato proiezioni demografiche regionali per il periodo 2005-2030. Coscientemente o meno, la Commissione europea inaugura in questo modo un ambito radicalmente nuovo del dibattito politico, in quanto emerge che gli effetti locali e regionali del cambiamento demografico hanno una natura totalmente diversa rispetto a quelli percepibili a livello di Stati. La questione dei servizi pubblici, per esempio, non può più essere pensata come un mero parametro di adeguamento del bilancio, ma diventa una vera e propria sfida da un punto di vista politico e sociale, poiché il libero gioco del mercato porterà all'abbandono di intere zone del territorio comunitario. Inoltre, non è più possibile eludere la questione dell'impatto ambientale dei cambiamenti demografici, poiché è evidente che il processo di desertificazione delle zone a debole densità di popolazione può comportare maggiori rischi di erosione, incendi, ecc. Infine, e soprattutto, le questioni della perequazione sociale e

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territoriale appaiono imprescindibili, tenuto conto dell'importanza degli effetti dello spopolamento a livello locale e regionale. La flessione demografica e l'invecchiamento formano un sistema complesso di interazioni, dove intervengono aspetti economici, sociali, politici e ambientali, tanto che è impossibile affrontare il problema con un approccio settoriale. Sarebbe pertanto vano cercare di creare poli occupazionali o di competitività in zone che registrano una flessione demografica, senza sviluppare allo stesso tempo una politica di mantenimento e di riorganizzazione dei sevizi sanitari, di istruzione e di trasporto. Sarebbe altrettanto vano sviluppare una politica volontaristica di attrazione dei migranti nazionali o internazionali verso le zone in fase di abbandono (per esempio, per i servizi alle persone anziane), senza tenere conto dei problemi di integrazione economica e sociale dei nuovi arrivati nelle zone colpite da declino demografico. Il concetto di coesione territoriale costituisce, da questo punto di vista, il quadro di riflessione più adatto per sviluppare un approccio integrato alle questioni demografiche, dato che integra espressamente la dimensione territoriale dei fenomeni e propone una visione strategica dello sviluppo regionale, in grado di tenere conto degli effetti congiunti di ciascuna delle politiche territoriali condotte. Benché si possa discutere della pertinenza del livello NUTS2, è il livello regionale che dovrebbe assumere il ruolo centrale nella realizzazione di una politica di sviluppo demografico sostenibile, a condizione che agisca in modo complementare, e non in competizione, con il livello nazionale. Infatti, a partire dal momento in cui i livelli nazionali ed europei avranno proceduto alle necessarie perequazioni tra territori ricchi e poveri, è a questo livello intermedio tra ambito locale e nazionale che forse si potrebbero identificare meglio le sfide legate all'invecchiamento demografico e programmare la riorganizzazione della trama spaziale del ripopolamento. Ciò non significa che gli altri livelli territoriali non debbano contribuire, mediante azioni specifiche, alla realizzazione di un intervento politico globale in materia cambiamenti demografici. Il livello europeo e il livello nazionale restano più che mai essenziali per il mantenimento di una perequazione globale e assicurare l'attenuazione delle disparità tra gruppi sociali, territori o generazioni; tuttavia, la regione costituisce un punto di raccordo essenziale per realizzare interventi territoriali operativi, in particolare in materia di accesso ai servizi di assistenza e sanitari per gli abitanti delle "shrinking region".

"Shrinking region" e governance multiscalare Le risposte al problema del decremento demografico passano attraverso la realizzazione di una governance multiscalare, che prevede livelli di intervento sovraregionali (Unione europea, Stati), infraregionali (autorità locali, agglomerati) e infraregionali (spazi transfrontalieri, confini interni). A livello di Unione europea, occorre attribuire la priorità all'elaborazione di indicatori statistici semplici e affidabili, che consentano al contempo sia di seguire che di anticipare le evoluzioni demografiche. Nessuna politica comunitaria potrà infatti vedere la luce se tali indicatori non saranno disponibili, al fine di valutare ex ante ed ex post l'effetto delle politiche adottate. Le tipologie di "shrinking region" proposte nel presente studio costituiscono, da questo punto di vista, un indicatore semplice e affidabile che può essere facilmente aggiornato da Eurostat sulla base delle proiezioni demografiche regionali. L'indice di sviluppo demografico sostenibile, definito come il rapporto tra l'aspettativa di vita in buona salute e l'età media degli abitanti costituisce inoltre un indicatore innovativo, nella misura in cui non si basa

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su classi d'età predefinite (0-19, 20-64, 65 e +), le quali hanno la tendenza a fossilizzare gli individui in ruoli precisi ("giovani", "attivi", "vecchi").

Figura 3: indice di sviluppo demografico sostenibile nelle regioni europee

(situazione nel 2005, previsioni per il 2030)

Tale indice esprime un potenziale di vita restante (percentuale degli anni vissuti rispetto agli anni che restano ancora da vivere) che non pregiudica gli usi economici o sociali che possono esserne fatti da parte di società. Una regione con elevato invecchiamento può avere un buon indice di sviluppo demografico sostenibile se le persone che vi abitano possono vivervi a lungo e in buona salute. Essa ha quindi a disposizione numerose soluzioni per trarre il massimo vantaggio da tale potenziale. Al contrario, una regione apparentemente giovane può avere un cattivo indicatore di sviluppo demografico sostenibile se gli abitanti hanno un'aspettativa di vita ridotta e hanno scarse prospettive al di là del loro periodo di attività. Rispetto ai classici "tassi di dipendenza" che tengono conto soltanto del periodo di attività e dell'età di pensionamento prevista dalla legge, l'indice di sviluppo demografico sostenibile tiene conto della longevità e della qualità dei servizi sociali, considerandoli un fattore positivo, non un problema. Resta ancora da stabilire, evidentemente, se sia possibile introdurre indicatori demografici innovativi nella revisione della politica regionale. A livello nazionale, la questione centrale resta quella dei trasferimenti sociali ed economici che operano simultaneamente tra individui e luoghi, sia attraverso l'intervento pubblico che attraverso i soggetti economici. Lo studio ha messo in evidenza come le "shrinking region" siano complessivamente più povere rispetto alla media nazionale del rispettivo paese, ma le differenze risultano fortemente attenuate quando si tiene conto dei trasferimenti indiretti legati alle pensioni di anzianità, delle strutture pubbliche messe a disposizione, dei trasferimenti operati dai turisti, ecc. Non bisogna sovrastimare l'effetto di tali trasferimenti invisibili, che non generano lo stesso vantaggio per tutte le regioni, ma occorre tenerne conto per procedere a una perequazione più equa. Una contabilità regionale equa dovrebbe tenere conto del fatto che

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alcune regioni periferiche garantiscono la formazione dei giovani attivi, ma la forza lavoro di tali regioni viene successivamente utilizzata da regioni metropolitane lontane; o del fatto che, all'inverso, alcune regioni metropolitane trasferiscono una parte importante del loro valore aggiunto verso regioni specializzate in turismo e nell'accoglienza dei pensionati più fortunati. In questo caso si tratta di sapere se in futuro verranno mantenute logiche di perequazione nazionale oppure se prevarranno gli egoismi nazionali delle regioni più ricche e più dinamiche. A livello regionale, il problema principale è la riorganizzazione dei servizi e delle strutture in un contesto di flessione della popolazione e di trasformazione qualitativa di quest'ultima. Pertanto, la diminuzione del numero di giovani comporta necessariamente una riduzione dell'apparato formativo (riduzione del numero di classi), ma lascia aperte numerose opzioni, per differenziare tali chiusure sia nel tempo che nello spazio. Il raggruppamento degli istituti scolastici può costituire un fattore di miglioramento del sistema scolastico, oppure può comportare un aggravamento della crisi demografica di zone isolate a debole intensità. Analogamente, l'aumento della domanda di assistenza per le persone anziane può costituire un'opportunità di sviluppo economico regionale e di riorganizzazione della trama spaziale dei servizi di assistenza. Tuttavia, essa può anche comportare un degrado della qualità del servizio e una polarizzazione socio-spaziale tra zone ben attrezzate e mal attrezzate. Benché l'esperienza acquisita indichi che è possibile trovare soluzioni istituzionali diverse (devoluzione, decentramento, federalismo), è comunque auspicabile che la regione rimanga un'entità politica dotata di forte legittimità (elezioni, bilancio) in quanto deve prendere decisioni gravide di conseguenze per la vita quotidiana degli abitanti, come la modifica del complesso delle infrastrutture in seguito alla flessione della popolazione. I conflitti sono inevitabili in un contesto di rarefazione delle infrastrutture e il processo decisionale deve basarsi su una consultazione approfondita della popolazione e dei rappresentanti locali. Occorre tenere conto, in particolare, delle contrapposizioni città/campagna o grandi città/piccole città, che emergeranno inevitabilmente in tale contesto. La mobilità dei servizi può spesso costituire un'opzione utile per i collegamenti delle zone isolate, evitando una dispersione delle strutture sotto-utilizzate. In questo caso bisogna sapere se le politiche regionali di riorganizzazione della trama spaziale della popolazione e delle strutture attribuiranno maggiore priorità all'efficacia economica, oppure se saranno orientate alla volontà di difendere l'uguaglianza sociale e lo sviluppo sostenibile. A livello locale, la difficoltà principale consiste nel prendere coscienza dell'impossibilità, per un comune o una città, di risolvere da soli la questione dell'invecchiamento e dello spopolamento. In zone rurali in fase di declino demografico, ogni comune cercherà di difendere la SUA scuola o i SUOI negozi, a rischio di entrare in competizione con i comuni vicini che sviluppano la stessa strategia, e di arrivare alla chiusura generalizzata, oppure a spese proibitive in termini di fondi pubblici, per sostenere attività non redditizie. Nelle zone urbane, lo stesso tipo di contrapposizione può manifestarsi tra centri urbani in calo demografico e periferie in crescita, con conseguente spreco di mezzi e una ricerca di risposte locali a domande che attengono a un livello superiore. Salvo rimettersi a una decisione autoritaria a livello regionale o nazionale, sarà attraverso la realizzazione di strutture intercomunali (comunità di comuni, comunità di agglomerati) o attraverso il ricorso a livelli intermedi (per esempio paesi, aree ecologiche) che si potrà affrontare al meglio la questione della strutturazione locale dei territori in seguito ai cambiamenti demografici. In questo caso, si tratta trovare modalità di dialogo idonee con i responsabili dei livelli superiori, affinché le autorità locali partecipino alle ricomposizioni che le riguardano e non diventino semplicemente soggetti passivi.

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Rimane da aggiungere che questo approccio multiscalare alla governance delle "shrinking region" non deve semplicemente operare in modo verticale, ma anche orientarsi a una dimensione orizzontale, per evitare la comparsa di elementi di discontinuità ai confini tra entità politiche e amministrative. A livello transfrontaliero, inteso in senso intercontinentale (frontiere esterne dell'UE), internazionale (frontiere interne dell'UE), interregionale (confini amministrativi) e intercomunale, esistono numerose opportunità di cooperazione in ambito demografico, che non sono sfruttate o sono scarsamente sfruttate in ragione di ostacoli politici, giuridici o amministrativi. Non mancano esempi di "shrinking region" vicine a regioni in crescita dove le prime organizzano la costosa distruzione di alloggi vacanti divenuti inutili, mentre le seconde costruiscono nuove abitazioni, con elevati costi economici e ambientali. Non tutte le situazioni di complementarietà demografica transfrontaliera assumono tratti così paradossali, ma è certo che esiste un giacimento di iniziative ancora inesplorate negli spazi di contatto politico. In questo caso, si tratta di sapere se il timore del decremento demografico e di un invecchiamento insostenibile siano sufficienti per superare le opposizioni o le animosità nei confronti dello "straniero"su scala intercontinentale (per esempio partenariato Nord-Sud nel Mediterraneo), internazionale (per esempio ricoveri transfrontalieri) e intercomunale (per esempio condivisione di servizi pubblici di assistenza e di istruzione).