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RAPPORTO SU TRE GRUPPI DI DISOCCUPATI (GIOVANI, MAGGIORI DI 45 ANNI E IMMIGRATI), A CONFRONTO NELLE CITTÀ DI BOLOGNA, LIEGI, MALAGA E PARIGI. PROMOSSO DA: COFINANZIATO DA:

RAPPORTO SU TRE GRUPPI DI DISOCCUPATI 1(GIOVANI, MAGGIORI DI 45 ANNI E IMMIGRATI)

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Promosso da: Cofinanziato da: 1 RAPPORTO A CONFRONTO NELLE CITTÀ DI BOLOGNA, LIEGI, MALAGA E PARIGI 2 3 Redazione: José F. Troyano Pérez / F. Alberto Vallejo Peña Dipartimento di Sociologia dell’Università di Malaga. Progetto co-finanziato dalla Giunta dell’Andalusia e dal Fondo Sociale Europeo nell’ambito del Progetto Intersecciones del Programma Euroempleo. Grafica: bRIDA RAPPORTO A CONFRONTO NELLE CITTÀ DI BOLOGNA, LIEGI, MALAGA E PARIGI 4 5

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Page 1: RAPPORTO SU TRE GRUPPI DI DISOCCUPATI 1(GIOVANI, MAGGIORI DI 45 ANNI E IMMIGRATI)

1RAPPORTO SU TRE GRUPPI DI DISOCCUPATI (GIOVANI, MAGGIORI DI 45 ANNI E IMMIGRATI), A CONFRONTO NELLE CITTÀ DI BOLOGNA, LIEGI, MALAGA E PARIGI.

Promosso da: Cofinanziato da:

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RAPPORTO A CONFRONTO NELLE CITTÀ DI BOLOGNA, LIEGI, MALAGA E PARIGI

RAPPORTO SU TRE GRUPPI DI DISOCCUPATI (GIOVANI, MAGGIORI DI 45 ANNI E IMMIGRATI) A CONFRONTO

NELLE CITTÀ DI BOLOGNA, LIEGI, MALAGA E PARIGI

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RAPPORTO A CONFRONTO NELLE CITTÀ DI BOLOGNA, LIEGI, MALAGA E PARIGI

Edito da:Ente Comunale per la Formazione e l’Impiego. IMFE. Comune di Malaga.

Redazione:José F. Troyano Pérez / F. Alberto Vallejo Peña Dipartimento di Sociologia dell’Università di Malaga.

Personale tecnico: Susana Catalán Navarro Tecnico del Progetto Intersecciones. Ente Comunale per la Formazione e l’Impiego. IMFE. Comune di Malaga.

Progetto co-finanziato dalla Giunta dell’Andalusia e dal Fondo Sociale Europeo nell’ambito del Progetto Intersecciones del Programma Euroempleo.

Grafica: bRIDA

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RAPPORTO A CONFRONTO NELLE CITTÀ DI BOLOGNA, LIEGI, MALAGA E PARIGI

01 OBIETTIVI E METODOLOGIA ............................................................................. 08

02 MALAGA, UN’APPROSSIMAzIONE SOCIO LAVORATIVA ................................. 12

03 L’INSERIMENTO PROFESSIONALE DEI GIOVANI MALAGUEñOS:UNA PROSPETTIVA PER IL CONFRONTO CON L’EUROPA .............................. 26

04 L’INSERIMENTO PROFESSIONALE DEI MAGGIORI DI 45 ANNI A MALAGA:UNA PROSPETTIVA PER IL CONFRONTO CON L’EUROPA ............................... 38

05 L’INSERIMENTO PROFESSIONALE DEGLI IMMIGRATI:UNA PROSPETTIVA PER IL CONFRONTO CON L’EUROPA .............................. 46

06BOLOGNA, LIEGI, MALAGA E PARIGI: qUATTRO CITTÀ EUROPEE VERSO L’INTEGRAzIONE SOCIALE DEI GRUPPI A RISChIO DI ESCLUSIONE SOCIALE .. 60

07 CONCLUSIONI E RACCOMANDAzIONI .............................................................. 84

08 BIBLIOGRAFIA .................................................................................................. 94

ÍNDICE

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RAPPORTO A CONFRONTO NELLE CITTÀ DI BOLOGNA, LIEGI, MALAGA E PARIGI

oBiEttiVi E mEtodoLoGia

L’oggetto principale di questa rela-zione è costituito da determinate categorie sociali della città di malaga - i giovani, i maggiori di 45 anni e la popolazione immigrata - osservate dalla prospettiva dell’attività econo-mica, dell’occupazione e della disoc-cupazione, per prevenire e combat-tere i rischi di esclusione sociale che le riguardano e per confrontarle con le stesse categorie di altre tre città euro-pee: Bologna, Liegi e Parigi. Per condi-videre le esperienze nella formazione e nell’inserimento professionale dei disoccupati, sono stati organizzati degli incontri tra i rappresentanti delle agenzie e degli organismi dei paesi coinvolti nel Progetto intersecciones a cui hanno partecipato per la città di malaga, susana Catalán (tecnico del Progetto intersecciones, Programma Euroempleo), Gonzalo Lamas (dipar-timento di Progetti e iniziative per l’imprenditoria. servizio andaluso per l’impiego, saE), Enrique nada-les (amministratore delegato imfE, istituto Comunale per la formazione e l’impiego. Comune di malaga) e Joaquín artacho (responsabile del dipartimento per la formazione e per l’impiego, imfE. Comune di malaga).

Gli incontri conclusi con i colleghi europei illustrano le similarità e le differenze della disoccupazione nei vari territori e hanno delineato i punti chiave della relazione. il confronto di un fenomeno socio-economico come la disoccupazione riflette la natura stessa del fenomeno. i disoccupati di Bologna, Liegi, malaga e Parigi hanno in comune gruppi di persone che cer-cano lavoro ma non lo trovano, il resto sono differenze. La stessa scelta delle categorie oggetto della relazione - i giovani, i maggiori di 45 anni e gli immigrati - risponde ad una circos-tanza che accomuna Bologna, Liegi e Parigi, dove le suddette categorie sono particolarmente colpite dalla disoccupazione. anche dove il tasso di disoccupazione è superiore al 30% il minimo comune denominatore è la disoccupazione. il metodo compara-tivo mette in evidenza in questo caso le differenze.

Per elaborare il rapporto si sono uti-lizzate fonti statistiche internazionali, nazionali, regionali e locali, interviste con informatori chiave, sondaggi sui disoccupati realizzate negli uffici comunali del servizio andaluso per

l’impiego (saE) della città di malaga e trascrizioni degli incontri che si sono tenuti con i partner europei durante il Progetto intersecciones. il Progetto intersecciones, inquadrato nell’ambito del Programma Euroempleo e diretto a sviluppare relazioni di cooperazione tra gli enti andalusi e quelli delle altre regioni spagnole, è co-finanziato dal fondo sociale Europeo per un 80% e dal servizio andaluso per l’impiego per il rimanente 20%. L’istituto Comu-nale per la formazione e l’impiego (imfE) sta lavorando con l’obiettivo di migliorare il funzionamento del mer-cato del lavoro attraverso la scoperta di formule innovative e dello scambio di esperienze e buone prassi con tre partner europei: sEnECa, Bologna (italia), La CitÉ intErnationaLE, Liegi (Belgio), GroUPE faCEm, fran-cia.

Gli obiettivi specifici del Progetto intersecciones sono:

· L’analisi dei gruppi a rischio di esclu-sione sociale, a partire dal confronto della situazione socio lavorativa.

· Lo scambio di esperienze sulle

attuazioni già in corso per migliorare l’occupabilità del gruppo.

· scoprire formule innovative di lavoro con i gruppi a rischio di esclu-sione sociale.

· stabilire linee di azione innovative per l’inserimento professionale.

Per realizzare lo studio sono stati uti-lizzati due metodi complementari:

· approssimazione quantitativa del fenomeno attraverso fonti seconda-rie.

· applicazione di tecniche qualitative che depurino il discorso dagli attori coinvolti e dagli informatori chiave.

sono stati consultati rapporti isti-tuzionali (pubblici e privati) rappre-sentativi del fenomeno, mostrando particolare attenzione ai dati suc-cessivi al 2005 e dando la priorità al sua attuazione (2010-2011). in questo modo, si vuole descrivere la situazione attuale dell’occupazione di questi tre gruppi a rischio di esclu-sione sociale.

01OBIETTIVI E METODOLOGIA

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RAPPORTO A CONFRONTO NELLE CITTÀ DI BOLOGNA, LIEGI, MALAGA E PARIGI

Con l’obiettivo di facilitare l’interpretazione dei dati dell’analisi quantitativa è stato approfondito il discorso degli attori sociali attraverso interviste qualitative, supportate da un copione semi strutturato. fonda-mentalmente, sono stati analizzati due profili di informatore chiave: con-sulenti e coinvolti.

Coinvolti soggetti particolarmente implicati nella problematica lavorativa trattata che hanno contribuito attraverso il racconto delle loro esperienze per-sonali (fra i profili analizzati, il disoc-cupato a lungo termine maggiore di 45 anni, il giovane senza formazione universitaria alla sua prima domanda di lavoro e l’immigrato con difficoltà di accesso al mercato del lavoro).

Consulenti manager, ricercatori ed esperti che hanno familiarità con l’informazione e l’occupazione a livello locale. in questa fase siamo interessati alle informa-zioni fornite dai manager delle onG, da esperti di organismi amministra-tivi particolarmente vincolati ai gruppi esaminati o da ricercatori di linee affini.

sono state consultate varie fonti sta-tistiche, sempre citate, sia quando i dati sono stati rappresentati nei grafici sia quando sono stati ripor-tati all’interno del testo. i dati che sono stati maggiormente utilizzati sono stati quelli forniti dal Osser-vatorio Argos. Servizio Andaluso per l’Impiego (SAE) (http://www.juntadeandalucia.es/servicioanda-luzdeempleo/web/argos/web/es/arGos/index.html). Le informazioni sono state ottenute anche da altre fonti, principalmente dai rispettivi istituti nazionali di statistica nazio-nali e da Eurostat. Istituto Nazionale di Statistica. Portale della Vallonia (S.E.S), Belgio (http://www.wallonie.be/fr/themes/entreprises/sources-d-information/statistiques/index.html#n103BB), Instituto nazionale di statistica (ISTAT), italia, (http://www.istat.it/en/), Istituto Nazionale di Statistica e degli Studi Economici (INSEE), francia (http://www.insee.fr/fr/), Istituto Nazionale di Statis-tica (INE), spagna, (http://www.ine.es/), Eurostat, (http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/eurostat/home/).

Le informazioni fornite da queste e da altre fonti spesso non corrispondono né con la data di completamento, con conseguente asincronia dei dati, né con la definizione delle categorie segnalate, siano queste i gruppi divisi per età o “gli immigrati”. Le statis-tiche francesi realizzate da insEE distinguono in particolare tra gli stra-nieri (non francesi) e gli immigrati (non francesi, nati all’estero e resi-denti in francia), aspetto non sem-pre facilmente distinguibile nei dati forniti dalle altre fonti. allo stesso modo, nel gruppo dei paesi europei i giovani rappresentati hanno meno di 25 anni, in spagna hanno meno di 30 o 35 anni, secondo l’amministrazione che li ha definiti, e in italia la cate-goria è stata distinta in base alla cultura e all’economia regionale. nonostante queste difficoltà, i dati provenienti da Bologna, Liegi e Parigi sono recenti e permettono quindi un confronto con quelli più attuali della provincia e del comune di malaga. il

fenomeno della disoccupazione, alla velocità con cui evolve in spagna (non tanto in Europa), necessiterebbe di informazioni accurate mensili, setti-manali o addirittura giornaliere, ma lo scopo di questa relazione non è tanto la precisione, bensì il confronto di realtà molto diverse: secondo i dati Eurostat, il 1° marzo 2012 la disoccu-pazione nella eurozona era del 10,7% mentre in spagna alla fine del 2011 era del 22,85% e del 31,23% nella sola andalusia.

oBiEttiVi E mEtodoLoGia

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TABELLA 1. DISTRIBUzIONE TERRITORIALE IN PERCENTUALE DELLA POPO-LAzIONE DI MALAGA

-fonte: Elaborazione propria su dati madECa (malaga, sviluppo e qualità; osservatorio socio-eco-

nomico provinciale).

La città di malaga si trova nell’estremo occidentale del mediterraneo e il suo comune ricopre un’area di 395 km?. La città cresce moderatamente nonostante il processo di sub-urba-nizzazione che si osserva in essa come nelle principali città europee da qualche decennio: il prezzo delle abitazioni e il miglioramento della

rete dei trasporti hanno facilitato l’insediamento di nuove famiglie nei comuni limitrofi. La perdita di peso demografico del comune di malaga nella provincia cresce a un ritmo annuo di 0,5% negli ultimi anni.

GRAFICO 1. PERCENTUALE DI POPOLAzIONE A MALAGA E NEL RESTO DELLA PROVINCIA 2005-2010

02MALAGA, UN’APPROSSIMAzIONE

SOCIO-LAVORATIVA

maLaGa, Un’aPProssimazionE soCio-LaVoratiVa

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TABELLA 2. POPOLAzIONE OCCUPATA A MALAGA NEL TERzO TRIMESTRE DELL’ANNO

-fonte: Elaborazione propria su dati inE

Con 568.507 abitanti censiti nel comune (inE, 2010), di cui il 48,19% uomini e il 51,81% donne, malaga è la sesta città spagnola per popolazione ed è il capo-luogo dell’omonima provincia, com-posta da 101 comuni. La provincia di malaga ha una superficie di 7.308 km? e una popolazione di 1.624.145 abi-tanti. nel 2010, il reddito pro capite era di 18.235 euro, il tasso di occupazione del 58,95% (59,19 nel 2011) e quello di disoccupazione del 30,65% (30,28% nel 2011). La popolazione della città rap-presenta il 35,52% di quella provinciale. il tasso di crescita demografica provin-ciale tra il 2001 e il 2007 ha superato la media nazionale, portandosi rispetti-vamente al 2,58% e al 1,59%. Nel sett-embre 2011, la popolazione occupata era di 548.400 persone e i disoccupati erano 238.100 persone (EPA).

in periodi di crescita, malaga è il motore dell’economia regionale andalusa, ma i suoi tassi di disoccupazione sal-gono particolarmente nei momenti di stasi o recessione. il settore dei servizi genera nei periodi di boom economico un’offerta di lavoro importante nel settore turistico, attirando lavoratori nazionali andalusi e, negli ultimi anni,

anche cittadini stranieri provenienti da marocco, Europa dell’Est e america Latina. tale fenomeno migratorio non è stato di tipo esclusivamente stagionale ma ha prodotto un insediamento per-manente per lo più di inglesi, tedeschi e scandinavi e la costruzione di abitazioni che presumibilmente sarebbero state occupate da cittadini europei amanti del sole (3.060 ore/all’anno nella città di malaga), trasformandosi così in motore dell’economia locale.

in tempi di crisi come quello attuale, i posti di lavoro generati grazie a una congiuntura favorevole scompaiono, migliaia di case di nuova costruzione rimangono vuote e tutto ciò che era stato creato sotto venti favorevoli ora si annulla con maggiore intensità. Coloro che avevano trovato lavoro, sia come lavoratori autonomi che come dipen-denti - grazie a opportunità circostan-ziali piuttosto che a un inserimento in una struttura produttiva consolidata - sono purtroppo proprio quelli che con maggior facilità lo perdono, come gli immigrati per motivi di lavoro e i gio-vani, per lo più uomini, che al raggiun-gimento della maggiore età avevano interrotto la loro formazione in virtù del

fatto che era facile trovare lavoro, che oggi invece è altrettanto facile perdere. tale circostanza rende particolarmente vulnerabili i lavoratori con contratto a tempo determinato, come lo dimostra il fatto che il completamento di tale con-tratto sia la causa principale di entrata in disoccupazione. in spagna, la con-clusione di tale tipo di contratto è stata decisiva per il 78,5% dei disoccupati nel 2007 (2.390.674 lavoratori), per il 76,8% nel 2008 (3.332.551 lavoratori), per il 76,6% nel 2009 (3.380.990 lavoratori) e per l’80,7% nel 2010 (4.143.506 lavora-tori).

nel corso del 2010, il numero di per-sone nella provincia di malaga cer-

cavano lavoro aumentò del 12,46% rispetto al 2009, riducendo il numero delle persone lavorativamente attive da 562.500 alla fine del 2009 a 538.900 un anno dopo. il tasso di disoccupazione aumentò del 16,30% fra i minori di 25 anni, del 11,70% fra i maggiori di 45 anni e del 9,34% fra gli stranieri in cerca di lavoro, registrando un aumento com-plessivo del 9,94% tra i cittadini comu-nitari e del 10,05% tra quelli extraco-munitari.

nei tre anni trascorsi tra il terzo tri-mestre del 2008 e quello del 2011, la popolazione occupata nella provincia di malaga presentava la seguente evo-luzione.

maLaGa, Un’aPProssimazionE soCio-LaVoratiVa

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GRAFICO 2. POPOLAzIONE OCCUPATA A MALAGA NEL TERzO TRIMESTRE DELL’ANNO

TABELLA 3. DISTRIBUzIONE TERRITORIALE IN PERCENTUALE DELLA DISOC-CUPAzIONE A MALAGA E PROVINCIA

-fonte: Elaborazione propria su dati dell’osservatorio argos.

negli anni 2008-2011, si sono persi 78.400 posti di lavoro, con conse-guente ridistribuzione della popo-lazione occupata per settori e una perdita di occupazione in tutti i settori. Hanno perso peso relativo l’agricoltura, passando dal 3,2% al 2,1% dell’occupazione, l’industria, dal 7,7% al 4,3% e l’edilizia, dal 15,6% al 9,5%. Ha guadagnato invece peso relativo l’occupazione nel settore dei servizi, passando dal 73,6% al 84,1%.

L’agricoltura e l’edilizia sono stati i settori più colpiti, con una riduzione rispettivamente del 54,22% e del 52,1%.

La seguente tabella mostra la diffe-renza tra i dati di disoccupazione della città (35,52% della popolazione provinciale) e del resto della provin-cia (64,48% della popolazione provin-ciale).

GRAFICO 3. DISTRIBUzIONE TERRITORIALE IN PERCENTUALE DELLA DISOC-CUPAzIONE A MALAGA E PROVINCIA

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si osserva che la stagionalità del lavoro è più bassa nella capitale che nel resto della provincia. Le altre città della provincia riducono la loro disoc-cupazione in estate, con l’inizio della stagione turistica, e la aumentano in inverno. Questa irregolarità territo-

riale della disoccupazione è dovuta alla diversa incidenza della crisi nei settori agricolo e edile. dal giugno 2005 fino a dicembre 2010, la disoc-cupazione nella capitale si moltiplicò per 2,2 e per 2,55 nelle altre città.

-CV*: Coefficiente di variazione

TABELLA 4. DISOCCUPAzIONE A MALAGA E PROVINCIA

-fonte: Elaborazione propria su dati dell’osservatorio argos.

GRAFICO 4. DISOCCUPAzIONE A MALAGA E PROVINCIA

L’attuale mercato di lavoro di malaga è caratterizzato dalla forte dipen-denza dal turismo, dalla paralisi dell’edilizia, dall’assenza di industria manifatturiera e dallo svantaggio comparativo dei lavoratori con mag-giore istruzione formale.

i dati dell’andalusia per il 2009 diffe-riscono da quelli di malaga non tanto per la qualità delle occupazioni, ma per l’effetto del (1) maggior peso dell’agricoltura in andalusia (2), che a malaga invece hanno la ristora-zione, il commercio, le occupazioni

amministrative e (3) la pratica discri-minatoria che favorisce l’assunzione di giovani a scapito degli adulti nel commercio.

La tabella e il grafico sottostanti ci danno una vaga idea della man-cata corrispondenza tra offerta e domanda di lavoro. i lavori con maggiori assunzioni nel comune di malaga tra ottobre 2010 e settembre 2011 sono mostrate di seguito. La colonna domanda mostra il numero di persone in cerca di occupazione mentre la colonna offErta il

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TABELLA 5. OCCUPAzIONI PIU’ CONTRATTUALIzzATE 10/2010 - 09/2011

numero di contratti; di conseguenza, il numero dei non assunti è supe-riore a quello ottenuto sottraendo

alla prima colonna (domanda) la seconda (offErta).

GRAFICO 5. CONFRONTO TRA DOMANDA E OFFERTA

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Le informazioni sopra riportate evi-denziano come la mancata corris-pondenza tra offerta e domanda non sia la cuasa per cui entrambe seguano percorsi diversi. Ci sono offerte di lavoro che rimangono sco-perte anche se sono poche e altre invece per cui la domanda supera notevolmente l’offerta. in tutte le atti-vità, meno una, per cui si registrano più di mille contratti esiste un’ampia domanda di lavoro, fatta eccezione per la categoria “altre occupazioni” - che essendo una categoria generica non può essere regolata per adattarsi alla domanda di lavoro particolare - e per quella “istruttori di attività moto-rie e sportive” (1.449 contratti), la cui domanda non è stata registrata nella tabella corrispondente. Quest’ultima è l’unica offerta che, in base ai dati sopra mostrati, giustifica una forma-zione specifica richiesta dai datori di

lavoro e che i lavoratori sono in grado di offrire. in tutti gli altri casi e nel complesso, la differenza è determi-nata da un’offerta insufficiente ris-petto alla domanda. migliorare la for-mazione del lavoratore è sempre un vantaggio e ora anche una necessità, ma questa panoramica invita prima di tutto a migliorare l’offerta di lavoro.

di fatto esiste una relazione inversa tra la disoccupazione e la formazione, in quanto a una maggiore formazione corrispondono maggiore attività e occupazione. i dati per l’andalusia nel terzo trimestre del 2011 sono inequi-vocabili.

TABELLA 6. PERCENTUALI DI ATTIVITÀ E DISOCCUPAzIONE IN ANDALUSIA PER LIVELLO D’ISTRUzIONE

fonte: Elaborazione propria su dati inE.

Gli analfabeti presentano un tasso di attività molto basso, che necessaria-mente si deve relazionare con la mag-gior età di queste persone (277.300), ma l’aspetto più significativo relativo a questo gruppo è che il suo tasso di disoc-cupazione (disoccupati / attivi) sia del 48%. Le difficoltà di impiego di queste persone, derivanti dal loro scarso inse-rimento professionale, sono evidenti, ma in tutta la regione solo 12.720 sono disoccupati e analfabeti. Coloro che pos-siedono solamente un’istruzione ele-mentare hanno anche un basso tasso di attività basso (34%), e di questi il 43% è

disoccupato (220,932 persone). a par-tire da un livello di istruzione seconda-ria di 1° grado (equivalente a Eso), si suppone di avere le risorse sufficienti per apprendere e sviluppare le attività che il lavoro comporta. tale è il livello che maggiormente evidenzia la for-mazione professionale, non tanto per il tasso di attività (68%) ma perchè il 37% di questi è senza lavoro (492.433 persone). il tasso di attività dei laureati è dell’80%, secondo solo ai diplomati fP-2, e il loro tasso di disoccupazione è del 18%, pari a 196.236 persone. Coloro che hanno completato anche il dotto-

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TABELLA 7. FORMAzIONE PROFESSIONALE DELLA POPOLAzIONE ATTIVA PER FASCE D’ETÀ A MALAGA. PERCENTUALE DI LAVORATORI TOTALI NELLA FASCIA D’ETÀ CORRISPONDENTE

-fonte: Elaborazione propria su dati dell’istituto di Cartografia e statistica dell’ andalusia.

rato, relativamente pochi, aggiungono 448 disoccupati nella regione. Esiste una correlazione matematica positiva tra il grado d’istruzione e l’occupazione, ma questo rapporto matematico non segnala alcuna soluzione praticabile

nè per i 196.236 laureati disoccupati nè per i 1.025.700 di disoccupati andalusi che non hanno alcun titolo universitario. nella provincia di malaga il rapporto tra formazione e occupazione nel 2007 è stato riassunto nella seguente tabella.

GRAFICO 6. FORMAzIONE PROFESSIONALE DELLA POPOLAzIONE ATTIVA PER FASCE D’ETÀ A MALAGA

Con i dati mostrati sopra, il dibattito ruota attorno al fatto se i lavoratori abbiano troppa o poca formazione sembra avere poco senso se la ques-tione è strettamente relativa al fatto che ecceda o manchi la formazione. Ci sono 196.236 laureati disoccupati in andalusia. Come riportato nel capitolo dedicato ai giovani, esistono lauree che permettono un buon inserimento professionale, ma la disoccupazione colpisce gli universitari, gli analfa-beti e coloro che hanno un livello di

istruzione intermedio, perché ogni punto di vista porta alla stessa conclu-sione: la disoccupazione in andalusia e a malaga è un problema strutturale, che colpisce il sistema produttivo, l’istruzione, i valori e così via; questo avviene non solo a causa delle limi-tate risorse, ma anche per la natura della loro gestione, e le misure prese dai comuni contro la disoccupazione risultano, inevitabilmente, palliative.

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in spagna è uso comune chiamare giovani coloro che hanno tra i 15 ei 29 anni. alcune amministrazioni (come quelle comunali) estendono la cate-goria fino ai 35 anni e alcuni rapporti invece la riducono. La categoria così definita presenta un’evidente “omo-geneità socio-biologica”: giovani sono coloro che sono entrati nella pubertà, ma per la maggior parte non conos-cono la maternità o paternità. sono gio-vani indipendenti nel calendario, per-ché non conoscono le responsabilità familiari ma non sono neanche eman-cipati. se in passato per gioventù si intendeva la transizione tra l’infanzia e l’età adulta, oggi questa non è tanto un periodo ma piuttosto uno stato, dovuto all’allungamento della dipendenza e all’influenza di quest’ultima sulle cir-costanze che sono la sua stessa causa e sulle istituzioni che guidano questa transizione. Questa transizione si caratterizza per i seguenti aspetti:

1ª Via via che la transizione si allunga, il periodo si divide e si differenzia. tra i 15 e i 29 anni si possono distinguere almeno quattro fasi socialmente significative: 15-16, 17-20, 21-24 e

25-29, ciascuna con le proprie carat-teristiche quali:

a) L’istruzione obbligatoria fino a 16 anni.

b) L’orientamento dei giovani che cambia (pensano di più al futuro) dopo i 21 anni.

c) Un generale desiderio di eman-cipazione, che la maggior parte non può soddisfare, a partire dai 25 anni.

2ª il modello tradizionale del giovane risulta non aggiornato. tradizional-mente, il giovane era una proiezione dell’adulto; i giovani infatti imparavano da e con gli adulti per essere adulti (margaret mead). ora, invece, la gio-vinezza è uno stato. Un giovane non è una proiezioni dell’adulto, perché non vi è alcuna garanzia di ricoprire i ruoli tradizionali dell’adulto e anche perchè tali ruoli hanno perso attrattiva.

3ª La cultura degli adulti, di conse-guenza, si differenzia sempre di più da quella giovanile che ha cerimoniali, norme e valori propri.

L’insErimEnto ProfEssionaLE dEi GioVani maLaGUEÑos

Una ProsPEttiVa PEr iL Confronto Con L’EUroPa

03L’INSERIMENTO PROFESSIONALE DEI

GIOVANI MALAGUEñOS: UNA PROSPETTIVA PER IL CONFRONTO CON L’EUROPA

4ª si crea una ridistribuzione dei ruoli tra le principali agenzie di socializza-zione: la famiglia, il sistema scolastico, i gruppi di coetanei, i media, il sistema lavorativo e le relazioni di coppia. in generale, le agenzie pubbliche, il sis-tema educativo e lavorativo perdono funzionalità mentre le istituzioni pri-vate, la famiglia, le coppie e i coetanei la mantengono o l’acquisiscono. sic-come le istituzioni private sono agen-zie che facilitano la differenziazione mentre quelle pubbliche tendono ad omogeneizzare, i mezzi di comuni-cazione sono attualmente l’agente di socializzazione più omogeneizzante.

5ª appare evidente il divario tra la maturità biologica e lo status sociale dell’individuo. fatti diversi lo eviden-ziano in modo particolare: il divario tra i desideri di emancipazione (sopra i 25 anni) e la possibilità economica di emanciparsi (anni dopo); il ritardo del parto e il conseguente abbassa-mento del tasso di fertilità - dato che la condizione biologica della donna occidentale la rende particolarmente fertile intorno ai 26 anni - o il fatto che le donne spagnole indichino con due (la coppietta) la quantità ideale di figli.

6ª si rompe la continuità prece-dente tra la fase di formazione e l’inserimento professionale. tra le due, resta la giovinezza, periodo din cui si vuole autonomia, ma si con-tinua a fare affidamento finanzia-riamente, emotivamente e simbo-licamente sulla famiglia di origine; periodo in cui mancano le condizioni per progettare un piano di vita, che conseguentemente non può essere costruito in molti casi.

il modello di socializzazione riflette poi il seguente paradosso:

- si prepara la gioventù ad accedere alla maturità ma allo stesso tempo le circostanze sottolineano la convenienza a rimanere giovane. L’esempio migliore è rappresentato dalle famiglie benes-tanti, con genitori che combattono la sindrome da nido vuoto con la seguente proposta: “noi glielo diciamo che non si affanni o si preoccupi troppo di ottenere sicurezza e benessere, può rimanere con noi fin quando vorrà”. il paradosso si ripete perché la situazione risulta funzionalmente disfunzionale: i legami familiari tradizionali correggono la dis-funzione modernizzatrice.

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Un altro effetto collaterale che tale crisi riverserà in famiglia sarà il prevedibile aumento dell’età dell’abbandono del tetto dei genitori, che negli ultimi anni si era abbassata notevolmente. Secondo un recente studio del Ministero della Salute, l’età media dei giovani indipen-denti (tra i 15 e i 29 anni) era scesa da 21,3 anni nel 2004 a 20,8 anni nel 2008 così come il tasso di emancipazione era aumentato dal 32% al 37% nello stesso periodo. Tutti segnali che questa tendenza è stata invertita dalla crisi. “Negli ultimi anni, compiuti i 22 anni, i giovani lasciavano l’università, trova-vano lavoro e se ne andavano di casa”, afferma Enrique Gil Calvo, Professore di Sociologia all’Università Complu-tense. Il lavoro facile che si trovava fino a meno di un anno fa ha fatto si che molti studenti abbiano ripreso gli studi (El Pais [15/12/2008]:La familia vuelve a ser el colchón).

il rapporto che la gioventù spagnola instaura con l’istruzione formale e il lavoro potrebbe essere chiamato effetto placebo. se l’effetto placebo facilita la vendita e il consumo di medicinali iniqui, è comune che i gio-vani spagnoli trovino lavoro per un po’,

ma poi, se non si trova altro, come è probabile, o non si stima abbastanza ciò che si trova, si torna all’istruzione formale, come l’università, la forma-zione professionale o altro, per ripe-tere l’intento di trovare lavoro più tardi e con più meriti accumulati e con la speranza che quest’ultimi rendano più probabile ottenere ciò che non è stato raggiunto prima.

si possono supportare le seguenti caratteristiche lavorative della gio-ventù: 1ª il lavoro giovanile ha perso valore di mercato e utilità sociale: il numero di giovani lavoratori poten-ziali aumenta e si riduce il costo del lavoro giovanile. L’ultimo sondag-gio di struttura salariale spagnola del 2002 mostrava che il compenso orario dei giovani sotto i 20 anni era circa il 55% del reddito medio ora-rio dell’intero gruppo, tra i 20 e i 24 anni era del 54% e tra i 25 e i 29 anni del 79%. La situazione peggiora per le giovani donne, che guadagnano il 15% in meno dei loro coetanei uomini.

GRAFICO 7. REDDITO MEDIO ANNUALE PER LAVORATE E FASCIA DI ETá

-fonte: Elaborazione propria su dati del ministero dell’Economia, innovazione e scienza

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2ª La maggioranza dei giovani non appartiene nè al sistema lavorativo nè a quello formativo, ma è transeu-nte fra i due sistemi. tra il 1996 e il 2000 era molto frequente avere un solo posto di lavoro nei cinque anni successivi l’abbandono degli studi, nel 2004 siamo passati a due e nel 2006 a tre (iLo, 2007) 1.

3ª Lo stadio giovanile si configura mediante l’incertezza che lo caratte-rizza. si hanno responsabilità a diffe-renza di quello che succedeva durante l’infanzia, ma non si hanno certezze, a differenza dell’età adulta ideale. La maggiorparte dei giovani lavoratori (due terzi) lavorano con contratti tem-poranei. Più della metà delle assun-zioni giovanili durano meno di una set-timana, non per scelta volontaria, per cui il 77% dei giovani indica la stabilità come l’aspetto più prezioso del lavoro (inJUVE, 2006).

4ª non è stata osservata una rela-zione diretta tra il grado d’istruzione e la transizione dalla formazione al lavoro. il periodo di transizione era più corto a metà del decennio precedente (2000-2009) di 4,8 mesi per coloro

che avevano completato la forma-zione professionale intermedia, di 6,2 per coloro che avevano completato l’istruzione terziaria, di 6,3 per quelli che avevano completato l’istruzione secondaria superiore e di 6,7 per que-lli che avevano lasciato la scuola senza completare nessuno dei livelli pre-cedenti (oCsE, 2007:39). inoltre, non sorprende nemmeno che un giovane laureato impieghi solo 5 mesi in meno a trovare lavoro rispetto a uno che non ha completato gli studi se il lavoro in questione non richiede qualifiche par-ticolari e le qualità più adatte per rea-lizzarlo sono più attitudinali che cogni-tive. Gli atteggiamenti che favoriscono l’assunzione di persone più qualificate per lavori che non richiedono qua-lifiche sono più frequenti tra coloro che possiedono una laurea con minor quota di mercato. (a titolo di esempio, è improbabile che un laureato in medi-cina lavori come ausiliare clinico così come è probabile che una giovane eco-nomista svolga compiti per cui la sua formazione è eccessiva).

L’eccesso di istruzione è un modo di definire la mancata corrispondenza tra domanda e offerta di lavoro. Ci

sono lavori che non giustificano né la spesa pubblica (motivo da tener pre-sente quando la formazione è conside-rata eccessiva) nè lo sforzo personale investito nella formazione di colui che detiene tale carica, ma il problema è che ci sono disoccupati indipendente-mente dalla loro formazione. i laureati disoccupati non si lamentano di aver fatto l’università, ma di essere disoc-cupati. Certo è che, se “si fabbricano” disoccupati, ci sarà un gran rispar-mio se non sono universitari, ma se si produce ricchezza sarà più facile farlo con lavoratori ben formati. E’ per questo che la soluzione al problema della disoccupazione non sarà certo data da una formazione maggiore o minore, ma da una domanda di lavoro migliore basata su una for-

mazione di qualità così come da un’offerta migliore, grazie alla crea-zione di imprese o società commer-ciali. La quota di inserimento profes-sionale dei laureati in medicina è la maggiore tra le lauree universitarie, ma certamente non si potrà ridurre la disoccupazione spingendo gli stu-denti a iscriversi alla facoltà di medi-cina. Per assurdo, non serve sugge-rire il sacerdozio come soluzione alla disoccupazione nonostante il bisogno di sacerdoti nella Chiesa Cattolica e l’universalità del lavoro. non serve suggerire nessuna attività se non si parla, per esempio, di cinquecento, cinquemila o cinquantamila posti di lavoro che risolva la disoccupazione di un milione di persone.

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GRAFICO 8. POPOLAzIONE GIOVANE DISOCCUPATA IN ANDALUSIA SECONDO IL TEMPO DI RECERCA DI LAVORO. ANNO 2010

-fonte : inE.

5ª La spagna è uno dei paesi con mag-gior abbandono degli studi prima del completamento dell’istruzione secon-daria superiore - il livello minimo per poter sviluppare un’attività e un apprendistato produttivi - con un 24% di abbandono, ben oltre la media euro-pea e seconda solo a messico, turchia e Portogallo tra i paesi analizzati (oCdE, 2007:61).

occorre parallelamente notare che un’eccessiva istruzione colpisce ? dei giovani attivi, che fanno lavori che non corrispondono al livello d’istruzione in loro possesso. il rapporto tra forma-zione e lavoro è maggiore tra coloro che hanno una formazione professio-nale e lo sbilanciamento per “eccessiva formazione” tra coloro che hanno com-pletato studi universitari. Comunque lo si osservi, per eccesso o per difetto,

per “eccessiva formazione” o per la “scarsa offerta di lavoro” parliamo sempre dello stesso fenomeno. Lo stesso discorso vale per qualsiasi altra istituzione e non solo per il mercato del lavoro. anche per lo stesso esercito c’è da chiedersi se sia meglio avere sol-dati più o meno intelligenti. La risposta dipenderà in entrambi i casi dal mer-cato del lavoro e dal tipo di esercito che si preferisce, più o meno intelligente. il dilemma che suscita “l’eccessiva for-mazione” non deve mettere in dubbio la maggiore formazione (eccessiva per che cosa?) ma piuttosto una forma-zione migliore per il lavoro. se la for-mazione è buona, non sarà mai troppa. diverso è il discorso sulla spesa pub-blica, da valuatre se sia eccessiva per il beneficio del singolo o della comunità. in questo come in altri casi comun-que, conviene chiamare le cose con il loro nome: la spesa (eccessiva o

insufficiente) è una cosa e l’istruzione (migliore o peggiore) è un’altra.

La formazione superiore è una buoma strategia di arricchimento personale e per le possibilità di occupazione che genera. La quota di inserimento profes-sionale però varia molto a seconda del tipo di laurea. nella seguente tabella si riassume la situazione andalusa: gli iscritti al sistema di Previdenza sociale (ss) laureati nell’anno 2008-2009.

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TABELLA 8. LAUREATI DEL 2008-2009, ISCRITTI AL SS UN ANNO DOPO IL COMPLETAMENTO DEGLI STUDI

-fonte: Elaborazione propria su dati del servicio andaluso per l’impiego.

Le carriere tecniche e quelle sanita-rie spiccano per l’inserimento pro-fessionale dei loro laureati. se la facoltà di architettura non compare in tabella è perchè la percentuale dei suoi laureati che lavorano come liberi professionisti è maggiore di que-lli laureati in ingegneria. Lo stesso fenomeno avviene fra gli odontoiatri. Questi buoni risultati non si esten-dono a tutte le lauree poichè, data la difficoltà di accesso e di completa-mento, le facoltà scientifico-sanita-rie, di medicina e d’ingegneria sono seguite da una minoranza (selezio-nata) di universitari. a Bologna si è evidenziato il diverso orientamento agli studi universitari tra il nord e il sud del paese. Uno dei partecipanti all’incontro tenutosi in questa città ha detto: “di solito in italia e, soprat-tutto al sud, si continuano a scegliere facoltà umanistiche, giuridiche e sociali. questo tipo di lauree, consi-derate deboli, sono alla base della disoccupazione dei laureati. Le lau-ree di carattere scientifico e special-mente quelle tecniche garantiscono un lavoro immediatamente dopo la fine degli studi, anche senza alcuna esperienza professionale. »

L’ingresso nelle facoltà tecniche e sani-tarie è più selettivo delle altre, sia per il voto minimo necessario per accedervi sia per la maggiore difficoltà generale, fattori che riducono la percentuale degli studenti meno motivati e di que-lli meno capaci. Gli studenti di queste facoltà hanno acquisito un’attitudine allo sforzo maggiore delle altre lau-ree. Questi laureati rappresentano una minoranza e data la difficoltà e la selet-tività dei loro studi, si collocano su un piano di competitività distinto. La pro-fessioni corrispondenti, specialmente quelle tecniche, hanno una contabilità produttiva più facile (contribuiscono in maniera più tangibile alla ricchezza) e, di conseguenza, un maggiore riscontro commerciale. L’utilità di un intervento chirurgico al menisco effettuata a uno sportivo professionista o l’utilità della costruzione di un impianto depuratore delle acque è più facilmente misurabile di quella di un poema, di un quadro, di un’esperienza storica o di una norma. Queste sono alcune delle ragioni per cui a Bologna, così come a Liegi, malaga o Parigi i laureati in facoltà tecniche, sani-tarie e scientifiche hanno un miglior inserimento professionale.

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i titoli di formazione professionale che in andalusia superarono il 66,66% dei laureati nel 2008-2009 che lavorano a settembre 2010 furono i seguenti.

TABELLA 9. ANNO DI LAUREA 2008-2009. ISCRITTI ALLA SS UN ANNO DOPO IL TERMINE DEGLI STUDI

-fonte: Elaborazione propria su dati del servicio andaluso per l’impiego.

La disoccupazione giovanile è un problema perchè la media europea raddoppia la media di quella adulta, ma la media aritmetica che i tassi rappresentano ci informa su aspetti rilevanti per il suo significato e tras-cendenza, come l’età di emancipa-zione e le funzioni di appoggio fami-liari. dove la maggiorparte dei minori di 25 anni vive ancora con i genitori, come in spagna, una disoccupazione che raddoppia la disoccupazione totale non presuppone la stessa dis-funzione di un altro con la stessa misura relativa in un altro paese con tradizioni familiari e lavorative diverse.

nelle regioni dei comuni che scam-biano esperienze nell’ambito del Progetto intersecciones, i tassi di disoccupazione giovanile nel 2010 erano i seguenti: Bologna 22,4; Liegi 27,3; andalusia 49,9 e isola di fran-cia 21,1. quello di Bologna moltiplica il suo tasso di disoccupazione totale per 3,92; quello di Liegi e Parigi per 2,37 e quello dell’Andalusia per 1,42. Anche tenendo in considerazione la sola media aritmetica, la disoccu-pazione giovanile andalusa non ha il peso relativo di quello delle altre regioni europee, non per il fatto di essere meno grave delle altre ma per la gravità della sua disoccupa-zione complessiva (Eurostat).

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04L’INSERIMENTO PROFESSIONALE DEI

MAGGIORI DI 45 ANNI A MALAGA: UNA PROSPETTIVA PER IL CONFRONTO CON L’EUROPA

nella città di malaga i maggiori di 45 anni sono 176.662, in provincia sono 655.846 e rappresentano rispettiva-mente il 31,07% e il 40,38% della popo-lazione. Ci sono 406.020 persone tra i 45 e i 65 anni, che rappresentano il 25% della popolazione. di quest’ultimi il 16,71% sono stranieri, percentuale simile a quella degli stranieri totali nella popolazione (16,50%). il tasso di occupazione dei maggiori di 45 anni è aumentato durante gli anni del boom economico e durante i periodi di crisi. nel 1997 raggiunse il 28,98%, nel 2001 il 30,30% e nel 2009 il 38,40%.

La categoria degli adulti maggiori di 45 anni non ha una definizione sociologica possibile se non solamente statistica. risulta forzato raggruppare in una stessa categoria persone che hanno 45, 64 o 74 anni, poichè le esperienze di vita e lavorative derivate fin dalla nascita sono molto diverse. Gli esperti consultati sul problema della disoc-cupazione di questa categoria concor-dano sulla speciale difficoltà di inserire queste persone sul mercato del lavoro, in quanto proprio l’età risulta essere l’ostacolo principale a tale inserimento, quando la sola età è un inconveniente

messe in relazione la persona concreta con l’attività concreta e non le persone con il lavoro e la produttività. (E’ inim-maginabile un campionato mondiale di scacchi fatto da adulti maggiori di 45 anni; è insolito che il momento di mag-gior creatività musicale di un composi-tore si produca a partire da questa età, ma chi entra in una sala operatoria lo fa con maggior confidenza se il chirurgo ha 55 anni invece di 35).

se avere 45 anni o più è un grave inconveniente per trovare lavoro è perchè nel rapporto fra l’età e il lavoro intervengono altri fattori: le conos-cenze acquisite, la capacità di acqui-sirne di nuove, il costo del lavoratore e l’interesse del datore di lavoro. Questa equazione è applicabile a qualsiasi fascia d’età, e a questa in particolare. il chirurgo, l’ingegnere o l’avvocato con 25 anni di esperienza professio-nale difficilmente sarà disoccupato, confermando l’equazione secondo cui a maggiore formazione corrisponde una minore disoccupazione, ma il lavorartore nei servizi, nell’industria o nell’agricoltura che dopo gli stessi anni di esperienza lavorativa perde il lavoro è un caso molto diverso poichè la sua

esperienza acquisita può essere sos-tituita facilmente almeno da un lavo-ratore più giovane, più duttile e meno costoso. se l’ingegnere, l’avvocato o il medico perdessero il loro lavoro a quest’età e per trovare lavoro venisse detto loro di formarsi per una profes-sione diversa da quella fatta fino a quel momento, per quanto capaci siano stati nel formarsi nelle loro rispettive pro-fessioni, le difficoltà per farlo di nuovo non sarebbero minori di quelle che l’operaio industriale incontrerebbe per diventare agricoltore o viceversa. La vulnerabilità dei maggiori di 45 anni non è data solo dall’età, ma anche dal tipo di attività che ha configurato la loro esperienza lavorativa e solo se messe in relazione si spiega perchè perdono o mantengono il lavoro o la professione e perchè una volta persi, costi così tanto recuperarli.

il 13 giugno del 2011, per il terzo anno consecutivo, la fondazione adecco ha presentato uno studio sulla situazione lavorativa dei maggiori di 45 anni, che allora erano 1.523.392 di disoccupati in spagna, pari al 36,3% dei disoccu-pati totali. il 93,6% aveva perso il lavoro per licenziamento o a causa della Pro-

cedura di Licenziamento Collettivo per Cause Economiche (ErE), contro un 3,8% di rinunce volontarie e un 2,6% di accorpamenti al mercato del lavoro dopo un periodo di inattività lavorativa. il 71,2% ha familiari dipendenti, per-centuale che sale al 74% per le donne e scende al 66,9% per gli uomini; il 55% era disoccupato da molto tempo (più di un anno). Lo studio mostra come lo sconforto e il pessimismo intorno alla sfera lavorativa futura aumentino se il periodo di disoccupazione si allunga. Lo sconforto si rafforza a causa della considerazione negativa delle vie per ottenere di un lavoro, come la rete di conoscenze e la convinzione (87,6%) che l’età (più di 45 anni) sia un ostacolo per trovare un’occupazione. Lo studio evidenzia anche che l’atteggiamento di queste persone è poco indolente visto che il 98,2% sarebbe disposto a lavo-rare in un settore diverso da quello dove lavorava prima; il 94,6% accette-rebbe un impiego di qualifica inferiore alla sua formazione e il 58,9% sarebbe disposto a trasferirsi in un’altra città. il 94,6% cerca lavoro attraverso due o più strade. sentendosi responsabili del fenomeno stesso della disoccupazione, questi disoccupati segnalano sempre

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a altri, soprattutto al Governo, seguiti dalle imprese, il tessuto associativo e i mezzi di comunicazione.

Lo studio a cura di adecco basato sui risultati di un sondaggio realizzato su un campione rappresentativo di 1.200 disoccupati con più di 45 anni, ha permesso di estrapolare i risultati sull’insieme di questa popolazione (1.523.392 persone). non è il caso delle interviste realizzate nel corso dell’indagine successiva condotta su ventuno persone disoccupate con più di 45 anni negli uffici di collocamento del saE situati nella città di malaga (El Palo, avenida de andalusia e Capu-chinos) ma merita sottolineare le tre osservazioni di questa indagine, due riferite ai disoccupati e una ai consu-lenti. i disocccupati intervistati non si fidano dei canali instituzionali per tro-vare lavoro, specialmente delle agen-zie di Lavoro temporaneo (Ett) e del saE (e indicano come il canale più effi-cace la rete di contatti). La sfiducia in questo secondo caso ha le sue origini dai tempi del inEm (istituto nazionale d’impiego), tanto che da parecchi anni le agenzie per il lavoro vengono chia-mate “agenzie della disoccupazione”,

nella chiara convinzione che lì dentro non si trovi lavoro. Gli intervistati repu-tano vantaggioso il lavoro orientativo, “ma non per trovare lavoro”, ripetono quasi tutti. Quello che vogliono dire è che riconoscono che l’informazione e la formazione che ricevono sono utili per migliorare la loro occupabilità, ma non per questo trovano lavoro più facilmente. i consulenti sottolineano l’ampio margine di miglioramento for-mativo di alcune persone con basso grado d’istruzione e le cui attitudini non sono spesso le più adecuate per tro-vare lavoro, anche se hanno forti moti-vazioni, ma concordano con gli utenti sul fatto che una formazione migliore non sia garante per il conseguimento del lavoro.

Come gli utenti e i consulenti rico-noscono l’utilità formativa e informa-tiva del lavoro orientativo, la gestione orientativa segnala ripetutamente l’obiettivo da raggiungere, il miglio-ramento dell’occupabilità. (o’Higgins, 2001:17). L’orientamento mostra l’elemento che migliora la sua gestione e omette (non sempre) ciò che resta fuori dall’obiettivo, l’offerta di lavoro, la creazione di imprese e la crescita eco-

nomica. Un segnale talmente ripetuto, per cause comprensibili, può generare confusione a terze persone, incluso quelle che lo fanno, facendole credere che la soluzione della disoccupazione sia il miglioramento dell’occupabilità dei disoccupati, esclusiva o principal-mente, quando è talmente necessario migliorarla come gli altri elementi della struttura produttiva senza cui non c’è offerta di lavoro possibile nè crescita economica sostenibile. Come ha scritto niall o’Higgins: “L’analisi conferma che la sola applicazione di interventi basati sulla domanda (come può essere la formazione per incrementare le pos-sibilità di essere assunto) è improba-bile che abbia esiti positivi” (o’Higgins, 2001:17) .

se si analizza l’assunzione dei mag-giori di 45 anni in andalusia secondo il livello formativo della persona assunta, la maggioranza dei contratti corris-pondono a persone con un’educazione generale (53,69%), con studi primari incompleti (23,02%) e senza alcuna istruzione (15,11%). nell’estremo con maggiore istruzione, le persone assunte sono state i tecnici supe-riori (0,69%), di primo ciclo (0,99%), di

secondo e terzo ciclo (1,24%). i primi tre totalizzano un 91,92% e i tre secondi un 2,92% degli adulti con più di 45 anni assunti (rapporto argos).

se a maggior istruzione corrisponde una minore disoccupazione, si deduce che la formazione è stata un potente antidoto contro la disoccupazione per il lavoratore attivo, ma non è la soluzione affinchè il disoccupato trovi lavoro. il fatto che la disoccupazione fra i laureati in medicina sia del 3%, non implica che la scelta di tale facoltà riduca il tasso di disoccupazione a questa o a una percentuale simile. durante l’anno 2010 i maggiori di 45 anni assunti in andalusia erano persone senza alcuna istruzione (15,11%); con studi primari incompleti (23,02%) e con un’istruzione generale (56,39%), per un totale di 94,52% di assunzioni. tra due persone ugualmente formate, quella con mag-giore istruzione è più produttiva in più attività, ma da questo non si deduce che l’offerta generi più domanda per lei, così come un operaio specializzato generi più domanda di operai specializ-zati. L’esempio è chiaro tra i lavoratori stranieri in uno dei settori in cui sono occupati: il servizio domestico: per

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questo tipo di lavoro, non si assume di preferenza una donna laureata ris-petto a una senza alcuna istruzione per la sua maggiore formazione nè per le mansioni di pulizia della casa nè per la cura dei genitori.

di fatto, le occupazioni con maggior numero di contratti realizzati ai mag-giori di 45 anni in andalusia nel 2009 sono stati i seguenti.

TABELLA 10. CONTRATTI REALIzzATI AI MAGGIORI DI 45 ANNI INANDALUSIA NEL 2009

-fonte: servizio andaluso per l’impiego

Più formazione richiede un’attività, meno sostituibili sono i lavoratori che la realizzano. il lavoratore con esperienza non può essere sostituito da un altro altrettanto qualificato per non pregiudicare la qualità del lavoro, ma il rischio non è lo stesso se i sos-tituiti sono lavoratori non qualificati per un lavoro o un servizio che non richiede una qualifica particolare. La soluzione di ripartizione del lavoro ha delle limitazioni oltre a quelle pretta-mente economiche, come le diverse qualifiche dei lavoratori nelle man-sioni che richiedono più esperienza e l’inconvenienza del fatto che più persone facciano quello che in meno farebbero ad un costo minore e mag-giori risultati nelle mansioni meno qualificate e più facilmente riparti-bili. se l’obiettivo è la piena occupa-zione (fissata dalle autorità europee in un tasso di occupazione del 70%), la forma non può essere la divi-sione delle attività disponibili senza l’aggiunta di nuove occupazioni che generino nuove offerte di lavoro.

tantomeno l’auto-occupazione è stata finora la soluzione. La difficoltà non sta nell’auto-occuparsi durante un certo periodo, ma nello svillu-pare un’attività che copra e generi domanda per un tempo sufficiente per metterla a rendita (il 52% delle società di commercio a malaga non arrivano a compiere 5 anni). senza dubbio, nel caso dell’iniziativa pri-vata, la cultura produttiva è essen-ziale: la soddisfazione di lavorare con autonomia, l’iniziativa, il rischio, la speranza, l’inventiva ecc. insieme a un sistema finanziario che permetta la sua realizzazione. se questi valori fossero poco frequenti nella cultura locale, lo sarebbero ancora meno fra i maggori di 45 anni. anche se l’importanza delle piccole e medie imprese (PYmEs) e l’esercizio pro-fessionale non sono disprezzabili e rispetto all’insieme della popolazione occupata, l’autoimpiego dei maggiori di 45 anni è maggiore in andalusia.

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TABELLA 11. SITUAzIONE PROFESSIONALE DEI MAGGIORI DI 45 ANNI IN ANDALUSIA NEL 2009

-fonte: inE, EPa.

GRAFICO 9. SITUAzIONE PROFESSIONALE DEI MAGGIORI DI qUARANTACINqUE ANNI IN ANDALUSIA NEL 2009

Le differenze con l’insieme della popo-lazione sono importanti. i dati mostrano una differenza di 8,76 punti percentuali in più rispetto al totale degli occupati per i dipendenti del settore pubblico, di 3,15% per i lavoratori liberi profes-sionisti e di 2,46% per gli impiegati; al contrario, e ovviando quelle situazioni dove le differenze sono insignificanti, il peso registrato è di meno 16,53 punti percentuali per i dipendenti del settore privato (48,41%). La libera professione e il settore pubblico sono i più resistenti

ma anche i più irrecuperabili. malaga è stata la provincia andalusa che ha registrato la maggiore perdita di liberi professionisti nel 2010 in termini asso-luti, passando da 95.043 alla fine del 2009 a 92.474 alla fine del 2010, pari a una perdita complessiva del 2,7% (-2,7%) superiore anche a quella spag-nola del 1,82% (-1,82%).

L’insErimEnto ProfEssionaLE dEi maGGiori di 45 anni a maLaGa

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RAPPORTO A CONFRONTO NELLE CITTÀ DI BOLOGNA, LIEGI, MALAGA E PARIGI

si definisce immigrato una costruzione sociale e non una categoria sociologica obiettiva. di fatto, l’ordinamento giuri-dico spagnolo si riferisce agli stranieri residenti con differenti stati giuridici (secondo la nazionalità) e i rapporti sociologici e statistici si riferiscono alle persone straniere. non tutti gli stranieri però sono immigrati anche se sono immigrati, come il caso dei turisti residenti o degli sportivi profes-sionisti, nè tutti gli stranieri sono emi-grati, come gli spagnoli nati all’estero e residenti in spagna. a meno non si naturalizzano, coloro che sono nati in spagna da genitori stranieri riman-gono stranieri, anche se non sono mai emigrati e anche se in futuro la voce del popolo, i mezzi di comunicazione e la bibliografia scientifica li chiamerà seconda generazione di immigrati. L’insEE francese (equivalente al inE spagnolo) distingue tra stranieri e immigrati, ma definisce entrambe le categorie. secondo la definizione data dal Haut Conseil à l’integration (Con-siglio per l’integrazione), immigrato è una persona straniera nata all’estero e residente in francia. Può essere poi immigrato (inmigré) e francese (spag-nolo, belga, italiano ecc.) per acquisi-

zione di nazionalità. L’insEE aggiunge anche che la qualità dell’immigrato (inmigré) è permanente, continua ad essere straniero o naturalizzato poi-chè è il paese di nascita (invariabile) e non la nazionalità (variabile) la cir-costanza che lo determina. Questo rapporto semplifica l’espressione in uso di “persone straniere”, chiaman-dole “stranieri” dando per scontato che si riferisce sempre a persone di entrambi i sessi. i quattro paesi (Bel-gio, francia, italia e spagna) conside-rano nazionali coloro che sono in pos-sesso di doppia nazionalità.

nonostante la similarità dei dati per-centuali della popolazione straniera residente nei comuni osservati e nelle rispettive province, si notano diffe-renze importanti. anche se il comune di Parigi conta solo 2,2 milioni di abitanti, a ile-de-france vivono 10,2 milioni di persone. a Parigi e nella sua regione, ile-de-france, gli stranieri rappre-sentano rispettivamente un 14,92% (329.922) e un 14,16% (1.446.558). nella città di Parigi ci sono più stranieri che nella provincia di malaga e a ile-de france ce ne sono di più che in anda-lusia. al contrario, in francia, paese

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che da lungo tempo conosce il feno-meno dell’immigrazione, ci sono meno stranieri (3,7 milioni) che in spagna (5,75 milioni), anche se ci sono più immigrati (5,3 milioni) che in spagna. Così come 1,6 milioni di persone che non sono francesi nati all’estero ma che sono naturalizzati francesi.

La francia è un paese dalla lunga tradizione di accoglienza mentre la maggiorparte degli stranieri residenti in spagna è arrivata negli ultimi dieci anni. nella città di Parigi risiede l’8,9% degli stranieri residenti in francia, a ile-de-france il 38,9%. oltre a servire come mera descrizione, questi dati mostrano le limitazioni nel regolare l’osservazione e l’analisi in ambito strettamente locale. nel comune di Parigi, come in quello di malaga, gli stranieri residenti sono pochi ma nel tessuto urbano al di fuori dei limiti amministrativi risiede il 38,9% degli stranieri in francia, percen-tuale molto diversa da qualsiasi altra regione o provincia spagnola.

La popolazione straniera (presumi-bilmente immigrata) della provincia di Liegi (10,24%) presenta una carat-

teristica diversa: essere europeo e italiano nella maggiorparte dei casi. Gli italiani rappresentano infatti il 39,2% degli stranieri residenti a Liegi. Le cinque comunità straniere più numerose (tre dei paesi vicini): italiani, tedeschi, francesi, spagnoli e olandesi, rappresentano il 70,7% degli stranieri. Gli stranieri prove-nienti da paesi non membri della UE formavano il 2% nel 2006 (inE, Bel-gio).

a malaga, la categoria formata dagli stranieri (che non hanno nazionalità spagnola) non sono una categoria con maggiore rischio di esclusione sociale perchè tra gli stranieri resi-denti a malaga ci sono due tipi ben distinti: i turisti residenti (europei) e gli immigrati (soprattutto marocchini, latino americani - molti dei quali pos-sono avere nazionalità spagnola - e europei orientali) che, a differenza di quelli precedentemente citati, si pre-sume abbiano una valida motivazione lavorativa per rimanere.

durante gli anni di crescita econo-mica più recenti, la maggioranza dei posti di lavoro creati in spagna è stata

05L’INSERIMENTO PROFESSIONALE

DEGLI IMMIGRATI: UNA PROSPETTIVA PER IL CONFRONTO CON L’EUROPA

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occupata dagli stranieri. durante gli anni di crisi, l’evoluzione del lavoro all’interno di questa popolazione ha sentito maggiormente i suoi effetti, come riflettono le quantità di stra-nieri attivi nella provincia durante gli ultimi anni.

TABELLA 12. POPOLAzIONE STRANIERA ATTIVA NELLA PROVINCIA DI MALAGA, PER SETTORE OCCUPAzIONALE

-fonte: Elaborazione propria su dati EPa.

GRAFICO 10. POPOLAzIONE STRANIERA ATTIVA NELLA PROVINCIA DI MALA-GA PER SETTORE DI ATTIVITÀ

* La popolazione straniera nella provincia di malaga è cresciuta anche negli anni di crisi.

TABELLA 13. POPOLAzIONE MASChILE STRANIERA RESIDENTE NELLA PRO-VINCIA DI MALAGA

-fonte: inE. anagrafe comunale

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GRAFICO 11. POPOLAzIONE MASChILE RESIDENTE NELLA PROVINCIADI MALAGA

TABELLA 14. POPOLAzIONE FEMMINILE STRANIERA RESIDENTE NELLA PROVINCIA DI MALAGA

-fonte: inE. anagrafe comunale

GRAFICO 12. POPOLAzIONE FEMMINILE STRANIERA RESIDENTE NELLA PROVINCIA DI MALAGA

L’unico gruppo di nazionalità che è sceso tra il 2005 e il 2009 è stato quello sudamericano, mentre sono aumen-tati gli altri tre gruppi più numerosi, UE-15 e altri gruppi europei e afri-cani. Questo dato concorda con quello che è successo a livello nazionale: nel programma aPrE o Piano di ritorno volontario per lavoratori disoccupati (decreto Legge regio 4/2008 e dec-reto regio 1800/2008) si accolsero un

3% dei lavoratori nel 2009 e un 6% nel 2010, perlopiù sudamericani e andini, il 71% provenienti da Ecuador, Colombia, Bolivia e Perú.

La rappresentazione per sesso è molto equilibrata nella gran parte delle regioni di provenienza, salvo nel caso degli africani, dove gli uomini sono un 50% in più delle donne, e quello dei sudame-ricani, dove le donne sono un 31% in

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più degli uomini. tra gli africani, il quo-ziente tra uomini e donne presenta un valore simile durante i sette anni presi in esame, ma tra i sudamericani il quo-ziente è aumentato progressivamente da 1,05 nel 2005 a 1,31 nel 2011. dal 2009 al 2011, i sudamericani residenti, uomini e donne, sono diminuiti ogni anno mentre gli africani di entrambi i sessi sono continuati ad aumentare. Un dato che può contribuire a com-prendere i diversi comportamenti ris-petto alla permanenza e al rimpatrio

è la composizione per età di questi gruppi. Gli europei dei paesi del gruppo UE-15 hanno un’età molto diversa da quelli degli altri gruppi maggioritari. secondo i dati riferiti dall’andalusia, ottenuti dall’anagrafe comunale del 2010, i quattro grandi gruppi presen-tano la seguente struttura.

TABELLA 15. ETÀ DELLA POPOLAzIONE STRANIERA IN ANDALUSIA

-fonte: inE. anagrafe comunale.

i cittadini dei paesi dell’UE-15 pre-sentano una struttura per età simile a quella del gruppo della popolazione nazionale a cui si riferisce il peso della popolazione potenzialmente attiva, ma il peso dei maggiori di 65 anni è del 23,79%, pari a nove punti in più del peso del gruppo d’età sul totale della popolazione. in definitiva, come ben sa qualsiasi residente a malaga, la minor motivazione lavorativa di questi cittadini spiega come la loro perma-nenza o il loro ritorno in patria dipenda meno dalle fluttuazioni del mercato del lavoro. degli altri tre gruppi, i più europei sono quelli che hanno meno popolazione di età inferiore ai 20 anni e maggiore di 65, aspetto che fa presup-porre un’intenzione più congiunturale e una maggiore probabilità di rimpa-trio, che fino ad adesso, come si vede nelle tabelle, non si è verificata.

romania e Bulgaria sono in cima ai paesi europei del gruppo U-27 a ris-chio povertà e esclusione sociale, ris-pettivamente con il 43,1% e il 46,2%, dissuasione sufficiente per preferire una situazione di relativa precarietà in spagna, dove tale rischio è del 23,4%.

Pur rimanendo poveri, i paesi sudame-ricani stanno crescendo nonostante la crisi economica globale.

La struttura degli stranieri residenti nella città di malaga si differenzia da quella provinciale e da quella anda-lusa. nella città di malaga risiedevano 45.394 stranieri nel 2010, circa il 7,98% della popolazione della città, meno dell’andalusia, dove 704.056 stranieri rappresentano l’8,41%, e meno della provincia, dove 275.027 stranieri for-mano il 17,09% della popolazione. La struttura per età di questa popola-zione contrasta con quella provinciale e quella regionale. il tasso di dipen-denza provinciale è del 29,40%, valore molto alto a causa della maggiore età degli europei residenti. tale tasso è del 17,78% nella città di malaga, dove la concentrazione di potenziali attivi è maggiore e dove gli stranieri, a diffe-renza di ciò che succede nel resto della provincia, preferiscono vivere in nuclei diversi da quelli spagnoli.

L’istituto nazionale di statistica rac-coglie tra gli stranieri residenti nella provincia di malaga 144 nazionalità

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diverse e nella città le seguenti: 10 europee (romeni, italiani, bulgari, francesi, tedeschi, inglesi, portog-hesi, polacchi, russi e ucraini), 12 lati-noamericane (paraguaiensi, argen-tini, colombiani, boliviani, brasiliani, ecuadoriani, venezuelani, uruguaiani, peruviani, cileni, cubani e dominicani), 2 asiatiche (cinesi e pachistani) e una minima rappresentanza dell’oceania

(14 persone inclusi gli apolidi). Le 10 nazionalità straniere più numerose nella città hanno il seguente peso nell’insieme degli stranieri residenti, per un totale di più di 2/3 di stranieri nella città.

TABELLA 16. NAzIONALITÀ STRANIERE NELLA CITTÀ DI MALAGA

-fonte: Elaborazione propria su dati inE.

L’aspetto più significativo è che tra le dieci nazionlità solo tre sono europee (rumena, ucraina e italiana), di cui solo due appartenenti all’Unione Europea (rumena e italiana) e una sola è da considerarsi ricca (quella italiana). Più chiaramente, i residenti dell’Unione Europea totalizzano un 25,89% nella città (59,12% nella provincia e 50,64% in andalusia). Visto che la rappresen-tazione dell’oceania è insignificante e nella statistica non compaiono nè nor-damericani nè europei di paesi svilup-pati non membri dell’Unione Europea, possiamo concludere senza dubbio che

il rimanente 74,11% appartiene a paesi meno sviluppati e supporre che quella lavorativa è una motivazione impor-tante per la permanenza di queste per-sone. Un panorama molto diverso da quello visibile nel resto della provincia. i 45.394 residenti a malaga rappresen-tano il 16,5% degli stranieri residenti nella provincia (275.027) su una popo-lazione cittadina pari al 35,52% di que-lla provinciale. Gli stranieri, provenienti non solo da paesi membri dell’UE ma anche da altri paesi, sono maggior-mente presenti in provincia che nella capitale. in altre parole, la capitale

GRAFICO 13. NAzIONALITá STRANIERE NELLA CITTÀ DI MALAGA

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provinciale non è più attraente della provincia per i lavoratori stranieri e lo è ancora meno per i turisti residenti. di fatto, la comunità straniera più nume-rosa nella provincia è quella inglese, con 70.781 residenti (pari al 25,73% degli stranieri). sono numerose anche altre comunità europee, soprattutto quella inglese, olandese, francese, fin-landese e danese.

ad eccezione dei nigeriani, la maggio-ranza dei quali vive nella città (78,58%), le altre nazionalità sono più numerose nella provincia.

GRAFICO 14. POPOLAzIONE STRANIERA NEL RESTO DELLA PROVINCIA DI MALAGA, 2005-2010

a giugno del 2011, la provincia di malaga aveva 23.111 disoccupati stranieri, registrando il maggior numero in andalusia, seguita da almeria (19.075) e siviglia (9.001), quinta in tutta la spagna, dietro a

madrid (98.110), Barcellona (90.799), Valencia (36.617) e alicante (32.941). alla fine del 2010, i dieci comuni della provincia con maggior popolazione straniera e i loro rispettivi tassi di disoccupazione erano i seguenti.

GRAFICO 15. POPOLAzIONE STRANIERA A MALAGA (COMUNE) 2005-2010

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TABELLA 17. COMUNI DI MALAGA CON MAGGIOR NUMERO DI STRANIERI

-fonte: Elaborazione propria su dati dell’osservatorio argos.

in mancanza di altri dati che spieghino le differenze, le cifre mostrano come la disoccupazione aumenti con la densità di popolazione. i dieci comuni totalizzano il 78,73% della popolazione straniera della provincia e l‘85,88% degli stra-nieri disoccupati. nei due con maggior popolazione totale e straniera, malaga e marbella, con il 29,95% degli stranieri, raggruppano il 42,61% degli stranieri disoccupati. nella situazione opposta si trovano invece i comuni di torrox e nerja, che hanno più turisti residenti e meno lavoratori stranieri. non è tuttavia da escludere poi che la differenza tra la percentuale di residenti e di disoccupati

sia più alta a malaga che nelle altre città della provincia, visto che, come già si è detto, l’attrattiva per il turismo residen-ziale della capitale, dove risiede soprat-tutto una popolazione straniera attiva, è minima

Come negli anni di boom economico la crescita dell’occupazione è stata mag-giormente sentita tra gli stranieri che tra gli spagnoli, allo stesso modo negli anni di crisi la perdita del lavoro è stata fortemente accusata dalla stessa cate-goria. inoltre, durante gli anni di crisi era aumentata la richiesta di lavoro da parte degli stranieri e pertanto

TABELLA 18. MEDIA ANNUALE DEI CONTRATTI A STRANIERI A MALAGA, 2006-2011

-fonte: Elaborazione propria su dati del servizio andaluso per l’impiego

l’aumento della disoccupazione si è registrato maggiormente fra gli stra-nieri che tra gli spagnoli. Per l’intera spagna, durante gli anni 2007-2010, la disoccupazione si è moltiplicata per 2,7 tra gli stranieri e per 2,4 tra gli spagnoli, principalmente a causa del forte aumento della popolazione attiva straniera e il parallelo drastico calo dell’occupazione fra gli stranieri. Le occupazioni ricoperte dagli stranieri, generate dalla forte crescita, operai agricoli, operai nell’edilizia e servizio domestico, si perdono rapidamente quando la congiuntura si inverte e la necessità fa si che gli stranieri prece-dentemente inattivi, e in particolare le

donne, comincino a chiedere lavoro. il tasso d’occupazione degli stranieri in spagna passò così dal 67,2 al 76,2 tra il 2007 e il 2010 mentre quello degli spagnoli aumentò nello stesso periodo di soli tre decimi, passando dal 57,4 al 57,7 dato che tra gli spagnoli è molto probabile l’effetto inverso, davanti alle difficoltà di trovare lavoro e soddisfatti i fabbisogni familiari grazie al fatto che uno o più membri della famiglia lavorano, l’inattività può aumentare all’ombra di questa maggiore sicurezza, i giovani ritardano il loro inserimento e le donne si ritirano in maggior misura di quelle straniere.

L’insErimEnto ProfEssionaLE dEGLi immiGrati

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RAPPORTO A CONFRONTO NELLE CITTÀ DI BOLOGNA, LIEGI, MALAGA E PARIGI

BoLoGna, LiEGi, maLaGa E PariGi

QUattro Citta’ daVanti aLL’insErimEnto ProfEssionaLE

i confronti tra Bologna, Liegi, malaga e Parigi, cinque città di paesi membri della Unione Europea, portano a una conclusione generale: ci sono grandi differenze tra tali città, come la gran-dezza della popolazione, la rendita pro capite, il tasso d’occupazione e quello di disoccupazione. il tasso di occupa-zione di malaga (59,19) è maggiore della media andalusa (58,72) e minore

di quello spagnolo (60,11). Quello di Bologna, Liegi, Lisbona e Parigi supera il 65%. Quello di malaga è minore di 6 punti percentuali rispetto al valore più basso delle altre quattro. il tasso di disoccupazione a Bologna è di 5,7%; quello di Parigi del 8,9%; quello di Liegi del 11,5% e quello di malaga del 30,28%.

La struttura per età non giustifica le differenze fra i tassi d’occupazione, dovuti principalmente alla cultura del lavoro che i malaguenos e gli anda-lusi condividono con gli spagnoli di altri paesi europei. La differenza con l’Europa sta soprattutto nel minore tasso di occupazione femminile, più

basso fra i 16-19 anni e i maggiori di 55 anni. tra le spagnole più giovani, forse a causa della maggiore dedi-zione allo studio, e fra quelle mag-giori di 55 anni, per una maggiore dedizione verso i ruoli domestici tra-dizionali.

TABELLA 19

-fonti: Elaborazione propria su dati inE (spagna), istat (italia), ins (Belgio), insEE (francia).

06BOLOGNA, LIEGI, MALAGA E PARIGI: qUATTRO CITTA’ DAVANTI ALL’INSERIMENTO

PROFESSIONALE DI GRUPPI A RISChIO ESCLUSIONE SOCIALE

Liegi registrò un calo della popola-zione tra il 1990 (196.825) e il 2004 (185.574), ma dal 2005 (185.574) al 2010 (192.504) ha lentamente recu-perato. a Parigi invece il processo di suburbanizzazione cominciò prima e il comune registrò un calo della

popolazione tra il 1968 (2.590.771) e il 1999 (2.125.851), specialmente a causa del saldo migratorio nega-tivo (più uscite che ingressi) e le sue medie delle variazioni annuali furono le seguenti.

TABELLA 20. COMPOSIzIONE PER ETÀ, PERCENTUALI NEL 2010

-fonte: Elaborazione propria su dati Eurostat Home.

TABELLA 21. PARIGI, VARIAzIONI PERCENTUALI DELLA POPOLAzIONE NE-GLI ANNI 1969-2008

-fonte: insEE.

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RAPPORTO A CONFRONTO NELLE CITTÀ DI BOLOGNA, LIEGI, MALAGA E PARIGI

TABELLA 22. TASSO DI OCCUPAzIONE IN ANDALUSIA PER GRUPPI DI ETÀ E SESSO

-fonte: Elaborazione propria su dati inE.

a Bologna, il maggior tasso di occu-pazione e il minor tasso di disoccu-pazione si notano nella popolazione più vecchia e con minor popolazione potenzialmente attiva. La differenza nel tasso di occupazione rispecchia un’attitudine verso il lavoro e una cul-tura del lavoro diversa da quella dei malaguenos. L’attività produttiva per il mercato ha un significato diverso nelle varie regioni spagnole, e sarà causa e/o effetto di alcuni dei nostri comportamenti lavorativi, come la minor mobilità geografica e la pre-

ferenza di altri obiettivi vitali e iden-tificativi dell’identità sociale. minore è il tasso di attività maggiore sarà il tasso di disoccupazione.

il tasso di occupazione andaluso ha avuto un comportamento durante la crisi che mostra le differenti risposte dei gruppi divisi per età e, presumi-bilmente, il diverso effetto che la crisi genera su età diverse. riassumendo l’evoluzione di questo tasso con rife-rimento agli anni 2005, 2007 e 2010, si registrano i seguenti valori.

GRAFICO 16. TASSO DI ATTIVITá MASChILE IN ANDALUSIA PERGRUPPI DI ETÀ

GRAFICO 17. TASSO DI ATTIVITá FEMMINILE IN ANDALUSIA PERGRUPPI DI ETÀ

BoLoGna, LiEGi, maLaGa E PariGi

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RAPPORTO A CONFRONTO NELLE CITTÀ DI BOLOGNA, LIEGI, MALAGA E PARIGI

si notano differenze (una sola volta) tra uomini (VV) e donne (mm). si osserva che tra i 16 e i 19 anni si contrae la domanda di lavoro in entrambi i sessi: per gli uomini si nota una riduzione di 10,03 punti, per le donne di 5,55. tra i 20 e i 24 anni, una riduzione della domanda di 7,94 punti per gli uomini, ma un aumento di 4,93 per le donne. se la difficoltà a trovare lavoro dis-suade dal cercarlo a quest’età, le difficoltà dovrebbero diminuire per le donne. tra i 25 e i 54 anni, il tasso di disoccupazione aumenta da 89,74 al 90,87 negli uomini e dal 59,73 al 73,34 nelle donne, probabile effetto del fatto che in questa fascia d’età lavorare non è un’opzione ma una necessità e che le donne aumentano la loro dedi-zione al nucleo familiare. il tasso di disoccupazione aumenta anche tra i maggiori di 55 anni per entrambi i sessi, passando dal 25,71 al 27,54 per gli uomini e dal 9,07 al 12,57 per le donne. Le domande di lavoro dei maggiori di 25 anni sono poco con-giunturali ma più necessarie.

Jahoda (1987) ha sviluppato il cosiddetto modello della privazione relativa che segnala le multiple dimen-

sioni/funzioni del lavoro: proporziona le entrate economiche, organizza il tempo (quotidiano e vitale), amplia le relazioni sociali, fissa obiettivi oltre gli interessi personali (rafforzando il legame sociale) e contribuisce in modo significativo a definire lo status e l’identità. in definitiva, il lavoro è il mec-canismo più comune di vincolo e identi-ficazione sociale e, conseguentemente, una sua carenza conduce una maggio-ranza di persone (che si spera lavorino) all’anonimato, al disorientamento ideo-logico., al deterioramento dell’identità e all’esclusione sociale.

La disoccupazione e l’esclusione sociale presentano una relazione com-plessa perchè come fenomeni che si producono dentro una struttura sociale si relazionano anche con altri elementi di questa struttura. di conseguenza, a un livello di disoccupazione identico possono corrispondere gradi di esclu-sione sociale diversi così come può suc-cedere che una persona senza lavoro sia perfettamente integrata. durante il secolo scorso, alcuni dati potevano dare a intendere che l’evoluzione del lavoro durante la vita potesse condurre a una perdita del suo valore e della sua fun-

zionalità. Un uomo occidentale nato nel 1900, se arrivava a compiere l’età di 75 anni, lavorava da più di cinquant’anni, pari a quasi 2/3 della sua vita e andava in pensione 15 anni prima di morire. il periodo in cui siamo attivi si è ridotto a favore di quello in cui siamo inattivi, ma non è diminuita l’importanza del lavoro per la nostra socievolezza e identità.

se ciò che è successo durante il secolo scorso ci avesse permesso di pre-vedere ciò che accadrà in futuro, il pronostico sarebbe che, rispetto al passato, gli anni in cui saremo attivi saranno meno, e quelli in cui saremo inattivi saranno di più, ma il valore del lavoro andrà a aumentare. Per fare un esempio, al calcolo fatto in precedenza della vita attiva di due uomini occi-dentali può aggiungersi il fatto che la maggioranza delle donne occidentali nate nel 1900 non lavoravano al di fuori delle mura domestiche, così come quelle nate nel 1950 e come non rinun-ceranno a farlo coloro che sono nate da allora. L’aumento dell’occupazione mondiale tra il 1999 e il 2009 è stato di 468,3 milioni di lavori, di cui 305,9 nei servizi, 133,2 nell’industria e 29,2 milioni nell’agricoltura (oit, 2011:74).

ma l’aumento continuo della spe-ranza di vita durante gli ultimi centocinquant’anni (con un ritmo di 2,5 anni ogni decade) provoca disfunzioni per il concentrare la vita attiva tra i 25 e i 65 anni, riducendo il periodo di vita attiva alla metà della vita. James Vau-pel (max Planck institute for demogra-phic research) ha proposto di lavorare meno per più anni. aggiunge che se in una coppia entrambi lavorassero venticinque ore a settimana ciascuno, otterrebbero le entrate equivalenti a cinquanta ore di lavoro complessive.

tale suggerimento, pur ragionevole, scaturisce alcune obiezioni. Una è che il lavoro pubblico degli uomini della classe media nati nel 1900 sosteneva tutta la famiglia, coniuge, figli e altri membri, oggi invece solo una mino-ranza di liberi professionisti o esecu-tivi riuscirebbe a farlo con le proprie entrate. i guadagni medi dei due lavo-ratori a metà giornata non sarebbero sufficienti per sostenere gli attuali livelli di consumo di una famiglia di tre o quattro persone, dove uno dei due è dipendente pubblico. L’altra obiezione è che il numero di single sta aumen-tando, rappresentando in alcuni paesi

BoLoGna, LiEGi, maLaGa E PariGi

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la maggioranza di giovani adulti che vivono da soli, rendendo così difficile l’attuazione di solidarietà familiari come suggerite da James Vaupel. in questo senso, i dati di Parigi sono abbastanza eloquenti.

GRAFICO 18. EVOLUzIONE DELLA GRANDEzzA DEL NUCLEO FAMILIARE A PARIGI (1968 – 2008)

il nucleo familiare composto da una coppia e dai figli rappresenta il 56% della popolazione. Convivono in fami-glia i 2/3 della popolazione di Parigi e vivono da soli il 27,3%. a Liegi la percentuale di single sale al 28,48% e convivono in famiglia i 7/10 della popolazione (Cti, Città di Liegi). Le difficoltà che i giovani incontrano per trovare lavoro sembrano avere, come a malaga, una causa indipendente dalla crisi. di fatto, tra il 1997 e il 2007 la popolazione attiva a dr Liegi (territorio che equivale approssima-tivamente alla provincia spagnola) aumentò del 5,3% mentre quella del comune mantenne la sua quantità di lavoratori attivi grazie a un leggero

recupero negli ultimi due anni di quel periodo. nel primo anno, la orga-nizzazione per la Cooperazione e lo sviluppoo Economico (oCdE) segna-lava che il tasso di disoccupazione1 dei giovani maschi di 18 anni, che in Belgio era del 70,5% (posizione 1), in francia era del 34,2% (posizione 7), in italia del 43,4% (posizione 5) e in spagna del 51,2% (posizione 3).-1 il tasso di disoccupazione si definisce come la

relazione per quoziente tra la somma di coloro

che sono disoccupati (U) e coloro che non lavo-

rano, né studiano, né sono disoccupati (n), e i

precedenti più gli occupati (E), U+n/U+n+E.

TABELLA 23. MORPhOLOGIE DES FOYERS PARISIENS EN 2008

-fonte: Elaborazione propria su dati insEE.

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Questo tasso ci informa immediata-mente che la media della popolazione del gruppo corrispondente non lavora sia perchè non cerca lavoro sia per-chè non lo trova. La relazione con la propensione allo studio è evidente, quanto più i giovani vogliono formarsi, maggiore sarà la percentuale. risulta però significativo che questa propen-sione compaia più come formula per ritardare l’inserimento professionale che come un desiderio formativo.

Un’altra obiezione alla proposta di James Vaupel e, considerato l’aumento del tasso d’occupazione come soluzione magistrale per l’integrazione sociale, sarebbe la difficoltà di ripartire alcuni lavori, e più precisamente, que-lli che producono maggior ricchezza. Comunque lo si faccia, la ripartizione del lavoro porterebbe necessaria-mente a un aumento della ripartizione anche della ricchezza, dalle attività più produttive e meno divisibili e viceversa, senza cui la prima non esisterebbe. ovviamente, più attività produttive si hanno e più produttive queste sono, più facile sarà la ripartizione. se non si genera ricchezza, ripartire il lavoro sig-nifica ripartire la povertà.

La francia, un paese con maggior tra-dizione industriale e all’avanguardia, presenta un tasso di disoccupazione giovanile inferiore a quello belga, spag-nolo e italiano (e anche statunitense). se ampliamo il gruppo di giovani osservato tra i 18 e i 24 anni, i risultati mettono in dubbio l’utilità di prolungare l’istruzione formale laddove c’è un tasso di disoc-cupazione molto alto: negli stati Uniti il tasso di disoccupazione per i giovani tra i 18 e i 24 anni era nel 1998 del 14,6%, in spagna del 44,7%, percentuale più vicina a quella delle antille olandesi (47%). d’altra parte, il Belgio, nonostante la sua superficie ridotta, è il paese dell’UE che presenta una maggiore variazione regionale nel tasso di disoccupazione: il suo indice di dispersione è del 52,5 (superiore a quello globale dell’Unione Europea, del 50,8, della francia del 31,9, dell’italia del 41,3 e della spagna del 26,5).

se giuridicamente il lavoro è volonta-rio, socialmente è una necessità. Con la modernità, la volontarierà del lavoro rende il lavoratore responsabile del suo destino, mentre si sviluppano meccanismi di integrazione sociale diversi dal vincolo forzato (come i

servizi pubblici, per esempio, e la ricompensa economica sufficiente) e se ne mantengono altri (soprattutto la solidarietà familiare). Così, mentre il lavoro diventa volontario, si rende allo stesso tempo più necessario (aumentano e si rafforzano le sue fun-zioni). i vincoli con il padrone, lo sposo o il padre, potevano essere indipen-denti dall’attività produttiva ma erano sempre obbligatori; il lavoro di oggi è volontario, ma senza di esso i vincoli sociali sono più difficili e l’anonimato e l’esclusione aumentano.

oggi, i meccanismi che combattono l’esclusione sociale obbligano i poteri pubblici e implicano specialmente la famiglia. Può considerarsi obiettiva-mente povera 1/5 della popolazione spagnola (in quanto le entrate sono pari a ? della rendita pro capite), ma i suoi legami e le sue risorse sociali facilitano la sua partecipazione e evi-tano la sua esclusione (le donne più anziane sole possono essere un buon esempio: sono oggettivamente povere ma le loro relazioni familiari e i servizi pubblici, diminuiscono l’esclusione). La persona disoccupata, ma appar-tenente a una famiglia di persone

che lavorano, può contare sul totale supporto e evitare così l’esclusione sociale (come i giovani che prolungano gli studi per mancanza di opportunità lavorative grazie all’aiuto dei genitori) ma quella disoccupata da lungo tempo con responsabilità economiche che non può affrontare o i giovani che ane-lano un progetto di vita indipendente e non possono realizzarlo perchè sono disoccupati e, in definitiva, tutti coloro che hanno bisogno di lavorare per i loro progetti vitali e non lo trovano, si sentono esclusi e lo diventano. di con-seguenza, l’intensità dell’esclusione sociale aumenta tra le categorie con meno rischio (per esempio, un disoc-cupato da lungo tempo, di mezza età e con responsabilità familiari) ma è meno frequente.

Le categorie prese in esame non sono particolari perchè la loro esclu-sione sociale sia più grave ma per la maggiore probabilità che si presenti nell’insieme dell’Unione Europea (non tanto nelle sue regioni), dovuta all’importanza del lavoro e alle sue ricompense e ai consegeunti effetti che la carenza di lavoro provoca. non è detto poi che povertà e esclusione

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sociale coincidano necessariamente, la popolazione disoccupata è più esposta all’esclusione sociale, ma i maggiori livelli di povertà in spagna non si trovano fra i disoccupati ma fra gli infanti e gli anziani, entrambe categorie inattive che, per defini-zione, non possono essere disoccu-pate. di fatto, Eurostat differenzia tra rischio di povertà e rischio di povertà e esclusione sociale, sottolinenando che quest’ultima può colpire coloro che si trovano in situazioni o rischio di povertà e/o appartengono a nuclei familiari con bassa intensità di lavoro e/o vivono in situazioni di grave pri-vazione materiale (income, social inclusion and living conditions, 2009), riconoscendo esplicitamente (e/o) che nessuna delle carenze segnalate rap-presenta la condizione necessaria ma può essere sufficiente.

Lo stesso giorno della pubblica-zione della strategia spagnola per l’occupazione (Estrategia Española de Empleo) 2012-2014 (28 ottobre 2011) sono stati pubblicati anche i dati dell’ultimo sondaggio sulla Popola-zione attiva in spagna (EPa): la disoc-cupazione era aumentata durante il

terzo trimestre dell’anno, totalizzando cinque milioni di disoccupati e 1,4 milioni di nuclei familiari dove nessuno dei componenti lavorava (più di quattro milioni di persone). i beneficiari delle indennità di disoccupazione diminuis-cono, più di un milione di disoccupati non ha ricevuto alcuna indennità alla fine del 2010, pari a un 13,5% in più rispetto all’anno precedente. Questa riduzione non si deve all’indurimento delle condizioni per ricevere le inden-nità ma alla stasi del mercato del lavoro che, non producendo posti di lavoro sufficienti, porta all’esaurimento della durata dell’indennità prima che i disoc-cupati trovino un nuovo posto di lavoro. a Liegi (23/03/2011), susana Catalán ha domandato ai suoi colleghi belga quanto duri l’indennità di disoccupa-zione e marysse servais ha risposto: “tutta la vita”. i tassi di disoccupazione in andalusia e a malaga sono molto diversi da quelli europei, così come le circostanze. Essendo diversi i tassi, le cause e le conseguenze della disoccu-pazione, il protocollo per evitare le une o le altre deve adattarsi al caso speci-fico.

Le percentuali precedentemente mos-trate giustificano i commenti sul tema della disoccupazione a Liegi: “Esistono dispositivi diretti a persone che hanno difficoltà, come i giovani e i maggiori di 45 anni. i giovani hanno il problema della scarsa esperienza e i maggiori di 45 anni, quando perdono il lavoro, hanno il problema che la loro espe-rienza non è aggiornata. in generale,

le persone tra i 25 e i 45 anni lavorano e quando perdono il lavoro ne trovano un altro facilmente” (marysse servais, Liegi, 23/03/2011).

i dati di Parigi giustificano allo stesso modo un’attenzione particolare verso i giovani, il cui tasso di disoccupazione per fasce d’età nel 2008 si riassume nel seguente grafico.

TABELLA 24. PERCENTUALE DI DISOCCUPAzIONE GIOVANILE E ADULTA NELLE REGIONI

-fonte: Elaborazione propria su dati Eurostat

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GRAFICO 19. TASSI DI DISOCCUPAzIONE PER ETÀ A PARIGI NEL 2008

-fonte: insEE

Nel 2011, nel comune di Malaga, i gio-vani di 16-29 anni non rappresentano neanche 1/5 della popolazione e tota-lizzano il 22,69% dei disoccupati; que-lli di età compresa fra i 30 e i 44 anni (1/4 della popolazione), il 39,19%; i maggiori di 45 (1/4 della popolazione), il 38,12% (Osservatorio Argos: media del 2011). due di queste fasce d’età, i giovani e i maggiori di 45 anni, sono specialmente colpite dalla disoccupa-zione nell’Unione Europea, ma il gruppo 30-44 anni non si trova in condizioni migliori nella città di malaga e provin-cia. Le differenze con l’Europa sareb-

bero maggiori se invece di raggruppare i giovani 16-29 anni, i gruppi fossero 16-24, 25-44 e maggiori di 45, visto che i tassi di disoccupazione di questi gruppi nella provincia di malaga nel gennaio 2011 sono stati i seguenti: 16-24 anni, 10,16%; 25-44 anni, 54,74%; maggiori di 45, 35,10%. L’aumento della disoc-cupazione del gruppo 25-44 anni, che partiva da un maggior livello di disoc-cupazione nel 2007, è stato maggiore di quello osservato nelle altre fasce d’età.

GRAFICO 20

TABELLA 25

-fonte: Elaborazione propria su dati dell’osservatorio argos.

Le cifre non segnalano una maggiore gravità della disoccupazione nelle età considerate più vulnerabili, nè in valore assoluto nè in valore relativo. Le per-

centuali di disoccupati rispetto al totale della popolazione per gruppi d’età per la città di malaga nel 2011 sono mostrate di seguito.

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GRAFICO 21. DISOCCUPAzIONE REGISTRATA NELLA CITTÀ DI MALAGA DAL 2008 AL 2011 PER GRUPPI D’ETÀ

-fuente: insEE, rP2008 exploitation principale.

GRAFICO 22. DISOCCUPAzIONE NELLA PROVINCIA DI MALAGA (ESCLUSA LA CAPITALE) DAL 2008 AL 2011 PER GRUPPI D’ETÀ

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Comunque si presentino, i dati del comune e della provincia non eviden-ziano una maggiore disoccupazione in un gruppo piuttosto che in un altro. siccome molti di questi gruppi sono carenti di responsabilità familiari, i giovani potrebbero considerarsi i meno vulnerabili all’esclusione, ma la situazione ostacola i loro naturali desideri di emancipazione. in defini-tiva, il problema colpisce tute le fasce d’età senza particolari differenze in termini di quantità. scovare le diffe-renze tra i gruppi aiuta a migliorare, nella misura in cui possono farlo le politiche di inserimento professio-nale e di spinta all’occupazione, le rispettive occupabilità all’interno di margini di attività definiti.

nella seguente tabella si mostrano e si confrontano la disoccupazione locale e quella provinciale del 2008. La colonna destra mostra la disoccu-pazione nella capitale (mc) e il resto della provincia (rp).

TABELLA 26. DISTRIBUzIONE PERCENTUALE PER GRUPPI D’ETÀ DELLA DISOCCUPAzIONE A MALAGA

-onte: Elaborazione propria su dati argos.

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GRAFICO 23. DISTRIBUzIONE PERCENTUALE PER GRUPPI DI ETÀ DELLA DISOCCUPAzIONE A MALAGA, 2008 (MEDIA ANNUALE)

GRAFICO 24. POPOLAzIONE PERCENTUALE PER GRUPPI DI ETÀ DELLA DISOCCUPAzIONE A MALAGA, 2009 (MEDIA ANNUALE)

GRAFICO 25. POPOLAzIONE PERCENTUALE PER GRUPPI DI ETÀ DELLA DISOCCUPAzIONE A MALAGA, 2010 (MEDIA ANNUALE)

GRAFICO 26. DISTRIBUzIONE PERCENTUALE PER GRUPPI DI ETÀ DELLA DISOCCUPAzIONE A MALAGA, 2011 (MEDIA ANNUALE)

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Le circostanze spagnole sono eccezionali: è vero che in spagna la disoccupazione è maggiore tra i gio-vani e gli stranieri, ma bisogna anche sottolineare che il fattore di rischio per cui sono state scelte si genera-lizza nella situazione attuale e spe-cialmente in quella dell’andalusia e di malaga. i maggiori di 45 anni hanno in comune il fatto di aver compiuto 45 anni e i maggiori di 45 anni disoc-cupati hanno in comune il fatto di avere 45 anni ed essere disoccupati, ma ques’ultima circostanza smette di essere caratteristica del gruppo quando viene condivisa da 1/5 della popolazione nazionale e dal 28% di quella regionale.

indipendentemenete dalla motiva-zione socio-economica, che in spagna, andalusia e malaga è molto debole, i gruppi divisi per età hanno una moti-vazione obiettivabasata sulla legisla-zione. in spagna, la Legge 35/2010, conseguente al decreto Legge reale 10/2010 del 16 giugno, contenente misure urgenti per la riforma del mercato del lavoro, identificava come gruppi suscettibili di contrattualizza-

zione bonificata i maggiori di 45 anni disoccupati da lungo tempo e i giovani con età compresa fra i 16 e i 30 anni. Le categorie beneficiarie devono essere definite in base alle rispettive circostanze e non convenzionalmente o per valori medi di cento milioni di persone su milioni di chilometri. Le nazioni Unite considerano giovani le persone di età compresa fra i 15 e i 24 anni mentre nella maggioranze dei paesi europei sono giovani quelli fra i 16 e i 24. Per convenzione però, entrambe le definizioni sono artifi-ciali e poco operative. in italia, le poli-tiche per l’occupazione differenziano fra i giovani del nord (14-29 anni) e del sud (14-32 anni), con attenzione ai diversi gradi di disoccupazione a livello regionale. La categoria dei maggiori di 45 anni, con l’aumento dell’età pensionabile in spagna dai 65 ai 67 anni, che comprende ventidue anni, risulta eccessivamente ampia e l’attenzione si comincia a concentrare su nuove (sub)categorie: dai 45 ai 54 anni e dai 55 anni in poi. in definitiva, queste categorie sono obiettive ma non sono universali poichè dipendono dalla cultura e dalle circostanze locali

e regionali, come la disoccupazione e l’età pensionabile. dovrebbero infatti essere proprio le circostanze locali e regionali quelle che definiscono le politiche e, di conseguenza, le catego-rie. non deve essere la categoria (età o nazionalità) a definire le circostanze (la disoccupazione) ma le circostanze (28% della disoccupazione) a definire le categorie: i disoccupati di tutte le categorie.

In una situzione di universalizza-zione del rischio, la variabile età nè in Andalusia nè a Malaga ha lo stesso significato rispetto a tutto l’insieme europeo, dove la disoccupazione giovanile media è doppia rispetto a quella dell’intera popolazione. Ciò non vuol dire che la Spagna non ha una problema condiviso dal resto d’Europa, ma che il suo pro-blema spagnolo assume dimensioni diverse. Certamente, la disoccupa-zione giovanile (minori di 25 anni) nella UE-27 è preoccupante, visto che tra il 2007 e il 2010 è aumentata dal 15,6% al 20,9%, ma la Spagna partiva da un 18,2% nel 2007 e ha raggiunto il 41,6% nel 2010. Nello

stesso periodo, il tasso di disoccu-pazione generale spagnolo è pas-sato dal 8,3% (media annuale del 2007) al 20,1% (media annuale del 2010). Il tasso di disoccupazione giovanile si è moltiplicato per 2,28 e il tasso di disoccupazione generale per 2,42. Non esiste un problema tra i giovani o tra gli adulti, c’è un pro-blema di tutti e per tutti. Il peggiora-mento dell’occupazione è stato mag-giore tra la popolazione straniera residente in Spagna, registrando un incremento superiore a quello della popolazione totale, tanto che nello stesso periodo è passata dal 11,4% (media annuale del 2007), pari a 3,1 punti sopra il tasso generale, al 30,4% (media annuale del 2010), pari a 10,3 punti. La disoccupazione per fasce d’età rappresenta una situazione parti-colare all’interno di una situazione generale comune. tra i 30 e i 45 anni il margine è di 15 anni di vita, durante i quali si conferma, dando senso alla categorizzazione precedente, che il problema della disoccupazione è minore, che le persone comprese in

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questa categoria possono contare su più risorse per accedere al mondo del lavoro e sviluppare un’attività produt-tiva e che il loro rischio di esclusione sociale è minore. ma se parliamo di quindici anni, analizziamo circa un terzo della vita potenzialmente attiva, in cui le probabilità di essere occu-pato, e non il contrario, sono mag-giori. se il problema della disoccupa-zione è minore di 1/3 e maggiore di 2/3 della vita attiva delle persone, il problema o la minaccia di disoccu-pazione è maggiore durante l’intero periodo di vita attiva della persona. Quindi essere o non essere disoccu-pato in quel preciso momento, e non in generale. La disoccupazione nella regione è uno stato che si acquisisce e si perde più volte durante la vita attiva. di fatto, l’andalusia si trova in cima alle regioni europee continen-tali per i suoi tassi di disoccupazione, eccetto per quello relativo alla disoc-cupazione di lunga durata. La disoc-cupazione di massa spagnola non è un problema che colpisce special-mente determinate età, ma è un pro-blema che colpisce specialmente gli spagnoli. su cinque milioni di disoccu-

pati non è necessario dire, utilizzando un’espressione medica, che ci sono più malati che malattie. Utilizzando invece un’espressione più sociolo-gica, l’universalizzazione del rischio lo trasforma in strutturale e proprio la sua caratteristica strutturale è ciò che generalizza il rischio. La società malaguense, quella andalusa e quella spagnola hanno un problema struttu-rale della disoccupazione.

affrontare il problema della disoc-cupazione tramite la divisione della popolazione disoccupata per fasce età può giustificarsi per motivi teorici e pragmatici. secondo i primi, sia la disoccupazione giovanile che quella fra i maggiori di 45 anni si spieghe-rebbe per cause diverse. secondo motivi pragmatici invece, tale disoc-cupazione si combatterebbe con misure diverse. in medicina si add-cuono entrambi i tipi di motivi quando si citano le popolazioni con maggior rischio di contagio e si consiglia il vac-cino: il virus è lo stesso, ma l’incidenza è diversa secondo le caratteristiche della popolazione. L’esperienza e la logica però obbligano a stabilire delle

differenze tra i due casi in quanto, se è vero che la malattia può essere com-battuta in ciascun individuo, quando un problema sociale si generalizza fino all’estremo (come quello della disoccupazione in andalusia), le tera-pie applicate esclusivamente ai disoc-cupati offrono risultati limitati perchè, in definitiva, questi sono solo parte del problema. non si deve dimenticare questa condizione strutturale che rende universale il rischio e riduce l’esperienza lavorativa nel periodo di vita potenzialmente produttivo, che

segnala l’età e l’atteggiamento dei disoccupati ma anche le imprese, l’imprenditore, l’amministrazione, la banca, il sistema educativo e i valori, la struttura sociale.

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alla fine del 2011, il tasso provin-ciale di disoccupazione di malaga (31,63) è talmente diverso da quello di Bologna (5,7), Liegi (11,5) e Parigi (8,9) che l’importazione di buone pratiche realizzate in queste città risulta certa ma insufficiente. Le pra-tiche possono essere importate ma, così come l’acqua è più importante dell’istruzione e l’ingegneria navale per la pratica di sport nautici, è neces-sario creare posti di lavoro tramite nuove imprese e una cultura produt-tiva.

secondo quanto riportato da Euros-tat, nel 2011 l’andalusia si colloca al primo posto dell’Europa continentale (UE-27) per tasso di disoccupazione totale (28%), disoccupazione femmi-nile (29,4%) e giovanile (49,9%). in spagna ci hanno superato le Cana-rie, Ceuta e melilla, mentre nei paesi UE-27, oltre a quelle precedente-mente citate, reunión, martinica e Guadalupe (francesi di oltremare).

La disoccupazione spagnola, anda-lusa e malaguense, è la conseguenza di cause strutturali che si sono accentuate a causa della crisi inter-

nazionale. Per prevenire e combat-tere tale fenomeno sono necessarie delle modifiche strutturali a livello nazionale, regionale e locale. La EPa informa che il 48% dei disoccupati andalusi sta cercando lavoro da più di un anno. Le difficoltà per dispo-rre di risorse finanziarie adeguate, la carenza di una cultura imprendi-toriale, i bassi livelli formativi e la debole rete di appoggio, si vanno a sommare a una realtà indipendente dall’occupabilità del lavoratore: la generale mancanza di domanda di manodopera, qualificata o meno.

il PiL della provincia aumentò del 32% tra il 2000 e il 2007, ma nel 2008 tale aumento fu solo del 1,5%, nel 2009 registrò un calo del 4,1% (-4,1), essendo la provincia andaluza più colpita dalla crisi, e un ulteriore 0,5% nel 2010 (-0,5), che coincise anche con un anno turistico pessimo. malaga è la quinta provincia spag-nola per creazione di società com-merciali, dietro a madrid, Barcellona, Valencia e alicante, e la prima fra le province andaluse. L’attività impren-ditoriale però è stata fortemente col-pita dalla crisi e le società commer-

ConCLUsionEs Y rEComEndaCionEs

07CONCLUSIONI E RACCOMANDAzIONI

ciali si ridussero da 3.681 nel 2009 a 3.574 nel 2010. nello stesso anno, a Parigi (2,2 milioni di abitanti) furono create 51.799 imprese (insEE). Con 68,5 imprese per ogni mille abitanti, la provincia supera la media anda-lusa (59,6/1000) e si avvicina a quella spagnola (70/1000).

nel suo rapporto socio-economico 2010-2011, La Confederazione di imprenditori di malaga segnala due ostacoli caratteristici dell’economia spagnola alla costituzione d’imprese: il finanziamento e le pratiche ammi-nistrative. il primo spiegherebbe il perchè il 52% delle imprese mala-guensi chiudano prima di cinque anni. secondo uno studio della Banca mon-diale che confronta 183 economie, le difficoltà burocratiche collocano la spagna al 144° posto per la sempli-cità di apertura di un’attività. La media nei paesi del oCdE è di 5,6 pratiche amministrative in 13,8 giorni mentre in spagna si parla di 10 pratiche in 47 giorni.

il lavoro informativo e formativo dei servizi per l’impiego devono essere migliorati perchè un’alta percentuale

di disoccupati ignora le offerte di lavoro disponibili, e le relative vie di divulgazione, e anche perchè questi disoccupati hanno un livello forma-tivo basso o molto basso. i programmi per l’occupazione comprendono un insieme di misure dirette a miglio-rare l’occupabilità dei disoccupati: i programmi di formazione-impiego, la diretta assunzione da parte dei comuni e degli enti senza scopo di lucro, la spinta verso l’auto-occu-pazione, l’inserimento professio-nale delle persone con invalidità o l’orientamento professionale, raffor-zato anche dalla Legge 35/2010, che prolunga fino al 2012 i contratti di 1.500 consulenti per la rete delle agenzie interinali (approvato dal Con-siglio dei ministri il 18 aprile 2008 e prorogato un anno dopo fino al 2011), a cui si sommeranno dal 2010 altri 1.500 nuovi consulenti/promotori.

insieme a condizioni modificabili che migliorano l’occupabilità della per-sona, in generale tutte quelle che si possono apprendere, ce ne sono altre che difficilemente si imparano fuori corso, attraverso un’istruzione for-male o meno, perchè devono essere

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legate al ciclo vitale della persona, come: essere troppo giovani o troppo poco per il posto di lavoro, avere o meno responsabilità familiari, il costo di acquisire nuove conoscenze a partire da una certa età, colmare le lacune formative o civiche di una generazione, ecc. L’effetto della for-mazione professionale risulta difficile in tutte queste condizioni poichè, in definitiva, queste sono il registro indi-viduale di un processo di socializza-zione più ampio dell’inserimento pro-fessionale. se definiamo l’occupabilità come un insieme di atteggiamenti e attitudini positivi per l’attività pro-duttiva e necessari per mantenere la crescita della produzione, non si deve dimenticare l’ovvia relazione che tanto gli atteggiamenti quanto le attitudini hanno con il momento vitale degli individui che, oltre ad essere imprenditori, professionisti, lavora-tori, studenti ecc., sono prima di tutto organismi biologici. Come non pos-siamo sperare che donne di 60 anni rimangano incinta (atteggiamento) e si curino dei propri figli fino al loro 25° compleanno (attitudine?) non possiamo certo sperare in una totale elasticità e capacità di adattamento

dei lavoratori. anche l’elasticità ha i propri limiti, come ha evidenziato la teoria economica del capitale umano: se maggiore è il flusso di entrate spe-rate (derivate dal lavoro), maggiori sono le probabilità che il valore attua-lizzato dell’investimento (in forma-zione) sia positivo, e maggiore è l’età del lavoratore, meno attraente sarà l’investimento in formazione aggiun-tiva. in altre parole, l’attitudine verso il lavoro dipende dall’età per cause socio-economiche e naturali.

Le difficoltà nel migliorare l’occupabilità sono maggiori di que-lle precedentemente citate poichè i fenomeni e i concetti sociologici sono relazionali e le probabilità di essere occupato non derivano solamente dalle qualità del lavoratore, ma anche da quelle dei datori di lavoro, dai loro interessi, dai loro pregiudizi e da altri elementi della struttura produttiva. a una logica di rendibilità imprendi-toriale può corrispondere una pre-ferenza nell’assumere uomini (che raramente chiedono congedo per paternità) o donne (più docili e meno pagate) ma non una logica econo-mica senza pregiudizio che esclude

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determinate categorie come succede per alcune nazionalità o etnie. si può richiedere al lavoratore di adattarsi alle nuove esigenze produttive per essere più occupabile o più produt-tivo, ma non certo che cambi sesso, colore, nazionalità o credo.

il campo per migliorare l’occupabilità dei disoccupati è tanto grande quanto lo sono i suoi limiti. secondo i dati provvisori del servizio Pubblico per l’impiego statale (sEPE), durante il 2010 ci sono state in spagna 240.589 lavoratori che hanno ricevuto for-mazione secondo quanto previsto dalle attuazioni delle PaE (qualcosa in meno rispetto al 2009), di cui il 49% donne. sul totale (arrotondato), il 62% aveva tra i 25 e i 45 anni, il 20% meno di 25 e il 18% più di 45. tra quest’ultimi si riscontra una diversa attitudine verso la formazione, indi-pendentemente dalle esperienze formative in loro possesso. il campo per migliorare l’occupabilità è molto grande se si considera che il 51% delle persone che hanno ricevuto la formazione avevano un livello di qua-lifica basso o molto basso. Per gruppi d’età, i maggiori di 45 anni sono que-

lli che incontrano maggiori difficoltà di inserimento professionale, con un tasso del 45,7%, seguiti dai minori di 25, con un tasso del 60% (Consiglio Economico e sociale: 2011).

La stessa formazione rende occu-pabili in maniera diseguale persone diverse. L’attenzione personalizzata e il monitoraggio secondo le neces-sità individuali offrono migliori risul-tati di inserimento professionale di qualsiasi altro programma. i migliori risultati di questa formazione non solo sono in fiunzione dell’età delle persone formate, come si era visto in precedenza ma anche, e in maniera più evidente, del loro livello formativo precedente, e il tasso di inserimento tra le persone senza alcuna istruzione risulta minore di qualsiasi altra cate-goria osservata (43,91% nel 2009 e 49,24% nel 2010, secondo il Consiglio Economico sociale). di conseguenza, il miglioramento dell’occupabilità delle persone produce migliori migliori quando si sommano conos-cenze specifiche e complementari a quelle precedentemente acquisite, ma peggiora quando si vanno a som-mare su livelli cognitivi bassi o molto

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bassi, che hanno un deficit di compe-tenze di base. il miglioramento delle conoscenze di base è la condizione basilare per una formazione profes-sionale specifica efficace.

Le PaE devono ridisegnarsi in fun-zione delle circostanze locali e regio-nali affinchè siano effettive. in italia, le età della categoria dei giovani variano tra il nord e il sud, a seconda dei diversi livelli di disoccupazione regio-nali. i risultati di una politica possono essere valutati da un’autorità cen-trale, nazionale o sovranazionale ma i progetti devono essere regionali e locali affinchè la disoccupazione e l’esclusione sociale abbiano cause e forme distinte nei diversi territori. in Belgio, sylvana flagothier informò la delegazione di malaga che i ser-vizi sono regionalizzati e i comuni svolgono un ruolo molto limitato ma aggiunse anche che l’organismo fede-rale analizza la situazione di città in città. Belgio e spagna non figurano invece nè per superficie nè per popo-lazione nè per tasso di disoccupazione e nemmeno per cultura del lavoro.

Joaquín artacho (Capo del diparti-

mento di formazione e dell’impiego del imfE) espose alla riunione di Liegi una di queste differenze: “nor-malmente tutti coloro che vogliono porre una domanda di qualunque tipo si rivolgono alle amministrazioni delle città”. insieme ai principi che ispirano la localizzazione della ges-tione: “L’Unione Europea stabilisce in merito a tutte quelle che sono le sue politiche di occupazione e anche su alcune determinate competenze a livello nazionale o regionale, ma l’implementazione delle attuazioni si fa sempre a livello locale. Le ammi-nistrazioni locali capiscono che sia necessaria la creazione di nuove strutture per dare risposte ai loro cittadini sui temi della formazione e dell’impiego, per cui i comuni utiliz-zano fondi propri sia per iniziative indipendenti sia per quelle realizzate con governi regionali e nazionali, con le istituzioni europee e con società private locali” (Lieja, 23/03/2011).

nell’area metropolitana di Parigi, la Confederazione Generale dei titolari di Piccole e medie imprese partecipa attraverso un “contratto di apprendis-tato” e collaborando con il Comune di

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Parigi in un progetto che vuole inse-rire i disoccupati (giovani e maggiori di 45 anni) nella gestione delle piccole e medie imprese a rischio di chiusura (a causa di difficoltà economiche o per pensionamento dell’imprenditore). il territorio di attuazione è il distretto.

in italia le competenze che prima spettavano al ministero del Lavoro furono trasferite alla provincia nel 2000. Le norme nazionali permettono un margine di attuazione regionale che in Emilia romagna, la regione dove si trova Bologna, si dirigono alle persone che cercano lavoro e alle imprese. Come spiega maria Lena Bigoni, responsabile del Centro per l’impiego di Bologna (CiP), i risultati della sua gestione mediatrice sono circa un 15-20% degli utenti inseriti esclusivamente nel settore privato. nel 20l0, il CiP, che conta un perso-nale di 150 lavorarori, realizzò 2.010 interventi a persona e 26.374 inoltro di documenti.

La spesa complessiva per le politi-che per l’occupazione (PaE) è stata nel 2010 di 38.370,6 milioni di euro (3,6% del PiL), di cui 30.649,6 milioni

(pari al 79,88% ) sono stati destinati a interventi per la disoccupazione. Queste prestazioni sono raddoppiate nel 2007 (15.099 milioni), passando dal 1,4 al 2,9 per 100 del PiL. La spesa spagnola per il PaE è del 20,12% della spesa totale delle politiche di occu-pazione, rispetto alla media europea dei paesi UE-27 del 40,2% e al 67,5% della svizzera. se si misura la spesa in politiche per l’occupazione per punto del tasso di disoccupazione, i quozienti di spagna(0,223) e svizzera (0,222) sono praticamente identici. tale spesa in spagna è relativamente alta ma si dirige comprensibilmente a evitare l’affondamento sociale piuttosto che a migliorare la crescita economicae2.

-2 nonostante le difficoltà congiunturali o derivate,

a febbraio 2011 il Governo spagnolo e le organiz-

zazioni sindacali e impresariali più rappresenta-

tive firmarono un accordo sociale e Economico

per la crescita, l’occupazione e la garanzia delle

pensioni (asE) secondo cui sono stati approvati

due decreti Legge reali relazionati alle politiche

attive e altre misure per l’occupazione, testi su

cui le organizzazioni impresariali hanno mani-

festato le loro discrepanze una volta pubblicati.

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Cosa si sta combattendo, la disoccu-pazione o l’esclusione sociale? Qua-lunque sia il fenomeno da prevenire o sconfiggere, si useranno mezzi diversi. se si vuole ridurre o evitare la disoc-cupazione, i destinatari delle politiche devono essere persone che cercano lavoro e si dovrà collaborare perlo-più con agenti economici; se invece si vuole ridurre o evitare l’esclusione sociale, i destinatari possono essere le unità familiari e si potrà collaborare anche con la società nel suo insieme. Per evitare o ridurre la disoccupa-zione di massa, si deve creare occupa-zione mentre per evitare l’esclusione sociale si deve garantire un reddito minimo a chi è carente di mezzi propri. La società spagnola è in Europa que-lla dove la famiglia ha varie funzioni: dove l’emancipazione dei figli è più tarda, quasi tre quarti della popola-zione vive ancora in casa dei genitori e dove la famiglia media è composta da tre persone. Queste condizioni, causa o effetto, fanno si che la famiglia eser-citi più facilmente funzioni di appoggio per evitare l’esclusione sociale dei disoccupati, giovani o meno giovani. a Parigi, il 27,32% della popolazione vive sola, il 66,5% in nuclei di due o più per-

sone. a Liegi invece vive sola (isolés) il 53,95% della popolazione, il 24,4% convive con due persone mentre il 21,65% convive con tre o più persone. La grandezza media del nucleo fami-liare è di 1,9 persone a Parigi e Liegi, e di1,86 a Bologna.

La famiglia e i nuclei familiari sono cruciali per la comprensione del diverso grado di esclusione sociale che risulta da uno stesso livello di disoccupazione. Così, per esempio, se dicessimo che in spagna e in Bel-gio ci sono 1.500.000 nuclei familiari dove non lavora nessuno dei suoi componenti, lo diremmo di 1.500.000 persone più in spagna che in Belgio. ma se invece di moltiplicare i nuclei per persona, dividessimo il numero di persone per i nuclei, si osserverebbe una riduzione del fenomeno, visto poi che un milione e mezzo di persone sono un 50% in più di nuclei belga che spagnoli. a pari numero di disoccu-pati, belga e spagnoli, corrispondere-bbe una media di esclusione sociale diversa. L’età e la nazionalità prese in esame sono di due tipi. La familia ha agito come “materasso” (colchon) della disoccupazione spagnola, grazie

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al suo sostegno e alla sua grandezza, e via via che il numero dei suoi mem-bri aumenta, aumentano anche le pro-babilità che qualcuno lavori. Questo materasso risulta insufficiente però per sopportare la pressione attuale della disoccupazione.

Le misure che sono state prese a Bologna e Parigi per sostenere le imprese sono esemplari e hanno dato buoni risultati in entrambe le città. durante gli anni prima della crisi, si erano costituite numerose PYmE che erano aumentate grazie alla domanda da parte delle amministrazioni pub-bliche ma adesso la morosità mette molte di loro a rischio d’estinzione. L’associazione spagnola degli impa-gati nell’Edilizia (aepic) e la federa-zione nazionale dei Lavoratori auto-nomi (ata) hanno segnalato che i comuni devono alle piccole e medie imprese con cui collaborano più di 34.000 milioni di euro. al 1 gennaio 2009 il debito dei comuni con le PYmE raggiungeva i 26.128 milioni di euro ed è continuato a salire. Le amminis-trazioni pubbliche spagnole pagano in media a 158 giorni, rispetto ai 67 della media europea. dei 34.000 milioni che

le amministrazioni pubbliche dove-vano alla fine del 2010, un 35% spetta a lavoratori autonomi e imprese, per un totale di circa 12.000 milioni. som-mato alla morosità dei privati, questo ritardo nei pagamenti colpisce un 64% degli autonomi e potrebbe comportare una chiusura dell’attività per 100.000 di loro nel 2011 (federazione nazio-nale delle associazioni di Lavoratori autonomi, ata).

il dibattito sull’eccessiva formazione è inficiato dall’abuso dell’espressione “sovraqualificazione”. La formazione è da considerarsi eccessiva solo in relazione al lavoro realizzato ed è ovvio che per lavorare come came-riere, barista o operaio, risulta ecces-siva qualsiasi formazione. non è da escludere che in un paese, regione o provincia dove il settore alberghiero e quello dell’edilizia pesano tanto nel PiL, la rispettiva notevole popolazione universitaria rappresenti una spesa eccessiva e inutile per coprire l’offerta di lavoro. altrettanto sbagliato è conti-nuare a sostenere che una maggiore formazione dei lavoratori, il continuo segnalamento di offerte di lavoro scoperte (sempre in numero ridotto)

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e delle lauree con facile inserimento professionale siano soluzioni al feno-meno di disoccupazione di massa. Per assurdo, non ci sono sacerdoti disoccupati ma certo non sarà possi-bile ridurre la disoccupazione molti-plicando esponenzialmente il numero degli ordini sacerdotali. tra settembre 2008 e settembre 2011 si sono persi 78.400 posti di lavoro nella provin-cia di malaga, perdite dovute non alla scarsa formazione e che non sono rimediabili con una maggiore forma-zione dei disoccupati. Bisogna invece agire sul tessuto produttivo, che si sta disintegrando, e su quello formativo, che risulta inappropriato.

i sistemi dualistici di formazione (coo-perazione tra il sistema formativo e quello produttivo per la formazione professionale) hanno ottenuto risultati molto buoni laddove sono stati appli-cati, come in Germania e in austria, due paesi dove la disoccupazione gio-vanile è minore. La stretta collabora-zione tra lavoro e formazione facilita l’inserimento lavorativo dei giovani. sarebbe difficile importare un sistema come quello tedesco caratterizzato da una forte determinazione giovanile

(dai 15 anni circa) sul futuro lavora-tivo, resa possibile grazie anche a un tessuto produttivo intenso e esteso, e da un’attitudine generale di accettare il lavoro in cambio di una modesta ricompensa iniziale e col beneficio di una maggiore ricompensa in futuro, atteggiamento invece poco comune nella società andalusa. Comunque la si voglia applicare, l’idea di formare attraverso l’attività lavorativa e quella accademica ha reso possibile che in spagna ci siano degli ottimi medici, e quindi potrebbe facilitare la presenza di lavoratori specializzati e una nuova cultura professionale e formativa.

olanda e austria, con un made in dei propri prodotti e una notorietà inter-nazionale minore di quella tedesca, hanno otto regioni ciascuna con tassi di disoccupazione inferiori al 4,8% (aus-tria, con un totale di nove regioni). La relazione tra la formazione e il lavoro è la chiave di questi risultati. due generazioni indietro, i giovani spagnoli che non potevano (la maggiorparte) o non volevano (pochi) studiare trova-vano facilmente lavoro anche in gio-vane età. il lavoro giovanile, anche se poco ricompensato economicamente

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e accettato per necessità materiali, contribuiva alla loro formazione pro-fessionale, sociale e personale. Un sistema dualistico come quello aus-triaco presuppone un’attualizzazione di questo tipo, che potremmo analiz-zare e applicare.

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