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QUADERNO / 1 FOCUS RIFIUTI Quaderno a cura dell'Osservatorio ambiente e legalità della citta di Venezia. L'Osservatorio ambiente e legalità è un progetto di Legambiente Veneto sostenuto dall'Assessorato all'ambiente e alla città sostenibile del Comune di Venezia
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Quaderno Osservatorio ambiente legalità Venezia
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Quaderno a cura dell’Osservatorio ambiente e legalità città di Venezia.
L’Osservatorio ambiente e legalità è un progetto di Legambiente Veneto sostenuto e finanziato
dall’Assessorato all’ambiente e alla città sostenibile del Comune di Venezia.
Quaderno Osservatorio ambiente legalità Venezia
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INDICE
4 Le dinamiche dell'ecomafia in Veneto: il caso dei rifiuti
Osservatorio ambiente legalità Venezia
Focus rifiuti
7 I rifiuti visti dal porto di Venezia
Nicoletta Retico
11 Le “rotte” dei rifiuti prodotti in provincia di Venezia
Flavio Culiat
16 Dove investono le mafie
Osservatorio ambiente legalità Venezia
18 Si scrive lotta alla corruzione si legge democrazia e difesa dei beni comuni
Osservatorio ambiente legalità Venezia
22 Attività di contrasto: il caso Entei
Osservatorio ambiente legalità Venezia
Appendice
24 Presentazione Osservatorio ambiente legalità Venezia
26 Carta d’intenti del Comitato Scientifico Osservatorio ambiente legalità Venezia
Quaderno Osservatorio ambiente legalità Venezia
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Le dinamiche dell'ecomafia in Veneto:
il caso dei rifiuti Osservatorio ambiente legalità Venezia
I rifiuti e le ecomafie
Come si evince dall'esame dei flussi in uscita, relativi al 2011, dei rifiuti industriali dalla Provincia
di Venezia [vedi articolo Le “rotte” dei rifiuti prodotti in provincia di Venezia] possiamo affermare
che la maggior parte dei rifiuti ha come destinazione altre regioni centro-settentrionali come
Lombardia, Emilia Romagna o Toscana. Per osservare una correlazione quantitativa possiamo dire
che 10mila tonnellate vanno in Germania e 100mila in Lombardia. Questo non significa che la
destinazione finale dei rifiuti non possa essere oltre frontiera. E' probabile che gli impianti presenti
in Lombardia e Emilia Romagna siano di proprietà di aziende dotate delle necessarie autorizzazioni
e in grado di movimentare rifiuti all'estero. Come ci ha confidato un inquirente: «a nostro giudizio
la rotta prevalente oggi è nord-nord, i rifiuti industriali vanno all'estero, in Germania, Austria,
Danimarca. Parliamo di un traffico che ha tutte le carte, notifiche e contratti, ufficialmente in
regola, che segue le procedure della normativa. Un confine che fa da schermo ovviamente facilita il
traffico illegale e rende più difficile il controllo e l'eventuale repressione. Prima potevi fare una
telefonata al collega di Napoli e dire: “segui quel camion”, ora non è più possibile, se vi sia
un'organizzazione e di che tipo dietro questi traffici transfrontalieri è presto per dirlo».
D'altronde l'evoluzione delle rotte rispetto a dieci anni fa è, in parte, da imputare all'azione
repressiva che in questa regione ha segnato risultati importanti come la chiusura piattaforme come
la Nuova Esa e la Sistemi Costieri e, più recentemente, all'inchiesta che ha stroncato un imponente
traffico verso la Cina di materie plastiche. D'altronde il sistema dei controlli in questa provincia,
malgrado i tagli che hanno colpito alcuni enti come l'Agenzia regionale per la protezione
ambientale [Arpa], mantiene un ottimo livello soprattuto in termini di coordinamento delle risorse
come testimoniato dall'eccellente lavoro svolto dal tavolo provinciale per i controlli ambientali.
Ma il cambio delle rotte rappresenta anche il sintomo di una nuova fisionomia dell'illecito come
viene testimoniato da diversi investigatori: «Grazie al fatto che i controlli hanno cominciato a essere
più frequenti, le varie organizzazioni si sono specializzate. La documentazione è sempre perfetta e
così le analisi che accompagnano i rifiuti. Negli anni Novanta ci si trovava di fronte a dei veri e
propri smaltimenti abusivi tout court, partivano per andare al Sud con carte raffazzonate e lo stato
d'illegalità era evidente. Oggi quelli che gestiscono il traffico hanno tutto un sistema di uffici, di
laboratori e di gestione amministrativa dei rifiuti che fa sì che un rifiuto, anche se irregolare, sulla
carta risulti regolare».
Il ruolo delle organizzazioni criminali
Secondo gli inquirenti, in Veneto non è emersa, a tutt’oggi, una presenza strutturata e ramificata di
organizzazioni mafiose nel ciclo dei rifiuti, come si è invece verificato in altre regioni del Nord.
Questo non vuol dire che queste organizzazioni non operino sul territorio, tutt’altro. Per questo
motivo sono gli stessi magistrati della Direzione nazionale antimafia a promettere per il futuro di
intensificare gli sforzi investigativi, tarandoli, appunto, sulle specificità della realtà veneta. Nella
relazione del 2011 spiegano che le informazioni in possesso «fanno ritenere [...] che il Veneto non
sia immune da quel tipo di presenze, e che sia giunto il tempo di sviluppare approfondite
investigazioni, da modulare alla particolare realtà del territorio e, quindi, scevre da cliché
preconfezionati, nella consapevolezza che un crimine così ben attrezzato come quello di cui si tratta
Quaderno Osservatorio ambiente legalità Venezia
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è capace di conformarsi al territorio anche in base alle caratteristiche di questo, sì da non presentarsi
ovunque alla stessa maniera». D'altronde più specificatamente nel nostro territorio nel recente
rapporto Dia 2011 (I semestre) viene segnalato come, riguardo l'operatività di Cosa Nostra «altre
indagini in corso riguardano infiltrazioni della mafia siciliana nel Veneto Orientale (Jesolo) e a
Venezia, come pure a Porto Marghera nel traffico dei rifiuti».
In generale le reti criminali anche in questo settore avrebbero compiuto un salto di qualità: dallo
smaltimento al reinvestimento del denaro sporco anche in questo settore. È la tesi sostenuta dal
magistrati della distrettuale antimafia veneziana: «i gruppi camorristici hanno guadagnato somme
imponenti dallo smaltimento dei rifiuti delle aziende venete - secondo testimonianze di collaboratori
di giustizia fino a un milione di euro alla settimana -, ora quelle somme vengono reinvestite, anche
nel Veneto»[1].
Che il settore dei rifiuti sia particolarmente frequentato da chi intende riciclare denaro è
testimoniato dal rapporto 2011 dell’Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d’Italia. I
dati delle segnalazioni di operazioni sospette evidenziano infatti che l’infiltrazione delle mafie è
particolarmente rilevante in alcuni settori, tra i quali lo smaltimento dei rifiuti e la produzione di
energia eolica. Le segnalazioni relative a imprese operanti nel settore dello smaltimento e
riciclaggio di rifiuti (in particolare rottami metallici e rifiuti pericolosi) sono state oltre 300 nel
2010; tale attività è di particolare interesse per le organizzazioni criminali in quanto offre la
possibilità di profitti molto consistenti (a fronte di guadagni unitari bassi, i volumi di fatturato sono
molto ampi).
Il reinvestimento dei ricavi derivati dal business dei rifiuti da parte della camorra troverebbe
conferma nell'inchiesta denominata «Ferrari come back» dell’aprile 2011. Gli inquirenti hanno
sequestrato un capannone dell'azienda, specializzata nel settore tritarifiuti, di Franco Caccaro
[successivamente arrestato], affermato imprenditore di Santa Giustina in Colle (Pd), il quale
avrebbe beneficiato di ingenti somme di denaro, almeno tre milioni di euro, che egli ha giustificato
come crediti personali. Secondo la ricostruzione dei magistrati, esplicitata nel decreto di sequestro,
il denaro proverrebbe dall’avvocato Cipriano Chianese, raggiunto già nel 1993 e nel 2007 da
provvedimenti di custodia cautelare nell’ambito di indagini sugli intrecci tra operatori del settore
rifiuti e clan dei Casalesi[2]. L'imprenditore padovano era alla guida di una azienda di successo con
sedi di rappresentanza in quattro continenti e solide alleanze e conoscenze sul territorio, anche nel
mondo politico. Se le ipotesi investigative riguardo alla vicenda Caccaro fossero confermate ci
troveremmo di fronte a un caso da manuale di compenetrazione tra reti criminali e reti
imprenditoriali. Com’è noto, la classe imprenditoriale, in particolare nel Veneto, gode di particolare
prestigio sociale e ha a disposizione canali di comunicazione diretta con il ceto politico e le
istituzioni. Per le organizzazioni criminali intrecciare relazioni e scambi con gli imprenditori può
costituire una fondamentale via di accesso fondamentale negli ingranaggi del sistema[3].
L'ecomafia dei rifiuti si configura – ha osservato con efficacia Antonio Pergolizzi - come
«l'affollamento ben orchestrato di personaggi legati alle mafie in combutta con quel sottobosco di
cosiddette "persone per bene" che ha reso il fenomeno un corpo "liquido" e nauseabondo. Dove non
è più possibile distinguere gli uni dagli altri, i mafiosi dagli imprenditori, gli amministratori dai
professionisti o dai banchieri»[4]. Forse non è azzardato sostenere che l'evoluzione della gestione
illegale dei rifiuti rispecchia quella delle reti criminali: un ruolo sempre più opaco e inafferrabile.
Le aziende non risultano intestate a personaggi riferibili all'ambito camorristico; soltanto attraverso
minuziose indagini a ritroso all'interno di trust finanziari e di complicate scatole cinesi societarie è
possibile individuare collegamenti con la criminalità. E nemmeno il modus operandi li distingue più
di tanto: le regole del mercato sono sufficienti per garantire il successo di imprese senza particolari
problemi di liquidità e con grandi capacità di tessitura di reti[5].
Gli assetti societari e il know how
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Seguendo questa direttrice è evidente che occorre guardare agli assetti societari delle aziende
impegnate nel settore dei rifiuti. A parere di alcuni osservatori ci troveremo a veloci processi di
cambiamento con la frequente acquisizione di aziende e quote societarie. Cambi di mano che
potrebbero indicare interessi e risorse circolanti sul territorio. Anche il ripetersi di incendi potrebbe
indicare un sommovimento in corso negli assetti e negli equilibri. Un ulteriore aspetto da
approfondire è il know how utilizzato da alcuni soggetti imprenditoriali per operare truffe – in
particolare riferite al ciclo dei rifiuti solidi urbani -, un know how che parrebbe mutuato da
analoghe operazioni avvenute nel sud Italia. Sempre a proposito di rifiuti solidi urbani – ma le
informazioni in nostro possesso non riguardano direttamente la provincia di Venezia – grande
attenzione andrebbe posta al reale avvio a recupero del materiale differenziato raccolto.
[1] Intervista a Carlo Mastelloni, procuratore aggiunto, e Roberto Terzo, sostituto procuratore, della
Direzione distrettuale antimafia di Venezia, 8 marzo 2012.
[2] La fonte delle notizie su questa inchiesta sono gli articoli della stampa locale
[3] G. Muti, Le ecomafie nel Nord, in «Limes, Rivista italiana di Geopolitica», XII, 2, 2005, p. 2.
[4] A.Pergolizzi, Toxicitaly. Ecomafie e capitalismo: gli affari sporchi all'ombra del progresso,
Castelvecchi, Castel Gandolfo 2012, p. 9.
[5] M. C. Ribera, Ecomafia e traffico illecito organizzato di rifiuti, in Rapporto ecomafia 2008. I
numeri e le storie della criminalità ambientale, Legambiente – Osservatorio Ambiente e legalità,
Edizioni Ambiente, Milano 2008, pp. 63-69.
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I rifiuti visti dal porto di Venezia MALGRADO LA CRISI I RIFIUTI CONTINUANO A VIAGGIARE. VERSO LA
CINA VANNO CARTA, ROTTAMI DI FERRO E PLASTICA. IN AFRICA
FINISCONO I ROTTAMI DI AUTOMOBILI. L’ANALISI DELL’AGENZIA
DELLE DOGANE DI VENEZIA
Nicoletta Retico, Vincenzo De Deo, Agenzia delle Dogane di Venezia
I rifiuti rappresentano una sfida a livello ambientale, sociale ed economico: da un lato evocano
immagini negative (sacchi della spazzatura, smaltimenti illeciti di rifiuti pericolosi), dall’altro
rappresentano un’opportunità di tipo economico che serve, qualora gestiti in maniera compatibile
con l’ambiente, a creare posti di lavoro e opportunità per le imprese; rappresentano cioè una risorsa
preziosa per l’industria, e vengono sempre più sottoposti a riutilizzo, riciclaggio e recupero di
energia.
In questa delicata materia, grande appare la distanza tra le esigenze dei paesi industrializzati, i
maggiori produttori di rifiuti, i paesi in via di sviluppo, che hanno cominciato a reclamare
addirittura il bando totale delle importazioni di rifiuti nel loro territorio utilizzato come discarica
mondiale, oppure i paesi con forte trend di industrializzazione, “affamati di rifiuti” che
rappresentano preziose materie prime.
L’ampiezza degli interessi economici, che fanno de “l’affare dei rifiuti” un business colossale in
tutti i settori merceologici, è testimoniata dai flussi crescenti del traffico transfrontaliero dei rifiuti i
quali seguono quelli del commercio mondiale.
In questo scenario internazionale appare fondamentale il ruolo storicamente svolto dalle Dogane nel
sistema dei controlli sulla circolazione delle merci e, considerato che la tutela ambientale costituisce
una priorità strategica sia livello nazionale che internazionale, sempre più avvertita è l’esigenza di
coordinare e rafforzare gli sforzi delle Dogane italiane e europee nella prevenzione e contrasto dei
traffici illeciti di rifiuti in entrata ed uscita dal territorio nazionale/comunitario.
L’attività svolta negli ultimi anni dalla Dogana di Venezia nel controllo del traffico transfrontaliero
dei rifiuti e i pregevoli risultati conseguiti in questo settore, oltre a dare consapevolezza
dell’ampiezza degli interessi economici coinvolti, permette di individuare il porto di Venezia come
uno fra gli scali maggiormente utilizzati in Italia per l’esportazione di rifiuti, con un trend in
continua crescita. Questo anche in ragione del fatto che il Veneto è tra le regioni con il maggior
numero di impianti di detenzione e recupero di rifiuti e, data l’incidenza dei costi elevati del
trasporto su strada, il porto di Venezia costituisce la naturale via di uscita di tali traffici.
Come si può notare dal grafico n. 1, le esportazioni di rifiuti, appartenenti alle più ricorrenti voci
doganali - quali
VD 2619: scaglie ed altri cascami della fabbricazione della ghisa, del ferro o dell'acciaio
VD 3915: Cascami, ritagli e avanzi di materie plastiche
VD 4012: Pneumatici rigenerati o usati
VD 4707: Carta o cartone da riciclare (avanzi e rifiuti)
VD 7204: Cascami ed avanzi di ghisa, di ferro o di acciaio (rottami)
sono in costante aumento nonostante la congiuntura sfavorevole per l’economia mondiale.
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Fra tutte le direttrici di traffico presenti presso il porto di Venezia, la più significativa per i rifiuti,
così come per molti altri settori, è quella che vede come destinataria la Cina, uno dei paesi col più
frenetico trend di crescita economico al mondo con conseguente “fame” di materie prime. L’analisi
delle destinazioni dichiarate per le spedizioni di rifiuti, rappresentato nel grafico n. 2, consente di
farsi un’idea sulla vastità delle connessioni internazionali di questo traffico.
A tale volume di esportazioni di rifiuti si affianca un significativo rischio di fenomeni di
esportazione illegale, visto l’interesse economico collegato, e la concreta possibilità di utilizzo di
tali traffici da parte della criminalità organizzata. Rispettare le norme ambientali in merito allo
smaltimento di scarti di lavorazione, dei materiali pericolosi, dei rifiuti solidi e liquidi ha
evidentemente dei costi che spingono alcune aziende a tentare di tramutare questo onere finanziario
in un ricavo utilizzando spesso i movimenti transfrontalieri dei rifiuti quali strumenti di elusione dei
controlli sul ciclo dei rifiuti.
L’attività dell’Ufficio delle Dogane di Venezia conferma questa ipotesi. Infatti, all’incremento delle
esportazioni è corrisposto un incremento dei sequestri, che hanno riguardato maggiormente settori
merceologici quali la carta, i rottami di ferro e la plastica destinati per lo più in Cina, con eccezione
0
50000000
100000000
150000000
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250000000
300000000
350000000
400000000
2010
2011
1 gen-31 ott 2012
cascami di plastica
scaglie di laminazione
pneumatici
carta da macero
rottami
Grafico n.1
Cina 55,53 %
Indonesia 19,30 %
India 3,37 %
Turchia 17,84 %
Taiwan 1,20 %
Destinazione rifiuti in esportazione (totale anni 2010-2011-2012)
Grafico n. 2
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dei sequestri di rifiuti relativi a parti di autovetture che hanno come destinazione privilegiata i paesi
del nord Africa.
Alla luce della rilevanza di tale traffico nel porto di Venezia e i rischi in esso insito, si è sentita
l’esigenza da parte dell’Agenzia delle Dogane di adottare, sia a livello centrale ma ancor più a
livello locale, azioni concertate di prevenzione e contrasto con un approccio ed una strategia diretti
a promuovere la cooperazione ad ampio raggio fra le varie istituzioni aventi il compito di prevenire
tali illeciti. Sulla base di tale approccio, fin dal 2010, l’ufficio della Dogana di Venezia ha stipulato
con la Provincia di Venezia – Assessorato alle Politiche ambientali, un protocollo di intesa che è
espressione dello sforzo di allargare e razionalizzare l’impegno sul versante dei crimini ambientali.
La stipula di questo protocollo permette di partecipare al tavolo tecnico di coordinamento
organizzato periodicamente dalla Provincia di Venezia con tutti i soggetti che hanno stipulato
analoghi protocolli di intesa, quali i Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente, il Corpo Forestale
dello Stato, la Capitaneria di porto di Venezia e di Chioggia, la Polizia Ferroviaria, la Polizia
Stradale del triveneto, e l’Arpav, con i quali vengono organizzate delle importanti operazioni
interforze.
Tra queste merita menzione l’Operazione Serenissima, che ha portato i Carabinieri per la Tutela
dell’Ambiente, dopo complesse indagini, partite proprio da controlli su esportazioni effettuati
presso il porto di Venezia congiuntamente dall’Ufficio della Dogana di Venezia e dall’Arpav, a
sgominare una complessa organizzazione criminale che aveva la propria sede principale in Veneto e
che, con certificazioni false e bolle contraffatte, inviava in Cina, ad impianti di recupero che
Egitto 28500
Hong Kong 76400
Guinea 6801 Ghana
5000
Guinea Bissau 900
Cina 839464
Ufficio delle Dogane di Venezia rifiuti sequestrati in esportazione nel 2011 (totale kg 957065)
Cina 2144350
Costa d'Avorio 4200
Hong Kong 17126
India 26420
Ufficio delle Dogane di Venezia rifiuti sequestrati in esportazione nel 2012 (totale kg 2192096)
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esistevano solo sulla carta, rifiuti tossici prodotti in Italia. Questi rifiuti venivano poi utilizzati a
destinazione o come fonti di energia, con ricadute a livello globale, o per la produzione di prodotti
di ogni genere – dai giocattoli ai materiali informatici – con un alto grado di tossicità.
L’esperienza lavorativa conferma che con l’andar del tempo si assiste ad un perfezionamento dei
sistemi criminali riguardanti il circuito dei rifiuti i quali, sfruttando proprio la maggiore complessità
dei controlli che i traffici transfrontalieri richiedono, tentano di effettuare esportazioni illecite di
rifiuti, attraverso il ricorso alla declassificazione dei rifiuti che vengono presentati all’esportazione
quali non rifiuto con falsa documentazione, oppure attraverso la predisposizione di complesse
architetture documentali che coinvolgono soggetti di diversi paesi del mondo.
In aggiunta, sempre più frequentemente si assiste ad vera e propria deviazione di traffico, lamentata
dagli stessi operatori del settore, verso i porti di paesi europei confinanti, quali ad esempio la
Slovenia, che ancora non attuano sistemi di controllo e repressione articolati ed efficaci quali quelli
in essere presso lo scalo veneziano.
A fronte di questa complessità, creare reti tra le varie istituzioni che hanno il compito di prevenire e
reprimere gli illeciti è l’unica strategia efficace per ridurre il rischio insito nel divario di conoscenza
che esiste tra controllori e controllati che, invece, sanno sempre ed immediatamente quasi tutto
quello che serve per lucrare sui traffici illegali. L’importanza di creare “reti”, è stata ribadita
nell’ultimo rapporto “ecomafia 2012” della Direzione Nazionale Antimafia”, che evidenzia “la
tendenza che vede tali reati come frutto di una strategia criminale in cui le organizzazioni di tipo
mafioso, che non necessariamente sono e devono essere presenti in occasione della loro
consumazione, svolgono una funzione vicaria, seppur importantissima, per il conseguimento degli
scopi illeciti che fanno capo a ben altre entità criminali che si annidano e/o interagiscono in/con
centrali economico-finanziarie di alto livello, che operano al fine di far conseguire a chi svolge
attività imprenditoriali di grande rilievo il maggior utile col minimo costo, a spese dell’ambiente.
Una triste realtà criminogena, in quanto risultano colpite le imprese virtuose che, piuttosto che
godere della rispetto della legalità, ne risultano punite”.
La capacità di analisi dinamica dei flussi e l’intercettazione di fenomeni “anomali” che spesso
sfuggono ai controlli ordinari nel territorio, è il valore aggiunto apportato dalla Dogana nel lavoro
sinergico svolto con i vari soggetti istituzionalmente coinvolti nella tutela dell’ambiente .
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Le “rotte” dei rifiuti prodotti in provincia di Venezia NON E’ PIU’ LA CAMPANIA LA DESTINAZIONE DEI RIFIUTI VENEZIANI
MA LE VICINE LOMBARDIA E L’EMILIA. E’ UNA DELLE SCOPERTE
FATTE ANALIZZANDO IL FLUSSO EXTRAREGIONALE DEI RIFIUTI
PRODOTTI IN PROVINCIA DI VENEZIA
Flavio Culiat
Con questo articolo vogliamo fornire un’analisi sulle destinazioni extraregionali dei rifiuti speciali
(ex art. 184 c.3 D. Lgs. 152/06) prodotti in Provincia di Venezia anche se le quantità prese in esame
rappresentano solo una parte (anche se significativa) dei rifiuti effettivamente prodotti sul territorio
veneziano.
I dati sono stati rilevati analizzando le aziende che producono rifiuti in quantità totale annua
superiore alle 500 tonnellate. La scelta si è resa necessaria per l’impossibilità di raccogliere le
informazioni relative a tutti i produttori di rifiuti della provincia di Venezia che sono nell’ordine
delle migliaia. La soglia delle 500 tonnellate è stata determinata per limitare, ad un numero
accettabile, i dati da esaminare ma soprattutto perché è ragionevole ritenere che i produttori di rifiuti
di modeste quantità non hanno alcuna convenienza ad “esportare” direttamente i rifiuti fuori
provincia; i costi di gestione sono, normalmente, inversamente proporzionali alle quantità trattate.
La scelta operata si è quindi basata sugli obiettivi da raggiungere ovverosia accertare quali siano le
destinazioni dei rifiuti fuori provincia e verificare se, a distanza di anni, esista ancora una direttrice
verso l’Italia meridionale ed in particolare verso la regione Campania.
Premettiamo che i dati raccolti possono solo dare un’idea di come i rifiuti prodotti nella provincia di
Venezia vengano movimentati e quali siano le rotte principali. Ciò è sostanzialmente dovuto
all’impossibilità di ricostruire le movimentazioni di ogni singola partita di rifiuto prodotto che può
essere destinata ad effettive operazioni di recupero o smaltimento, come accade in molti casi, o
avviata a fasi intermedie di gestione quali sono le operazioni D13 - D14 - D15 previste dell’allegato
B ovvero le operazioni R12 - R13, previste dell’allegato C della parte IV del D.Lgs. 152/06. Tali
operazioni prevedono, infatti, la possibilità di raggruppare, ricondizionare e scambiare i rifiuti
rendendo di fatto impossibile ricostruire l’intera filiera di ogni singola partita di rifiuti, senza
eseguire una verifica direttamente in impianto.
Nei dati raccolti devono inoltre essere messe in conto eventuali discrasie con i dati reali, causati da
fattori non valutabili senza operare un controllo sul “campo”; non è raro imbattersi in casi di rifiuti
conferiti ad impianti autorizzati e sottoposti ad operazioni di messa in riserva/deposito preliminare a
cui vengono attribuiti codici CER non corretti, con conseguente perdita dell’origine e della
tracciabilità del rifiuto.
Fatta questa doverosa premessa si vuole ora passare ad analizzare i vari capitoli di rifiuti prodotti
nel 2011 sul territorio veneziano, sulla base della classificazione in pericoloso - non pericoloso e in
funzione dell’origine degli stessi ovvero in funzione del codice CER attribuito e alla loro successiva
destinazione.
Nel corso del 2011, in provincia di Venezia, le imprese aventi una produzione superiore alle 500
tonn. annue, hanno generato 266.584,7 tonn. di rifiuti non pericolosi e 52.097,5 tonn. di rifiuti
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pericolosi. Le principali regioni italiane di destinazione dei rifiuti prodotti sono state la Lombardia,
l’Emilia Romagna ed il Friuli Venezia Giulia che hanno ricevuto rispettivamente 95.000 tonn.
78.000 tonn. e 54.000 tonn. di rifiuti. Seguono poi regioni come il Piemonte, la Toscana ed il
Trentino Alto Adige che si attestano tutte intorno alle 10.000 tonnellate di rifiuti ricevuti. Da
rilevare che i flussi di rifiuti verso le regioni del sud sono contenuti e si limitano alla Sardegna per
quanto concerne i rifiuti esclusivamente pericolosi (2.243,8 tonn.) e alla Puglia che “importa” solo
rifiuti non pericolosi (3.000 tonn.). Non compare tra i destinatari dei rifiuti prodotti in provincia di
Venezia, la Regione Campania.
Tra i principali paesi esteri di destinazione dei rifiuti prodotti in Italia si segnala l’Austria con
12.000 tonn. (tutti non pericolosi), la Germania con circa 10.000 tonn., la Slovenia (5.000 tonn.),
l’Ungheria (3.000 tonn.) ed il Pakistan (1000 tonn.). Sono altresì presenti stati esteri come la Cina
(600 tonn.), la Francia, la Svezia, l’Olanda e la Slovacchia. La somma dei quantitativi importati da
quest’ultime nazioni non raggiungono però le 500 tonn. annue.
Sorprende un po’ il dato relativamente contenuto della Cina che, soprattutto negli ultimi anni, è
diventato uno dei maggiori paesi importatori di rifiuti (principalmente materie plastiche), prodotti in
Italia. Molto probabilmente i flussi riguardano materiali che hanno già cessato la qualifica di rifiuto
(art. 184-ter D. Lgs. 152/06) e vengono esportati come beni.
Quaderno Osservatorio ambiente legalità Venezia
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Il trend di destinazione dei rifiuti è confermato anche come meta “preferita” per rifiuti pericolosi.
Le principali regioni di esportazione sono l’Emilia Romagna e la Lombardia. Si segnala il Piemonte
che nella particolare classifica risulta essere la seconda regione per quantità (12.821 tonn.) e la
Sardegna che importa dalla provincia di Venezia esclusivamente rifiuti pericolosi (2.243 tonn.). I
paesi esteri che ricevono le quantità maggiori di rifiuti pericolosi sono la Germania (3.103 tonn.) e
la Slovenia (2.783 tonn.).
Analizzando l’esportazione dei rifiuti sotto il profilo dell’origine va sicuramente evidenziato che a
quasi la metà dei rifiuti non pericolosi prodotti in provincia di Venezia (103.980 tonn.) è stato
attribuito un codice appartenente al capitolo 19 (CER 19 xx xx). Tale codice è ascrivibile solamente
ai rifiuti che, destinati ad impianti autorizzati alla gestione, hanno subito un trattamento finalizzato
al recupero o allo smaltimento degli stessi. È ragionevole ritenere che una buona percentuale di tali
rifiuti sia originariamente stata prodotta da quegli impianti la cui produzione non supera le 500
tonn. annue e che, per i motivi detti in precedenza, non sono stati analizzati.
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La quasi totalità dei rifiuti destinati alla Cina sono stati identificati con i codici CER 19xxxx e che
quindi rappresentano “lo scarto” prodotto dalle attività di recupero/smaltimento degli impianti di
gestione rifiuti operanti sul territorio veneziano.
Solo ai fini statistici vanno segnalate le principali categorie di rifiuti (indicate per quantità ed in
ordine decrescente) prodotti in provincia di Venezia:
CER 19 xx xx “Rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti, impianti di trattamento delle
acque reflue fuoti sito…….”. I rifiuti del capitolo 19 prodotti in provincia di Venezia ed esportati
nell’anno 2011 ammontano a 111.280 tonn. di cui 7.300 tonn. di rifiuti pericolosi e 103.980 tonn. di
rifiuti non pericolosi;
CER 17 xx xx “Rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione ….”. I rifiuti del capitolo 17
prodotti in provincia di Venezia ed esportati nell’anno 2011 ammontano a 71.485 tonn. di cui
40.020 tonn. di rifiuti pericolosi e 31.465 tonn. di rifiuti non pericolosi;
CER 10 xx xx “rifiuti prodotti da processi termici”. I rifiuti del capitolo 10 prodotti in provincia di
Venezia ed esportati nell’anno 2011 ammontano a 65.580 tonn. di cui 5.524 tonn. di rifiuti
pericolosi e 60.056 tonn. di rifiuti non pericolosi;
CER 13 xx xx “Oli esauriti e residui di combustibili liquidi ….”. I rifiuti del capitolo 13 prodotti in
provincia di Venezia ed esportati nell’anno 2011 ammontano a 22.235 tonn. La totalità dei rifiuti
appartiene alla categoria dei pericolosi;
CER 16 xx xx “Rifiuti non specificati altrimenti nell’elenco ….” (rientrano in questa categoria ad
esempio i veicoli fuori uso, le apparecchiature elettriche, i gas e i prodotti chimici di scarto, ecc.). I
rifiuti del capitolo 16 prodotti in provincia di Venezia ed esportati nell’anno 2011 ammontano a
19.597 tonn. di cui 7.437 tonn. di rifiuti pericolosi e 12.160 tonn. di rifiuti non pericolosi;
CER 20 xx xx “Rifiuti urbani….inclusi i rifiuti della raccolta differenziata”. I rifiuti del capitolo 20,
prodotti in provincia di Venezia ed esportati nell’anno 2011, ammontano a 8.951 tonn. di cui 593
tonn. di rifiuti pericolosi e 8.358 tonn. di rifiuti non pericolosi;
CER 07 xx xx “Rifiuti dei processi chimici organici”. I rifiuti del capitolo 07, prodotti in provincia
di Venezia ed esportati nell’anno 2011, ammontano a 7.898 tonn. di cui 3.437 tonn. di rifiuti
pericolosi e 4.461 tonn. di rifiuti non pericolosi;
CER 12 xx xx “Rifiuti prodotti dalla lavorazione e dal trattamento fisico e meccanico superficiale di
metalli e plastica”. I rifiuti del capitolo 12, prodotti in provincia di Venezia ed esportati nell’anno
2011, ammontano a 6.061 tonn. di cui 218 tonn. di rifiuti pericolosi e 5.843 tonn. di rifiuti non
pericolosi;
CER 15 xx xx “Rifiuti di imballaggio, assorbenti, stracci, materiali filtranti, e indumenti
protettivi….”. I rifiuti del capitolo 15, prodotti in provincia di Venezia ed esportati nell’anno 2011,
ammontano a 5.719 tonn. di cui 673 tonn. di rifiuti pericolosi e 5.046 tonn. di rifiuti non pericolosi;
CER 02 xx xx “Rifiuti prodotti da agricoltura, orticoltura, acquacoltura, selvicoltura, caccia e pesca,
trattamento e preparati di alimenti”. I rifiuti del capitolo 02, prodotti in provincia di Venezia ed
esportati nell’anno 2011, ammontano a 5.350 tonn. La totalità dei rifiuti appartiene alla categoria
dei non pericolosi;
CER 06 xx xx “Rifiuti dei processi chimici inorganici”. I rifiuti del capitolo 06, prodotti in
provincia di Venezia ed esportati nell’anno 2011, ammontano a 5.086 tonn. di cui 8 tonn. di rifiuti
pericolosi e 5.078 tonn. di rifiuti non pericolosi;
CER 03 xx xx “Rifiuti della lavorazione del legno e della peoduzione di pannelli, mobili, polpa,
carta e cartone”. I rifiuti del capitolo 03, prodotti in provincia di Venezia ed esportati nell’anno
2011, ammontano a 2.147 tonn. La totalità dei rifiuti appartiene alla categoria dei non pericolosi.
Quaderno Osservatorio ambiente legalità Venezia
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Dove investono le mafie SETTORI ASSISITITI, AZIENDE MEDIO PICCOLE E A BASSA TECNOLOGIA.
ECCO DOVE INVESTONO LE MAFIE. UNA RICERCA DI TRANSCRIME
SULLE MAFIE NELL'ECONOMAI LEGALE RIVELA CHE NON SEMPRE I
MAFIOSI INVESTONO PER RICICLARE DENARO
Osservatorio ambiente e legalità Venezia
Le mafie investono, anche, al nord. Questo dato è ormai incontestabile e non da oggi. Ma in quali
settori, con quali preferenze e con che modalità? A queste domande cerca di rispondere una recente
ricerca (vedi qui: http://www.investimentioc.it) curata dal centro studi Transcrime che evidenzia
alcuni risultanti importanti e per certi versi inaspettati.
«I settori a bassa tecnologia, alta intensità di manodopera e alto coinvolgimento di risorse
pubbliche»: questi le caratteristiche dei settori economici più esposti all’investimento da parte delle
mafie. Imprese medio - piccole che operano in settori non regolamentati e caratterizzati dal
coinvolgimento, anche economico, delle pubbliche amministrazioni – in settori, cosiddetti
“protetti”, caratterizzati da sussidi o appalti pubblici come il settore delle energie rinnovabili, dei
rifiuti, della sanità, delle infrastrutture, dei servizi pubblici e dei trasporti, un basso grado di
apertura verso l’estero, basso livello tecnologico e alta intensità di manodopera: questo appare
l’identikit dell’obiettivo dell’investimento mafioso.
Ma perché le organizzazioni mafiose investono nell’economia legale? La ricerca identifica diverse
motivazioni che a loro volta influenzano la tipologia di investimento: alla base può esserci la ricerca
di massimizzare il profitto economico – con una predilezione dei mafiosi per gli investimenti in
terreni, fabbricati e appartamenti, più che in azioni e titoli e quindi per quei settori economici che
garantiscono maggior redditività e maggiori garanzie a livello economico un ritorno
dall’investimento in tempi brevi -, oppure l’esigenza di riciclare o occultare le attività criminali.
Altre motivazioni possono riguardare l’esigenza di controllare del territorio o la ricerca del
consenso sociale – attraverso la gestione di manodopera, ad esempio – e altre ragioni di ordine
culturale e personale.
Smentendo una vulgata diffusa negli ultimi anni, la ricerca “boccia” i mafiosi come imprenditori:
«le aziende delle organizzazioni mafiose analizzate mostrano una profittabilità in linea con le
concorrenti “legali” del settore – scrive Transcrime -, o spesso addirittura peggiore, per colpa di una
gestione inefficiente e nonostante l’utilizzo di espedienti tipici del metodo mafioso, come le
intimidazioni verso personale, concorrenti, fornitori e la manipolazione degli appalti pubblici»
La forma giuridica più diffusa tra le aziende a partecipazione mafiosa è la società a responsabilità
limitata (Srl), «ritenuta il miglior compromesso tra l’agilità di costituzione e gestione e le esigenze
di occultamento dell’identità criminale grazie alla frammentazione del capitale tra più soggetti
diversi». I prestanome vengono scelti scelti principalmente nella stretta cerchia famigliare e
parentale, e spesso ricorre l’utilizzo di complesse strutture di controllo societario, caratterizzate da
partecipazioni incrociate e schemi “a scatole cinesi”. Le mafie difficilmente si rivolgono a risorse
esterne, come consulenti e manager, ma coinvolgono le cerchie famigliari e gli appartenenti alle
cosche, in particolare nel caso dell’ndrangheta. La logica seguita, insomma, non è quella della
ricerca dell’efficienza, ma dell’affidabilità e della comune appartenenza.
Per minimizzare il rischio le società più appetibili risultano quelle non quotate e di dimensioni
limitate, per ridurre la pubblicità delle informazioni societarie. «La crescita dell’azienda infiltrata
Quaderno Osservatorio ambiente legalità Venezia
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non è un obiettivo per il mafioso imprenditore – sintetizza la ricerca – al contrario, egli mira a
diversificare gli investimenti, investendo i nuovi profitti in nuove imprese o società sia nello stesso
settore che in settori economici differenti. La diversificazione del portafoglio de- gli investimenti,
insieme all’utilizzo di prestanome, permetterebbe anche di ridurre il rischio di confisca e sequestro
dei beni dell’organizzazione a seguito di un’indagine giudiziaria».
Un aspetto molto interessante della ricerca riguarda la quantificazione dei guadagni derivanti
dall’investimento: «il crimine paga molto meno di quello che si dice» scrivono gli analisti di
Transcrime che contraddicono, con un’analisi più accurata,i dati usciti negli ultimi anni e che
vorrebbero un fatturato pari a circa il 10% del PIL ad esclusivo vantaggio delle organizzazioni
criminali
I ricavi illegali ammontano in media all’1,7% del PIL. Nel complesso, le attività illegali analizzate
forniscono ricavi che variano tra un minimo di 17,7 e un massimo di 33,7 miliardi di €. In media, i
ricavi illegali corrispondono all’1,7% del PIL nazionale e a circa 427€ per abitante nel 2010. Le
droghe generano i maggiori ricavi (in media 7,6 mld €) seguiti da estorsioni (4,7 mld €),
sfruttamento sessuale (4,6 mld €) e contraffazione (4,5 mld €).
Per quanto riguarda il Veneto i ricavi di tutte le attività illegali sono valutati in due miliardi di euro
all’anno quale media tra un minimo di 1,3 e un massimo di 2,7 miliardi all’anno. I diversi settori
presi in esame vanno dallo sfruttamento sessuale (un giro d’affari di 400 milioni di euro in Veneto)
alle armi. Dalla droga (al primo posto con 530 milioni in Veneto) alle contraffazioni (settore
lucrosissimo con 525 milioni in Veneto).
Da sottolineare con attenzione il mercato illegale dei rifiuti speciali che vede il Veneto, secondo
Transcrime, al primo posto in Italia con un fatturato di 149 milioni di euro.
Attenzione: i dati che riguardano i ricavi illegali riguardano solo per una parte le organizzazioni
criminali. In Veneto le organizzazioni mafiose tradizionali hanno un peso diverso: la ’ndrangheta il
37 per cento (fatturato di 167 milioni di euro), la camorra il 12.5 per cento (56 milioni), Cosa
Nostra il 5 per cento (24 milioni). La preponderanza complessiva è di altre organizzazioni che
raggiungono il 44 per cento.
Quaderno Osservatorio ambiente legalità Venezia
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Si scrive lotta alla corruzione
si legge democrazia e difesa dei beni comuni
QUALCHE ANNOTAZIONE E SOMMAREI PROPOSTE PER USCIRE
DAL MALAFFARE E DALLA CORRUZIONE Osservatorio ambiente e legalità Venezia
L'inchiesta in corso che ha portato agli arresti, con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata
alla frode fiscale, di imprenditori, faccendieri e portaborse di primo piano, quali Piergiorgio Baita,
Claudia Minutillo, William Colombelli, sembrano confermare quello che da anni inchieste
giornalistiche e puntuali e documentate denunce di associazioni e comitati ambientalisti vanno
dicendo da anni: in Veneto ha funzionato un rodato sistema che attraverso la progettazione e
esecuzione di grandi opere - di utilità dubbia e immane impatto ambientale certo - ha garantito la
distribuzione di ingenti risorse pubbliche ad una ristretta cerchia di soggetti imprenditoriali.
Che questa “distribuzione” abbia riguardato anche soggetti politici saranno le inchieste della
magistratura a stabilirlo: la costituzione di fondi neri, si parla di 10 milioni di euro, grazie al
pagamento da parte della Mantovani a fronte dell'emissione di fatture per lavori inesistenti da parte
della sanriminese Bmc Broker di William Colombelli dà una certa consistenza a questa ipotesi.
Certo è che in questi anni ha prosperato un imprenditoria «protetta» che, grazie a contatti
privilegiati con la classe politica e a procedure agevolate – la decretazione d'urgenza legata alla
protezione civile nel caso del Passante, il monopolio garantito al Consorzio Venezia nuova nel caso
del Mose, il project financing nel caso di molte altre grandi opere – ha potuto dribblare la crisi e
scaricare sulla collettività i costi abnormi dal regime di monopolio di fatto. Obiettivo
dell’imprenditore protetto, più che il profitto, è la rendita assicurata da politici e funzionari pubblici
senza rischio d’impresa. Si sviluppa così una classe imprenditoriale parassitaria, preoccupata di
curare le relazioni coi decisori politici e burocratici di riferimento – e le tecniche riparate per
ricambiare i favori ricevuti – più che di innovare e gestire con efficienza le attività produttive. Un
fenomeno che in Italia sta assumendo dimensioni incredibili: misurando solo i collegamenti politici
ufficiali, sanciti dalla proprietà di quote rilevanti o dalla presenza dei politici in organi societari, in
Italia il 10,3 per cento delle imprese è politicamente connessa, contro una media Ocse dell’1,98 per
cento1.
Basti dire che i costi del Passante, come denunciato dalla Corte dei Conti, sono lievitati del 60,62
per cento tanto che i magistrati hanno sottolineato «la necessità di una effettiva analisi economico-
finanziaria degli investimenti fin dalle fasi iniziali della progettazione, per poterne valutare ex ante
la fattibilità e la finanziabilità, nonché per definire una corretta analisi e allocazione dei rischi
associati alla realizzazione e gestione delle opere». O l'enorme buco nero rappresentato dal Mose i
cui lavori vengono affidati, senza gare d'appalto, alle ditte legate al Consorzio Venezia Nuova.
Nel caso delle nuove arterie autostradali siamo di fronte al rischio d’impresa scaricato sull’utente.
Le nuove strade sono pagate dai flussi di traffico veicolare. Tariffe alte come nel caso del Passante
di Mestre. Il costo del pedaggio autostradale, considerati gli aumenti 2008/2009 sulla tratta Padova
– Venezia alla fine vale per un pendolare il 10 per cento dello stipendio mensile. Se poi non
bastassero le rimesse per la sostenibilità economica dell’opera si aggiustano verso l’alto le tariffe in
1 Dossier sulla corruzione curato da Legambiente, Libera e Avviso pubblico, 2013
Quaderno Osservatorio ambiente legalità Venezia
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accordo con la società di gestione, o si creano le condizioni per incrementare la saturazione della
strada attraverso la costruzione di nuovi insediamenti economici e sociali lungo l’arteria. Alla fine
si dovrebbe, dopo i vent’anni di tariffe alte servite per ripagare l’opera rivedere in riduzione le
tariffe del pedaggio. Nemmeno questo: è già pronto un nuovo piano di opere da finanziare perché il
business non si interrompa.
A questo punto occorre, oltre ad aspettare l'evolversi delle indagini della magistratura, fare
chiarezza e avanzare proposte puntuali per una concreta lotta alla corruzione.
Riassumiamo alcune questioni di fondo:
1) In questi anni la programmazione regionale è sparita. Il piano regionale dei trasporti è fermo al
1990. Nel contempo, nell’attesa del nuovo PTRC, si sono progettati, in particolare modo da parte
delle società autostradali, numerose strade a pagamento con l’utilizzo della finanza di progetto. In
questi anni dispositivi come programmazione, pianificazione territoriale, certezza di regole sono
stati sostituiti da tutta una serie di accordi pubblico-privati «in deroga», fortemente discrezionali,
quali gli «accordi di programma», i «progetti speciali o strategici a regia regionale» , i Piruea
[piani/progetti urbanistico - edilizi proposti dai privati anche in difformità dalla programmazione
urbanistica, talvolta enormi interventi che stravolgono qualsiasi piano]. In generale le forme di
«urbanistica contrattata» - uno degli strumenti più tipici della corruzione svelati da tangentopoli –
sono ora ancora più generalizzati [e legittimati dalla legge regionale urbanistica n.11/2004 che non
fissa alcun limite né criterio oggettivo , contrariamente ad altre regioni, per il calcolo del rapporto
tra vantaggi pubblici e valorizzazione delle aree private, negli strumenti negoziali della
contrattazione/perequazione urbanistica]. E’ da notare come gli esiti negativi, specie in termini di
accentuata ripresa dei fenomeni corruttivi, legati in particolare allo spreco o cattivo utilizzo dei
fondi pubblici e di cattivo governo del territorio, sia stato più volte documentato e denunciato dalla
Corte dei Conti.
2) L’uso dello strumento della finanza di progetto ha attaccato il principio della lealtà fiscale del
cittadino verso la sussidiarietà statale. Il cittadino paga le tasse e in cambio ha il diritto di ricevere
servizi adeguati e dignitosi secondo il livello di contribuzione versato. In Veneto le cose stanno
così: le rimesse statali sono scarse; il federalismo è cosa vuota; la disparità di trattamento con altre
Regioni italiane è evidente; le nuove opere stradali sono ormai tutte realizzate in finanza di
progetto. Alla fine il cittadino paga le tasse previste e raddoppia la lauta paga alle società
autostradali per consentire i piani di rientro di sostenibilità economica delle opere.
3) La scelta delle opere necessarie è stata operata con criteri discrezionali. In caso di opzioni
alternative, come nel caso del Passante, si è sempre optato per la scelta più impattante dal punto di
vista ambientale e a più alto costo e margini di remunerazione più alti. Ad un più alto tasso di
corruzione corrispondono politiche di sperpero del territorio e delle risorse. A tutto detrimento di
opere più piccole, diffuse, più controllabili dai soggetti sociali interessati.
4) «La corruzione è aumentata in maniera notevolissima, c’è uno scadimento del senso della
giustizia non si vede il disvalore di questi comportamenti, sono quasi tollerati e accettati» ha
sottolineato Vittorio Rossi presidente vicario della Corte d’appello di Venezia in occasione della
recente inaugurazione dell'anno giudiziario. In Veneto i reati contro la pubblica amministrazione
sono aumentati da 3572 a 4403, con un quasi raddoppiamento dei casi di peculato [più 77,1 per
cento] e incrementi notevoli di corruzione [+32,6%] e concussione [+17,5%]. Non c'è solo il caso
“Mantovani”, non siamo solo di fronte a quello che viene chiamato, con qualche fondamento,
«sistema Galan»: dalle inchieste sulle opere fluviali del dopo alluvione – nella bassa padovana per il
rifacimento di 300 metri di argine sono stati spesi dal Genio civile 4,5 milioni di euro e un'indagine
Quaderno Osservatorio ambiente legalità Venezia
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della procura è in corso -, al coinvolgimento di personaggi legati ad altre aree politiche – ricordiamo
l'indagine per corruzione che ha condotto all'arresto di Lino Bertan del Pd e che ha fatto, in qualche
modo premessa delle recenti evoluzioni – dipinge uno scenario in cui i fenomeni corruttivi
intrecciano in modo profondo l'economia e la politica di questa regione.
5) Trasparenza negli affidamento dei lavori significa pulizia, in tutti i sensi. Occorre porre grande
attenzione alla «filiera» costruttiva delle grandi opere. Se nel caso della Valdastico sud
l'affidamento dei lavori hanno seguito procedure «normali» [legge Merloni e successive modifiche],
altre grandi opere venete sono state eseguite e progettate in project financing e, alle volte, anche con
l'uso della decretazione d'emergenza, come nel caso della Pedemontana Veneta, bocciata da una
recente sentenza del Tar del Lazio e del Passante. A questo proposito riportiamo quanto scritto dalla
Corte dei conti nella relazione conclusiva sui lavori per il Passante di Mestre del 6 maggio del 2011:
«La criminalità organizzata tende ad assumere un ruolo preponderante non tanto nella fase
dell’aggiudicazione, ma nella fase dell’esecuzione, privilegiando il suo inserimento, anche nel
circuito economico delle grandi opere, attraverso il sub-appalto o le attività di fornitura di merci e
servizi locali, e rappresentando, tra l’altro, una fonte di costo “extra”. Del resto la libertà di cui gode
il soggetto esecutore [il general contractor deve assicurare l’esecuzione dell’opera 'con ogni mezzo'
e non deve scegliere le imprese mediante procedure concorsuali] può trasformarsi in occasione di
infiltrazione malavitosa».
6) Oggettivamente l'attivazione di grandi opere ha garantito l'afflusso di risorse anche verso il
basso: catene di subappalto che hanno garantito la sopravvivenza anche a piccole e medie aziende
operanti nella filiera edilizia. Si tratta però di un sistema chiuso dove lavorano sempre i soliti perché
il sistema ed è un sistema oliato e perfetto nelle sue dinamiche finanziarie, economiche e sociali.
Inoltre l'immobilizzazione di grandi quantità di finanziamenti bancari nel meccanismo sicuro del
project financing sono soldi sottratti all’apparato manifatturiero. Il finanziamento di progetto di
grandi opere come le strade a pagamento è un investimento buono e sicuro. Si tratta di risorse
finalizzate alla rendita nel mentre in tempi di crisi come quelli attuali si dovrebbero orientare le
scarse risorse verso il sostegno alla innovazione e ricerca del sistema produttivo regionale e
dall’altro contemporaneamente si riduce la capacità di reddito del cittadino.
Possibili proposte
Il vizio di questo sistema sta a monte e qualora si decida di modificarlo bisogna invertire i fattori
della decisione politica. In questi anni moltissime decisioni sulle infrastrutture sono state discusse,
proposte e assunte nei piani alti delle società di costruzioni, avvallate dalle associazioni di
rappresentanza delle aziende, avanzate attraverso una martellante campagna mediatica, infine fatte
proprie dal potere politico. Le aziende fanno il loro interesse e mestiere. Nessuno dotato di senno
può chiedere loro di votare per fare altro rispetto alla ragione economica e sociale che è costruire
infrastrutture.
Bisogna riportare al centro del dibattito regionale, con lealtà e coraggio, le seguenti priorità:
1) Buone opere, basta con le grandi opere. Le società interessate hanno sempre nuove grandi opere
in cassetto da proporre al sistema. Le grandi opere sono tutte prioritarie ed indispensabili? La
contraddizione scoppiata tra Valdastico Nord e Valsugana è il paradigma di questa confusione
infrastrutturale. E’ possibile che alla nostra Regione serva qualche grande opera in meno e al suo
posto un migliaio di piccole buone opere che favoriscano invece la competizione e la risoluzione
dei tanti punti critici della mobilità di merci e persone. Occorre una moratoria su tutte le opere in
project financing finché non verrà rivisto il sistema di finanziamento e verificata l'utilità pubblica.
Quaderno Osservatorio ambiente legalità Venezia
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2) Chiudere con la stagione dell'emergenza e delle procedure straordinarie nella conduzione delle
opere pubbliche [Pedemontana Veneta, Valsugana, Tav in primis]. Procedure che, come denunciato
dalla Corte dei conti, hanno provocato una «mutazione – per così dire “genetica” - delle ordinanze
di protezione civile [...], provocando una marginalizzazione dei procedimenti di affidamento
normativamente previsti [codice dei contratti] e l’esclusione degli organi di controllo come la Corte
dei conti o l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici». Ricordiamo anche, a questo proposito, che
l’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici nel 2009 sottolineava: «Si rappresenta il timore che il
sistematico ricorso a provvedimenti di natura emergenziale, celando l’assenza di adeguate strategie
di intervento per la soluzione radicale del problema, si risolva in una sistematica ed allarmante
disapplicazione delle norme del codice degli appalti».
3) Predisporre strumenti sensati di programmazione [cave, energia, paesaggio, rifiuti speciali...].che
contengano gli indirizzi, gli obiettivi strategici, le indicazioni concrete, gli strumenti disponibili, i
riferimenti legislativi e normativi, le opportunità finanziarie, i vincoli, gli obblighi e i diritti per i
soggetti economici operatori di settore, per i cittadini. Sarebbe indispensabile che il Consiglio
Regionale affronti questa questione in modo chiaro e trasparente, definisca le priorità
infrastrutturali, la pianificazione territoriale in accordo con le amministrazioni locali regionali e le
parti sociali, selezioni i bisogni reali.
4) Non solo strade. Il ritardo infrastrutturale della nostra Regione, rispetto alle altre regioni italiane
e europee, è necessario sia colmato. L’attenzione della politica regionale non può essere unicamente
rivolta alle strade a pagamento. Occorre investire in maniera decisa sulla ferrovia ( potenziamento
della rete, apertura nuove linee ferroviarie, avvio di società regionali opportunamente finanziate,
sostegno logistico al trasporto cargo,deciso sviluppo della intermodalità): una scelta che darà meno
occasioni di affari ai soliti noti, ma riduce il consumo di territorio per nuove strade e migliora le
condizioni di vivibilità delle persone.
5) Stroncare la lievitazione dei costi con l'attivazione di precisi strumenti di controllo di controllo e
trasparenza. Uno studio dalla banca Intesa San Paolo del 2008 ci dice che in Spagna un chilometro
di autostrada costa 14,6 milioni di euro mentre in Italia costa 32 milioni di euro. Dispiacerà ad
Impregilo o Mantovani, ma risparmieremo tutti noi.
6) Avviare procedure di partecipazione vincolanti, incisive e reali sui destini territoriali. Secondo la
Corte dei conti, infatti, «è ormai da più parti acclarato che l’unico metodo per eliminare, o quanto
meno limitare, la cd. 'sindrome Nimby' è la previa concertazione, cioè la consultazione ed il
coinvolgimento degli Enti locali, prendendo in considerazione le potenzialità di sviluppo del
territorio, le politiche per la tutela dell’ambiente ed i processi di inclusione dei portatori di
interessi».
7) Disboscare la giungla di società partecipate della Regione che hanno avuto un ruolo rilevante, da
quello che apprendiamo dai risultati dell'inchiesta in corso, come «bancomat» - senza controlli
pubblici ma utilizzando denaro di tutti noi - delle società «cartiere» coinvolte nell'inchiesta.
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Attività di contrasto: il caso Entei HA VINTO UNA GARA D'APPALTO NEL TREVIGIANO. MALGRADO
L'INTERDITTIVA ANTIMAFIA IL CONTRATTO NON ERA STATO
REVOCATO. LA DENUNCIA DELL'OSSERVATORIO NEI CONFRONTI
DELL'ENTEI E LE DIFFICOLTÀ DELLE AZIONI DI CONTRASTO
Osservatorio ambiente e legalità Venezia
La società Entei
La Environmetal Technologies International2, in sigla Entei, è una importante società operante
nell'ambito della gestione del ciclo delle acque e delle bonifiche. Si tratta di una società
sostanzialmente nata dalle ceneri della Ibi idroimpianti spa, una società colpita da interdittiva
antimafia e protagonista dell'inchiesta sulla discarica di Chiaiano in Campania. La Ibi, sospesa dalla
gestione del sito di Chiaiano nel febbraio 2011, è accusata di aver utilizzato materiali scadenti ed
aver dato subappalti alla Edil Car della famiglia Carandente Tartaglia legata al clan Mallardo e ai
Casalesi.
La Ibi, di proprietà della famiglia D'Amico, viene acquistata dalla Entei spa nel 2011. Dario Spigno,
ex procuratore di Ibi, risulta ora amministratore unico di Entei e strettamente legato alla famiglia
D’Amico. Nel 29 marzo 2012, Spigno è stato condannato insieme a Alessandra D’Amico per
l’omicidio colposo di Pietro Ghiani, un operaio morto nel 2008 mentre lavorava in nero in un
cantiere a Mores, provincia di Sassari. Anche gli altri proprietari della Entei hanno in passato
lavorato per Ibi: Imperato Liberato e Franco Russo, azionisti di maggioranza dell’Entei, erano
rispettivamente direttore tecnico e socio della Ibi.
Entei: alcuni incidenti di percorso
Il 28/10/2011 la Prefettura di Cagliari emette nei confronti della Entei l'informativa interdittiva
antimafia ex art.10 Dpr 252/98. Successivamente la ditta ricorre al Tar Sardegna [n. 1174/2011] per
impugnare il provvedimento.
Il 7/11/2011 perviene al Consorzio d'ambito ottimale di Agrigento da parte della prefettura di
Cagliari una «informazione interdittiva» [ex art. 10 D.P.R. n. 258/98] disposta nei confronti della
Entei Spa società facente parte del raggruppamento d'imprese “Girgenti Acque spa”. In seguito a
questo, in data 9/11/2011, il Consorzio d'ambito [nota prot. 2200] invitava la società di gestione
«entro trenta giorni dalla ricezione della nota a porre in essere i consequenziali provvedimenti». Nel
23/11/2011 Girgenti Acque Spa comunicava la irrevocabile decisione della Entei Spa di alienazione
dell'intero pacchetto azionario posseduto pari al 33% del capitale sociale.
Il 20/1/2012 [nota di prot. n. 827] la Prefettura di Caltanissetta comunicava alla locale Autorità
d'ambito che nei confronti di ENTEI SpA con sede a Cagliari “pur non sussistendo nei confronti del
legale rappresentante della citata società cause di divieto o di sospensione dei procedimenti indicati
nell'allegato I al decreto legislativo 490/94...sussistono tentativi di infiltrazione mafiosa da parte
della criminalità organizzata tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della stessa”.
2 Le informazioni sulla Entei sono in gran parte desunte dall'articolo di Antonio Musella, A Bagnoli c'è odor di
camorra, in Left n. 25 del 23 giugno 2012
Quaderno Osservatorio ambiente legalità Venezia
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In seguito a questo l'Autorità d'Ambito [nota di prot. 203 del 30.1.2012] diffidava la società
Caltacqua - Acque di Caltanissetta SpA - gestore del servizio idrico integrato per tutta la provincia
di Caltanissetta -, a «risolvere in via immediata ogni e qualunque rapporto contrattuale ad oggi
intrattenuto con la ditta ENTEI SpA, facente parte della relativa compagine sociale». Nel febbraio
del 2012 il consiglio d'amministrazione di Caltacqua - Acque di Caltanissetta SpA decreta
l’espulsione dal consiglio di amministrazione della ditta Entei (subentrata alla Ibi nella proprietà del
9 per cento delle azioni di Caltacqua).
Entei in Veneto
Il 25/5/2011 la società Alto trevigiano Servizi srl assegna, dopo gara d'appalto, all'Entei i lavori per
l'ampliamento del depuratore di Carbonera (Tv). Il 14/3/2012 la società allertata da articoli di
stampa, richiedeva alla Prefettura di Cagliari l'informativa antimafia ex art. 10 DPR 252/98.
Il 4/4/2012 la Prefettura di Cagliari informava di aver emesso in data 28/10/2011 nei confronti della
ditta l'informativa interdittiva antimafia. La società Alto trevigiano valuta, anche sulla scorta di un
parere pro-veritate richiesto, di attendere l'esito del ricorso al Tar per poter procedere alla
risoluzione del contratto e all'affidamento dei lavori alla ditta secondo classificata in graduatoria.
Il 30 luglio 2012 l'Osservatorio “ambiente e legalità” invia un esposto alla Prefettura di Treviso.
Negli stessi giorni Gianni Pellizzari, consigliere comunale a Trevignano [Tv] invia un
interrogazione alla giunta comunale (per cui riceve risposta il 1/9/2012 e il 26/9/2012, vedi allegati).
Il 28/9/2012 la Prefettura risponde assicurando «di aver provveduto ad avviare ogni utile verifica
sulla vicenda segnalata».
Considerazioni
Vista la vicenda che coinvolge Entei è utile sintetizzare alcune considerazioni di fondo utili
pensiamo per ostacolare l'infiltrazione di ditte legate alla criminalità organizzata nel settore degli
appalti delle opere pubbliche.
Il protocollo della legalità nelle grandi opere pubbliche sottoscritto il 9 gennaio di quest'anno dal
ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri, del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, e da
rappresentanti dell'Anci e dell'Upi anche fosse entrato in vigore in tempo per la gara d'appalto in cui
vinse l'Entei, non sarebbe applicabile in quanto è previsto tetto di 5 milioni di euro come importo
complessivo dei lavori sopra il quale è previsto [articolo 2, pg 8 del Protocollo] che le stazioni
appaltanti siano tenute alla comunicazione in Prefettura della pubblicazione del bando di gara.
Come abbiamo denunciato a suo tempo si tratta di una cifra molto elevata che esclude tutto ciò che
avviene per appalti più modesti che però sono quelli territorialmente più impattanti.
Occorre por mano ad un sistema informativo per cui le Prefetture dove si svolgono i lavori, in
questo caso quella di Treviso, vengano tempestivamente informate dell'emissioni di provvedimenti
quali quello che ha riguardato l'Entei.
In generale è da rilevare l'interesse da parte di ditte in odore di criminalità organizzata, anche in
questi territori, nei confronti di lavori riguardanti il ciclo dell'acqua. Un dato significativo che deve
far riflettere sui controlli e le politiche utili per la gestione di questa vitale risorsa.
Quaderno Osservatorio ambiente legalità Venezia
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Presentazione Osservatorio ambiente legalità Venezia
Cos'è l'Osservatorio ambiente e legalità
Una struttura di servizio e di raccordo tra diversi soggetti che si occupano di difesa dell’ambiente e
dei beni comuni. L’Osservatorio intende promuovere ricerche e documentazione sul fenomeno delle
ecomafie e della criminalità ambientale, in collaborazione con le forze dell’ordine, con l’obiettivo
di offrire quadri conoscitivi convincenti e sensati, e strumenti per l’azione di prevenzione.
L’osservatorio ambiente e legalità è promosso da Legambiente Veneto con il sostegno e la
collaborazione dell’Assessorato all’ambiente e alla città sostenibile del Comune di Venezia.
Perché un Osservatorio ambiente e legalità
Pensiamo necessario comprendere la natura e le dimensioni delle minacce e degli attacchi che
minano la qualità degli ecosistemi. Qualsiasi strategia di prevenzione dell'illegalità ambientale non
può prescindere da una individuazione dei settori a maggior rischio - come quelli del ciclo dei rifiuti
e del cemento - e delle dinamiche di aggressione del territorio. Diversi soggetti dispongono di dati e
conoscenze importanti: occorre però aggregarli ed analizzarli nella loro complessità.
Obiettivi
L’Osservatorio punta a:
o approfondire i caratteri delle ecomafie con speciale riguardo agli aspetti che possano
interessare Venezia e l’area metropolitana, a cominciare dalle politiche in materia di traffico
di rifiuti;
o promuovere quadri conoscitivi meditati in grado di dare conto della complessità dei fattori
in gioco basandosi sia sulle evidenze empiriche che sui modelli sociologici e criminologici
più accreditati;
o valorizzare le competenze e le risorse dei diversi soggetti impegnati nel territorio a difesa
dei beni comuni;
o promuovere una più attenta cultura dei beni comuni quale condizione indispensabile per uno
sviluppo giusto e pulito.
Quaderno Osservatorio ambiente legalità Venezia
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Cosa fa l’Osservatorio
Attività di formazione
Abbiamo proposto una serie di incontri – in collaborazione con lo Iuav di Venezia - denominato
«Dark economy a nordest» per approfondire temi quali il traffico di rifiuti, la rendita immobiliare e
la corruzione.
Abbiamo in programma per il mese di ottobre 2013 un laboratorio «Scrivere e leggere di mafie»
destinato agli operatori dell'informazione sulla falsariga di quello organizzato nel 2012.
Attività di ricerca e analisi
Abbiamo attivato due ricerche relative alle dinamiche operative della criminalità ambientale nel
litorale del Veneto e il ciclo dei materiali riguardanti l'area di Porto Marghera.
Documentazione e ricerca
L'Osservatorio si è dotato di un database sui fenomeni di illegalità ambientale, sui reati spia e sulle
manifestazioni più esemplificative delle dinamiche operative dell'ecomafia nel territori veneziano e
veneto. Attraverso il costante monitoraggio della stampa periodica, dei siti web informativi e dalla
consultazione periodica con esponenti delle forze dell'ordine il database, che viene messo a
disposizione a chi ne faccia richiesta, viene costantemente aggiornato.
Cura ed edizione di materiali documentali
Abbiamo predisposto dossier tematici per proporre un quadro affidabile della situazione su alcune
tematiche, come il ciclo del cemento.
Aggiorniamo quotidianamente il sito appositamente allestito e proporrà l'edizione di due quaderni
sull'illegalità ambientale e alcuni dossier tematici tra cui uno sul fenomeno degli incendi di
prossima pubblicazione.
Antenna sul territorio
Riceviamo segnalazioni e monitoriamo il territorio: grazie a questa attività abbiamo ad esempio
segnalato, nell'agosto scorso, alla Prefettura di Treviso la presenza nel trevigiano di una ditta che
aveva vinto un appalto per l'ampliamento di un depuratore e che aveva subito una interdittiva
antimafia.
Quaderno Osservatorio ambiente legalità Venezia
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Carta d’intenti del Comitato Scientifico Osservatorio ambiente legalità
Venezia
Il comitato scientifico dell’Osservatorio ambiente legalità promosso da Legambiente in
collaborazione con il Comune di Venezia si propone come struttura di riferimento regionale per
l’osservazione, l’analisi, la comprensione e la restituzione delle trasformazioni territoriali ad alto
impatto ambientale e legate a fenomeni di illegalità e criminalità.
Le attività del comitato scientifico dell’Osservatorio saranno molteplici e toccheranno gi aspetti e i
temi legati all’indagine in senso stretto dei fenomeni di illegalità perpetrata ai danni del territorio e
delle comunità insediate, ma anche di promozione della cultura della legalità.
La criminalità ambientale – di matrice mafiosa o meno – non è un fenomeno «deviante», ma un
indicatore preciso di una patologia estesa del sistema politico ed economico. Un esempio: non si
possono, a nostro avviso, comprendere fenomeni macroeconomici come il boom dell’edilizia degli
scorsi anni senza tenere presente fenomeni corruttivi o di riciclaggio del denaro. L’analisi sociale,
territoriale ed economica condotta attraverso la cornice della criminalità ambientale può riservare
interessanti scoperte sulle dinamiche sociali generali e dare indicazioni preziose per intraprendere
percorsi necessari di cambiamento.
Per questo si indagheranno i processi di abusivismo edilizio, di smaltimento illegale di rifiuti, del
ciclo del cemento – tema centrale e generatore – per restituire un quadro conoscitivo e interpretativo
del contesto territoriale regionale attraverso l’osservazione dai diversi punti di vista ed ambiti
disciplinari.
Concretamente le attività del comitato scientifico si tradurranno in:
promozione di attività di ricerca su temi specifici;
monitoraggio dei fenomeno in corso nel contesto regionale;
promozione di esperienze didattiche all’interno di corsi e laboratori sul ciclo del cemento avviando
interscambi e collaborazioni tra i docenti e con la partecipazione di esperti;
promozione di cicli di seminari a tema;
scuole estive sui temi dell’Osservatorio;
pubblicazione di report, articoli, libri per l’informazione della attività dell’Osservatorio e di
comunicazione dei risultati raggiunti;
collaborazioni tra diversi soggetti, associazioni ed enti istituzionali finalizzata alla promozione di
attività condivise e di una cultura della legalità.
Membri del comitato scientifico sono:
Marco Baretta, Gianni Belloni, Gianfranco Bettin, Maurizio Billotto, Matteo Ceruti, Maurizio
Dianese, Nicola Destro, Marco Favaro, Laura Fregolent, Luigi Lazzaro, Gabriele Licciardi,
Giuseppe Mosconi, Francesco Musco, Luigi Pellizzoni, Pierpaolo Romani, Stefania Tonin,
Francesco Vallerani, Mauro Varotto.