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COMITATO DIFESA DUEMILA Un Mediterraneo più sicuro Venezia, 17-18 novembre 2006

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COMITATO DIFESADUEMILA Venezia, 17-18 novembre 2006 Dott. Giovanni Gasparini (segretario). Prof. Michele Nones (coordinatore) On. Ferdinando Adornato Gen. Mario Arpino Gen. Vincenzo Camporini Gen. Carlo Finizio Dott. Renzo Foa Gen. Carlo Jean Dr. Andrea Nativi Sen. Luigi Ramponi Prof. Stefano Silvestri Amm. Guido Venturoni Rapporto Comitato Difesa 2000 pagina 7 Indice 2. Politica e strumenti di difesa e sicurezza »» 12 »» 15 »» 9 Rapporto Comitato Difesa 2000

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COMITATO DIFESA DUEMILA

Un Mediterraneo più sicuro

Venezia, 17-18 novembre 2006

Rapporto Comitato Difesa 2000

Comitato Difesa Duemila

Prof. Michele Nones (coordinatore)On. Ferdinando Adornato

Gen. Mario ArpinoGen. Vincenzo Camporini

Gen. Carlo FinizioDott. Renzo FoaGen. Carlo Jean

Dr. Andrea NativiSen. Luigi Ramponi

Prof. Stefano SilvestriAmm. Guido Venturoni

Dott. Giovanni Gasparini (segretario).

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Indice

1. Scenario strategico

2. Politica e strumenti di difesa e sicurezza

3. Italia e Mediterraneo

4. Una politica di sicurezza mediterranea

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1.SCENARIO STRATEGICO

Negli ultimi anni il Mediterraneo è rimasto al cen-tro dell'attenzione dell'Italia, ma è anche diventa-to un elemento essenziale della politica estera e disicurezza dell'Unione Europea e della Nato.L'Unione Europea ha deciso di mettere quest'areaal centro del “Processo di Barcellona” per favori-re la costruzione di un nuovo sistema di rapportibasati sulla collaborazione, sullo sviluppo e sullasicurezza, mentre l'Alleanza Atlantica sta tenendoin particolare considerazione il fronte sud nel suoprocesso di trasformazione, anche attraverso l'ini-ziativa del “Dialogo Mediterraneo”. Da sempre questo mare ha rappresentato un cro-cevia di civiltà e per lunghi periodi è stato il cen-tro focale della civiltà. In nessuna altra parte delmondo il mare mette in contatto tre diversi conti-nenti, costituendo fin dall'antichità la principalevia attraverso la quale tanti popoli si sono cono-sciuti ed hanno sviluppato i loro rapporti. Il Mediterraneo è un mare molto piccolo se com-parato con la superficie marina del globo, ne rap-presenta solo l'1%. Bagna 25 paesi con più di 80porti internazionali che vi si affacciano. Porti daiquali si generano più di 2000 collegamenti gior-nalieri con un traffico annuale di merci pari a circa750 milioni di tonnellate, di cui circa il 60% (450milioni di tonnellate) arriva da e parte per paesifuori dal Mediterraneo. E' solcato ogni giorno dapiù di 250 petroliere che trasportano il 20% delpetrolio mondiale, vi navigano giornalmente piùdi 2500 navi mercantili, traghetti e navi da cro-ciera che trasportano ogni anno milioni di turisti.

Attraverso il Mediterraneo passano gasdotti, oleo-dotti ed elettrodotti. Si stima che il 65% del petro-lio e del gas naturale consumati in Europa e il 20%del greggio mondiale passino per il Mediterraneo. Il tema della sicurezza dei sistemi di trasportodell'energia diventa così altrettanto importantequanto quello della sicurezza dell'attività di estra-zione.La regione che va da Gibilterra fino al Golfo

Persico, una regione che presenta fattori di conti-nuità geostrategica tali da essere definita da piùparti come "Mediterraneo allargato" sotto il pro-filo della sicurezza, è al centro dell'attenzione inter-nazionale, nonostante la sua perdita di centralitàrispetto al sistema Asia-Pacifico. Questo perché èqui che, ancora una volta, differenti culture e modidi vita, interrelazioni economiche e scambi com-merciali, flussi migratori e aspettative per il futu-ro, ma anche fattori di instabilità e di rischio, sisviluppano e interagiscono, determinando unprofondo e imprevedibile cambiamento dello sce-nario internazionale.Questa rivoluzione, come ogni altra, è destinata,nell'attuale contesto globalizzato, ad incidere conripercussioni, anche profonde, a livello globale.Il fatto che sulla sponda meridionale delMediterraneo si affaccino solo pochissimi paesidemocratici, mentre gli altri si caratterizzano perregimi più o meno autoritari, comporta in quest'a-rea un preoccupante rischio di destabilizzazione.La comparsa di movimenti e di partiti che sonocontigui al fondamentalismo islamico rischia diaggravare il quadro mediterraneo, ponendo unaseria ipoteca su cosa potrebbe avvenire soprattut-to nel momento della successione all'interno diquesti regimi.

Nel Mediterraneo si sono verificati nel recente pas-sato grandi mutamenti strategici. Quasi l'interasponda Nord di questo mare (compresi gli stati iso-lani di Malta e Cipro) fa oggi parte della NATO edell'UE. L'area balcanica non è ancora pienamen-te pacificata né integrata in queste istituzioni, maquei paesi non hanno né reali alternative né seriavolontà di cercarne di nuove. Rimangono due gros-si problemi: la gestione della conflittualità residuanei Balcani e la collocazione definitiva dellaTurchia in Europa. La soluzione che verrà data aquesti problemi ancora aperti influirà in mododeterminante sul futuro dell'area e in particolaresul ruolo che in essa vorrà e potrà esercitare l'UE.

Ancora più complessa è la situazione delle spon-de Sud ed Est del Mediterraneo. Anche i paesi di

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queste aree sono strettamente legati dal punto divista economico, ed in qualche caso politico,all'Unione Europea, di gran lunga il loro princi-pale partner commerciale. I fenomeni migratoriillegali, spesso strettamente intrecciati con le atti-vità della criminalità organizzata, rappresentanoun dossier di primaria importanza che può esseregestito solo di comune accordo tra tutti i soggettimediterranei. Ma la novità strategica è quella diun mutamento progressivo degli equilibri interniall'area, ancora aperto ai più diversi sviluppi.

Per molti anni la maggiore potenza mediterraneasono stati gli Stati Uniti. Questo è vero ancora oggisul piano strettamente militare, ma in realtà ilMediterraneo, come del resto l'Europa, non sonopiù al centro della pianificazione strategica ame-ricana, puntata piuttosto sul Golfo e sull'Asia. Perdi più, i negativi sviluppi della campagna irache-na hanno indebolito la capacità degli Stati Uniti digarantire la sicurezza e la stabilità di questa regio-ne. Nuovi attori regionali stanno emergendo, e leconseguenze possibili di tali sviluppi non sonostate ancora ben considerate. L'Iran ad esempiosembra essere uscito rafforzato sia dalle operazioniin Afghanistan che da quelle in Iraq, oltre che dallarecente crisi in Libano. Ancora più rilevante, dalpunto di vista strategico, è la crescita di impor-tanza politica e di influenza del movimento scii-ta, tradizionalmente marginale in Medio Oriente:ciò, legato al montare delle minacce degli estre-misti islamici sunniti e dei terroristi “Jihadisti”,indebolisce e preoccupa i principali governi arabi,spostando almeno provvisoriamente il baricentropolitico del Medio Oriente verso Est e rendendopiù difficile la stabilità nella regione mediterranea.

E' in questa situazione che si è sviluppata l'ultimacrisi libanese, tra Israele e il movimento degliHezbollah. E' difficile trarre conclusioni certe dauna crisi ancora aperta. In via provvisoria, tutta-via, è possibile rilevare alcune indicazioni impor-tanti.

In primo luogo sembra ormai evidente che Israele

non è più chiamato a combattere direttamente altreentità statuali: l'ultimo attacco militare “classico”subito da Israele è stato quello iracheno (prove-niente da un paese non confinante e unicamentecondotto con missili) durante la guerra del 1991(che non lo riguardava direttamente). Al contra-rio, un po' come in Palestina, Israele si trova adoversi confrontare con azioni di guerriglia, atten-tati terroristici, azioni di formazioni irregolari ecce-tera, molto difficili da contrastare con operazionimilitari tradizionali.

In secondo luogo sembra delinearsi una nuovaleadership antagonista degli israeliani, diversa daquella dell'OLP e dominata da nuovi movimentiestremisti (Hamas, Hezbollah), fortemente radi-cati nei loro territori e collegati sia a stati difficili(quali la Siria e l'Iran) sia al movimento sciita. Inquesto quadro, i rapporti di questi movimenti conil terrorismo Jihadista di al-Qaida sembrano piùcompetitivi che di collaborazione, anche se nonsono da escludere convergenze più o meno occa-sionali e anche se ambedue contribuiscono adaccrescere l'instabilità e la pericolosità della situa-zione.

Israele è in grande difficoltà. La linea politica nego-ziale che aveva portato sino alla soglia di grandiaccordi di pace è ancora perseguita dal Quartetto(Usa, Russia, ONU e EU), ma la sua “Road Map”sembra di fatto ora abbandonata (o quanto menosospesa a tempo indefinito) per mancanza di inter-locutori credibili e di consenso politico locale.D'altro canto la linea delle mosse unilaterali, cheha portato al ritiro dal Libano e all'autonomia diGaza, pur avendo consentito una razionalizzazio-ne dell'impiego dell'Esercito israeliano, non hainnestato quel circolo virtuoso in cui alcuni spe-ravano. Al contrario, lo stesso progetto di prose-guire con altre decisioni di ritiro unilaterale sem-bra oggi molto in dubbio, vista la situazione neiterritori palestinesi. Di più, la campagna libaneseha messo in grave difficoltà sia le forze armate cheil governo israeliano, costringendoli alla ricerca diuna soluzione negoziata attraverso l'intervento

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delle Nazioni Unite.

L'insieme di questi sviluppi ha aperto una finestradi opportunità per la politica europea. Benché latregua del conflitto libanese sia stata negoziata insede di Consiglio di Sicurezza ed abbia visto ladecisione di rilanciare e potenziare la missioneUNIFIL, di fatto questo sviluppo non sarebbe statopossibile senza l'impegno di importanti paesi euro-pei, concordato in sede di Consiglio dei Ministridell'UE (in una seduta cui ha partecipato, elementodi grande novità e interesse, anche il SegretarioGenerale dell'ONU).

Questa doppia debolezza strategica, americana edisraeliana, crea una situazione pericolosa e insta-bile, ma apre anche alcune nuove prospettive poli-tiche. Soprattutto delinea l'opportunità, e in qual-che caso addirittura la necessità, che si concretiz-zi una maggiore iniziativa europea, superando quel-le debolezze e quelle divisioni che si manifesta-rono massicciamente al momento della guerra inIraq, ma che hanno anche impedito che l'impegnoin Libano risultasse fin dall'inizio una decisionecollettiva dell'UE, invece di concretizzarsi in chia-ve di singoli impegni nazionali. Difficilmente essapuò essere sostitutiva, né tanto meno alternativaagli impegni e alle responsabilità americane e israe-liane. Essa però dovrebbe quanto meno esplorarela nuova situazione strategica e sondarne le poten-zialità nel senso di una riduzione e miglior con-trollo delle crisi in atto.

Certamente in questo senso vanno lette le inizia-tive europee nei confronti dell'Iran, nonché l'im-portante impegno europeo in Libano e nei con-fronti dei palestinesi. Non si tratta tuttavia di unasorta di impossibile “divisione del lavoro” (goodcop vs. bad cop) tra chi si occupa degli uni e chisi occupa degli altri, poiché l'obiettivo non è quel-lo di perpetuare e approfondire le divisioni esi-stenti bensì di ridurle e di avviare un più credibi-le processo di pace e sicurezza nella regione, peril quale è necessaria la cooperazione di tutte le partiin causa. Semmai il maggior ruolo europeo dovreb-

be andare nel senso di superare alcune barrierepolitiche o ideologiche all'instaurazione di dialo-ghi e negoziati diretti tra tutte le parti in causa.

Idealmente l'approccio europeo favorisce i quadrinegoziali multilaterali. Prima però di affrontare insede multilaterale i conflitti in corso o di ricerca-re l'accordo su regole e principi e comuni (sulmodello di quello che avvenne negli Anni Settantain Europa con la CSCE - Conferenza sullaSicurezza e la Cooperazione in Europa, preparan-do e accelerando la fine della Guerra Fredda) sarànecessario un forte lavoro di stabilizzazione e diricostruzione della fiducia reciproca, nonché dinuovi canali di comunicazione, che probabilmen-te richiederanno una lunga fase di rapporti bilate-rali. La sfida in questo caso darà quella di assicu-rare l'unità strategica nella frammentazione tatti-ca: un esercizio che richiederà una maggioreresponsabilizzazione e il funzionamento a pienoregime delle grandi istituzioni multilaterali euro-pee ed atlantiche, in grado di assicurare con effi-cacia i difficili equilibri di un quadro operativo“multi-bilaterale”. A questo fine tuttavia è inizial-mente necessaria una presa di consapevolezza euna decisione politica iniziale da parte europea, ein particolare attraverso i meccanismi dell'UE, cheufficializzi e definisca i grandi obiettivi strategicidell'Unione nella regione. Ciò sarà necessario, oltreche per stabilire le basi dell'iniziativa diplomaticae di sicurezza, anche per assicurare la necessariaunità di procedure e di azioni tra i diversi “pila-stri” della stessa UE.

2. POLITICA E STRUMENTI DI DIFESA E SICUREZZA

Nel Mediterraneo, anche durante la guerra fredda,il concetto di sicurezza è stato sempre più ampiodi quello di difesa militare, prevalente invece nelCentro Europa, incluso il confine Nord-Est italia-no. La stessa presenza navale russa non rappre-sentava tanto una minaccia diretta di rilievo per iterritori e per le vie di comunicazione marittimedella Regione Meridionale della NATO, quanto

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uno strumento per contrastare la 6ˆ Flotta USA.Solo subordinatamente doveva minacciare i col-legamenti della Turchia con l'Occidente.

Il contesto strategico è oggi completamente muta-to e non esiste la possibilità di una minaccia mili-tare diretta ai territori occidentali da parte di statirivieraschi del Mediterraneo. Potrebbe esservi solocon la loro acquisizione di capacità missilistiche.Il lancio verso Lampedusa di due Scud libici nel1986 ne è un esempio. Per altro, non si vede benequale fine possa perseguire un attacco missilisti-co a stati della NATO. Esso provocherebbe unarisposta devastante sia da parte degli Stati Uniti,che dei principali paesi europei. Tale eventualitàpotrebbe manifestarsi solo qualora l'Europa diven-tasse un partner strategico globale, e non solo regio-nale, degli Stati Uniti e venisse coinvolta in qual-che loro iniziativa di stabilizzazione, democratiz-zazione e cambiamento di regime nel GrandeMedio Oriente.

Se non vi sono rischi diretti, o comunque se que-sti sono del tutto improbabili, nel bacino delMediterraneo, esistono però numerose minacce ediffusi rischi indiretti, di tipo non convenzionale.

La volontà espressa dell'Unione Europea (in par-ticolare nel documento A Secure Europe in a BetterWorld del 2003) di essere un attore globale o alme-no un partner globale degli Stati Uniti comportal'esigenza di considerare scenari di utilizzazionedelle forze europee (nell'ambito della NATO o, piùprobabilmente, in coalizioni ad hoc) in teatri ope-rativi geograficamente molto lontani, ma resi pros-simi agli interessi e quindi alla sicurezza europeiper l'interdipendenza che caratterizza gli assettimondiali del dopo guerra fredda.

Gli scenari d'intervento sono attualmente difficilida definire, anche se è verosimile che conflitti ditipo tradizionale possano scoppiare nell'AsiaMeridionale e Orientale, dove gli Stati Uniti stan-no rafforzando i loro legami con il Giappone e conl'India. Pertanto, una partecipazione europea, a

parte le difficoltà di schieramento e di sostegnologistico, appare poco probabile. Ciò dovrebbeessere considerato nella definizione delle prioritàdella pianificazione.

Le minacce che più probabilmente le forze euro-pee dovranno affrontare e, quindi, per le qualidovranno essere strutturate, equipaggiate e adde-strate sono quelle relative da un lato all'effettua-zione di operazioni di stabilizzazione, interposi-zione, peacekeeping e peacemaking e di counter-insurgency, per le quali viene richiesto un nume-ro più elevato di militari sul terreno di quelli neces-sari per le operazioni net-centriche e, dall'altro lato,al concorso alla difesa civile (Homeland Security).

Il problema principale che si pone per questi tipidi operazioni, che richiederebbero forze struttu-ralmente diverse da quelle network-centriche, èdato dall'impossibilità, per ragioni demograficheoltre che economiche, di mantenere due tipi diforze armate diverse, come era comune in Europanel XIX e all'inizio del XX secolo. In tali periodi,esistevano due eserciti: uno metropolitano e unocoloniale, con culture e dottrine strategiche, strut-ture, equipaggiamento e reclutamento diversi. Solomarginalmente, questa suddivisione si è verifica-ta nelle recenti “operazioni diverse dalla guerra”.

In queste ultime si è poi registrata una profondamodifica delle funzioni delle unità CIMIC(Cooperazione Civile - Militare): esse non sonopiù al servizio delle forze militari, come avvenivanella guerra fredda, ma operano a favore dellepopolazioni civili. Agiscono poi sempre più in sim-biosi con le ONG - Organizzazioni NonGovernative, e con le imprese private appaltate daigoverni, in compiti di assistenza umanitaria, diricostruzione e di riattivazione delle istituzioni edei servizi pubblici (in Iraq, i loro effettivi rap-presentano il 15-20% del totale).

In ragione del rapido invecchiamento della popo-lazione europea (la cui età media nel 2025 sarà di45 anni) sarà giocoforza per l'Europa ridurre i 2

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milioni di effettivi attuali delle sue forze armate,nonché ricercare tutte le soluzioni tecnologicheper ridurre il numero del personale militare, soprat-tutto di quello di supporto. Infine, compiti logisti-ci e i servizi generali saranno sempre più larga-mente affidati ad imprese civili, come lo erano statifino alla costituzione degli eserciti di massa. Ciòtuttavia renderà meno flessibile l'impiego delleforze armate in interventi esterni ai territori nazio-nali.

L'attuale spettro delle minacce non convenziona-li alla sicurezza europea si è esteso. Come in campoeconomico sono cadute le barriere fra interno edesterno, così stanno divenendo anche più porosele differenziazioni fra le forze armate e quelle dipolizia, eccezion fatta per taluni settori come quel-li giudiziario e finanziario. Le nuove minacce siestendono dal terrorismo alla criminalità organiz-zata, dall'immigrazione clandestina ai traffici ille-citi di varia natura (droghe, armi, organi umani,ecc.).

Ciò richiede una grande flessibilità organizzativa,con la ricerca si ogni possibile sinergia e capacitàdi concorso reciproco fra le forze armate e quelledi polizia. Questo sembra particolarmente neces-sario per la protezione delle infrastrutture critiche,gli interventi post-disastro naturale o tecnologicoo post-attacco terroristico, il controllo delle fron-tiere marittime, terrestri ed aeree. Tutti questi com-piti richiedono un gran numero di effettivi, che leforze armate non hanno più a disposizione dopol'abolizione della coscrizione obbligatoria.

La possibilità di tali sinergie e interscambio di ruolisono facilitati in Italia dal fatto che le forze di poli-zia (a differenza di quanto avviene nei paesi anglo-sassoni o in Germania) sono accentrate a livellostatale e che molti loro componenti hanno uno sta-tus militare o paramilitare, dai Carabinieri allaGuardia di Finanza, dalla Guardia Costiera alCorpo Forestale dello Stato.

Di fronte al carattere proteiforme delle minacce

non convenzionali (proprie degli attuali “conflittiasimmetrici” o di “quarta generazione”, in cui ilpeacekeeping si è trasformato nelle “operazioni dipace”) è necessario che gli stati europei effettuinoun'approfondita analisi delle minacce prevedibili,dei possibili scenari di intervento e della capacitànecessarie. Dovrebbe anche essere approfonditala possibilità di massimizzare le possibilità di con-corso reciproco fra le forze armate e quelle di poli-zia. Questo richiede, inoltre un aggiornamento del-l'attuale dottrina di impiego.

Tale esigenza è accresciuta dal fatto che, a diffe-renza degli USA dove il terrorismo è soprattuttoesterno e quindi largamente fronteggiabile con laprotezione dei confini (smart border), in Europa èsoprattutto interno, originato dalle comunità diimmigrati islamici. Tale differenza deriva dallamaggiore rigidità delle società europee rispetto aquella americana e quindi dalla discriminazione econseguente frustrazione e reazione provate dagliimmigrati islamici, non integrati, né integrabili,nella stessa misura in cui lo sono negli USA. Talefenomeno non è contrastabile con repressioni dipolizia e giudiziarie, ma con misure di sicurezzasoft, che il Processo di Barcellona e la EuropeanNeighbourhood Policy hanno sinora invano cer-cato di estendere all'intero bacino del Mediterraneo(vicino Oriente incluso).

La politica americana di sicurezza interna(Homeland Security) rappresenta l'ultima linea didifesa, mentre in una prospettiva di più lungo perio-do il contrasto a tali minacce deve essere soprat-tutto socio-politico-economico.

La questione è tanto più importante perché inEuropa il terrorismo proviene più dall'interno, men-tre negli USA viene più dall'esterno, data la loromaggiore capacità di integrazione degli immigra-ti.

La politica di contrasto va estesa alle periferiedell'Europa nello spirito della Partnership Euro-Mediterranea, capace di creare stabilità e svilup-

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po nei paesi rivieraschi del Nord Africa e delMedio Oriente e, quindi, modernizzarli e demo-cratizzarli. Solo così, per inciso, si potrà attenua-re la pressione demografica sull'Europa che potreb-be divenire insostenibile in tempi più brevi diquanto si pensi. Nella lotta al terrorismo, al nar-cotraffico e all'immigrazione clandestina e aglialtri fenomeni malavitosi è necessario stimolarela massima cooperazione possibile tra i paesi rivie-raschi. Solo essi, tra l'altro, sono in grado di infil-trare agenti nelle reti e gruppi criminali e anche dicomprendere le motivazioni che inducono moltiimmigrati a sostenere il terrorismo. Sembra infat-ti prematura la possibilità di costituire “LegioniStraniere” della polizia e dell'intelligence. Maggioreimportanza dovrebbe, invece, essere data alla pos-sibilità di utilizzare le forze armate come istitu-zione per l'integrazione e la nazionalizzazione dinuovi immigrati, anche di quelli che non abbianoancora ottenuto la cittadinanza, ma che la potreb-bero ottenere dopo un adeguato periodo di servi-zio militare.

La pluralità delle minacce richiede più che maiuna concezione globale della sicurezza e il suocoordinamento a livello centrale nei suoi aspettisia soft che hard. Per farvi fronte è necessario chele forze armate europee conservino capacità chele pongano in grado di effettuare interventi ad altaintensità operativa e tecnologica. In particolare,debbono mantenere, almeno per le componentiche producono tali capacità, un ragionevole gradodi interoperabilità con le forze americane. Solo intal modo potranno offrire un apporto significati-vo, capace di influire sulle decisioni politico-stra-tegiche di Washington. In linea di principio taliforze devono subire un processo di Transformationverso il un'impostazione network-centrica similea quella in atto nelle forze americane verso laNetwork Centric Warfare e disporre di elevatamobilità strategica e di completa prontezza ope-rativa. Evidentemente la loro partecipazione saràtanto più utile quanto più tali forze potranno copri-re “capacità di nicchia” in cui gli Stati Uniti pre-sentino carenze.

3. ITALIA E MEDITERRANEO

L'Italia è il paese europeo più legato e dipenden-te dal Mediterraneo. Non c'è quasi aspetto delnostro paese che non sia coinvolto: dal campo eco-nomico a quello commerciale, dalla politica allacultura, dalle tradizioni ai comportamenti, dall'e-nergia al turismo, dall'interscambio all'immigra-zione.

Fra i paesi europei l'Italia è obiettivamente e tra-dizionalmente quello più esposto. La vicinanzaalla sponda meridionale ne fa oggi la meta privi-legiata dell'immigrazione clandestina, unitamen-te alla Spagna. L'Italia è fra i paesi che più dipen-dono dai trasporti marittimi sia per l'importazionedi materie prime (in particolare petrolio e gas) ecomponenti industriali, sia per l'esportazione deipropri prodotti. L'aumento dell'utilizzo dei traghettiin tutto il Mediterraneo, sommato all'incrementodell'interscambio commerciale con i paesi dellasponda meridionale e con quelli del sud-est euro-peo, sta costruendo un vero e proprio sistema di“autostrade del mare” che ha al centro il nostropaese. I flussi turistici, un elemento importantedella nostra economia, trovano nell'attività cro-cieristica una nuova e stabile base in continuaespansione.

L'Italia è fortemente dipendente dall'estero nelcampo dell'energia. L'uscita dal nucleare ha ulte-riormente aggravato questa dipendenza coinvol-gendo anche la produzione di energia elettrica.Oltre a gas e petrolio, anche in questo settore l'Italiaè quindi diventata importatore. La diversificazio-ne geografica delle fonti non sembra più una misu-ra sufficiente per garantire un'adeguata sicurezzadel nostro sistema economico e sociale, soprattut-to perché, per quanto riguarda le infrastrutture fissedi trasporto, molte di esse partono o attraversanoaree ad elevata insicurezza e per quanto riguardail trasporto via mare restano molteplici rischi lega-ti alla localizzazione dei porti di provenienza edelle rotte. Tutto questo comporta la centralità del

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Mediterraneo per quanto riguarda i nostri approv-vigionamenti energetici.

Per quanto riguarda i gasdotti sottomarini, il primoè entrato in servizio nel 1983 fra Tunisia e Italia.E' composto da due pipeline lunghe 370 km e col-lega il confine algerino con Capo Bon dove siimmerge fino alla Sicilia. Dieci anni dopo, nel1994, fu raddoppiato. Attualmente ha una capa-cità di 27 miliardi di mc che arriveranno a 33,5alla fine del 1998 grazie al potenziamento dellecentrali di compressione. Su questo gasdotto se neinnestano altri cinque sottomarini provenientidall'Algeria. Nel 2005 sono stati importati attra-verso questi gasdotti 25 miliardi di mc pari al 30%del fabbisogno nazionale. Un secondo asse è quel-lo che collega la Libia con l'Italia con una pipeli-ne unica entrata in servizio a fine 2004 e una capa-cità di 8 miliardi di mc. Nel 2005, anno ancorasperimentale, sono stati importati 4,5 miliardi dimc pari al 5% del consumo nazionale. Nel com-plesso, quindi, i gasdotti mediterranei coprono giàoggi poco più di un terzo dei consumi nazionali epotranno salire fino a circa il 45% nel prossimobiennio a parità di consumi.

Per quanto riguarda il trasporto via mare di GNL- Gas Naturale Liquefatto attualmente vi è un soloimpianto di rigassificazione in Italia (contro 1 inFrancia, 3 in Spagna, 1 in Grecia e 1 in Turchia).I terminali di liquefazione sono 6 (3 in Algeria, 2in Egitto e 1 in Libia ) con una produzione di circa34 mtp. Le navi metaniere che operano attualmentenel Mediterraneo sono 17. Sulla rotta Algeria -Italia l'anno scorso sono stati fatti 60 viaggi. E unsistema di trasporto in forte espansione perché èpiù economico a livello di realizzazione delle infra-strutture e più flessibile rispetto alle pipelines.

Se si considerano non solo i rischi di incidenti indu-striali o di eventi naturali, ma anche quelli asso-ciati alla minaccia terroristica, nel campo dei siste-mi di trasporto dell'energia questi risultano moltoelevati per la presenza concomitante di moltepli-ci fattori: le basi di partenza dei sistemi di trasporto

dell'energia sono localizzate sul fronte sud delMediterraneo, hanno un'estensione molto ampia,sono in parte preponderante sommerse e quindipiù difficilmente sorvegliabili, sono (soprattuttoper il gas) intrinsecamente “delicate”, rappresen-tano un obiettivo pagante in termini di immaginee di danno economico, sono difficilmente ripara-bili in un breve arco di tempo.

A questi fattori di rischio generali se ne aggiun-gono altri particolari. Gli impianti di rigassifica-zione, se collocati in mare, possono essere più dif-ficilmente difendibili e, in ogni caso, sono poten-zialmente obiettivi più paganti per il terrorismo.Le navi metaniere possono essere utilizzate comearmi non convenzionali e la loro mobilità le rendepiù difficili da difendere in movimento e più peri-colose se portate vicino a centri abitati.

Analoghe considerazioni potrebbero essere fatteper tutti i trasporti navali di prodotti chimici, main questi casi il minor numero e la loro irregola-rità possono attutire il livello del rischio.

Sempre considerando la minaccia terroristica nelMare Mediterraneo, altri due potenziali obiettividevono essere considerati attentamente.

Il primo è il sistema portuale e, in particolare, igrandi porti dove, nelle aree destinate alle navi datrasporto, si registra un forte transito di containers,carichi sfusi, mezzi di trasporto su gomma e fer-rovie, lavoratori e autisti, mentre, in quelle limi-trofe destinate ai traghetti, vi è un forte transito dipasseggeri ed autisti e di automobili e di mezzipesanti e leggeri. Vi sono poi le aree destinate allacrocieristica dove transitano i turisti e tutto l'in-dotto legato ai rifornimenti. Una delle caratteri-stiche comuni delle attività marittime è, dal puntodi vista portuale, il loro concentrarsi in archi ditempo molto brevi. Questo rende più problemati-co trovare un accettabile punto di equilibrio fra l'e-conomicità dell'attività di carico e scarico dellepersone, dei mezzi di trasporto e delle merci e l'e-sigenza di uno stretto e puntuale controllo.

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Il secondo è il trasporto delle persone. Dopo il casodell'Achille Lauro nell'ottobre 1985, il dirottamentodi traghetti o navi da crociera non si è ripetuto. Perun singolo o per pochi attentatori è evidentemen-te più facile il dirottamento di un aereo (ambien-te più ristretto, passeggeri seduti, unicità dei pas-saggi, ma, soprattutto, pericolosità intrinseca delmezzo). Ma per un numero di attentatori anchenon elevato questo tipo di navi potrebbero rap-presentare un obiettivo pagante.

Un ultimo aspetto riguarda il controllo del confi-ne marittimo. L'Italia è il paese europeo con la piùvasta frontiera extra-comunitaria che si estendedal Nord-Africa ai Balcani ed è tutta marittima.Attraverso di essa passa un costante flusso di immi-grati clandestini e di merci illegali verso l'Europa.La sua ampiezza e l'elevato numero di possibilipunti di sbarco rende difficile una sorveglianzacapillare soprattutto nei confronti delle piccoleimbarcazioni.

Per quanto riguarda, in particolare, l'immigrazio-ne clandestina va considerato anche l'aspetto uma-nitario e, a volte, quello legato al potenziale sta-tus di profughi politici che impediscono il sem-plice respingimento alla frontiera, anche perché siinterpongono quasi sempre le acque internazionalie non è di immediata evidenza la provenienza.All'interno di questa immigrazione clandestina sipossono facilmente nascondere eventuali terrori-sti, ma, soprattutto, soggetti che, se poi non inse-riti ed integrati nella società europea, rischiano didiventare un terreno privilegiato per il reclutamentoda parte del fondamentalismo islamico.

Di qui la necessità di innalzare la soglia dell'at-tenzione e della prevenzione nei confronti di tuttequeste potenziali minacce.

In questo quadro emerge chiaramente l'esigenzadi avere una conoscenza dettagliata, puntuale edin tempo reale di ogni possibile evento significa-

tivo in tutta l'area di interesse. Non può sfuggirela complessità di tale compito, complessità chederiva non solo dall'articolazione e dall'ampiezzadell'ambito geografico, non solo dalla varietà edalla densità delle attività che vi si svolgono, maanche dai diversi atteggiamenti politici di ogni atto-re (statuale e non) coinvolto, atteggiamenti chesono ben lungi dall'essere stati adeguatamente per-meati da efficaci risultati delle pur numerose evariegate misure di confidence building. Sarà per-tanto necessario acquisire ed aggiornare gli ele-menti di situazione con metodi e mezzi che, ovenon condivisi, abbiano un livello di intrusività taleda non essere percepito, o comunque da non indur-re a reazioni ostili.

Solo un'analisi articolata può tentare di coprire lavarietà degli ambienti e le loro diverse struttura-zioni.

Il controllo dello spazio aereo è per un verso piùsemplice e per un altro verso più difficile rispettoa quello della superficie: più semplice perché daquando è nata la navigazione aerea qualsiasi mezzovolante di dimensioni significative è controllatoistante per istante, quando muove dal parcheggio,per tutte le fasi del volo fino all'atterraggio. Oggipoi, soprattutto per quanto concerne ilMediterraneo, la copertura offerta dai sistemi radarè pressoché totale, quanto meno alle quote di inte-resse. A questo sistema capillare possono sfuggi-re solo velivoli di ridotte dimensioni e capacità chepossono costituire minaccia solo in circostanzeparticolari. Il problema è, però, che i tempi sonoestremamente ridotti: un velivolo commerciale incrociera percorre oltre sette miglia nautiche alminuto, il che (se si vuole davvero esercitare unaefficace funzione di air policing) richiede pron-tezze elevatissime, che sono poi quelle del siste-ma integrato della difesa aerea dell'AlleanzaAtlantica.

Molto diversa è la problematica del controllo diquanto avviene sulla superficie, in quanto nel pas-

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sato non è mai stato avvertita la necessità di unsistema di monitorizzazione puntuale dei trafficidei natanti, se non in prossimità delle coste ed inparticolare degli stretti e dei porti. Solo oggi, subase volontaria e con le metodologie rese possi-bili dalla moderna tecnologia informatica, è statopossibile avviare iniziative concrete in tale senso,come quella che descriveremo diffusamente piùavanti, il Virtual Regional Marittime Traffic Centre(VRMTC).

Ma è dalle capacità offerte dai sistemi satellitariche dobbiamo attenderci i risultati più concreti epregnanti. In questo campo deve essere necessa-riamente perseguita una strategia di cooperazioneintranazionale e internazionale. Intranazionale per-ché fra tutti, il settore dove è più agevole e natu-rale parlare di applicazioni duali è proprio quellospaziale. Un rapporto strettissimo, quasi simbio-tico, tra mondo civile e mondo militare diventaquindi prerequisito concettuale prima ancora cheoperativo per conseguire capacità da utilizzare instrutture e con finalità eterogenee, ma tutte acco-munate dall'esigenza di monetizzare con accura-tezza (questione della definizione), con versatilità(questione dell'analisi multispettrale) e con conti-nuità (questione dei tempi di rivisitazione e quin-di del tipo di orbita e del tipo di costellazione pre-scelto). Per le stesse motivazioni deve essere cer-cata ogni possibile forma di collaborazione inter-nazionale che, oltre a ridurre gli oneri, mediantela condivisione, garantisca il pieno mantenimen-to del requisito di interoperabilità, senza la cuiimplematazione sarebbe vano ogni sforzo di par-tecipare al consesso dei paesi che in un modo onell'altro determinano le vie della politica inter-nazionale. E qui lo specifico riferimento da fare èquello dell'importanza vitale del successo del pro-gramma Skymed Cosmo, in sinergia con ilprogramma francese Pléiades.

Ma al di là dei possibili strumenti di controllo, va,però, ribadito che solo una politica di sostegno allosviluppo economico dell'area mediterranea edell'Africa sub-sahariana può prevenire realmen-

te il nascere o l'esplodere delle minacce. Ogni altramisura non può che essere considerata come rispo-sta parziale e nel breve periodo.

4. UNA POLITICA DI SICUREZZA MEDITERRANEA

Diverse iniziative sono state assunte da partedell'Italia, dell'Unione Europea e della Nato in que-sti ultimi anni. Oltre alle iniziative nazionali, l'Italiaha assicurato una sua convinta partecipazioneanche alle attività sviluppate a livello internazio-nale.

L'Unione europea ha istituito, in occasione dellaConferenza di Barcellona del novembre 1995, unnuovo contesto per le sue relazioni con i paesi delbacino mediterraneo in vista di un progetto di par-tenariato. Alla Conferenza hanno partecipato, oltreai ministri degli Esteri europei, quelli di dodicipaesi mediterranei: Algeria, Cipro, Egitto, Israele,Giordania, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia,Turchia e Autorità palestinese. Erano, invece, invi-tati la Lega degli stati arabi e l'Unione del Maghrebarabo (UMA) così come la Mauritania.

La Dichiarazione euromediterranea, approvata dai27 paesi partecipanti, ha definito un quadro mul-tilaterale che associa strettamente gli aspetti eco-nomici e di sicurezza e comprende, inoltre, ladimensione sociale, umana e culturale. L'obiettivoè quello di superare il classico bilateralismo cheha contrassegnato a lungo le relazioni euromedi-terranee, investendole di una dimensione nuova,fondata su una cooperazione globale e solidale alivello di partenariato, pur nel rispetto delle spe-cificità proprie di ogni partecipante. Il nuovo con-testo multilaterale è, comunque, complementareal consolidamento delle relazioni bilaterali e nonintende sostituirsi alle altre azioni ed iniziativeintraprese a favore della pace, della stabilità e dellosviluppo della regione.

Il nuovo partenariato globale euromediterraneoviene realizzato su due livelli complementari: uno

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a carattere regionale e l'altro a carattere bilaterale,attraverso la stipulazione di Accordi di associa-zione tra l'UE e i paesi dell'area mediterranea.

I tre assi della politica regionale sono: il partena-riato politico e di sicurezza che mira a realizzareuno spazio comune di pace e di stabilità; il parte-nariato economico e finanziario che intende con-sentire la creazione di una zona di prosperità con-divisa (in primo luogo attraverso una zona di libe-ro scambio Euro-Med entro il 2010, che dovreb-be generare benefici economici comuni a lungotermine, grazie ad un maggior flusso di investi-menti e alla riallocazione di parte delle risorse euro-pee nei paesi che attualmente beneficiano dei fondiMEDA); il partenariato sociale, culturale e umanoche intende sviluppare le risorse umane, favorirela comprensione tra culture e gli scambi tra lesocietà civili.

Per quanto riguarda il partenariato politico e disicurezza la Dichiarazione ha definito importantiobiettivi comuni in materia di stabilità interna edesterna: l'introduzione dello stato di diritto e lademocrazia nei loro sistemi politici; il rispetto dellaloro uguaglianza sovrana, dell'uguaglianza di dirit-ti dei popoli e del loro diritto all'autodetermina-zione; relazioni basate sul rispetto dell'integritàterritoriale, sul principio di non intervento negliaffari interni e sulla composizione pacifica dellecontroversie; il contrasto del terrorismo, della cri-minalità organizzata e del flagello della droga intutti i suoi aspetti; la sicurezza regionale (adope-randosi a favore della non proliferazione chimica,biologica e nucleare mediante l'adesione ai regi-mi di non proliferazione e agli accordi sul disar-mo e sul controllo degli armamenti); il persegui-mento della creazione di un'area mediorientalepriva di armi di distruzione di massa.

L'aspetto bilaterale della politica euromediterra-nea si concretizza attraverso la stipulazione diaccordi di associazione tra l'UE e i paesi dell'areamediterranea. Attualmente i paesi che hanno giàfirmato tali accordi sono: Algeria, Egitto,

Giordania, Israele, Libano, Marocco, TerritoriAutonomi Palestinesi, Tunisia.

Al fine di garantire un controllo della realizzazio-ne degli obiettivi del partenariato, la dichiarazio-ne prevede riunioni periodiche dei ministri degliEsteri dei partner mediterranei e dell'UE, prepa-rate da un "Comitato euromediterraneo per il pro-cesso di Barcellona" che si riunisce a livello di altifunzionari e che ha il compito di fare il punto dellasituazione, dare una valutazione del seguito delprocesso di Barcellona ed aggiornare il program-ma.

Dopo l'ultimo allargamento del 2004, il partena-riato euromediterraneo riunisce pertanto 35 mem-bri, 25 stati membri dell'UE e 10 partner mediter-ranei (Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Libano,Marocco, Autorità palestinese, Siria, Tunisia eTurchia). La Libia, dopo aver assistito ai lavori apartire dal 1999, ha attualmente uno statuto diosservatore.

Sul piano bilaterale l'assistenza è essenzialmentefornita dal programma MEDA, avviato nel 1995.Nel periodo 1995-2001, MEDA ha assorbito 5 dei6,4 miliardi di euro di risorse di bilancio assegna-ti alla cooperazione finanziaria tra l'UE e i suoipartner. Questi finanziamenti a fondo perduto delbilancio comunitario vanno di pari passo con pre-stiti consistenti concessi dalla BEI. Nel periodo inquestione, l'86% delle risorse assegnate a MEDAsono state assegnate in modo bilaterale, mentre il12% è stato stanziato per attività regionali. Dal2002, le attività di cooperazione con la Turchiasono finanziate con una dotazione finanziaria aparte e non più tramite MEDA. MEDA si trovaattualmente nella seconda fase di programmazio-ne (2000-2006) con una dotazione di 5,3 miliardidi euro.

Dalla conferenza di Barcellona del 1995, si sonotenute altre sette conferenze euro-mediterranee deiministri degli Esteri: a Malta nell'aprile 1997, aStoccarda nell'aprile 1999, a Marsiglia nel novem-

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bre 2000, a Bruxelles nel novembre 2001, aValencia nell'aprile 2002, a Napoli nel dicembre2003 e a Lussemburgo nel maggio 2005.

Il processo avviato a Barcellona rappresenta poten-zialmente un'importante risorsa strategica, politi-ca ed economica per i paesi che vi partecipano,anche se fino ad ora non ha dato tutti i frutti spe-rati.

Nel marzo 2005 la Commissione Europea haavviato la preparazione di un Green Paper suTowards a future Marittime Policy for the Union:A European Vision for the Oceans and Seas che èstato definito ed approvato nella primavera di que-st'anno. Su questa base la Commissione ha predi-sposto la Comunicazione dello scorso giugno conla quale ha formalizzato la nascita di una politicamarittima europea. Questa decisione ha un'enor-me importanza perché riconosce l'esistenza di unaspecifica dimensione marittima dell'UnioneEuropea che si articola in quasi tutti i campi, daquello industriale a quello tecnologico, dai tra-sporti all'energia, dal commercio all'immigrazio-ne, dal quello economico a quello finanziario, daquello istituzionale a quello politico, dalla difesaalla sicurezza, ecc. D'altra parte non va dimenti-cato che le coste dell'Unione Europea sono settevolte più lunghe di quelle degli Stati Uniti e quat-tro volte quelle della Russia.

Evidente ed esplicito è nel Green Paper il riferi-mento al processo di Barcellona e, seppur indiret-tamente, all'area mediterranea che rappresenta unaparte importante e vicina della dimensione marit-tima.

Il Green Paper imposta una strategia marittimacomplessiva ed integrata al cui interno vi sonoalcuni aspetti di particolare rilevanza per l'areamediterranea.

In particolare, si ricorda che la crescita di diverse

attività illegali, incluso il traffico di uomini e il ter-rorismo, è uno dei fattori che rendono necessarioun migliore coordinamento delle attuali risorsenazionali e un'acquisizione comune di quelle nuovee più urgenti. Ed è sottolineato il crescente coin-volgimento delle Marine degli Stati Membri nelleattività civili. Secondo il documento sono gli svi-luppi tecnologici, inclusi i progressi nel monito-raggio e la sorveglianza del mare, che rendonooggi possibile un controllo basato sull'integrazio-ne dei dati ad un livello impensabile nel passato.

Con la pubblicazione del Green Paper si è apertauna fase di consultazione che dovrebbe conclu-dersi nel giugno del prossimo anno e sulla cui basela Commissione avanzerà le sue proposte entro lafine del 2007.

L'Alleanza Atlantica ha deciso nel dicembre 1994di lanciare il Dialogo Mediterraneo con cinquepaesi della regione: Egitto, Israele, Marocco,Mauritania e Tunisia. Le basi di questa iniziativaerano state poste nel Vertice di Bruxelles di gen-naio, su proposta italiana, con un forte richiamoal legame tra la sicurezza dell'Europa e quella dellaregione del Mediterraneo, nel paragrafo ventiduedella Dichiarazione di Bruxelles.

Gli obiettivi del Dialogo Mediterraneo sono statie sono tuttora quelli di contribuire alla sicurezzaed alla stabilità regionale, promuovere una miglio-re comprensione reciproca tra NATO e paesi dellaregione e rimuovere qualunque incomprensionetra l'Alleanza ed i paesi del Dialogo. Il DialogoMediterraneo è, sin dall'inizio, aperto alla parte-cipazione di altri paesi, scelti dagli alleati secon-do il principio del consenso che regola il proces-so decisionale dell'Alleanza. A testimonianza ditale carattere aperto la Giordania è entrata a farparte del Dialogo nel novembre 1995 e l' Algerianel gennaio del 2000.

Il Dialogo Mediterranno ha avuto inizialmente uncarattere esclusivamente bilaterale tra la NATO eciascun paese, come iniziativa essenzialmente poli-

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tica. Ma dal Vertice di Madrid del luglio 1997, éstato arricchito progressivamente anche da unadimensione di cooperazione pratica mediante l'a-dozione di un piano di lavoro annuale, concorda-to tra la NATO ed i paesi partecipanti. Dal 2001é stata aggiunta anche una dimensione di consul-tazione politica multilaterale, che ha portato a delleriunioni periodiche dei rappresentanti di tutti i paesipartecipanti presso il Quartier Generale a Bruxelles.

Nel giugno del 2004, i paesi NATO, dopo averconsultato i sette paesi del Dialogo Mediterraneoe i sei membri del Consiglio di Cooperazione delGolfo (Arabia Saudita, Bahrain, Emirati ArabiRiuniti, Kuwait, Oman e Qatar), hanno procedu-to ad un rafforzamento sostanziale della dimen-sione politica del Dialogo Mediterraneo, in vistadella sua trasformazione in partenariato ed al tempostesso hanno lanciato una nuova iniziativa:l'Iniziativa di Cooperazione di Istanbul, rivolta aipaesi del Medio Oriente allargato, a cominciaredai sei paesi del Consiglio di Cooperazione delGolfo. Quattro di questi paesi (Kuwait, Bahrain,Qatar e Emirati Arabi Riuniti) hanno formalmen-te aderito all'Iniziativa, mentre altri due (ArabiaSaudita ed Oman) hanno manifestato un forte inte-resse.

La dimensione politica del Dialogo Mediterraneoè stata rafforzata, aumentando la frequenza delleconsultazioni politiche multilaterali a livello amba-sciatori, ma anche offrendo di elevarle a livello diriunioni dei Ministri degli Esteri e della Difesa edei Capi di stato e di governo. La prima riunionedei Ministri degli Affari Esteri dei paesi dellaNATO e di quelli dei sette paesi del DialogoMediterraneo ha avuto luogo a Bruxelles neldicembre 2004, mentre la prima riunione deiMinistri della Difesa ha avuto luogo a Taorminanel febbraio scorso.

Per la prima volta nell'aprile di quest'anno si é tenu-ta, inoltre, a Rabat una riunione del ConsiglioAtlantico in sessione permanente con i rappre-sentanti dei sette paesi del Dialogo Mediterraneo.In aggiunta, a partire dal 2004 si sono tenute quat-tro riunioni dei Capi di stato maggiore delle forze

armate dei paesi membri.

Per quanto attiene al rafforzamento della dimen-sione di cooperazione pratica, ad Istanbul è statodeciso di porvi un maggiore accento sulla coope-razione militare al fine di promuovere l'interope-rabilità, mediante la partecipazione dei paesi delDialogo Mediterraneo ad esercitazioni militari, eal fine di prepararli a partecipare ad operazioni aguida NATO, attraverso attività di formazione edaddestramento dei quadri militari. Queste opera-zioni possono includere: interventi di risposta allecrisi, in caso di calamità; assistenza umanitaria;ricerca e salvataggio; operazioni per il manteni-mento della pace.

Altre aree di cooperazione includono: la promo-zione del controllo democratico delle forze arma-te; la trasparenza dei processi di pianificazione edei bilanci della difesa; la riforma delle strutturedella difesa; la lotta al terrorismo attraverso unoscambio efficace delle informazioni e dell'intelli-gence o mediante la cooperazione navale; la sicu-rezza alle frontiere; il contrasto alla proliferazio-ne delle armi di distruzione di massa; la lotta con-tro i traffici di armi leggere e di piccolo taglio; lapianificazione civile d'emergenza.

Nel 2005, nell' ambito della cooperazione milita-re, la partecipazione di ufficiali delle forze arma-te dei paesi del Dialogo Mediterraneo ha registra-to un incremento del 70%, rispetto all' anno pre-cedente, con 700 partecipanti in 10 aree di coope-razione. Nel 2006, si é registrato un aumento del100% delle aree di cooperazione che sono passa-te da 10 a 20 e che porterá quest'anno alla parte-cipazione di ben 1000 ufficiali delle forze armatedei paesi del Dialogo Mediterraneo, nelle attivitàdi cooperazione militare offerte dalla NATO.

Per consentire la partecipazione dei quadri mili-tari dei paesi del Dialogo in tali attività, i paesidella NATO hanno deciso di finanziarne fino al100% del costo, superando così il grande ostaco-lo del passato alla loro partecipazione alle attivitàdi cooperazione militare proposte dalla NATO.

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Un esempio concreto nel settore della coopera-zione marittima, é l'Operazione Active Endeavour,l'operazione navale anti-terrorismo posta in esse-re dalla NATO nel Mediterraneo, alla quale hannodeciso recentemente di contribuire alcuni paesi delDialogo Mediterraneo, come l'Algeria, Israele edil Marocco. Questa operazione é finalizzata a pre-venire, contrastare e reprimere eventuali attivitàterroristiche nella regione. Più di 75.000 navi sonostate monitorate, più di 480 hanno beneficiato dellascorta delle unità navali della NATO e più di 100sono state abbordate per controlli.

Inoltre, visite da parte della Flotta NavalePermanente della NATO nel Mediterraneo nei portidei paesi del Dialogo stanno avendo luogo nel-l'ambito delle attività di cooperazione militare,mentre visite della flotta di aerei AWACS dellaNATO hanno avuto luogo in Israele ed Algeria.

Una serie di esercitazioni militari della NATO sonostate aperte alla partecipazione sia dei paesi delPartenariato per la Pace, sia del DialogoMediterraneo. Ad esempio, Israele ha partecipa-to nel giugno dello scorso anno con proprie unitàall'esercitazione Cooperative Best Effort inUcraina, mentre nell'agosto dello scorso anno laGiordania e la Mauritania hanno partecipato, inqualità di osservatori, all'esercitazione CooperativeKey in Bulgaria.

Per quanto riguarda, invece, l'Iniziativa diCooperazione di Istanbul, essa è stata sviluppataa livello bilaterale, tra la NATO e ciascun paese,allo scopo di rafforzare la sicurezza e la stabilitàregionale. L'obiettivo è quello di sviluppare nuoveforme di cooperazione pratica con i paesi delMedio Oriente allargato, su base transatlantica edin settori ove la NATO può rappresentare un verovalore aggiunto, in particolare favorendo lo svi-luppo delle capacità che possano consentire a que-sti paesi di operare insieme a quelli dell'Alleanzain operazioni di gestione delle crisi a guida NATOo di cooperare nel campo della lotta al terrorismointernazionale o di associarli alle iniziative dellaNATO per contrastare la proliferazione delle armidi distruzione di massa o i traffici di armamenti.

Dal punto di vista della cooperazione pratica, leattività offerte dalla NATO ai paesi del MedioOriente allargato sono quasi identiche a quelleofferte al vertice di Istanbul ai paesi del DialogoMediterraneo. Ciò é abbastanza comprensibile inquanto é proprio in tali settori di cooperazione pra-tica il valore aggiunto rappresentato dalla NATO,in quanto organizzazione integrata.

Il Dialogo Mediterraneo e l'Iniziativa diCooperazione di Istanbul sono basati su una seriedi principi comuni: - La condivisione delle decisioni da assu-mere, cioè la joint ownership. - La non imposizione. I paesi partecipantisia al Dialogo Mediterraneo che all'Iniziativa diCooperazione di Istanbul sono liberi di sceglierele attività cui partecipare e le modalità di inter-vento che essi riterranno più opportune. Quelladella NATO é un'offerta di cooperazione nel set-tore della sicurezza che i paesi, ai quali é rivolta,possono accettare o rifiutare liberamente. - Il carattere non discriminatorio. I campi dicooperazione pratica offerti dalla NATO sonocomuni a tutti i paesi. Spetterà poi a ciascun paesenell'ambito bilaterale con la NATO definire le pro-prie priorità, secondo i propri bisogni.- La complementarietà. Sia il DialogoMediterraneo che l'Iniziativa di Cooperazione diIstanbul, sono complementari ad altre iniziativeinternazionali per la regione quali, ad esempio, laPartnership Euromediterranea dell'Unione Europea,le iniziative dell'OSCE e del G8.

Il nuovo contesto della sicurezza internazionalerende oggi sempre più necessaria una risposta allesfide nel campo della sicurezza su base multilate-rale (UE e Nato) e regionale in cui l'Italia svolgeun ruolo di primo piano.

In quest'ultimo biennio ha preso concretezza nelMediterraneo Centro-Occidentale la dimensionesub-regionale della cooperazione militare nel for-mato "5+5" (Francia, Italia, Malta, Portogallo,Spagna + Algeria, Libia, Marocco, Mauritania,Tunisia), con l'avvio di concreti progetti attuativi,fra i quali una prossima attività addestrativa di sor-

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veglianza e di ricerca e soccorso in Mediterraneo.

Nel Mare Adriatico e Ionio è stata invece lancia-ta l'iniziativa “ADRION” (Albania, Croazia,Grecia, Italia, Serbia, Slovenia) che darà luogo adun'attività addestrativa congiunta.

Ma l'impegno italiano si è concentrato soprattut-to nella messa a punto del progetto pilota per l'i-stituzione del Virtual Regional Maritime TrafficCentre (V RMTC), presentato a Venezia nel 2004nel corso dell'annuale Simposio Regionale delleMarine del Mediterraneo e del Mar Nero orga-nizzato dalla Marina Militare Italiana.

Lo scopo del V-RMTC è quello di contribuire adincrementare la sicurezza dei traffici marittimi e,più in generale, dei paesi mediterranei. Il suo ele-mento cardine è rappresentato da una rete di comu-nicazione che deve permettere lo scambio di datisul traffico mercantile in possesso delle MarineMilitari.

La costituzione della rete si articola in due fasidistinte. Durante la prima fase il Comando in Capodella Squadra Navale Italiana (CINCNAV) staagendo come Centro Navale di Raccolta eDiffusione delle Informazioni, filtrandole in basealla sensibilità ed alle esigenze espresse da ognisingolo partecipante. Il collegamento diretto tratutte le centrali operative navali (con lo scambioautomatico delle informazioni) è programmatonella seconda fase del progetto, che è in fase disviluppo, potendo ora contare su una adeguatamaturazione delle procedure e su una corretta cor-nice legale internazionale.

Almeno durante la fase iniziale, caratterizzata dasoluzioni tecniche alla portata di tutti i partecipanti,il canale di comunicazione preferenziale per loscambio dati del V-RMTC è la posta elettronicavia Internet e lo scambio informativo è stato con-venzionalmente limitato a informazioni relativealle unità mercantili di stazza lorda pari o supe-riore a 300 tonnellate che navigano in acque inter-nazionali.

Importante è stata la firma, avvenuta a Venezia loscorso mese di ottobre, in occasione dell'annualeSimposio, da parte di 15 nazioni (Albania, Cipro,Francia, Giordania, Israele, Italia, Malta,Montenegro, Portogallo, Regno Unito, Romania,Slovenia, Spagna, Turchia, USA) di un “accordooperativo” che consente il passaggio alla fase fina-le del progetto Virtual Regional Maritime TrafficCentre (VRMTC), per il controllo del trafficomarittimo nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero,che così può avviarsi ad effettiva realizzazione.

Tutte queste missioni hanno quale cornice di rife-rimento, sul piano del diritto internazionale,l'Organizzazione delle Nazioni Unite e in molticasi possono contare per la condotta operativa suquelle strutture di sicurezza di cui l'Italia è parte(UE e Nato) che da tempo stanno evolvendo perrispondere con crescente efficacia alle nuove sfidedella sicurezza. E proprio grazie alle iniziative eagli esercizi di cooperazione è stato possibile, indiverse situazioni, allargare ad altri paesi la parte-cipazione ai dispositivi o attivare forme di coor-dinamento e supporto operativo fra le sponde delMediterraneo.

In questo quadro il "Mediterraneo allargato" vacosì riacquisendo la centralità di un tempo, qualearea di osmosi fra la dimensione euro-atlantica equella che sta emergendo nel continente euro-asia-tico.

Tutto ciò spinge a sviluppare una crescente con-divisione dell'approccio alla sicurezza a cui lo stru-mento della cooperazione militare può e deve for-nire un contributo determinante.

Una politica di sicurezza efficace deve muoversiin tutte e direzioni ed utilizzare tutti gli strumen-ti. Fra questi si possono, in prima approssimazio-ne, indicare:gli accordi bi-multilaterali coi paesi rivieraschi perla sorveglianza congiunta e lo scambio di infor-mazioni;1. il potenziamento delle capacità operative deipaesi rivieraschi nel campo della sicurezza e, inparticolare, della sorveglianza della loro costa, ma

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anche della loro frontiera meridionale attraversocui entrano gli immigrati sul loro stesso territorio;2. l'aumento dell'attività di formazione e adde-stramento a favore delle Forze Armate dei paesirivieraschi,3. l'accelerazione della costruzione di un sistemaintegrato per il controllo del traffico navale nelMediterraneo, con un eventuale accordo fra tutti ipaesi interessati che imponga l'utilizzo di adegua-ti sistemi di identificazione automatica a tutte leunità battenti la propria bandiera o in transito attra-verso lo Stretto di Gibilterra il Canale di Suez o loStretto dei Dardanelli;4. il rafforzamento del sistema italiano di control-lo costiero, basato su radar terrestri, navali, aereie satellitari integrati fra loro in unico sistema dicomando e controllo;5. il rafforzamento delle capacità di intervento dellaMarina e della Guardia Costiera, aumentando ilnumero delle unità e la durata della loro perma-

nenza in mare, anche attraverso un maggiore uti-lizzo dei rifornimenti in mare o dei porti dei paesirivieraschi.

Nella storia italiana il Mediterraneo ha rappre-sentato, sempre e insieme, un'opportunità e unaminaccia. Il nostro sviluppo economico e l'acqui-sizione di un ruolo internazionale ne sono stati con-dizionati, ma è stata anche la seconda porta d'in-gresso del nostro territorio e, soprattutto con il cre-scere dell'instabilità nella sua parte meridionale,la fonte di molte minacce indirette e di qualcheminaccia diretta. Vi sono, di conseguenza, diver-se ed importanti ragioni per porre il Mediterraneoal centro della nostra politica di sicurezza, pun-tando a rafforzare la collaborazione con i paesirivieraschi sul piano bilaterale e multilaterale epredisponendo i necessari strumenti per garantirela nostra sicurezza e quella degli altri paesi amici.