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Può la scienza spiegare la coscienza? di John Horgan Che cos 'è la coscienza? La neurobiologia è in grado di spiegarla oppure, come sostiene qualche filosofo, il più sfuggente e ineludibile fra tutti i fenomeni sta al di là del dominio sperimentale? n uello che un tempo era il più grande fra i misteri della biologia, il cervello umano, sta 'Ne_ gradualmente rivelando i suoi segreti. I ricer- catori stanno sondando i suoi recessi più profondi con strumenti sempre più potenti, dai microelettrodi che consentono di discernere gli squittii dei singoli neuro- ni alle tecniche di generazione di immagini mediante risonanza magnetica e tomografia a emissione di posi- troni, che possono amplificare la sinfonia a cui dà luo- go, nella corteccia, la vista di un dipinto come La grande fatte di Georges Seurat o la percezione del- l'aroma di puntine di maiale alla griglia. Con queste tecniche e altre ancora, è stato possibile cominciare a capire i processi fisiologici che sottostanno ad aspet- ti della mente come la memoria, la percezione, l'ap- prendimento e il linguaggio. Resi più audaci da questi risultati, sono sempre più numerosi gli scienziati che hanno osato affrontare quello che è al tempo stesso il più sfuggente e il meno evitabile dei fenomeni: la coscienza, la nostra consa- pevolezza immediata e soggettiva del mondo e di noi stessi. Gran parte del merito (o della colpa) di questa tendenza va a Francis Crick, che nel 1953 si era gua- dagnato un premio Nobel per la scoperta della struttu- ra del DNA e poi si è dato alle neuroscienze, poco do- po essersi trasferito dall'Inghilterra al Salk Institute for Biological Studies di San Diego, circa 20 anni fa. Proprio come solo lo scomparso Richard M. Nixon, famoso per il suo anticomunismo, poteva ristabilire le relazioni con la Cina comunista, solo Crick, noto per il suo rigore empirico, poteva legittimare la coscienza come oggetto di studio scientifico. Nel 1990 Crick e Christof Koch, giovane neuro- scienziato del California Institute of Technology, suo stretto collaboratore, hanno sostenuto sulla rivista «Se- minars in the Neurosciences» che i tempi erano maturi per affrontare la coscienza. Rifiutavano la convinzione di molti dei loro colleghi, secondo i quali la coscienza non può nemmeno essere definita, quindi tanto meno studiata. La coscienza, sostenevano, in realtà è sinoni- mo di consapevolezza, e tutte le forme di consapevo- lezza (sia che riguardino oggetti del mondo esterno sia concetti interni fortemente astratti) sembrano coinvol- gere lo stesso meccanismo di fondo, in cui sono com- binate attenzione e memoria a breve termine. Al contrario di quanto ipotizzano gli scienziati co- gnitivi, i filosofi e altri, Crick e Koch sostengono che non si può sperare di raggiungere una vera compren- sione della coscienza o di altri fenomeni mentali trat- tando il cervello come una scatola nera, cioè come un oggetto la cui struttura interna ci è ignota ed è comun- que irrilevante. Solo esaminando i neuroni e le loro interazioni gli scienziati possono ac- cumulare quel tipo di conoscenza empirica, priva di ambiguità, che è necessaria per creare modelli davve- ro scientifici della coscienza, analo- ghi a quelli che spiegano la trasmis- sione dell'informazione genetica me- diante il DNA. Crick e Koch sollecitavano i ricer- catori a concentrarsi sulla consape- volezza visiva, dal momento che il sistema visivo è già stato ben studia- to, sia negli animali sia negli esseri umani. Se si potessero trovare i mec- canismi neurali che sottostanno a questa funzione, si potrebbero sonda- re fenomeni più complessi e sottili, come l'autoconsapevolezza, che po- trebbe essere specifica degli esseri umani (e quindi molto più difficile da studiare). Potremmo addirittura capi- re perché abbiamo la sensazione pa- radossale di una volontà libera, una sensazione non sradicabile che le no- stre menti abbiano esistenza indipen- dente ed esercitino un controllo sui nostri corpi. Crick elabora queste idee in The Astonishing Hypothesis, un libro pubblicato quest'anno e de- dicato a Koch [e di cui è uscita da po- co la traduzione italiana, curata da Isabella Blum per i tipi di Rizzoli, con il titolo La scienza e l'anima]. Le parole di Crick sono servite a mettere in moto una convergenza in- tellettuale fra ricercatori delle neu- roscienze, informatici, psichiatri e al- tre specie esotiche, tutti attratti dal de- siderio di gettare uno sguardo sul- la mente. Gli incontri proliferano: lo scorso aprile oltre 300 studiosi si sono dati appuntamento allo Health Sciences Center del- l'Università dell'Arizona a Tucson per un convegno dal titolo «Verso una base scientifica per la coscienza»: l'incontro annuale della Society for Neuroscience, il più ampio e il più prestigioso del settore, ospiterà il pri- mo simposio sulla. coscienza a Miami, in novembre. Sono spuntate nuove pubblicazioni per alimentare l'in- teresse germogliante, ivi compresi «Psyche», diffusa mediante posta elettronica, con sede in Australia, e «Journal of Consciousness Studies», un trimestrale in- glese il cui primo numero è uscito quest'estate. Ovviamente, i neuroscienziati sono ben lontani dal- l'aver raggiunto un accordo su come si debba studiare, o semplicemente definire, la coscienza. Un importante studioso sostiene di aver già «risolto» la coscienza: è Gerald M. Edelman dello Scripps Research Institute, che ha vinto un premio Nobel nel 1972 per le sue ri- cerche sugli anticorpi. Edelman sostiene che il nostro senso di consapevolezza deriva da un processo che chiama darwinismo neurale, in cui gruppi di neuroni competono fra loro per creare una rappresentazione ef- ficace del mondo. Edelman ha diffuso questa teoria in Dichiarandola argomento legittimo di studio scientifico, Fran- cis Crick del Salk lnstitute for Biologica! Studies ha stimolato l'interesse per la coscienza in cultori delle più varie discipline. una serie di libri, il più recente dei quali, Bright Air, Brilliant Fire, è stato pubblicato nel 1992. Crick ha accusato Edelman di rivestire di un gergo idiosincratico e oscuro idee non particolarmente origi- nali. La maggior parte dei neuroscienziati è d'accordo con questa valutazione (e trova ridicolo il suggeri- 80 LE SCIENZE n. 313, settembre 1994 LE SCIENZE n. 313, settembre 1994 81

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Può la scienza spiegare la coscienza?di John Horgan

Che cos 'è la coscienza? La neurobiologia è in grado di spiegarlaoppure, come sostiene qualche filosofo, il più sfuggente

e ineludibile fra tutti i fenomeni sta al di là del dominio sperimentale?

nuello che un tempo era il più grande fra i

misteri della biologia, il cervello umano, sta'Ne_ gradualmente rivelando i suoi segreti. I ricer-

catori stanno sondando i suoi recessi più profondi construmenti sempre più potenti, dai microelettrodi checonsentono di discernere gli squittii dei singoli neuro-ni alle tecniche di generazione di immagini medianterisonanza magnetica e tomografia a emissione di posi-troni, che possono amplificare la sinfonia a cui dà luo-go, nella corteccia, la vista di un dipinto come Lagrande fatte di Georges Seurat o la percezione del-l'aroma di puntine di maiale alla griglia. Con questetecniche e altre ancora, è stato possibile cominciare acapire i processi fisiologici che sottostanno ad aspet-ti della mente come la memoria, la percezione, l'ap-prendimento e il linguaggio.

Resi più audaci da questi risultati, sono sempre piùnumerosi gli scienziati che hanno osato affrontarequello che è al tempo stesso il più sfuggente e il menoevitabile dei fenomeni: la coscienza, la nostra consa-pevolezza immediata e soggettiva del mondo e di noistessi. Gran parte del merito (o della colpa) di questatendenza va a Francis Crick, che nel 1953 si era gua-dagnato un premio Nobel per la scoperta della struttu-ra del DNA e poi si è dato alle neuroscienze, poco do-po essersi trasferito dall'Inghilterra al Salk Institutefor Biological Studies di San Diego, circa 20 anni fa.Proprio come solo lo scomparso Richard M. Nixon,famoso per il suo anticomunismo, poteva ristabilire lerelazioni con la Cina comunista, solo Crick, noto peril suo rigore empirico, poteva legittimare la coscienzacome oggetto di studio scientifico.

Nel 1990 Crick e Christof Koch, giovane neuro-scienziato del California Institute of Technology, suostretto collaboratore, hanno sostenuto sulla rivista «Se-minars in the Neurosciences» che i tempi erano maturiper affrontare la coscienza. Rifiutavano la convinzionedi molti dei loro colleghi, secondo i quali la coscienzanon può nemmeno essere definita, quindi tanto menostudiata. La coscienza, sostenevano, in realtà è sinoni-mo di consapevolezza, e tutte le forme di consapevo-lezza (sia che riguardino oggetti del mondo esterno siaconcetti interni fortemente astratti) sembrano coinvol-gere lo stesso meccanismo di fondo, in cui sono com-binate attenzione e memoria a breve termine.

Al contrario di quanto ipotizzano gli scienziati co-gnitivi, i filosofi e altri, Crick e Koch sostengono chenon si può sperare di raggiungere una vera compren-sione della coscienza o di altri fenomeni mentali trat-tando il cervello come una scatola nera, cioè come unoggetto la cui struttura interna ci è ignota ed è comun-que irrilevante. Solo esaminando i neuroni e le loro

interazioni gli scienziati possono ac-cumulare quel tipo di conoscenzaempirica, priva di ambiguità, che ènecessaria per creare modelli davve-ro scientifici della coscienza, analo-ghi a quelli che spiegano la trasmis-sione dell'informazione genetica me-diante il DNA.

Crick e Koch sollecitavano i ricer-catori a concentrarsi sulla consape-volezza visiva, dal momento che ilsistema visivo è già stato ben studia-to, sia negli animali sia negli esseriumani. Se si potessero trovare i mec-canismi neurali che sottostanno aquesta funzione, si potrebbero sonda-re fenomeni più complessi e sottili,come l'autoconsapevolezza, che po-trebbe essere specifica degli esseriumani (e quindi molto più difficile dastudiare). Potremmo addirittura capi-re perché abbiamo la sensazione pa-radossale di una volontà libera, unasensazione non sradicabile che le no-stre menti abbiano esistenza indipen-dente ed esercitino un controllo suinostri corpi. Crick elabora questeidee in The Astonishing Hypothesis,un libro pubblicato quest'anno e de-dicato a Koch [e di cui è uscita da po-co la traduzione italiana, curata daIsabella Blum per i tipi di Rizzoli,con il titolo La scienza e l'anima].

Le parole di Crick sono servite amettere in moto una convergenza in-tellettuale fra ricercatori delle neu-roscienze, informatici, psichiatri e al-tre specie esotiche, tutti attratti dal de-siderio di gettare uno sguardo sul-la mente. Gli incontri proliferano: loscorso aprile oltre 300 studiosi si sonodati appuntamento allo Health Sciences Center del-l'Università dell'Arizona a Tucson per un convegnodal titolo «Verso una base scientifica per la coscienza»:l'incontro annuale della Society for Neuroscience, ilpiù ampio e il più prestigioso del settore, ospiterà il pri-mo simposio sulla. coscienza a Miami, in novembre.Sono spuntate nuove pubblicazioni per alimentare l'in-teresse germogliante, ivi compresi «Psyche», diffusamediante posta elettronica, con sede in Australia, e«Journal of Consciousness Studies», un trimestrale in-glese il cui primo numero è uscito quest'estate.

Ovviamente, i neuroscienziati sono ben lontani dal-l'aver raggiunto un accordo su come si debba studiare,o semplicemente definire, la coscienza. Un importantestudioso sostiene di aver già «risolto» la coscienza: èGerald M. Edelman dello Scripps Research Institute,che ha vinto un premio Nobel nel 1972 per le sue ri-cerche sugli anticorpi. Edelman sostiene che il nostrosenso di consapevolezza deriva da un processo chechiama darwinismo neurale, in cui gruppi di neuronicompetono fra loro per creare una rappresentazione ef-ficace del mondo. Edelman ha diffuso questa teoria in

Dichiarandola argomento legittimo di studio scientifico, Fran-cis Crick del Salk lnstitute for Biologica! Studies ha stimolatol'interesse per la coscienza in cultori delle più varie discipline.

una serie di libri, il più recente dei quali, Bright Air,Brilliant Fire, è stato pubblicato nel 1992.

Crick ha accusato Edelman di rivestire di un gergoidiosincratico e oscuro idee non particolarmente origi-nali. La maggior parte dei neuroscienziati è d'accordocon questa valutazione (e trova ridicolo il suggeri-

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Colin McGinn, filosofo della Rutgers University, èun «misteriano» convinto. Pensa che la coscienza e irompicapo collegati, come quello del libero arbitrio,siano misteri troppo profondi perché gli uomini pos-sano sondarli, con metodo scientifico o altrimenti.

Christof Koch del California Institute of Technolo-gy, collaboratore di Crick, suggerisce ai filosofi,quando si discute a proposito della coscienza, di faretesoro del consiglio espresso da Ludwig Wittgenstein:«Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere».

mento apparso in un numero re-cente della rivista «New Yor-ker», secondo il quale per questolavoro Edelman potrebbe vincereun secondo Nobel). Ma anchequanti ammirano le imprese diCrick sospettano che la sua visio-ne possa essere un po' troppo ri-stretta. Gerald D. Fischbach dellaHarvard University, che è statoanche presidente della Societyfor Neuroscience, dice che non èchiaro se il tipo di teoria «elettro-fisiologica» auspicato da Crickpossa da solo spiegare la coscien-za, nello stesso senso in cui lascoperta della struttura del DNAha spiegato l'ereditarietà: «Nonpenso - ci dice - che i tempi sianoabbastanza maturi per poter ri-spondere a questa domanda».

I nuovi misteriani

Tomaso Poggio del Massachu-setts Institute of Technology, unaautorità sulla percezione, che èstato relatore della tesi di Koch,pensa che Crick metta forse trop-po in risalto i meccanismi che po-trebbero coordinare, o legare fraloro, le attività dei neuroni che ri-spondono a una scena visiva. Vi-ceversa, sempre secondo Poggio,Crick trascurerebbe indebitamen-te il ruolo che, nel creare la co-scienza e altri aspetti della mente,potrebbe avere la plasticità delcervello, cioè la sua capacità dimodificare i propri circuiti. Anto-nio R. Damasio dell'Universitàdello Iowa, che sta cercando ditracciare una carta delle nostre facoltàmentali studiando pazienti con danni ce-rebrali, sostiene che una teoria della co-scienza deve mostrare come ciascuno dinoi acquisti un senso del sé, e perciò do-vrebbe tener conto non solo del cervel-lo, ma di tutto il corpo. Damasio pensaanche che, essendo la coscienza forgiatadalle interazioni di un individuo conl'ambiente e con altre persone, un mo-dello neurale della coscienza debba pro-babilmente essere completato da teoriecognitive e sociali.

Mentre i neuroscienziati discutono traloro di questi problemi, altri hanno mes-so in dubbio che la neuroscienza tradi-zionale possa mai spiegare la coscienza,nonostante sia valsa a far luce su altri at-tributi della mente. Gli appartenenti aquesto gruppo eclettico vengono princi-palmente da tradizioni estranee al tron-cone principale della neuroscienza, peresempio dalla fisica e dalla filosofia, espesso sembrano meno interessati achiarire la coscienza che a mistificarla.Per questo Owen Flanagan, filosofo del-la Duke University, ha coniato per alcu-ni di loro il nome di «nuovi misteriani»(pensando a un gruppo rock degli annisessanta, che si chiamava «QuestionMark and the Mysterians» e che ha avu-

to un momento di gloria con un brano disuccesso intitolato 96 Tears).

Un gruppo di misteriani, fra cui spic-ca Roger Penrose, fisico dell'Universitàdi Oxford, sostiene che i misteri dellamente debbono essere messi in relazio-ne con i misteri della meccanica quanti-stica, che genera effetti non determini-stici impossibili nelle teorie classichedella fisica (e della neuroscienza). Ben-ché a tutta prima sia stata ignorata e poiirrisa dai neuroscienziati tradizionali,questa alternativa si è progressivamenteguadagnata una diffusa attenzione, gra-zie agli sforzi di Penrose.

Un altro gruppo di misteriani, forma-to per lo più da filosofi, mette in dubbioche una teoria basata su effetti stretta-mente materialistici (quantistica o clas-sica) possa spiegare davvero come eperché noi esseri umani abbiamo un'e-sperienza soggettiva del mondo. «Il pro-blema è: come è possibile che un siste-ma fisico abbia uno stato cosciente?» di-ce Jerry A. Fodor, filosofo della RutgersUniversity. Gli scienziati che pensanoche la scienza da sola sia in grado di ri-spondere a questa domanda «non la ca-piscono veramente», dichiara Fodor.

Nessuno di questi filosofi difende ildualismo, una filosofia secondo la quale

la mente esiste indipendentemen-te dalla materia e può influenzar-la, ma tutti rifiutano il materiali-smo rigoroso di Crick, che nelsuo nuovo libro sostiene che «levostre gioie e i vostri dolori, i vo-stri ricordi e le vostre ambizioni,il vostro senso di identità perso-nale e di libero arbitrio, in effettinon sono altro che il comporta-mento di un gruppo molto nume-roso di cellule nervose e dellemolecole a esse associate». Unasimile cornice teorica, sostengo-no, non è adeguata alla compren-sione dei fenomeni mentali. E ne-cessaria qualche altra teoria perrendere «trasparente» la relazio-ne fra materia e mente, come di-ce Thomas Nagel, filosofo dellaNew York University.

Terrence J. Sejnowski, ricer-catore del Salk Institute che sioccupa di reti neurali, rifiuta am-bedue queste concezioni filosofi-che e anche le teorie della co-scienza quantistica. «Io li chia-mo argomenti basati sull'igno-ranza» dice Sejnowski, che pren-de regolarmente il tè con Crick eplaude ai suoi tentativi di faredella coscienza un argomentoscientifico. Sejnowski pensa che,seguendo il programma rigorosodi Crick, i neuroscienziati «pos-sano arrivare davvero a qualco-sa» nell'affrontare il rompicapopiù profondo della biologia. An-che la vita una volta sembravatroppo complessa, prima che lascoperta della struttura del DNArivelasse come vengono passate

le informazioni da una generazione al-l'altra; analogamente, Sejnowski pensache gran parte del velo di mistero checirconda la mente scomparirà, non ap-pena gli scienziati sapranno di più sulfunzionamento del cervello.

Come a Woodstock

Sejnowski comunque esprime la spe-ranza che le sfide dello scetticismo deifilosofi e dei sostenitori della coscienzaquantistica, anche se male orientate,possano spingere i neuroscienziati auna maggiore creatività e a un maggio-re rigore nelle loro ricerche sulla co-scienza: «Quando ci sono questi disac-cordi c'è anche un'opportunità».

Seguendo questo criterio, deve esser-ci stato un mare di opportunità al recen-te convegno sulla coscienza all'Univer-sità dell'Arizona, promosso come «ilprimo convegno scientifico interdisci-plinare sulla coscienza». «Ehi, sembraproprio di essere a Woodstock» esclamauno dei conferenzieri, scorrendo con losguardo un'aula piena di neuroscienzia-ti, filosofi, psichiatri, scienziati cognitivie altri studiosi di non facile classifica-zione. I contrasti culturali abbondano. Ineffetti, il convegno offre un'istantanea

di un campo (potremmo chiamar-lo «studio della coscienza») nelledoglie della creazione.

Crick non è presente, ma Kochsì. E c'è anche Steen Rasmussen,biochimico e informatico del San-ta Fe Institute, quartier generaledelle discipline, oggi molto dimoda, del caos e della comples-sità. Suggerisce che la mente pos-sa essere una proprietà «emer-gente» (cioè imprevedibile e irri-ducibile) del comportamento com-plesso del cervello, come l'Ulissedi James Joyce è un esito sorpren-dente dell'applicazione delle rego-le morfologiche e grammaticali al-l'alfabeto.

Altri studiosi hanno idee più ra-dicali sulla coscienza. Brian D.Josephson dell'Università di Cam-bridge, premio Nobel nel 1973per la scoperta di un esotico effet-to quantistico che ora porta il suonome, vorrebbe una teoria unifi-cata del campo che possa spiegareesperienze mistiche e anche psi-chiche. Andrew T. Weil, fisicodell'Università dell'Arizona che èun'autorità sulla psichedelia, so-stiene che una teoria completadella mente deve poter spiegareanche la capacità di vere esperien-ze allucinatorie quali quelle di cuisi dice siano capaci gli indios delSud America, dopo l'assunzionedi droghe psicotrope.

Quando si pensa di aver incon-trato ogni possibile «paradigma»(una parola molto usata nel con-vegno), ce n'è un altro che alza latesta. Dopo che una delle relatri-ci ha descritto i pensieri umani come«fluttuazioni quantistiche dell'energiadel vuoto dell'universo», che - garanti-sce agli ascoltatori - «è davvero Dio»,uno degli intervenuti si alza per soste-nere che i fisici stanno scoprendo lega-mi profondi fra informazione, termodi-namica e buchi neri, e queste scopertepossono contribuire a risolvere i misteridella coscienza. «Non c'è un buco neronei nostri cervelli - aggiunge - ma...»«Io penso che ci sia un buco nero nelmio cervello!» lo interrompe un ascol-tatore al limite della sopportazione.

Chi ha l'impressione che le relazioniin aula siano troppo seriose può cercarepane non lineare per i suoi denti nell'a-trio esterno. «E qui che si trovano le cosedavvero interessanti» ci confida SpirosAntonopoulos, un giornalista con anelloal naso e nastro al collo che segue il con-vegno per la rivista cyberpunk «Frin-geware Review». Lì ci si può aggregareper discutere se solo gli esseri umani sia-no coscienti o se questa caratteristica siacondivisa anche dai calcolatori, dai pipi-strelli o perfino dai parameci.

Al convegno non mancano i dati em-pirici. Fra i più sorprendenti vi sonoquelli relativi a pazienti il cui senso diconsapevolezza è stato danneggiato da

qualche evento traumatico o da qualchemalattia. Vari ricercatori hanno studiatopazienti che presentano la strana condi-zione definita «vista cieca»: rispondonoa stimoli visivi, riuscendo per esempioanche ad afferrare una palla che sia sta-ta lanciata loro, ma sostengono di nonpoter vedere alcunché.

Victor W. Mark, neurologo dell'Uni-versità del North Dakota, presenta la vi-deoregistrazione di una giovane donnaaffetta da una forma così debilitante diepilessia che, per darle un po' di sollie-vo, i chirurghi le hanno reciso il corpocalloso, il fascio di neuroni che collegai due emisferi del cervello. L'operazio-ne ha migliorato un po' le sue condizio-ni, ma la paziente si è ritrovata con duecentri di coscienza che lottano fra loroper avere il sopravvento. Quando le sichiede se senta intorpidita la mano sini-stra, grida: «Sì! Aspetti! No! Sì! No,no! Aspetti, sì!» con il viso contratto,mentre le sue due menti, una sola dellequali è in grado di sentire la mano, cer-cano di rispondere. Il ricercatore poi leporge un foglio di carta su cui sonoscritte le parole «sì» e «no» e le chiededi indicare la risposta corretta. La don-na osserva per un attimo il foglio, poil'indice della sua mano sinistra punta a

«sì», mentre quello della manodestra punta a «no».

Per materialisti come Crick, ilsignificato di fenomeni simili èovvio: quando il cervello è leso incerti modi, la coscienza (ma nonnecessariamente la percezione) ri-sulta menomata. Chiaramente, lacoscienza non ha esistenza indi-pendente da quella che è statachiamata la «macchina di carne»,ma è saldamente insediata al suointerno. Qualcuno fra il pubblico,però, estrae messaggi diversi dalvideo di Mark, come se fosse unamacchia di Rorschach. Un ascol-tatore suggerisce che anche le per-sone sane possano sperimentarequalche rottura dell'io, anche sein forma molto meno drammatica.Uno psichiatra poi si chiede ad al-ta voce se i due «io» della donnapossano essere addestrati ad anda-re più d'accordo fra loro attraver-so la risoluzione dei conflitti.

Il problema del collegamento

Nel corso della sua presenta-zione, Koch cerca di riportare ladiscussione con i piedi per terra.In jeans e stivaletti da cowboyrossi, di coccodrillo, camminan-do senza mai fermarsi sul podio,egli fornisce un riassunto ad altavelocità, con accento tedesco, delmessaggio che lui e Crick hannodiffuso negli ultimi quattro anni:ci si deve concentrare su doman-de risolvibili sperimentalmentee lasciare le speculazioni metafi-siche alle «chiacchiere notturne

davanti a una birra». Per mettere mag-giormente in rilievo questo punto, Kochripete una battuta del «filosofo» ClintEastwood: «Un uomo deve sapere qualisono i suoi limiti».

Poi espone nei particolari l'argomen-tazione di Crick e sua: la coscienza haorigine da un processo che combina at-tenzione e memoria a breve termine.(Koch osserva che il primo ad averequest'idea è stato William James, filo-sofo vissuto a cavallo fra Ottocento eNovecento.) Il fenomeno dell'attenzio-ne comporta molto più che una sempli-ce elaborazione di informazioni - osser-va Koch - e, per dimostrarlo, proietta illucido di una forma che può essere vistao come un vaso o come una coppia diprofili umani contrapposti. Benché l'in-put visivo al cervello rimanga costante,la forma, di cui si è coscienti o a cui si èattenti, continua a cambiare. Quale atti-vità neurale corrisponde a questo spo-stamento dell'attenzione?

La risposta è complicata dal fatto che«non esiste un unico punto dove tuttoviene conglobato» per formare una per-cezione; anche una sola scena viene e-laborata da neuroni diversi in parti di-verse del cervello. Si deve pertanto de-terminare quale meccanismo trasformi

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Secondo una teoria di Walter J. Freeman dell'Università della California a Berke-ley, l'attivazione caotica di un gran numero di neuroni è forse il fenomeno che ciconsente di rispondere con sufficiente rapidità a nuove percezioni e di esserne co-scienti. L'immagine qui raffigurata è un «ritratto delle fasi» astratto della rispostadella corteccia olfattiva a un odore, basato su registrazioni elettroencefalografiche.

Secondo Roger Penrose, fisico dell'Università di Oxford, e Stuart R. Hameroff, ane-stesiologo dell'Università dell'Arizona, i microtubuli, piccoli tubi di proteina chesvolgono il ruolo di scheletro in quasi tutte le cellule (e non solo nelle cellule del siste-ma nervoso), potrebbero generare effetti quantistici determinanti per la coscienza.

l'attivazione di neuroni sparpagliati nel-la corteccia visiva in una percezioneunificata. «Questo è il problema del col-legamento» spiega Koch, notando comesia considerato da molti neuroscienziatiil problema centrale del loro campo.

Una possibile risposta è stata sugge-rita da esperimenti condotti su animali,in cui si dimostra che neuroni di zonediverse del cervello talvolta oscillanocon la stessa frequenza, circa 40 volte alsecondo. Koch chiede ai suoi ascoltato-ri di immaginare il cervello come un al-bero di Natale con miliardi di lampadi-ne che si accendono e si spengono conritmi apparentemente casuali. Questilampeggiamenti rappresentano la rispo-sta della corteccia visiva, poniamo, auna stanza piena di persone. All'im-provviso, un gruppo di luci lampeggiaalla stessa frequenza, 40 volte al secon-do, quando la mente si concentra sul vi-so di una vecchia fiamma.

Koch ammette che le prove di fattoche chiamano in causa le oscillazioni a40 hertz nella coscienza sono tenui: ilfenomeno si è verificato con particolarechiarezza in gatti sottoposti ad aneste-sia. Un'altra forma di collegamento po-trebbe essere la semplice sincronia: ineuroni si limiterebbero ad attivarsi al-lo stesso tempo e non necessariamentecon la stessa frequenza. Prove a favoredella sincronia si cominciano a trovarein esperimenti su animali.

Dopo la relazione di Koch, sale sulpodio Valerie Gray Hardcastle, filoso-fo del Virginia Polytechnic Institute and

State University, e proclama che «le so-luzioni semplici al problema del colle-gamento sono destinate a fallire». Evi-denziando che il controllo di singolineuroni può dare associazioni spurie,suggerisce che gli scienziati farebberomeglio a esaminare il comportamento dipopolazioni di neuroni, o addirittura delcervello intero.

Walter J. Freeman, magro, con la bar-ba bianca, docente all'Università dellaCalifornia a Berkeley, solleva obiezionisimili alle osservazioni di Koch. La suacritica è significativa, perché Freeman èstato uno dei primi grandi scienziati astudiare le oscillazioni a 40 hertz. So-stiene che né le oscillazioni né la sincro-nia avranno un ruolo importante nellasoluzione del problema del collegamen-to e che «l'ondata attuale di entusiasmoè fuori luogo».

Freeman è fautore di un'impostazionepiù complessa. Grandi gruppi di neuro-ni, spiega, presentano un comportamen-to caotico: la loro attivazione sembra ca-suale ma in effetti contiene un ordinenascosto. Come tutti i sistemi caotici,questi schemi neurali sono estremamen-te sensibili alle minime influenze. La vi-sta di un viso familiare, perciò, può in-nescare nello schema di attivazione unospostamento improvviso, corrisponden-te a uno spostamento della consapevo-lezza. Freeman ammette, comunque,che anche la sua teoria sia, nel miglioredei casi, solo un tassello del rompicapo.

Freeman pensa che un altro tassellodel rompicapo possa essere fornito da

Benjamin Libet dell'Università dellaCalifornia a San Francisco, uno dei po-chi ricercatori che hanno studiato la co-scienza conducendo un gran numero diesperimenti sugli esseri umani. Libet èun uomo dal profilo affilato, con gli oc-chi sottili, l'atteggiamento un po' difen-sivo di qualcuno che ha dovuto lottareduro per far accettare il suo lavoro.

Il tempo è tutto

Una serie di esperimenti svolti da Li-bet riguardava pazienti nella cui cortec-cia, per motivi medici, erano stati im-piantati elettrodi. Libet inviava un legge-ro impulso elettrico sia agli elettrodi, siaalla pelle dei soggetti. In tutti e due i ca-si, i soggetti erano consapevoli degli im-pulsi solo se questi duravano per più dimezzo secondo. Quando Libet stimolavai neuroni corticali per mezzo secondoprima di stimolare la pelle, i soggetti ri-ferivano, paradossalmente, di aver senti-to per primi gli impulsi sulla pelle.

Libet teorizza che, una volta che i vo-lontari erano consapevoli della stimola-zione della pelle, abbiano sperimentatola sensazione come se ne fossero staticonsapevoli fin dall'inizio e non dopomezzo secondo. Noi compensiamo sog-gettivamente il ritardo temporale nellaconsapevolezza delle sensazioni tattili,sostiene Libet, mediante un processoche chiama «riferimento a ritroso neltempo». Libet paragona questa capacitàa quella che consente di camminare da-vanti a un'inferriata mantenendo unaimmagine costante della casa che vi sitrova dietro.

Libet poi descrive un insieme, altret-tanto sorprendente, di esperimenti susoggetti sani le cui onde cerebrali sonostate controllate mediante elettroencefa-logramma. Ai soggetti era stato chiestodi piegare un dito in un momento sceltoa piacere, prendendo nota dell'istantedella loro decisione mediante un orolo-gio. Ai volontari erano necessari duedecimi di secondo per piegare il dito,dopo aver deciso di farlo; ma, secondol'elettroencefalogramma, i loro cervellimostravano un'attività neurale tre deci-mi di secondo prima che la mente ne di-venisse cosciente. «L'inizio effettivodella volizione poteva aver avuto luogoperfino prima in una parte del cervelloche non stavamo controllando» com-menta Libet.

Dopo che Libet ha completato la suarelazione, attentamente preparata, un u-ditore chiede se i suoi risultati abbianoqualche conseguenza per il problemadel libero arbitrio. «Sono sempre riusci-to a evitare questo problema» rispondeLibet con una smorfia. Immagina che illibero arbitrio si eserciti non iniziandointenzioni ma bloccandole, accedendo-vi o rispondendovi in qualche altro mo-do dopo che sono sorte.

Altri osservatori imputano a Libet digeneralizzare troppo a partire dai suoidati. Flanagan, il filosofo della Duke

University che ha coniato il termine«misteriani», sottolinea che, a voler es-sere rigorosi, i soggetti di Libet non agi-vano di loro spontanea volontà, poichéera stato chiesto loro in precedenza dipiegare le dita. Flanagan aggiunge che iritardi trovati da Libet potrebbero vale-re solo per le risposte tattili e non peraltre modalità sensoriali.

In effetti, Flanagan pensa che esistanomolti modi di coscienza: la nostra consa-pevolezza di un odore, per esempio, nonsolo ha origine da un gruppo diverso dineuroni, ma in un certo senso è anchequalitativamente diversa dalla nostraconsapevolezza visiva. Per spiegare lacoscienza, secondo Flanagan, i neuro-scienziati debbono perciò resistere allatentazione di cercare un unico meccani-smo (come le oscillazioni a 40 hertz, ilcomportamento neurale caotico di Free-man o il fattore di ritardo di Libet).

Nel suo libro Consciousness Recon-sidered, pubblicato nel 1992, Flanagandifende una filosofia definita naturali-smo costruttivo, secondo la quale la co-scienza sarebbe un fenomeno biologicocomune presente non solo negli esseriumani, ma anche in molti altri animali,e sicuramente in tutti i primati superio-ri. Questa posizione è condivisa da altri,fra cui Daniel C. Dennett della TuftsUniversity (autore di Consciousness Ex-plained, pubblicato nel 1992 in inglesee tradotto in italiano nel 1993 da Rizzo-li con il titolo Coscienza) e Patricia S.Churchland dell'Università della Ca-lifornia a San Diego. «Noi diciamo chesi può acquisire una conoscenza dellacoscienza per triangolazione» osservaFlanagan, cioè combinando dati neuro-logici e psicologici da esperimenti suesseri umani e animali con resocontisoggettivi di esseri umani.

Microtubuli quantistici

Tutti questi filosofi (e la maggior par-te dei neuroscienziati) sono solidalmen-te scettici sul fatto che la coscienza pos-sa dipendere, in qualche modo impor-tante, da effetti quantistici. Sin dagli an-ni trenta alcuni fisici hanno specula-to sulla possibilità di collegamenti frameccanica quantistica e coscienza. Leloro speculazioni erano basate sul prin-cipio che l'atto della misurazione (chein ultima istanza coinvolge un osserva-tore cosciente) ha un effetto sull'esitodegli eventi quantistici. Queste idee ingenere non hanno raccolto molto piùche una scrollata di spalle, ma in tempirecenti hanno acquistato maggiore im-patto grazie a Penrose.

Penrose si è guadagnato il rispettocome un'autorità in fatto di teoria dellarelatività generale e per aver inventatole forme geometriche denominate tas-sellature di Penrose, che si adattano fraloro formando figure quasi periodiche.In un libro di grande successo pubblica-to nel 1989, The Emperor's New Mind(La mente nuova dell'imperatore, Riz-

zoli, 1992), Penrose ha attaccato le po-sizioni di quei sostenitori dell'intelli-genza artificiale per i quali i calcolatoripossono replicare tutti gli attributi degliesseri umani, coscienza compresa. Unaltro volume di Penrose, con il titoloShadows of the Mind, sarà pubblicatoquest'autunno.

Aria da folletto, gran massa di capellineri, capacità di sembrare contempora-neamente distratto e acutamente atten-to, Penrose riassume al convegno diTucson i temi del nuovo libro. Primaracconta di come Deep Thought, un cal-colatore che ha battuto alcuni dei mi-gliori giocatori di scacchi del mondo, sisia impantanato in un finale che ancheun dilettante un po' abile avrebbe sapu-to come trattare. Perirose conclude poiche «quello che i calcolatori non posso-no fare è capire».

La chiave dell'argomentazione diPenrose è il teorema di Giidel. Formu-lato circa 60 anni fa da Kurt &Mei, ilteorema dice che qualsiasi sistema diassiomi abbastanza complesso non ècompleto, cioè che esistono enunciatidi cui non si può dimostrare né la veritàné la falsità all'interno del sistema. Laconseguenza di questo teorema, secon-do Penrose, è che nessun sistema deter-ministico basato su regole (quindi néla fisica classica, né l'informatica né laneuroscienza) può spiegare i potericreativi della mente e la sua capacità distabilire la verità.

Penrose pensa che la mente debbasfruttare effetti non deterministici chepossono essere spiegati solo dalla mec-canica quantistica, o da «una nuova teo-ria fisica che faccia da ponte fra la mec-canica quantistica e quella classica evada oltre la computazione». Arriva ad-dirittura a ipotizzare che il problema del

collegamento possa trovare una solu-zione attraverso la non località, cioè at-traverso la capacità di una parte di unsistema quantistico di influenzare altreparti istantaneamente (Einstein la chia-mava «azione a distanza spettrale»).

Un tempo Penrose rimaneva abba-stanza nel vago per quanto riguarda ildove gli effetti quantistici compirebbe-ro la loro magia, ma ora azzarda un'ipo-tesi: nei microtubuli, piccolissimi tun-nel di proteina che costituiscono unasorta di scheletro per le cellule, neuroniinclusi. L'adesione di Penrose manda insollucchero Stuart R. Hameroff, ane-stesiologo dell'Università dell'Arizona,che ha organizzato il convegno di Tue-son ed è il principale sostenitore del-l'ipotesi dei microtubuli.

Hameroff, uno hipster un po' invec-chiato, con pizzetto e coda di cavallo,riesce a infilare un gran numero di vo-caboli di moda nella sua relazione suimicrotubuli: emergente, frattale, auto--organizzante, dinamico. Sostiene di a-ver trovato prove che l'anestesia elimi-ni la coscienza inibendo il movimentodegli elettroni nei microtubuli.

Costruendo un poderoso edificio teo-rico su questa fragile affermazione, ipo-tizza che i microtubuli eseguano calcolinon deterministici, di livello quantistico,che «in qualche modo» diano luogo allacoscienza. Ciascun neurone quindi nonè un semplice commutatore, ma «unarete nella rete». Hameroff ammette che imicrotubuli si trovano nella maggiorparte delle cellule e non solo nei neuro-ni, ma le conseguenze di questo fattonon lo turbano: «Non voglio sostenereche un paramecio sia cosciente, ma inogni caso presenta un comportamentodavvero intelligente».

Altri sostenitori della coscienza quan-

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David J. Chalmers della Washington Universi-ty sostiene che la filosofia abbia il ct-eWere di col-mare la «lacuna esplicativa» fra una teoria fisicadella coscienza e la nostra esperienza soggettiva.

tistica fanno sembrare Penrose eHameroff campioni di rigore. Peresempio uno psichiatra inglese,Ian N. Marshall, presenta quellache è convinto essere una provache il pensiero abbia origine daeffetti quantistici. Marshall e varicolleghi sostengono di aver sco-perto che l'abilità dei soggettinello svolgere semplici test men-tre sono collegati a un elettroen-cefalografo varia a seconda che lamacchina sia accesa o no. La loroconclusione? Quando è acceso,l'elettroencefalografo «osserva» ilcervello e perciò ne modifica ipensieri, proprio come l'osserva-zione di un elettrone ne modificala traiettoria. In altre parole, ilprincipio di indeterminazione diHeisenberg si applicherebbe a tut-to il cervello.

Inorridito da tali affermazioni èJohn G. Taylor, fisico e speciali-sta di reti neurali del King's Col-lege di Londra: secondo Taylortutti gli entusiasti della coscienzaquantistica, compreso Penrose, i-gnorano i fatti più fondamentalidella meccanica quantistica. Peresempio, la non località e altri ef-fetti quantistici che dovrebberoessere vitali per la coscienza siosservano solo a temperature vi-cine allo zero assoluto, o comun-que di gran lunga al di sotto dellatemperatura ambiente del cervel-lo. Come la maggior parte deineuroscienziati, Taylor avanza al-cune obiezioni all'impostazionequantistica anche su basi pratiche. Pri-ma di ricorrere all'approccio di estremoriduzionismo sostenuto da Penrose e al-tri, sarebbe necessario esplorare possi-bilità più plausibili e sperimentalmenteaccessibili, e che hanno già consentitoqualche successo nella spiegazione ditaluni aspetti della percezione e dellamemoria. «Se poi si dovesse fallire, al-lora magari si dovrebbe cercare daqualche altra parte» aggiunge.

La lacuna nella spiegazione

Uno dei pochi punti di vista assenti alconvegno in Arizona era quello di Co-lin McGinn, filosofo della Rutgers Uni-versity e forse il più risoluto di tutti imisteriani. Nel suo libro del 1991, TheProblem of Consciousness, McGinn so-steneva che i nostri cervelli, essendo unprodotto dell'evoluzione, hanno dei li-miti cognitivi. Come i topi e le scimmienon possono neanche concepire la mec-canica quantistica, così noi esseri umaninon possiamo capire certi aspetti del-l'esistenza, come la relazione fra men-te e materia. In altre parole, secondoMcGinn la coscienza resterà per sempreal di là della comprensione umana.

Almeno un filosofo, al convegno inArizona, virava pericolosamente vicinoa questa tetra conclusione. David J.

Chalmers, australiano che lavora allaWashington University, tremendamentesomigliante al soggetto di Blue Boy, unquadro di Thomas Gainsborough, con-corda con McGinn che nessuna teoriafisica (né quelle basate su meccanismiquantistici né quelle neurali) sia in gra-do di spiegare la coscienza.

Tutte le teorie fisiche, sostiene Chal-mers, possono descrivere solo specifi-che funzioni mentali, come la memoria,l'attenzione, l'intenzione, l'introspezio-ne, correlate a specifici processi fisicinel cervello. Nessuna di queste teorieperò affronterebbe la vera questione«nodale» posta dall'esistenza dellamente: perché l'esecuzione di questefunzioni è accompagnata dall'esperien-za soggettiva? Dopo tutto, si può certa-mente immaginare un mondo di androi-di che assomiglino agli esseri umanisotto tutti gli aspetti, fatta eccezione perla mancanza di un'esperienza coscientedel mondo.

La scienza da sola non può fornireuna risposta a questa domanda, sostieneChalmers. A differenza di McGinn, pe-rò, Chalmers pensa che i filosofi possa-no e debbano costruire una teoria di li-vello più alto per colmare la «lacunaesplicativa» fra il regno fisico e quellosoggettivo. In effetti, Chalmers ha unateoria del genere. Egli sostiene che, co-

me la fisica assume l'esistenza diproprietà di natura come spazio,tempo, energia, carica e massa,così una teoria della coscienzadeve postulare l'esistenza di unanuova proprietà fondamentale:l'informazione. Il concetto di in-formazione, spiega, ha aspetti siafisici sia «fenomenologici» (ter-mine di origine filosofica cheequivale all'incirca a «di espe-rienza» o «soggettivi»).

Koch trova fastidiose questeargomentazioni: se tutti condivi-dessero la convinzione di Mc-Ginn e Chalmers che la scienzanon possa risolvere la coscienza,la profezia sarebbe di quelle chepongono le basi del proprio av-verarsi. Può darsi che la scienzanon sia in grado di risolvere tuttii misteri della mente, ammetteKoch, ma la filosofia ha ancormeno possibilità di offrire ideedurature sul problema mente--corpo o su quello del libero ar-bitrio. Aggiunge che, quando ifilosofi prendono in considera-zione questi antichi rompicapo,dovrebbero seguire il consigliodel loro illustre collega LudwigWittgenstein: «Di ciò di cui nonsi può parlare, si deve tacere».

Di tutti i possibili esiti di que-sto crescente interesse per la co-scienza, il silenzio è comunque ilmeno probabile. Dopo che Chal-mers ha tenuto la sua relazione(che è stata accolta con grandis-simo favore), Koch lo affronta

lamentando che la sua «teoria del dop-pio aspetto dell'informazione» è inveri-ficabile e perciò inutile. «Perché non di-ci allora che se hai un cervello lo Spiri-to Santo scende e ti fa cosciente!» e-sclama Koch. Una teoria del genere èinutilmente complicata, risponde Chal-mers asciutto, e non si accorderebbecon la sua esperienza soggettiva. «Macome faccio io a sapere che la tua espe-rienza soggettiva è uguale alla mia?»borbotta Koch. «E come faccio a sapereche tu sei cosciente?»

Più tardi, Koch e Chalmers se nevanno verso il bar dell'albergo per con-tinuare la discussione davanti a un boc-cale di birra, e arrivano a una sorta di ri-conciliazione. Koch esprime un notevo-le interesse per le idee di Chalmers sul-la computazione e sulla cognizione (eChalmers ha per caso nello zaino unsaggio proprio sull'argomento). Chal-mers ammette che forse la neuroscienzapotrà ancora fornire direzioni e ispira-zione per la filosofia.

Il campo degli studi sulla coscienzasta lottando con i suoi problemi di col-legamento. Tuttavia da incontri comequesto può emergere qualche progres-so, probabilmente proprio come il mira-colo della mente nasce dalle interazionifra i neuroni e non dalle loro proprietàindividuali.

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