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Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia dall’ Internamento dalla Guerra di Liberazione e loro familiari n. 1-2-3 Gennaio-Febbraio-Marzo 2019 Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale -D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1, DCB ROMA rassegna mensile informativo-culturale della anrp (Purgatorio, canto I, v. 70)

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SOMMARIO

ANRP - LIBERISede Legale e Direzione00184 Roma - Via Labicana, 15/aTel. 06.70.04.253 · Fax 06.77.255.542internet: www.anrp.ite-mail: [email protected]

Presidente Nazionale e Direttore EditorialeEnzo Orlanducci

Direttore ResponsabileSalvatore Chiriatti

Redattore CapoRosina Zucco

RedazioneBarbara BechelloniFabio Russo

Registrazione- Tribunale di Roman. 17530 - 31 gennaio 1979

- Registro Nazionale della Stampan. 6195 - 17 febbraio 1998

Poste Italiane S.p.A.Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003(conv. in L. 27-02-04 n. 46) art. 1, comma 1,DCB Roma

Gli articoli firmati impegnano solo la responsabilitàdell’Autore. Tutti gli articoli e i testi di “Liberi” pos-sono essere, citandone la fonte, ripresi e pubblicati.

Ai sensi della legge n. 675/96 (tutela dati perso-nali) l’Anrp garantisce la massima riservatezza deidati personali forniti dagli associati e la possibilitàdi richiederne gratuitamente la rettifica o la cancel-lazione, scrivendo ad ANRP, Via Labicana, 15/a00184 Roma

GraficaStefano Novelli

StampaBottega Grafica srlsViale Parioli, 54 - 00197 Roma

In copertina:…montasi su Bismantova in cacumecon esso i piè; ma qui convien ch’om voli(Dante, Purgatorio, canto IV, vv.26-27)La Pietra di Bismantova (Reggio Emilia)Foto di Luca Angeletti

Dato alle stampe nel mese di aprile 2019

Un target miratodi 8.000 lettori

n. 1-2-3 Gennaio-Febbraio-Marzo 2019 Editorialedi Enzo Orlanducci

All’A. M. il riconoscimento Targadi Benemerenza Icaro 2018

Mattarella: Il Giorno della Memoria è uninvito costante e stringente all’impegno ealla vigilanza

Giorno del Ricordo: Significa rivivereuna grande tragedia italiana

La Vittoria nella Grande Guerra comefattore di unione tra gli italianidi Mario Carini

Donne e uomini dell’Esercito al serviziodel Paesedi Potito Genova

The choice is not between violence andnonviolence but between nonviolenceand nonexistencedi Anna Maria Calore

Tante braccia per il Reich!a cura di Maria Elena Ciccarello

Il novecento, secolo di genocidi estermini di massadi Rosina Zucco

Diario dell’alpino francesco Maccario

La Ministra della Difesa presente allacommemorazione per le vittime delnaufragio dell’Oria

a cura di Fabio Scrocco

a cura di Gisella Bonifazi

In visita al Museo

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EDITORIALEdi Enzo Orlanducci

“La memoria sembra invadere oggi lo spazio pubblico delle società occidentali. Il passato accompagna il nostro presente esi radica nell’immaginario collettivo, fino a suscitare quella che alcuni commentatori hanno definito un’ossessione comme-morativa amplificata con forza dai media… La sacralizzazione dei luoghi della memoria dà luogo ad una vera topolatrìa ela rivisitazione permanente del passato recente produce inevitabilmente un effetto di saturazione della memoria”.1

nel primo dopoguerra l’incapacità di ascolto, con il problema della ricostruzione e la fretta di dimenticare, fu d’ostacoloal difficile percorso di formazione di una memoria collettiva. Solo tra gli anni ‘60 e ’80 fu riservato un certo spazio ai so-pravvissuti, suscitando una sensibilità nuova per la vittima, ma ciò generò un clima culturale sempre più contraddistintodalla privatizzazione delle pratiche di conservazione della memoria e dalla valorizzazione delle storie di vita vissuta.All’inizio del XXI secolo, con la scomparsa della generazione di chi era scampato alla tragedia del mondo concentrazio-nario e la maturazione della generazione successiva, si è consolidata quella propensione a fare del racconto della tribo-lazione un indizio inconfutabile dell’attendibilità del suo relatore. Il testimone individuale è divenuto sempre più spessoil protagonista della ricostruzione sul mondo della cattività e ogni occasione celebrativa diventa lo scenario pubblico incui esprimere il rituale rievocativo.Oggi assistiamo più che mai al fenomeno della frantumazione della memoria collettiva e alla sua interazione, spessocontradditoria, con quella individuale; i committenti delle memorie non possono e non vogliono aspettare, vogliono avereil loro riconoscimento, esercitando pressione sulla storia che tarda a storicizzare, anche solo per il fatto che il lavorodella storiografia, per sua natura, richiede lentezza di rielaborazione, ricerca, documentazione. L’AnRP non ha voluto e non vuole utilizzare la forma del ricordo per incidere, con forte impatto emotivo, sulla memoriacollettiva, senza prima passarlo al vaglio del rigore metodologico e concettuale della ricerca e della documentazionestorica. Infatti l’Associazione si è strutturata con il suo Centro studi, documentazione e ricerca, a valenza internazionale,in modo da resistere alla fortissima pressione delle memorie che possono determinare scorciatoie, evitando il ricorsoalla traduzione immediata delle memorie attraverso qualche ricostruzione o narrazione che, pur condivisa, non sia statavagliata nella sua attendibilità dal punto di vista storico.L’incalzante bisogno di trasmettere un patrimonio inestimabile di ricordi vivi, altrimenti destinati a perdersi, l’adozionesistematica di politiche commemorative e il convertire il passato a lungo rimosso in un autentico “valore”, non hannonulla a che vedere con il riparazionismo.Pur senza escludere l’opportunità di risarcimenti materiali, l’AnRP persegue con tenacia la strada del risarcimento mo-rale, civile, culturale e storico. E’ una posizione difficile, deputata forse a rimanere senza risposta nel tempo breve, maè l’unico modo per trovare il giusto equilibrio tra memoria e storia, usando l’una in funzione, e non in sostituzione, del-l’altra.La sovrabbondanza di narrazione storica prodotta dai media e dalla rete informatica, la sua pervasività e invadenza,anche nella dimensione quotidiana, privata e collettiva, porta spesso ad un sfrenato e dilagante consumismo di vulgatestoriche quasi sempre funzionali alla battaglia politica del momento o strumentali per gruppi di potere o comunità divario tipo che veicolano, nell’uso pubblico della storia, le tensioni socio-politiche in atto. Semplificazioni, banalizzazionie forzature cui l’AnRP si sottrarrà sempre.

3·LIBERI

1• (E. Traverso, Storia e Memoria. Gli usi politici del passato, in Novecento, Istituto Storico di Modena, n. 10, 2004, p.9)

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4·LIBERI

L’Arma azzurra ha celebrato il 96° anniver-sario della sua costituzione con una cerimo-nia svoltasi all’aeroporto militare di

Ciampino il 28 marzo, nel corso della quale al 3°Reparto Genio Aeronautica Militare di Bari Palese

è stata consegnata la Targa di benemerenza Icaro2018, “per essersi distinto in interventi infrastruttu-rali e per la sicurezza di grandi eventi internazionalied emergenze nazionali”. Il prestigioso riconoscimento è stato affidato da Al-

berto Rosso, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronau-tica militare, a Giuseppe Russi, comandante del Re-parto, alla presenza del Ministro della Difesa,Elisabetta Trenta e del Capo di Stato Maggiore dellaDifesa, Enzo Vecciarelli. nel contesto della cerimonia è stata conferita allaBandiera di Guerra della 46a Brigata Aerea di Pisa,l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine Militared’Italia “per il prezioso supporto fornito per il tra-sporto tattico ed il rifornimento in volo in molteplicied impegnative operazioni di mantenimento dellapace e della sicurezza internazionale”. Proprio in questi giorni gli stessi equipaggi della46° Brigata Aerea sono impegnati nel trasporto dioperatori della Protezione Civile e aiuti umanitariin Mozambico, in soccorso alle popolazioni colpitedal ciclone Idai. Madrina d’eccezione la vedova di francesco Cava-lera, classe 1919, Sig.ra Dora, che ha accettato benvolentieri di partecipare alla cerimonia su invitodell’AnRP e della Difesa per ricordare, nel cente-nario della nascita, colui che fu Presidente dell’As-

sociazione dal 1982 al 2005 e la sua illustre figuradi pilota e di spicco nella carriera militare che loha visto Capo di Stato Maggiore della Difesa dal1978 al 1980, nonché promotore di predetto rico-noscimento interforze.

All’AeronauticaMilitare

la Targa diBenemerenzaIcaro 2018

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5·LIBERI

Ha aperto la cerimonia l’intervento del Capo di StatoMaggiore dell’Aeronautica Militare, Alberto Rosso,che dopo aver rivolto un pensiero ai Caduti in ser-vizio nell’assolvimento del proprio dovere, ha volutoripercorrere brevemente le tappe più significativedella storia dell’Arma Azzurra e il processo di tra-

sformazione che, sin da quel lontano 28 marzo del1923, ha permesso di dotare la nazione di un’orga-nizzazione militare indipendente e di rilevanza stra-tegica, al pari delle altre forze Armate. “Oggi comeallora“ - ha evidenziato Rosso - “l’Aeronautica Mili-tare rappresenta una risorsa strategica, preziosa edirrinunciabile al servizio dell’Italia e sostanzia la com-ponente dello strumento militare nazionale a cui ri-sale il compito di esprimere il potere aero-spazialedella Difesa, in piena sinergia e univocità d’intenticon le componenti terrestri e navali. Il veloce pro-gresso tecnologico richiede alla Forza Armata unacontinua valorizzazione della propria competenza di-stintiva nella dimensione aerea, anche nella prospet-tiva di rafforzare il ruolo di attore abilitante nellanaturale estensione verso l’aerospazio e lo spazio. Inquesta prospettiva - ha aggiunto Rosso - è il contributodell’Arma Azzurra a tutela e per la sicurezza e difesadel Paese, del suo territorio e dei suoi cittadini, cosìcome lo è a sostegno della presenza e ruolo nazionalein seno alla NATO, alla UE e alle Nazioni Unite, sinoall’apporto al mantenimento della pace e della stabi-lità internazionale, esercitato anche attraverso le ope-razioni al di fuori dei confini nazionali, nelle qualitrova ulteriore conferma l’esemplare professionalità,competenza e generosità del nostro personale”.A seguire, le parole del Capo di Stato Maggioredella Difesa , Enzo Vecciarelli, che ha voluto rivol-

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6·LIBERI

Il riconoscimento interforze “Targa di benemerenzaICARO” è stato istituito dall’ANRP, in data20/10/1975, con il patrocinio dello Stato MaggioreAeronautica, in seguito all’approvazione del Mini-stro della Difesa, per il personale militare dell’ Aero-nautica e poi nel 1979 estesa, d’intesa con gli altriStati Maggiori, anche agli appartenenti alle altreForze Armate, col fine di dare un pubblico tangibilesegno di riconoscimento a quel militare, di qualsiasiarma, grado o ruolo, che si è distinto per eccezionaliazioni di ardimento, per spirito di sacrificio o eleva-tissimo senso del dovere ed ammirevole sentimentodi solidarietà umana, dimostrati nell’espletamentodel servizio e che abbia contribuito alla affermazionedell’onore e del prestigio delle Forze Armate. L’ANRP ha preso in prestito questo nome-simbolodella leggenda di Icaro, narrata da Ovidio nelle “Me-tamorfosi”, che interpreta il mito come giovanile de-siderio d’avventura. Ma già nel nostro Rinascimento la figura di Icaro as-sunse significati diversi, complementari a quellidell’antica mitologia. Egli appariva cioè come il gio-vane proteso verso il futuro e pronto a dare la vitaper un ideale rappresentato dal sole verso il qualevolava. Gabriele D’Annunzio, nelle “Laudi” rappre-

gere il proprio plauso a tutto il personale dell’Aero-nautica, militari e civili, “per la vostra quotidiana‘naturale’ eccezionalità, che attraverso ogni singolovostro gesto, parte di un armonico lavoro di squadra,consente di rendere reale e concreta la sicurezza e ladifesa di ogni italiano, anche quando non se ne per-cepisce immediatamente il bisogno”. Infine l’intervento del Ministro della Difesa Elisa-betta Trenta, che nel ricordare la storia della forzaArmata iniziata 96 anni fa, ha evidenziato come“oggi l’Aeronautica Militare è una componente fon-damentale dello strumento militare nazionale, unarisorsa strategica preziosa, in grado di esprimere ca-pacità operative ed eccellenze tecnologiche di altis-simo livello, sia al servizio del Paese sia per lasalvaguardia della sicurezza e della stabilità interna-zionale, in un approccio sempre più interforze e in-ternazionale”. “La protezione dei nostri cieli - haaggiunto il Ministro - così come il soccorso alle po-polazioni colpite da calamità, il trasporto d’urgenzadi malati, il contributo alla difesa degli spazi euro-atlantici e alle missioni internazionali sono solo al-cune delle innumerevoli attività che le donne e gliuomini in uniforme azzurra sostengono con grande

impegno e delle quali, come cittadini italiani, dob-biamo essere profondamente orgogliosi.”La cerimonia di Ciampino è stata preceduta, in mat-tinata, dalla deposizione, al lapidario di Palazzo Ae-ronautica, di una corona di alloro da parte del Capodi Stato Maggiore dell’Aeronautica in ricordo ditutti i Caduti dell’Aeronautica Militare. La giornataviene ricordata in tutto il Paese con l’apertura alpubblico di diverse basi della forza Armata.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha in-viato al Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, Al-berto Rosso, un messaggio in cui esprime il suo altoapprezzamento per l’attività svolta dall’AeronauticaMilitare, impegnata quotidianamente nel suo ruolo disalvaguardia dello spazio aereo a tutela della sicurezzadel Paese, dei Paesi alleati, della comunità internazio-nale. “Esprimo la mia più sentita gratitudine in partico-lare a tutto il personale impiegato nei teatri operativi,che opera con grande professionalità, nel rispetto delleidentità locali […] . Alle donne e agli uomini di ogni or-dine e grado dell’Aeronautica, al personale civile, allefamiglie giunga, in questa giornata, l’augurio e il salutopiù caloroso della Repubblica.”

DOVERESACRIFICIOSOLIDARIETÀ

Il significato dellaTarga di Benemerenza

“ICARO”

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7·LIBERI

nato a Lecce (1919), ha iniziato il servizio nell’Aeronautica Militare nel 1937,ha frequentato i corsi regolari dell’Accademia Aeronautica, dove, alla fine delprimo anno di corso, si classificò al primo posto mantenendo poi inalterata taleposizione durante gli anni successivi.Sottotenente Pilota in S.P.E. nel 1941, fu assegnato, nel 1942, al 51° StormoCaccia con il quale partecipò alle operazioni belliche nel Mediterraneo sinoall’8 Settembre 1943, venendo insignito di tre medaglie al valor militare, unad’argento e due di bronzo, di cui le prime due “sul campo”.Sorpreso a Roma dall’armistizio, dopo un periodo trascorso in territorio occu-pato durante il quale partecipò alla Resistenza e, dopo essere stato fermatodalle autorità militari tedesche, sfuggì alla cattura, raggiunse nel 1944 il ter-ritorio liberato e partecipò con il ricostituito 51° Stormo Caccia alla guerra diliberazione, conseguendo una quarta decorazione al valor militare.Dopo la guerra ha frequentato il corso normale ed il corso superiore dellaScuola di Guerra Aerea di firenze, classificandosi al primo posto; ha prestatoservizio, oltre che ai reparti d’impiego, allo Stato Maggiore dell’Aeronautica,in diversi periodi e con diverse funzioni.

Ha rivestito i seguenti incarichi:• Sottocapo di Stato Maggiore dell’Aeronautica dal 1971 al 1972• Direttore Generale del Personale Militare dell’Aeronautica dal 1972 al 1975• Segretario Generale del Ministero della Difesa dal 1 febbraio 1975 al 31 gennaio 1978• Capo di Stato Maggiore della Difesa dal 1° febbraio 1978 al 1° febbraio 1980• Presidente nazionale dell’AnRP dal 1982 al 2005

senta il volo di Icaro come disprezzo dei limiti, ten-sione suprema, volontà di conquista e di potenza,“concluse nella bella morte”. Nei tempi moderni la figura di Icaro è diventata an-cora più complessa e proprio da essa l’ANRP si èfatta guidare nella scelta del nome di riconosci-mento. Infatti si è visto in Icaro il curioso indagatoredelle splendide realtà della natura, un vero e proprioUlisse del cielo. Nello stesso tempo nel mito si èmessa in luce la presenza del padre di Icaro, Dedalo,il ricercatore, l’ideatore delle ali, il costruttore di essee l’istruttore saggio del volo. Si è passati a metterein evidenza la stretta collaborazione fra passato epresente, fra saggezza di esperienza e coraggio delnuovo, che possono dare soluzione ai problemi piùardui. Oggi Icaro è inteso quale simbolo della collabora-zione indispensabile fra le generazioni degli anzianie quelle dei giovani. L’ANRP ha inteso quindi legare a questo nome-sim-bolo il mito del passato e la realtà dell’oggi, per rive-stire di ideale l’opera pragmatica e la tecnica di chiha voluto e vuole superare le leggi dello spazio al dilà dei limiti fisiologici dell’Uomo. Dedalo per anni e anni fu il fabbro inventore della li-

vella e del trapano, coltivò le conoscenze tecniche, fuimmaginifico, e cercò di trasfondere, egli prigioniero,al suo figliolo Icaro mortificato anch’egli nella per-duta libertà, la passione degli spazi, l’insopprimibiledesiderio di libertà. I grandi spazi non erano limiti aisognatori, la realtà degli uccelli fu suggestione, la pa-zienza stimolò gli studi sin tanto che dopo prove eriprove, con modestia della cera e della piume, en-trambi si misero per il cielo, a far propri gli azzurriimmensi e la sognata libertà. La grande famiglia dell’ANRP, composta ancora oggida uomini con i capelli bianchi, ha voluto, con la“Targa di benemerenza ICARO”, riaffermare con vi-gore i valori in cui, giovani, hanno creduto e per iquali hanno sofferto e lottato: e sono rimasti fedeliad ideali che nel mondo d’oggi possono apparirespietatamente contraddittori. Gli insigniti del riconoscimento ICARO sono la ri-prova della eroica e coraggiosa fedeltà quegli idealie lasciano ancora sperare in un mondo di purezzapur nella difficoltà di una società arida e crudele. Il messaggio dell’’’ICARO’’ consiste in un supremoIdeale che miracolosamente ci sostiene tra tantesmentite e fedi sfiorite. Un mito che risorge con unanuova vita.

FRANCESCO CAVALERA

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8·LIBERI

Si è svolta al Palazzo del Quirinale, il 24 Gen-naio, la celebrazione del “Giorno della Me-moria”. La manifestazione, condotta da

francesca fialdini, è stata aperta con la proie-zione di un filmato dal titolo “Le donne nella

Shoah”, realizzato da Rai Storia e la parteci-pazione della cantante Cristina Zavalloni

che ha eseguito i brani musicali “PiesnRozpaczy” di Bela Lustman, accompa-

gnata al piano dal maestro francesco

Mattarella:Il Giorno dellaMemoria èun invitocostante estringente

all’impegno ealla vigilanza

Lotoro e “Kolisanka Osviecinska” di Henry Lesczin-sky. Sono intervenuti la Vice Presidente del Memo-riale della Shoah, Milena Santerini, la Presidentedell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane,noemi Di Segni e il Ministro dell’Istruzione, del-l’Università e della Ricerca, Marco Bussetti. Eranopresenti il Presidente della Camera dei Deputati,Roberto fico, il Presidente del Consiglio dei Mini-stri, Giuseppe Conte, la Vice Presidente del Senatodella Repubblica, Paola Taverna, rappresentanti delGoverno, del Parlamento, delle Associazioni degliex internati e deportati, della Comunità ebraica, eautorità politiche, civili e militari; l’AnRP era pre-sente con una numerosa delegazione, con a capoEnzo Orlanducci, presidente nazionale.La poetessa Edith Bruck ha portato la sua testimo-nianza e l’attrice Isabella Ragonese ha letto alcunibrani della stessa autrice e la poesia “Vago per The-resienstadt” tratta dall’opera Brundibar di IlseWeber. Infine, le studentesse federica e Giulia, chehanno partecipato al Concorso “I giovani ricordanola Shoah”, hanno raccontato la loro esperienza du-rante il Viaggio della Memoria ad Auschwitz.La cerimonia si è conclusa con il discorso del Pre-sidente della Repubblica Sergio Mattarella, ilquale ha detto: “Sono passati settantaquattro annidalla liberazione del campo di sterminio di Au-schwitz. Eppure, nonostante il tanto tempo tra-scorso, l’orrore indicibile che si spalancòdavanti agli occhi dei testimoni è tuttorapresente davanti a noi, con il suoterribile impatto. Ci interroga eci sgomenta ancora oggi.Perché Auschwitz non èsoltanto lo sbocco

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9·LIBERI

inesorabile di un’ideologia folle e criminale e di unsistema di governo a essa ispirato. Auschwitz, eventodrammaticamente reale, rimane, oltre la storia e ilsuo tempo, simbolo del male assoluto.Quel male che alberga nascosto, come un virus mici-diale, nei bassifondi della società, nelle pieghe oc-culte di ideologie, nel buio accecante degli stereotipie dei pregiudizi. Pronto a risvegliarsi, a colpire, a con-tagiare, appena se ne ripresentino le condizioni.Una società senza diversi: ecco, in sintesi estrema, ilmito fondante e l’obiettivo perseguito dai nazisti. Di-versi, innanzitutto, gli ebrei. Colpevoli e condannaticome popolo, come gruppo, come ‘razza’ a parte”.“Le persecuzioni naziste - ha proseguito Mattarella -si iscrivevano in un progetto di società basato sul pre-dominio dei popoli cosiddetti forti e puri sui popolideboli, su un nazionalismo esasperato nemico dellaconvivenza, sulla guerra come fonte di rigenerazionee di grandezza, su un imperialismo alimentato da de-lirio di onnipotenza, sulla sottomissione dell’indivi-duo allo Stato, sulla negazione della libertà dicoscienza, sulla repressione feroce di ogni forma didissenso. Tutto quel che la nostra Costituzione ha vo-luto consapevolmente bandire e contrastare - se-gnando un discrimine tra l’umanità e la barbarie -con il riconoscimento di eguali diritti e dignità adogni persona e con l’obiettivo e il metodo della coo-perazione internazionale per una convivenza pacificatra i popoli e gli Stati”.“Noi Italiani – ha proseguito il Presidente - che ab-biamo vissuto l’onta incancellabile delle leggi razziali

fasciste e della conseguente persecuzione degli ebrei,abbiamo un dovere morale verso la storia e versol’umanità intera. Il dovere di ricordare, innanzitutto,ma, soprattutto di combattere, senza remore e senzaopportunismi, ogni focolaio di odio, di antisemitismo,di razzismo, di negazionismo, ovunque esso si an-nidi. E di rifiutare, come ammonisce spesso la sena-trice Liliana Segre, l’indifferenza: un male tra ipeggiori”.

nell’occasione il Capo dello Stato ha consegnatoagli ex internati militari Peppino Gagliardi e LivioPedron (ritirata dal figlio) la Medaglia d’Onore con-cessa ai cittadini italiani, militari e civili, deportatied internati nei lager nazisti e destinati al lavorocoatto per l’economia di guerra nell’ultimo conflittomondiale, di cui all’articolo 1, commi 1271 -1276,della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

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Giornodel Ricordo:

Significa rivivereuna grande

tragedia italiana

Al Palazzo del Quirinale, il 9 febbraio 2019,si è svolta la celebrazione del “Giorno del Ri-cordo”. nel corso della cerimonia, aperta

dalla proiezione di un video di Rai Storia, sono in-tervenuti: il Presidente della federazione delle As-sociazioni degli Esuli Istriani, fiumani e Dalmati,Antonio Ballarin, lo Storico Giuseppe Parlato, il Mi-nistro degli Affari Esteri e della Cooperazione In-ternazionale, Enzo Moavero Milanesi e il Ministrodell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca,Marco Bussetti. Erano presenti, a dimostrazione della grande ami-cizia che lega, come sottolineato nel suo interventodal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella,oggi i nostri popoli, gli ambasciatori di Slovenia,

Croazia e Montenegro, furio Radìn, Vice Presidentedel Parlamento Croato nonché rappresentante dellaComunità nazionale italiana di Croazia e feliceZiza, deputato all’Assemblea nazionale Slovena,nonché rappresentante della Comunità nazionaleitaliana di Slovenia.L’esule di prima generazione, Giuseppe De Vergot-tini, ha portato la sua testimonianza ed è stato suc-cessivamente intervistato da due studenti.Sempre due ragazzi hanno letto una pagina di“Addio alla Città di Pola” di Monsignor Antonio San-tin e un brano tratto dal romanzo “Verde Acqua” diMarisa Madieri. Successivamente il PresidenteMattarella ha pronunciato un discorso, nel qualeha detto tra l’altro: “Celebrare il Giorno del Ricordosignifica rivivere una grande tragedia italiana, vis-suta allo snodo del passaggio tra la Seconda guerramondiale e l’inizio della guerra fredda. Un capitolobuio della storia nazionale e internazionale, checausò lutti, sofferenza e spargimento di sangue in-nocente. Mentre, infatti, sul territorio italiano, inlarga parte, la conclusione del conflitto contro i na-zifascisti sanciva la fine dell’oppressione e il gra-duale ritorno alla libertà e alla democrazia, undestino di ulteriore sofferenza attendeva gli Italianinelle zone occupate dalle truppe jugoslave. Un de-stino comune a molti popoli dell’Est Europeo: quellodi passare direttamente dall’oppressione nazista aquella comunista. E di sperimentare, sulla propriavita, tutto il repertorio disumanizzante dei granditotalitarismi del novecento, diversi nell’ideologia,ma così simili nei metodi di persecuzione, con-trollo, repressione, eliminazione dei dissidenti.  Un destino crudele per gli italiani dell’Istria, dellaDalmazia, della Venezia Giulia, attestato dalla pre-senza, contemporanea, nello stesso territorio, di duesimboli dell’orrore: la Risiera di San Sabba e le foibe”.“La guerra fredda - ha detto Mattarella - con le suedurissime contrapposizioni ideologiche e militari, feceprevalere, in quegli anni, la real-politik. L’Occidentefinì per guardare con un certo favore al regime delmaresciallo Tito, considerato come un contenimentodell’aggressività della Russia sovietica. Per una serie

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di coincidenti circostanze, interne ed esterne, sugli or-rori commessi contro gli italiani istriani, dalmati e fiu-mani, cadde un’ingiustificabile cortina di silenzio,aumentando le sofferenze degli esuli, cui veniva cosìprecluso perfino il conforto della memoria.Solo dopo la caduta del muro di Berlino – il più vi-stoso, ma purtroppo non l’unico simbolo della divi-sione europea - una paziente e coraggiosa opera diricerca storiografica, non senza vani e inaccettabilitentativi di delegittimazione, ha fatto piena luce sullatragedia delle foibe e sul successivo esodo, resti-tuendo questa pagina strappata alla storia e all’iden-tità della nazione.L’istituzione, nel 2004, del Giorno del ricordo, votatoa larghissima maggioranza dal Parlamento dopo undibattito approfondito e di alto livello, ha suggellatoquesta ricomposizione nelle istituzioni e nella co-scienza popolare.Ricomposizione che è avvenuta anche a livello inter-nazionale, con i Paesi amici di Slovenia e Croazia, nelcomune ripudio di ogni ideologia totalitaria, nellacondivisa necessità di rispettare sempre i diritti dellapersona e di rifiutare l’estremismo nazionalista. Oggi,in quei territori, da sempre punto di incontro di etnie,lingue, culture, con secolari reciproche influenze, nonci sono più cortine, né frontiere, né guerre. Oggi lacittà di Gorizia non è più divisa in due dai reticolati.”“Desidero ricordare qui le parole di una dichiarazionecongiunta tra il mio predecessore, il Presidente GiorgioNapolitano, che tanto ha fatto per ristabilire verità suquei tragici avvenimenti, e l’allora Presidente della Re-pubblica di Croazia Ivo Josipović  del settembre 2011:

Gli atroci crimini commessi non hanno giustifica-zione alcuna. Essi non potranno ripetersi nell’Europaunita, mai più. Condanniamo ancora una volta leideologie totalitarie che hanno soppresso crudel-mente la libertà e conculcato il diritto dell’individuodi essere diverso, per nascita o per scelta.

11·LIBERI

L’ideale di Europa è nata tra le tragiche macerie dellaguerra, tra le stragi e le persecuzioni, tra i fili spinatidei campi della morte. Si è sviluppata in un continentediviso in blocchi contrapposti, nel costante pericolo diconflitti armati: per dire mai più guerra, mai più fana-

tismi nazionalistici, mai più volontà di dominio e di so-praffazione. L’ideale europeo, e la sua realizzazionenell’Unione, è stato - ed è tuttora - per tutto il mondo,un faro del diritto, delle libertà, del dialogo, della pace.Un modo di vivere e di concepire la democrazia che vaincoraggiato, rafforzato e protetto dalle numerose insi-die contemporanee, che vanno dalle guerre commer-ciali, spesso causa di altri conflitti, alle negazioni deidiritti universali, al pericoloso processo di riarmo nu-cleare, al terrorismo fondamentalista di matrice isla-mista, alle tentazioni di risolvere la complessità deiproblemi attraverso scorciatoie autoritarie.”

Al termine il Capo dello Stato, coadiuvato dal Ministrodell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha con-segnato i premi alle scuole vincitrici del concorso na-zionale “fiume e l’Adriatico orientale. Identità,culture, autonomia e nuovi confini nel panorama eu-ropeo alla fine della Prima guerra mondiale”.

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12·LIBERI

La Vittorianella Grande Guerra come fattore di unione

tra gli Italianidi Mario Carini

La prima guerra mondiale fu il primo grande banco di prova del carattere degli Ita-liani, e la vittoria fu il coronamento degli sforzi, che ad un certo punto divennerolotta per la sopravvivenza, della nazione per raggiungere l’agognato obiettivo della

liberazione delle terre “irredente”, Trento e Trieste. fu il fascismo ad appropriarsi dellavittoria nella Grande Guerra e a magnificare, anche attraverso una pervasiva propa-ganda che ebbe le sue monumentali forme nelle statue commemo rative dei Caduti perla Patria, nei ponti (pensiamo, per citare un esempio, al ponte Duca d’Aosta di Roma),in monumenti eretti a segnare il limes della civiltà italica e romana (come quello, con-testatissimo, della Vittoria a Bolzano) e nei Sacrari, tra cui quello più famoso è a Redi-puglia.1

Il conflitto risparmiò allora le grandi città, che ne ebbero esperienza soltanto di riflesso,

APPROFONDIMENTI

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11·LIBERI13·LIBERI

per la penuria di generi alimentari, le restrizioni inevitabili del tenore di vita e le lettereche i combattenti scrivevano dal fronte alle famiglie, lettere alquanto eloquenti sullecondizioni di vita nelle trincee anche se soggette alla censura militare. Ma l’immaginedella guerra prese corpo anche dalla presenza inattesa dei prigionieri austriaci in lo-calità assai lontane dalla zona del fronte. Voglio citare qui un ricordo personale: mianonna mi raccontava che nel suo paese, Chiaramonte Gulfi, un paese della provinciapiù meridionale d’Italia, quella di Ragusa, vedeva, quand’era bambina, le colonne diprigionieri austriaci che, marciando, erano fatte sfilare per il paese e adibite a spazzarele strade. Immagino lo spettacolo che avrà certamente incuriosito mia nonna bambinae le sue amichette, nel vedere quei soldati smunti dalle uniformi grigio-azzurre, chesfilavano nel silenzio o emettendo qualche parola di una lingua incomprensibile e poi,in dignitoso e tranquillo ordine, si armavano di ramazza e si mettevano a pulire le pol-verose vie del paese, lucidando i lastroni di pietra del piano stradale. Gli impettiti e spa-valdi soldati di sua maestà l’imperatore dell’Austria-Ungheria trasformati in disciplinatie pazienti scopini! E questo spettacolo gli abitanti del paese di Chiaramonte Gulfi, inprovincia di Ragusa, lo vedevano davanti ai loro occhi, a millecinquecento chilometridal fronte. Questo è un ricordo personale, che mia nonna mi raccontò in anni lontani,invece la memoria collettiva della Grande Guerra è rappresentata nella bellissima statuache è il monumento ai Caduti chiaramontani (il “fante Vittorioso”, opera dello scultorefriulano Aurelio Mistruzzi), e orna la piazza principale del paese, Piazza Duomo.2 Lastatua rappresenta un militare a torso nudo che tiene in mano, come se balzasse versoil cielo, la Vittoria alata. Alla base vi è una lapide di marmo che porta incisi i nomi deiduecento caduti chiaramontani nella Grande Guerra: mi piace qui ricordare che nellungo elenco dell’epigrafe il primo caduto, in ordine alfabetico, è Salvatore Albani, cheera il fratello della mia bisnonna, Giovanna, madre di mia nonna materna. Un giovanedi vent’anni, che cadde nelle trincee del Carso, colpito alla testa dalla granata di unmortaio austriaco. La statua del Mistruzzi, ornamento di tante cittadine meridionali,fu voluta dal fascismo, come solenne riconoscimento del sangue versato dai figli delSud in una guerra la cui vittoria servì al regime per creare, attraverso un’iconografiacommemorativa e celebrativa gonfia di retorica e di solennità, una coscienza nazionalepatriottica e fascista.In effetti l’Italia era entrata nel conflitto grazie ad un accordo, il “patto di Londra”, te-nuto segreto al Parlamento,3 senza possedere ancora una salda coscienza nazionale. Ilproblema dell’adesione allo Stato italiano era evidente soprattutto nel Sud, terra con-dannata all’arretratezza, all’ignoranza e all’emigrazione dal fallimento dei tentativi didecollo industriale che, timidamente, perseguiva il governo Giolitti. V’era però, al fondodell’animo delle masse contadine meridionali, un’antica e mai sopita avversione allo

APPROFONDIMENTI

1 Per le vicende del Sacrario di Redipuglia e della funzione che gli attribuì il fascismo vd. PatriziaDogliani, Redipuglia, in I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari2010 (I ed. 1996), pp. 421-435.2 Il “fante Vittorioso” fu replicato dal Mistruzzi (1880-1960) in varie copie, tra il 1921 e il 1925,e posto ad ornare le piazze principali di vari paesi d’Italia, soprattutto nel Sud, come Grottami-narda, in Campania, e Serra San Bruno, in calabra. I caduti chiaramontani furono circa 200, tuttigiovani d’età dai 20 ai 30 anni. Sui caduti siciliani vd. il saggio di Giancarlo Poidomani, Lutti ememorie dei siciliani nella Grande Guerra, Prova d’Autore, Catania 2015.3 Il 26 aprile 1915 fu firmato segretamente a Londra dal Presidente del Consiglio Antonio Salandrae dal Ministro degli Esteri Sidney Sonnino il patto con cui l’Italia si impegnava a scendere in guerraentro un mese a fianco delle potenze dell’Intesa, ricevendo, in caso di vittoria, il Trentino, il Tirolomeridionale, Trieste e l’Istria con l’eccezione di fiume e della Dalmazia. Il parlamento, ove i neu-tralisti, rappresentati dal vecchio riformista liberale Giovanni Giolitti, costituivano la maggioranza,era stato tenuto all’oscuro, ma la reazione delle forze neutraliste fu sovrastata dall’accesa propa-ganda degli interventisti, che organizzarono a Roma e a Milano violente manifestazioni.

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Stato, visto come nemico delle famiglie per la sua rapacità fiscale e il suo autoritarismo“piemontese”. Un’avversione che neppure la guerra italo-turca del 1911-1912, volutadalla borghesia che assecondava le tendenze imperialiste sorte in essa, seppe sanarecreando “una nazione costituita a salda unità”, come disse Giolitti nel suo discorso te-nuto a Torino il 2 ottobre 1911 a proposito dell’impresa libica. Lo scoppio della Grande Guerra in Europa, a seguito dell’assassinio del principe eredi-tario francesco ferdinando d’Asburgo, avvenuto il 28 luglio 1914 a Sarajevo, fece emer-gere drammaticamente i contrasti sopra delineati ed ereditati dal particolare processounitario che era stato il Risorgimento. L’Italia, nel tumultuoso evolversi della situazione,adottò disinvoltamente la politica, consueta dei Savoia, dei “giri di valzer”, e dopo averscelto la neutralità assoluta, scese in campo il 23 maggio 1915 a fianco delle potenzedell’Intesa, in conseguenza del “patto di Londra”,tenuto nascosto al nostro parlamento. Durante ilperiodo della neutralità, com’è noto, il nostroPaese, scosso da una grave crisi economica, futormentato dalle infuocate polemiche tra neutra-listi e interventisti (fra i quali si distinse BenitoMussolini, transfuga dal partito socialista e dalladirezione dell’Avanti e fondatore, con il sostegnofrancese, di un suo quotidiano, Il popolo d’Italia).Anche in questo frangente si ripropose il con-flitto, latente ma pronto ad emergere se le circo-stanze avessero dato occasione, tra la Chiesa ele masse cattoliche, da una parte, e lo Stato laicoe unitario dall’altra.4 Provvedeva poi l’accesapropaganda di Gabriele D’Annunzio e dei nazio-nalisti a diffondere nell’opinione pubblica l’ideadella guerra contro l’Austria come necessariaconclusione del processo storico del Risorgi-mento, con la liberazione delle “terre irredente”,Trento e Trieste.5 La dichiarazione di guerra fudiffusa e commentata con toni retoricamentetrionfalistici dai maggiori quotidiani dell’epoca,che, riallacciandosi al Risorgimento, agitavanoil tema della liberazione dall’oppressione austriaca delle terre irredente. La guerra chesi andava profilando doveva essere considerata e vissuta come una quarta guerra d’in-dipendenza. Era una chiamata a raccolta di tutti gli Italiani, per combattere, in nomedella libertà e dell’indipendenza, un nemico che già era stato vinto in passato. Tra igiornali così si esprimeva, in un commento in prima pagina, il “Corriere della Sera”(numero di lunedì 24 maggio 1915):

GUERRA! LA PAROLA fORMIDABILE TUOnA DA Un CAPO ALL’ALTRO D’ITALIA E SI AVVEnTA

ALLA fROnTIERA ORIEnTALE, DOVE I CAnnOnI LA RIPETERAnnO AGLI ECHI DELLE TERRE CHE

ASPETTAnO LA LIBERAZIOnE: GUERRA! È L’ULTIMA GUERRA DELL’InDIPEnDEnZA. AVEVAMO

APPROFONDIMENTI

4 Un conflitto acuito poi dai messaggi di Papa Benedetto XV, nel pieno del conflitto, indirizzatialle potenze belligeranti, il 28 agosto 1915 e il 1° agosto 1917, in cui la guerra era definita “or-renda carneficina” e “inutile strage”.5 Tra gli scritti degli intellettuali interventisti destinati a orientare il Paese verso la guerra, a mioavviso il più impressionante, quasi fosse ispirato da una tragica e ferina voluttà di sangue, restal’articolo di Giovanni Papini Amiamo la guerra!, apparso su “Lacerba” del 1° ottobre 1914 (si puòleggere in: Gli intellettuali e la Grande Guerra, a cura di Ilvano Caliaro, Einaudi scuola, Milano2001, pp. 34-38).

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fInITO COL CREDERE CHE IL LIBRO DEL RISORGIMEnTO fOSSE ORMAI PIEnO E CHIUSO E COn-SEGnATO AL PASSATO. ED ECCO CHE SI RIAPRE SOTTO QUESTO CIELO DI PRIMAVERA fATIDICA,ED ECCO CHE IL GEnEROSO SAnGUE ITALIAnO, IL SAnGUE nOn MAI VAnO DI PALESTRO E DI

nOVARA, DI SAn MARTInO E DI CUSTOZA, SI PREPARA A TRACCIARVI In LInEE InDELEBILI IL

COMPIMEnTO DEL nOSTRO DESTInO.6

Aggiungiamo il commento del “Messaggero”, anch’esso riaffermante il legame tra ilnuovo conflitto e l’indipendenza risorgimentale che la “nuova Italia” deve completare:

LA GUERRA È. nEL MOMEnTO In CUI SCRIVIAMO, fORSE OGnI InDUGIO È STATO ROTTO.nELLA CALMA DELLA nOTTE IL CREPITAR DI UnA fUCILERIA D’AVAnGUARDIA, PRESSO O AL

DI Là DELLA fROnTIERA, Un COLPO DI CAnnOnE

COnTRO UnA nAVE nEMICA HAnnO fORSE GIà InI-ZIATO LA nUOVA STORIA D’ITALIA, HAnnO fORSE

GIà IMPRESSA COL SAnGUE LA PRIMA PAROLA

DELL’ULTIMA nOSTRA GUERRA PER L’InDIPEnDEnZA.LA GUERRA È. TUTTA LA nOSTRA VITA, QUInDI, HA

DA MUTARSI, COME SOTTO L’IMPERIO DI UnA LEGGE

InESORABILE CHE nOn COMPORTA PROROGHE, CHE

nOn TOLLERA ECCEZIOnI. COME TRA LE fILE DI CO-LORO CHE SI ACCInGOnO A COMBATTERE, CHE fORSE

GIà COMBATTOnO, COSì SULLA MOLTITUDInE DI

QUAnTI RIMAnGOnO nELL’ATTESA, UnICA DOMInA-TRICE SI LEVA LA LEGGE DELLA PIù DURA DISCI-PLInA.7

“La legge della più dura disciplina”: e durissimadisciplina fu davvero, tale che mise alla prova lacomunione di spiriti e di intenti con cui gli Ita-liani erano stati chiamati alle armi. Vennero in-trodotti immediatamente la restrizione dellelibertà politiche, il controllo militare nella vitadelle città e delle campagne, una durissima di-sciplina del lavoro, la repressione di ogni attività

sindacale.8 fattori operanti di coesione nazionale vennero cercati dal governo nella pro-paganda della guerra vista come compimento del processo risorgimentale dell’unifica-zione italiana e nella rappresentazione del nemico (gli Austriaci e i Tedeschi) come unbarbaro oppressore, degno discendente dei feroci e terrorizzanti Unni, distruttori ne-mici della pace e della civiltà.9 Ma dove le condizioni di vita degradarono a livelli im-possibili da sopportare fu al fronte. Sottoposti alla durissima disciplina militare impostadal generale Luigi Cadorna (1850-1928), il Comandante generale dello Stato Maggiore,

APPROFONDIMENTI

6 Dal “Corriere della Sera”, 24 maggio 1915, p. 1.7 La guerra è, in “Il Messaggero”, 24 maggio 1915, p. 1.8 L’allontanamento non autorizzato dal luogo di lavoro di uomini e donne venne equiparato alla diserzione.9 Tutti i Paesi belligeranti usarono la propaganda, anche la più calunniosa e infamante, per istillarenei popoli l’avversione del nemico. Tra le menzogne che circolarono in quel tempo famose quelladelle caramelle avvelenate gettate dagli aerei tedeschi e quella delle presunte atrocità dei Tedeschicommesse sui bambini del Belgio, che francesco Saverio nitti nel dopoguerra dimostrò esserecompletamente false. Sulla propaganda finalizzata all’immagine di nemici barbari e perversi, vd.Sandro Orlando, «I nemici lanciano caramelle avvelenate», in La nostra Grande Guerra, suppl. “Oggi”,maggio 2015, pp. 108-111. A proposito delle falsificazioni storiche di ieri e oggi, vd. EmanueleMastrangelo, L’arma più forte è la menzogna, in “Storia in Rete”, n. 150, aprile 2018, pp. 12-25.

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16·LIBERI

fanti e gli ufficiali provenienti da tutta Italia dovettero affrontare, nelle zone di guerra,disagi enormi e sofferenze inaudite, a cui si aggiunse l’incubo degli attacchi incessanticomandati anche a distanza ravvicinata. Drappelli di carabinieri erano pronti a spararealla schiena di chi si attardava all’assalto o rifiutava di farsi massacrare dai fucili nemici(o dalle mazze ferrate con cui gli Austriaci finivano i feriti sul campo) e avevano l’ordinedi eseguire le spietate decimazioni fra le compagnie meno combattive. Un sentimentodi sorda rabbia presto subentrò per l’incomprensione che le gerarchie mostravano versole condizioni dei soldati. Si diffuse nell’animo dei soldati la sensazione di dover nonpiù servire la Patria, ma obbedire ad uno Stato ingiusto, che non riconosceva i sacrificidei suoi figli e li trattava in modo diverso, rendendosi responsabile di insopportabili eoffensive discriminazioni a seconda della classe sociale. La punta massima dello sfaldamento interno siraggiunse con la rotta di Caporetto, nell’ottobre1917, dove si vide il rapporto fra soldati e uffi-ciali venire clamorosamente meno, il rispettodelle gerarchie essere infranto e l’esercito cor-rere il serio rischio di dissolversi. La strategiaesasperatamente offensiva degli anni prece-denti, le carneficine che si erano risolte in risul-tati tatticamente di scarso valore o nulli, laconquista dell’Altopiano della Bainsizza,10 ave-vano esaurito le risorse morali dei combattentiDurante lo sfondamento del fronte da parte dellaXIV Armata tedesca il 24 ottobre 1917, sullalinea dell’Isonzo,11 si vide lo spettacolo indeco-roso di soldati italiani che si disfacevano dellearmi e della divisa e, nella fuga, si davano al sac-cheggio delle case abbandonate, di prigionieriche acclamavano il tenente Erwin Rommel, co-mandante allora di un distaccamento di 1000 uo-mini e futuro condottiero dell’Afrika Korps nellaseconda guerra mondiale.12

Ma proprio nel momento più cupo il nostroPaese seppe trovare le risorse interne per risol-levarsi. Vennero, infatti, i giorni della strenua resistenza sull’Altopiano di Asiago, sullalinea del Piave, sul monte Grappa, ove rifulse il valore dei nostri soldati, e i progressidel 1918, culminanti con il crollo dell’esercito austriaco, l’offensiva di Vittorio Venetoe l’armistizio di Villa Giusti, presso Padova, con il proclama del generale e Comandantein Capo Armando Diaz del 4 novembre 1918.

La vittoria, celebrata, com’era ovvio, con trionfalistici accenti, servì a far dimenticaregran parte delle brutture della guerra e ad esaltare la forza d’animo del popolo italiano.fu certamente un fattore che contribuì al consolidamento di una coscienza nazionale,alla coesione interna e, all’estero, alla crescita di rango internazionale dell’Italia, come

10 L’undicesima battaglia della Bainsizza durò dal 17 agosto al 4 settembre ed ebbe un costo pergli Italiani di 40.000 morti, 108.000 feriti, 18.000 prigionieri.11 La disfatta di Caporetto fu imputata al generale Cadorna, che poi fu sostituito con il generaleArmando Diaz, ma secondo lo storico Lucio Ceva sarebbe stata il risultato della condotta dellaguerra voluta principalmente dai politici (così Lucio Ceva, I molti perché di Caporetto, in “StoriaIllustrata”, n. 239, ottobre 1977, pp. 19-28).12 Della ritirata dei soldati italiani, che presto si trasformò in rotta disordinata, e della disgrega-zione dei ranghi ci ha lasciato pagine impressionanti Curzio Malaparte in La rivolta dei santi ma-ledetti, pubblicato nel 1921

APPROFONDIMENTI

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17·LIBERI

potenza alla pari degli Stati vittoriosi e più progrediti, anche se i rapporti internazionalivennero in seguito compromessi da recriminazioni per la “vittoria mutilata” e da ini-ziative, come l’impresa fiumana di D’Annunzio, che furono il prologo di disordini e tur-bative interne preludenti all’instaurazione del regime fascista nel 1922. Dai giornalidel tempo la vittoria venne celebrata come vittoria del popolo tutto, senza distinzionidi classi, vittoria delle qualità intrinseche del popolo italiano che avrebbero fondato –questo era l’auspicio – una nuova nazione, nel segno della concordia e della fratellanza.Così si leggeva sulla “Gazzetta del Popolo” di lunedì 4 novembre 1918, a commentodell’ingresso delle truppe italiane a Trento e a Trieste:

IL POPOLO nOSTRO, CHE SI È TEMPRATO nELLA SVEnTURA, HA AVUTO nELLA SUA MIRABILE

SALDEZZA COnTRO OGnI InSIDIA IL PIù GRAnDE

COMPEnSO CHE MAI POTESSE SPERARE. nE SIAnO RESE GRAZIE AI MERAVIGLIOSI SOLDATI

D’ITALIA E IL PAESE SI APPRESTI nOn SOLO A RISA-LUTARE fESTAnTE I TRIOnfATORI, MA A COnSA-CRARE COn RInnOVATO AMORE LA PIù LARGA

fRATELLAnZA SOCIALE CHE GIà SI È AffERMATA nEI

DISAGI DELLA TRInCEA E nEI RISCHI DELLA BATTA-GLIA. E Un PEnSIERO DI InfInITA GRATITUDInE, Un

GIURAMEnTO DI IMPERITURO AffETTO DIAMO A

QUAnTI HAnnO fATTO OLOCAUSTO DELLA fIOREnTE

GIOVInEZZA PERCHé L’ITALIA ASSAPORASSE QUE-ST’ORA DI MIRABILE ELEVAZIOnE. OGGI QUELLE OSSA

fREMOnO, QUEGLI SPIRITI ESULTAnO MEnTRE SI

LEVA In TUTTO IL fULGORE LA VITTORIA; OGGI PIù

CHE MAI nOI VI ABBIAMO TUTTI TUTTI nEL CUORE!LA nUOVA STORIA DELLA GRAnDE ITALIA, fECOn-DATA COL SAnGUE, MATURATA nEI SACRIfIZI, CO-MInCIA OGGI: IL PRIMO, IL PIù RIVEREnTE OMAGGIO

A VOI, CADUTI PER L’IDEALE!13

Che cosa rimane di queste parole, oggi? Al di làdegli accenti retorici, pensiamo che esse colgano

una sostanziale e umana verità quando parlano di olocausto della giovinezza e di sa-crifici compiuti in nome di una pura idealità, di un puro slancio dell’anima nel desideriodi vedere unite all’Italia le terre irredente. Alla memoria degli Italiani e in specie allenuove generazioni vanno additati con senso di gratitudine i nostri seicentomila Caduticome esempi se non di eroismo almeno di dignità e di onore, perché grandissima partedi essi, in misura maggiore o minore, furono eroi: nel sopportare sacrifici che tante te-stimonianze di diari e memoriali rappresentano in tutta la loro insopportabilità, nel-l’obbedire a comandi anche insensati che significavano morte certa, nell’affrontare ilproprio dovere comunque e in qualsiasi condizione, nel sopportare malattie, ferite, mu-tilazioni, e la dura prigionia del nemico,14 nell’essere partecipi di una guerra che a tutti,anche ai meno coraggiosi, aveva offerto l’occasione di finire da eroi, come ai due indi-menticabili personaggi (interpretati da Vittorio Gassman e Alberto Sordi) protagonistidel film La grande guerra di Mario Monicelli (1959).

13 Ore sublimi, in “Gazzetta del Popolo”, lunedì 4 novembre 1918, p. 1.14 Prigionia che colpì non solo i militari catturati ma anche le popolazioni del Trentino, in sospettodegli Austriaci per i loro sentimenti di italianità. Sugli abitanti del Trentino deportati nei Lagervd. Alessandro ferioli, Il lager di Katzenau, in “Rivista Militare”, n. 3, 2002, pp. 116-123.

APPROFONDIMENTI

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Quale rappresentanza dell’AnRP ho parteci-pato con molto interesse il 15 marzo scorsoalla conferenza sulla difesa collettiva, orga-

nizzata dallo Stato Maggiore Esercito. Una presenzadiremmo doverosa, visto il principio enunciato al-l’art.2, comma e) dello Statuto associativo che re-cita: “mantenere e sviluppare rapporti fraterni con leForze Armate e con quelle preposte alla difesa del-l’ordine pubblico, sicuro presidio delle istituzioni de-mocratiche e repubblicane”. La conferenza, svoltasi presso la Biblioteca nazio-nale centrale di Roma, è la prima dedicata all’Eser-cito Italiano, a cui seguiranno quelle per le altretre forze Armate.

L’intento è di divulgare fra i cittadini italiani la cul-tura della difesa e della sicurezza attraverso la co-noscenza dei compiti delle forze Armate,illustrando le funzioni di ogni componente del com-parto Difesa. L’evento ha dato l’opportunità di presentare il ruolodell’Esercito. ne hanno parlato il Ministro della Di-fesa, Elisabetta Trenta, i Sottosegretari di Stato allaDifesa, Angelo Tofalo e Raffaele Volpi, insieme alCapo di Stato Maggiore della Difesa, Gen. Enzo Vec-ciarelli, al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito,Gen. di Corpo d’Armata Salvatore farina, al Gen. diBrigata fulvio Poli e alla dott.ssa Barbara Schia-vulli, inviata di guerra e scrittrice, Tra i partecipanti, oltre a numerose autorità delmondo civile e accademico, anche molti studenti diuniversità e scuole superiori di Roma.

Il tema centrale ha riguardato le donne e gli uominidell’Esercito quali soldati al servizio del Paese, ele-menti cardine dell’operatività della forza Armata.Il Ministro Trenta ha evidenziato le qualità dei mi-litari italiani che con la loro presenza tra la gentee i loro interventi diffondono una maggiore con-sapevolezza di quanto l’Esercito sia necessario pergarantire la nostra difesa e la sicurezza interna-zionale. Esso ha dimostrato una straordinaria ca-pacità di trasformazione per essere sempreall’altezza dei futuri scenari operativi. L’On.Tofalo, promotore del seminario, ha voluto en-fatizzare come la difesa collettiva sia un percorsocondiviso con i cittadini per spiegare a ogni livello

Donne euomini

dell’Esercitoal serviziodel Paese

di Potito Genova

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quali sono i principali compiti delle forze Armatein relazione alle attuali esigenze e agli scenari glo-bali in continua evoluzione. Anche il Sottosegretario Volpi ha rimarcato le po-liedriche capacità degli uomini e delle donne delleforze Armate all’interno della comunità interna-zionale; un esempio di come si opera, non solo dalpunto di vista militare, ma anche da quello dellaqualità umana. Il Capo di Stato Maggiore della Difesa con grandeincisività ha voluto rimarcare l’importanza dell’ele-mento umano, evidenziando come i nostri soldatirappresentino il sistema d’arma fondamentale, ilfulcro, il cuore e l’anima dell’organizzazione e per-tanto debbano essere sempre valorizzati, sostenutie continuamente preparati per essere pronti ad as-solvere i compiti presenti e futuri. A tale scopo ha

voluto chiudere il suo intervento auspicando unadeguamento tecnologico degli armamenti e in par-ticolare di quelli terrestri, con strumenti, apparatie sistemi d’arma idonei ad affrontare l’attuale mi-naccia.La stessa esigenza di ammodernamento è stata evi-denziata dalla Dott.ssa Schiavulli, forte della espe-rienza maturata nelle aree di crisi come inviata diguerra, poiché costituisce sicurezza e garanzia peril personale impegnato nei vari teatri. Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ha ricor-dato il notevole contributo italiano alla pace, allasicurezza e alla stabilità internazionale. I soldatiitaliani hanno sempre mostrato vicinanza e com-

prensione nei confronti della popolazione, an-dando oltre quelli che sono gli obiettivi primaridella loro missione e dimostrando nelle opera-zioni in cui sono impegnati, quali Libano, Kosovo,Somalia e Afghanistan, il coraggio, l’umanità el’altruismo delle nostre forze Armate. Per conti-nuare ad essere rilevanti, abbiamo bisogno di unostrumento militare che sia flessibile e dinamico,in grado di condurre operazioni ad alta intensità.Ha poi voluto sottolineare l’interessamento del-l’attuale Governo ad avere un Esercito preparato,smentendo quelli che vogliono invece far crederead un disinteresse verso le esigenze del personaledella difesa. Da entrambi gli interventi dei due Capi di StatoMaggiore si è percepita una forte volontà di fare,purtroppo a volte frustrata o comunque limitata

dall’impossibilità di fare di più. Divulgare la culturadella difesa, rendere più consapevole l’opinionepubblica sulla materia, aiuterebbe sicuramente illoro sforzo.Una dinamica interna comunque da risolvere per-ché venga finalmente premiata la volontà di quali-ficare al meglio il personale e di dotarsi di mezzinecessari ad assolvere in sicurezza le quattro mis-sioni interforze.L’Associazione è vicina alle donne e agli uomini indivisa, custodendo e tramandando la memoriadegli Internati Militari Italiani, soldati di altritempi ma con gli stessi valori e le stesse esigenzedei soldati di oggi.

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La violenza segna ogni conflitto bellico, fa-cendo saltare tutta l’impalcatura delle regolesociali anche nei soldati che non avrebbero

mai scelto di essere combattenti, ma che si trovanoimplicati in un clima di violenza non solo verso il“nemico” ma anche verso tutte le regole civili chetengono unite le comunità umane. forse perché ci si rende conto, in guerra, della “ca-ducità” della propria vita messa a repentaglio in ognimomento? forse perché violenza non può che richia-mare violenza? Comunque sia e da sempre, quandomigliaia di combattenti vengono spostati in zone diguerra, accade che in quei territori di conquiste e didisfatte insanguinate, gli eserciti in conflitto lascino,quale segno del loro passaggio, un seguito di stuprie violenze, spesso a sfondo etnico, quale disgustosascia del loro passaggio. E questo sin dai tempi piùantichi, a partire dalle conquiste dei persiani a quelledelle legioni romane, dalle campagne napoleonichea tutti i conflitti bellici del novecento. Questo accade, perché la guerra porta quasi semprecon sé lo sprofondamento dell’animo umano versoquei limbi sconosciuti dove albergano violenza in-controllata ed onnipotenza. Due forze estreme in-dissolubilmente legate, quale abbraccio di morte epotere, accompagnato da una sotterranea e negatanostalgia del grembo femminile e materno che sitenta di riavere, comunque, con la forza e la vio-lenza. E’ nella guerra che si allentano quei tabù ne-cessariamente accettati per un vivere civile e chele società o le religioni impongono agli istinti ses-

The choice is not betweenviolence and nonviolencebut between nonviolenceand nonexistence (M.L.King)

suali. Ed anche se i tabù esistenti non possono maivenire rimossi del tutto, ne viene comunque allen-tato il controllo spingendone il potere censorio adun livello più basso di consapevolezza. Questospiega, almeno in parte, anche il fenomeno dei po-striboli e delle case chiuse, ad uso e consumo deimilitari, durante le campagne di guerra e durantele occupazioni territoriali. La sessualità mercena-

…le ragazze di Sirte quelle che, povere figliole, seguivano le truppe,le vedemmo solo da lontano, a Suez.

Erano anch’esse prigioniere e salivano sulla nostra stessa nave…

di Anna Maria Calore

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ria, meno drammatica degli stupri etnici, poggia in-vece su di un altro presupposto, legato alle usanzeed alle ritualità di avvicinamento alla sessualità ap-prese quando, e parlo solo di qualche decennio fa,dall’adolescenza si passava all’età adulta che pre-vedeva per i giovani maschi italiani anche espe-rienze sessuali slegate dall’innamoramento edell’investimento affettivo. Si trattava, in genere, diriti di iniziazione alla sessualità adulta compiutaall’interno delle “case chiuse” prima e con la pro-stituzione di strada dopo la legge Merlin. Magariper festeggiare, con i compagni di liceo, un esamedi maturità superato, oppure, e più spesso diquanto possiamo ora immaginare, di un “accompa-gnamento complice all’ingresso nel mondo dei ma-schi adulti” gestito da un familiare del giovaneragazzo, fratello maggiore o padre.

Al di là dell’orrore per stupri etnici e della tristezzaper una sessualità disgiunta dalla sensualità e dal-l’affetto e ridotta a mero commercio di corpi ed ur-genza di “consumo” erotico, resta il fatto che le “casechiuse” ed i bordelli di guerra, rappresentavano es-senzialmente l’unico modo, per soldati lontani dacasa, di poter incontrare una donna, anche se guar-data solo come corpo femminile da consumare velo-cemente, previa accettazione di un prezzo imposto.

Una testimonianza diretta di come la guerra potesserendere alienante il vivere e di come la ricerca disguardi e corpi femminili, anche cercati in un po-stribolo, potesse rappresentare una briciola di illu-sione vitale tra le incertezze della guerra, ci vienedall’autobiografia di Raffaello Cei, nato a Lucca,classe 1920, soldato nella Seconda guerra mondiale.nella sua narrazione, qui sotto riprodotta, il pen-siero finale e quasi di affettuosa preoccupazione per“le ragazze di Sirte quelle che, povere figliole, segui-vano le truppe, le vedemmo solo da lontano, a Suez.Erano anch’esse prigioniere e salivano sulla nostrastessa nave. Poi, a Barbera i nostri destini si separa-rono. Le imbarcarono su una nave ospedale. Chissàse tornarono a casa, in Italia sane e salve!” restitui-sce a quei ragazzi classe 1920 e dintorni, un trattodi normalità, pur tra gli orrori di una guerra. Raffaello, ventenne e chiamato ancora “bimbo” in fa-miglia, inizia le prime manovre militari in Italia ecomincia a percepire la paga militare; la sua innatacuriosità di conoscere luoghi nuovi viene appagatanei vari campi di esercitazioni in una parte del Paeseche ancora non conosceva: la città di ferrara, ilfriuli, Gemona, il Tagliamento ed il Lago di Cavazzo.Raffaello Cei ammette di non aver percepito co-

scientemente che la situazione in Italia stava pre-cipitando verso un baratro ed infatti scrive:“Di quel che mi succedeva intorno sapevo poco oniente. Come un bambino che gioca alla guerra, tuttopreso dai suoi giocattoli e dalle sue armi che sparanosenza uccidere, non m’ero accorto che la guerra,quella vera, incombeva sulla mia testa e che tutto ilmio piccolo mondo, insieme alla mia breve giovi-nezza, stava per rompersi in modo definitivo.”

nel Giugno del 1940 il reggimento dove presta ser-vizio Raffaello viene in parte inviato sul fronte ju-goslavo e si incomincia a parlare di trasferimentoin Albania per il resto del reggimento.

“Guardai sulla carta geografica il profilo di quelpaese. Mia madre ne sarebbe stata soddisfatta, pen-sai. Dopotutto non era così lontano dalle nostre coste,una terra a un tiro di schioppo dall’Italia, dall’altraparte dell’Adriatico. Ma all’ultimo momento qualcosacambiòLe decisioni di chi comanda passano sempre sulleteste dei soldati, senza bisogno di spiegazioni. La de-stinazione era un’altra. In gran fretta ci diedero unnuovo abbigliamento. Casco di sughero al posto del-l’elmetto e pezze da piedi invece di calzini di lana.Andavamo in Africa! Non posso dire di non esserestato emozionato fino all’eccitazione a quell’annun-cio. Altro che un paio di bracciate dall’altra parte del-

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l’Adriatico! Solo la parola Africa richiamava nellamia mente fantasie senza limite.Mi vennero in mente i fumetti di Cino e Franco cheleggevo da ragazzino. Solo che stavolta ero io ad af-frontare l’ignoto! Ci imbarcammo a Napoli in attesadel momento propizio per salpare. I sottomarini in-glesi minacciavano di continuo le nostre navi e giàuna volta, nel canale di Sicilia, eravamo stati costrettia fare dietrofront.Facemmo tutta la navigazione verso la Libia indossandoil salvagente, attaccati a un pontone che, alla peggio,era pronto per essere gettato in mare. Come Dio volleperò arrivammo a Tripoli, sani e salvi il 16 gennaio.Africa! Io, in Africa! Non mi pa-reva ancora vero. Il caldo era cosìafoso che mi pareva di soffocare.Eppure era inverno. In quellostesso momento sicuramente Fer-rara era avvolta dalla nebbiacome un velo di tulle sulla culla diun bambino.Dopo un breve viaggio ci siste-mammo poco lontano da Tripoli,in una zona ricca di vegetazione,palme ed eucalipti, e mulini avento che pompavano l’acqua cheirrigava quel deserto arido che cicircondava. In attesa che arrivas-sero dall’Italia armi e mezzi, conpochi compagni passavo i pome-riggi visitando la città che erabella e ariosa, con larghi viali checosteggiavano il mare di un az-zurro intenso come una pietra orientale. Si era nelgennaio del 1941. Quando arrivarono gli automezzie i cannoni, ci mandarono verso il fronte egiziano dacui ormai le nostre truppe, sopraffatte da quelle in-glesi, erano in ritirata. Il nostro reggimento, a marceforzate raggiunse Ghemines che si trova a circa 50chilometri da Bengasi; avevamo passato Homs, Mi-surata, Sirte el Agheila.Il nemico continuava l’avanzata. I nostri comandi ri-tennero che noi non avremmo potuto aiutare l’armatadel generale Graziani. Da Ghemines, quindi, facemmodietrofront e in nottata giungemmo ad Agedabia. In questo luogo eravamo in pericolo di rimanere ac-cerchiati da colonne nemiche che attraverso il desertopotevano arrivare in ogni momento. Dopo poche oredi sonno eravamo già in marcia verso Sirte dove for-mammo una modesta linea difensiva. Gli inglesi perònon si fecero vivi. Durante quella permanenza, quasidue mesi, la vita scorreva con una certa tranquillità.Non c’erano incursioni aeree.

Un giorno però, ecco una sorpresa davvero inattesa.Il mio collega trattorista Giuseppe Raffa da Calen-zano, con grande euforia, mi annunciò che in cittàera stata aperta una ”casa” che ospitava delle ra-gazze che ricevevano i soldati per dar loro ”confortopsicologico”. Poi aggiunse: - Ho prenotato un postoin autobus per me e per te. Domattina andiamo afare una visitina a quelle figliole!

Speravo che i locali di quella casa fossero accoglienticome quelli di altre ”case” che da militare, a Ferrara,ero solito frequentare coi miei amici quando eravamoin bolletta. A quei tempi di magra non si poteva sem-

pre “consumare”. Le più volte ci li-mitavamo a trascorrere la seratachiacchierando e fumando conquelle disinvolte signorine vestitein abiti succinti e nulla più. Al-meno fintanto che la padrona, la“Signora” non si stancava di avercitra i piedi e non ci faceva slog-giare. Allora ci trasferivamo inun’altra “casa” fino alla fine dellanostra licenza serale.Sia io che Giuseppe, durante il viag-gio, non facemmo che sognare unacasa arredata all’orientale, piena diprofumi esotici e fornita di morbidicuscini nei quali sprofondare ine-briati dalla bellezza dei luoghi e po-polata di odalische dai veli fluttuanticome quelle di Tripoli.Appena arrivati a destinazione, ci

indicarono la parte alta della città e, fatti pochi passi,ci accorgemmo che altri soldati avevano avuto la no-stra stessa idea.Si era infatti già formata una fila di uomini piuttostoconsistente alla quale non facemmo altro che acco-darci. Dopo un po’ però la nostra impazienza ci feceuscire dalla fila e risalirla, tra gli schiamazzi deglialtri che temevano la nostra impudenza.In realtà volevamo solo farci un’idea di quando sa-rebbe toccato il nostro turno. Quello che più ci sto-macò non fu però solo l’affluenza di uomini in attesa,quanto la presenza dei carabinieri che piantonavanola “casa”, regolando il traffico mentre con parole bru-sche invitavano i clienti di turno a sbrigarsi.Intanto, chi aveva già fatto, si riaggiustava la divisae si allontanava fischiettando. Era insomma una spe-cie di catena di montaggio che, invece di rinvigorireil nostro desiderio di ventenni, lo smorzò completa-mente facendoci decidere all’istante di andar via.Giuseppe Raffa non si era potuto togliere neanche la

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soddisfazione di sapere se le “case” di Tripoli e quelladi Sirte si somigliassero almeno un po’.Con le orecchie basse riprendemmo il pullman che ciriportava alla base rimandando ad altri luoghi, adaltri momenti, la soddisfazione delle nostre curiosità.Presto saremmo stati al Cairo, pensavamo. Ma nep-pure al Cairo ci fu possibile visitare i bordelli.Appena giunti in Egitto, infatti, finimmo in campo diconcentramento. Le ragazze di Sirte quelle che, po-vere figliole, seguivano le truppe, le vedemmo solo dalontano, a Suez. Erano anch’esse prigioniere e sali-

vano sulla nostra stessa nave. Poi, a Barbera i nostridestini si separarono. Le imbarcarono su una naveospedale.Chissà se tornarono a casa, in Italia sane e salve….”

Raffaello Cei ed i suoi commilitoni, seguirono lasorte di tanti altri soldati italiani catturati dagli in-glesi nel febbraio del 1942 dopo la resa italiana cosìricordata da Raffaello Cei: “Era il 17 febbraio del1942. Che ci eravamo arresi lo scoprimmo dal giornaleradio che ci definì i valorosi resistenti di Halfaya”.Cei ed i suoi commilitoni, seguirono la sorte deimoltissimi militari italiani catturati dagli Inglesi.furono portati nel campo di prigionia di Alessan-dria d’Egitto, poi quello di Ismailia. Quindi imbar-

cati per un lungo viaggio passando per Aden, Dur-ban, Pietermaritzburg ed infine Zonderwater dove,Raffaello Cei, rimase sino al 30 gennaio 1947quando, finalmente, fu imbarcato “Cunard whitestar M.V Georgic” insieme agli ultimi cooperantiitaliani ancora rimasti in Sud Africa. Iniziò così ilviaggio di ritorno di quel ragazzo che nel 1940 an-cora non si era reso conto che la guerra, quellavera, incombeva sulla sua testa e che tutto il suopiccolo mondo stava per crollare definitivamente.Raffaello tornò, dopo sette anni di lontananza, in

un’Italia diversa da quella da cui era partito. Un’Ita-lia che cercava, faticosamente, di rialzarsi dalle ma-cerie della Seconda guerra mondiale, decisa aricostruire un’Italia nuova, libera, democratica e re-pubblicana: ecco le considerazioni di Raffaello Cei:“…a tutta la mia generazione mancarono gli svaghie le illusioni di quell’età. Seguimmo il nostro dovere,come ci era stato insegnato. Partimmo ragazzi, ritor-nammo - quando ritornammo - uomini fatti. Reduci,qualcuno mutilato, molti delusi ma desiderosi di tor-nare a vivere la nostra vita, c’era ancora la salute,c’era ancora la forza.”nota: Il racconto in corsivo è tratto all’autobiografia daltitolo “DICIASSETTE” di Raffaello Cei (Opera CreativeCommons)  

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(Università della Calabria); hamoderato l’incontro LucianoZani (Vice Presidente nazionaledell’AnRP – Sapienza Universitàdi Roma) che ne ha parlato con gli autori e il numerosopubblico.Gianni Marilotti ha detto: “I due tomi curati da BrunelloMantelli ci permettono di ricostruire una pagina impor-tante della nostra storia e di onorare la memoria degliitaliani reclutati come manodopera nell’Italia occupatadalle truppe della Germania nazionalsocialista.Tale opera si basa su un’accurata e meticolosa attivitàdi ricerca, che emerge dalle fonti d’archivio e bibliogra-fiche. Un ricco apparato di note che non appesantisceil testo e che permette al lettore di comprendere come inumerosi fatti citati siano stati ricostruiti attraverso ap-profondite ricerche negli archivi italiani e tedeschi.Sono volumi che contribuiscono a fare luce su una pa-gina non sufficientemente esplorata della nostra storiae sul destino di molti nostri connazionali, durante il tra-gico periodo 1943-1945. Molti di loro non ritornerannopiù dalle proprie famiglie, morti sotto i bombardamentio a causa delle malattie e della fame. È una storia che si intreccia al racconto di vite di singolilavoratori o di intere comunità, sconvolte dall’avanzatadella linea del fronte e dalla costruzione delle opere di-fensive dell’Organizzazione Todt sulla Linea Gotica. Èuna storia fatta di rastrellamenti improvvisi, precetta-zioni, arresti, retate urbane e nelle zone montane e dicampagna. Uomini strappati alle loro case per alimen-tare la capacità produttiva dell’industria bellica nazista.” “Questi volumi - ha proseguito il Presidente Marilotti- sono il primo studio sistematico su dinamiche e moda-lità del prelievo coatto di lavoratori dall’Italia e del loroutilizzo nel Reich. Nei due tomi vengono analizzate le modalità degli oc-cupanti tedeschi e dei loro collaboratori fascisti per rac-

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a cura di Maria Elena Ciccarello

Il reclutamento di manodopera nell’Italiaoccupata 1943-1945 per l’economia di guerradella Germania nazionalsocialista

Martedì 26 marzo 2019, presso la Bibliotecadel Senato, Sala degli Atti parlamentari, Bi-blioteca “Giovanni Spadolini”, è stata presen-

tata la ricerca promossa, finanziata e pubblicatagrazie ad una sinergia tra fondazione Memoria dellaDeportazione e AnRP - Associazione nazionale Re-duci dalla Prigionia, dall’Internamento, dalla Guerradi Liberazione e loro familiari.Il volume in due tomi dal titolo “Tante braccia per ilReich!”, curato da Brunello Mantelli, edito da Mursia,vuole colmare una lacuna sulla storia dell’Italia nellaSeconda guerra mondiale.I lavori sono stati aperti con i saluti istituzionali diGianni Marilotti (Presidente della Commissione Bi-blioteca e Archivio Storico del Senato), l’intervento difloriana Maris a nome dei due organismi promotorie con un breve messaggio dello storico Enzo Collotti.Sono proseguiti con gli interventi di Giovanni Cerchia(Università del Molise), Lutz Klinkhammer (IstititutoStorico Germanico di Roma) e Antonella Salomoni

Tante braccia per il Reich!

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sura da quelli alleati, furono impiegati in molteplicimansioni la cui funzione primaria era alimentare laproduzione d’interesse militare. Centinaia di migliaiadi lavoratori italiani, uomini e donne, erano già statiinviati in Germania per diventare «braccia per ilReich» fin dal 1938, quando l’Italia monarchico-fasci-sta era alleata, in realtà già subalterna, di Hitler. Il re-clutamento divenne forzato nei venti mesi dioccupazione tedesca del nostro Paese (settembre1943-aprile 1945). Da tutti gli interventi è emerso che si tratta di una ri-cerca monumentale che colma una lacuna sulla storiad’Italia ed è stato inoltre sottolineato che questo è ilprimo studio organico su dinamiche e modalità delprelievo coatto di lavoratori dall’Italia e del loro uti-lizzo oltre Brennero, nel periodo della Repubblica So-ciale Italiana, a cui gli apparati del fascismo di Salò

diedero un notevole contributo. nei due tomi indivisibili (1950 pagine) viene analiz-zato il modus operandi degli occupanti tedeschi e deiloro collaboratori fascisti repubblicani nel mettere lemani con la forza su lavoratori dell’industria, dell’agri-coltura e di ogni altro settore purché utili allo sforzobellico del Terzo Reich, attraverso precettazioni, arre-sti, retate urbane, rastrellamenti nelle zone di campa-gna, prelievi indiscriminati negli istituti di pena.nel primo tomo: il contesto europeo, il reclutamentodi lavoratori dal Torinese, da Genova e provincia, dalMilanese, dal litorale adriatico, dall’Emilia e dall’Imo-lese. nel secondo tomo: il reclutamento di lavoratoridalla Toscana, dalle Marche, dall’Umbria, da Roma edal Lazio, e un approfondimento sui detenuti italianimandati nell’industria chimica del Terzo Reich.

cogliere lavoratori dell’industria, dell’agricoltura e diogni altro settore, purché utili allo sforzo bellico dellaGermania nazista.La presentazione di questa importante ricerca a cuihanno collaborato molti studiosi, ci consente di valo-rizzare il ruolo degli Archivi. Infatti è grazie ad essiche sono possibili ricerche come quella presentataoggi alla Biblioteca del Senato. Gli Archivi costitui-scono un vero e proprio forziere della nostra storia, ingrado conservare, comunicare e trasmettere il nostropassato, affinché sia di esempio e di insegnamentoper il nostro futuro.Questi pubblici eventi rappresentano anche l’occasioneper mostrare alcuni preziosi cimeli custoditi presso l’Ar-chivio Storico del Senato. Proprio per questo sono statiesposti in una teca alcuni documenti attinenti al periodostorico di cui si parlerà nell’incontro odierno, a cura deinostri archivisti.Tra i documenti si-gnificativi selezio-nati: l’ultimanotizia dalla tra-dotta di Tarvisiodel senatore delRegno Elio Mor-purgo, vittimadell’Olocausto, ca-ricato in un convo-glio diretto adAuschwitz. Non èinoltre da dimenti-care che diversi fu-turi senatori dellaRepubblica, furono condotti in campi di prigionia nazi-sti, come per esempio il senatore Gianfranco Maris, de-portato nel lager di Mauthausen, ricordato dagli autoridel libro con una dedica alla memoria o il futuro diret-tore della Biblioteca del Senato Vittorio Emanuele Giun-tella, deportato in un lager in Polonia e in Germania.”Tutti i relatori, nei lori interventi, hanno evidenziatoche tra i pilastri fondativi della memoria della Repub-blica, accanto alla Resistenza, alla deportazione poli-tica, alla deportazione ebraica, all’internamentomilitare, alla prigionia di guerra, c’è anche il lavorocoatto nei campi e nelle officine del Terzo Reich. Per il Terzo Reich l’impiego di manodopera stranierafu uno strumento fondamentale per sostenere l’eco-nomia bellica. Milioni di lavoratori provenienti ingran parte dai Paesi occupati, ma anche in buona mi-

NON SOLO LIBRI

Autori del primo tomo (in ordine di pubblicazione): Brunello Mantelli, Giovanna D’Amico, Irene Guerrini e MarcoPluviano, Massimiliano Tenconi, Sara Bergamasco, Toni Rovatti, Andrea ferrari e Marco Orazi.

Autori del secondo tomo (in ordine di pubblicazione): francesca Cavarocchi, Annalisa Cegna, Antonella Tiburzi,Costantino Di Sante, Andrea ferrari.

Prefazione di Gianni Perona, fondazione Memoria della Deportazione.nota di Enzo Orlanducci, Presidente nazionale AnRP.

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Se proviamo a ripercorrere lastoria del secolo scorso, pos-siamo constatare quanto sia

drammatico il bilancio di violenzadi cui è costellato. Una violenzache si è perpetrata in massimaparte contro le popolazioni civili,colpite nella loro quotidianità dallerovinose conseguenze dei conflittiarmati, oppure oggetto di violentepersecuzioni politiche, etniche oreligiose. Questo drammatico temaè stato puntualmente e capillarmentedocumentato nel volume “Genocidie stermini di massa. Il novecento aconfronto” l’ultima pubblicazionedi Maria Immacolata Macioti, so-ciologa, responsabile dell’Osserva-torio Rifugiati Vittime di guerradell’AnRP, presentato nel corso diun incontro che si è tenuto il 23gennaio u.s presso la sala conferenzedell’AnRP. A parlarne con l’autrice,due illustri ospiti, il sociologo francoferrarotti e lo storico Enzo Paceche, dopo un breve saluto del pre-sidente nazionale dell’AnRP EnzoOrlanducci, hanno offerto al quali-ficato pubblico un’ampia panoramicadell’opera sotto diversi aspetti.La storia ci insegna che stragi, ec-cidi, stermini hanno sempre ac-compagnato il cammino umano. Illibro si apre con la descrizione delgenocidio subito dagli armeni al-l’alba del XX secolo, nell’allora im-pero ottomano; si inoltra nell’indi-cibile Shoah, che i nazisti imposeroagli ebrei; ripercorre stermini dimassa o l’eliminazione di alcunecategorie che, in contesti geopoliticidiversi e in situazioni differenti,hanno insanguinato paesi comeArgentina, Cile, Uruguay, Libia ita-liana, Rwanda, Sudafrica, Germa-nia, Croazia, Serbia, Bosnia Erze-govina. Come mai tanti massacri,tante stragi? Questo libro affrontanello specifico i genocidi e gli ster-mini del novecento, tentando analisi

colpito soldati e popolazione civile,uomini e donne, adulti e bambini. Esaminando paese per paese “am-missione” o “negazione” di tragicieventi, la Macioti affronta il temadel genocidio, una parola che,come ha spiegato Enzo Pace, nonè antica: infatti è stata inventatadurante la Seconda guerra mon-diale, proprio da un ebreo polacco,Raphael Lemkin, che con quel-l’espressione volle descrivere, nelmodo a suo parere più accurato, latragica sorte che il popolo armenosubì all’inizio del novecento. Lariflessione sociologica della Maciotiripercorre per Argentina e Cile ildramma dei desaparecidos, neglianni Settanta e Ottanta del secoloscorso, quando dittature militari,con un colpo di stato, decisero dieliminare fisicamente gli avversaripolitici. Per quanto riguarda la si-tuazione nei Balcani, sia durantela Seconda guerra mondiale, siasuccessivamente con la disgrega-zione della Jugoslavia, nel volumesi ricordano i soprusi e le uccisionidi massa compiute da serbi controcroati e viceversa, da serbi controbosniaci, da cristiani contro mus-sulmani e viceversa. Enzo Pace ha definito il libro dellaMacioti un prezioso strumento percapire alcune dinamiche all’originedelle distruzioni di massa e metterlea confronto. Punto di partenza è ilconcetto della inconciliabile diver-sità: “È talmente differente da meche non può vivere sotto lo stessotetto”. Quindi, l’altro diventa unnemico interno da eliminare. Daqui la genesi sociale di una mac-china organizzativa efficiente perpassare dalla distruzione simbolicaalla distruzione fisica. In Rwanda,per esempio, c’ è stato il retaggiopolitico e culturale del colonialismobelga che è riuscito a mettere unocontro l’altro due gruppi etnici

Il Novecento,secolo digenocidie sterminidi massa

di Rosina Zucco

e comparazioni tra i vari accadi-menti per vagliare affinità e diver-sità, per meglio comprendere ilpassato ma anche il nostro proble-matico presente e il nostro possibilefuturo. Esiste, o meglio è esistitoun modello dominante, in Europa,al riguardo? E alcuni ben noti, spa-ventosi fatti non europei, hannoavuto qualcosa a che vedere conquanto avvenuto in terra turca, inGermania e nei territori in manoal nazismo, o no? Per esempio idesaparecidos o il Rwanda, sonofatti a sé o presentano eventualiaffinità? “Secolo breve” il nove-cento? non per certe zone marto-riate, non per le vittime politichedi sterminio, di umiliazione, di do-lore e di annientamento che hanno

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dello stesso territorio, Hutu e Tutsi,questi ultimi, convertiti al cattoli-cesimo, divenuti classe dirigenteche doveva amministrare la coloniada parte del re. Come si costruiscela figura del nemico? Enzo Pace,mettendo a confronto analoghe si-tuazioni, ha parlato di “apocalissementale collettiva” preparata neltempo, cosa che rende difficilissimala riconciliazione delle memorie. franco ferrarotti ha analizzatosotto vari punti di vista il lavorodella Macioti che è stato da lui ap-prezzato soprattutto sotto l’aspettometodologico. Ci fa capire come ladistinzione tra scienze esatte escienze umanistiche non esistepiù. Quando c’è l’irruzione delladimensione temporale nelle scienzedella natura si può stabilire un’al-leanza tra scienze della natura escienze sociali, conciliando materiainerte e persona, verità di fatto eimprevedibilità. La sociologia, dalcanto suo, si chiede a quali condi-zioni esploda una situazione. Larisposta ce la offre l’impostazioneinterpretativa della ricerca, che ècomparata e condizionale. In questosenso il libro non è consolante. Gliesseri umani sono “ricordi ambu-lanti”, tanto che Tzvetan Todorovha parlato degli “abusi della me-moria”. Il senso del nemico è il ce-mento che tiene insieme un popolo,concetto che implica una regres-sione paurosa. Il libro infatti nonsi limita alla Shoah, ma individuaaltri casi di questo fenomeno re-gressivo anche nei momenti piùrazionali: esclusione-inclusione.Lungi dall’essere consegnato agliarchivi della storia, il fenomeno èancora di palpitante attualità inuna Europa in cui 27 paesi nonriescono a risolvere il problemadelle emigrazioni. Perché questoostracismo? Siamo troppo incatenatiall’idea di io/noi e l’altro, mentre

l’identità e l’alterità avrebbero bi-sogno l’una dell’altra, puntandosulla forza dell’interscambio. fer-rarotti vede nel libro lo specchiodella nostra cronaca. Il concetto dicultura, oggi è fondamentalmenteresponsabile della cesura fra omi-nitas e humanitas, e questo il librolo afferma nel tessuto del racconto.Chiunque venga al mondo ha il“diritto all’umanità”, per cui regolaetica è che tutti gli esseri umanihanno diritto all’umanità, cioè adessere accolti e accettati. L’accet-tazione dell’altro è garanzia dellamia sopravvivenza. In conclusione,

oggi, in un contesto di tecnologiaplanetaria, dominata da organismimultinazionali, la cittadinanzanon può essere legata a un fattogeografico.Maria Immacolata Macioti, al ter-mine dei due interventi ha cercatodi tirare delle conclusioni, ripor-tando il discorso al presente del-l’Europa dove è difficile conciliarememorie contrapposte. Le ceneridel passato sono ancora vive e iproblemi non mancano perché nonc’è una politica comune. Il temanon riguarda solo i paesi “altri”,visto che, una vota abbattuto il

Muro di Berlino, molti altri muri,fisici e non, sono stati alzati. Come giudicare il passato? Comesanare le ferite? Il tribunale dinorimberga nel 1946 condannò imaggiorenti nazisti per gli indi-cibili crimini contro il popoloebraico, mentre per l’ex Jugoslavia,il Tribunale penale internazionale,istituito dal Consiglio di sicurezzadell’OnU nel 1993, chiuse i suoilavori nel 2017 con sentenze dicondanna non ritenute giuste dauna parte dell’opinione pubblicadi Croazia e Serbia. Più difficileancora sanare le persecuzioni in

Rwanda nel 1994-1995, che cau-sarono mezzo milione di vittime.nei diversi contesti contraddittorioè stato l’atteggiamento delle Chie-se, delle autorità e dei fedeli. Larigorosa e vasta indagine dellaMacioti si conclude, partendo daesperienze concrete, con la pos-sibilità di una giustizia senzavendetta. Importante è il dialogotra chi vide da vicino gli orrori ele generazioni venute magari de-cenni dopo. Esprime la speranzache la conoscenza di tremendieventi sia memoria e monito per-ché non accadano più.

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La considerevole raccolta ditestimonianze sull’interna-mento dei militari italiani

nei lager nazisti, pervenute nelcorso degli anni all’AnRP, anno-vera sempre più frequentementenella sua compagine un’atten-zione tutta “al femminile”. La re-altà drammaticamente vissuta daipadri in quei venti mesi dopo l’8settembre del 1943, è sempre piùspesso riportata con grande sen-sibilità e consapevolezza dalle fi-glie che se ne fanno portavoceattraverso il recupero di diari, let-tere, fotografie e altro materialeatto a ricostruirne la complessae poliedrica fisionomia. Una simile ricerca è stata ancheall’origine del volume “Diario del-l’alpino francesco Maccario”, re-datto dalla figlia Paola, che èstato presentato presso la salaconferenze dell’AnRP il 20 feb-braio. Per inquadrarne il conte-sto storico è intervenuto lostorico Mario Avagliano, mentrea Potito Genova, consigliere na-zionale dell’AnRP, nonché figliodi un IMI, è stato affidato il com-

pito di analizzare il vissuto delprotagonista dal punto di vistapsicologico e relazionale.

padre francesco, alpino di leva,classe ‘23, chiamato alle armi a19 anni nel 1942 e internato invari lager nazisti dopo l’8 settem-bre 1943, fino all’aprile 1945. Inrealtà la prima parte del testo, dalsettembre 1942 all’8 settembredel 1943, riporta i contenuti dellelettere che l’alpino francescoscambiava con la famiglia e inparticolare con la sua fidanzataMary, abilmente trasformatidall’autrice in forma di diario perdare omogeneità al racconto. Ildesiderio della scrittrice è di faremergere la tragica esperienzadel padre, giovane di una genera-zione che non amava raccontarela dura prova subita, vergognan-dosi di averla vissuta.Il giovane francesco, cresciutonel ventennio fascista, possiede ivalori etico-morali della sua gene-razione, in particolare un fortesenso del dovere nei confrontidella Patria. Parte quindi militarepronto alla guerra, orgoglioso diappartenere al Corpo degli Alpinie al suo Reggimento. natural-mente nasconde nel suo intimo lapaura dell’ignoto, la solitudine, lamancanza degli affetti e soprat-tutto quello della sua “morosa”,che lo sosterrà per tutta la suadrammatica vicenda.In questo dualismo emotivo -come ha fatto notare Potito Ge-nova - vince la positività: la vitamilitare è un’opportunità di cre-scita, gli dà vigore fisico e morale,le privazioni sollecitano il sensodi sopravvivenza, insegnano ascegliere il bene e non il male, levirtù e non i vizi. Legato all’amoredi Mary, si allontana da situazionisessuali scabrose che deterioranola comunità; preferisce dedicarsiallo studio per prepararsi al te-muto ma ambito esame di matu-rità, quale riscatto ed evoluzione

Diariodell’alpinoFrancescoMaccario

28·LIBERI

Dopo il saluto e una breve carrel-lata di inquadramento del presi-dente Enzo Orlanducci, Avaglianoha illustrato il contenuto del libro,contestualizzando nel contempo

la vicenda degli IMI. Il libro dellaMaccario riporta fedelmente lepagine del diario di prigionia del

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sociale. Ha un forte amor proprioe spiccata autostima, è giudizioso,attento e preciso, prodigo di con-sigli per gli amici e la fidanzata;caratteristiche che saranno deter-minanti per sopravvivere alla tri-ste esperienza della prigionia.Questo atteggiamento lo aiuta anon deprimersi dagli eventi dellacatastrofe ormai imminente, so-stenuto anche dalla fede e dal suoestremo senso del dovere.Arrivato il momento della scelta,dice “nO” ai minacciosi e ormainemici tedeschi. A questo puntoiniziano la prigionia, la fame, glistenti, l’abbrutimento fisico e mo-rale, la violenza. Passa da uncampo di concentramento ad unaltro, vive tra la sporcizia, pidoc-chi, pulci, sceglie il lavoro deicampi che gli fa ritrovare un po’di dignità, gli migliora la vita. In-tanto con il suo carattere intra-prendente si relaziona con altriprigionieri (francesi, russi, polac-chi), si sente più libero e riesce acreare situazioni positive.La prigionia cambia però il lin-guaggio di francesco, che diventapiù spicciolo, più sbrigativo, piùscurrile; la sopravvivenza sporcala speranza e i suoi ideali. Tuttodiventa marcio e lercio. L’avver-sione per i tedeschi e i fascisti cre-sce insieme alla rabbia. Però nonsi perde d’animo, la conoscenzadella lingua francese lo aiutamolto nei rapporti con gli altriprigionieri, diventa scaltro, spa-valdo; muta la prigionia in oppor-tunità dedicandosi al baratto diprodotti recuperati tra i prigio-nieri, sopravvive con caparbietà.Arriva il 1944, francesco conti-nua la sua “resistenza”, subiscepunizioni e bastonate ma non siarrende, i bombardamenti deglialleati si intensificano, cresconole macerie insieme alle malattie

e tanta ansia e noia. francescosi ammala di difterite e con lamalattia arriva l’esasperazioneper una situazione umanamenteincomprensibile, le parole delsuo diario diventano crude, solobrevi annotazioni, la pazienza

ha un limite.All’inizio di febbraio del 1945esce finalmente dalla malattia, sisente più positivo, ormai gli alleatisono alle porte, così il 6 aprile itedeschi abbandonano il campo, lalibertà è finalmente giunta.

Come è stato fatto notare da Po-tito Genova, la lettura del diariodell’alpino francesco Maccario,voluta e proposta dalla figliaPaola, indica precisi insegna-menti per le nuove generazioni,da trasmettere con orgoglio:l’amore per lo studio, quale stru-mento di conoscenza, il sensodel dovere, oggi molto spesso di-menticato, il valore della fami-glia e della Patria, quali Valori diunità e solidarietà sociale, e peri giovani più demotivati ungrande esempio di autostima percrescere nella vita, realizzandoun progetto senza mai perdersid’animo.Grazie anche a numerose chiosepersonali da parte dell’autrice, èstata sempre viva l’attenzione delpubblico, partecipe e motivato,tanto che nella sala aleggiava unacerta “aria di famiglia”, come hafatto notare Orlanducci. La drammatica esperienza difrancesco è una tra quelle dei650.000 Internati Militari Italiani

la cui memoria deve essere con-segnata alla Storia per trovarvi lagiusta collocazione, un compito acui l’AnRP si dedica quotidiana-mente con le sue attività, i suoiprogetti, la passione e l’entusia-smo dei suoi membri.

29·LIBERI

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30·LIBERI

In occasione del 75° anniversario del naufragio delpiroscafo Oria, affondato il 12 febbraio 1944 pressol’isola di Patroklos, nel mare Egeo, si è tenuta a Vel-

letri (Roma), il 10 febbraio nella Cattedrale San Cle-mente, una Messa Solenne celebrata dal S.E.R. Mons.Vincenzo Apicella, in onore degli oltre 4000 dispersi.Alla cerimonia di commemorazione erano presentiil Ministro della Difesa Elisabetta Trenta, il sindacodi Velletri Orlando Pocci, il Gen. dei Carabinieri An-tonio Ricciardi, l’Addetto dell’Ambasciata di Roma-

nia per la Difesa Iulian Barbu, il Comandante dellaScuola Marescialli Carabinieri Marino Liviano, il Vi-cario generale Arcidiocesi di Rodi fr. Luke John Gre-gory. Per l’AnRP era presente una delegazione dallaSezione di Veglie (Lecce), intitolata a Rollo Liberta-rio, guidata dal presidente Raffaele Cucurachi. Alla Messa erano presenti numerosi familiari delle vit-time di quella drammatica vicenda che si accomuna aquella di tanti altri militari italiani, catturati dopo l’8settembre 1943 e trasferiti dai tedeschi compiendo laprima parte del tragitto via mare, verso i lager delTerzo Reich. Dalle isole dell’Egeo partivano navi stipatedi soldati italiani dirette verso la terraferma e granparte di queste, tra incidenti e bombardamenti dagliAlleati, furono affondate. A rendere davvero tragica lasituazione fu il fatto che i prigionieri venivano bloccatidai tedeschi, per impedir loro di uscire dalle stive.

nel caso dell’Oria, i soccorsi, ostacolati anche dallepessime condizioni meteo, si salvarono solo 37 ita-liani, 6 tedeschi, un greco, 5 uomini dell’equipag-gio, incluso il comandante Bearne Rasmussen e ilprimo ufficiale di macchina. nel corso della cerimonia il promotore ed animatoredell’incontro, Antonio Albanese, già addetto militarepresso l’Ambasciata d’Italia in Grecia, ha rivolto unpensiero alle famiglie dei 4116 dispersi. E ha sot-tolineato che “La presenza della ministra Trenta e di

tante componenti delleassociazioni combat-tentistiche e d’Arma te-stimonia che si stafrantumando quelmuro che si interponefra cittadini e istitu-zioni. Ciò è merito so-prattutto della rete didiffusione operata daifamigliari dei dispersi,nata spontaneamenteper portare avanti l’im-pegno di rintracciare ifamiliari di tutte le vit-time e soprattutto deidispersi. Questo, gra-zie al ritrovamento diun elenco che se pur

redatto nel 1946, ha contribuito a ricostruire la listadei presenti sulla nave al momento del naufragio.Sempre ai familiari si deve il contributo per il ritrova-mento di un’altra importante lista di circa 7000 nomi,quella del Donizetti, affondato nell’Egeo”. Albaneseha fatto presente che a distanza di poche ore dallacommemorazione di Velletri, si è svolta analoga ce-rimonia in Grecia presso il monumento inauguratodalle autorità elleniche nel 2014. Albanese ha con-cluso il suo intervento facendo appello alla sensibi-lità dei familiari affinché si facciano apripistapresso i comuni italiani per contattare altrettantefamiglie e contribuire alla conoscenza di questa pa-gina di storia. Un particolare ringraziamento è stato porto alla de-legazione della Sezione dell’AnRP di Veglie “ve-nuta da lontano”.

La Ministra della Difesa presentealla commemorazione per le vittime

del naufragio dell’Oria

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31·LIBERI

RECENSIONIa cura di fabio Scrocco

Costantino Di Sante con questo libronato dal ritrovamento di fondi e docu-menti inediti raccolti nell’immediato do-poguerra dalle autorità alleate e italiane,fa luce sull’aspetto fino ad oggi scono-sciuto riguardante le personalità, i volti eil destino degli aguzzini che seminaronoterrore in Via Resia. Documenti che dopo75 anni hanno consentito di ricostruire lastruttura organizzativa della polizia nazista

nella zona d’operazioni delle Prealpi e ledinamiche che hanno portato all’arrestoe all’omicidio di Mario Longon, uno deicapi della resistenza bolzanina, nelle oreche lo videro prigioniero della Gestapo.Il campo di concentramento di Bolzanogestito dalle SS tra il 1944 e il 1945rappresentò insieme alla Risiera diSan Saba a Trieste, il principale luogo

di detenzione e tortura nazista in Italia.

Costantino di Sante

CRIMINALI DEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI BOLZANOEditions Raetia · Pagg. 319 · € 24,00

Roberto Pozza ripercorre le vicende disuo padre Arnaldo, dall’ammissione alCorso allievi Ufficiali di complementodi napoli, all’entrata in guerra del-l’Italia, alla partenza per il fronte,sino alla sua cattura da parte dei te-deschi in Albania il 14 settembre1943 e la deportazione nei lager in Polo-nia e Germania tra cui lo Stalag X B di Sandbostel

e l’Oflag 83 di Wietzendorf, fino allatanto attesa liberazione da parte delle

truppe alleate nel mese di aprile 1945 equindi al rimpatrio qualche mese dopo.

L’autore ricostruisce i vari passaggi gra-zie a fotografie, lettere, appunti tratti dal

quaderno del padre, memorie di guerra eprigionia di persone che condivisero con

Arnaldo quei luoghi.

Roberto Pozza

LA VALIGIA NASCOSTAISTANTANEE DAI BALCANI E QUADERNO DEL CAMPO DEL S.TE. ARNALDOPOZZA, INTERNATO MILITARE A SANDBOSTEL STALAG X B (1941-1945)

Tresogni Editore · Pagg. 155 · € 14,00

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32·LIBERI

Le “Molteplici anime di Giuseppe Consoli”ripercorre la carriera artistica dell’autore,dai primi disegni realizzati nei campi diprigionia in Germania fino alle operedegli anni successivi. Una produzione,quella di Consoli, che va dall'olio su tela,all'acquarello, alla scultura in ferro. All’at-tività di artista affiancò anche quella difunzionario di Soprintendenza di Genovae Milano. nella sua carriera affrontò varie

tematiche del novecento, come la vita nelLager, i paesaggi siciliani, la campagna, lacronaca degli anni settanta, ottenendocosì vari riconoscimenti tra cui il PremioSuzzara nel 1950 con “Bracciante sici-liano” e nel 1951 con “Strage della Por-tella della Ginestra”. Il libro, in partecatalogo, si completa con il regesto delleopere, l'antologia critica, l'elenco cronolo-gico delle esposizioni e la bibliografia.

Giuseppe Consoli

LE MOLTEPLICI ANIME DI GIUSEPPE CONSOLIEditore Nexo · Pagg. 157 · € 24,00

Maurizio fumarola-Mauro racconta lapropria esperienza nel IX Corso per al-lievi ufficiali di complemento della RegiaAccademia navale di Brioni, che dopo l’8settembre 1943 subì l’umiliante catturae il conseguente trasferimento neicampi di concentramento nazisti. I re-duci italiani una volta rimpatriati con-statarono amaramente che il sacrificio di più

di un milione di militari dislocati tra Istria-Balcani ed Egeo, era stato trascurato, senon dimenticato. Lo scopo di questo libro èappunto quello di offrire una visione com-pleta sul significato di quanto accadde inquegli anni terribili. Il libro si conclude condue elenchi, prima quello dei colleghi scom-parsi in prigionia, poi, se pur parziale, quellocon gli indirizzi dei colleghi del IX Corso.

Maurizio Fumarola-Mauro · Simonetta Ghezzi

QUELLI DI BRIONI…I FIGLI DEGLI ANNI TERRIBILIBesa Editrice · Pagg. 225 · € 18,00

fulvio Cofini ci racconta la storia del-l’abruzzese Annibale Libertini, alpino diforme, classe 1912, e di alcuni dei suoicompagni di sventura (tra cui il padre del-l’autore, Giustino Cofini) con i quali con-divise il periodo di leva, la guerra sulfronte greco, la cattura a Giannina dopo l’8settembre 1943 e la prigionia in Germanianegli Stalag di Sandbostel, Amburgo e diDessauer Ufer, un sottocampo di neuen-gamme. nel testo l’autore evidenzia con

scrupolosa minuzia la condizione di schia-vitù a cui vennero sottoposti i militari ita-liani, ed il passaggio dalla loro condizionedi “IMI” a quella di lavoratori civili nel lu-glio del 1944. Gli eventi sono ricostruitida Cofini grazie alla testimonianza epi-sodica di Libertini, ai dati estrapolati daifogli matricolari, dai diari di ogni alpinocitato e dai contenuti del “Diario Sto-rico” dei loro reparti di appartenenza,

in particolare il Battaglione “Val Pescara”.

A cura di Fulvio Cofini

STORIA DI UN ALPINO DI FORME. ANNIBALE LIBERTINI. CLASSE 1912Stampato per proprio conto · Pagg. 134

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33·LIBERI

BRESCIA • Il Prefetto di Brescia Annunziato Vardé,all’interno dell’Auditorium San Barnaba, ha consegnato aifamiliari di 52 ex IMI, di cui 2 viventi, le Medaglie d’Onoreai deportati e internati nei lager nazisti, alla presenza delSindaco Emilio Del Bono e altri 13 sindaci della provinciabresciana. Erano presenti anche i familiari di Quarto Al-berti, nativo di Peia, emigrato dall’Italia in cerca di lavorodopo il rientro dalla prigionia. Successivamente si è tenutala commemorazione al monumento del deportato in Piaz-zale Cremona, sempre alla presenza dei sindaci, delle au-

torità cittadine e di tutti i parenti.

LECCE • nella celebrazione del Giorno della Memoria,  presso la Prefettura leccese,la Medaglia d’Onore è andata a tre salentini. Il principale protagonista è stato Donato

De Pascalis, 97enne di Miggiano. Catturato a Creta l’8 set-tembre 1943, rimase nel campo di concentramento diEssen, fino al 10 aprile 1945.Sono state consegnate due medaglie anche ai familiari dialtri ex IMI: Antonio Pierri, classe 1921, caporal maggioredi Artiglieria, originario di Ugento, di stanza con l’Esercitoin Albania, il 10 settembre venne catturato e condotto inun campo di concentramento a Thorn; Giovanni Serra, lec-cese, classe 1920: venne catturato ad Atene e inviato nelcampo di prigionia di Bonn. Destinato al lavoro coatto, fu

impiegato in una fabbrica di mattoni, il 16 ottobre del 1945, fu liberato e rimpatriatodagli Alleati.

MILANO • In occasione della Giornata della Memoria, il Prefetto di Milano RenatoSaccone ha consegnato quattordici Medaglie d’Onore. Tredici sono state assegnate alla

memoria e ritirate dai familiari. franco Tenderini, viventee lucido testimone, ha ricevuto l’Onorificenza dal MinistroMarco Bussetti e dal Sindaco di Milano Giuseppe Sala. Lacerimonia si è svolta lunedì 28 gennaio, nell’Aula Magnadell’Istituto Tecnico Statale ‘Artemisia Gentileschi’ di Mi-lano, nell’ambito della presentazione dei progetti realizzatidagli studenti delle scuole milanesi. Alla cerimonia sonointervenuti oltre alla senatrice a vita Liliana Segre, il sot-tosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Ste-fano Buffagni, l’assessore regionale Bolognini e settesindaci dei comuni di residenza degli insigniti.

NOVARA • La Prefettura di novara, in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Terri-toriale, ha organizzato il Giorno della Memoria con l’evento celebrativo “Il Valore dellaMemoria”. nel corso di tale evento, alla presenza di numerose autorità civili e militari edi oltre 250 studenti, si è proceduto alla consegna della Medaglia d’Onore ai familiaridei cittadini insigniti della provincia: Giovanni Bonzi nativo di Dossena, Giuseppe Caccia

MEDAGLIA D’ONOREIn tutta Italia le cerimonie per la consegna delle Medaglie d’Onore aquanti hanno contribuito ad una Italia libera e democratica. Di seguitola cronaca di alcune manifestazioni che hanno visto protagonisti inostri associati.

a cura di Gisella Bonifazi

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34·LIBERI

Colombo di Vespolate morto nel Lager Zeithain in Sassonia e Gioacchino Marchizza dinovara. Tanta l’emozione che ha avvolto l’intera platea, nell’ascoltare i brevi ricordi vis-

suti dai tre internati, fatti dalle figlie e da un nipote, chehanno ritirato l’onorificenza alla memoria. Il Prefetto RitaPiermatti ha invitato gli studenti a sentire il “dovere dellamemoria”, intensificando il dialogo nella comunicazionepiù autentica, nello sforzo della reciproca comprensione,nell’unione dei propri intenti, affinché le atrocità del pas-sato dei loro coetanei non abbiano mai più a ripetersi.Anche il sindaco di novara Alessandro Canelli, si è unitoall’invito fatto dal Prefetto “creando un senso di trasmis-sione culturale che deve partire dalle scuole”. Diverse ini-ziative hanno visto impegnati i ragazzi delle varie scuole

del territorio, tra queste uno spettacolo teatrale “non solo polvere”, scritto, prodotto emesso in scena dagli stessi studenti.

PALERMO • Ad accogliere i familiari dei cinque militari internati siciliani, nellasala della Prefettura, il prefetto Antonella Di Miro, autorità militari, civili e numerosi ra-

gazzi di quattro istituti scolastici della città palermitana.La cerimonia, intitolata “Un paio di scarpette rosse”, si èsvolta in un clima di concentrazione ed emozione tra let-ture di brani e canti. Di Miro ha voluto soffermarsi sullasperanza, quella che allora “anche nel buio della ragione edell’anima, ha guidato l’umanità verso il bene”. Le Meda-glie d’Onore sono state consegnate ai familiari dei militari:nicola Bova, Umberto Cordova, Giuseppe di Paola, Vin-cenzo Guarcello e Antonino Passaro, quest’ultimo reclutatonel 17° Battaglione della Divisione “Acqui”, divenuta fa-mosa per l’eccidio, da parte dei tedeschi, di migliaia di sol-dati avvenuto a Cefalonia e Corfù, in Grecia fra l’8 e il 23

settembre 1943. Al termine, il Prefetto ha fatto dono ai ragazzi di una copia del diariodell’internato Giuseppe di Paola.

PAVIA • Venerdì 25 gennaio si è svolta in Prefettura a Pavia la ceri-monia per il Giorno della Memoria; alla commemorazione sono inter-venuti il Prefetto Attilio Visconti, il Presidente della Provincia VittorioPoma, il Sindaco Massimo Depaoli, il Presidente del consiglio comunaleAntonio Sacchi e il Vescovo di Pavia Monsignor Corrado Sanguineti. La cerimonia ufficiale si è conclusa con la consegna delle Medaglied’Onore - alla memoria - da parte del Prefetto Visconti e del sindaco De-paoli. Sono tre ex IMI nativi fuori provincia ed emigrati in terra pavesenei primi anni ’50: Giuseppe Bertocchi da Clusone, Giovanni Cossali daParre e Egidio Bigoni da Ardesio, tutti della Valle Seriana in provinciadi Bergamo.

AQUILA • Il Prefetto della Provincia dell’Aquila Giu-seppe Linardi, nel corso della cerimonia per la Giornatadella Memoria, ha consegnato le Medaglie d’Onore alla me-moria di Cosimo Pagone, Giulio farina, Sabatino Iannacci,Cono Gugliotta e Silvestri Salvatore. La concessione dellaMedaglia d’Onore ai viventi ed ai congiunti dei deceduti,sono manifestazioni fatte in forma solenne e alla presenzadelle massime Autorità Civili e Militari, esse sono momentidi memoria e riflessione per tutti.

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35·LIBERI

In visita al Museo

Il Senatore Gianni Marilotti, presidente della Commis-sione per la Biblioteca e Archivio Storico del Senato.

Il Gen. B. Vincenzo RomanoCapo del 5° Reparto “Comunicazione” SMA.

Gli studenti dell’Istituto Comprensivo Statale“Orazio” di Pomezia incontrano l’ex IMI Michele Montagano.

Studenti del Liceo Classico Sperimentale StataleBertrand Russell.

Riunione del Comitato Esecutivo per la concessionedella Targa di benemerenza Icaro.

Visita di una classe del Liceo Scientifico“nomentano” di Roma.

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