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Allergie Associazione Italiana di Anestesia Odontostomatologica (A.I.N.O.S.) RACCOMANDAZIONI PER LA PREVENZIONE ED IL TRATTAMENTO DELLE REAZIONI ANAFILATTICHE- ANAFILATTOIDI IN ODONTOIATRIA P. Lorenzi, G. Piccinno, M. Filoni, M. Marsili, B. D’Elia, A. Matucci*, P. Parronchi*, O. Rossi*, A. Vultaggio*, E. Maggi* Dipartimento di Area Critica Medico-Chirurgica, Sezione Anestesia e Rianimazione e *Dipartimento di Medicina Interna ed Immunoallergologia, Università degli Studi di Firenze Introduzione La recente elaborazione da parte della Société Française d’Anesthésie et de Réanimation 1 delle linee guida per la prevenzione del rischio allergico perianestetico ha indotto ad estendere tali raccomandazioni all’ambito odontoiatrico, dal momento che anche in questo settore viene fatto uso di farmaci e sostanze che possono essere responsabili di reazioni di tipo anafilattico-anafilattoide. Inoltre, si deve tener presente come in ambito odontoiatrico un fattore aggravante di queste manifestazioni sia rappresentato dal fatto che l’intervento viene condotto in ambiente meno protetto rispetto alla sala operatoria e quindi l’odontoiatra dovrebbe essere in grado di mettere in atto le opportune manovre terapeutiche per risolvere la situazione di emergenza, e soprattutto identificare, attraverso l’anamnesi, i pazienti a rischio. Le reazioni di tipo anafilattico-anafilattoide si inquadrano nel più ampio settore delle sindromi reattive a medicamenti che costituiscono un crescente problema medico già da alcuni anni. Infatti, per quanto riguarda la frequenza, si calcola, anche se non esistono http://www.mesclub.it/allergie.html (1 di 24)06/07/2008 19.31.44

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Allergie

Associazione Italiana di Anestesia Odontostomatologica (A.I.N.O.S.)

RACCOMANDAZIONI PER LA PREVENZIONE ED IL TRATTAMENTO DELLE REAZIONI ANAFILATTICHE-

ANAFILATTOIDI IN ODONTOIATRIA

P. Lorenzi, G. Piccinno, M. Filoni, M. Marsili, B. D’Elia, A. Matucci*, P. Parronchi*, O. Rossi*, A. Vultaggio*, E. Maggi* Dipartimento di Area Critica Medico-Chirurgica,

Sezione Anestesia e Rianimazione e *Dipartimento di Medicina Interna ed Immunoallergologia, Università degli Studi di Firenze

Introduzione

La recente elaborazione da parte della Société Française d’Anesthésie et de Réanimation1 delle linee guida per la prevenzione del rischio allergico perianestetico ha indotto ad estendere tali raccomandazioni all’ambito odontoiatrico, dal momento che anche in questo settore viene fatto uso di farmaci e sostanze che possono essere responsabili di reazioni di tipo anafilattico-anafilattoide. Inoltre, si deve tener presente come in ambito odontoiatrico un fattore aggravante di queste manifestazioni sia rappresentato dal fatto che l’intervento viene condotto in ambiente meno protetto rispetto alla sala operatoria e quindi l’odontoiatra dovrebbe essere in grado di mettere in atto le opportune manovre terapeutiche per risolvere la situazione di emergenza, e soprattutto identificare, attraverso l’anamnesi, i pazienti a rischio.

Le reazioni di tipo anafilattico-anafilattoide si inquadrano nel più ampio settore delle sindromi reattive a medicamenti che costituiscono un crescente problema medico già da alcuni anni. Infatti, per quanto riguarda la frequenza, si calcola, anche se non esistono

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dati epidemiologici precisi, che il 2-5% della popolazione generale abbia presentato una reazione avversa a farmaci (Adverse drug reactions, ADR).

Per quanto concerne un inquadramento delle sindromi reattive a medicamenti, utile anche dal punto di vista, possiamo distinguere fondamentalmente due tipi di reazioni:

(1) Reazioni di tipo A ("Augmented"), dovute ad effetti farmacologici soltanto quantitativamente abnormi nelle quali rientrano gli effetti secondari, peraltro ben noti, dei vari farmaci e le interazioni farmacologiche. Queste reazioni, spesso prevedibili e dose-dipendenti, sono molto frequenti ma, nella maggior parte dei casi, di modesta gravità.

(2) Reazioni di tipo B ("Bizarre"), qualitativamente abnormi, imprevedibili e dose-indipendenti. Queste reazioni sono relativamente poco frequenti ma possono dar luogo a quadri clinici estremamente gravi, talora mortali. Le reazioni di tipo B, a cui faremo riferimento, possono essere distinte in:

(a) Reazioni a patogenesi immunologica, a loro volta comprendenti:

- Reazioni IgE-mediate, di cui sono esempi lo shock anafilattico, la sindrome orticaria/angioedema (SOA) ed alcune forme di asma bronchiale. Va ricordato che meccanismi IgE-mediati sono stati supposti per molte ADR, ma dimostrati solo per pochi farmaci (penicillina, miorilassanti, tiopentale, sieri eterologhi, insulina, corticotropina).

- Reazioni citolitiche o citotossiche, mediate da anticorpi IgG o IgM, operanti essenzialmente nelle immunocitopenie da farmaci (anemie emolitiche, trombocitopenie, granulocitopenie).

- Reazioni da immunocomplessi, responsabili di lesioni vascolari, renali, articolari, etc. Ne sono esempi la malattia da siero, le vasculiti da ipersensibilità ed alcune nefropatie.

- Reazioni cellulo-mediate, il cui prototipo è rappresentato dalle dermatiti da contatto, possono intervenire anche in altri casi, ad esempio, nelle reazioni maculo-papulose ad antibiotici beta-lattamici.

b) Reazioni a patogenesi extra-immunologica, che possono essere suddivise in due sottogruppi:

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- Reazioni pseudoallergiche (PAR), dovute ad attivazione aspecifica di cellule (mastociti) con liberazione di mediatori di “fase acuta”. Esempio classico di queste reazioni è l’asma da aspirina" e le reazioni a mezzi di contrasto.

- Reazioni idiosincrasiche. Prototipo di queste reazioni è l'anemia emolitica da deficit eritrocitario dell’enzima glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G6PD).

Fra le diverse ADR un ruolo estremamente importante è rivestito da quelle a patogenesi IgE-mediata e quelle pseudoallergiche per la gravità dei quadri clinici che possono determinare.

E’ necessario che ogni sanitario conosca l’entità del problema ed abbia le conoscenze adeguate per far fronte al manifestarsi di una situazione critica.

Dalle casistiche riportate dal gruppo di lavoro francese appare come la responsabilità della reazioni perianestetiche interessi in modo particolare i miorilassanti (62%), subito seguiti dal lattice (16,5%), dagli ipnotici (7,4%), dagli antibiotici (4,7%), dai sostituti del plasma (3,6%), dai morfinici (1,9%), mentre l’allergia agli anestetici locali è un evento più raro, sebbene descritto in varie occasioni.

Molti dei farmaci e delle sostanze responsabili delle reazioni perianestetiche sopra ricordati trovano impiego in campo odontoiatrico: in questa sede saranno quindi prese in esame le reazioni ad antibiotici, ad analgesici, ad anestetici locali ed al lattice, le modalità di prevenzione mediante ricerca di farmaci o tecniche alternative ed il trattamento delle manifestazioni più gravi.

Antibiotici

Spesso, per evitare complicazioni infettive locali o a distanza, l’odontoiatra è chiamato ad effettuare una antibioticoterapia profilattica.2 La batteriemia, molto frequente dopo estrazioni dentarie, può essere causata anche da manovre molto più semplici, come il detartraggio. Il germe ritenuto responsabile è lo Streptococco Viridans, che abbonda nel cavo orale e che può essere inoculato nel torrente circolatorio mediante la semplice puntura di un ago. Pertanto, nei pazienti a maggior rischio infettivo (cardiopatici, portatori di protesi valvolari o ortopediche, neoplastici, anziani defedati, ecc.) viene consigliata una profilassi con alte dosi di amoxacillina o di eritrocina da effettuarsi 1 ora prima dell’intervento odontoiatrico, seguita da una dose successiva dopo 6-8 ore.3

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La frequente osservazione di reazioni allergiche ad antibiotici ¥-lattamici (penicillina, ampicillina, amoxicillina) ha messo in evidenza come questi farmaci siano in grado in alcuni soggetti di evocare una risposta IgE o comunque di far espandere cloni di linfociti Th2 propri delle risposte allergiche.4 Le cefalosporine che, com’è noto, hanno una struttura nucleare simile a quella della penicillina, caratterizzata dalla presenza dell’anello ¥-lattamico, presentano con questa una reattività crociata nel 10-50% dei casi. In realtà, le cefalosporine di terza generazione, quali la ceftazidima, che presentano una formula di struttura in gran parte diversa dalla penicillina, mostrano una bassa incidenza di reattività crociata (< 10%). 5 Ciò appare riconducibile al fatto che non tutte le reazioni allergiche sono correlate all’anello ¥-lattamico ma anche alle catene laterali che differenziano i vari preparati. Anche i nuovi antibiotici beta-lattamici, quali i carbapenemi (Imipem, Tienam) mostrano un’elevata reattività crociata con la penicillina, mentre i farmaci ¥-lattamici monociclici, di cui l’aztreonam è il prototipo, possono essere somministrati con maggior sicurezza ai pazienti allergici alla pencillina. 5

Non rare, ma non sempre ad etiopatogenesi allergica, sono le sindromi reattive da antibiotici dei gruppi degli aminoglicosidi (streptomicina, neomicina, gentamicina, tobramicina, amikacina, etc.) e dei macrolidi (eritromicina, spiramicina, claritromicina, azitromicina, etc.). Sempre più frequenti, dato il costante aumento nell'utilizzazione di questi farmaci, sono le reazioni allergiche ai chinolonici (ciprofloxacina, norfloxacina, pefloxacina, cinoxacina, levoxacina, etc.). Infine manifestazioni allergiche sono state segnalate con una certa frequenza in seguito all’impiego di sulfamidici.

Analgesici

Il controllo del dolore acuto post operatorio è un aspetto di primaria importanza in campo odontoiatrico. Il dolore in genere insorge 1-3 ore dopo l’intervento se eseguito in anestesia loco-regionale o in coincidenza della coda anestetica se eseguito in anestesia generale e raggiunge la massima intensità nelle prime 12 ore post-operatorie. Il dolore post operatorio è provocato soprattutto dalla flogosi che si sviluppa nei tessuti coinvolti nell’atto chirurgico e che tende ad auto mantenersi e ad amplificarsi grazie al reciproco potenziamento dei vari mediatori che si liberano.6 L’edema inoltre è responsabile di compressioni nervose che, realizzandosi in un ambito particolarmente ristretto, sono responsabili di una limitazione funzionale della zona interessata.6-8

Per il controllo del dolore post operatorio odontoiatrico i farmaci di prima scelta sono senz’altro gli analgesici non steroidei (FANS) in quanto presentano spiccati effetti analgesici, antipiretici ed antinfiammatori. Le principali attività dei FANS sono

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determinate dal loro meccanismo di azione cioè l’inibizione del metabolismo dell’acido arachidonico tramite il blocco dell’enzima cicloossigenasi ( COX).

Tuttavia va notato che fra gli effetti collaterali dei FANS vengono descritte con una notevole incidenza reazioni da intolleranza, che sotto l’aspetto clinico si manifestano con una sintomatologia del tutto sovrapponibile alle reazioni allergiche e che pertanto vengono comprese insieme a queste nella dizione di reazioni anafilattico-anafilattoidi. Le reazioni da ASA e FANS devono essere considerate come reazioni da ipersensibilità, ovvero non-immuno-mediate9 come riportato nella recente classificazione proposta nel Position Paper della European Academy of Allergy and Clinical Immunology (10). Sia l’ASA che i FANS inibiscono l’attività della COX, di cui si conoscono due isoenzimi COX-1 e COX-2, coinvolta nella sintesi delle prostaglandine. Abitualmente, la maggior parte dei FANS inibisce l’attività di entrambi gli isoenzimi mediante un blocco reversibile dell’accesso dell’acido arachidonico al sito attivo dell’enzima11, 12

Sebbene l’attività anti-infiammatoria dei FANS dipenda dalla loro capacità di indurre inibizione enzimatica, è stato suggerito che l’effetto anti-flogistico sia correlato con la prevalente inibizione della COX-2, mentre gli effetti collaterali e le reazioni avverse sarebbero prevalentemente correlatei con l’azione inibitoria sulla COX-1. Il livello di inibizione enzimatica varia a seconda del tipo di farmaco e della dose impiegata. Utili esempi sono il paracetamolo che, a basse dosi, possiede una scarsa capacità di inibire la COX-1, ma anche la nimesulide ed il meloxicam, i quali, pur inibendo preferenzialmente la COX-2, possiedono una forte capacità di inibizione anche della COX-1 quando utilizzati ad alte dosi.13

Sulla base di tale meccanismo è quindi facilmente comprensibile come percentuali rilevanti (8-25%) dei pazienti con precedente storia di reazione avversa a FANS, possano mostrare effetti indesiderati anche in seguito all’assunzione di nimesulide, generalmente impiegata quale farmaco alternativo più sicuro.

Da pochi anni sono disponibili in commercio nuovi FANS dotati di selettiva attività anti-COX-2, per i quali, tuttavia, non sono ancora disponibili precise informazioni sulla sicurezza di utilizzo nei soggetti con reazione avversa ad ASA e agli altri FANS.

Dal punto di vista clinico si distinguono due tipi di manifestazioni, una caratterizzata da crisi broncospastiche di notevole gravità e si presenta prevalentemente nei soggetti con asma, rinosinusite e poliposi nasale (triade da aspirina); l’altra, presenta una sintomatologia prevalente a carico di cute e mucose e compare più frequentemente nei

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soggetti con storia di orticaria e angioedema cronico. Per quanto riguarda il primo tipo di reazione, è stato osservato come l’8-20% dei pazienti adulti asmatici con rinosinusite vada incontro ad intolleranza all’ASA e agli altri FANS.14 Nella popolazione in cui all’asma e alla rinosinusite si associa anche la poliposi nasale, l’intolleranza all’ASA sale al 30-40%.

Il meccanismo patogenetico sembra correlato, almeno in una parte dei soggetti ad un “errore biochimico” del metabolismo dell’acido arachidonico, con una maggior inattivazione della COX da parte dell’ASA e prevalenza della via metabolica della lipo-ossigenasi e conseguente maggior formazione di leucotrieni, i cui effetti specifici si esprimono attraverso la broncocostrizione, l’aumento della permeabilità vasale, la formazione dell’edema e l’ipersecrezione mucosa.15

Anestetici locali

Reazioni di tipo allergico agli anestetici locali sono state descritte con una relativa frequenza in seguito all’impiego di farmaci del gruppo esterico, particolarmente di quelli derivati dall’acido para-aminobenzoico (procaina, tetracaina, clorprocaina), L’introduzione in clinica degli anestetici locali del gruppo amidico ha portato ad una notevole riduzione di queste complicanze che, tuttavia, anche se sporadicamente, sono state segnalate da vari Autori e rappresentano circa l’1% delle reazioni avverse a questi farmaci. Vi è comunque concordanza nel sottolineare come non sempre sia agevole definire la natura della reazione avversa e distinguere quindi una risposta di tipo anafilattico-anafilattoide da quella provocata da una tossicità sistemica acuta o da una reazione di tipo “psicogeno”.16, 17

Il problema è esasperato dal fatto che le reazioni avverse da anestetici locali vengono quasi sempre etichettate come “reazioni allergiche”, ed i soggetti vengono troppo spesso classificati come “allergic to caines”, con la spiacevole conseguenza di vedersi rifiutare un’anestesia locale per piccoli interventi chirurgici o odontoiatrici o, addirittura, vedersi proporre in alternativa una assai più rischiosa anestesia generale.18-20

In alcuni casi la responsabilità delle manifestazioni di tipo anafilattico-anafilattoide è stata attribuita alla presenza nella confezione commerciale di conservanti quali il metilparaben, o di antiossidanti, quali i solfiti.19, 21 Attualmente, comunque, la maggior parte dei preparati commerciali è fornita in confezioni di fiale o tubofiale monodose, che non richiedono l’utilizzazione di conservanti.

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Si deve sottolineare come all’interno degli anestetici locali del gruppo amidico non sia stato messo in evidenza il fenomeno della reattività crociata, che caratterizzava invece le reazioni ai farmaci del gruppo esterico.

I meccanismi patogenetici delle reazioni allergiche agli anestetici locali non sono del tutto chiariti. Gli anestetici locali presentano un peso molecolare di 200-300 daltons per cui per determinare una risposta immunologica devono, come ogni sostanza a basso peso molecolare, combinarsi con una macromolecola ed agire quindi come aptene; un meccanismo IgE mediato non è stato ancora dimostrato.

Lattice

La quasi totalità della gomma naturale che viene oggi utilizzata deriva dal lattice ottenuto dall’albero della gomma, Hevea brasiliensis. Il lattice è costituito da una miscela di sostanze che comprende anche il 2-3% di proteine, responsabili del potere allergizzante.

Negli ultimi anni sono state descritte con una incidenza crescente reazioni allergiche al lattice, conseguenti all’uso sempre più diffuso di presidi sanitari che lo contengono,. In particolare numerose sono le osservazioni che riguardano il personale sanitario e altre categorie di soggetti cronicamente esposti ai prodotti in gomma naturale quali i lavoratori dell’industria della gomma, vivaisti, operatori dell’industria alimentare. Anche i soggetti sottoposti a ripetuti interventi chirurgici e medicazioni sono da considerare a rischio e in modo particolare i bambini con spina bifida, proprio perché fin dalla nascita sono sottoposti a ripetuti cateterismi vescicali e interventi chirurgici. Infine è stata osservata una particolare reattività al lattice nei soggetti allergici a determinati cibi, quali banana, kiwi, avocado, frutto della passione, ecc.22-24

Gli Ambulatori Odontoiatrici, così come le Sale Operatorie, costituiscono ambienti ad elevata esposizione al lattice sia per gli operatori sanitari che per i pazienti a causa della molteplicità dei presidi in lattice utilizzati.25, 26 Fra questi in particolare vanno ricordati i guanti per le caratteristiche con cui vengono realizzati. I guanti infatti sono creati immergendo le forme in vasche che contengono lattice liquido. Il guanto si indurisce sulla forma e successivamente viene sottoposto ad una serie di lavaggi per eliminare le proteine ed il prodotto chimico residuo ed infine viene aggiunta polvere di mais per facilitarne lo scorrimento sulla mano al momento dell’uso. La polvere di mais è in grado di legare le proteine del lattice che successivamente, a causa della sudorazione che ne fa aumentare la solubilità, possono essere trasferite alla mano dell’operatore. Inoltre, quando l’operatore indossa o rimuove i guanti, la polvere di mais passa nell’aria,

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diventando così un’importante sorgente aerea delle proteine del lattice, che così possono essere inalate dal personale sanitario e dagli utenti. 27

Protocolli di prevenzione delle reazioni di tipo anafilattico-anafilattoide (Tabella 1)

Prima di considera una ADR come reazione anafilattico-anafilattoide, è necessario escludere altre cause, come effetti collaterali propri del farmaco, impiego di dosi tossiche (assolute o relative) o risposte di tipo psicogeno, quali le reazioni vagali o da iperventilazione, che possono presentarsi con una sintomatologia grave fino alla perdita di coscienza, o con manifestazioni legate ad eccessiva iperincrezione di catecolamine in risposta allo stress. In ogni caso, qualora sia ipotizzata una reazione di tipo anafilattico-anafilattoide, è opportuno identificare l’agente ritenuto responsabile e selezionare tecniche o farmaci alternativi per successivi interventi terapeutici.

I protocolli di indagine variano a seconda del tipo di agente responsabile e sono comunque rappresentati da test in vivo (prick test, intradermoreazione, test di tolleranza o di scatenamento) e da test in vitro in grado di evidenziare le IgE specifiche (RAST) o linfociti T specifici come il Test di trasformazione linfocitaria (LTT).

Nell’ambito dei test immuno-allergologici le cutireazioni rivestono senz’altro un ruolo centrale. Dal punto di vista fisiopatologico i test si basano sul fatto che il legame fra l’allergene somministrato e le IgE specifiche fissate ai mastociti cutanei determina l’attivazione di queste cellule, permettendo la liberazione di istamina e di altre sostanze vasoattive. In corrispondenza della sede di degranulazione dei mastociti si assiste quindi alla comparsa di edema ed eritema (pomfo), che esprimono una reazione “anafilattica locale”. I test cutanei non devono essere effettuati a distanza di tempo troppo ravvicinata dalla precedente reazione avversa ed è opportuno aspettare almeno 3 settimane circa. D’altra parte, il limite di tempo massimo entro il quale le prove cutanee si possono considerare predittive non è determinabile a causa dell’estrema variabilità nella cinetica di scomparsa dei linfociti e/o anticorpi specifici da paziente a paziente; in generale si raccomanda di non attendere più di 3 mesi, se possibile. A distanza di 5 anni si negativizza il 40% dei pazienti con test cutanei positivi per ¥-¥lattamici ed in particolare il 100% di quelli monopositivi per amoxicillina.28 Questa “evanescenza” della prova di sensibilizzazione ad un farmaco è uno dei principali problemi.

Il test di tolleranza (TT) (o test di scatenamento, o challenge test) consiste nella “somministrazione controllata di un farmaco a scopo diagnostico, effettuata sotto sorveglianza medica”. Il TT viene considerato in letteratura come il “gold standard” nella

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diagnostica delle reazioni a farmaci, anche a causa della scarsa sensibilità di altri test diagnostici, come i test cutanei e di laboratorio. Il TT con il farmaco sospetto deve essere evitato in tutti i casi in cui sia già presente una dimostrata allergia ad un farmaco (RAST e/o LTT positivi). Inoltre è necessario tener presente che durante il TT possono mancare co-fattori presenti al momento della somministrazione del farmaco, come l’ansia in corso di anestesia locale, l’asma latente, l’orticaria cronica, l’allergia alimentare subclinica o un’infezione virale. Infine, preme ricordare che la cosiddetta procedura del “pomfo di prova” deve essere assolutamente evitata sia per la assoluta aspecificità che per i potenziali rischi di indurre reazioni sistemiche gravi.

Antibiotici

L’allergia alla penicillina, che riconosce un meccanismo IgE mediato o cellulo-mediato, può essere svelata da test cutanei nei confronti della penicillina stessa e dei suoi prodotti di degradazione, rappresentati dai suoi determinanti maggiori o minori.

Per la penicillina e gli altri antibiotici ¥-¥lattamici è disponibile anche il dosaggio delle IgE specifiche sieriche mediante Radio Allergo Sorbent Test (RAST). Si tratta di un test in vitro, particolarmente prezioso per l’assenza di rischi al paziente e per questo indicato in prima istanza. A differenza delle prove cutanee non subisce interferenza da parte di eventuali farmaci assunti quali gli anti-istaminici, ha maggior specificità e fornisce risultati quantitativi. Purtroppo, i test sierologici in vitro per la ricerca di IgE specifiche sono disponibili soltanto per pochi dei farmaci che possono dar luogo a sindromi reattive IgE-mediate: penicilloil-G, penicilloil-V, ampicillina, amoxicillina, cefaclor. Inoltre, i risultati sierologici devono sempre essere interpretati alla luce della storia clinica del paziente e ad eventuali test in vivo.

Il test di trasformazione linfocitaria o LTT viene effettuato coltivando in vitro cellule mononucleate di sangue periferico in presenza del farmaco sospetto. La risposta proliferativa dei linfociti T specificamente sensibilizzati viene misurata mediante incorporazione nel DNA linfocitario di timidina tritiata. E’ tuttora l’unico test in vitro che permette di evidenziare una sensibilizzazione a farmaci a livello cellulare, indipendentemente dai meccanismi effettori finali e dal fenotipo clinico della reazione. Il LTT viene utilizzato da decenni, in selezionati Centri di ricerca, per la dimostrazione di alcuni meccanismi patogenetici delle reazioni verso particolari farmaci (antibiotici ¥-lattamici; sulfamidici; altri antibiotici) o a scopo di studio delle reazioni allergiche a farmaci. Il test dimostra maggiore sensibilità nelle reazioni di IV tipo ma può risultare positivo anche in quelle di I tipo. Si tratta di un test complesso che può essere effettuato esclusivamente in pochi laboratori specialistici di ricerca in immunologia.4, 29-31

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E’ opportuno ricordare che nella pratica clinica molto spesso i problemi possono essere superati dal fatto che il paziente assume farmaci antibiotici di altre classi senza nessun problema. Tra i farmaci alternativi più tollerati dobbiamo ricordare certamente i macrolidi e la lincomicina.

Antidolorifici

Nei pazienti con reazioni pseudo-allergiche, come quelle determinate dall’aspirina e dagli altri FANS, i test allergologici cutanei non sono indicati e l’unica possibilità di evidenziare la risposta del soggetto è rappresentata dall’esecuzione di un test di tolleranza (TT) con un farmaco diverso da quello responsabile delle precedenti reazioni. Il test, condotto in ambito ospedaliero in regime di ricovero o day-hospital, è effettuato somministrando per via orale dosaggi progressivamente crescenti del farmaco di cui si vuole valutare la tollerabilità.32

Nella ricerca di farmaci alternativi, si deve ricordare come i FANS, pur costituendo un gruppo di farmaci strutturalmente eterogenei dal punto di vista chimico e farmacologico, presentano una notevole reattività crociata. Sotto questo aspetto si deve considerare che:

- tutti i FANS che agiscono inibendo la ciclo-ossigenasi presentano una reattività crociata con l’aspirina;

- il grado di reattività crociata è proporzionale al dosaggio del farmaco necessario per inibire la ciclo-ossigenasi;

- un FANS, quale i benaxoprofene, che in modo prevalente, se non esclusivo, inibisce la via lipo-ossigenasica, non presenta attività crociata con l’ASA;

- la nimesulide, il paracetamolo che presentano una scarsa attività di inibizione della ciclo-ossigenasi, appaiono in genere ben tollerati;

- fra i farmaci alternativi possono essere presi in considerazione gli analgesici centrali, quali il tramadolo e gli antiemicranici come l’associazione caffeina-ergotamina.

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Anestetici locali

La diagnostica deve comprendere da una parte una interpretazione delle reazioni precedenti (se tossiche, psicogene o di tipo anafilattico anafilattoide) e dall’altra l’identificazione di un anestetico locale sicuro per il singolo paziente.

Poiché per gli anestetici locali non esistono test “in vitro” attendibili, debbono essere eseguiti in caso di reale necessità test “in vivo”secondo metodiche ormai standardizzate. Il protocollo classico prevede l’esecuzione di test cutanei seguiti, se negativi, da un test di tolleranza (challange test) per via sottocutanea, utilizzando un farmaco amidico diverso da quello responsabile dell’eventuale precedente reazione avversa, o più indicato alle esigenze cliniche.33 Questi test sono validi non tanto per l’identificazione dell’agente ritenuto responsabile di una precedente reazione avversa, ma soprattutto per la ricerca di un farmaco alternativo sicuro. Infatti fra gli anestetici del gruppo amidico non è presente una reattività crociata, e quindi è possibile saggiare un farmaco sempre del gruppo amidico, ma diverso da quello imputato della precedente reazione avversa

Prick test: Il test viene effettuato mediante l’apposizione di una goccia della soluzione da testare sulla cute della superficie volare dell’avambraccio. Con una lancetta sterile viene punta l’epidermide attraverso la goccia. L’anestetico locale, diluito in soluzione fisiologica, viene saggiato a concentrazioni crescenti partendo dalla diluizione 1:100 fino alla soluzione commerciale.

Intradermoreazione (IDR). Il test viene effettuato mediante inoculazione nel derma a livello della superficie volare dell’avambraccio di 0,2ml della soluzione da saggiare, preparata a concentrazioni crescenti come per il prick.

Test di tolleranza (challenge test). Le scarse conoscenze attuali delle determinanti antigeniche degli anestetici locali fanno sì che l’unico modo sicuro per determinare se un paziente è in grado di tollerare un anestetico locale è rappresentato dall’esecuzione di un test di tolleranza al farmaco in questione. Il test viene eseguito mediante iniezione sottocutanea nel braccio, in corrispondenza della regione tricipitale, di 0,1ml di soluzione preparata in concentrazioni crecenti (1:1000; 1:100; 1:10 e preparato commerciale) e successivamente di dosi crescenti (0,5ml, 1ml) del preparato commerciale senza vasocostrittore.

Se i test cutanei e il challenge test sono negativi è giustificato ritenere che il paziente potrà tollerare la somministrazione dell’anestetico locale testato.32

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Lattice

La diagnosi di allergia al lattice è basata sull’identificazione di IgE latex-specifiche, in soggetti con una ipotetica reazione a materiali contenenti lattice. Nella pratica clinica è possibile effettuare le prove cutanee mediante il classico prick test con estratti commerciali o il “prick by prick” che consiste nell’effettuare la procedura del prick pungendo prima un materiale di lattice ( es. guanto) e successivamente la cute del paziente. Nei casi positivi è comunque utile effettuare un esame di controllo quale il RAST in quanto è buona regola non porre diagnosi di allergia al lattice sulla base di uno solo di questi esami. Infatti, una risposta laboratoristica positiva per la presenza di anticorpi IgE specifici per lattice, soprattutto se a basso titolo senza una corrispondenza clinica, può esprimere anticorpi cross-reattivi privi di reale significato. Del resto, pazienti che hanno mostrato una franca sintomatologia anafilattoide non associata ad evidenza di IgE latex-specifiche e test cutanei negativi devono essere valutati al fine di escludere altre possibili cause prima di considerare l’allergia al lattice.24

Recentemente Field e Coll26 hanno proposto un protocollo per il trattamento odontoiatrico dei pazienti con allergia al lattice, che prevede diverse fasi successive rappresentate da:

1) identificazione dei pazienti a rischio:

gruppo 1) pazienti che hanno manifestato anafilassi in seguito al contatto con il lattice;

gruppo 2: individui che hanno manifestato reazioni allergiche locali, o riniti, congiuntivite ecc in seguito al contatto con la gomma naturale;

gruppo 3) individui che presentano una predisposizione alla sensibilizzazione al lattice (es. pazienti con spina bifida);

2) identificazione dei prodotti contenenti lattice (guanti, guttaperca, diga, ecc);

3) allestimento di un ambulatorio odontoiatrico latex-free per i pazienti appartenenti al gruppo 1 (guanti e dighe in materiale sintetico, anestetici in fiale senza tappino di gomma o in tubofiale con tappino in materiale sintetico, ecc);

4) approvvigionamento di farmaci e attrezzature di emergenza (maschere, tubi, http://www.mesclub.it/allergie.html (12 di 24)06/07/2008 19.31.44

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deflussori, siringhe) anch’essi latex free;

5) attuazione del trattamento odontoiatrico in condizioni di sicurezza. E’ buona norma trattare il paziente a rischio come primo caso della giornata, dopo una opportuna pulizia della sala, in modo che non vi siano particelle aeree di lattice. Inoltre tutto il personale deve essere a conoscenza del trattamento in corso su un paziente a rischio, e nessuno non opportunamente equipaggiato deve entrare nella sala.

Adozione di un trattamento farmacologico preventivo

Qualsiasi pretrattamento farmacologico è insufficiente nella prevenzione delle vere reazioni allergiche, dove l’unica misura valida è rappresentata dal non impiego della sostanza responsabile. Tuttavia, nei pazienti che presentano fattori di rischio di istamino-liberazione aspecifica sembra opportuno adottare un trattamento farmacologico che prevede la somministrazione nei tre giorni precedenti l’intervento di idrossizina (25mg per os alla sera), mentre il giorno dell’intervento a questo farmaco viene associato il prednisone (25mg per os).32

Si ricordi invece che le reazioni da stress traggono vantaggio dalla somministrazione preoperatoria di un vagolitico (atropina) e di un sedativo (benzodiazepine).

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Tabella 1. Prevenzione delle reazioni di tipo anafilattico-anafilattoide in ambito odontoiatrico Identificazione dei pazienti a rischio:

anamnesi positiva per una precedente reazione avversa a farmaci

attribuzione, in base ai dati anamnestici, di una patogenesi di tipo anafilattico-anafilattoide

● Conferma mediante test in vitro ● Ricerca di farmaci alternativi mediante test in vivo ● Adozione di un trattamento farmacologico preventivo ● Disponibilità di farmaci e attrezzature per l’emergenza

Manifestazioni cliniche e trattamento delle gravi reazioni anafilattico-anafilattoidi

Le manifestazioni cliniche delle reazioni anafilattiche-anafilattoidi sono estremamente varie, andando da eruzioni cutanee più o meno localizzate fino allo shock anafilattico. Quest’ultimo costituisce la più grave espressione clinica di una reazione anafilattica-anafilattoide ed è caratterizzato essenzialmente da edema diffuso, ipotensione grave e broncospasmo.

Il meccanismo fisiopatologico alla base delle manifestazioni cliniche è analogo sia che si tratti di una vera reazione allergica, mediata da anticorpi IgE, che di una reazione di tipo anaflattoide, che non comporta l’impegno di anticorpi IgE. Infatti, in entrambi casi si verifica una degranulazione dei mastociti con liberazione dei mediatori preformati e dei nuovi mediatori che vengono risintetizzati rapidamente.

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I mediatori sono rappresentati da istamina, serotonina, PAF, leucotrieni e prostaglandine. Una rapida liberazione di notevoli quantità di mediatori provoca vasodilatazione, aumento della permeabilità capillare, edema delle mucose e contrazione della muscolatura liscia con broncospasmo che possono portare a shock ed asfissia (tabella 2).

La sintomatologia in genere si manifesta entro pochi minuti dall’esposizione all’agente scatenante, e la reazione tende ad essere tanto più grave quanto più precoce è la sintomatologia, anche se in alcuni casi una grave sintomatologia può manifestarsi a distanza di alcune ore. Inizialmente il paziente lamenta prurito ed eritema, che successivamente evolve in orticaria ed angioedema, accompagnati da un senso di disastro incombente. L’ipotensione è marcata, talvolta sono presenti anche manifestazioni gastrointestinali quali nausea, vomito, crampi addominali e diarrea.

L’ostruzione delle vie aeree si manifesta con abbassamento della voce, disfonia, difficoltà ad inghiottire. L’interessamento delle vie aeree inferiori si manifesta con asma e oppressione toracica. Spesso viene segnalato prurito nasale, oculare o a livello del palato. In alcuni casi la perdita di coscienza o un episodio convulsivo possono essere il primo segno della anafilassi.

Tabella 2. Fisiopatologia e manifestazioni cliniche dello shock anafilatticoEFFETTI DEI MEDIATORI SINTOMATOLOGIA PERICOLOVasodilatazione ● Flushing

● Ipotensione

● Shock

Aumento della permeabilità capillare ● Orticaria ● Angioedema ● Edema laringeo ● Ipotensione

● Asfissia ● Shock

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Contrazione della muscolatura liscia ● Asma ● Dolore

addominale

● Asfissia

La valutazione iniziale deve determinare la natura e l’evoluzione dell’evento clinico. Il quadro clinico deve quindi essere compatibile con le caratteristiche dell’anafilassi, e la storia clinica può indicare la causa della reazione. Deve quindi essere valutato lo stato di coscienza, lo stato delle vie respiratorie superiori ed inferiori (evidenza di edema, stridore, dispnea, asma, o apnea), del sistema cardiovascolare (ipotensione), della cute (orticaria, angioedema, flushing) e del sistema gastrointestinale. E’ importante poter effettuare rapidamente una diagnosi differenziale da altri quadri clinici che possono presentare alcuni sintomi analoghi (es. reazioni vaso-vagali, ischemia miocardica, aritmie cardiache, epilessia, ecc).

L’anafilassi può mettere in pericolo la vita. E’ importante quindi una valutazione immediata del paziente per determinare:

● la pervietà delle vie respiratorie ● la pressione arteriosa.

A) Trattamento d'emergenza (tabella 3).

Il trattamento dello shock anafilattico deve essere immediato e deve tendere al controllo degli effetti dei mediatori che si sono liberati e all’inibizione di una ulteriore produzione. Si deve interrompere la somministrazione del farmaco ritenuto responsabile e provvedere all’ossigenazione del paziente. Poiché la riduzione delle resistenze vascolari periferiche e la perdita di fluidi intravascolari rappresentano i primi momenti fisiopatologici, la reintegrazione volemica deve essere attuata precocemente, ma tuttavia l’intervento farmacologico deve avere la priorità assoluta.34

Pertanto, nelle situazioni in cui vi è pericolo per la vita stessa del paziente, il trattamento di emergenza è rappresentato dalla somministrazione e.v. di adrenalina accompagnata dalla messa in atto degli altri provvedimenti di supporto cardiocircolatorio. Il paziente deve essere posto in posizione di Trendelenburg e l’ipotensione deve essere trattata con la rapida somministrazione di notevoli quantità di soluzioni infusionali di tipo elettrolitico o colloidale per compensare la vasodilatazione periferica e la fuoriuscita di fluidi

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intravascolari nel terzo spazio. Il broncospasmo deve essere trattato con broncodilatatori per via inalatoria e aminofillina. In alcuni casi il mantenimento della pervietà delle vie aeree può richiedere anche manovre più specifiche come una cricotirotomia.

La rianimazione cardiorespiratoria di base (CPR) deve essere attuata se vi è arresto cardiorespiratorio.

Tabella 3. Terapia d’emergenza dello shock anafilattico

● Interrompere immediatamente la somministrazione dell'antigene ● Assicurare la pervietà delle vie aeree ● Somministrare ossigeno al 100% ● Infusione rapida di soluzioni idroelettrolitiche (2-4l) o colloidali (500-1500ml) ● Adrenalina ev (0,3-0,5mg); ripetere la somministrazione ad intervalli di 5-10 minuti in base alla risposta

L’epinefrina per via ev deve essere somministrata in una concentrazione 1:10.000, cioè 1 mg di adrenalina (1ml) e 9ml di soluzione fisiologica, a piccoli boli in base alla risposta clinica o mediante infusione di una soluzione 1:100.000, alla dose di 1microg/min fino a 10 microg/min. Considerata la breve emivita dell’epinefrina, potrà essere necessario ripeterne la somministrazione ad intervalli di 3-5 min.

Nei pazienti che ricevono epinefrina ev devono essere strettamente monitorizzati l’ECG e la pressione arteriosa con metodica non invasiva. E’ utile anche il monitoraggio della saturimetria.

L’epinefrina ha un ruolo chiave nel trattamento dello shock anafilattico. I suoi effetti benefici sono riconducibili alle sue proprietà alfa e beta stimolanti. Alla stimolazione alfa adrenergica fa seguito un aumento delle resistenze vascolari periferiche, con incremento dei valori di pressione arteriosa e miglioramento del flusso coronarico, risoluzione della vasodilatazione periferica e diminuzione dell’angio-edema e dell’orticaria. Alla

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stimolazione beta1 corrisponde una migliorata performance miocardica, ed alla stimolazione ¥2 broncodilatazione, con risoluzione delle crisi asmatiche, e aumento della

produzione di AMPciclico con riduzione della liberazione dei mediatori35, 36 (tabella 4).

Tabella 4. Effetti terapeutici dell’epinefrina nello shock anafilattico¥ adrenergici

● Aumento delle resistenze vascolari periferiche

● Diminuzione della vasodilatazione periferica

● Diminuzione angioedema

● Diminuzione orticaria

● Aumento della perfusione arteriosa

● Aumento della perfusione coronarica

¥1 adrenergici

● Effetti inotropi positivi

● Effetti cronotropi positivi

¥2 adrenergici

● Broncodilatazione ● Maggiore

produzione di AMP ciclico

● Minore liberazione

Mediatori

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Circa la metà dei decessi per shock anafilattico avviene entro la prima ora. La principale causa di morte (75%) è rappresentata da asfissia per edema laringeo e da ipossia per broncospasmo. Nel rimanente 25% dei casi la morte è correlata alla grave ipotensione. Questa ipotensione, pur essendo multifattoriale, è senz’altro correlata anche alla imponente perdita di fluidi che può arrivare fino al 50% del volume circolatorio. Pertanto la reintegrazione volemica, accanto alla somministrazione di ossigeno e di epinefrina, deve essere considerata un provvedimento di prima scelta nel trattamento dello shock anafilattico.37

Devono pertanto essere somministrate rapidamente soluzioni cristalloidi (soluzione fisiologica o Ringer lattato) alla dose di 2-4 litri. Più efficacemente possono essere utilizzati gli espansori plasmatici (soluzioni colloidali, come le gelatine o l’amido idrossietilico), alla dose di 500-1500 ml. Infatti, in presenza del perdurare del danno della membrana capillare le soluzioni cristalloidi sono meno efficaci, ed è pertanto preferibile l’impiego degli espansori plasmatici, che grazie alle maggiori dimensioni delle loro molecole non fuoriescono dal letto vascolare e che presentano un maggior potere oncotico, in grado di richiamare acqua dal terzo spazio.

A) Terapia di seconda istanza (tabella 5).

Trovano indicazione come farmaci di seconda istanza e soprattutto per prevenire la ricomparsa della sintomatologia, i corticosteroidi. Questi farmaci infatti in corso di reazione anafilattica aumentano la risposta tissutale ai farmaci beta agonisti, inibiscono una ulteriore liberazione dei mediatori e prevengono l’aggregazione di neutrofili e piastrine.

Tuttavia, anche se somministrati per via ev, necessitano di un tempo maggiore per raggiungere i massimi effetti. Può essere utilizzato l’idrocortisone (5 mg.kg-1 in bolo, e successivamente 2,5 mg.kg-1 ogni 6 h) oppure metilprednisolone (1 mg.kg-1 in bolo, e successivamente la stessa dose ogni 6 h).

Anche l’impiego degli antistaminici è da considerare di seconda istanza, dal momento che questi agiscono soprattutto impedendo una ulteriore occupazione recettoriale.35

Per il broncospasmo può essere utile la somministrazione di aminofillina (5-6 mg.kg-1 in 20 min).37

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Tabella 5. Terapia di seconda istanza

● Aminofillina: 5-6 mg/ in 20 min ● Antistaminici ● Glicocorticoidi: idrocortisone 5 mg/kg in bolo

2,5 mg/kg ogni 6 h

metilprednisolone 1 mg/kg in bolo

2,5 mg/kg ogni 6 h

Esami diagnostici successivi

Stabilizzate le condizioni cliniche del paziente, può essere utile effettuare test diagnostici in grado di confermare la degranulazione mastocitaria. A questo scopo sembra attendibile la determinazione della triptasi sierica. Il riscontro di elevati valori di questa proteasi indica una attivazione mastocitaria, anche se non permette una identificazione del meccanismo scatenante. Dal momento che gli incrementi sono evidenti soprattutto nelle prime ore della reazione, i campionamenti ematici andranno effettuati il prima possibile.38

Se i dati di laboratorio confermano l’ipotesi di shock anafilattico, il paziente dovrà essere inviato ad un Centro Allergologico per identificare l’agente scatenante, in modo da evitare esposizioni successive.

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Corrispondenza:

Prof.ssa Paola Lorenzi Dipartimento di Area Critica Medico-Chirurgica Sezione di Anestesia e Rianimazione Università di Firenze - Policlinico di Careggi Viale Morgagni 85 50134 FIRENZE Tel.: 055 4277545 e-mail: [email protected]

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