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PRONTO SOCCORSO OCULISTICO Editore Programma di Aggiornamento Continuo

PRONTO SOCCORSO OCULISTICO - sedesoi.comPRESENTAZIONE L’attività dell’oftalmologo nell’area di Pronto Soccorso è una delle situazioni lavorative a maggiore rischio medico-legale

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PRONTO SOCCORSOOCULISTICO

E d i t o r e

Programma di Aggiornamento Continuo

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PRONTO SOCCORSO OCULISTICO

COORDINATORE

Pasquale Troiano

AUTORI

Luigi A. BauchieroStefania Bianchi MarzoliMario BifaniBernardo BilliMarco BorgioliAdriana BratuEmilio C. CamposDonatella CaprinoGuido CaramelloFulvio CarraroPiero CasconeSalvatore CillinoLuca CiminoCiro CostagliolaCesare ForliniMatteo ForliniGiovanni Battista FrongiaMaria Stella GiurgolaGiovanni IaconoFilippo IncarboneGiovanni InserraAlberto La Mantia

Raffaele La Placa Andrea LemboSilvia MarianiAntonio MarinoRiccardo MartiniLeonardo MastropasquaLuigi MeleRuggero MeleStefano MigliorAntonio MocellinAlberto MontericcioAlessio MontericcioMario NubilePaolo NucciGiuseppe NuzziStefano PalmaGiuseppe PeroneRita PiermarocchiStefano PiermarocchiAntonino PioppoTito PoliEnnio Polito

Silvio PolizziLorenzo PoloAntonio RapisardaLorenzo RapisardaMaria Rosaria RolloTommaso RossiPaolo RossiniNiccolò SalgariCaterina SarnicolaEnrica SarnicolaVincenzo SarnicolaFrancesca SimonelliCarlo Attilio SqueriGiuseppe SqueriGiorgio TassinariPaolo TassinariEmiliano TempoDaniele TognettoMaurizio Giacinto UvaGiuseppe VadalàEmilia ZanframundoLucia Zeppa

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SEGRETERIA SCIENTIFICACoordinatoreAntonio Mocellin

STAFF EDITORIALECapo RedazioneAntonio Mocellin

PROGETTO GRAFICO - EDITING - IMPAGINAZIONE

I.N.C. Innovation-News-Communication s.r.l.Via Troilo il Grande, 11 - 00131 RomaTel. 0641405454 - Fax 0641405453Email: [email protected]

STAMPA

ARTI GRAFICHE s.r.l.Via Vaccareccia, 57 - 00040 Pomezia (RM)

Finito di stampare nel mese di Novembre 2013

CONSIGLIO DIRETTIVO*

PresidenteMatteo Piovella

Vice Presidente VicarioMarco Nardi

Vice PresidenteGiorgio Tassinari

Segretario TesoriereTeresio Avitabile

Vice SegretarioAlberto Montericcio

ConsiglieriBernardo BilliEmilio CamposGiovanni CennamoStefano MigliorAntonio MocellinSeverino SantoroVincenzo SarnicolaGiovanni ScorciaPasquale TroianoLucio Zeppa

Revisori dei Conti EffettiviLuca CapoanoRosario Giorgio CostaGian Primo Quagliano

Revisore dei Conti SupplenteDanilo Mazzacane

*In carica dal 1 Gennaio 2010.

Tutti i diritti sono riservati, in particolare il diritto di duplicazione e di diffusione, nonché il diritto di traduzione. Nessu-na parte può essere riprodotta in alcuna forma (per fotocopia, microfilm o altri procedimenti) senza il consenso scrittodell’Editore e degli Autori. Dati, figure, opinioni ed affermazioni qui pubblicati sono di esclusiva responsabilità degli Auto-ri e non riflettono necessariamente i punti di vista dell’Editore. Manoscritti e materiale iconografico inviati all’Editoreper la pubblicazione non saranno restituiti. Ogni prodotto menzionato deve essere usato in accordo con la scheda tecni-ca fornita dalla ditta produttrice.

Programma di Aggiornamento Continuo

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COORDINATORE

Pasquale TroianoOspedale Policlinico di Milano IRCCS,Clinica Oculistica, Università degli Studi di Milano

AUTORI

Luigi A. BauchieroStruttura Complessa di Oculistica, OspedaleCivile di Ivrea (TO)

Stefania Bianchi MarzoliServizio di Neuroftalmologia ed ElettrofisiologiaOculare, UO Oftalmologia, IRCCS IstitutoAuxologico Italiano, Milano

Mario BifaniDipartimento Multidisciplinare di SpecialitàMedico-Chirurgiche e Odontoiatriche Seconda Università degli Studi di Napoli

Bernardo BilliUniversità Campus Biomedico, Roma

Marco Borgioli Già Professore Associato presso ClinicaOculistica, Università degli studi di Sassari;già direttore UO Oculistica, Ospedale UmbertoI, Polo Ospedaliero-Universitario “Torrette”,Ancona

Adriana BratuUO di Chirurgia Oculare Complessa eTraumatologica, Ospedale “S. Maria delleCroci”, Ravenna

Emilio C. CamposMalattie dell'Apparato VisivoScuola di Specializzazione in Oftalmologia,Alma Mater Studiorum, Università di Bologna;UO di Oftalmologia, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna

Donatella CaprinoUniversità Campus Biomedico, Roma

Guido CaramelloDipartimento di Oculistica, AO S.Croce e Carle(CN)

Fulvio Carraro UOC Oculistica, Ospedale San Giuseppe, Empoli

Piero CasconeChirurgia Maxillo-facciale, “Sapienza”Università di Roma

Salvatore CillinoUOC di Oculistica, AO Universitaria “PaoloGiaccone”, Università degli Studi di Palermo

Luca CiminoStruttura Semplice di Immunologia Oculare, SCdi Oculistica, ASMN-IRCCS, Reggio Emilia

Ciro CostagliolaCattedra di Oftalmologia, Università degli Studi

del Molise

Cesare ForliniUO di Chirurgia Oculare Complessa eTraumatologica, Ospedale “S. Maria delleCroci”, Ravenna

Matteo ForliniClinica Oculistica, Università degli Studi diModena-Reggio Emilia

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Giovanni Battista FrongiaUniversità Politecnica delle Marche

Maria Stella GiurgolaUOC Oculistica, Ospedale San Giuseppe, Empoli

Giovanni IaconoCasa di Cura “Villa dei Pini”, CivitanovaMarche (MC)

Filippo IncarboneCentro Oculistico “G. Perone”

Giovanni InserraAORN San Giuseppe Moscati, UOC diOculistica e Trapianti di Cornea, Avellino

Alberto La MantiaSpecialista in Oftalmologia, Università degliStudi di Palermo

Raffaele La PlacaAvvocato, Consulente Legale di SOI e ASMOOI

Andrea LemboUniversity Eye Clinic San Giuseppe, Universitàdegli Studi, Milano

Silvia MarianiUO di Oftalmologia, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna

Antonio MarinoUO Complessa di Oftalmologia, AO di Rilievo edi Alta Specialità Garibaldi, Catania

Riccardo MartiniUO Oculistica Ospedale Vito Fazzi, Lecce

Leonardo MastropasquaClinica Oftalmologica, Centro di Eccellenza inOftalmologia, Università “G. d’Annunzio” diChieti-Pescara

Luigi MeleDipartimento di Scienze Anestesiologiche,Chirurgiche e dell’EmergenzaSeconda Università degli Studi di Napoli

Ruggero MeleUOC Oculistica, Ospedale San Giuseppe, Empoli

Stefano MigliorClinica Oculistica Policlinico di Monza,Università di Milano Bicocca

Antonio MocellinUO Oculistica Ospedale Vito Fazzi, Lecce

Alberto MontericcioUO di Oculistica, Clinica Casa Verde, Trapani

Alessio MontericcioUniversità degli Studi di Siena

Mario NubileClinica Oftalmologica, Centro di Eccellenza inOftalmologia, Università “G. d’Annunzio” diChieti-Pescara

Paolo NucciUniversity Eye Clinic San Giuseppe, Universitàdegli Studi, Milano

Giuseppe NuzziProf. Associato Malattie Apparato Visivo,Dipartimento Medicina Clinica e Sperimentale,Università di Parma

Stefano PalmaDipartimento di Scienze Sperimentali e Cliniche,Università “G. d’Annunzio”, Chieti

Giuseppe PeroneCentro Oculistico “G. Perone”, Varese

Rita PiermarocchiClinica Oculistica, Università degli Studi diTrieste, Azienda Ospedaliero-Universitaria -Ospedali Riuniti, Trieste

Stefano PiermarocchiClinica Oculistica, Università di Padova

Antonino Pioppo UO Complessa di Oftalmologia, AziendaOspedaliera Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello, Presidio Ospedaliero CTO, Palermo

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Tito PoliChirurgia Maxillo Facciale, DipartimentoScienze Biomediche, Biotecnologiche eTraslazionali, Università di Parma

Ennio PolitoScuola di Specializzazione in Oftalmologia,Università degli Studi di Siena

Silvio PolizziClinica Oculistica, Università degli Studi diTrieste, Azienda Ospedaliero-Universitaria -Ospedali Riuniti, Trieste

Lorenzo PoloMedico Legale, Professore a ContrattoUniversità degli Studi dell'Insubria

Antonio RapisardaUO Complessa di Oftalmologia, AO di Rilievo edi Alta Specialità Garibaldi, Catania

Lorenzo RapisardaUO Complessa di Oftalmologia, OspedaleUmberto I, ASP 8, Siracusa

Maria Rosaria RolloOculista Casa Di Cura Salus, Brindisi

Tommaso RossiOspedale Oftalmico di Roma

Paolo RossiniUO di Chirurgia Oculare Complessa eTraumatologica, Ospedale “S. Maria delleCroci”, Ravenna

Niccolò SalgariClinica Oftalmologica, Centro di Eccellenza inOftalmologia, Università “G. d’Annunzio” diChieti-Pescara

Caterina Sarnicola Università degli Studi di Siena

Enrica SarnicolaUniversità degli Studi di Siena

Vincenzo SarnicolaOspedale Misericordia di Grosseto

Francesca SimonelliDipartimento Multidisciplinare di SpecialitàMedico-Chirurgiche e Odontoiatriche Seconda Università degli Studi di Napoli

Carlo Attilio SqueriDipartimento di Scienze Sperimentali Medico-Chirurgiche Specialistiche edOdontostomatologiche; UOC Oftalmologia, AOUniversitaria, Messina

Giuseppe SqueriSpecialista in Oftalmologia

Giorgio TassinariCasa di Cura Toniolo, Bologna

Paolo TassinariUO di Oculistica, Ospedale Maggiore, Bologna

Emiliano TempoStruttura Complessa di Oculistica, OspedaleCivile di Ivrea (TO)

Daniele TognettoClinica Oculistica, Università degli Studi diTrieste, Azienda Ospedaliero-Universitaria -Ospedali Riuniti, Trieste

Maurizio Giacinto UvaClinica Oculistica, Università di Catania

Giuseppe VadalàStruttura Complessa di Oculistica, OspedaleCivile di Ivrea (TO)

Emilia ZanframundoUOC Oculistica, Ospedale San Giuseppe,Empoli

Lucia ZeppaAORN San Giuseppe Moscati, UOC diOculistica e Trapianti di Cornea, Avellino

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La Società Oftalmologica Italiana ringrazia

per il contributo che ha consentito la realizzazione dei

QUADERNI DI OFTALMOLOGIAProgramma di Aggiornamento Continuo

ophthalmology

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INDICE

PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 13

TRIAGE DI PRONTO SOCCORSO

CAPITOLO 1 TRIAGE DI PRONTO SOCCORSO OFTALMICO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 17IntroduzioneIl triage nel pronto soccorsoIl triage specialistico oculisticoIl sistema RESCUEIl triage della Società Oftalmologica ItalianaConsiderazioni conclusive

CAPITOLO 2 RUOLO ISTITUZIONALE E COMPITI DEL MEDICO OCULISTA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 21ADDETTO AL SERVIZIO DI PSO: REPERIBILITÀ, PRONTA DISPONIBILITÀ, GUARDIA ATTIVA, DISPONIBILITÀ ATTREZZATURE E PERSONALE

PRIMO APPROCCIO E GESTIONE DELLE PATOLOGIE OCULARI NON TRAUMATICHE IN PRONTO SOCCORSO

CAPITOLO 3 PATOLOGIA ACUTA NON TRAUMATICA DELL’ORBITA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 27

CAPITOLO 4 PATOLOGIE DEGLI ANNESSI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 31PalpebreGhiandola lacrimaleVie lacrimaliCongiuntiva

CAPITOLO 5 PATOLOGIE DELLA MOTILITÀ OCULARE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 35AnamnesiEsame obiettivoDeviazioni comitanti e incomitanti

CAPITOLO 6 PATOLOGIE NEUROFTALMOLOGICHE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 40

CAPITOLO 7 COMPLICANZE INFETTIVE DA LENTI A CONTATTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 43

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CAPITOLO 8 HERPES ZOSTER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 47Blefarite e congiuntiviteCheratiti superficialiCheratite interstizialeCheratite neurotroficaCheratoendoteliteUveiteEpisclerite e scleriteTerapia dell’Herpes zoster oftalmicoNevralgia posterpeticaFarmaci per la cura della nevralgia posterpetica

CAPITOLO 9 LA CHERATITE DA HERPES SIMPLEX VIRUS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 53IntroduzioneClassificazioneDiagnosiTerapia

CAPITOLO 10 UVEITI ANTERIORI E POSTERIORI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 59Uveiti anterioriUveiti posteriori

CAPITOLO 11 PATOLOGIE DEL CRISTALLINO E DELLA ZONULA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 66IntroduzioneDiagnosiPrimo approccio e gestione

CAPITOLO 12 PATOLOGIE DEL VITREO E RISCHIO DI DISTACCO DI RETINA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 71Modificazioni vitreali e insorgenza dei sintomiDegenerazioni vitreoretiniche e sintomi vitreali

CAPITOLO 13 EMOVITREO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 74

CAPITOLO 14 OCCLUSIONI ARTERIOSE RETINICHE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 77Occlusione dell’arteria centrale retinicaOcclusione di branca dell’arteria retinica

CAPITOLO 15 OCCLUSIONI VENOSE RETINICHE: GESTIONE IN PRONTO SOCCORSO . . . . . . . . " 81Gestione in pronto soccorso del paziente con OVR

CAPITOLO 16 DISTACCO DI RETINA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 89Incidenza del distacco di retinaPatogenesi del distacco di retinaCome valutare un paziente con sospetto distacco della retina

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CAPITOLO 17 MACULOPATIE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 92IntroduzioneEmorragie maculariOcclusioni arteriose maculariDistacco sieroso della neuroretinaTossicità da farmaci

CAPITOLO 18 ATTACCO ACUTO DI GLAUCOMA. GLAUCOMA AD ANGOLO CHIUSO . . . . . . . . . . . " 96IntroduzioneDiagnosi di attacco acuto di glaucomaStoria naturalePatogenesi e fattori di rischioTrattamento dell’attacco acuto di glaucoma

CAPITOLO 19 AMAUROSI TRANSITORIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 100DefinizioneEziopatogenesi e prevalenzaSintomatologia e localizzazioneDisordini vascolari retiniciDiagnosi e cenni di trattamento

PRIMO APPROCCIO E GESTIONE DELLE PATOLOGIE OCULARI TRAUMATICHE IN PRONTO SOCCORSO

CAPITOLO 20 TRAUMI CRANIO-FACCIALI E ORBITARI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 107IntroduzioneEziopatogenesi delle fratture orbitarieAnamnesi ed esame clinicoSemeiotica delle fratture orbitarieTrattamento delle fratture orbitarieFratture facciali multiple complesse

CAPITOLO 21 FERITE LACERO-CONTUSE DELLE PALPEBRE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 115

CAPITOLO 22 TRAUMI DELLE VIE LACRIMALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 118Traumi dei puntini e dei canalini lacrimaliTraumi del sacco e del dotto nasolacrimale

CAPITOLO 23 USTIONI DELLA SUPERFICIE OCULARE E DELLA CORNEA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 121IntroduzioneTerapia di emergenzaTerapia nella fase acuta

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CAPITOLO 24 TRAUMI A BULBO CHIUSO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.123Segmento anterioreSegmento posteriore

CAPITOLO 25 TRAUMI OCULARI A BULBO APERTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 132Prolasso irideoProlasso di vitreoProlasso di retinaConclusioni

CAPITOLO 26 QUANDO SOSPETTARE E COME INDIVIDUARE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 136LA PRESENZA DI UN CORPO ESTRANEOPreparazione all’intervento

CAPITOLO 27 LE ENDOFTALMITI POSTRAUMATICHE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 141

IL CONTROLLO DEI PAZIENTI OPERATI

CAPITOLO 28 TEMPISTICA E VALUTAZIONI DOPO INTERVENTO DI PRK E LASIK . . . . . . . . . . . . " 147PRKLASIK e i-LASIK

CAPITOLO 29 TEMPISTICA E VALUTAZIONI DOPO INTERVENTO DI LENTI FACHICHE . . . . . . " 151Lente ad appoggio angolareLente a fissazione irideaLente in camera posteriore ad appoggio zonulareValutazione dopo intervento di lenti fachiche

CAPITOLO 30 TEMPISTICA E VALUTAZIONI DOPO INTERVENTO DI CATARATTA . . . . . . . . . . . . . . " 154

CAPITOLO 31 TEMPISTICA E VALUTAZIONI DOPO INTERVENTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 159DI TRAPIANTO DI CORNEAIl lembo e l’anello riceventeLa suturaIl rigetto

CAPITOLO 32 TEMPISTICA E VALUTAZIONI DOPO INTERVENTI DI GLAUCOMA . . . . . . . . . . . . . . " 162A breve termine (1-4 settimane)A medio termine (1-6 mesi)

CAPITOLO 33 TEMPISTICA E VALUTAZIONI DOPO INTERVENTI DI VITRECTOMIA . . . . . . . . . . . " 166

CAPITOLO 34 TEMPISTICA E GESTIONE IN URGENZA DEL PAZIENTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 171OPERATO PER DISTACCO DI RETINA

CAPITOLO 35 ASPETTI MEDICO-LEGALI NELL’ATTIVITÀ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . " 173DI PRONTO SOCCORSO OCULISTICO

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PRESENTAZIONE

L’attività dell’oftalmologo nell’area di Pronto Soccorso è unadelle situazioni lavorative a maggiore rischio medico-legale siaper l’attività svolta di diagnosi e cura, sia per quella non svoltanel caso di chiamata in reperibilità.In questo Quaderno saranno delineati gli aspetti clinici sostan-ziali e irrinunciabili dell’attività in emergenza ed esaminati i pos-sibili riflessi medico-legali.La realtà clinica e lavorativa dell’oftalmologo è così complessa evariegata da rendere impossibile una sua integrale rappresenta-zione nell’alveo teorico di un Quaderno, ma questo può rivelarsiutile a distanziare il lavoro quotidiano dalle conseguenze medico-legali.Non meno importante è il ruolo che questo quaderno specialisti-co può svolgere nel triage di Pronto Soccorso sia nell’assegna-zione del codice colore all’urgenza oftalmica sia nella decisionedi consultare l’oftalmologo reperibile. Infine, i decisori di politica sanitaria possono trovare in questoQuaderno utilissime informazioni per una razionalizzazione delleprestazioni oftalmiche erogate in Pronto Soccorso.

Pasquale Troiano

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TRIAGE DI PRONTO SOCCORSO

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Capitolo 1

17QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

1.1 Introduzione

Le prestazioni da pronto soccorso in oftal-mologia dovrebbero essere esclusivamentequelle prestazioni il cui differimento nel tem-po determina un peggioramento della pro-gnosi in funzione diretta dell’incremento deltempo. Si tratta, in realtà, di una nicchia assai esiguadi prestazioni che presentano un’immediatanecessità di trattamento e che sono sommer-se da un’enorme mole di prestazioni non ur-genti e come tali procrastinabili e rinviabili avisita ambulatoriale, ma comunque accettateal triage con codice bianco.La cronica difficoltà di evadere le prestazioniambulatoriali in tempi ragionevoli, tipica deiservizi sanitari nazionali di tutti i paesi, fini-sce per dilatare l’attesa in ambiente di urgen-za, incrementando i costi e riducendo l’ap -propriatezza delle cure, oltre che ritardandol’accesso alle cure per chi ha una reale im-mediata necessità di assistenza.Una delle maggiori sfide che oggi l’or ga -nizzazione dei servizi di urgenza si trova afronteggiare è la corretta selezione dei po-chissimi pazienti che necessitano di un pron-to trattamento verso le centinaia che affolla-no le strutture di emergenza, per probleminon urgenti che non riescono a trovare tem-pestivo - a giudizio dell’assistito - ascoltonelle strutture ambulatoriali.

1.2 Il triage nel pronto soccorso

Il termine triage deriva etimologicamente dalfrancese trier, parola utilizzata nella selezio-ne dei tessuti che sta a significare lo smista-mento, la selezione. Il triage nel campo sani-tario nasce durante le guerre napoleonicheper opera del capo chirurgo, il barone JeanDominique Larrey, come modalità di selezio-ne dei feriti in un terreno di battaglia, alloscopo di concentrare gli sforzi assistenzialisu coloro i quali avevano le maggiori proba-bilità di sopravvivere. Un criterio, pertanto,esattamente opposto a quello oggi utilizzatonei nosocomi, nei quali il paziente più graveviene assistito per primo, ma che trova anco-ra applicazione nella medicina delle catastro-fi quando il numero di feriti sovrasta le risor-se assistenziali disponibili.I posti di pronto soccorso utilizzano criteri ditriage standardizzati, con accoglienza e in-tervista da parte di personale infermieristicospecializzato all’ingresso nel pronto soccor-so e successiva eventuale rivalutazione, nel-l’attesa del trattamento medico. In questerealtà vengono utilizzati codici-colore in or-dine di gravità decrescente dal rosso (com-promissione di una funzione vitale), al giallo(alterazione di un parametro vitale), al verde(forma morbosa di grado lieve), al bianco(prestazione che non riveste carattere di ur-genza) che si applicano a tutte le patologie e

Triage di pronto soccorso oftalmicoTommaso Rossi, Pasquale Troiano

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Pronto Soccorso Oculistico

18 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

si incentrano sul rischio immediato per la vi-ta dell’assistito e sull’aggravamento dellecondizioni di salute all’incremento dell’atte-sa. Attenendosi a questi criteri le patologieoftalmiche dovrebbero essere tutte ricompre-se nella classificazione codice-colore verde obianco, non essendo mai compromessi para-metri o funzioni vitali.

1.3 Il triage specialistico oculistico

L’obiettivo di un sistema di triage specialisti-co oculistico è di agevolare il triagista nellacorretta codifica dell’assistito che si rivolgeal Pronto Soccorso per problemi di esclusivointeresse oftalmico.

1.4 Il sistema RESCUE

Il sistema di codifica dedicato all’urgenza inoftalmologia denominato RESCUE (RomeEye SCoring system for Urgency and Emer-gency)(1,2) sviluppato da uno degli Autori, ri-propone la codifica in colori propria dei di-partimenti di emergenza, avendo cura diescludere i codici rossi che rappresentanouniversalmente la presenza di un pericoloimmediato per una funzione vitale.Il sistema RESCUE si articola su tre codici-

colore: bianco per le patologie non urgenti,verde per le patologie di urgenza intermedia,giallo per le condizioni di maggiore urgenza.

Modalità di triage con il RESCUEAll’accesso in pronto soccorso, l’assistitoviene intervistato da un infermiere professio-nale istruito al triage oftalmico che sommini-stra all’assistito un’intervista secondo i puntiriportati in Tabella 1.I.Il sistema RESCUE prevede l’attribuzione diun punteggio a ognuno dei 4 parametri di co-difica identificati come statisticamente asso-ciati al ricovero dopo presentazione in prontosoccorso. I parametri identificati sono segniche l’infermiere formato nel triage può valu-tare personalmente (“rossore”), quanto sinto-mi riferiti dal paziente (“dolore” e “calo delvisus”) e dati anamnestici desunti dal collo-quio (“il rischio di penetrazione bulbare”).La somma dei punteggi attribuiti a ogni para-metro determina un punteggio compreso tra 0e 12 che, a seconda della fascia di punteggio,corrisponde a un codice colore (Tab. 1.II).

1.5 Il triage della Società Oftalmologica Italiana

Nel 2008 il sistema RESCUE è stato rielabo-rato dagli Autori con la realizzazione del

Tabella 1.I

PARAMETRI DA VALUTARE DA PARTE DEL TRIAGISTA E ATTRIBUZIONE DI UN VALORE NUMERICO IN RELAZIONE ALLA GRAVITÀ

Assente Medio GraveRossore 0 1 2Dolore 0 1 2Calo del Visus 0 2 4Rischio di Penetrazione Bulbare 0 2 4

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Capitolo 1 Triage di pronto soccorso oftalmico

triage della SOI (Fig. 1.1) per fornire al tria-gista uno strumento ancora più semplice perla codifica dell’urgenza oftalmica. Infatti, il triage S.O.I. prevede anche il codi-ce rosso e per gli altri colori riporta i quadriclinici di riferimento, in modo da non doverelaborare un punteggio.Il codice rosso è stato inserito per non generareconfusione ed è riservato ad assistiti che pre-

Tabella 1.II

CONVERSIONE DEL PUNTEGGIO INCODICE-COLORE

Punteggio Codice-colore0-3 Bianco4-7 Verde8-12 Giallo

Fig. 1.1

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Pronto Soccorso Oculistico

20 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

sentino alterazioni di parametri vitali a cui assi-curare una pronta assistenza posponendo ogniproblema specialistico oftalmico al momentoin cui siano stabilizzati i parametri vitali. Il triage S.O.I. prevede il parametro tempora-le di insorgenza della sintomatologia per fa-vorire gli assistiti che sentono il bisogno direcarsi in pronto soccorso nell’immediatezzadell’insorgenza dei sintomi.Il triage S.O.I. è il sistema di triage oftalmi-co più affidabile sia sul piano della qualitàassistenziale, sia sul piano di eventuali riper-cussioni da responsabilità professionale peril triagista e per l’oculista di pronto soccorso.

1.6 Considerazioni conclusive

L’utilità di un sistema di triage oftalmico è

tanto più rilevante quanto più alto è il volumeassistenziale specialistico della struttura doveè molto forte la necessità di gestire adeguata-mente l’attesa tutelando i pazienti più graviche necessitino di intervento precoce (traumipenetranti, patologie vascolari e retiniche,glaucomi acuti). Tuttavia, si rivela estremamente utile anchein quei contesti assistenziali dove non è pre-vista la presenza dell’oftalmologo. L’adozione di un sistema di triage di sem-plice utilizzo come la codifica cromaticaS.O.I., a nostro avviso, permetterebbe unapiù accurata valutazione del paziente ancheda parte di infermieri privi di esperienzaspecialistica, incrementando accuratezza etempestività nella richiesta di consulenzaoftalmica o nel pronto trasferimento a strut-ture specializzate.

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Bibliografia

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Capitolo 2

21QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Originariamente l’attività di pronto soccorso(PS) era prevista dall’art . 13 del DPR27/3/1969, n. 128 mentre ora è regolata dalDPR 27/3/1992 e in specie all’art. 7. Il citatoDPR vuole regolare il sistema di emergenzasanitaria e assicurare condizioni uniformi ditrattamento su tutto il territorio nazionale eall’uopo prevede il sistema di allarme sanita-rio (118) e il sistema di accettazione edemergenza sanitaria. In tale secondo conte-sto, il PS si inserisce tra i punti di primo in-tervento e i dipartimenti di emergenza di pri-mo e secondo livello.Innanzi tutto, occorre ricordare che l’ospe -dale sede di PS deve:a. assicurare gli interventi diagnostico-tera-

peutici di urgenza compatibili con la spe-cialità di cui è dotato (quindi, se c’è un re-parto di oculistica, di quanto necessarioper tale specialità);

b. assicurare il primo accertamento diagno-stico, clinico, strumentale e di laboratorio(comunque, anche se non c’è il reparto dioculistica);

c. assicurare gli interventi di stabilizzazionedel paziente;

d. garantire il trasporto protetto dello stesso.

Le stesse funzioni sono assicurate dal dipar-timento di emergenza, oltre ad altre che inquesta sede omettiamo di esaminare.Occorre, invece, far riferimento al CCNLNazionale per la dirigenza medico-veterina-ria per conoscere qual è la disciplina del ser-vizio di guardia (art. 27) e di pronta disponi-bilità (art. 28) a cui rimandiamo per brevità.Per comprendere se vi siano, dapprima, delleresponsabilità precipue del medico che agi-sce nell’ambito del PS rispetto ai criteri ge-nerali che regolano la responsabilità medicae, successivamente, in particolare del medicooculista, bisogna brevemente verificare lostato della giurisprudenza in materia.Cominciamo col dire che spetta al medico darprova della mancanza di colpa nel caso dievento avverso (Cass. n. 4400/2004), ed èsempre il medico che deve agire con pruden-za e scrupolo, valutando i limiti della propriaadeguatezza professionale, ricorrendo se delcaso a consulto, se non vi è estrema urgenza.Seppur la responsabilità vada valutata in con-creto, rapportandola al livello della sua spe-cializzazione e delle strutture tecniche a suadisposizione, egli deve adottare tutte le misu-re volte a ovviare alle carenze strutturali e or-

Ruolo istituzionale e compiti del medicooculista addetto al servizio di PSO:reperibilità, pronta disponibilità, guardiaattiva, disponibilità attrezzature e personaleRaffaele La Placa

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Pronto Soccorso Oculistico

22 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

ganizzative e se ciò non è possibile deve in -formare il paziente, consigliandogli, se non viè urgenza, di trasferirsi presso la struttura piùidonea (Cass. n. 12273/2004). Il poco tempoa disposizione non autorizza il medico in PS acompilare in maniera lacunosa la cartella cli-nica e tali lacune non possono giammai esse-re addotte per eccepire la mancanza di provadi condotte colpose del medico stesso.Da queste poche massime comprendiamoquanto anche la logica evidenzia: non puòcerto essere affermato che vi sia un doppioregime di responsabilità professionale cheregoli l’attività medica, per così dire ordina-ria, e quella in PS. Può, però, essere assuntoche il contesto concreto nel quale il medicooculista è portato a operare influenza il giu-dizio sulla sua eventuale colpa.Come sopra ci ha insegnato la Suprema Cor-te e se teniamo a mente quanto la sede ospe-daliera di PS per legge deve garantire, pos-siamo comprendere che, se non vi è estremaurgenza, il medico deve comportarsi secondoi normali criteri: valutare le attrezzature e ri-sorse umane a disposizione, arrivando a chie-dere se del caso un consulto con altro specia-lista o addirittura a indirizzare il paziente al-trove. Non deve sopravvalutare la propriaesperienza professionale solo perché agiscein ambito del PS. L’assenza, per esempio, diesami diagnostici, che - anche in seguito -hanno influenzato la diagnosi di colleghi chesono intervenuti in un secondo tempo, portaa una responsabilità, semmai concorrente.Certo è che, in caso di evento avverso, spet-terà comunque al medico dimostrare che èesente da colpa. In quest’ambito giocherannoun ruolo assai importante le circostanze con-crete in cui l’attività medica si è svolta. Ciòsignifica che non è possibile, come spesso ilmedico spererebbe, avere una codificazionechiara e esemplare a priori dei comportamen-

ti leciti e no. Infatti, la carenza di struttura e lanecessità di intervenire in ambiti diversi dallapropria specialità possono costituire, se osser-vati i principi giurisprudenziali di cui sopra,delle esimenti, delle attenuanti, degli sgravi diresponsabilità, così come l’urgenza manifestao l’impossibilità di ricorrere ad altri colleghi estrutture, consentono di giustificare anche unintervento che, in altro contesto, sarebbe inve-ce giudicato illegittimo. Allora il punto piùcritico può, in concreto, verificarsi nell’opi-nabilità della valutazione (che dovrebbe peròsempre essere eseguita con un giudizio ex an-te) che il medico deve eseguire sull’inadegua-tezza della struttura e sull’attività che dovreb-be o meno compiere per porvi rimedio, in unocon la parallela decisione di soprassedere aintervenire per decidere se trasferire il pazien-te in altra struttura.Ecco quindi che c’è da interrogarsi su unaquestione annosa e che non riguarda a rigoresolo l’inadeguatezza delle strutture adibite alPS, dove però risulta più chiara: se il medicoè costretto a operare in una struttura palese-mente inadeguata e che, financo al limite,non garantisce quanto previsto dall’art. 7 delDPR 27/3/1992, che deve fare? Prudenzaconsiglierebbe di cautelarsi, denunciandopreventivamente le carenze al Direttore Sani-tario, reiterandole se vi è inerzia da parte del-l’Azienda. E siccome abbiamo detto chespetta comunque al medico discolparsi, è be-ne che di ciò rimanga traccia scritta.Operare in regime di PS, comunque, aumen-ta il rischio per il medico di trovarsi convenu-to in un giudizio di responsabilità, poiché èstato accertato che vi è un maggior rischioinsito nelle circostanze in cui opera, aumen-tano gli errori, anche dovuti alle condizionidisagiate, vi è una ridotta capacità di com-prensione e una minima attività di relazionecol paziente.

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Capitolo 2 Ruolo istituzionale e compiti del medico oculista addetto al servizio di PSO

23QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Oltre a ciò sappiamo che il regime di PS è re-golato dal cd. triage. Non bisogna sperareche il giudizio sul codice di urgenza di inter-vento possa costituire un’esimente di respon-sabilità per il medico. Gli obiettivi dichiaratidel triage sono quelli di mantenere l’effi -cienza della struttura di PS e nel ridurre alminimo possibile il ritardo dell’interventosul paziente urgente, non altro. Si è discussose il medico debba supervisionare l’operatoinfermieristico, ma francamente non si vedecome possa essere imputato al medico, inconcreto, l’eventuale errato giudizio dell’in-fermiere; mentre è sicuramente ipotizzabilela colpa professionale del medico che non siaccorge della gravità superiore del pazienterispetto al codice assegnatogli e non opera diconseguenza. La vera e propria diagnosi, in-

somma, spetta sempre e comunque al medi-co, e altrimenti non potrebbe certo essere.Concludendo: pur non potendosi affermareche sia vigente una diversa disciplina o sianoaffermati netti differenti principi giurispru-denziali per accertare la responsabilità civileprofessionale del medico oculista che operain regime di PS, possiamo però rilevare comeulteriori fattori di rischio per l’attività iviesercitata sorgano dal fatto che il medico de-ve anche gravarsi della decisione sui limitidel proprio intervento in relazione: alla gra-vità e urgenza del caso che gli è posto, al giu-dizio che dà sulla completezza ed efficienzadella struttura e del personale presente e,quindi, sull’opportunità di condividere ladiagnosi e la terapia e disporre, eventualmen-te, un trasferimento.

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PRIMO APPROCCIO EGESTIONE DELLE

PATOLOGIE OCULARI NON TRAUMATICHE

IN PRONTO SOCCORSO

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Capitolo 3

27QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

La patologia acuta, non traumatica dell’orbita,rappresenta un’emergenza oftalmica per lepossibili gravi ripercussioni sull’integrità ana-tomica del bulbo oculare e per i danni, talvoltairreversibili, della funzione visiva. L’incidenzadella patologia orbitaria è legata a forme dipredisposizione genetica e all’età. Nel bambi-no e nell’adolescente l’affezione orbitaria piùfrequente è rappresentata dalle forme infiam-matorie e vascolari (emangiomi), nell’adultodall’orbitopatia distiroidea e, nell’anziano oltrei 60 anni, dalla patologia distiroidea e da quel-la neoplastica. Dolore, alterazione della moti-lità e proptosi sono i segni di emergenza che,primi fra tutti, deve annotare l’oftalmologo.Recenti osservazioni descrivono la sindromeda compartimento orbitario (OCS - OrbitalCompartment Syndrome). Si tratta di un’emer-genza oftalmica non frequente, talvolta trau-matica, costituita da un’improvvisa espansionedel volume del contenuto orbitario, con bruscoaumento della tensione. Sotto l’aspetto fisiopa-tologico l’OCS è in qualche modo assimilabileal glaucoma acuto. Nell’OCS si assiste allacompromissione, spesso irreversibile, dellafunzione visiva a causa di danni retinici e delnervo ottico, per effetto di patologie fulminantiquali cellulite orbitaria, ascesso intraorbitario,enfisema intraorbitario e tumori. La Letteratu-ra contiene numerosi case-report, ma a tutt’og-gi i quadri diagnostici e il trattamento di questasindrome sono poco descritti . Rientranell’OCS l’orbi topatia tiroide-dipendente(TAO - Thyroid-Asso cia ted Orbitopathy). Si

tratta di una malattia acuta autoimmune, auto-limitantesi, spesso associata al morbo di Gra-ve. Dolore oculare, edema palpebrale, chemosicongiuntivale, proptosi e cheratopatia sono isintomi principali. La restrizione meccanica ela compressione a livello del nervo ottico dan-no ragione dell’oftalmoplegia e della neuropa-tia ottica. Solitamente il quadro clinico si risol-ve mediante bolo e.v. di metilprednisolone e lasomministrazione di steroidi per os. La cellulite orbitaria, malattia primariamentedell’età pediatrica, è un processo infettivo rela-tivamente poco frequente, che coinvolge i tes-suti molli orbitari, gli annessi oculari e le strut-ture posteriori al setto orbitario. La forma in-fiammatoria anteriore al setto (cellulite preset-tale) è comune nell’infanzia e nell’adolescen-za. La cellulite orbitaria raramente compro-mette la visione, almeno se trattata corretta-mente e tempestivamente. Talvolta può esserepreceduta da una storia di infezione del primotratto respiratorio, specie nei bambini. Il qua-dro clinico è tipicamente caratterizzato daproptosi, edema palpebrale, chemosi congiun-tivale, parziale limitazione della motilità ocula-re, dolore. Non è rara una cheratopatia superfi-ciale da esposizione. È presente una tempera-tura di almeno 37,5 °C con leucocitosi. Piutto-sto raro il papilledema, e rara anche un’uveitesettica (iridociclite, coroidite), fattore di ri-schio per una forma di panoftalmite. I fattoripatogenetici più importanti sono rappresentatidalla presenza di sinusite (seni paranasali), inparticolare nei bambini, da infezioni palpebra-

Patologia acuta non traumatica dell’orbitaGiuseppe Nuzzi, Tito Poli

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Pronto Soccorso Oculistico

28 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

li, del viso e della cavità orale (denti), da corpiestranei orbitari, o da infezioni a distanza pro-pagate per via ematica. Una possibile concausaè data dall’incompleto sviluppo delle difeseimmunitarie tipiche dell’età infantile e adole-scenziale. La frequenza di complicazioni orbi-tarie è riportata tra lo 0,5% e il 3,9%.L’incidenza di un ascesso orbitario o periorbi-tario può arrivare fino al 25% dei casi.L’ecografia orbitaria è il sistema diagnosticopiù rapido, ma la TAC (Tomografia AssialeComputerizzata) rimane la procedura di scelta,anche per valutare un’eventuale estensione in-tracranica. Dal punto di vista batteriologico so-no stati descritti lo Staphylococcus aureus,Staphylococcus epidermidis, Streptococci,Diphtheroids, Haemophilus influenzae, Esche-richia coli e altre specie aerobiche e anaerobi-che. La terapia con antibiotici a largo spettro,preferibilmente per via venosa, è la terapia discelta tutte le volte che si sospetta una cellulite.Non si può escludere una soluzione chirurgicain presenza di patologia sinusale importante, odi un ascesso orbitario o subperiostale. Lacomplicazione più grave di una cellulite orbi-taria postsettale è rappresentata dalla trombosidel seno cavernoso. Questa affezione derivadalla propagazione dell’infezione a livello del-le vene oftalmiche che, a livello della fessuraorbitaria superiore o all’interno del plesso pte-rigoideo attraverso la fessura orbitaria inferio-re, drenano nel seno cavernoso. La condizionepuò portare a coma irreversibile, è ad alto ri-schio per la vita ed è da sospettare tutte le volteche compaiono, bilateralmente, diminuzionedel visus, oftalmoplegia, segni neurologicicentrali e iperpiressia.Dolore, proptosi, sindrome restrittiva della mo-tilità in un adulto sono i segni caratteristici del-lo pseudotumor orbitario. Si tratta di un pro-cesso infiammatorio aspecifico, mai neoplasti-co, solitamente a carico del tessuto mesenchi-

male, il più delle volte monolaterale (in età pe-diatrica anche bilaterale). La sintomatologiapone alcune questioni di diagnosi differenzialenei confronti di altre forme di proptosi orbita-ria, soprattutto neoplastica, con segni di in-fiammazione. La diagnosi arriva in tutti i casidalla TAC, che rivela una diffusa infiltrazione amargini indistinti del contenuto orbitario e del-la parete sclerale. La patologia risponde pron-tamente alla somministrazione di steroidi a do-si massicce (criterio ex-adiuvantibus), con fre-quente fenomeno di rebound se la sospensionenon è graduale. In alcuni casi può essere utilela somministrazione di chemioterapici (metho-trexate, ciclopsorina), o il trattamento radiote-rapico a basso dosaggio. Non è rara la recidiva.La sindrome di Tolosa-Hunt si manifesta gene-ralmente con dolore oculare accentuato daimovimenti oculari, diplopia e cefalea. Si trattadi una patologia infiammatoria idiopatica (cioèdi origine sconosciuta) del seno cavernoso,della fessura orbitaria superiore e dell’apiceorbitario, caratterizzata dall’alternarsi di perio-di di remissione e periodi di recidiva. Nota an-che con la dicitura di oftalmoplegia dolorosa.Segni tipici includono paralisi dei nervi oculo-motori con conseguente paralisi completa oparziale dei muscoli da essi innervati, riduzio-ne della sensibilità del territorio innervato dallaI e II branca del nervo trigemino e lieve esof-talmo. Una riduzione dell’acuità visiva e coin-volgimento pupillare possono anch’essi esserepresenti. La terapia prevede l’uso di antinfiam-matori steroidei.Vari tessuti rientrano nella costituzione del-l’orbita e ognuno rappresenta una potenzialesede d’origine di patologie tumorali sia beni-gne che maligne. Gli obiettivi del trattamento, che è quasiesclusivamente chirurgico, sono necessaria-mente differenti a seconda della natura dellaneoplasia: mentre le forme maligne richiedo-

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Capitolo 3 Patologia acuta non traumatica dell’orbita

29QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

no un’escissione ampia e radicale spessoestesa allo stesso bulbo (exenteratio orbitae),i tumori benigni impongono invece il rispettodelle strutture nobili nonché un accettabilerisultato estetico. L’avvento delle modernemetodiche di imaging ha reso possibile otte-nere le informazioni necessarie per l’ac -curata pianificazione dell’intervento chirur-gico (localizzazione della massa in seno allacavità orbitaria, rapporti con le strutture vici-ne, eventuale estensione extraorbitaria).L’emergenza dei tumori orbitari è per lo piùcostituita dal fatto che il paziente lamenta lacomparsa di tensione oculare, dolore e cefalea,talvolta associati a edema palpebrale, arrossa-mento dell’occhio, protrusione del bulbo, di-slocamento oculare, diplopia e riduzione delvisus. Il dolore, in particolare, può insorgereprogressivamente o acutamente, presentarsipiù o meno continuo e di intensità variabile fi-no a un difficile controllo con i comuni analge-sici. La sede del dolore riferita dal pazientepuò avere valore di localizzazione della lesioneresponsabile: così, ad esempio, lesioni apicali,come il linfangioma, si accompagnano, in ge-nere, ad algie orbitarie profonde, a disturbi del-la motilità oculare o a una disestesia nel terri-torio innervato dalla II branca del nervo trige-mino. Il segno più frequente di una massa orbi-taria è la proptosi, accompagnato da disloca-zione oculare, ossia dallo spostamento del glo-bo lungo un piano differente dal normale assevisivo. La nuova direzione assunta dall’occhioè solitamente opposta rispetto all’effetto massadel tumore in accrescimento. Un’evenienza ra-ra è la progressiva fuoriuscita dall’orbita deltumore stesso osservabile caratteristicamentein presenza di emangiomi capillari del neona-to. In casi estremi, la crescita rapida ed esube-rante può portare la massa a occultare l’occhio.Talvolta la proptosi può mostrare carattere dipulsatilità, come avviene nelle patologie

coinvolgenti le pareti ossee dell’orbita(neuro fibro matosi) e quadri a orbita intatta(eman gioma capillare, malformazioni e co-municazioni artero-venose). Può essere utilela valutazione dei rapporti tra ciascun globoe le palpebre soprastanti. Un edema pastosolocalizzato nella porzione nasale della palpe-bra superiore, soprattutto se episodico, depo-ne per un sottostante mucocele del seno fron-tale che erode lentamente il tetto dell’orbita.Rubor palpebrale, accompagnato o meno daedema, segnala generalmente un problemaorbitario più urgente come accade, ad esem-pio, nella cellulite orbitaria: un incrementolocale della temperatura associato con unmalessere febbrile sistemico differenzianoquesto quadro infiammatorio acuto dai tumo-ri. Rubor ed edema senza incremento localedella temperatura possono accompagnarsianche a tumori a rapida crescita o tumori in-fiammatori ad andamento acuto localizzatinel settore più anteriore dell’orbita.In genere la presenza di un arrossamento pal-pebrale giustifica l’accelerazione nei tempi distudio e trattamento del paziente. La valutazio-ne della superficie oculare può rivelare la pre-senza di alterazioni nel disegno, nel colore enel calibro del plesso vascolare epibulbare, in-dizi questi importanti per la diagnosi di alcunitipi di tumori orbitari. Vasi dilatati, tortuosi, dicolorito rosso-violaceo, spiraliformi che siestendono lungo la superficie dell’occhio, so-no particolarmente indicativi della presenza diuna malformazione vascolare o shunt nellaparte posteriore dell’orbita; queste arcate va-scolari, in genere, terminano nel limbus, cosache raramente si osserva in altre orbitopatie.Anche un’emorragia sottocongiuntivale a ca-rattere episodico può rappresentare l’esordioclinico di un tumore orbitario; si tratta in gene-re di angiomi cavernosi anatomicamente postia stretto contatto con il globo o con un musco-

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Pronto Soccorso Oculistico

30 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

lo extraoculare e per questo più facilmentetraumatizzabili durante il decubito notturno ocon movimento brusco. Un simile reperto puòessere osservato anche in bambini portatori diun linfangioma cistico a lenta crescita che ab-bia raggiunto il fornice congiuntivale. Raccoltal’anam nesi ed eseguita la prima fase dell’esa-me obiettivo orbitario, si passa alla valutazionedella funzione oculare che può risultare com-promessa dalla presenza di una massa orbitariacon varie modalità: distopia oculare con diplo-pia, disturbi refrattivi, alterazioni della moti-lità, e ridotta acutezza visiva. La valutazionefunzionale dell’occhio prevede la misurazionedell’acutezza visiva, lo studio del campo visivoe della motilità oculare, l’e same oftalmoscopi-co e l’esame auscultatorio. La determinazionedell’acuità visiva di ciascun occhio sia a brevesia a lunga distanza consente di cogliere undanno visivo imputabile all’effetto massa eser-citato dal tumore o a una neoplasia coinvol-gente il nervo ottico. In caso di glioma del ner-vo ottico è reperto caratteristico un deficit visi-vo nettamente sproporzionato rispetto al gradodi proptosi e ciò perché il tumore è così de-struente le fibre nervose da rendere vano qual-siasi tentativo volto a recuperare una normalefunzione visiva.

La perimetria ha oggi un impiego diagnosticolimitato dalle sempre più perfezionate tecnichedi imaging, con valore di semplice documenta-zione del deficit visivo in epoca di pretratta-mento. Indagine che ha conservato intatto neltempo il suo grande valore pratico è la valuta-zione della motilità oculare, capace di coglierequalsiasi anomalia di rotazione del globo e diricondurla alla natura della patologia invasivaorbitaria. Un reperto patologico deriva, adesempio, dall’effetto meccanico della massaorbitaria in espansione, esercitato sul muscolodeficitario. Queste masse sono in genere confi-nate a un settore o quadrante orbitari e pertantola rotazione dell’occhio non è compromessa fi-no alla fase terminale dell’escursione del globonell’area occupata dal tumore, quando il pa-ziente segnala la comparsa di diplopia.L’esame oftalmoscopico, sebbene rientri inqualsiasi valutazione oftalmologica di routine,ha, nel caso specifico, un semplice valore diconferma del sospetto diagnostico. L’esameauscultatorio non si esegue di routine nel so-spetto di un tumore orbitario, ma solo nei pa-zienti che segnalino la comparsa di un rumorenella testa; tale reperto, in genere, indica lapresenza di una malformazione vascolare siaintra- che retroorbitale.

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Bibliografia essenziale

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Capitolo 4

31QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

4.1 Palpebre

Herpes zoster della branca oftalmicaVescicole che seguono caratteristicamente ildecorso delle fibre nervose, spesso accompa-gnate da chemosi palpebrale e dolore urente.In seguito le vesciche si rompono lasciandopetecchie che si trasformano in cicatrici. Fa-vorita da condizioni defedate. La terapia ge-nerale deve essere iniziata entro 72 ore daiprodromi: Aciclovir 800 mg 1 cp per 5 volteal giorno per 7-10 gg. Localmente Aciclovircrema per 6 volte al giorno.

Dermatiti acute

Impetigine contagiosa ed erisipelaInfezione acuta della pelle che coinvolge ilderma profondo e in parte l’ipoderma causa-ta da Streptococco beta-emolitico di gruppoA e Staphylococcus aureus. Ha esordio im-

provviso (febbre, sensazione di freddo e ma-lessere generale); sulla palpebra si evidenziauna chiazza arrossata a margini netti, superfi-cie liscia, lucida, tesa e calda, dolente al tat-to. Terapia: macrolidi o cefalosporine per viagenerale; da evitare l’uso di FANS, sospettatidi favorire l’evoluzione della malattia versoforme più gravi e generalizzate.

Blefarite, orzaiolo, calazioProcessi infettivi o infiammatori a carico dimargini palpebrali, o di ghiandole sebaceeannesse alle ciglia palpebrali generalmentecausato da stafilococchi. Il paziente ha dolorepersistente con sensazione di gonfiore. Si for-ma poi un ascesso, o un granuloma, che soloin rari casi si apre spontaneamente. Terapiacon impacchi caldo-umidi e pomata antibioti-ca (aminoglicosidici o chinolonici) eventual-mente associati a steroidi. Talvolta è necessa-ria una pulizia chirurgica (Figg. 4.1, 4.2).

Patologie degli annessiFilippo Incarbone

Fig. 4.1Blefarite posteriore.

Fig. 4.2Calazio palpebrale.

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Pronto Soccorso Oculistico

32 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

4.2 Ghiandola lacrimale

DacrioadeniteInfiammazione della ghiandola lacrimale cheaumenta di volume, monolaterale, decorso ve-loce e caratterizzata da dolore vivo, linfadeno-patia preauricolare e sottomandibolare, prop-tosi bulbare con riduzione della motilità ocu-lare. Una TAC orbitaria con mezzo di contra-sto può evidenziare la ghiandola ingrossata.Terapia: nella virosi FANS, nelle forme da in-fiammazione sistemica consulenza dell’inter-nista, nelle forme da batteri amoxicillina-aci-do clavulanico 250-500 mg per 3 volte al gior-no negli adulti e 20-40 mg/kg/die nei bambiniper os. Alcune forme particolarmente severepossono richiedere un’ospedalizzazione.

4.3 Vie lacrimali

DacriocanalicoliteLe canalicoliti possono essere non suppurati-ve (come dopo congiuntivite angolare), sup-purative da stafilococchi e streptococchi, conconcrezioni (da Actinomyces israelii), virali,da Chlamidia e iatrogene, soprattutto conse-guenti a terapia farmacologica locale. Sinto-mi: lacrimazione, irritazione della congiunti-va e dolore alla digitopressione al canto in-terno. Nelle forme purulente la digitopressio-ne provoca la fuoriuscita di pus dal puntinolacrimale. Nelle forme con concrezione la di-gitopressione del canalicolo può far fuoriu-scire materiale concrezioni bianco-giallastre.Nelle forme iatrogene predomina l’epifora.Come terapia amoxicillina-acido clavulanico500 mg per bocca per 3 volte al giorno eamoxicil l ina-acido clavulanico 20-40mg/kg/die nei bambini. In caso di infezionefungina evidenziata dalla coltura nistatina in

gocce (1:20.000 per 3 volte al giorno e irriga-zione delle vie lacrimali con la stessa sostan-za alla stessa concentrazione per alcune setti-mane).

DacriocistitiNelle forme congenite oltre alla canalizza-zione incompleta del dotto naso-lacrimale èimportante la componente infettivo-infiam-matoria. La terapia consiste nel sondaggiodelle vie lacrimali dopo terapia con antibioti-ci mirati. Nelle forme acquisite dell’adulto èpresente un’ostruzione parziale o totale dellevie basse lacrimali e anche un’infiammazio-ne dei seni paranasali. Nell’adulto la dacrio-cistite acuta dà una tumefazione dolente delsacco lacrimale, secrezione muco-purulenta,cellulite presettale, febbre cefalea e leucoci-tosi. La complicanza peggiore è la cellulite.Può essere utile un esame ematochimico,colture delle secrezioni, una RX del massic-cio facciale, una Tac per eventuali formeneoplastiche, una RMN per distinguere leformazioni cistiche da quelle solide. Se non èin atto una forma suppurativa può essere utileun’endoscopia delle vie lacrimali. La terapiadelle forme non complicate si avvale di anti-biotici (azitromicina, netilmicina, gentamici-na, cloramfenicolo, chinolonici) e antifungi-ni (nistatina 1.20000).

4.4 Congiuntiva

Emorragie sottocongiuntivali spontaneeSono frequenti, di solito monolaterali. Vasempre eseguito l’esame del fondo oculareper escludere emorragie retiniche. Nei casiricorrenti è utile emocromo completo e stu-dio della coagulazione. Diagnosi differenzia-le con Sarcoma di Kaposi. Nessuna terapia.

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Capitolo 4 Patologie degli annessi

33QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Congiuntiviti acutePresentano tutte iperemia con secrezione digrado e quantità variabile.Le congiuntiviti batteriche hanno un esordiomonolaterale con dolenzia, bruciore, notevo-le iperemia, edema con essudazione cellularee fibrinosa che può essere purulenta e muco-purulenta coinvolgendo quasi sempre a di-stanza di pochi giorni l’occhio adelfo. Piùcomunemente da Staphylococcus aureus,Streptococcus pneumoniae ed Haemophilusinfluenzae; aggressiva è la congiuntivite acu-ta da Neisseria gonorrhoeae. Si deve impo-stare un’immediata terapia antibiotica ad am-pio spettro per evitare un coinvolgimentocorneale. Altra forma particolarmente viru-lenta è la congiuntivite da Pseudomonas checolpisce i portatori di lenti a contatto e an-ch’essa caratterizzata da precoci ulcere cor-neali infiltrate e rapida evoluzione in perfora-zione. Un aspetto nosologico particolare delle con-giuntiviti acute sia batteriche che virali sonole forme pseudo-membranose caratterizzateda essudazioni fibrinose aderenti sulla con-giuntiva tarsale, difficilmente rimovibili sen-za copiose emorragie. Eventuale striscio con-giuntivale con esame colturale in casi parti-colari, nel frattempo si instaura una terapiaantibiotica topica ad ampio spettro.Le congiuntiviti acute virali sono contraddi-stinte da presenza di follicoli linfoidi sullacongiuntiva tarsale, frequente coinvolgimen-to corneale con cheratite puntata, annebbia-mento della vista, secrezione maggiormenteliquida, linfadenopatia pretragica e frequentecoinvolgimento sistemico (faringiti, malattieesantematiche, febbre). Gli agenti patogenipiù frequenti sono gli adenovirus. Tali mani-festazioni debbono essere trattate con steroi-di topici anche molto a lungo. Sono altamen-te contagiose.

Congiuntiviti allergicheLe ipersensibilità della superficie ocularevanno distinte in non allergiche e allergiche,e tra queste in IgE mediate e non IgE media-te. Tra le forme non allergiche distinguiamola congiuntivite gigantopapillare, provocatedalle lenti a contatto cui poi si sovrapponeuna reazione infiammatoria simil-allergicafavorita da residui proteici depositati sullalente. La blefarocongiuntivite da contatto èun’affezione irritativa immuno-mediata in-dotta dal contatto di agenti o irritativi o di ap-teni. Si tratta di una forma bilaterale caratte-rizzata da prurito e bruciore con marcata ipe-remia e ipertrofia follicolare. Tra le forme al-lergiche citiamo la congiuntivite allergicastagionale o perenne con tipici sintomi (pru-rito, iperemia, chemosi congiuntivale, edemapalpebrale, fotofobia lacrimazione e rinor-rea) nel periodo in cui sono presenti nell’am-biente gli allergeni sensibilizzanti o senzastagionalità per allergeni che provengono daepiteli animali, acari o muffe. La cheratocon-giuntivite primaverile (Vernal) interessa so-prattutto maschi in età pediatrica, sfumandopoi in concomitanza con lo sviluppo pubera-le. Dal punto di vista clinico si può dividerein tarsale (papille giganti), limbare (noduli diTrantas) o mista ed è generalmente binocula-re. Infine, la cheratocongiuntivite atopica, ti-pica dei soggetti con dermatite atopica. Fre-quente l’epiteliopatia corneale esitante in ul-cere la cui cicatrizzazione può provocareastigmatismo irregolare o addirittura pannocorneale. Terapia: i mastociti, istamina e in-fiammazione sono i bersagli della terapia ditutte le forme allergiche. Gli inibitori dei ma-stociti (disodiocromoglicato, nedocromile,acido spaglumico e lodoxamide) vanno uti-lizzati per 4 volte al giorno per tutta la sta-gione pollinica o di esposizione all’allergenespecifico. In fase acuta utilizzare antiistami-

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Pronto Soccorso Oculistico

34 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

nici e inibitori dei mastociti (azelastina, epi-nastina, chetotifene e olopadina). Nelle for-me stagionali e perenni sono preferibili brevicicli con steroidi di superficie (fluormetolo-ne, loteprednolo, desonide e idrocortisone)In caso di compromissione oculare severa

nella cheratocongiuntivite vernale o nellacheratocongiuntivite atopica si può conside-rare l’impiego di colliri di ciclosporina A inconcentrazioni tra lo 0,05 e il 2%. Non è di-sponibile in Italia se non come preparazionegalenica.

• Ehlers JP, Shah CP. The Wills Eye Manual. Lippincott & William&Wilkins Ed. 2008.

Bibliografia essenziale

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Capitolo 5

35QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Le patologie d’origine non traumatica dellamotilità oculare che possono costituire un’e-mergenza sono lo strabismo concomitanteacuto o lo strabismo incomitante, paralitico.Entrambe si manifestano con diplopia e/oconfusione.Al fine di indagare la natura della diplopia èutile porsi quattro domande:1. La visione doppia si mantiene quando

l’occhio non coinvolto è occluso (diplopia

monoculare) o scompare con l’occlusionedi un occhio (diplopia binoculare)?

2. L’angolo di deviazione è uguale in tutte leposizioni di sguardo (forme comitanti) ovi è una posizione di sguardo nella qualel’angolo è massimo (forme incomitanti)?

3. La diplopia è orizzontale, verticale o obli-qua?

4. Il disturbo è costante, intermittente o va-riabile?

Patologie della motilità oculareEmilio C. Campos, Silvia Mariani

Fig. 5.1

COSTANTEMistaenia gravis

Scompenso esoforia

INTERMITTENTE

DIPLOPIA

ECASkew deviation

Esotropie congeniteDeficit di convergenza

COMITANTE INCOMITANTE

BINOCULAREErrori rifrattivi

Opacità / Irregolarità cornealiCataratta

Maculopatia

MONOCULARE

TEST dellaDUZIONEFORZATA

Oftalmopatia tiroideaSindrome di Brown

Pseudotumor orbitarioNeoplasie

Forma paretica cronicizzata

FORME RESTRITTIVEParesi III n.c.Paresi IV n.c.Paresi VI n.c.

INOSindrome della fessura orbitaria

FORME PARETICHE

+

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Pronto Soccorso Oculistico

36 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

La diplopia può essere:• Monoculare: il disturbo scompare quasi

sempre con l’utilizzo del foro stenopeico.Le cause più frequenti sono:- errori rifrattivi;- irregolarità o opacità corneali;- cataratta;- difetti iridei (iridectomia);- maculopatia.

• Binoculare: - intermittente: Miastenia Gravis (MG),

scompenso di una preesistente esoforia; - costante: paralisi isolata del III, IV, VI,

nervo cranico, patologie orbitarie (oftal-moplegia tiroidea, pseudotumor orbita-rio, neoplasie), sindrome della fessuraorbitaria superiore o del seno cavernoso,oftalmoplegia internucleare (INO), eso-tropia concomitante acuta (ECA), condi-zioni postchirurgia.

5.1 Anamnesi

Indagare la presenza di sintomi oculari asso-ciati: cefalea o dolore periorbitario, arrossa-mento oculare e/o palpebrale, edema palpe-brale, e altri sintomi neurologici possono es-sere indicativi di un coinvolgimento orbita-rio, del seno cavernoso o del sistema nervosocentrale (SNC). La storia di traumi passati,distiroidismi, o debolezza e faticabilità mu-scolare sono elementi utili alla diagnosi dif-ferenziale.

5.2 Esame obiettivo

• Osservazione del paziente (presenza diproptosi, arrossamento oculare, ptosi).

• Esame della motilità oculare nelle 9 pozio-ni diagnostiche di sguardo: duzioni (movi-

menti monoculari) e versioni (movimenticoniugati degli occhi).

• Test del vetro rosso per identificare il mu-scolo deficitario negli strabismi paralitici.

• Test della duzione forzata per differenziareforme restrittive da forme paretiche.

• Cover-Uncover Test (CT).• Misurazione della deviazione strabica con

CT associato ai prismi per pazienti colla-boranti; test di Hirschberg e Krimsky perpazienti non collaboranti.

• Test di Bielschowsky per identificare il de-ficit del muscolo grande obliquo.

• Cilindri di Maddox per valutare eventualeciclotorsione.

5.3 Deviazioni comitanti e incomitanti

Gli strabismi concomitanti sono generalmen-te congeniti; quelli a insorgenza acuta sonofrequentemente dovuti a:• alterazione dell’angolo di deviazione stra-

bica in pazienti con storia di strabismo in-fantile (p.es. paziente con exoforia pregres-sa può sviluppare diplopia orizzontale ver-so la 5ª decade di vita per la riduzione dellacapacità accomodativa e di convergenza);

• esotropia concomitante acuta (ECA).

ESOTROPIA CONCOMITANTE ACUTA

Esistono due forme, l’una è tipica del miope(esotropia di Bielschowsky) e una è tipicadell’emmetrope o ipermetrope lieve (esotro-pia di Franceschetti-Burian). Sono di origineignota e si verificano in età adulta. Si mani-festano prima con diplopia per lontano (pl)che successivamente interessa anche la vi-sione per vicino (pv). Entrambe hanno pro-

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Capitolo 5 Patologie della motilità oculare

37QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

gnosi funzionale eccellente. È necessarioeseguire approfondimenti neuroradiologiciper la Sindrome di Franceschetti-Burian per-ché può trovarsi in pazienti con tumori cere-brali.

Le forme incomitanti possono essere dovutea un deficit neurogeno della motilità oculare(forme paretiche) o alla presenza di un osta-colo meccanico che causa una restrizionedel movimento (forme restrittive). Per diffe-renziarle sono utili il test della duzione for-zata e il test delle forze generate.

OFTALMOPATIA TIROIDEA

L’oftalmopatia tiroidea è la causa più co-mune di strabismi restrittivi non traumatici:si associa spesso a sintomi orbitari comeretrazione palpebrale, proptosi e chemosi.Colpisce maggiormente il muscolo retto in-feriore e il retto mediale. Una differenza dialmeno 5 mmHg tra la pressione intraocu-lare misurata con il bulbo in elevazione e lamisurazione in posizione primaria di sguar-do avvalora l’ori gine restrittiva della diplo-pia. RMN o TAC mostrano l’ingrossamentodel ventre muscolare con il risparmio deitendini.

Le alterazioni neurogene (paretiche) posso-no essere classificate in base alla localizza-zione del danno anatomico.Le lesioni sopranucleari limitano i movi-menti associati degli occhi e generalmentenon causano diplopia. Tuttavia esistono al-cune eccezioni: skew deviation o deviazionea bilancia, thalamic esodeviation, deficit diconvergenza o deficit di divergenza, oftal-moplegia internucleare (INO), induconostrabismo e visione doppia.

OFTALMOPLEGIA INTERNUCLEARE(INO)

L’INO è causata dall’interruzione del fasci-colo longitudinale mediale (FLM) tra il nu-cleo dell’abducente di una parte e il nucleodell’oculomotore comune controlaterale. Èritenuta l’adduzione dell’occhio interessato evi è nistagmo dell’occhio controlaterale ab-dotto. RMN tronco e mesencefalo. D.d.: MG, patologie orbitarie, sindrome 1 e 1/2.

Tra le lesioni nucleari il nervo cranico piùfrequentemente danneggiato è il VI n.c. se-guito da IV n.c. e III n.c.

PARALISI VI NERVO CRANICO

• Nucleare: paralisi di sguardo orizzontale(per coinvolgimento del nucleo dell’oculo-motore comune controlaterale).

• Periferica: paralisi isolata dell’abduzione.La paralisi del VI n.c. acquisita si manifestacon diplopia orizzontale maggiore nellosguardo pl che pv e si associa spesso a torci-collo con capo ruotato verso la parte lesa. Nonvi è mai proptosi né coinvolgimento pupillare. D.d.: oftalmopatia tiroidea, MG, sindromeinfiammatoria orbitaria idiopatica, sindromedi Duane, spasmo della convergenza e deficitdi divergenza. Negli adulti la causa più comune è vascolare(risoluzione spontanea entro 3 mesi) ma ilcoinvolgimento del VI n.c. può anche esseresegno aspecifico di ipertensione endocranica(falso segno localizzatore). RMN in pazienti <45 anni o >45 ma senzafattori di rischio vascolari o se presenti altrisegni neurologici. Se la diagnosi è posta en-tro un mese dalla sua insorgenza ed è perife-

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Pronto Soccorso Oculistico

38 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

rica è possibile iniettare tossina botulinicanel retto mediale omolaterale.

PARALISI IV NERVO CRANICO

Le forme più frequenti sono deficit congenitiscompensati: è possibile il riscontro di una po-sizione anomala del capo confermata anche davecchie fotografie, asimmetrie facciali e am-piezze fusive verticali >3 DP. Le lesioni nu-cleari e fascicolari (forme acquisite) sono clini-camente identiche: causano una diplopia verti-cale o obliqua, difficoltà nella lettura per defi-cit di depressione ed exciclotorsione dell’oc-chio interessato a causa dell’ipofunzione delmuscolo grande obliquo. Vi è inoltre un torci-collo oculare con capo inclinato sulla spalladell’occhio sano. Tra i deficit acquisiti nontraumatici i più frequenti sono di origine va-scolare o demielinizzante. Utili per la diagno-si: test di Bielschowsky e cilindri di Maddox.D.d.: MG, oftalmopatia tiroidea, skew devia-tion, paresi parziale del III n.c., sindrome diBrown.RMN se presenti altri deficit n.c., <45 annisenza storia di trauma precedente, o >45 annisenza miglioramento spontaneo dopo 3 mesidall’insorgenza.

PARALISI III NERVO CRANICO

È caratterizzata da diplopia e ptosi senza do-lorabilità.• Oftalmoplegia esterna:

- paralisi completa: ptosi ed exoipotropia;- paralisi parcellare: limitazioni parziali

dei movimenti oculari;- paralisi della divisione superiore: ptosi e

deficit elevazione;- paralisi della divisione inferiore: deficit

adduzione e depressione.• Oftalmoplegia interna:

- coinvolgimento pupillare: pupilla midria-tica con debole reazione alla luce (coin-volgimento fibre parasimpatiche) - aneu-risma arteria comunicante posteriore;

- risparmio pupillare: pupilla non dilatatae normoreagente - patologie microvasco-lari, ischemiche;

- parziale coinvolgimento pupillare: pupil-la parzialmente dilatata - patologie ische-miche o compressive (osservazione per7-10 giorni per possibile peggioramentoda verosimile effetto compressivo).

D.d.: MG, oftalmopatia tiroidea, patologieinfiammatorie orbitarie, INO, skew devia-tion, Sindrome di. Parinaud.Neuroimaging in tutti i casi di coinvolgimen-to pupillare, paralisi incompleta III n.c., <50anni e polineuropatia.

SINDROME DEL SENO CAVERNOSO

Diplopia, ptosi, dolore o intorpidimento fac-ciale. La limitazione dei movimenti oculari ècorrelata a ogni possibile combinazione diparalisi associate del III, IV, VI n.c. ipsilate-rali al seno/fessura orbitaria coinvolti.Nella sindrome dell’apice orbitario vi è an-che proptosi e neuropatia ottica. D.d: MG, lesioni orbitarie, patologie deltronco encefalico, meningite carcinomatosa,tumori del basicranio.

MIASTENIA GRAVIS

Palpebra ptosica e/o visione doppia che peg-giora verso la fine della giornata o dopo affa-ticamento; può essere presente debolezza deimuscoli facciali, delle estremità prossimali e

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Capitolo 5 Patologie della motilità oculare

39QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

1. American Academy of Ophthalmology. Neuro-Oph-thalmology. LEO, 2012.2. Campos EC. Strabismo. Manuale di diagnosi e ter-apia. Bononia University Press, 2002. 3. Helveston EM, Krach D, Plager DA, Ellis FD. Anew classification of superior oblique palsy based oncongenital variations in the tendon. Ophthalmology1992;99(10):1609-15.4. Jacobson DM. Relative pupil-sparing third nervepalsy: etiology and clinical variables predictive of amass. Neurology 2001;56(6):797-8.5. Mills DA, Frohman TC, Davis SL, et al. Break inbinocular fusion during head turning in MS patientswith INO. Neurology 2008;71(6):458-60.

6. Noorden GK VON, Campos EC. Binocular visionand ocular motility. Mosby, 2001.7. O’Connor PS, Tredici TJ, Green RP. Pupil-sparingthird nerve palsies caused by aneurysm. Am J Ophthal-mol 1983;95(3):395-7.8. Gerstenblith AT, Rabinowitz MP. The Wills EyeManual. Office and emergency room diagnosis andtreatment of the eye disease. Wolters Kluwer, Lippin-cott Williams & Wilkins, 6th Edition, 2012.9. Trobe JD. Managing oculomotor nerve palsy. ArchOphthamol 1998;116(6):798.10. Miller NR, Newman NJ. The essentials : Walsh &Hoyt’s clinical neuro-ophthalmology. 5th edition. Lip-pincott Williams & Wilkins, 1999.

Bibliografia

nella deglutizione e respirazione. La pupillanon è mai coinvolta; test dell’edrofonio clo-ruro o del ghiaccio positivo, anticorpi acetil-colina-recettori positivi. Utili la valutazionedelle velocità saccadiche (esaurimento inter-

saccadico) e l’EMG di singola fibra.Entra in diagnosi differenziale con tutte lepatologie oculari non traumatiche che indu-cono alterazioni della motilità oculare e/optosi.

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Capitolo 6

40 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Le emergenze neuroftalmologiche del sistemavisivo afferente si inquadrano in: deficit mo-nolaterale acuto della funzione visiva, deficitbilaterale omonimo, edema del disco ottico. Il percorso diagnostico deve riconoscere lasede topografica della lesione (retina, vie ot-tiche anteriori o encefalo) e poi orientare lospecifico inquadramento eziologico. L’anamnesi è cruciale per identificare se ildisturbo sia realmente acuto o se sia solo sta-to riconosciuto improvvisamente; se sia mo-nolaterale o se manchi la consapevolezza dideficit emianoptici. Le caratteristiche del de-ficit visivo permettono di distinguere tra di-sturbi dei mezzi diottrici (sfuocamento), del-la retina (metamorfopsia o micropsia e scoto-mi a margini molto netti) o del nervo ottico(riduzione o oscuramento della visione). Lapresenza di dolore suggerisce la diagnosi dineurite ottica, se si esclude grave ischemia daarterite a cellule giganti o da severa stenosicarotidea. L’esame obiettivo completo, conesame del campo visivo automatizzato in so-glia, consente di definire la sede e l’e sten -sione del deficit. In assenza di alterazionievidenti all’esame del fundus, la presenza diRAPD (difetto pupillare relativo afferente) èindicativo di neuropatia ottica. La neurite ottica si caratterizza per la pre-senza di dolore e normale aspetto del discoottico nelle forme posteriori (demielinizzan-ti) e nelle perineuriti (granulomatose o infet-tive). La forma più frequente è quella idiopa-tica o demielinizzante, isolata o associata a

sclerosi multipla, che colpisce adulti tra i 20e i 45 anni. Non sono da escludere casi dineurite ottica in età pediatrica o in pazienti dietà più avanzata. Le forme demielinizzantitendono al recupero, anche spontaneo, fino al95% della funzione visiva, mentre le formeinfettive o disimmuni possono avere una pro-gnosi peggiore e richiedere un trattamentospecifico(1). La terapia prevede la sommini-strazione e.v. di 1 g di metilprednisolone per3-5 giorni. La RM dell’encefalo e del nervoottico con sequenze mirate e somministrazio-ne di mezzo di contrasto ha una sensibilitàdiagnostica del 97% per le forme infiamma-torie e demielinizzanti(2); gli esami di labora-torio specifici sono utili per escludere formeinfiammatorie o infettive sistemiche e orien-tare il trattamento corretto. Alcune forme di neuropatia ottica posterioreacute, spesso associate a dolore o grave cefa-lea, si associano ad espansione improvvisa dipatologie intracraniche che possono rappre-sentare un’emergenza per la vita (aneurismadell’arteria comunicante anteriore o della ca-rotide interna o apoplessia pituitarica). Posso-no essere presenti deficit della motilità oculareestrinseca, rigidità nucale o alterazione dellostato di coscienza che devono indirizzare ver-so una immediato neuroimaging a un approc-cio terapeutico mirato, medico o chirurgico. La neuropatia ottica ischemica anteriore(NOIA) è un’infarto del disco ottico causatada un’insufficienza o occlusione vascolarenel territorio delle arterie ciliari posteriori.

Patologie neuroftalmologicheStefania Bianchi Marzoli

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Capitolo 6 Patologie neuroftalmologiche

41QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Indispensabile è differenziare la forma nonarteritica, con meccanismo multifattoriale, ela forma arteritica associata ad arterite a cel-lule giganti. La NOIA non arteritica, fre-quente dopo i 50 anni, si associa a fattori dirischio vascolari occlusivi sistemici, ipoten-sione arteriosa o a meccanismi di insufficien-za venosa, ma soprattutto alla presenza di di-sco ottico di dimensioni piccole e affollato. Ildeficit della funzione visiva, in assenza didolore, compare al risveglio con un difettodel campo visivo altitudinale o fascicolare ededema del disco ottico, diffuso o segmenta-rio, con essudati cotonosi ed emorragie “afiamma”. Il deficit visivo non cambia, se nonin alcuni casi in cui peggiora nei primi 10giorni dopo l’esordio (NOIA progressiva)(3).La diagnosi è clinica e il trattamento è assailimitato; l’impiego di corticosteroidi per ospuò essere indicato in presenza di edema deldisco ottico diffuso e nelle forme progressi-ve. Nella NOIA arteritica invece, diagnosti-cata sulla base di elevata VES e PCR e di sin-tomi sistemici (cefalea, pulsazione tempora-le, claudicatio mandibolare e polimialgia) iltrattamento corticosteroideo e.v. ad alto do-saggio deve essere instaurato quanto primaper l’elevato rischio di coinvolgimento del-l’occhio controlaterale o di altri sistemi. Lapresenza di alterazioni istopatologiche a li-vello dell’arteria temporale conferma la dia-gnosi e non è influenzata dalla terapia(4).La causa più comune di un disturbo visivoomonimo isolato è l’ischemia cerebrale oc-cipitale nel territorio dell’a. cerebrale poste-riore. L’evento ischemico, spesso precedutoda episodi transitori, riconosce una causaemobolica frequentemente di origine cardia-ca che deve essere rapidamente indagata.Meno frequenti sono cause neoplastiche,emorragiche, metaboliche (MELAS) infetti-ve o degenerative (M. di Alzheimer o M. di

Jakob-Creutzfeldt) che devono essere consi-derate nella diagnosi differenziale. Fattori re-sponsabili di severa ipertensione arteriosa si-stemica possono causare una leucoencefalo-patia posteriore reversibile (deficit visivi, ce-falea e alterazioni di coscienza) secondariaad alterazioni dell’autoregolazione capillarecerebrale e reversibile attraverso un’adeguataterapia di supporto(5).Il papilledema, secondario a ipertensione in-tracranica (IIC), è un edema della porzioneprelaminare degli assoni retinici secondario astasi del flusso assoplasmatico. Può essere as-sociato, nelle fasi inziali, a una normale fun-zione visiva e va messo in diagnosi differen-ziale con condizioni diverse quali: processicompressivi o infiltrativi orbitari; insufficien-za venosa retinica, vasculite del disco ottico,ipertensione arteriosa maligna, neuropatie ot-tiche tossiche (da amiodarone o ciclosporina),OSAS, ischemia di basso grado (pre-NOIA,papillopatia diabetica), ipotonia oculare,uveite posteriore (sarcoidosi, coroidopatia diBirdshot), AZOOR. Il papilledema è spessobilaterale, seppure asimmetrico; possono es-sere presenti, ma non costanti, cefalea pulsan-te, tinnitus o paralisi del VI nervo cranico. In-dagini neuroradiologiche mirate sono indi-spensabili per escludere forme di IIC secon-darie; la puntura lombare è essenziale nelladiagnosi di IIC idiopatica e nelle forme diPseudotumor cerebri con RM dell’encefalonegativa(6). Va sempre esclusa la prenza ditrombosi dei seni venosi mediante angio-RMvenosa(7). Il trattamento è mirato alla patolo-gia di base nelle forme secondarie, mentrenelle forme idiopatiche, spesso associate aobesità e al sesso femminile, si può utilizzareterapia medica (acetazolamide o topiramato)o chirugia (decompressione della guaina delnervo ottico o derivazione liquorale) a secon-da della gravità della neuropatia ottica.

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Pronto Soccorso Oculistico

42 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

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Capitolo 7

43QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Le complicanze infettive delle lenti a contat-to (LaC) possono rappresentare una graveemergenza oftalmologica e possono richie-dere un intervento terapeutico immediato,ma consapevole. Non si tratta di una problematica marginale,dal momento che la frequenza di infezionicorneali è maggiore nei portatori di LaC peruna molteplicità di cofattori di rischio corre-lati con l’uso delle stesse lenti, in grado di fa-vorire l’evento patologico sia come fonte dimicrorganismi (contaminazione microbiolo-gica delle lenti e dei contenitori(1-4), da impro-pria manipolazione e scarsa igiene persona-le(5-7)), sia come agenti causali di lesioni fisio-patologiche della superficie oculare, spessodi natura ipossica(8-10), predisponenti all’inva-sione e alla moltiplicazione microbica. Dal punto di vista clinico si manifestano sot-to forma di infiltrati, cheratiti ulcerative oascessi la cui gravità e i cui esiti variano inrapporto alla sede, all’estensione e, ancorpiù, all’etiopatogenesi della lesione: la naturaè prevalentemente batterica, ma non vanno dicerto sottovalutate le più rare, ma estrema-mente severe, forme da Acanthamoeba oquelle da funghi (Tab. 7.I).Il principale agente causale è lo Pseudomo-nas aeruginosa, seguito dalla Serratia mar-censes tra i Gram-. Tra i Gram+ spiccano in-vece gli stafilococchi (CNS, aureus ecc); danon trascurare, poi, ai fini terapeutici, la pos-sibilità di eventi occasionali sostenuti da ger-mi diversi da quelli di più comune riscontro. Le infezioni da Acanthamoeba e quelle da

funghi rappresentano, poi, un ulteriore pro-blema diagnostico e, ancor più, terapeutico.Nell’ambito di un intervento di pronto soc-corso la conoscenza di questi sintetici dati in-troduttivi può essere utile per il futuro svilup-po terapeutico.In linea di massima possiamo trovarci difronte a due diverse evenienze: il pazientepuò presentarsi con la LaC ancora in uso odopo averla già rimossa. Nel primo caso ilprimo provvedimento sarà quello di toglierela LaC. Sarebbe opportuno provvedere a talemanovra utilizzando delle pinzette sterili o iguanti per evitare un’ulteriore contaminazio-ne ambientale della lente, nella speranza cheun succesivo esame microbiologico dellastessa ci conduca alla identificazione dell’a-gente patogeno causale. Nel secondo caso èpossibile che il paziente non ci informi im-mediatamente di essere portatore di LaC, main presenza di una lesione corneale di proba-bile natura settica dobbiamo sempre sospet-tarlo chiedendone conferma. Ove possibilesarà utile farsi consegnare lente e contenitorea fini diagnostici microbiologici.La diagnosi clinica di un quadro conclamatonon è particolarmente complicata, ma la diffi-coltà di un’identificazione differenziale etio-logica è palese, nonostante alcune caratteristi-che tipiche, ma non patognomononiche, attri-buite ai diversi agenti microbici (Tab. 7.II).La diagnosi differenziale clinica è richiestasoprattutto in presenza di piccoli infiltraticorneali possibile espressione sia di una rea-zione flogistica alle lenti sia di un’iniziale le-

Complicanze infettive da lenti a contattoStefano Palma

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44 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

sione settica. Solitamente gli infiltrati steriliappaiono di piccole dimensioni (circa 1 mm),bianchi, regolari, rotondi o appena ovalari e amargini ben distinti, mentre quelli settici so-no più grandi, irregolari e bianco-giallastri.L’esperienza aiuta nella diagnosi, ma la cer-tezza scaturisce solo dall’osservazione del-l’evoluzione nei giorni immediatamente suc-cessivi: se non abbiamo la possibilità di con-trollare, o far controllare a breve il paziente,consideriamo l’opportunità di una coperturaantibiotica, pur nei limiti che essa comporta.In presenza, invece, di lesioni più estese do-vremo osservarne la sede, l’estensione in su-perficie e in profondità, le caratteristiche deimargini e quelle dell’essudato; purtroppol’identificazione etiopatogenetica certa potràscaturire solo da un esame microbiologico.Per tale ragione dovremmo avere a disposizio-ne un corredo diagnostico di base e potrebbe-

ro essere sufficienti una spatola tipo Kimura euna provetta sterile con terreno di trasporto; inalternativa si possono utilizzare per il prelievoaghi o microcannule sterili o gli asciughinitriangolari chirurgici. In mancanza di altro hopersonalmente fatto ricorso a questi presidiimpiegando dei guanti sterili per tenere emuovere il manico mentre con la punta prele-vavo il materiale dal fondo e dai margini del-l’ulcera. Successivamente ho introdotto tuttol’asciughino (manico e punta) nella provettadi trasporto: su quattro campioni due eranopositivi, in quel caso per Stafilococcus aureus. In attesa della risposta di laboratorio potremocon maggiore tranquillità intraprendere un per-corso terapeutico non mirato, utilizzando gliantibiotici locali disponibili, basandoci sul so-spetto diagnostico clinico e sulle conoscenzerelative allo spettro d’azione dei diversi farma-ci verso i germi Gram+ e Gram- (Tab. 7.III).

Tabella 7.I

EZIOPATOGENESI

Gram- Gram+

Pseudomonas aeruginosa 23-78% Staphylococcus aureus 20-26%Serratia marcenses 4-23% Stafilococchi CNS 8%Klebsielle spp 2-10% Streptococcus pneumoniae 8%Enterobacter spp 1-16% Streptococchi spp 8-13%

Altri 1-2%Altri <1-2% S. viridansHaemophilus spp EnterococchiProteus spp Corynebacterium diphtheriaeMoraxellaMorganella morganiiSerratia liquiformisBacillus cereusEscherichia coliAcinetobacter a.

Funghi 5% Acanthamoeba 5%FusariumAspergillusCandidaCryptococcus laurentii

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Tabella 7.II

ASPETTI CLINICI/EVOLUTIVI

Pseudomonas aeruginosa

Serratia spp, Enterobacter spp,Klebsielle

Bacillus cereus

Staphylococcus aureus

Streptococcus pneumoniae

Streptococchi B-emolitici

Streptococcus viridans

Funghi

Acanthamoeba

Infiltrati stromali suppurativi a rapidaevoluzione con abbondanteessudazione mucopurulenta

Infiltrati suppurativi

Infiltrato ad anello che evolve inascesso fino alla perforazione

Infiltrati stromali ben definiti, bianco-grigiastrio cremosi; edemacircostante di media entità; spessoperiferico

Infiltrato stromale focale suppurativo

Simile e altrettanto severo

Lesioni più localizzate

Filamentosi. Lesione iniziale seguitada restituzio ad integrum, seguita daInfiltrti focali subepiteliali biancogrigiastri in accrescimento conepitelio integro. Ispessimenntocorneale lesioni satellite.Lieviti occasionalmente aspettoinfiltrativo

Dolore violento

Tipico pigmento fluorescente a luceUV; possibili infiltrati anulariperilesionali, possibile ipopion

Simili allo Pseudomonas

Molto virulento; raro occasionale inambito contattologico

Evoluzione: acuta con suppurazione edenso ascesso stromale o torpida

Margine progressivo serpiginoso epoi sottominato; necrosi cornealeprogressiva

Andamento torpido/insidiosoRaramente acuto e più graveNon curato danno epitelialepermanente ulcerazione stromalereazione.

Spesso lesioni superficiali bianche inrilievo ed ipopion

Lesioni iniziali dendritiformi, tipicoascesso anulare

Capitolo 7 Complicanze infettive da lenti a contatto

45QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Da considerare sempre le possibili resistenze. L’uso di antobiotici rafforzati ricostituiti auso locale può essere riservato ai casi piùgravi e resistenti, ma esula, in linea di massi-ma, da un intervento di pronto soccorso. Lesomministrazioni devono essere frequenti,distanziando i farmaci in caso di terapia mul-tipla; utile l’associazione di cicloplegici perridurre la reazione ciliare.Qualora i segni e i sintomi facessero pensare

all’Acanthamoeba (ascesso anulare, forti do-lori) o a un fungo sarà comunque necessariauna conferma diagnostica (microscopiaconfocale, microbiologia con esami a fresco,esami colturali e PCR): la terapia antibioticapotrebbe essere controindicata nel caso deifunghi e inutile verso il parassita; per i fun-ghi si utilizzano sostanze a uso generale, perl’Acanthamoeba non tutti i farmaci sono dia-ponibili in Italia (Tab. 7.IV).

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46 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Tabella 7.III

ANTIBIOTICI

Chinoloni / fluorochinoloni Ampio spettro Gram-, Gram+.(ofloxacina, norfloxacina, levofloxacina, moxifloxacina) Moderatamente attivi vs streptococco

Aminoglicosidi (tobramicina, gentamicina, Attivi vs Gram- e stafilococchi neomicina, netilmicina, amikamicina) non vs streptococchi e Haemophilus

Bacitracina, eritromicina, CAF Oggi poco utilizzati, ampio spettro

Cefalosporine Non disponibili in collirio (da ricostituire): attiva vs Pseudomonas, stafilococchi, streptococchi

Vancomicina Non disponibile in collirio (da ricostituire) attiva vsGram+ ma anche meticillino-resistenti

Tabella 7.IV

INFEZIONI DA FUNGHI E ACANTHAMOEBA

Funghi Natamicina, amfotrericina B, nistatina.Composti imidazolici (da non associare ai polienici): miconazolo, ketaconazolo, fluconazolo

Acanthamoeba Polyexamethyl Biguanide, clorexidina (0,02%), brolene 0,1%, neomicina

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Bibliografia

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Capitolo 8

47QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

L’Herpes zoster, comunemente chiamato“fuoco di Sant’Antonio”, è una malattia vira-le a carico della cute e delle terminazioninervose, causata dal virus della varicella in-fantile (Varicella-Zoster Virus - VZV). La maggior parte delle persone sono infettateda questo virus, come i bambini, e soffronodi un episodio di varicella. L’Herpes zoster èuna riattivazione dell’infezione latente daVZV, e questo significa che lo zoster può ve-rificarsi solo in individui che hanno già avutola varicella. Il sistema immunitario è in gradodi eliminare il virus nella maggior parte deiluoghi del corpo, ma esso rimane inattivo (olatente) nel ganglio adiacente al midollo spi-nale (chiamato ganglio dorsale) o nel gangliosemilunare di Gasser nella base del cranio. Anche se può verificarsi a qualsiasi età, circala metà dei casi interessano soggetti di etàmaggiore di 50 anni.Come con la varicella e/o altre forme di her-pes, il contatto diretto con un’eruzione cuta-nea attiva può diffondere il VZV a una perso-na che non possiede l’immunità al virus.L’individuo contagiato può quindi svilupparevaricella, ma non sviluppa l’Herpes zosterimmediatamente. Fino a quando il rash nonsi è tramutato in croste, la persona risultaestremamente contagiosa. Una persona è,inoltre, non infettiva prima della formazionedi vesciche o durante la nevralgia posterpeti-ca (il dolore che permane dopo la scomparsadell’eruzione). Durante un caso di Herpeszoster il virus solitamente non passa nel flus-

so sanguigno né nei polmoni e quindi non sipuò diffondere per via aerea.La localizzazione intracranica interessa so-prattutto il trigemino e, in particolare, la suabranca oftalmica, dando luogo all’Herper zo-ster oftalmico (HZO) che rappresenta il 10-25% di tutti i casi di Herper zoster. La branca oftalmica del trigemino si dividenelle branche frontale, naso-ciliare e lacrima-le (Fig. 8.1).L’interessamento del nervo frontale è caratte-rizzato dall’eruzione vescicolare della frontee della palpebra superiore. La branca naso-cilare in considerazione che innerva anche lacongiuntiva, sclera, cornea, iride e coroide,quando interessata, oltre alle vescicole cuta-nee, si associa nel 76% dei casi a una flogosioculare. La branca lacrimale, infine, è quellameno interessata e si estrinseca con un’eru-zione vescicolare dell’area temporale.

Herpes zosterAlberto Montericcio, Alessio Montericcio

Fig. 8.1Anatomia e interessamento dell’Herpes zoster oftal-mico delle branche del nervo oftalmico.

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48 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

La fase prodromica dell’HZO è caratterizza-ta da una sindrome simil-influenzale conastenia, febbricola e dolore nell’area di di-stribuzione del nervo oftalmico. Successiva-mente compaiono macchie eritematose lungoil dermatomero interessato, che si trasforma-no, in pochi giorni, in papule vescicolose e,successivamente, in pustole. La rottura diqueste lesioni porta alla formazione di crosteche guariscono nel giro di poche settimane.Tipicamente, le eruzioni cutanee rispettanola linea mediana, con il coinvolgimento diuno o più rami della branca oftalmica del tri-gemino. Il coinvolgimento della punta delnaso (segno di Hutchinson) è un segno pre-dittore di un interessamento oculare.Le manifestazioni cliniche nel corso di unoHZO possono comprendere:• blefarite e congiuntivite;• cheratite superficiale;• cheratite interstiziale;• cheratite neurotrofica;• cheratoendotelite;• uveite;• episclerite, sclerite.

8.1 Blefarite e congiuntivite

La blefarite si manifesta con edema e infiam-mazione dei tessuti perioculari. Successiva-mente compaiono lesioni cutanee vescicolariche possono guarire completamente o lascia-re esiti cicatriziali. Nei casi più gravi l’ische -mia e la necrosi del derma profondo possonocausare alterazioni secondarie cicatrizialicon irregolarità del bordo palpebrale associa-ta a ptosi, ectropion, entropion e lagoftalmo.La congiuntivite, presente dopo qualchegiorno dall’esordio della malattia, presentapetecchie emorragiche con iperemia ed ede-ma della congiuntiva. L’associazione con in-

fezioni secondarie determina la comparsa disecrezioni muco-purulente. Trattate con anti-biotici topici a largo spettro, le congiuntiviti,nella maggior parte dei casi, si risolvono do-po pochi giorni (Fig. 8.2).

8.2 Cheratiti superficiali

Il 70% dei soggetti affetti da HZO presenta,durante il decorso della malattia o anche do-po alcuni mesi, alterazioni corneali superfi-ciali. La più frequente è la cheratite puntataepiteliale (Fig. 8.3) che può evolversi versola cheratite pseudodendritica. La cheratite pseudodendritica (Fig. 8.4) puòessere scambiata con la classica dendriticadell’Herpes simplex. Nell’HZO i dendriti so-no più sottili, lineari e mancano dei bulbi ter-minali rotondi che si riscontrano nelle rami-ficazioni dell’Herpes simplex.

8.3 Cheratite interstiziale

Nel 40% dei soggetti affetti da HZO si osser-vano infiltrati stromali anteriori (Fig. 8.4) oprofonde (Fig. 8.5) dovuti, secondo alcuni

Fig. 8.2Blefarite da Herpes zoster oftalmico associata acongiuntivite.

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Capitolo 8 Herpes zoster

49QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

studiosi, agli antigeni virali, secondo altri al-la tossicità diretta del virus. Appaiono dopole lesioni epiteliali ma possono apparire co-me manifestazione primaria. Compaiono cir-ca 10 giorni dopo l’eruzione cutanea, posso-no essere unici o multipli, di aspetto opaco,hanno dimensioni diverse e contorni sfumati.L’epitelio, che è quasi sempre integro, può,con l’estendersi della lesione e con l’aggra -varsi dell’edema, ulcerarsi.

8.4 Cheratite neurotrofica

È una delle più gravi complicanze che può,con il perdurare della sintomatologia, portarealla perforazione corneale. È noto, infatti,che durante le manifestazioni cutanee si hauna perdita della sensibilità corneale che, ingenere, si ripristina con il tempo, ma che ta-lora può essere costante. Nei casi in cui que-sta ridotta sensibilità permane nel tempo, do-po 3/6 mesi vi è una perdita della specularitàdella superficie con erosioni punteggiate e,successivamente, ulcere con margini opachiedematosi che interessano gli strati cornealipiù profondi. Il processo di riparazione torpi-

do evolve verso un leucoma corneale conneovascolarizzazione (Fig. 8.6).

8.5 Cheratoendotelite

La cheratite disciforme, la quale insorge nel40% dei casi dei pazienti affetti da HZO, puòcomparire dopo settimane o mesi dall’iniziodella malattia. Ha una forma a disco e può es-sere, a volte, circoscritta da un anello di infil-trati di probabile origine immunitaria (Fig.8.7). Le prime manifestazioni patologiche ri-guardano il foglietto Descemet-endotelio. Si

Fig. 8.3Cheratite pseudodendritica da Herpes zoster oftal-mico.

Fig. 8.4Cheratite anteriore da Herpes zoster oftalmico.

Fig. 8.5Cheratite profonda da Herpes zoster oftalmico.

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50 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

evidenziano al biomicroscopio con irrigida-mento endoteliale. Le cellule appaiono rigon-fie e, in alcune zone, assenti. Un segno carat-teristico è costituito da pieghe della Descemet,accompagnato da edema stromale conseguen-te al danno endoteliale. Di norma il quadro ècompletato da un lieve interessamento irideoche si manifesta con miosi, reazione periche-ratica e variazioni cromatiche dell’iride.

8.6 Uveite

L’iridociclite presente nel 50% dei pazientiaffetti da HZO è associata a una cheratite. Lemanifestazioni cliniche sono simili a quelledell’uveite da Herpes simplex. L’infiamma -zione iridea può portare a un aumento dellapressione intraoculare dovuto probabilmentea un interessamento diretto del virus sul tra-becolato. Possono essere presenti emorragiafibrina o ipopion (Fig. 8.8). L’evoluzione ècaratterizzata da atrofia iridea a settore pervasculite occlusiva ischemica a cui si associaun’irregolarità del forame pupillare. La dia-gnosi è basata sull’anamnesi clinica; da ricor-dare che le eruzioni cutanee non sono semprepresenti (HZO sine erpete). Per una diagnosi

certa è necessario dosare l’aumento del titoloanticorpale nel sangue oppure ricercare glianticorpi anti-HVZ (coefficiente di Goldman-Wimer) e il DNA virale mediante amplifica-zione con PRC nell’umore acqueo.

8.7 Episclerite e sclerite

L’episclerite si verifica in circa 1/3 dei casi.Si manifesta con iperemia a settore o diffusaoppure in forma nodulare con dolore intenso.La sclerite è una complicanza meno frequen-

Fig. 8.6Cheratite neurotrofica.

Fig. 8.7Cheratite disciforme da Herpes zoster oftalmico.

Fig. 8.8Uveite da Herpes zoster oftalmico con sinechie iri-docapsulari e ipopion.

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Capitolo 8 Herpes zoster

51QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

te; si presenta dopo una settimana e frequen-temente interessa il limbus, producendo unasclerocheratite.

8.8 Terapia dell’Herpes zosteroftalmico

L’HZO ha un decorso evolutivo spontaneo ver-so la guarigione nel soggetto immunocompe-tente. La terapia sistemica con aciclovir ad altodosaggio (800 mg 5 volte al giorno per 10 gg)limita l’estensione dell’eruzione cutanea, favo-risce la risoluzione e riduce la sintomatologianevralgica nella fase acuta. La terapia sistemi-ca è utile nel ridurre il rischio di complicanzeoculari. L’aciclovir agisce sulla replicazionedel virus attraverso un processo di fosforilazio-ne in cellule che contengono l’enzima timinachinasi presente nelle cellule infette. L’assor -bimento del farmaco dopo somministrazioneorale è limitato e ciò giustifica l’alto dosaggiosistemico raccomandato nel trattamento dellafase acuta dell’HZO. Altri farmaci analoghisono il valaciclovir e il famciclovir, con mag-giore biodisponibilità poiché viene assorbitomeglio dal tratto gastrointestinale. Sebbenenon esistano studi controllati di confronto,questi nuovi farmaci sembrano offrire la stessaefficacia dell’aciclovir.La somministrazione per via endovenosa èindicata nel trattamento dei pazienti immu-nocompromessi e nel trattamento della reti-nite da HZO. Il dosaggio dell’aciclovir è di30 mg/kg/die e va somministrato per flebo-clisi a goccia lenta.La terapia topica si avvale di diversi farmaciantivirali che, tuttavia, non raggiungono con-centrazioni terapeutiche nell’acqueo e inoltrerisultano tossici per l’epitelio. Il vantaggiodell’uso dell’aciclovir orale nelle cheratiti er-petiche è che raggiunge concentrazioni tera-

peutiche sia nelle lacrime sia nell’umore ac-queo. L’impiego di corticosteroidi topici èindicato nelle complicanze immunomediateche si possono realizzare nelle fasi acute etardive dell’HZO.

8.9 Nevralgia posterpetica

La sintomatologia dolorosa nell’area di di-stribuzione del dermatomero dei pazienti af-fetti da HZO può permanere anche dopo larisoluzione dell’eruzione cutanea. La nevral-gia posterpetica colpisce circa il 7% dei pa-zienti ed è caratterizzata da vari gradi di do-lore costante o intermittente. Essa è una sin-drome da deafferentazione conseguente a le-sioni degenerative dei gangli radicolari po-steriori e delle radici sensitive.In caso di nevralgia posterpetica è necessariauna terapia antidolorifica mirata a placare ildolore bruciante lamentato dal paziente; inalcuni casi è possibile giungere persino alblocco neuronale. Spesse volte, l’impiego diun solo farmaco non risulta sufficiente a pla-care il dolore, pertanto viene consigliata unacombinazione di farmaci (azione sistemica +applicazione topica), in grado di accelerare laguarigione.

8.10 Farmaci per la cura della nevralgia posterpetica

Terapia sistemicaIl gabapentin è un farmaco particolarmenteindicato nel contesto della nevralgia poster-petica. La posologia va modificata di giornoin giorno: in genere, si inizia il 1° giorno diterapia assumendo, per via orale, 300 mg difarmaco una volta al dì, per poi assumere unaduplice dose nel 2° giorno. Nel 3° giorno si

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52 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

raccomanda di assumere il farmaco 3 volte aldì. La dose può essere aumentata fino a 1800mg/die. La dose di mantenimento prevede diassumere il farmaco alla posologia di 900-1800 mg/die, per os, in 3 dosi frazionate du-rante l’arco della giornata. Il pregabalin è un farmaco analogo dell’acidoamino butirrico, utile per la cura della nevral-gia posterpetica. Anche questo farmaco va as-sunto secondo la modalità sopradescritta, au-mentando o comunque modificando la poso-logia in base alla gravità della nevralgia. Ini-ziare la terapia con 75 mg di farmaco 2 volteal dì (o 50 mg ogni 8 ore); la dose può essereincrementata fino a 100 mg 3 volte al dì. I pa-zienti che dopo un mese di trattamento nongodono di alcun beneficio, possono assumereil farmaco a dosaggi più elevati (300 mg/2volte al dì oppure 200 mg/3 volte al dì).

Terapia topicaCerotti/pomate di lidocaina sono impiegatianche per placare il prurito nel contesto dellanevralgia posterpetica. Applicare uno stratodi crema o pomata nell’area cutanea dolente:ripetere l’applicazione 3-4 volte al dì, al bi-sogno. In alternativa, applicare fino a 3 cerot-ti ogni 12 ore, cercando di coprire la partedolente solo quando intatta.

Antidolorifici /oppioidiGli analgesici non possono mancare nell’e-lenco dei possibili farmaci coadiuvanti deldolore. In genere, è sufficiente l’impiego del-l’ibuprofene o del paracetamolo (in caso difebbre). In caso di dolore atroce e implacabile, sonoconsigliati farmaci più potenti, quali codeinao idrocodone.

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Bibliografia

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Capitolo 9

53QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

9.1 Introduzione

La cheratite erpetica è una patologia infettivacorneale determinata dal virus Herpes sim-plex (HSV) della famiglia degli Herpesviri-dae (generalmente infezione da HSV di tipo1 e 2). La trascrizione del DNA virale determina lasintesi del DNA erpetico con produzione deivirioni e loro liberazione per lisi cellulare. Lamaggior parte delle infezioni corneali sonocausate dalla riattivazione di uno stato di in-fezione latente a livello del ganglio trigemi-nale. La partecipazione virale al processoacuto non sembra essere rilevante nelle for-me stromali immuni, infatti il ruolo di noxapatogena è mediato da componenti antigeni-che virali indovate nello stroma corneale aseguito di pregressi eventi infettivi.

9.2 Classificazione

Cheratite erpetica epitelialeSi distinguono due forme principali: la chera-tite erpetica epiteliale dendritica e la cherati-te erpetica epiteliale geografica (Fig. 9.1).La lesione si presenta nella fase precoce conpiccole formazioni vescicolari rilevate non cap-tanti che dislocano il film lacrimale generandouna colorazione negativa alla fluoresceina.Le vescicole confluiscono nell’arco di pocotempo a formare un difetto vero e proprioche può assumere la morfologia dendritica ogeografica. Tipici sono i margini rilevati e leterminazioni bottonute delle ramificazioniarborescenti.La cheratite marginale da Herpes virus pre-senta un aspetto misto infettivo-infiammatorioper la vicinanza delle arcate vascolari. La le-

La cheratite da Herpes simplex virusLeonardo Mastropasqua, Niccolò Salgari, Mario Nubile

BA

Fig. 9.1Cheratite epiteliale dendritica (A) e geografica (B).

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Pronto Soccorso Oculistico

54 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

sione dendritica sovrasta comunque il foco-laio immunitario e può essere individuata conun’attenta colorazione vitale. L’evolu zio ne èin senso centripeto e dendritiforme. La dia-gnosi differenziale più importante si pone conla cheratite marginale stafilococ-cica. Que-st’ultima si presenta generalmente in sede in-feriore ed è associata a blefarite cronica. Nonprovoca mai neovascolarizzazione.L’evoluzione in senso riparativo delle chera-titi epiteliali da Herpes virus può comportarela formazione di aree di lesione pseudoden-dritiformi denominate aree di epiteliopatiadendritica (Fig. 9.2 A). Tali regioni di irrego-larità epiteliale non presentano un vero stai-ning fluoresceinico ma possono ricordare lamorfologia di un dendrite erpetico sebbene illoro aspetto sia rilevato e non ulcerato. Nonrappresentano aree di attività virale e non ne-cessitano di trattamento.Il processo di guarigione della cheratite erpe-tica epiteliale può terminare con una restitu-tio ad integrum o residuare leucomi invali-danti e permanenti (Fig. 9.2 B).

Cheratite erpetica stromaleLa cheratite erpetica di pertinenza stromale

si presenta con due tipologie di lesione a pa-togenesi verosimilmente distinta: la cheratitestromale immune e la cheratite stromale ne-crotizzante.È importante distinguere i coinvolgimentistromali secondari in corso di cheratite epite-liale infettiva o endotelite dalle qui menzio-nate forme primarie.

Cheratite erpetica stromale immuneLa morfologia delle lesioni è variabile macaratterizzata dall’infiltrazione stromale daparte di elementi immunitari che conferisco-no al tessuto un aspetto edematoso e opacato(Fig. 9.3). La lesione può essere singola,multipla, localizzata in più foci oppure dif-fusa.Caratteristico è l’anello immune dovuto alladeposizione di immunocomplessi antigene-anticorpo (Fig. 9.3 C). Associata a questi fe-nomeni può presentarsi la neovascolarizza-zione che interessa variabilmente uno o piùquadranti corneali (Fig. 9.3 B). Al terminedel processo infiammatorio i vasi sanguignipossono persistere sotto forma di “vasi fanta-sma”: strutture tubulari semitrasparenti privedi contenuto ematico (Fig. 9.3 D).

BA

Fig. 9.2A: epiteliopatia pseudodendritica. B: esiti cicatriziali.

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Capitolo 9 La cheratite da Herpes simplex virus

55QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Cheratite erpetica stromale necrotizzanteRappresenta una forma ben più rara di coin-volgimento stromale. La lesione si presenta atutto spessore con ulcerazione stromale seve-ra e rischio incombente di perforazione perdigestione metalloproteasica.

Cheratopatia erpetica neurotroficaLe lesioni neurotrofiche possono variare dasemplice epiteliopatia a ulcera stromale fran-ca con perdita di sostanza, fino a melting eperforazione. In stadi iniziali presentanoaspetto generalmente rotondeggiante con epi-telio dismorfico irregolare e margini rilevati(Fig. 9.4).

Cheratite erpetica endoteliale Le lesioni endoteliali di natura erpetica pos-sono presentarsi con tre differenti quadrimorfologici: endotelite diffusa, endotelite di-sciforme ed endotelite lineare. I segni fre-quentemente visibili sono edema corneale,precipitati endoteliali e debole/moderatareattività in camera anteriore.La distinzione con le forme immuni stromaliin certi casi può risultare difficile a causa delmarcato opacamento da edema stromale(Fig. 9.5).L’endotelite diffusa (più severa) e quella li-neare sono distinguibili per la disposizioneed estensione dei precipitati endoteliali.

DC

BA

Fig. 9.3Cheratite erpetica stromale lieve (A), severa (B), depositi di immunocomplessi (C), vasi “fantasma” (D).

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56 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

9.3 Diagnosi

La diagnosi clinica di routine si basa sui ri-scontri clinico-oftalmologici riportati neiprecedenti paragrafi e, più raramente, su in-dagini laboratoristiche mirate.Numerosi test immuno-enzimatici sono statisviluppati per agevolare e velocizzare la dia-gnosi di infezione virale.La Polimerase Chain Reaction (PCR) rappre-senta oggi una tecnica diagnostica avanzata esensibile. I campioni biologici più idonei al-l’esame sono la biopsia o lo scraping. La va-

lutazione dei titoli anticorpali IgM-IgG pos-siede un’utilità diagnostica limitata preso attodella natura latente e cronica dell’infezione.Test immunologici più sofisticati e di minoreimpiego sono l’immunoblotting e l’ELISA.La microscopia confocale rappresenta unatecnica diagnostica ancillare. È possibile se-guire l’evoluzione dei fenomeni infiammato-ri e documentarne la riduzione nel tempononché stabilire gli esiti cicatriziali e l’inte -grità dello strato endoteliale.

9.4 Terapia

Fondamentale è il riconoscimento della for-ma clinica di cheratite erpetica: diagnosi dif-ferenziale tra cheratite epiteliale (dendriti-ca/geografica), stromale immune o endote-liale, oppure una combinazione delle due. In-fatti tali forme beneficiano di terapie diffe-renti.Attualmente la terapia per la cheratite erpeti-ca si avvale di farmaci antivirali e immuno-modulatori come gli steroidi. I farmaci anti-virali attualmente reperibili in commerciosono l’aciclovir, la vidarabina, la trifluridina,il ganciclovir e il BVDU.

BA

Fig. 9.4Cheratopatia neurotrofica superficiale (A), ulcerativa profonda (B).

Fig. 9.5Cheratite erpetica endoteliale (freccia: depositi en-doteliali).

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Capitolo 9 La cheratite da Herpes simplex virus

57QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Cheratite erpetica epitelialeLe forme epiteliali infettive sono general-mente patologie autolimitanti nell’ospite im-muno-competente con durata complessivainferiore ai 14 giorni. La terapia ha lo scopodi limitare la durata dell’evento acuto e ridur-re la morbilità.Esiste, infatti, come ricordato precedente-mente, la possibilità che si instaurino feno-meni infiammatori stromali reattivi con esiticicatriziali invalidanti ed eventuali riattiva-zioni autoimmuni future.L’approccio terapeutico iniziale prevedel’utilizzo di farmaci antivirali:• aciclovir pomata 3%, 1 applicazione x 5

volte al giorno, oppure• ganciclovir 0,15%, 1 applicazione x 5 volte

al giorno, oppure• trifluridina 1%, 1 applicazione ogni 2 ore.L’utilizzo di antivirali sistemici può associar-si al farmaco topico. La durata della terapia ègeneralmente inferiore ai 14 giorni.È importante non proseguire il trattamento ol-tre il tempo strettamente necessario per limita-re la tossicità del farmaco e favorire la riepite-lizzazione del difetto. L’epiteliopatia dendriti-ca può infatti persistere anche per settimanedopo la risoluzione dell’infezione e la tossicitàfarmacologica può prolungarne la durata.L’uso di steroidi topici è controindicato inquesta forma di cheratite per la capacità diinibire i meccanismi immunitari innati depu-tati al controllo dell’infezione. L’utilizzo dicortisonici topici può essere utile in casi ca-ratterizzati da concomitante infiammazionestromale immune con rischio significativo diesitare in leucomi invalidanti. Utilizzare i farmaci antivirali per via orale abasso dosaggio per periodi superiori ai 6 me-si riveste un ruolo importante nella profilassidelle recidive (aciclovir 400 mg per 2 volte algiorno).

Cheratopatia neurotroficaIn caso di epiteliopatia superficiale l’utilizzodi sostituti lacrimali può essere sufficiente,associato in casi selezionati all’uso di lenti acontatto terapeutiche. La risoluzione delle le-sioni può necessitare di molto tempo, pertan-to è obbligatoria anche una profilassi antibio-tica topica.Nelle lesioni ulcerative profonde, soprattuttose progressive e con rischio di perforazione,è indicata una tarsorrafia (chirurgica tempo-ranea o con cerotti). È utile preservare un ac-cesso libero alla superficie oculare, nella ri-ma palpebrale mediale, per permettere unavalutazione dello stato corneale durante laconvalescenza. I casi più severi possono ri-chiedere un intervento chirurgico di trapiantodi membrana amniotica, associato alla tarsor-rafia, per reintegrare lo stroma profondamen-te ulcerato.

Cheratite erpetica stromale ed endoteliteLa terapia steroidea topica rappresenta il car-dine del trattamento nelle forme stromali im-muni.Il protocollo di riduzione della terapia steroi-dea deve essere personalizzato alla severitàdel quadro. È generalmente accettato intraprendere unaterapia cortisonica ad alto dosaggio (desame-tasone 0,2% per 6-8 volte/die) che andrà poiridotta gradualmente nel tempo, raggiungen-do dosaggi di mantenimento di 1 volta/dieper settimane/mesi.L’infiammazione corneale conduce alla forma-zione di leucomi cicatriziali invalidanti pertan-to richiede un trattamento tempestivo accuratoe monitorato. La possibilità di recidiva deter-mina l’accumulo di lesioni cicatriziali susse-guenti e deve essere prevenuta con tutti i mezzidisponibili (profilassi sistemica antivirale).Sappiamo, inoltre, che qualsiasi chirurgia cor-

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Pronto Soccorso Oculistico

58 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

neale in tessuti con precedenti fenomeni in-fiammatori-infettivi erpetici espone il pazientea un alto rischio di recidiva. Ciò impone la ne-cessità di una profilassi accurata e prolungata.Nel trattamento delle forme necrotizzanti

l’utilizzo di farmaci antivirali può essere as-sociato a interventi tettonici come l’innestodi membrana amniotica. Le forme endotelialinecessitano di terapia steroidea topica asso-ciata a copertura antivirale orale.

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Bibliografia essenziale

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Capitolo 10

59QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

10.1 Uveiti anteriori

IntroduzioneL'uveite anteriore, in base ai criteri definitidall’International Uveitis Study Group(1) è ca-ratterizzata da un’infiammazione localizzatain camera anteriore (irite, ciclite, iridociclite).L’uveite anteriore è la forma più comune diuveite in tutte le casistiche internazionali(2-7)

compresa l’Italia, contando il 50-60% dei casiche afferiscono ai centri di riferimento terziari. La diagnosi più frequente associata a malat-tie sistemiche è l’uveite HLA-B27+. Tra lecause specifiche l’uveite erpetica è la piùrappresentata (9-19%). Nella casistica del-l’ambulatorio di Immunologia Oculare diReggio Emilia(5) la diagnosi più frequente trale uveiti anteriori era l’uveite di Fuchs(45%), una patologia a basso grado d’infiam -mazione, unilaterale e spesso recidivante.

Sintomi e segni dell’uveite anterioreLa gravità dei sintomi presenti nell’uveite an-teriore è molto variabile: si va da un’assenzadi sintomatologia nelle patologie croniche co-me quelle associate all’artrite idiopatica gio-vanile (AIG) a sintomi molto severi presentinelle forme acute come le uveiti associate al-l’HLA-B27. I sintomi delle forme acute com-prendono fotofobia, occhio rosso, dolore, di-minuzione del visus e lacrimazione.Il flare della camera anteriore è causato dallaformazione di essudati proteici all’internodell’umor acqueo, normalmente limpido,

provenienti dai vasi dell’iride o dall’epiteliodel corpo ciliare a seguito della rottura dellabarriera emato-oculare. La metodica più precisa e oggettiva perquantificare le proteine infiammatorie in ca-mera anteriore avviene mediante il fotometroLaser Flare. Le innovazioni tecnologiche ap-portate a tale metodica hanno reso disponibi-le, per gli esperti nel campo delle uveiti, ilnuovo apparecchio LF700. Tale sistema con-sente l’esecuzione di misurazioni accurate eprecise, espresse in fotoni per msec, utili peril monitoraggio terapeutico e per “quantifica-re” al baseline il processo infiammatorio(8).Quando la concentrazione proteica nell’acqueoaumenta, le proteine tendono ad aggregare e aformare coaguli di fibrina, soprattutto in conco-mitanza di uveiti acute non granulomatose. Inbase all’abbondanza e composizione delle pro-teine infiammatorie dell’acqueo si possono for-mare aderenze tra l’iride e la capsula anteriore(sinechie posteriori) (Fig. 10.1).Quando la quantità di cellule è notevole essesedimentano causando l’ipopion, un segnopiuttosto frequente nelle uveiti HLA-B27,nelle uveiti correlate alla malattia di Behçet eall’AIG.Nelle uveiti granulomatose si ritrovano preci-pitati cheratici di dimensioni variabili (Fig.10.2c) e si possono sviluppare anche noduliiridei: quando sono situati sul margine pupilla-re sono chiamati noduli di Koeppe (Fig.10.2a), hanno un aspetto lanuginoso e una di-mensione variabile da piccolissime escrescen-

Uveiti anteriori e posterioriLuca Cimino

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Pronto Soccorso Oculistico

60 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

ze a veri e propri noduli. Quando i noduli sonolocalizzati all’interno dello stroma irideo sonochiamati noduli di Busacca (Fig. 10.2b).L’atrofia iridea zonale o diffusa è un segno ab-bastanza caratteristico delle uveiti da Herpessimplex o zoster e rappresenta un valido aiutonella diagnosi.In caso di uveite anteriore ipertensiva mono-laterale granulomatosa, in assenza di atrofiairidea è utile considerare, in presenza di reci-dive frequenti, la paracentesi e l’analisi del-l’umore acqueo (con PCR - PolimeraseChain Reaction) nel sospetto di uveite ante-riore da Citomegalovirus (CMV)(9).In presenza di uveite non granulomatosa(Fig. 10.3) al primo esordio, l’ esame da ef-fettuare in prima istanza è la ricerca dell’an-tigene HLA-B27. In caso di positività all’an-tigene non vengono fatte ulteriori indaginidal punto di vista oftalmologico. È comun-que consigliabile, con l’aiuto dell’internista,classificare la malattia in spondilite anchilo-sante, sindrome di Reiter, morbo di Crohn,colite ulcerosa o semplicemente uveite HLA-B27 senza coinvolgimento sistemico. Circa il50-55% delle uveiti anteriori acute non gra-nulomatose sono HLA-B27 positive. Nei ca-si di uveite non granulomatosa HLA-B27 (–)

di gravità limitata e/o che rispondono benealla classica terapia topica, non vengono ef-fettuate ulteriori indagini se non alla presen-za di più recidive in un anno; una buonaanamnesi è comunque dirimente per esclude-re patologie più severe che possono esordirecon una uveite anteriore(10).Nelle uveiti non granulomatose dei bambinila storia dovrebbe essere indirizzata versol’AIG. L’uveite da AIG è solitamente associa-ta con la forma pauciarticolare e gli esami do-vrebbero prevedere la ricerca degli anticorpianti-nucleo (ANA) presenti nel 70% dei pa-zienti. Clinicamente è caratterizzata da un oc-chio bianco con presenza di cellule in cameraanteriore e la presenza di sinechie posterioricon o senza cheratopatia a bandelletta.L’uveite di Fuchs, solitamente unilaterale (incirca il 5% dei casi è bilaterale), è caratteriz-zata da fini precipitati cheratici stellati granu-lomatosi che si distribuiscono uniformementesull’intera superficie endoteliale, vitreite an-teriore, fini noduli di Koeppe localizzati almargine pupillare dell’iride, prominenti vasiall’angolo irido-corneale in assenza di sine-chie posteriori. La vitreite anteriore è il segnopiù frequente nei pazienti affetti da uveite diFuchs e spesso è all’origine di misdiagnosi e

BA

Fig. 10.1Sinechie posteriori. A: prima. B: dopo.

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Capitolo 10 Uveiti anteriori e posteriori

61QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

di terapie inutili. L’eterocromia non è semprepresente. Inoltre, in caso di uveite di Fuchs(Fig. 10.4) non è indicata alcuna terapia.Altre cause di uveite granulomatosa da indaga-re inizialmente sono la sifilide, la sarcoidosi ela tubercolosi. Queste possono presentare di-versi quadri clinici e una pronta diagnosi è im-

portante in quanto la gestione differisce note-volmente l’una dall’altra. Vanno pertanto ese-guiti nel primo step gli esami virologici, la sie-rologia per la sifilide, l’ACE, lisozima, l’RXdel torace e il test cutaneo della Mantoux o ilQuantiferon TB Gold standard test per la dia-gnosi di tubercolosi (Figg. 10.5, 10.6).

C

B

A

Fig. 10.2Uveite anteriore granulomatosa: segni clinici. A: noduli di Koeppe. B: noduli di Busacca. C: preci-pitati corneali endoteliali “a grasso di montone”.

C

B

A

Fig. 10.3Uveite anteriore non granulomatosa: segni clinici.A: precipitati cheratici fini. B: coaguli di fibrina +sangue. C: ipopion.

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Pronto Soccorso Oculistico

62 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

10.2 Uveiti posteriori

L’uveite posteriore rappresenta la secondaforma più comune di uveite, rappresentandonel mondo il 15-30% di tutti i casi(2). La dia-gnosi più comune è la retinocoroidite daToxoplasma gondii (Fig. 10.7) come riporta-to dalla maggior parte degli studi epidemio-logici, la cui frequenza dipende soprattuttoda fattori sociali e alimentari. Nella nostra

casistica(5) essa rappresenta il 29% dei casiseguita dalle coroiditi multifocali (13%) edalla malattia di Behçet (9%). Tutte le infiammazioni del segmento poste-riore, che coinvolgono retina e coroide, rien-trano nella definizione di uveite posteriore,sia che si tratti di un processo infiammatorioo infettivo, isolato o associato a malattia si-stemica. Come per le altre forme di uveite, èconsigliabile un approccio sistematico cheparte da una breve anamnesi, focalizzata suisintomi del paziente al momento del suo arri-vo in ambulatorio e dall’esame clinico. Anche in questo caso è importante eseguiregli esami del caso per escludere una condizio-ne infiammatoria sistemica o solo localizzataall’occhio, oppure una patologia infettiva.Le uveiti posteriori vanno classificate in basealle caratteristiche cliniche basandosi sullapresenza o meno di vitreite, sul coinvolgimen-to vascolare che può essere prevalentementevenoso o arterioso e sulla presenza di lesioniprettamente retiniche, coroideali o entrambe.Alcune caratteristiche cliniche possono esse-re d’aiuto per la diagnosi come:• il predominante coinvolgimento vitreale

che si ritrova nelle infezioni da Candida(Fig. 10.8);

• il predominante coinvolgimento retinicocome nella malattia di Behçet (Fig. 10.9);

• il predominante coinvolgimento retinico ecoriocapillare: retino coroidite da toxopla-smosi (Fig. 10.7), necrosi retiniche, APMP-PE (Acute Posterior Multifocal Placoid Pig-mented Epitheliopathy), MEWDS (MultipleEvanescent White Dot Syndrome);

• il predominante coinvolgimento coroidealeprofondo: sarcoidosi, tubercolosi (Fig.10.10), sifilide, corioretinite tipo Birdshot,VKH (malattia di Vogt-Koyanagi-Harada).

Nelle uveiti posteriori, oltre al work-up dia-gnostico di laboratorio, è fondamentale con-

C

B

A

Fig. 10.4Uveite di Fuchs. A: precipitati endoteliali stellati. B:vitreite. C: eterocromia.

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Capitolo 10 Uveiti anteriori e posteriori

63QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

siderare gli esami strumentali quali: la fluo-rangiografia retinica (da sola p.es. nella Ma-lattia di Behçet) sempre abbinata all’angio-grafia al verde di indocianina (in tutte le altreforme di uveiti posteriori e panuveiti), l’e -same OCT (Optical Coherence Tomography)per valutare e quantificare la presenza dell’e-dema maculare. Inoltre, risulta particolar-mente utile la funzione EDI (Enanched Dept

Imaging)-OCT per quantificare e monitoraredurante il follow-up lo spessore coroideale.

MessaggioPer un corretto inquadramento clinico del pa-ziente con uveite, occorre puntualizzare: • storia clinica (una buona anamnesi è fon-

damentale);• segni e sintomi oculari ed extraoculari;

Fig. 10.5Percorso delle uveiti non-granulomatose.

Esame clinico:non-granulomatoso

Uveite HLA-B27

Positivo Negativo

Stop Work-up

Risoluzione

Work-upuveiti

granulomatose

RecidiveAfte, vasculite

M. di Behçet

Nei bambini: ANA → JIA

Spondilite anchilosante,Reiter, RCU,

Crohn, psoriasi

HLA-B27

RCU: rettocolite ulcerosa; ANA: uveite anteriore acuta; JIA: artrite idiopatica giovanile

Fig. 10.6Work-up delle uveiti granulomatose.

Tubercolosi Test normali

UVEITE ERPETICA

Sierologia per la sifilide ACE e lisozoma normaliMantoux negativa

Ipertensione intraoculareAtrofia iridea

Sarcoidosi

ACE e lisozoma siericiSierologia degli Herpes virusMantoux (o Quantiferon TB)

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Pronto Soccorso Oculistico

64 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

• forma infettiva o non infettiva:- non iniziare mai la terapia steroidea o

immunosoppressiva prima di escluderel’eventuale etiologia infettiva;

- ricordarsi che le necrosi retiniche sonodelle vere urgenze diagnostiche e tera-peutiche (nel sospetto inviare subito il pzin centri di riferimento);

• lateralità (nelle forme unilaterali porre at-tenzione ad escludere le forme infettive!);

• caratteristiche cliniche dell’infiammazionesia nel segmento anteriore che nel segmen-to posteriore.

Nelle uveiti acute, con intensa infiammazionein camera anteriore, è fondamentale il tempe-stivo e corretto utilizzo di colliri midriaticiparasimpaticolitici (p.es. tropicamide) e diagenti simpaticomimetici (p.es. fenilefrina)per rompere le sinechie posteriori e prevenirele complicanze come ipertono e cataratta.L’utilizzo degli steroidi topici, parimenti, de-ve essere appropriato, considerando il princi-pio attivo (in Italia il desametasone è lo ste-roide più comunemente utilizzato nelle uveitianteriori), la concentrazione, il dosaggio e lafrequenza delle somministrazioni per contra-stare rapidamente la gravità della flogosi.La quantificazione dell’infiammazione nel seg-mento anteriore (vedi uso del Fotometro Laser

Fig. 10.9Vasculite retinica (M. di Behçet).

Fig. 10.7Retinocoroidite da Toxoplasma.

Fig. 10.10Corioretinite (uveite posteriore granulomatosa) +papillite da TBC.

Fig. 10.8Vitreite (endoftalmite da Candida).

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Capitolo 10 Uveiti anteriori e posteriori

65QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Flare) e del segmento posteriore (utilità delladoppia angiografia con fluoresceina e verde diindocianina + esame OCT con EDI) sono fon-damentali per fornire dettagli sulla diagnosi,definire la gravità del processo uveitico e per

seguire nel follow-up l’efficacia terapeutica.• Collaborazione interdisciplinare, quando

necessario, per poter inquadrare e gestireterapeuticamente la patologia correlata al-l’uveite.

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66 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Capitolo 11

11.1 Introduzione

I più importanti e frequenti problemi che inte-ressano il cristallino e la zonula e che si pre-sentano in regime di pronto soccorso (PS) so-no rappresentati dalle alterazioni del supportocapsulare con dislocazione parziale o totaledella lente. Tali circostanze possono essere de-teminate da una o più delle condizioni di se-guito riportate: l’età evoluta del paziente, ma-lattie sistemiche quali la sindrome di Marfan,una cataratta molto avanzata, la miopia eleva-ta, la pseudoesfoliatio, l’uveite, la pregressachirurgia oculare anteriore o posteriore e itraumi(1). A seconda dell’estensione della di-

sinserzione zonulare si determina o un’insta-bilità o una sublussazione (dislocazione par-ziale) o una lussazione (dislocazione totale)della lente.Per comprendere il meccanismo con il qualesi ha una dislocazione del cristallino bisognaconoscere i vettori di forza che agiscono sulsacco capsulare (Fig. 11.1). In condizioni fi-siologiche i vettori di forza centrifughi (tra-zione zonulare a 360°, frecce rosse) e quellicentripeti (elasticità del cristallino, freccegialle) si neutralizzano per dare una perfettadistensione e centratura del sacco. In presen-za di una parziale disinserzione zonulare siavrà una predominanza delle forze centripete

Patologie del cristallino e della zonulaAntonio Rapisarda, Antonio Marino, Lorenzo Rapisarda

BA

Fig. 11.1Vettori di forza sul sacco capsulare. Nel cristallino normale (A) le forze vettoriali centrifughe (frecce rosse) equelle centripete (frecce gialle) si neutralizzano. In presenza di disinserzione zonulare (B) le forze vettorialicentripete predominano su quelle centrifughe con conseguente sublussazione. (Per gentile concessione delProf. Aldo Caporossi).

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Capitolo 11 Patologie del cristallino e della zonula

67QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

su quelle centrifughe con conseguente dislo-cazione del cristallino (sublussazione)(2).Una sublussazione della lente si ha quandoalmeno il 25% delle fibre zonulari si rompo-no, lasciando il cristallino in sede, ma sposta-to soprattutto lungo l’asse trasversale.

11.2 Diagnosi

L’individuazione di un’instabilità e/o dislo-cazione del cristallino prevede un’attentaanamnesi e un accurato esame obiettivo of-tlamologico con la ricerca di alterazioni del-l’integrità delle fibre zonulari; ciò è fonda-mentale per l’effettuazione di una correttadiagnosi e per la scelta di un eventuale ap-proccio terapeutico appropriato.In presenza di un’interruzione dell’integritàzonulare, tanto questa sarà più ampia quantopiù evidenti saranno i sintomi ed i segni deldanno(1,3,4).I più importanti sintomi e segni clinici delladislocazione del cristallino sono:• Sintomi soggettivi:

- calo del visus (stabile o intermittente);- diplopia monoculare.

• Segni clinici- cambiamento dello stato refrattivo del-

l’occhio (l’inclinazione del cristallinoprovoca astigmatismo, mentre lo sposta-mento indietro miopia);

- iridodonesi e facodonesi (più evidenti inmiosi);

- pupilla di forma irregolare;- profondità irregolare della camera ante-

riore (CA);- sublussazione visibile della lente (in mi-

driasi si può osservare l’equatore dislo-cato del cristallino e in retroilluminazio-ne si può visualizzare la lacerazione zo-nulare);

- totale assenza del cristallino dalla suasede;

- erniazione del vitreo con o senza incar-ceramento;

- blocco pupillare e/o angolare con even-tuale ipertono;

- lussazione totale del cristalino in cameravitrea.

11.3 Primo approccio e gestione

La dislocazione del cristallino non comporta,per l’oftalmologo di PS, una gestione tera-peutica d’urgenza; infatti il medico si dovràlimitare alla diagnosi, alla valutazione del-l’entità della disinsezione zonulare e alla ge-stione farmacologica dell’evetuale presenzadi problematiche concomitanti quali l’iper -tono oculare e l’infiammazione. Nel caso incui sia necessaria una terapia chirugica que-sta può essere procrastinata e programmatain tutta calma. Tuttavia, risulta estremamenteimportante che anche l’oculista di PS sia be-ne a conoscenza delle indicazioni e delle tec-niche terapeutiche per la gestione delle dislo-cazioni del cristallino, ciò al fine di poterinformare il paziente e organizzare al meglioil trattamento chirurgico. La gestione terapeutica di un cristallino di-slocato richiede sempre, al chirurgo, un’at-tenzione particolare e si presenta complessae con risultati non sempre all’altezza delleaspettative del paziente e dell’oculista. I fattori implicati nell’indicazione chirurgicae nella scelta della tecnica da eseguire sonorappresentati dall’entità della disinserzionezonulare e dalla trasparenza od opacità delcristallino(4,5). Le diverse forme cliniche ver-ranno inquadrate in una classificazione cheraggruppa i vari casi in gruppi omogenei trat-tabili con le stesse tecniche chirurgiche(2,7,8):

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Pronto Soccorso Oculistico

68 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

• disinserzione zonulare inferiore a 90°;• disinserzione zonulare da 90° a 180°;• disinserzione zonulare da 180° a 270°;• disinserzione zonulare totale con lussazio-

ne del cristallino.

Disinserzione inferiore a 90°In tali forme la sintomatologia soggettiva èsolitamente assente e anche i segni obiettivipossono essere difficilmente riconoscibili.La facodonesi e l’iridodonesi sono rare e disolito reperibili se alla discontinuità dell’ap-parato zonulare si associa anche una marcatafluidità del gel vitreale. Più spesso, invece,sono riscontrabili intraoperatoriamente peraumento della profondità della camera ante-riore durante il riempimento con sostanza vi-scoelastica e per movimenti anomali del cri-stallino durante le prime manovre dell’inter-vento (capsuloressi, idrodissezione).In tali circostanze, ovviamente, se il cristalli-no è trasparente, la terapia chirurgica non ènecessaria ed è importante seguire nel tempoi casi riconosciuti.Il trattamento chirurgico trova invece indica-zione qualora sia presente una cataratta (Fig.11.2).

Disinserzioni zonulari da 90° a 180°In tale condizione si può presentare un calodel visus e sono facilmente evidenti segni cli-nici quali modificazione della refrazione, fa-codonesi, iridodonesi, decentramento del cri-stallino (Fig. 11.3). In sublussazioni di taleentità (soprattutto tra 120° e 180°), vistal’alterazione della visione e la notevole insta-bilità della lente, si rende necessario eseguireil trattamento chirurgico anche in assenza dicataratta.

Fig. 11.2Disinserzione zonulare <90° con cataratta conse-guente ad impianto di lente fachica in camera ante-riore.

BA

Fig. 11.3Cristallino sublussato con disinserzione zonulare >90° (A), di circa 180° (B).

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Capitolo 11 Patologie del cristallino e della zonula

69QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Disinserzione zonulare da 180° a 270°In tali forme di disinserzione lo spostamentodel cristallino e il suo decentramento rispettoall’asse visivo è tale da determinare sintomisoggettivi quali il calo del visus stabile o in-termittente e, nei casi più gravi, l’insorgenzadi diplopia monoculare. All’esame clinico siriscontra una variazione della refrazione, ladislocazione della lente è ben evidente spes-so anche in miosi, può essere altresì presenteuna pupilla di forma irregolare, una CA diprofondità irregolare e l’erniazione di vitreo(Fig. 11.4).Com’è evidente, il trattamento chirurgico intali circostanze si presenta necessario.

Disinserzione zonulare totale conlussazione del cristallinoIn tali forme di disinserzione il cristallino ap-pare totalmente dislocato dalla sua sede espesso lussato in camera vitrea e il suo de-centramento rispetto all’asse visivo è tale dadeterminare sintomi soggettivi quali il calodel visus stabile. All’esame clinico si riscon-tra una variazione della refrazione, la lussa-zione della lente è ben evidente spesso anchein miosi ed è spesso presente una pupilla diforma irregolare, una CA di profondità au-mentata e l’erniazione di vitreo.In tali circostanze il trattamento chirurgico èsempre necessario (Fig. 11.5).

Fig. 11.4Cristallino sublussato con disinserzione zonulare dicirca 250° (evidente in miosi).

Fig. 11.5Cristallino lussato in camera vitrea.

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Pronto Soccorso Oculistico

70 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

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Capitolo 12

71QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

La sintomatologia ascrivibile a modificazionivitreali rappresenta una cospicua porzionedei pazienti che si recano, a torto o a ragione,in un pronto soccorso oftalmologico(1). L’im -provvisa comparsa di miodesopsie associateo meno a fosfeni costituisce, infatti, un feno-meno più che sufficiente per portare il pa-ziente all’immediata attenzione dell’oftalmo-logo. La gestione di simili pazienti in am-biente di pronto soccorso è probabilmentesovra-dimensionata, tuttavia si tratta di pa-zienti che necessitano di uno scrupoloso esa-me del fondo oculare nell’ambito delle suc-cessive 12-24 ore.

12.1 Modificazioni vitreali e insorgenza dei sintomi

La sineresi vitreale, associata all’età(2,3) è fa-vorita da tutte le chirurgie oculari, può di persé determinare una miriade di sintomi visiviquali miodesopsie e fosfeni, in genere acuitie tipicamente associati alla visione soggetti-va dell’anello di Weiss quando si determiniun vero e proprio distacco posteriore di vi-treo completo, fenomeno, in realtà, meno fre-quente di quanto non si pensi.Da un punto di vista prognostico notevole ri-levanza assume la tempistica dell’insorgenzadei sintomi: l’improvvisa insorgenza di una

massiva sintomatologia vitreale è senz’altromotivo giustificato di un completo esame delfondo e della periferia retinica, obbligatoria-mente in midriasi e preferibilmente con in-dentazione sclerale in quanto associata a unarottura retinica in circa il 14% dei casi asso-ciati a calo del visus(4). In questi casi, la con-temporanea presenza di un seppure modestoemovitreo e/o di sangue epiretinico sulla ba-se vitreale, sono associati con la massimafrequenza alla presenza di una rottura che vaattivamente ricercata e trattata.I pazienti con sintomi vitreali di recente in-sorgenza che presentino un esame del fondonegativo devono essere comunque ulterior-mente valutati a distanza di tempo e istruiti ariferire immediatamente all’oftalmologonuova comparsa di miodesopsie e/o fosfeni,in quanto circa il 12% dei pazienti con unaprima rottura retinica trattata acutamente(5) eil 3-4% dei pazienti con esame iniziale nega-tivo sviluppano rotture retiniche nelle 6 setti-mane successive(6).Di assai minore rilevanza, in termini di seve-rità della prognosi, sono i pazienti con miode-sopsie di lunga durata non associate a fosfeni.Simili pazienti assai raramente presentanorotture retiniche e possono essere visitati inregime ambulatoriale senza affollare le strut-ture deputate al trattamento dell’urgenza.È molto importante che ai pazienti venga

Patologie del vitreo e rischio di distacco di retina Tommaso Rossi

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Pronto Soccorso Oculistico

72 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

spiegata la cronicità della condizione e lemodificazioni che rendono un ulteriore esa-me del fundus auspicabile: l’improvvisocambiamento, il peggioramento o il netto in-cremento dei sintomi (la cosiddetta “tempe-sta di neve”) e la comparsa di fosfeni.

12.2 Degenerazioni vitreoretinichee sintomi vitreali

La diagnosi di alterazioni vitreoretiniche vie-ne spesso posta contestualmente a un esamedel fundus stimolato dalla comparsa di sinto-mi vitreali e la successiva gestione di simililesioni è tutt’oggi controversa.Alcuni Autori sconsigliano il trattamento dilesioni retiniche asintomatiche adducendouna scarsa tendenza alla modificazione anchedopo distacco del vitreo(7). La degenerazionea lattice in occhi asintomatici, spesso associa-ta a sineresi vitreale con modesta sintomato-logia del paziente, non viene routinariamenteritenuta meritevole di trattamento laser(8), sal-vo il cui rischio relativo sia chiaramente in-crementato, quali gli occhi adelfi(9) o quellicon ampia sintomaticità e/o episodi di emovi-treo o sanguinamento epiretinico associato(10). Grande importanza assume, al riguardo, la

pregressa storia del paziente(11): occhi adelfiin pazienti con pregresso distacco di retinameritano senz’altro una minore soglia di tol-leranza e una maggiore propensione al tratta-mento laser, ma è difficile tracciare un solconetto.In linea di principio la diagnosi di rottura re-tinica in un paziente che si reca in ambienteoftalmologico per la comparsa acuta di sinto-mi vitreali è indicazione a un trattamentodella medesima, come auspicato dalle Pre-ferred Practice Patterns della AAO(12). Lacontemporanea presenza di un piccolo solle-vamento retinico perilesionale merita consi-derazioni che esulano dal trattamento dicompetenza del Pronto Soccorso per entrarenella sfera della subspecialità e spesso neces-sita di una chirurgia episclerale, in funzionedell’estensione della rottura e del fluido sot-toretinico, nonché della trazione vitreale as-sociata, della presenza di vasi a ponte o avul-si e della sede.Al contrario, il riscontro occasionale di pic-coli fori opercolati e spesso pigmentati, spe-cie nei quadranti inferiori e associati a solemiodesopsie, in assenza di sangue nel vitreoo epiretinico è ben raramente oggetto di trat-tamento laser e tuttavia meritevole di succes-sivi esami del fondo oculare.

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Capitolo 12 Patologie del vitreo e rischio di distacco di retina

73QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

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Capitolo 13

74 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Per emovitreo si intende l’accumulo di mate-riale ematico a livello della cavità vitreale.Tale spazio anatomico, fisiologicamente ava-scolare, può andare incontro a un infarcimen-to ematico a partenza da vasi sanguigni nor-mali o anomali oppure da strutture adiacenti(corpi ciliari, coroide).L’identificazione dell’origine del sanguna-mento è di fondamentale importanza per lapianificazione del corretto approccio tera-peutico e per la stima della prognosi anato-mo-funzionale.Le cause(1) di emovitreo non traumatico pos-sono essere classificate in:• vascolari (retinopatie proliferanti, trombosi

venose retiniche, anomalie vascolari);• meccaniche (secondarie a lacerazione reti-

nica periferica con lesione di un vaso);• degenerative (DMLE essudativa);• neoplastiche;• cause meno frequenti (discrasie ematiche,

patologie ereditarie).Dal punto di vista anamnestico, il pazienteriferisce calo dell’acuità visiva più o menorecente, spesso brusco e grave, talvolta asso-ciato a miodesopsie, eritropsie o fosfeni.L’esame clinico, nel caso di forme parzialiche permettono l’esplorazione del fundus,può essere dirimente. Nei casi di emovitreomassivo in cui i dettagli del fundus non pos-sono essere apprezzati, l’esame oftalmosco-pico dell’occhio adelfo può risultare utilenello svelare, ad esempio, l’esistenza di unaretinopatia proliferante. L’ecografia bulbare

con modulo B-scan è l’esame strumentale discelta per la valutazione dei pazienti con fun-dus non esplorabile. Essa permette di quanti-ficare la densità e l’estensione del sanguina-mento, l’ecogenicità della componente cor-puscolare in camera vitrea, oltre a consentire,in alcuni casi, la diagnosi differenziale conaltre patologie quali, ad esempio, le lacera-zioni retiniche, il distacco posteriore di vi-treo, il distacco di retina e le neoplasie.Nella gestione del paziente affetto da emovi-treo i principali fattori da tenere in considera-zione sono la rapidità d’insorgenza e l’esten -sione del sanguinamento, dai quali dipendo-no la possibilità di esplorazione del fundus el’eventuale formulazione di una diagnosieziologica. Un parametro prognostico altret-tanto importante è l’età del paziente: la pre-senza o meno del distacco posteriore di vi-treo può, infatti, influenzare in maniera de-terminante il potenziale di aggressività deifenomeni neovascolari.È noto da tempo(2) che la persistenza di san-gue all’interno della cavità vitrea per lunghiperiodi di tempo non esercita effetti tossicidiretti sulla retina. L’emoglobina determina,nelle cavie, soltanto un lieve staining dellecellule di Müller. I principali effetti lesividella persistenza ematica in cavità vitrea so-no piuttosto dovuti allo sviluppo di forzetrattive esercitate dai coaguli ematici e dallemembrane gliali di nuova formazione sullaretina. La concentrazione vitreale di bFGF(fattore di crescita basico dei fibroblasti), un

EmovitreoAntonino Pioppo, Alberto La Mantia

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Capitolo 13 Emovitreo

75QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

potente promotore della proliferazione vi-treoretinica (PVR), risulta aumentata nei pa-zienti affetti da retinopatia diabetica prolife-rante(3).

GestioneNei casi in cui il fondo sia esplorabile (Fig.13.1), l’approccio può essere di tipo conser-vativo se si prospettano possibilità di risolu-zione spontanea (ridotta quantità di materialeematico in camera vitrea, localizzazione pre-valentemente inferiore, presenza di coaguli oaggregati di emosiderina suggestivi di unsanguinamento di vecchia data e in corso diriassorbimento, giovane età del paziente),oppure finalizzato al trattamento della pato-logia sottostante (p.es. fotocoagulazione la-ser delle aree retiniche ischemiche nelle reti-nopatie proliferanti, laser pessia delle lacera-zioni periferiche).In entrambi i casi è opportuno prescrivere ri-poso fisico associato all’eventuale occlusionedell’occhio affetto. Se tuttavia non si assisteal riassorbimento ematico entro 10 giorni dal-la diagnosi, l’occlusione può essere sospesa.In presenza di fundus non esplorabile è op-

portuno sottoporre il paziente a valutazioneclinica dell’occhio adelfo, esame ecograficobulbare ed eventuale approfondimento dia-gnostico sistemico. In questi casi l’atteg -giamento di wait-and-see è auspicabile fino aun periodo massimo di 6 mesi.Le indicazioni alla vitrectomia precoce sono:forme bilaterali che determinano cecità, emo-vitreo cronico ricorrente, emorragia vitrealeche minaccia un sollevamento trazionale ma-culare ed emovitreo in pazienti affetti da dia-bete di tipo 1 con segni di proliferazione fi-brovascolare.L’intervento endovitreale rappresenta, inol-tre, un’urgenza relativa nei casi di emovitreocon distacco retinico concomitante e in quel-li con neovascolarizzazione del segmento an-teriore.Recenti studi(4) hanno attribuito un ruolo rile-vante all’iniezione intravitreale di farmaci an-ti-VEGF nella terapia dell’emovitreo diabeti-co: l’iniezione intravitreale di bevacizumabuna settimana prima dell’intervento di vitrec-tomia si è dimostrata efficace nel migliorarel’acuità visiva postoperatoria, ridurre il gradodi neovascolarizzazione retinica e ridurre ilrischio di recidiva del sanguinamento.Un recente studio multicentrico in doppiocieco randomizzato(5) ha dimostrato la supe-riorità dell’iniezione intravitreale di ranibizu-mab, rispetto alla soluzione salina, nel tratta-mento dell’emovitreo secondario a retinopa-tia diabetica proliferante, riducendo il tassocomplessivo di vitrectomie. Il farmaco anti-VEGF ha inoltre determinato, nei pazientitrattati, un miglioramento dell’acuità visiva,un aumento dei tassi di completamento dellafotocoagulazione panretinica e una riduzionedei tassi di emovitreo ricorrente.Ampiamente dibattuto in Letteratura è l’u -tilizzo di sostante vitreolitiche al fine di favo-rire il riassorbimento dell’emovitreo. In par-

Fig. 13.1Emovitreo in paziente diabetico con dettagli del fun-dus parzialmente apprezzabili. (Fonte: archivio per-sonale).

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Pronto Soccorso Oculistico

76 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

ticolare, la ialuronidasi ha mostrato risultatipromettenti, essendo in grado di favorire lalisi e la fagocitosi degli eritrociti(6).Studi di laboratorio sul coniglio hanno infine

dimostrato la potenziale efficacia dell’inie-zione intravitreale di microplasmina per ac-celerare la clearance del materiale ematicodalla camera vitrea(7).

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Capitolo 14

77QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Le occlusioni arteriose retiniche (OAR) sonocaratterizzate da un improvviso arresto delflusso sanguigno arterioso, con conseguentedanno ischemico alla retina.

Classificazione• Occlusione dell’arteria centrale della retina

(OACR).• Occlusione di branca dell’arteria retinica

(OABR).• Occlusione dell’arteria cilioretinica.• Occlusione dell’arteria centrale della retina

con risparmio dell’arteria cilioretinica.Le due forme principali sono l’OACR el’OABR.

Eziopatogenesi• Arteriosclerosi.• Vasculiti (arterite di Horton, arterite di

Takayasu).• Connettiviti (LES, poliarterite nodosa).• Disordini della coagulazione (policitemia,

sindrome da anticorpi antifosfolipidi, ipe-romocisteinemia).

• Farmaci (contraccettivi orali, gentamici-na).

• Cause rare (emicrania, sifilide, anemia fal-ciforme, ecc).

Nella maggior parte dei casi, l’OAR è pro-vocata da uno o più emboli, che possono es-sere costituiti da colesterolo (74,0%), pia-strine-fibrina (15,5%), materiale calcifico(10,5%)(1).

L’arteria carotide e il cuore sono le più co-muni fonti di embolia: nella carotide la causapiù comune è la placca ateromasica; nel cuo-re, invece, le lesioni valvolari aortica e mitra-lica, il forame ovale pervio, le aritmie e ilmixoma atriale sinistro (Schmidt et al.,2005).

14.1 Occlusione dell’arteria centrale retinica

SintomiGeneralmente vi è un improvviso e grave ca-lo visivo monolaterale, variabile a secondadel tipo di OACR: il visus è migliore nellaforma transitoria e con risparmio dell’arteriacilioretinica, peggiore nella forma arteritica.

SegniNell’OACR permanente, all’esame biomi-croscopico, è visibile il tipico aspetto pallidodella retina con macula rosso ciliegia, dovutoall’ischemia delle cellule ganglionari (Fig.14.1). Questo quadro clinico è presente nel90% dei pazienti entro 7 giorni dalla compar-sa, e risulta progressivamente più difficile os-servarlo con il passare del tempo(2).Nell’OACR transitoria la retina può apparirenormale.

Diagnosi• Clinica.• FAG: evidenzia un difetto di riempimento

Occlusioni arteriose retinicheDaniele Tognetto, Silvio Polizzi, Rita Piermarocchi

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Pronto Soccorso Oculistico

78 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

della circolazione arteriosa retinica. Nellaforma transitoria il flusso sanguigno puòessere normale. In presenza di un’arteriacilioretinica pervia la FAG permette di in-dividuare il territorio risparmiato dall’i-schemia.

Nelle forme arteritiche, associandosi fre-quentemente l’occlusione dell’arteria ciliareposteriore breve, angiograficamente è visibi-le anche un difetto di riempimento del terri-torio coroideale di pertinenza(3).

PrognosiLa prognosi visiva è generalmente infausta,poiché il 61% degli occhi raggiungerà un’a-cuità visiva (AV) uguale o inferiore a contadita, mentre solo il 16% avrà un’AV uguale osuperiore a 20/40(4). Il miglioramento funzio-nale si verifica essenzialmente durante i pri-mi 7 giorni, con scarsa possibilità di incre-mento successivamente: nelle forme non ar-teritiche l’AV resta stabile nella maggior par-te dei casi, nelle forme transitorie o con per-vietà della a. cilioretinica tende a migliorare.L’OACR può complicarsi con neovascolariz-zazione (NV) oculare. Secondo alcuni autori,

lo sviluppo di NV sembra però correlato auna sottostante ischemica oculare, piuttostoche all’OACR(3).

Gestione del paziente con OACRL’OACR deve essere considerata a tutti glieffetti un’emergenza sistemica e per questola gestione del paziente consiste nel:• ripristinare, per quanto possibile, l’acuità

visiva;• indagare e trattare la causa che ha determi-

nato l’occlusione.

Ripristino acuità visivaOACR non arteritica: la terapia convenziona-le è controversa e consiste in:• massaggio oculare;• riduzione della pressione intraoculare;• vasodilatazione dell’arteria centrale retini-

ca;• antiaggreganti piastrinici;• eparina.Altri trattamenti proposti sono:• trombolisi intravenosa;• emodiluizione isovolemica;• O2 iperbarico;• pentossifillina;• arteriotomia laser ed embolectomia;• incannulazione dell’arteria sovraorbitaria.Non esiste sperimentazione clinica rando-mizzata per supportare una scelta terapeuti-ca.OACR arteritica: instaurare immediatamenteterapia steroidea sistemica.

Ricerca e trattamento della causa determinate l’occlusione• VES, per confermare o escludere la forma

arteritica. Nei casi sospetti eseguire biopsiadell’arteria temporale.

• Altri esami ematochimici (emocromo, gli-cemia, profilo lipidico, protidogramma

Fig. 14.1Tipico aspetto con pallore retinico e macchia rossociliegia foveale nell’OACR.

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Capitolo 14 Occlusioni arteriose retiniche

79QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

elettroforetico, PCR, PT, PTT, INR). Neigiovani eseguire il dosaggio di omocistei-na, anticorpi antifosfolipidi, ANA, FR.

• Misurazione pressione arteriosa.• ECG, per evidenziare aritmie trombo-em-

boligene.• Ecocardiogramma, per valutare eventuali

valvulopatie, pervietà del forame ovale,ecc).

• Ecocolordoppler vasi epiaortici, per rileva-re placche ateromasiche e/o stenosi caroti-dee.

14.2 Occlusione di branca dell’arteria retinica

SintomiGeneralmente, i pazienti lamentano improv-visa riduzione dell’acuità visiva che può es-sere di entità variabile, a seconda della sede edel tipo.

SegniL’aspetto e l’estensione delle aree retinichecoinvolte possono variare in relazione al vasoarterioso implicato. La zona interessata mo-stra un’ischemia retinica acuta e il vasoostruito appare assottigliato (Fig. 14.2). Co-me nell’OACR, è possibile riscontrare la pre-senza di emboli, che solitamente sono loca-lizzati in corrispondenza della biforcazionedel vaso(3).Nell’OABR transitoria, invece, la retina puòapparire normale.

Diagnosi• Clinica.• FAG: evidenzia il mancato riempimento

del vaso occluso. Nella forma transitoria,invece, il flusso sanguigno può essere nor-male.

PrognosiIl recupero funzionale dipende principalmen-te dalla:• sede dell’area infartuata: quando il confine

tra la retina normale e infartuata passa attra-verso la fovea, l’acuità visiva, che inizial-mente può essere gravemente compromes-sa, può migliorare significativamente entroalcuni giorni o settimane, fino a 20/20;

• durata della mancata perfusione retinica:un’ipossia di durata superiore alle 4 ore de-termina un danno retinico irreversibile(5).

Gestione del paziente con OABRAnche nell’OABR l’obiettivo terapeutico è:• il ripristino, per quanto possibile, dell’a-

cuità visiva;• la ricerca e il trattamento della causa re-

sponsabile.

Ripristino acuità visivaOABR non arteritica: non esiste un trattamen-to consolidato. Alcuni Autori hanno riportato:Embolectomia chirurgica (Garcia-Arumi etal., 2006).

Fig. 14.2Aspetto biomicroscopico nell’occlusione dell’arte-ria retinica di branca.

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Pronto Soccorso Oculistico

80 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Trombolisi con Nd:YAG laser (Opremcak etal., 2008).OACR arteritica: terapia steroidea sistemica.

Ricerca e trattamento della causa determinate l’occlusioneVedi OACR.

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Capitolo 15

81QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Le occlusioni venose retiniche (OVR) rappre-sentano la seconda causa di cecità dovuta amalattia vascolare retinica, dopo la retinopatiadiabetica(1). La perdita visiva, inizialmente cor-relata anche a emorragie intra- e preretinichepiù o meno estese, è dovuta principalmente al-le complicanze dell’occlusione venosa: edemamaculare, ischemia retinica (maculare e/o peri-ferica), glaucoma neovascolare.La prevalenza generale delle OVR è dell’1,6%e varia in base all’età: è pari allo 0,7% tra i 50e i 60 anni, ma cresce nelle successive decadidi vita fino a raggiungere il 4,6% nei soggettidi età superiore a 80 anni(2).Tre quadri clinici principali sono conosciuti:• occlusione della vena centrale della retina

(OVCR);• occlusione emicentrale (OVHCR);• occlusione venosa di branca (OVBR).Nell’ambito delle OVR esistono, inoltre, diffe-renti forme cliniche, caratterizzate da una di-versa storia naturale e da una diversa prognosi:• forme ischemiche;• forme non ischemiche.Nell’OVCR le forme ischemiche conseguonoa un’occlusione della vena realizzatasi poste-riormente alla lamina cribrosa e alla regioneretrolaminare, dove sono presenti vasi collate-rali che potrebbero attenuare gli effetti ische-mici di un’occlusione a sede più anteriore. Se-condo gli studi di Hayreh circa l’81% delleOVR sarebbero non ischemiche nella fase ini-

ziale(3). Tuttavia è possibile l’evoluzione delleforme non ischemiche in ischemiche, con unrischio medio del 9,4% nei primi 6 mesi e del12,6% nei primi 18 mesi postocclusione; talerischio però aumenta nei soggetti di età piùavanzata (18,6% nei primi 18 mesi postocclu-sione nei soggetti di età pari o superiore a 65anni). Nelle forme ischemiche è possibile il ri-schio di complicanze neovascolari che posso-no interessare sia il segmento posteriore (neo-vascolarizzazione epipapillare e retinica) sia ilsegmento anteriore (neovascolarizzazione iri-dea e rischio di glaucoma neovascolare in casodi invasione e neovascolarizzazione dell’ango-lo camerulare). L’occlusione venosa emiretinica è una variantedell’OVCR che si realizza solo in soggetti por-tatori di una specifica anomalia congenita a ca-rico del segmento intraneurale della VCR(4).Negli studi di Hayreh il 78% delle OVHCR so-no non ischemiche, ma il rischio di evoluzionein forme ischemiche è minore rispetto alle OV-CR(3).Negli studi di popolazione, le OVBR sono trevolte più comuni delle OVCR, e sono dovutealla compressione della vena, a livello di un in-crocio artero-venoso, da parte della parete diun’arteria, solitamente irrigidita e ispessita acausa di un processo ipertensivo-arterioloscle-rotico. Si distinguono, a seconda della sede,occlusioni di branca maggiore, occlusioni emi-sferiche, occlusioni di un collettore maculare.

Occlusioni venose retiniche: gestione in pronto soccorsoMarco Borgioli, Giovanni Iacono

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Pronto Soccorso Oculistico

82 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Le forme non ischemiche sono circa 1/3; leforme ischemiche sono circa 2/3 e possono es-sere complicate da un processo neovascolarein circa il 20% dei casi. Tuttavia, nelle OVBRmaggiori di tipo ischemico, a differenza diquanto succede nelle OVCR, il processo neo-vascolare interessa principalmente il segmentoposteriore, molto più raramente il segmentoanteriore, con conseguente minor rischio diglaucoma neovascolare(5).La storia naturale e la prognosi visiva delle oc-clusioni venose è mediamente peggiore nel-l’OVCR rispetto alle altre forme, ed è in granparte condizionata dall’acuità visiva (AV) ini-ziale. I pazienti con AV iniziale scarsa(<20/200), hanno solo il 20% di possibilità direcupero visivo, mentre l’80% di essi rimanecon un’AV finale minore di 20/200, a prescin-dere dalla natura ischemica o non ischemicadell’occlusione all’esordio, anche se bisognaconsiderare che una bassa AV iniziale è piùfrequentemente associata a una forma ischemi-ca(6-8). Le OVBR, pur anch’esse associate a unrischio di edema maculare, ischemia e neova-scolarizzazione retinica, hanno una miglioreprognosi visiva, in quanto circa il 50% dei casinon trattati raggiunge un’AV finale di almeno20/40.

15.1 Gestione in pronto soccorso del paziente con OVR

Indagini diagnosticheLa diagnosi di OVR è solitamente ben evi-dente all’esame biomicroscopico del fundus,caratterizzato da segni di ingorgo venoso concongestione e tortuosità dell’albero vascolaree ramificazioni venose di calibro aumentato,emorragie retiniche (in quantità proporziona-li al grado dell’occlusione), edema del discoottico. La presenza di essudati cotonosi èsuggestiva ma di per sé non sufficiente a dia-gnosticare una forma ischemica. Le formeischemiche, inoltre, presentano generalmenteemorragie più estese e imponenti rispetto alleforme non ischemiche, ma anche questo se-gno oftalmoscopico non è di per sé sufficien-te per la diagnosi differenziale di certezza trai due tipi. L’estensione delle lesioni sul pianoretinico consente inoltre di distinguere leOVCR dalle occlusioni emiretiniche e dalleOVBR (Fig. 15.1).La fluorangiografia (FAG) del fondo (Fig.15.2) è l’esame fondamentale per differenziarele forme ischemiche dalle forme non ischemi-che, ma è di scarsa utilità nella fase acuta, inquanto le emorragie intraretiniche e pretiniche

Fig. 15.1OVCR quadro biomicroscopico.

Fig. 15.2OVCR quadro fluorangiografico.

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Capitolo 15 Occlusioni venose retiniche: gestione in pronto soccorso

83QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

determinano un effetto schermo che impediscela valutazione dello stato di perfusione retini-ca. È quindi raccomandato eseguire l’esameangiografico dopo il riassorbimento almenoparziale delle emorragie. Inoltre, secondo glistudi di Hayreh anche alcune forme non ische-miche possono presentare piccole aree diischemia capillare. Una OVCR è considerataischemica quando l’area di non perfusione ca-pillare si estende per più di 10 aree papillari,altrimenti si parla di OVCR perfusa(7).Nella fase acuta, quindi, i principali sintomie segni clinici suggestivi per la diagnosi delleforme ischemiche sono rappresentati da unabassa acuità visiva iniziale (≤20/200) e dallapresenza di un difetto pupillare afferente(RAPD).Altri esami utili sono l’elettroretinogramma(ERG), che mostra una riduzione delle onde bnelle forme ischemiche, e la perimetria, chemostra migliori livelli di sensibilità perifericanelle forme non ischemiche rispetto alle formeischemiche: il 71% dei soggetti con OVR nonischemica vede 3 mire di Goldmann vs il 29%che distingue 2 mire, e tali percentuali sonopressoché invertite nelle forme ischemiche(9-11). La tomografia a coerenza ottica (OCT) èl’esame fondamentale per la diagnosi e ilmonitoraggio dell’edema maculare, chespesso presenta aspetti di tipo cistico (edemamaculare cistoide) (Fig. 15.3).La tonometria, pur ininfluente nella diagnosidi OVR, non deve mai essere omessa, sia nellafase acuta, al fine di individuare, ed eventual-mente correggere, il principale fattore di ri-schio oculare dell’occlusione venosa, sia nelfollow-up per diagnosticare precocemente lacomparsa di un glaucoma neovascolare.

Ricerca dei fattori di rischioContestualmente alla diagnosi di OVR, il me-dico oculista di pronto soccorso dovrebbe av-

viare le indagini diagnostiche volte a ricercarei fattori di rischio oculari, sistemici ed emato-logici, che sottendono alla manifestazione cli-nica. L’individuazione e il trattamento di talicondizioni non è ritenuto sufficiente a modifi-care il decorso dell’occlusione venosa già inatto, ma è utile sia allo scopo di prevenire ulte-riori complicanze e recidive a carico dello stes-so occhio, sia per preservare l’occhio adelfo,sia per avviare il paziente a indagini interdisci-plinari volte a prevenire manifestazioni cardio-vascolari sistemiche o a carico di altri organi.

AnamnesiUn’accurata indagine anamnestica deve essererivolta ai principali fattori di rischio sistemici.L’ipertensione arteriosa è il principale fattoredi rischio delle OVR, il più frequente dopo i 60anni di età, e quello prevalente nelle OVBR aqualsiasi età. Il diabete mellito è per evidenzadi associazione il secondo fattore di rischio si-stemico, e così come l’iper tensione, è mag-giormente prevalente nelle forme ischemiche.Deve essere indagata la preesistenza di cardio-patia ischemica, nonché la storia pregressa diinfarto miocardico e accidenti cerebrovascolaritransitori. Altri fattori di rischio sistemici chepresentano però una minor evidenza di asso-ciazione con le OVR sono costituiti dalle disli-pidemie, dalla trombofilia e dall’assunzione dicontraccettivi orali. Ancor meno evidente è

Fig. 15.3Edema maculare post-OVR, OCT.

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Pronto Soccorso Oculistico

84 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

l’associazione con malattie mieloproliferativee malattie infiammatorie croniche(10,11). Limita-tamente ai soggetti di giovane età (<50 anni),importanti fattori di rischio sono costituiti dallavasculiti sistemiche tra cui spicca la malattia diBehcet, e da disordini della coagulazione qualila sindrome da anticorpi antifosfolipidi el’iperomocisteinemia. La presenza di mediato-ri dell’infiammazione sembra particolarmentepreminente nelle OVR dei giovani, in cui spes-so si propende, in assenza di fattori di rischiocardiovascolari, ad attribuire una patogenesiinfiammatoria al quadro clinico, sovente clas-sificato come papilloflebite(12). Infine l’anam -nesi deve essere rivolta anche a verificarel’esistenza del principale fattore di rischio ocu-lare, ossia l’ipertono oculare, presente nel 22%dei casi di OVCR(13).

Consulenza internistica e cardiovascolareSono consigliabili, in particolare, il monitorag-gio della pressione arteriosa, la valutazionedella funzione cardiocircolatoria comprensivadell’elettrocardiogramma e la valutazioneemodinamica del distretto cefalico con ecoco-lor doppler dei vasi epiaortici.

Esami di laboratorioIl ruolo della trombofilia nella genesi delleOVR è controverso, dato che diversi studi han-no mostrato risultati conflittuali. L’ipero -mocisteinemia, che assieme a bassi livelli divitamina B6 e di acido folico è associata ad au-mentato rischio di eventi trombo embolici arte-riosi e venosi, è un fattore di rischio per OVRprobabile, specialmente nei soggetti di giovaneetà, ma non universalmente riconosciuto(14,15).La valutazione dello stato trombofilico dovreb-be comprendere poi l’analisi dei fattori mag-giormente implicati nel bloccare la cascata del-la coagulazione: proteina C, proteina S, anti-trombina III. In particolare, la proteina C atti-

vata inibisce il meccanismo a cascata dellacoagulazione, degradando il fattore V e il fatto-re VII. Alterazioni a carico della proteina Cquali la deficienza ereditaria e la resistenza allasua forma attivata possono determinare unosbilanciamento in senso trombofilico dei mec-canismi regolatori del sistema della coagula-zione. La ricerca dei fattori di rischio ematologici esistemici dovrebbe quindi basarsi sull’esameemocromocitometrico con formula, PCR, gli-cemia a digiuno, profilo lipidico, elettroforesiproteica, studio dell’aggregabilità piastrinica edella coagulazione (PT, PTT, dosaggio protei-na C, proteina S, antitrombina III, APC-resi-stance, omocisteinemia), ricerca degli anticor-pi antinucleo (ANA), reuma-test, anticorpi an-tifosfolipidi(16), crioglobuline.

Terapia della fase acutaIl paziente affetto da OVR presenta moltospesso una vasculopatia sistemica, e pertantola gestione e il trattamento delle comorbiditàcardiovascolari e sistemiche dovrebbe essereconcordato con lo specialista cardiologo o in-ternista. Per lungo tempo, così come nel tratta-mento delle trombosi venose degli arti inferio-ri, sono state utilizzate terapie croniche confarmaci antitrombotici e anticoagulanti. I far-maci antiaggreganti e anticoagulanti hannoperò come principale obiettivo la prevenzionedell’embolia polmonare (finora mai correlataalle OVR) e non la lisi del trombo, che è invecelegata all’attivazione locale dei meccanismidella fibrinolisi. D’altro canto, i farmaci fibri-nolitici non hanno dimostrato la capacità dimigliorare il decorso dell’evento tromboticonelle OVR, e anzi in passato l’uso di alcuni diessi quali streptochinasi e simili, in soggettiipertesi misconosciuti o mal compensati, è sta-to gravato da gravi complicanze quali emorra-gie cerebrali insorte durante spike ipertensivi.

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Capitolo 15 Occlusioni venose retiniche: gestione in pronto soccorso

85QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Attualmente, pur in assenza di evidenze di unareale efficacia e significato, è consuetudinemolto diffusa, nella fase acuta delle OVR,somministrare farmaci anticoagulanti qualieparina a basso peso molecolare per circa 30giorni, seguita da una terapia a dose ridotta neimesi successivi. Largamente utilizzati, pur inassenza di reali dimostrazioni di efficacia, so-no anche i farmaci con proprietà emoreologi-che, quali pentossifilina e troxerutina, sostanzeche possono aumentare la deformabilità eritro-citaria e ridurre la viscosità ematica, e ipoteti-camente migliorare la microcircolazione reti-nica. La troxerutina, flavonoide semisinteticoderivato della rutina, possiede anche la capa-cità, se somministrata ad alte dosi, di ridurrel’aggregabilità piastrinica. Talvolta vengonoutilizzati farmaci antiaggreganti quali l’acidoacetilsalicilico e la ticlopidina, anch’essi peròcon scarse evidenze di efficacia.Solo in casi selezionati e in forme cliniche par-ticolari, esistono precise indicazioni terapeuti-che al trattamento: è il caso della terapia confarmaci anticoagulanti nella sindrome da anti-corpi antifosfolipidi, della terapia corticoste-roidea nelle vasculiti con eventuale aggiunta difarmaci immunosoppressori specialmente nel-la malattia di Behcet, e della supplementazionedi acido folico in caso di elevati livelli sierici diomocisteina.Altri trattamenti sono stati proposti in passato,ma nessuno di essi ha mostrato ad oggi una si-cura efficacia: corticosteroidi orali, emodilui-zione(17), attivatore tissutale del plasminogenointravitreale(18), iniezione di t-PA previa incan-nulamento della vena retinica(19), ossigenotera-pia iperbarica. Una nuova modalità di emodi-luizione, ovvero l’eritrocito feresi, sperimentatada Coscas et al., potrebbe ridurre la viscositàematica e prevenire il rallentamento del flusso,mostrando una certa efficacia nelle OVCR eOVBR di recentissima insorgenza, a patto che

non esistano controindicazioni al suo uso qualidiabete, ipertensione non controllata, scom-penso cardiaco, scompenso renale, anemia, oc-clusioni venose di tipo ischemico (condizionicomplessivamente non rare in questi pazienti).

Trattamento delle complicanze oculariIl trattamento delle complicanze oculari qualil’edema maculare, l’ischemia retinica e laneovascolarizzazione retinica e del segmentoanteriore, costituiscono oggi il principaleobiettivo terapeutico del medico oftalmologonella gestione del paziente affetto da OVR.Pur esulando dallo scopo di questa trattazione,ricordiamo che, specialmente nell’ultimo de-cennio, nuove opzioni terapeutiche quali i cor-ticosteroidi e gli anti-VEGF (bevacizumab,ranibizumab) sono divenute disponibili per af-fiancare o sostituire la laserfotocoagulazione,per molti anni ritenuta il gold standard nellacura di questa affezione. Tali nuovi trattamentisono mirati non solo alla prevenzione dellecomplicanze ischemiche e neovascolari, maanche al tentativo di migliorare la prognosi vi-siva rispetto alla storia naturale della malattia,in particolar modo in caso di edema maculare.Importanti trial multicentrici randomizzaticontrollati sono stati condotti per valutarel’efficacia e la sicurezza di queste nuove tera-pie: triamcinolone acetonide per OVCR e OV-BR (studio SCORE), ranibizumab per OVBR(studio BRAVO) e per OVCR (studio CRUI-SE), impianto intravitreale a rilascio prolun-gato (drug delivery system - DDS) di desame-tasone per OVCR e OVBR (studio GENEVA)sono tra i più significativi(20-26). In particolare,l’impiego di device (quali i DDS) atti a rila-sciare principi attivi in camera vitrea in modoprolungato è risultato molto incoraggiante enel caso degli steroidi ha migliorato significa-tivamente il rapporto rischio/beneficio rispettoalle iniezioni intravitreali di triamcinolone

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Pronto Soccorso Oculistico

86 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

acetonide. Lo studio GENEVA ha inoltre di-mostrato che il trattamento precoce (entro 90giorni dall’esordio della malattia) con Ozur-dexTM ha una percentuale di successo maggio-re rispetto al trattamento differito, e questo èun dato importante in quanto sovverte il pre-cedente diffuso convincimento a iniziare iltrattamento dell’edema maculare dopo 3 mesidalla diagnosi. Tuttavia, anche il trattamentodifferito è in grado di favorire un utile recupe-ro visivo, conservando quindi l’indicazione

anche dopo i 3 mesi dall’inizio dei sintomi(26). Infine, sono in corso nuovi studi atti a confron-tare l’efficacia e la sicurezza di DDS a rilascioprolungato di desametasone (OzurdexTM) vs ra-nibizumab intravitreale nelle OVBR (studioCOMO) e nell’OVCR (studio COMRADE). Le indicazioni alla gestione dei pazienti affettida OVR e al trattamento delle complicanze diqueste affezioni sono oggi contenute in un im-portante Documento di Consenso europeo pro-dotto nel 2011(11,27) (Figg. 15.4-15.5).

Fig. 15.4Indicazioni al trattamento OVCR.

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Capitolo 15 Occlusioni venose retiniche: gestione in pronto soccorso

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Bibliografia

Fig. 15.5Indicazioni al trattamento OVBR.

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Pronto Soccorso Oculistico

88 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

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Capitolo 16

89QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Una delle principali problematiche che inci-dono sull’attività di triage e la qualità deiservizi offerti dal pronto soccorso, è sicura-mente quella del sovraffollamento e dellaquantità d’accessi a bassa priorità che nonhanno carattere d’urgenza oggettiva.Questo ha come conseguenza:• aumentato rischio di errori sanitari;• insoddisfazione degli operatori sanitari;• prolungamento dei tempi d’attesa per la vi-

sita medica;• diminuita fiducia dei cittadini verso i servi-

zi d’emergenza.Il distacco di retina rappresenta una delle pa-tologie di maggior rilievo in oftalmologia erichiede, nell’ambito del pronto soccorso,una gestione rapida ed efficace nel formulareuna diagnosi precisa e un percorso terapeuti-co adeguato.Non di rado la diagnosi di distacco al prontosoccorso coincide con la prima visita oculi-stica del paziente che giunge sempre piùspesso “informato” da siti internet che nonsempre rappresentano la realtà scientifica.

16.1 Incidenza del distacco di retina

L’incidenza annuale del distacco retinico è dicirca 1 a 10.000(A), popolazioni bianche easiatiche hanno tassi simili, con una minoreincidenza tra neri(1). L’incidenza relativamente modesta e la pos-sibilità di intervenire chirurgicamente nella

maggior parte dei distacchi fa sì che questinon rappresentino una vera emergenza oftal-mica, ma sicuramente un’urgenza, pertantoun corretto approccio e un intervento precocesono indispensabili per evitare danni visivipermanenti.

16.2 Patogenesi del distacco di retina

Il distacco di retina è una separazione dellaretina neurosensoriale dall’epitelio pigmen-tato retinico da parte di liquido che riempielo spazio virtuale tra i due foglietti, creandouna cavità reale.Il fluido può essere o di origine vitreale e siinfiltra sotto la retina attraverso un foro o unarottura, distacco retinico regmatogeno prima-rio, o proveniente dalla coriocapillare, attra-verso un epitelio pigmentato alterato, distac-co di retina essudativo secondario(2).Le cause di questo secondo tipo di distaccosono molteplici: infiammatorie, neoplastiche,vascolari degenerative, congenite.Un altro meccanismo è quello del distaccotrazionale, in cui trazioni vitreali sono tra-smesse alla retina dall’interno, come avvie-ne nella degenerazione e distacco del corpovitreo, nella retinopatia diabetica prolife-rante, nella proliferazione vitreoretinica,nella retinopatia del prematuro, nella retino-patia falciforme, nell’occlusione venosa re-tinica.

Distacco di retinaFulvio Carraro, Maria Stella Giurgola, Ruggero Mele, Emilia Zanframundo

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Pronto Soccorso Oculistico

90 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Il ruolo principale nella patogenesi del di-stacco di retina è svolto sicuramente dal cor-po vitreo e dalle sue modificazioni spontaneeo indotte, dovute all’età, alla chirurgia dellacataratta o vitreoretinica, alla miopia, flogo-si, traumatismi, diabete, degenerazioni vi-treoretiniche ereditarie e non, fotocoagula-zione laser.

SintomatologiaAlla presenza di un distacco di retina si vie-ne a creare un difetto campimetrico comu-nemente descritto dal paziente come unatenda scura o un’ombra, che appare per pri-ma in periferia e in movimento verso il cen-tro nel giro di ore o giorni, man mano che ildistacco si estende. L’acuità visiva diminui-sce, quando il distacco di retina coinvolge lamacula, e il paziente può notare la distorsio-ne delle immagini e un drammatico calo delvisus.Nell’anamnesi spesso si evidenzia la com-parsa di fosfeni e miodesopsie precedenti al-la comparsa del difetto campimetrico.

16.3 Come valutare un paziente consospetto distacco della retina

Se i sintomi suggeriscono un distacco di reti-na, è indicata una valutazione oftalmica ac-curata anche in regime di pronto soccorso. L’acuità visiva deve essere valutata primache la pupilla sia dilatata. La riduzione del-l’acuità visiva, in genere, indica nel distaccoun coinvolgimento maculare, macula off;un’acuità visiva conservata non esclude lapresenza di un distacco periferico, maculaon. Tra le due tipologie il distacco macula onrappresenta un’urgenza non differibile(3). Untest del campo visivo comparativo può mo-strare un difetto asintomatico del campo pe-

riferico. Un distacco di retina sub o totaleprodurrà un apparente difetto pupillare affe-rente. Un esame del segmento anteriore alla lampa-da a fessura non è procrastinabile, perché èdi fondamentale importanza segnalare la pre-senza di patologie concomitanti che potreb-bero modificare il programma diagnostico-terapeutico.Tonometria ad applanazione: in presenza didistacco di retina si registra un’ipotonia ri-spetto all’occhio adelfo.Valutazione del vitreo per ricercarne il di-stacco, la presenza granuli di pigmento(“polvere di tabacco”), che corrispondono aun rischio 90% di rotture retiniche. Ricercare PVR e/o emorragia retinica.La valutazione alla LAF con lenti non a con-tatto (tipo +90 volk) deve essere sicuramenteimplementata con la lente a tre specchi diGoldmann.Imprescindibile è l’esame con la biomiscro-scopia indiretta mediante lenti +20, +30 D,da eseguire per avere un quadro complessivo,in condizioni di massima midriasi e con pa-ziente in posizione supina.In questa fase è anche opportuno descriverequanto più accuratamente il fundus oculi ed èconsigliabile disegnarlo seguendo il codicecolori; questo faciliterà il lavoro negli stepsuccessivi.Alla presenza di mezzi diottrici opachi (cata-ratta matura - emovitreo) è necessario ese-guire in tempi rapidi una ecografia bulbare(A-B scan) per una valutazione del quadrovitreoretinico, considerando i limiti stessidella tecnica.

Fattori da valutare per grado urgenza

Locali• Tipologia - Estensione distacco di retina.

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Capitolo 16 Distacco di retina

91QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

• Macula on/off.• Patologie concomitanti.• Anamnesi positiva per distacchi di retina

precedenti.• Occhio adelfo.

Generali• Condizioni psicologiche.• Malattie concomitanti.• Età.

Trattamento

Distacco di retina regmatogeno

Approccio ab externo(2)

Sicuramente il cerchiaggio episclerale e ilpiombaggio radiale rappresentano ancoral’intervento elettivo. Necessario tuttavia con-siderare l’età del paziente, lo stato dei mezzidiottrici, il numero delle rotture perché la vi-trectomia potrebbe essere la scelta alternativa.

Approccio ab internoVitrectomia in soggetti pseudofachici, cata-ratta densa, distacchi con numerose rottureretiniche, emovitreo.

Distacco di retina trattivoVitrectomia.

Distacco di retina essudativoFondamentale eseguire un corredo di esamiche portino alla diagnosi: • ecografia bulbare;• fluoragiografia retinica;• eventuale esame neuroradiologico;• valutazione internistica.Solo al termine del percorso diagnostico ve-rificare l’eventuale aggredibilità chirurgica.

In conclusione il distacco di retina è una ma-lattia altamente invalidante il cui trattamentofornisce risultati migliori se la diagnosi èprecoce e l’intervento urgente.

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Bibliografia

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92 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Capitolo 17

17.1 Introduzione

Il paziente che accede al pronto soccorso perla comparsa di un disturbo della visione nonlegato a traumi può essere affetto da una pa-tologia della retina maculare. Nell’anamnesiè importante verificare:• il momento e il modo di insorgenza dei sin-

tomi;• il tipo di alterazione visiva (visione offu-

scata, metamorfopsie, scotomi);• la presenza di altri sintomi oculari associati;• la presenza di concomitanti patologie siste-

miche;• l’assunzione di farmaci.Nel corso della visita devono essere valutatiin particolare la capacità visiva del paziente,corredata dall’esecuzione del test di Amsler,e l’aspetto oftalmoscopico della retina. Spes-so si rende necessario un approfondimentostrumentale mediante OCT (Optical Cohe-rence Tomography), fluorangiografia o an-giografia con indocianina.

17.2 Emorragie maculari

Un’emorragia maculare si associa general-mente alla comparsa di uno scotoma centraleo a un’improvvisa riduzione dell’acutezzavisiva. La rottura spontanea di un macroa-neurisma arterioso acquisito può generareun’emorragia preretinica o intraretinica dinotevole entità. Il macroaneurisma solita-

mente si sviluppa nei primi tre ordini dell’al-bero vascolare, a livello di un incrocio artero-venoso ed è più frequente nelle donne anzia-ne e ipertese(1). Anche in assenza di malfor-mazioni vascolari, un improvviso aumentodella pressione intratoracica o intraaddomi-nale può determinare un brusco incrementodella pressione a livello delle vene retiniche ela conseguente rottura dei capillari superfi-ciali (maculopatia da manovra di Valsalva).Il calo del visus può essere legato a un’emor-ragia preretinica, a un distacco emorragicodella membrana limitante interna o a un’e-morragia intraretinica(2). Il trattamento variain base all’estensione, alla localizzazione ealla durata dell’emorragia e comprende lasemplice osservazione, la ialoidotomia YAG-laser o la vitrectomia.Nei pazienti con miopia degenerativa, posso-no essere osservate delle piccole emorragieintraretiniche associate alla formazione dirotture spontanee della membrana di Bruch(lacquer cracks). Tuttavia, l’insorgenza un’e-morragia maculare è associata nella maggiorparte dei casi alla presenza di una neovasco-larizzazione coroideale (NVC). Nel miopeelevato le NVC possono insorgere ai bordi diuna lacquer crack, in un’area di atrofia geo-grafica dell’epitelio pigmentato retinico(EPR) o in una zona in cui l’EPR e la coroidesono assottigliati(3). Le NVC possono inoltrecomplicare le strie angioidi, che rappresenta-no delle deiscenze nella porzione collagenaed elastica della membrana di Bruch(4). Nelle

MaculopatieStefano Piermarocchi

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Capitolo 17 Maculopatie

93QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

persone con più di 55 anni, la presenza diun’emorragia maculare, intraretinica o sotto-retinica, è spesso indice di una degenerazio-ne maculare senile essudativa (Fig. 17.1). Iltrattamento di scelta nelle NVC, qualsiasi siala loro causa, è l’iniezione intravitreale di an-ti-VEGF (bevacizumab, ranibizumab, pegap-tabnib, aflibercept). In alcuni casi (vasculo-patia polipoidale) il trattamento può essereassociato alla terapia fotodinamica (PDT)(5).

17.3 Occlusioni arteriose maculari

Le occlusioni di rami principali o secondaridell’arteria centrale della retina determinanoovviamente un’importante compromissionefunzionale nel territorio di pertinenza del va-so. L’edema pallido della retina ischemicafornisce un tipico aspetto e consente una fa-cile diagnosi. Meno frequenti sono le occlu-sioni delle arterie cilio-retiniche. Esse sonopresenti come variante in circa il 25% dellapopolazione e generalmente irrorano unaporzione limitata dell’area maculare. Esseoriginano dalla coroide peripapillare o diret-

tamente dalle arterie ciliari posteriori brevi.La loro pressione di perfusione è di gran lun-ga inferiore a quella dell’arteria centrale del-la retina. Un’improvvisa occlusione totale oparziale della vena centrale della retina de-termina un notevole aumento della pressioneintraluminale del letto capillare retinico.Quest’ultima può arrivare a superare la pres-sione di perfusione dell’arteria cilio-retinica,determinando così il blocco emodinamicodell’arteria stessa (Fig. 17.2). L’occlusionedell’arteria cilioretinica (CLRAO) è stata os-servata anche in associazione con arterite diHorton, lupus eritematoso sistemico, sindro-me da anticorpi antifosfolipidi, gravidanza eassunzione di sildenafil. I sintomi visivi va-riano in rapporto all’estensione del territorioirrorato dalla cilioretinica. Non esiste una te-rapia di provata efficacia nella CLRAO, senon il trattamento di eventuali condizioni si-stemiche associate. Nella gestione del pa-ziente è necessaria una valutazione dei fattoridi rischio generali (pressione arteriosa, VES,PCR, ecodoppler dei tronchi sovraaortici,ecocardio) in modo da evitare ulteriori episo-di di occlusione arteriosa retinica(6).

17.4 Distacco sieroso della neuroretina

L’insorgenza di un sollevamento sieroso del-le neuroretina, in assenza di neovasi coroi-deali, è legata alla compromissione parzialeo totale, ma sempre localizzata, della funzio-ne di pompa delle cellule dell’EPR. Il casopiù comune è rappresentato dalla corioreti-nopatia sierosa centrale (CRSC). Questacondizione colpisce solitamente giovani ma-schi con personalità di tipo A e si manifestacon la comparsa di metamorfopsie, di unoscotoma o di micropsie. L’esame OCT può

Fig. 17.1Emorragia maculare (freccia) in una paziente conRAP.

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Pronto Soccorso Oculistico

94 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

rivelare, oltre al sollevamento della neurore-tina, la presenza di uno o più distacchi del-l’EPR, mentre la fluorangiografia è utile perindividuare i “punti di fuga” del colorante.La CRSC generalmente si risolve spontanea-mente nell’arco di 3-4 settimane. La terapiamedica consiste nella somministrazione diacetazolamide per os, sebbene le evidenzescientifiche siano limitate. Nei casi ricorrentio persistenti si può ricorrere alla fotocoagu-lazione laser o alla terapia fotodinamica(7).Un sollevamento sieroso della neuroretina èstato osservato anche nei pazienti in tratta-mento con corticosteroidi o affetti da morbodi Cushing. Fra i possibili meccanismi concui i corticosteroidi possono indurre un qua-dro clinico simile alla CRSC sono stati ipotiz-zati: (a) un’alterazione dell’autoregolazionevascolare, (b) l’insorgenza di una coagulopa-tia a caico della coriocapillare, (c) un’altera-zione della deposizione del collagene a livellodella membrana di Bruch e (d) un’alterazione

della permeabilità dell’EPR agli ioni(7). Unsollevamento della neuroretina è stato osser-vato inoltre in seguito al trapianto d’organi(rene, cuore e cuore-polmoni) e in pazientisottoposti a emodialisi: anche in questo casola patogenesi sembra legata alla somministra-zione di corticosteroidi ad alte dosi(8).Circa l’1% delle pazienti che sviluppa iper-tensione severa, proteinuria e edema duranteil terzo trimestre di gravidanza può presenta-re un sollevamento retinico sieroso associatoalla presenza di chiazzette ramificate di colo-re bianco-giallastro causate da necrosi focaledell’EPR. Possono essere presenti o menonoduli cotonosi ed emorragie retiniche. Que-sta condizione si risolve spontaneamente do-po il parto e il trattamento dell’ipertensione(9).I pazienti affetti da collagenopatie (ad esem-pio lupus eritematoso sistemico, poliarteritenodosa, sclerodermia, dermatomiosite) pos-sono sviluppare un sollevamento sieroso del-la macula causato da necrosi fibrinoide dei

Fig. 17.2L’alterata perfusione di due arterie cilioretiniche (frecce) in un paziente con CRVO determina ischemia maculare.

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Capitolo 17 Maculopatie

95QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

vasi coroideali(8).Un sollevamento sieroso della neuroretina cheinteressi l’area maculare può anche essere as-sociato alla presenza di un emangioma coroi-deale o meno frequentemente di un nevo co-roideale, la cui diagnosi viene confermata conl’angiografia e l’ecografia. Attualmente, il trat-tamento consigliato del distacco sieroso asso-ciato a emangioma coroidelae è la PDT(10,11).

17.5 Tossicità da farmaci

Un calo del visus in un paziente in terapiacon prostaglandine per glaucoma può esserelegato alla presenza di un edema macularecistoide(12). Numerosi farmaci assunti per viasistemica, come ad esempio l’idrossiclo -

rochina, sono in grado di causare alterazionimaculari, anche se generalmente si tratta diuna tossicità a lungo termine. Nell’anamnesifarmacologica bisogna inoltre considerarel’eventuale assunzione di stupefacenti. “Pop-per” è il termine gergale con sono chiamatealcune sostanze d’abuso appartenenti alla fa-miglia dei nitriti alchilici. I sintomi compren-dono una riduzione dell’acutezza visiva o lacomparsa di scotomi, metamorfopsie o fosfe-ni. Il fundus può essere normale o mostrareuna lesione giallastra a livello della foveola.All’esame OCT possono essere rilevate alte-razioni della giunzione fra segmento esternoe interno dei fotorecettori(13). È stata riportatainoltre l’associazione fra uso di cocaina e oc-clusioni arteriose retiniche, probabilmentecausate dall’induzione di un vasospasmo(14).

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96 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Capitolo 18

18.1 Introduzione

Tra le forme cliniche a carattere prevalente-mente irritativo l’attacco acuto di glaucomarappresenta forse il quadro più eclatante e,nell’immediato, più pericoloso per la salutedell’occhio.

18.2 Diagnosi di attacco acuto di glaucoma

I segni clinici che condizionano la definizio-ne di glaucoma acuto sono chiaramente evi-denziabili anche dal medico non specialista.Il dolore può essere molto intenso in sedefronto-temporale sul lato dell’occhio affetto.Spesso il paziente riferisce anche una ridu-zione dell’acuità visiva che può essere anchemolto marcata. L’oc chio è iperemico, concongestione congiuntivale e ciliare periche-ratica e il confronto con l’occhio controlate-rale mette chiaramente in evidenza tale situa-zione.Associati ai sintomi oculari, il paziente riferi-sce talora anche segni sistemici, quali nau-sea, sudorazione, bradicardia e spesso vomi-to, attribuiti a stimolazione vagale. Altre vol-te possono essere predominanti sintomi a ca-rico addominale e/o toracico, di intensità taleda fuorviare il medico del pronto soccorso alpunto da far sostenere al paziente una serie diesami e di test clinici che possono ritardare

in modo clinicamente significativo il tempodella diagnosi oftalmologica e dell’appronta-mento del trattamento.All’esame obiettivo, eseguito con una sem-plice piletta anche da un medico non specia-lista, tali dati obiettivi sono facilmente rileva-bili. Sempre paragonando l’occhio affettocon quello controlaterale sarà possibile met-tere in evidenza l’eventuale edema corneale,poiché l’esame eseguito anche con una sem-plice piletta farà notare che i dettagli intrao-culari dell’iride e della pupilla non sono per-fettamente chiari, come invece avviene os-servando l’occhio controlaterale. La pupilladell’occhio affetto sarà in media midriasi, diforma spesso irregolare (ovalare o stirata ver-so un particolare settore), areagente allo sti-molo luminoso diretto e indiretto. Il doloreoculare viene esacerbato alla palpazione ocu-lare e la stima della consistenza oculare conla digitopressione (un modo per avere un’in-dicazione indiretta della pressione oculare)metterà in evidenza un bulbo di consistenzaparticolarmente dura, soprattutto in confron-to a quello controlaterale.L’esame alla lampada a fessura potrà permet-tere una più precisa valutazione del quadroappena descritto con una migliore percezionedel ribassamento della camera anteriore so-prattutto verso la periferia iridea) e della pre-senza di segni infiammatori intraoculari qualimodesto intorbidamento dell’acqueo per rot-tura della barriera emato-acquosa. Alla lam-

Attacco acuto di glaucoma. Glaucoma ad angolo chiusoStefano Miglior

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Capitolo 18 Attacco acuto di glaucoma. Glaucoma ad angolo chiuso

97QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

pada a fessura sarà ancora più agevole il con-fronto tra i due occhi e il discernimento deglielementi semeiologici chiave al fine di unacorretta diagnosi differenziale con altre entitàcliniche (iridociclite, cheratite). L’esame go-nioscopico, eseguibile in presenza di corneatrasparente, metterà in evidenza un angolo iri-do-corneale chiuso praticamente a 360°. Inol-tre sarà possibile misurare in modo accuratola pressione oculare attraverso la tonometria.

18.3 Storia naturale

L’attacco acuto di glaucoma rappresenta l’e -vento culminante di una situazione clinica de-finita come glaucoma da chiusura d’an go lo, oad angolo chiuso. Tale entità può essere de-scritta come una situazione clinica in cui laparticolare conformazione anatomica del bul-bo oculare determina una serie di eventi pura-mente meccanici, che per un certo periodo ditempo può portare alla chiusura intermittentedell’angolo irido-corneale, per poi passare o auna progressiva cronicizzazione della chiusu-ra dell’angolo che poco alla volta diviene irre-versibile, riducendo progressivamentel’eliminazione dell’umore acqueo dalla came-ra anteriore (e di conseguenza ad un progressi-vo aumento anche consistente della pressioneintraoculare), o a una chiusura acuta, pratica-mente a 360°, dell’angolo irido-corneale conimmediato e rapidissimo aumento della pres-sione oculare (>40 mmHg) e innescamentodel quadro clinico tipico del glaucoma acuto.

18.4 Patogenesi e fattori di rischio

Il glaucoma da chiusura d’angolo è determina-to dalla particolare conformazione anatomica ebiometrica che si riscontra soprattutto negli oc-

chi piccoli. Infatti gli occhi decisamente più arischio di sviluppare tale malattia sono gli oc-chi ipermetropi, caratterizzati da una ridottalunghezza assiale e, nella maggioranza dei casida una significativa contiguità dei tessuti situa-ti nel segmento anteriore del bulbo oculare. Inparticolare il cristallino è più vicino alla cor-nea, l’area di contatto tra la faccia posterioredell’iride e il cristallino anteriore è maggiore,la camera anteriore è più bassa rispetto all’oc-chio emmetrope e decisamente più bassa ri-spetto all’occhio miope. Col passare del tempoil cristallino aumenta progressivamente lospessore antero-posteriore e, di conseguenza,aumenta l’area di contatto tra cristallino e iri-de, e la camera anteriore si abbassa ulterior-mente. In tali condizioni si può venire a crearequello che si definisce un blocco pupillare re-lativo, che impedisce l’agevole passaggio del-l’umore acqueo tra la camera posteriore equella anteriore attraverso la pupilla. In tale si-tuazione l’umore acqueo tende ad accumularsiin camera posteriore, e a spingere in avanti laradice dell’iride. Se la pressione in camera po-steriore supera la resistenza del blocco pupilla-re relativo, a un certo punto questo viene rottoe l’umore acqueo passa in camera anteriore at-traverso la pupilla con l’iride che riacquista lasua normale conformazione. Se invece la pres-sione in camera posteriore non riesce a vincerela resistenza del blocco pupillare, la radice iri-dea viene ulteriormente spinta in avanti fino aentrare in contatto con la parete posteriore del-la cornea periferica e chiudendo quindi in mo-do apposizionale l’angolo irido-corneale.

18.5 Trattamento dell’attacco acutodi glaucoma

Il trattamento del glaucoma acuto deve esse-re messo in opera immediatamente, al fine di

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Pronto Soccorso Oculistico

98 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

poter risolvere la situazione clinica primache si instauri una chiusura irreversibile del-l’angolo irido-corneale. Gli obiettivi terapeu-tici nelle primissime fasi di intervento sono iseguenti: 1. decongestionare il bulbo oculare; 2. ridurre/eliminare il dolore; 3. migliorare la funzione visiva; 4. riaprire l’angolo irido-corneale; 5. preparare l’occhio all’iridotomia con lo

Yag laser. Per raggiungere i primi tre obiettivi bisognaimmediatamente instaurare un trattamentofarmacologico per via sistemica con infusio-ne endovenosa rapida di mannitolo (agenteosmotico) che permette di ridurre drastica-mente il contenuto liquido del corpo vitreo,cui consegue:1. una riduzione significativa del volume vi-

treale;2. un conseguente allargamento degli spazi

in camera anteriore;3. una marcata riduzione della pressione

oculare (che scende spesso a livelli fisiolo-gici o quasi).

A tutto ciò consegue, inoltre, una riduzio-ne/scomparsa della congestione bulbare, unamarcata regressione dell’edema cornealecon significativo miglioramento della fun-zione visiva. Nel caso in cui la prima infu-sione di mannitolo non sia sufficiente, si puòprovvedere a una seconda infusione che po-trà permettere di raggiungere gli obiettivi dicui sopra.Se il paziente non avesse avuto segni di nau-sea e vomito, si può iniziare sin da subito conl’assunzione orale di acetazolamide in com-presse da 250 mg, nella misura di 2 compres-se per 3/die da proseguirsi fino alla risoluzio-ne e stabilizzazione del quadro clinico. L’acetazolamide è un potente diuretico, utilea livello oculare perché è il più potente inibi-

tore dell’anidrasi carbonica, l’enzima chiavenella cascata biochimica che porta alla pro-duzione dell’umore acqueo nel corpo ciliare.Pertanto l’azione dell’acetazolamide deter-mina una significativa e marcata riduzionedella produzione di umore acqueo che porta,di per sé, a una riduzione della pressioneoculare fino al 40-50% rispetto alla pressioneiniziale. L’acetazolamide può causare effettisecondari come parestesie alle estremità dimani e piedi, nausea e bruciori di stomaco.Aumenta significativamente la diuresi conpossibile perdita di potassio che dovrà esserebilanciata dalla sua assunzione con prodottispecifici. Il suo uso prolungato potrebbe au-mentare il rischio di calcolosi renale.Localmente può essere immediatamente in-staurata una terapia antiinfiammatoria con ste-roidi che penetrino facilmente in camera ante-riore (betametasone e desametasone) associatieventualmente a un trattamento con farmaciantiinfiammatori non steroidei (FANS) per viasistemica, i quali per altro, grazie all’effettoanalgesico, potrebbero interferire con una cor-retta valutazione clinica degli effetti analgesiciindiretti del trattamento ipotonizzante conmannitolo e acetazolamide. Solo quando il bulbo comincia a decongestio-narsi in modo evidente (l’iperemia comincia aridursi, la pressione oculare comincia a scen-dere a livelli accettabili, il dolore sta sceman-do e la visione sta migliorando) si instilla pilo-carpina collirio (parasimpaticomimetico) al fi-ne di cercare di riaprire l’angolo irido-cornea-le con un’azione miotica di richiamo della ra-dice dell’iride. La pilocarpina va somministra-ta ogni 6 ore (quindi al massimo 4/die) e nonbisogna darla sin dall’inizio perché, date leproprie caratteristiche farmacologiche, po-trebbe in tal caso contribuire a congestionareil bulbo oculare favorendo un certo grado divasodilatazione e rottura della barriera emato-

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Capitolo 18 Attacco acuto di glaucoma. Glaucoma ad angolo chiuso

99QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

acquosa. Data correttamente, invece, la pilo-carpina potrebbe in effetti contribuire a risol-vere l’attacco e a preparare l’occhio all’esecu-zione dell’iridotomia. Va comunque segnalatoche in un buon numero di casi l’effetto farma-cologico della pilocarpina è molto scarso, fi-nanche assente e, in tal caso, è assolutamenteinutile insistere per ottenere ciò che non è piùpossibile ottenere (generalmente a causa di unintrinseco ritardo di inizio del trattamento del-la malattia).Nella fase iniziale del trattamento del glau-coma acuto vanno evitati i colliri ipotoniz-zanti topici perché in tale fase hanno scarso onullo effetto (ovviamente possono essereconsiderati solo nel caso che il paziente nonpotesse prendere l’acetazolamide). Vannoevitati anche i colliri midriatici (atropina, ci-clopentolato, tropicamide) perché potrebberocontribuire ad accentuare la chiusura dell’an-golo. In realtà tale controindicazione è discu-tibile, poiché il blocco pupillare potrebbe ri-solversi proprio inducendo un aumento dellamidriasi, ma tale effetto è imprevedibile e,d’altra parte, il rischio di occludere ulterior-mente l’angolo è significativo, soprattuttoquando il paziente arriva al pronto soccorsocon un certo ritardo.Una volta decongestionato il bulbo oculare,con riduzione della pressione oculare e riot-tenimento della trasparenza corneale, si puòprocedere all’iridotomia, che viene eseguitaambulatoriamente con lo Yag laser. Dopol’iri dotomia si prescrive un collirio steroideoda instillare per una settimana.A scopo profilattico l’iridotomia si esegue

sempre anche nell’occhio controlaterale, da-to che il rischio di sviluppare un attacco diglaucoma acuto nell’occhio controlaterale diun soggetto già affetto da tale quadro clinicoè piuttosto elevato.L’iridotomia ha successo quando durante lasua esecuzione si osserva un marcato flussodi acqueo dalla camera posteriore a quellaanteriore attraverso la breccia iridea, seguitoda un marcato approfondimento della cameraanteriore. All’esame gonioscopico si osservauna riapertura dell’angolo irido-corneale(con risoluzione della chiusura apposiziona-le). La pupilla potrebbe rimanere atonica e inmedia midriasi irregolare. Se la pressioneoculare si normalizza senza l’ausilio di trat-tamento farmacologico il successo è comple-to. La funzione visiva viene totalmente ripri-stinata e il dolore scompare.L’iridotomia non ha invece successo quando,a dispetto del flusso di umore acqueo dallacamera posteriore a quella anteriore, la ca-mera anteriore si approfondisce modesta-mente o non si approfondisce per niente, al-l’esame gonioscopico l’angolo irido-cornea-le rimane chiuso e la pressione oculare rima-ne elevata. In tal caso bisogna operare urgen-temente di trabeculectomia, facendo peròprecedere a tale intervento l’estrazione delcristallino (sia che sia opaco, sia che sia tra-sparente) con un intervento di facoemulsifi-cazione con impianto di lente intraoculare. Inlinea di massimo i due interventi possono es-sere eseguiti nello stesso momento (interven-to combinato) oppure, più frequentemente, indue tempi diversi.

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100 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Capitolo 19

19.1 Definizione

Con il termine amaurosi fugace (AF) defi-niamo una perdita della visione improvvisa etransitoria, che si presenta come offuscamen-to del campo visivo(1).In genere il normale ripristino della funzionevisiva occorre nel giro di pochi secondi, an-che se in alcune circostanze l’AF non è altroche un prodromo di un quadro più impegna-tivo. In base all’origine patogenetica, si rico-noscono quattro forme principali di AF: em-bolica, ipoperfusiva, da angiospasmo, idiopa-tica(2). L’AF non è da considerarsi in alcunmodo una patologia a se stante, ma piuttostola sua manifestazione clinica.

19.2 Eziopatogenesi e prevalenza

L’amaurosis fugax nasce da un ridotto afflus-so di sangue a livello retinico(3).L’interruzione della corrente sanguigna allacorteccia visiva è causa dell’improvviso di-sturbo che può realizzarsi come transientmonocular visual field loss (TMVL) oppurepuò accompagnarsi a fenomeni aurali che in-ducono sia il paziente che lo specialista aun’errata interpretazione del quadro.L’età di insorgenza può essere estremamentevariabile. Gli episodi sono di solito più fre-quenti nella popolazione maschile, in rappor-to con la patologia occlusiva coronarica e va-scolare periferica, con picco di incidenza in-

torno ai 70 anni(4).Le diagnosi differenziali fra i TMVL sono lepiù svariate (Tab. 19.I).L’ischemia origina frequentemente a livellodella biforcazione dell’arteria carotide comu-ne o delle diramazioni interne(5).

19.3 Sintomatologia e localizzazione

Il soggetto che giunge in pronto soccorso ri-ferendo un episodio di AF può elencare i sin-tomi dell’insufficienza carotidea o quelli del-l’embolia. Talvolta si accompagnano diplo-pia, vertigine e ipostenia(6).A seguito della dilatazione di circoli arteriosicollaterali, altra manifestazione che talorapuò rivelarsi caratteristica è la cefalea(7). Perquesto, soprattutto nei soggetti giovani confotofobia e fonofobia, l’emicrania andrebbeconsiderata sempre tra le diagnosi differen-ziali.Gli altri segni sono propri e caratteristici deldistretto arterioso colpito.Per un’ostruzione dell’arteria carotide inter-na, ad esempio, si possono avere crisi di ce-cità monoculare transitoria omolateralmentealla lesione, di durata variabile, e scatenatedall’improvviso ortostatismo, da un inchinorapido o dall’esposizione a luce intensa(8). Un attacco ischemico transitorio a livellodell’arteria succlavia si accompagna invece avertigini, offuscamento, diplopia e atassia,talvolta conseguenti a uno sforzo fisico.

Amaurosi transitoriaPaolo Nucci, Andrea Lembo

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Capitolo 19 Amaurosi transitoria

101QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Se è coinvolta l’arteria vertebrale compaionosenso di vertigine, diplopia e visione offusca-ta, scatenate da un movimento del capo.

19.4 Disordini vascolari retinici

In alcuni casi l’AF può essere la prima avvi-saglia di un disordine vascolare retinico, conuna prevalenza che oscilla tra il 7% e il36%(1) (Tab. 19.II).

Qualora presente, l’amaurosi interessa l’interocampo visivo, tranne nella BRAO, in cuil’offuscamento visivo è limitato all’area reti-nica della branca ischemica(9).In tutti i pazienti a cui viene diagnosticatauna CRAO o una BRAO non arteritica an-drebbe indagata l’origine dell’embolismo,tramite un esame ecocardiografico e la pre-scrizione di un Doppler dei tronchi sovra-aortici.I dati alla mano sono molto significativi:placche aterosclerotiche sono state indivi-duate a livello dell’arteria carotide interna dicirca il 60% di pazienti con diagnosi di NA-AION(10).Una causa meno frequente è l’alterazionedella pressione di perfusione del letto vasco-lare retinico al di sotto dei livelli critici. L’AF può anche accompagnare un episodio

Tabella 19.I

DIAGNOSI DIFFERENZIALI DI TMVL ED ETÀ DI INSORGENZA(4)

Cause di TMVL Età di insorgenza

EMBOLICHE Aterosclerosi età avanzataDissezione tutte le etàEmbolismo cardiaco tutte le etàIpercoagulabilità tutte le età

EMODINAMICHEIpotensione posturale primaria tutte le etàIpotensione posturale secondaria età avanzataElevata viscosità del sangue tutte le etàIpertensione maligna tutte le etàRiduzione della perfusione oculare età avanzata

VASCOLARIVasculiti (inclusa arterite tutte le etàgiagantocellulare)

Fistola arterovenosa tutte le etàVasospasmo tutte le età

CEREBRALIEmicrania tutte le etàEpilessia tutte le etàEdema del disco ottico tutte le etàAnomalie del disco ottico tutte le età(es.drusen)

Ischemia corticale tutte le età

MISCELLANEAGlaucoma età avanzataEmorragia intraoculare tutte le etàMalaria bambini, adultiGravidanza donne fertiliIdiopatica tutte le età

Tabella 19.II

PREVALENZA DELL’AMAUROSIFUGACE NEI DISORDINI VASCOLARI

RETINICI(1)

Diagnosi Prevalenza (%)

CRAO 12BRAO 12CRVO 5CRVO con CLRAO 37BRVO 0,5NA-AION 2,5Arterite gigantocellulare di Horton 26

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Pronto Soccorso Oculistico

102 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

di ipertensione arteriosa maligna, in cui siverifica uno spasmo delle arterie retiniche(11).L’offuscamento transitorio nelle CRVO si ve-rifica come una trombosi all’altezza del ner-vo ottico. In questo caso, il lume a monte dell’ostruzio-ne si gonfia, determinando anche il bloccoemodinamico dell’arteria cilioretinica, qua-lora presente(12).L’AF è piuttosto rara anche nelle NA-AION,e, nella maggior parte dei casi, avviene perun transitorio embolismo a livello delle cilia-ri posteriori(13).L’AF propria dell’arterite gigantocellulare vainvece trattata tempestivamente con alte dosidi corticosteroidi per impedire che la perditadi visione diventi irreversibile(14).Ricordiamo che sono stati descritti episodi diamaurosi anche in altre forme di arterite, co-me nell’arterite di Takayasu(15).

19.5 Diagnosi e cenni di trattamento

In tutti i pazienti che si presentano in prontosoccorso con un sospetto TIA andrebbero ese-guiti degli esami di routine, quali l’emocromo,il PT e la determinazione dei livelli del fibri-nogeno.È indispensabile l’esecuzione di un elettro-cardiogramma e, in seconda analisi, dell’eco-cardiografia, specie in pazienti notoriamentecardiopatici(16).I soggetti colpiti da ictus cerebri andrebberopoi indirizzati verso la TAC (in urgenza) edeventualmente una risonanza magnetica (inelezione)(17).

Per i disordini vascolari retinici la fluoran-giografia rimane l’esame cardine, ma si trattadi un secondo livello di analisi, non imme-diatamente accessibile a un riscontro di pron-to soccorso.La gestione dell’AF è in stretta correlazionecon la gravità dell’ostruzione dell’arteria ca-rotide e lo scopo di un eventuale trattamentoè quello di prevenire un ictus(18).In prima analisi, l’abbattimento dei fattori dirischio reversibili (ipertensione arteriosa, fu-mo di sigaretta, dislipidemia, diabete mellitoe malattie cardiache) è il piano d’azione sucui agire.Vi sono poi varie opzioni di trattamento, sin-tetizzate di seguito: • la terapia antiaggregante, prescritta in caso

di lesioni stenotiche non gravi;• la trombolisi, considerata nei pazienti in

cui è possibile il trattamento immediato equando l’occlusione arteriosa sia stataidentificata mediante adeguato imaging;

• la terapia eparinica, prescritta nelle occlu-sioni delle grandi arterie per un tempo li-mitato (qualche settimana);

• l’endoarteriectomia, procedura di scelta incaso di stenosi arteriosa extracranica grave(con un lume residuo <2 mm);

• l’angioplastica (mediante stent), applicatasoprattutto nei soggetti affetti da patologieocclusive, carotidee o vertebrali, con lesio-ni gravemente stenotiche non aggredibilichirurgicamente;

• il bypass chirurgico extracranico e intra-cranico, a indicazioni limitate: tale proce-dura non si è rivelata molto più vantaggio-sa della terapia medica nei pazienti con le-sioni vascolari non aggredibili.

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Capitolo 19 Amaurosi transitoria

103QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

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PRIMO APPROCCIO EGESTIONE DELLE

PATOLOGIE OCULARITRAUMATICHE

IN PRONTO SOCCORSO

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Capitolo 20

107QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

20.1 Introduzione

La gestione dei traumi orbitari e cranio-fac-ciali riveste un ruolo importante per l’oftal -mologo, pur trattandosi di situazioni clinichein cui è fondamentale un approccio multidi-sciplinare (oculista, neurochirurgo, chirurgomaxillo-facciale, otorinolaringoiatra). I trau-mi cranio-facciali od orbitari sono spessofrequenti nei pazienti politraumatizzati equindi, in questi casi, prima di procedere altrattamento delle problematiche orbitarie e/ocranio-facciali, è fondamentale la stabilizza-zione del quadro clinico sistemico e solo inun secondo momento si procede con la piani-ficazione dell’approccio ottimale al fine dipreservare funzione ed estetica.La valutazione oftalmologica deve esseresempre effettuata, anche in condizioni siste-miche del paziente estremamente gravi e an-che quando devono essere privilegiati tratta-menti di vitale importanza, in quanto salvarela vita risulta evidentemente più importanteche preservare la funzione di un organo chepuò risultare secondario.

20.2 Eziopatogenesi delle fratture orbitarie

Il meccanismo patogenetico di una fratturaorbitaria isolata permette di suddividere lefratture in blow-in (o da scoppio interno) eblow-out (o da scoppio esterno). Le fratture di

tipo blow-in sono caratterizzate dal solleva-mento del pavimento orbitario conseguente aun trauma in regione zigomatica. Nelle frattu-re blow-out si verifica il cedimento del pavi-mento orbitario conseguente a una violentapressione esercitata sul bulbo oculare a palpe-bre chiuse e spesso si può riscontrare l’incar -ceramento del muscolo retto inferiore nel fo-colaio di frattura che impedisce il movimentodi elevazione del bulbo. Il meccanismo pato-genetico, quindi, non dipende da un traumati-smo diretto, ma dall’aumento della pressioneintraorbitaria trasmesso dalla compressionedei tessuti molli: blow-out (Converse-Smith1957). L’occhio riceve l’impatto frontale chelo proietta contro il pavimento orbitario, siprovoca così una frattura del medesimo conpossibile erniazione del grasso all’interno delseno mascellare insieme a eventuali fram-menti ossei e incarceramento del muscolo ret-to inferiore nella rima di frattura.Nelle fratture blow-in e blow-out si verificauna modificazione del volume della cavitàorbitaria che risulta nelle fratture blow-outaumentato, mentre nelle blow-in diminuito.L’alterato rapporto tra contenente (cavità or-bitaria) e contenuto (tessuti orbitari) compor-ta nelle fratture da scoppio esterno un enof-talmo, mentre nelle fratture da scoppio inter-no un esoftalmo. Le fratture orbitarie possono essere pure senon coinvolgono il margine orbitario o impu-re quando si frattura anche il margine orbita-rio (Fig. 20.1); possono essere isolate, coin-

Traumi cranio-facciali e orbitariEnnio Polito, Piero Cascone Con la collaborazione dei dottori: Maria Cristina Sparagna, Melissa Borri, Francesco Calvani

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Pronto Soccorso Oculistico

108 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

volgenti qualsiasi porzione ossea della cavitàorbitaria, o complesse, se associate a fratturedi altre ossa cranio-facciali quali zigomo, na-so, etmoide ecc.

20.3 Anamnesi ed esame clinico

Sotto il profilo anamnestico è importante co-noscere dettagliatamente dove e come si è ve-rificato l’incidente e se c’è stato un periodo diincoscienza, perdita della vista e diplopia. Ilsintomo patognomonico nelle fratture orbitarieè rappresentato infatti dalla diplopia presente,a seconda delle diverse pareti coinvolte e dallagravità clinica della frattura, in tutti o solamen-te in alcuni settori dello sguardo. La diplopia ècausata da un’alterazione della funzionalitàdella muscolatura oculare estrinseca per in-trappolamento dei muscoli retti nei siti di frat-tura o, con minor frequenza, da semplice ede-ma o ematoma a carico della stessa muscolatu-ra o ancora da lesioni dei nervi oculomotori.Un attento esame clinico del paziente è indi-spensabile prima di accingersi a pianificare

qualsiasi strategia terapeutica appropriata:infatti, già un’accurata ispezione del volto inposizione primaria di sguardo può mettere inevidenza un’asimmetria del viso, un enoftal-mo, una dislocazione del bulbo, un’anisoco-ria e una più o meno evidente ecchimosi pe-rioculare (Fig. 20.2) (occhio di panda). Proseguendo con l’esame clinico un’altra ma-novra semeiologica semplice, ma per nientebanale, è la palpazione grazie alla quale pos-siamo valutare: la presenza di un’eventualeipoestesia del territorio di innervazione delnervo infraorbitario (Fig. 20.3), il margine or-bitario per rilevare eventuali discontinuità e

Fig. 20.1Frattura pura e impura del pavimento orbitario.

Fig. 20.2Ecchimosi palpebrale superiore e inferiore dx.

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Capitolo 20 Traumi cranio-facciali e orbitari

109QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

infine la regione perioculare per mettere inevidenza crepitii, segno di enfisema orbitario(Fig. 20.4). Bisogna inoltre valutare l’integritàcorneale o ferite perioculari da non sottovalu-tare in quanto potrebbero rappresentare il pun-to di ingresso di eventuali corpi estranei rite-nuti in sede intraorbitaria (Fig. 20.5). Moltoimportante è anche la valutazione dell’acuitàvisiva, seppur grossolana, se non disponiamodi un ottotipo, perché è fondamentale nel dia-gnosticare l’instaurarsi di una neuropatia otti-ca traumatica in tempi precoci. Non dobbiamotrascurare la valutazione della motilità ocularenelle varie posizioni di sguardo e la presenzadi diplopia riferita da rivalutare comunque conuno schermo di Hess appena le condizioni cli-

niche sistemiche del paziente lo permettano,compresa la riduzione dell’ematoma e dell’e-dema dei tessuti periorbitari che potrebberoinficiare negativamente sull’esecuzione del-l’esame. Il riflesso pupillare deve essere valu-tato attentamente, soprattutto in urgenza, es-sendo anche questa una manovra di facile eimmediata esecuzione, che può però fornirciinformazioni sull’integrità anatomica e fun-zionale del nervo ottico; una midriasi monola-terale è un segno inequivocabile di un trauma-tismo del nervo ottico. L’esame clinico del pa-ziente non può comunque concludersi senzaaver effettuato una completa valutazione oftal-moscopica del fondo oculare. Bisogna tuttaviatener presente che, in alcuni traumi cranio-facciali, i segni clinici delle fratture orbitariepossono essere mascherati da un emoseno ma-scellare. In alcuni casi un ritardo del tratta-mento chirurgico di pochi giorni permetteràuna riduzione dell’edema e consentirà un esa-me più accurato; il trattamento di una fratturaorbitaria, tuttavia, non dovrebbe essere ritar-dato più del necessario, poiché la fibrosi dellamuscolatura estrinseca dell’occhio coinvoltanella frattura, la perdita di grasso orbitario e ilconsolidamento della frattura si verificano ra-pidamente e complicano il trattamento.

Fig. 20.3Valutazione dell’ipoestesia del territorio di innerva-zione del nervo infraorbitario.

Fig. 20.4Enfisema orbitario postfrattura della parete mediale dell’orbita destra; palpazione della regione orbitariache mette in evidenza il crepitio.

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110 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

20.4 Semeiotica delle fratture orbitarie

Frattura del pavimentoSegni e sintomi oculari: enoftalmo, diplopia,ipoestesia, blocco dell’elevazione, emorragiasottocongiuntivale ed ecchimosi perioculare.Segni e sintomi extraoculari: ipoestesia del-l’emivolto corrispondente.Prova delle duzione passiva: impossibilità adelevare il bulbo prendendo l’inserzione delretto inferiore con la pinza.Semeiotica radiologica: all’Rx in proiezionedi Caldwell il segno della “goccia” può rap-presentare sia un’erniazione del contenuto or-bitario nel seno mascellare sia un ematomasottomucoso. Con la TC orbite in sezione co-ronale (Fig. 20.6) si osserva la frattura del pa-

vimento, l’eventuale discesa del grasso orbita-rio nel seno mascellare e/o l’incarceramentodel muscolo retto inferiore nella rima di frattu-ra; la proiezione assiale (Fig. 20.6) permette divalutare l’enoftalmo comparando la posizionedei due bulbi in relazione alla linea bicantale.

Frattura della parete medialeSegni e sintomi oculari: telecanto, emorragiasottocongiuntivale ed ematoma, oftalmople-gia, epifora, enoftalmo, possibile alterazionedell’abduzione e dell’adduzione per compro-missione del muscolo retto mediale, eventua-le enfisema orbitario (Fig. 20.4).Segni e sintomi extraoculari: rinoliquorrea,epistassi.Semeiotica radiologica: TC orbita in sezionecoronale mette in evidenza la frattura e il col-

Fig. 20.5Caso clinico: C.R. di anni 82. Trauma OS in seguito a caduta accidentale su un rovo. Si presenta alla nostraosservazione con enoftalmo sn, ematoma palpebrale e palpebra inferiore entropizzata. Secrezione purulenta,ferita nel fornice inferiore e dolore. OSV 6/10 nat.; presenza di ferita palpebrale inferiore sinistra; l’esameTC mette in evidenza la presenza di un corpo estraneo ritenuto in sede intraorbitaria; corpo estraneo vegeta-le rimosso lungo circa 4,5 cm.

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Capitolo 20 Traumi cranio-facciali e orbitari

111QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

lasso della parete mediale verso le celle et-moidali, l’eventuale incarceramento del rettomediale nella rima di frattura, il collasso del-la lamina cribrosa, se presente mette in evi-denza un enfisema orbitario (Fig. 20.7); conla dacriocistografia possiamo riscontrare lacompromissione della via lacrimale e/o la di-slocazione del sacco lacrimale.

Frattura della parete lateraleSegni e sintomi oculari: pseudoptosi (per le-sione del legamento palpebrale laterale),emorragia sottocongiuntivale ed ematoma.Segni e sintomi extraoculari: ipoestesia del-l’emifaccia corrispondente.Semeiotica radiologia: all’Rx cranio visibilela frattura dello zigomatico con abbassamen-

Fig. 20.6TC orbite proiezioni coronale ed assiale: frattura del pavimento orbitario.

Fig. 20.7TC orbita assiale: enoftalmo, cedimento della parete interna, incarceramento del muscolo retto interno; of-talmoplegia restrittiva che impedisce l’abduzione di OS. Importante enfisema orbitario dalle celle etmoidaliattraverso la breccia ossea.

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Pronto Soccorso Oculistico

112 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

to del malare, la discesa di quest’ultimo è ov-viamente facilmente osservabile con la TC.

Frattura del tetto dell’orbitaSegni e sintomi oculari: possibile alterazionedel retto superiore e dell’elevatore della pal-pebra con conseguente diplopia verticale,ptosi per interessamento diretto dell’elevato-re o lesione diretta della branca superiore delIII nervo cranico, enoftalmo, a volte esoftal-mo pulsante.Segni e sintomi extraoculari: rinoliquorrea,anosmia.Semeiotica radiologica: all’Rx in proiezionemento-naso e alla TC è possibile vederel’alterazione della cornice superiore dell’or-bita, ed un eventuale meningocele postrau-matico.

Frattura dell’apice orbitarioSegni e sintomi oculari: sindrome da interru-zione fisiologica del nervo ottico con assenzadel riflesso fotomotore diretto con midriasi eamaurosi; oftalmoscopicamente possiamoosservare una papilla ottica in prima fasenormale poi atrofica. Il trauma del nervo otti-co può essere contusivo (indiretto) o pene-trante (diretto) e di conseguenza può verifi-carsi un’alterazione del campo visivo centra-le, un deficit fascicolare o totale.Segni e sintomi extraoculari: generalmenteassenti.Semeiotica radiologica: con le immagini TCsi possono rilevare fratture del canale ottico,gli edemi, gli ematomi e la presenza di fram-menti ossei. Utile anche un’ indagine RM permeglio valutare i tessuti del nervo ottico, ema-tomi ed edemi che possono eventualmentedanneggiare per compressione il nervo stesso. Come esame aggiuntivo molto utile a finidiagnostici e prognostici è l’esecuzione di unpotenziale evocato visivo.

20.5 Trattamento delle fratture orbitarie

L’obiettivo primario del trattamento chirurgi-co è quello di ottenere il ripristino del volumedella cavità orbitaria, ristabilendo il correttorapporto tra contenuto e contenente in gradodi risolvere l’enoftalmo e l’esof talmo e libera-re la muscolatura oculare estrinseca per con-sentire al bulbo di muoversi liberamente intutte le direzioni e risolvere così la diplopia. Nella terapia delle fratture orbitarie un impor-tante fattore prognostico è rappresentato daltempo che intercorre tra il trauma e l’interventochirurgico che non dovrebbe superare i 10-14giorni a causa dell’instaurarsi - dopo tale perio-do - di fenomeni cicatriziali e conseguenti re-trazioni a carico della muscolatura. Tale eve-nienza non permette, anche in presenza di unintervento tecnicamente corretto, la scomparsain prima istanza della diplopia a causa dell’in-carceramento dei muscoli e costringe a lunghiperiodi di rieducazione oftalmologica o talvoltaa successivi interventi chirurgici di allunga-mento secondario del muscolo. La terapia chirurgica delle fratture tipoblow-out, un tempo fonte di diatriba tra in-terventisti e non interventisti, viene general-mente riservata ai seguenti casi: presenza diincarceramento muscolare o di rilevanti pro-blematiche funzionali muscolari o nervose;enoftalmo acuto e/o dislocazione del bulbo;fratture senza segni clinici ma con aumentodel volume orbitario superiore al 10% a cau-sa dell’elevata probabilità di un enoftalmoresiduo a distanza. L’approccio per questotipo di frattura è per via anteriore e può ave-re tre diverse vie di accesso, sottorbitaria,palpebrale inferiore, transcongiuntivale infe-riore e prevede la liberazione del muscoloincarcerato e il posizionamento di una lami-na, di diversi tipi di materiale (polietilene

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Capitolo 20 Traumi cranio-facciali e orbitari

113QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

poroso, metilmetacrilato, reti in titanio, resi-ne, silicone, osso bovino trattato) che siadatterà alle caratteristiche dell’area frattu-rata coprendo la breccia ossea.

20.6 Fratture facciali multiple complesse

Le fratture facciali multiple coinvolgono perdefinizione segmenti ossei adiacenti apparte-nenti a strutture ossee adiacenti appartenentia strutture ossee diverse, costituenti il mas-siccio facciale; tali fratture sono pertanto dicompetenza oculistica e maxillo-facciale evengono comunemente raggruppate nellaclassificazione di Le Fort, che le suddivide inLe Fort I, II e III (Fig. 20.8).La frattura di Le Fort I è detta anche orizzon-tale ed è causata da una forza diretta verso ilbasso sul bordo alveolare della mascella,

coinvolge solitamente la porzione inferioredell’apertura piriforme. La frattura si estendedal setto nasale al di sopra degli apici dentarie attraversa la sutura sfeno-mascellare fino ainterrompere i processi pterigoidei dello sfe-noide. È conosciuta anche come frattura diGuerin o palato fluttuante.Segni e sintomi: possiamo osservare un leg-gero gonfiore del labbro superiore, ecchimo-si al fornice superiore e sotto gli archi zigo-matici, malocclusione buccale e mobilitàdentaria.La frattura di Le Fort II, detta anche media opiramidale, è causata da impatto violentodalla parte centrale del volto e di solito coin-volge il bordo inferiore dell’orbita. Tale frat-tura ha una forma piramidale e si estendedalla radice del naso a livello o appena al disotto della sutura naso-frontale, attraversa iprocessi frontali dell’osso mascellare, si diri-ge quindi lateralmente e verso il basso attra-

Fig. 20.8Fratture secondo linee di Le Fort. A: Le Fort I; B: Le Fort II; C: Le Fort III.

A B C

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Pronto Soccorso Oculistico

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verso le ossa lacrimali e il pavimento dell’or-bita, procede quindi al di sotto dello zigomoe attraverso la fessura pterigo-mascellare ter-mina sui processi pterigoidei dello sfenoide.Segni e sintomi: possiamo facilmente rilevarela presenza di un gradino sul bordo infraorbi-tario, anestesia o parestesia della guancia. Incaso di frattura grave con coinvolgimento deiseni frontali ed etmoidali si può avere rinoli-quorrea.La frattura di Le Fort III, detta anche alta, tra-sversale o disgiunzione cranio-facciale, coin-volge solitamente l’arco zigomatico. Può av-venire in seguito a impatto sulla radice del na-so o sulla parte superiore dell’osso mascellare.La lesione inizia presso la sutura fronto-ma-scellare e la naso-frontale, si estende poste-riormente lungo la parete mediale dell’orbitaattraverso il solco nasolacrimale e l’etmo ide.

Lo spessore dello sfenoide posteriormente disolito previene la continuazione della fratturaattraverso il canale ottico. La frattura proseguequindi lungo il pavimento orbitario e lungo lafessura orbitaria inferiore continuando supe-riormente e lateralmente attraverso la paretelaterale dell’orbita e la sutura zigomatica-frontale e l’arco zigomatico.Segni e sintomi: osservando un paziente confrattura di Le Fort tipo III possiamo notareun allungamento del volto, enoftalmo e inca-pacità a mantenere la palpebre aperte.Dobbiamo infine ricordare che le fratture diLe Fort II e III hanno in comune alcuni segnie sintomi come: edema dei tessuti molli nelterzo medio del volto, ecchimosi bilateraleattorno alle orbite, emorragia bilaterale sot-tocongiuntivale, epistassi, diplopia ed enof-talmo.

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115QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Capitolo 21

Le misure atte alla gestione delle ferite lace-ro-contuse delle palpebre devono seguire, perquanto possibile, un percorso logico-tempo-rale d’intervento che è schematicamente rias-sunto nella Tabella 21.I. Prima di tutto occor-re escludere l’eventuale associazione con le-sioni generali maggiori che sono, ovviamen-te, di prioritaria importanza e devono esseregestite dagli specialisti competenti al fine disupportare le principali funzioni vitali(1).Quindi occorre stabilire l’eventuale presenzadi lesioni a carico del bulbo oculare che pos-sono comportare una riduzione permanentedella funzione visiva e per questo è necessa-rio eseguire un esame delle strutture bulbariper verificarne l’in tegrità anatomica e la ca-pacità funzionale. Solo successivamente ver-ranno prese in considerazione e ridotte le le-sioni a carico degli annessi. Un eventuale er-rore di valutazione degli effetti di un traumapuò comportare delle serie ripercussioni me-dico-legali con un’assunzione di responsabi-lità che difficilmente può essere ripartita percompetenza nei confronti delle varie figureprofessionali che si possono alternare e so-vrapporre nell’assistenza a un politraumatiz-zato(2). Nel caso di una ferita lacero-contusadelle palpebre deve essere attentamente valu-tata la localizzazione, l’estensione e la pro-fondità delle lesioni in modo da definire l’in -tegrità o meno del margine, della cute, deltarso, delle vie lacrimali(3) e delle altre com-ponenti strutturali, le eventuali perdite di so-stanza e anche la presenza di corpi estranei(4).In casi selezionati, in relazione alla tipologia

del trauma, può essere indicata l’esecuzionedi esami diagnostici per immagini in regimedi urgenza, tra quelli possibili la TAC è in ge-nere l’esame di elezione. In merito alla tem-pistica d’inter vento qualsiasi ferita aperta, in-dipendentemente dalla sede, deve essere ri-dotta nel più breve tempo possibile; nell’am-bito delle ferite palpebrali la regola talvolta

Ferite lacero-contuse delle palpebreGiovanni Battista Frongia

Tabella 21.I

SEQUENZA LOGICO-TEMPORALE DIINTERVENTO NEI TRAUMI DELL’ORBITA,

DELLE PALPEBRE E DELLE VIE LACRIMALI

• Stabilizzazione e valutazione clinica generale

• Raccolta dei dati anamnestici e dello statosoggettivo

• Valutazione della ferita, dei segni associati edella funzione visiva

• Indagini aggiuntive e consulenze

• Classificazione

• Documentazione fotografica

• Tempistica d’intervento

• Informazione e consenso

• Pulizia, disinfezione, misure di profilassiantibiotica e terapia antalgica

• Preparazione del paziente

• Anestesia

• Intervento ricostruttivo, medicazione ebendaggio compressivo

• Follow-up e reinterventi

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Pronto Soccorso Oculistico

116 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

può essere ponderatamente disattesa senzache si manifestino rischi o conseguenze di ri-lievo e può essere del tutto appropriato e con-veniente, sia per l’operatore e sia per il trau-matizzato, che la ricostruzione venga differitaper permettere di intervenire nelle condizioniottimali e di raggiungere un risultato migliore.Nell’attesa dell’intervento è necessario met-tere in essere tutte le misure possibili permantenere umettata la cornea e ridurre il ri-schio di contaminazioni e infezioni della fe-rita. Nella riparazione delle ferite delle pal-pebre può essere impiegata l’anestesia gene-rale o locale in associazione o meno con unasedo-analgesia in funzione delle specifichecircostanze. La pulizia della ferita medianteirrigazione e detersione meccanica con solu-zione fisiologica e la disinfezione con povi-done ioduro diluito o altro disinfettante(5),previa instillazione di un collirio anestetico,consente di ottenere un buon campo di osser-vazione e di ridurre concretamente il rischiod’infezione. La rimozione dei residui e deicorpi estranei evita il tatuaggio, la formazio-ne di tragitti fistolosi e di fenomeni infiam-matori, suppurativi e granulomatosi cronici.In questa prima fase è utile anche applicaresull’area contusa a più riprese un impacco

freddo poiché previene il progredire dell’e-dema, mantiene vitali i tessuti e allevia il do-lore. Allo scopo di minimizzare ulteriormen-te il rischio d’infezione è opportuno di rego-la, per queste ferite considerate “sporche”per definizione, prescrivere una profilassi an-tibiotica ad ampio spettro per via sistemica.È inoltre indispensabile conoscere lo stato diimmunizzazione antitetanica per provvederequando è necessario alla somministrazione dianatossina tetanica o di immunoglobulineantitetaniche umane(6). In particolare quandoil trauma è conseguente al morso di animale(Fig. 21.1) occorre considerare le precauzio-ni nei confronti della rabbia (quarantena del-l’animale, vaccinazione e immunoglobuline)anche in relazione all’area geografica nellaquale si è verificata l’aggressione. Per quantoriguarda la segnalazione di casi autoctoninell’uomo nella nostra nazione gli ultimi so-no riferiti al lontano 1968. In riferimento allascelta della procedura da adottare nella rico-struzione delle palpebre(7) occorre prendere inconsiderazione innanzi tutto la dimensione eposizione del difetto, gli strati dei tessuti in-teressati e anche la distensibilità dei tessutiche generalmente è molto maggiore nei sog-getti anziani piuttosto che nei giovani. L’e -

BA

Fig. 21.1A: ferita lacera da morso di cane interessante il canto interno e il margine della palpebra inferiore a tuttospessore. B: esiti ricostruttivi dopo 3 mesi.

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Capitolo 21 Ferite lacero-contuse delle palpebre

117QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

sperienza suggerisce di rimuovere con estre-ma prudenza qualsiasi parte di tessuto palpe-brale anche apparentemente compromesso,di identificare da subito i punti di repere(margine ciliare, linea grigia, canti ecc.), diricostruire i piani strato per strato, dal pro -fondo al superficiale, e di porre la massimaattenzione all’emostasi. In particolare nel ca-so di ferite palpebrali limitate allo strato su-perficiale (cute e muscolo orbicolare) è pos-sibile ridurre facilmente il difetto con l’u -tilizzo di suture dirette non riassorbibili men-tre, nel caso di ferite interessanti anche ilmargine palpebrale, le difficoltà aumentanodovendosi ricercare il perfetto allineamentodei monconi marginali diastasati. In questaseconda ipotesi si deve adottare la regola del-la sutura intermarginale e della sutura su duepiani (profonda, tarso-congiuntivale e super-ficiale, orbicolare-cutanea). Nel caso ulterio-re di associata perdita di sostanza la ricostru-zione deve essere preceduta dalla preparazio-ne della ferita in modo da riapprossimarecorrettamente i margini diastasati del tarsoadottando la regola del riallineamento penta-

gonale previa rifilatura dei margini. Infine,quando le dimensioni del difetto sono moltoampie e non è possibile la ricostruzione di-retta si devono mobilizzare i tessuti limitrofi,allentare le tensioni con l’esecuzione di can-totomie e cantolisi e quindi, se non è ancorasufficiente, utilizzare delle procedure rico-struttive più complesse quali i lembi o gli in-nesti. È opportuno puntualizzare che i lembie gli innesti andrebbero preferibilmente im-piegati nelle ricostruzioni elettive secondariedal momento in cui è avvenuta la stabilizza-zione della ferita che in genere si osservaquando sono trascorsi sei mesi dal trauma; ilcongruo intervallo consente la completa riso-luzione dell’edema e delle ecchimosi, il ripri-stino del drenaggio linfatico e la maturazionedelle varie fasi della cicatrizzazione.L’elaborazione del presente capitolo, estre-mamente sintetico per ovvie esigenze edito-riali, è una ulteriore occasione per riproporre,come per altri contributi analoghi(8-10), una se-quenza razionale di intervento al fine di potermeglio gestire un trauma della regione orbi-to-palpebrale.

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118 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Capitolo 22

Traumi delle vie lacrimaliLuigi A. Bauchiero, Giuseppe Vadalà, Emiliano Tempo

I traumi delle vie lacrimali possono verificarsinei casi di lesioni traumatiche palpebrali, orbi-tarie e cranio-facciali. Soltanto un’accurataanamnesi e un attento esame obiettivo consen-tono la diagnosi del tipo di danno e soprattuttodel livello in cui è avvenuto (puntini lacrimali,canalini, sacco o dotto nasolacrimale).

22.1 Traumi dei puntini e dei canalini lacrimali

I traumi della regione canalicolare rappre-sentano il 16% delle lesioni traumatiche pal-pebrali; le lesioni a livello della palpebra in-feriore sono assai più frequenti di quelle del-la palpebra superiore e spesso sono associatea lacerazioni del canalino inferiore (nel 75%dei casi)(1) (Fig. 22.1).Puntini e canalini lacrimali possono essere

danneggiati da traumi meccanici (morso, in-cidente stradale, infortunio ecc.), chimici, fi-sici o iatrogeni (dopo sondaggi o dopo usoprolungato dei tutori in silicone utilizzati permantenere la pervietà in dacriocistorinosto-mie o intubazione dei canalini)(2).In caso di traumi che interessano l’intera pal-pebra, nella maggior parte dei casi la lacera-zione avviene in corrispondenza del canalino,perché a questo livello è scarsa la quantità distrutture fibrose tarsali di rinforzo: la giunzio-ne fra il tarso e il tendine cantale mediale rap-presenta il cosiddetto locus minoris resisten-tiae. Il punto lacrimale rimane solitamente il-leso in virtù della sua maggiore resistenza de-rivante dallo sfintere fibroso che lo costitui-sce: il tessuto fibroso del tarso è decisamentepiù resistente del tendine cantale mediale(3).Nella gestione del paziente, dopo un’accura-ta anamnesi e un esame completo dell’appa-rato oculare, occorre eseguire un’attenta va-lutazione della ferita e considerare l’eve -nienza della lateralizzazione del punctum,l’arrotondamento del canto mediale e la pos-sibile presenza di grasso orbitario. Indispen-sabili sono la TC del massiccio facciale edeventualmente la RMN.Nell’immediato, è utile irrigare la ferita apressione con soluzione fisiologica, applica-re un bendaggio umido e impostare una tera-pia antibiotica sistemica (specie in caso dimorso e/o di esposizione di grasso orbitario).Generalmente, poiché le palpebre sono beneirrorate (il pericolo di infezione e necrosi an-

Fig. 22.1Lacerazione della palpebra e del canalino inferiore

(da morso di cane).

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Capitolo 22 Traumi delle vie lacrimali

119QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

che dopo il golden time di 6 ore continua adessere scarso), la ricostruzione del canto in-terno può attendere fino a 24-48 ore ed èconsigliabile affidare il caso ad un chirurgoesperto(4).In presenza di una lesione canalicolare, oc-corre procedere innanzitutto con l’ispezionediretta al microscopio operatorio per identifi-care il meato laterale e il meato mediale e,successivamente, con la verifica dell’inte-grità delle vie lacrimali prossimalmente allalesione; soltanto dopo si procede all’intuba-zione e alla ricostruzione delle vie lacrimali edelle palpebre. L’identificazione del meatodistale può essere condotta con una sonda diBowman; quella del meato prossimale puòavvenire mediante visualizzazione diretta ocon l’utilizzo di soluzione fisiologica, blu dimetilene, fluoresceina diluita, viscoelastico osemplicemente insufflando aria (bubble-test)dal canalino opposto.La terapia chirurgica consiste, previa suturadelle lacerazioni dei punti e dei canalini, nel-l’intubazione mono- o bicanalicolare, cheverrà mantenuta in dimora da 6 settimane a 6mesi a seconda del caso clinico. L’intu ba -zione monocanalicolare è più indicata nellelesioni prossime al punctum; quella bicanali-colare serve a riavvicinare i bordi della ferita,favorisce l’allineamento anatomico del difet-to palpebrale e diminuisce la tensione sullachiusura finale della ferita (si manipola il ca-nalino sano)(5).Nel caso fosse leso un solo canalino, il com-portamento da adottare è oggetto di contro-versie: secondo alcuni Autori sarebbe meglionon rischiare di danneggiare il canalino inte-gro e il dotto comune, perché il canalino ri-manente sarebbe più che sufficiente(6-9); se-condo altri(10,11) bisognerebbe tentare comun-que il ripristino del sistema.In conclusione, la gestione di un trauma delle

alte vie lacrimali dovrebbe sempre compren-dere un accurato bilancio delle lesioni, unapronta decisione delle priorità (i canalicolivanno riparati in tempi brevi), l’intubazionee un’attenta ricostruzione (senza danneggiareil canalino integro).L’eventuale dacriocistorinostomia andrebbeeseguita non prima di 3-4 mesi dal primo in-tervento.

22.2 Traumi del sacco e del dotto nasolacrimale

Il sacco e il dotto nasolacrimale raramentesono soggetti a traumatismi diretti, poichésono protetti all’interno della fossa lacrima-le: di solito queste lesioni si verificano inpresenza di fratture ossee che interessano ilmassiccio facciale e l’orbita(12).L’ecchimosi palpebrale, gli ematomi perior-bitari e l’edema tissutale rendono difficile ladiagnosi precoce, impedendo ogni indaginesemeiologica, incluse l’ispezione, il sondag-gio e l’irrigazione. Qualsiasi sospetto clinicodeve essere pertanto confermato dalla TC.In presenza di traumi cranici, devono essereovviamente rispettate le priorità del caso cli-nico e quindi può essere rimandato il proble-ma della pervietà delle vie lacrimali. Nei ca-si, invece, in cui sono presenti lesioni asso-ciate a fratture che richiedono interventi ripa-rativi, conviene intervenire prima che le frat-ture si consolidino(13). In tali casi, la dacriocistorinostomia ab exter-no è l’intervento più raccomandato (operan-do con molta cautela, avendo cura di asporta-re le schegge ossee che comprimono o po-trebbero comprimere il sistema lacrimale didrenaggio)(12).Qualora non fosse possibile l’anastomosi frala mucosa del sacco e quella del naso, oppure

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Pronto Soccorso Oculistico

120 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

in presenza di esiti cicatriziali completi, si puòricorrere a una congiuntivo-dacriocistorinono-

stomia e mantenere la pervietà delle vie lacri-mali con un’intubazione bicanalicolare(4,12,13).

1. Kuhn F. Strategic thinking in eye trauma manage-ment. Ophthalmol Clin North Am 2002;15(2):171-7.Review.2. Wulc AE, Arterberry JF. The pathogenesis of canalic-ular laceration. Ophthalmology 1991;98:1243-9.3. Mantovani E. Fisiologia del sistema lacrimale di de-flusso. In: Steindler P, Ed. Il sistema lacrimale. FabianoEd., 2000:95-108.4. Steindler P. Intubazione del sistema lacrimale. In:Steindler P, Ed. Il sistema lacrimale. Fabiano Ed.,2000;425-432.5. Spinelli HM, Shapiro MD, Wei LL, Elahi E, Hir-mand H. The role of lacrimal intubation in the manage-ment of facial trauma and tumor resection. Plast Re-constr Surg 2005;115(7):1871-6.6. Hurwitz JJ, Eplett CJ, Fliss D, Freeman JL. Orbitalhemorrhage during dacryocystorhinostomy. Can JOphthalmol 1992;27(3):139-42.7. Canavan YM, Archer DB. Long-term review of in-juries to the lacrimal drainage apparatus. Trans Oph-

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Bibliografia

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Capitolo 23

121QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

23.1 Introduzione

L’incidenza delle causticazioni oculari oggivaria dal 7,7% al 18% di tutti i traumi ocula-ri, i quali possono determinare un dannoesteso alle strutture della superficie oculare,gravi deficit funzionali e anche ripercussioniin ambito psicologico, sociale ed economico.La severità del danno oculare dipende dallaconcentrazione di anioni o cationi, dal volu-me, dalla durata del contatto e dalla tossicitàintrinseca della sostanza chimica. L’esten -sione del trauma congiuntivale, la presenza eil grado di causticazione cutanea, la relativaalterazione della funzione delle palpebre el’eventuale innalzamento della pressione in-traoculare possono influenzare notevolmentela prognosi.L’anamnesi può fornire informazioni sul tipodi agente chimico coinvolto e sul tempo dicontatto con la sostanza.

23.2 Terapia di emergenza

La terapia di emergenza consta principal-mente di:• irrigazione continua;• rimozione di detriti e parti necrotiche;• controllo del pH;• controllo della pressione intraoculare.Innanzi tutto è necessario rimuovere la so-stanza chimica.Un’irrigazione immediata con acqua viene

spesso già iniziata sul luogo dell’incidentedai pazienti e rappresenta un importante fat-tore prognostico. Una volta arrivati al prontosoccorso l’irrigazione deve essere prolungatae continua ed effettuata su tutta la superficieoculare, invitando il paziente a guardare intutte le direzioni. Il procedimento può essereagevolato dall’instillazione di una goccia dianestetico o dall’utilizzo di un blefarostato.I fluidi migliori sono il Ringer lattato e la so-luzione salina bilanciata poiché hanno un’o-smolarità simile a quella corneale. Le quan-tità di fluido richieste possono variare molto.Dovrebbero essere impiegati almeno 500-1000 ml di fluido per almeno 15 min. fino a2-4 ore, continuando fino a che l’appli ca -zione di cartine tornasole nel sacco congiun-tivale non mostra una normalizzazione delpH. Se ciò non avviene bisogna considerarela possibilità che siano ancora presenti parti-celle della sostanza lesiva. L’eversione palpe-brale è dunque necessaria per pulire anche ifornici e il cul de sac congiuntivale, serven-dosi di un cotton fioc imbevuto di acido eti-lendiaminotetracetico (EDTA) 1% nei casi incui l’agente lesivo contenga ossido di calcio,come calce e cemento.Se è presente tessuto necrotico corneale ocongiuntivale, la sua rimozione è fondamen-tale per favorire la riepitelizzazione e ridurrel’infiammazione.L’elevazione della pressione intraoculare èun’evenienza non infrequente nei traumi chi-mici oculari che va normalizzata con l’impie -

Ustioni della superficie oculare e della corneaEnrica Sarnicola, Caterina Sarnicola, Vincenzo Sarnicola

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Pronto Soccorso Oculistico

122 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

go di acetazolamide, se necessario associataa β-bloccanti topici.

23.3 Terapia nella fase acuta

Nei casi lievi i segni che si possono riscon-trare sono: difetti epiteliali (visibili conl’applicazione di fluoresceina e l’esame allalampada a fessura con filtro blu), chemosicongiuntivali, emorragie, edema palpebrale,reazione in camera anteriore e lievi ustionicutanee. La terapia consigliata consiste in:• antibiotici topici;• cicloplegico (evitando di utilizzare la feni-

lefrina per la sua azione vasocostrittrice);• lacrime artificiali senza conservanti in

grandi quantità, anche ogni ora;• antidolorifici orali in caso di dolore;• steroidi topici nel caso di infiammazioni si-

gnificative. Vanno sospesi dopo 7-10 giornie andrebbero somministrati dopo aver esclu-so la presenza di infezioni e ulcere corneali;

• alcuni Autori consigliano anche l’utilizzodi inibitori delle collagenasi, e autosiero;

• considerare l’utilizzo di LAC terapeutica obendaggio occlusivo per favorire la riepite-lizzazione corneale;

• continuare a monitorare la pressione in-traoculare;

• controllare il paziente a brevi intervalli digiorni, fino alla completa riepitelizzazionecorneale.

Nei casi gravi l’esame obiettivo oculare puòmostrare sbiancamento peribulbare, edema eopacizzazione corneale (fino anche a impedi-re la visualizzazione di camera anteriore, iri-de e cristallino), difetti epiteliali corneali im-portanti (ulcere o perforazioni), lesioni pal-pebrali. Per questi pazienti è consigliabile unricovero ospedaliero per un attento monito-raggio della pressione intraoculare e dellaguarigione corneale.• Eseguire la lisi delle aderenze congiuntiva-

li quando presenti. Si può strofinare un ap-plicatore di cotone umido ricoperto da po-mata antibiotica lungo i fornici congiunti-vali. Se, malgrado il tentativo di lisi, iniziaa formarsi un simblefaron, considerarel’utilizzo di un guscio sclerale o di un anel-lo per preservare i fornici.

• In caso di difetti epiteliali persistenti, ulce-re o perforazioni valutare:- tarsorrafia;- innesto di membrana amniotica;- occlusione dei punti lacrimali;- tarsorrafia collanti acrilici.

È raccomandabile rimandare il trapianto cor-neale (perforante o lamellare) fino a quandol’occhio non sia in quiete, con una buona fun-zionalità dell’ammiccamento e ben bagnato.

• Kunimoto DY. The wills eye manual. Diagnosi tratta-mento medico e chirurgico delle patologie oculari.2006 Verduci Editore.

• Sarnicola V, Conti L. Le ustiocausticazioni corneocon-giuntivali da agenti chimici. Clinica e trattamento. Sim-posio S.I.C.S.S.O. in S.O.I., 2003. I.N.C. Editore.

Bibliografia essenziale

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Capitolo 24

123QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

24.1 Segmento anteriore

Nel caso di traumi contusivi si devono distin-guere le contusioni dirette in cui il corpocontundente colpisce direttamente il bulbooculare, dalle contusioni indirette, in cui ven-gono colpite le strutture ossee vicino al bul-bo, oppure quest’ultimo risente della brusca“accelerazione-decelerazione” subita da tuttoil corpo. Al momento dell’impatto a livellodel bulbo si verifica un repentino accorcia-mento nella direzione della traiettoria del-l’oggetto contundente con conseguente au-mento degli altri suoi diametri. La corneaviene spinta contro il diaframma irido-lenti-colare che viene proiettato bruscamente al-l’indietro verso la camera vitrea(1,2). L’aumento marcato del diametro trasversaledel bulbo determinerà uno stiramento sullefibre zonulari e sulla base vitreale. L’entità el’estensione dei danni alle strutture endocu-lari dipendono dall’energia cinetica e dallamassa del corpo contundente al momentodell’impatto contro il bulbo ed i maggioridanni alle strutture endoculari avverrebberoin prossimità delle interfacce tra tessuti condensità diversa (meccanismo del “colpo-con-traccolpo”)(3-5).

IpoemaAl momento di una contusione diretta sulbulbo oculare, un’onda di pressione spingeràl’acqueo e il tessuto irideo contro il cristalli-no. L’iride risulta essere particolarmente vul-

nerabile a quest’azione, con conseguente dia-lisi o rottura dell’orletto pupillare. L’inter -ruzione della ricca rete vascolare iridea portaal sanguinamento in camera anteriore(6,7).Un’altra possibile fonte di ipoema è rappre-sentata dalla lesione delle strutture angolari(recessione angolare) con arretramento dellaradice iridea e conseguente danno trabecola-re. In alcuni casi il sangue invade completa-mente la camera anteriore e le strutture ocula-ri inteme non sono visibili, mentre sovente, ilsangue si livella e si può intravedere l’iride ela pupilla attraverso un fitto tyndall ematico. La terapia perseguirà tre scopi principali: 1. promuovere l’arresto del sanguinamento

in camera anteriore e il progressivo rias-sorbimento del sangue (farmaci antifibri-nolitici);

2. evitare l’aumento del tono oculare in se-guito all’ingorgo trabecolare (farmaci ipo-tonizzanti oculari);

3. impedire la formazione di sinechie poste-riori nel caso si associno fatti infiammato-ri importanti (farmaci pupillocinetici).

Quando il sangue non si riassorbe e si asso-cia a ipertono oculare si dovrà intervenirechirurgicamente per evitare ulteriori compli-canze (ematocornea, scompenso corneale)(8,9).

Lesioni dell’iride - iridodialisiLe più frequenti lesioni dell’iride in seguito aun trauma contusivo sono: • lacerazione del tessuto irideo;• rottura dello sfintere;

Traumi a bulbo chiusoLucia Zeppa, Giovanni Inserra, Ciro Costagliola

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124 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

• iridodialisi;• sinechie irido-corneali periferiche. Al momento del primo controllo si dovrà va-lutare se, oltre all’iride, altre strutture sonostate danneggiate dal trauma e quale atteg-giamento l’oftalmologo dovrà adottare nelcaso non sia necessaria un’ampia ricostruzio-ne del segmento anteriore. Rimane comun-que obiettivo fondamentale: • ricostruire un diaframma irideo per evitare

la formazione di sinechie anteriori;• riallineare la pupilla all’asse ottico;• prevenire la diplopia monoculare;• liberare l’angolo delle goniosinechie peri-

feriche.

Cataratta traumatica - dislocazione esublussazione della lenteLe cataratte da traumi meccanici contusivimolto sovente sono associate a danni zonula-ri anche molto gravi che, in alcuni casi, pos-sono determinare oltre a sublussazione anchedislocazione del cristallino dalla sua sede na-turale. L’entità e l’estensione dei danni di-pendono dall’energia cinetica del corpo con-tundente, dalla direzione e dalla sede del-l’impatto sul globo oculare. L’energia scari-cata non si esaurisce totalmente al momentodell’impatto, ma si propaga all’interno delbulbo sotto forma di un’onda di forza. Almomento dell’impatto, se questo è direttosulla cornea (i più frequenti), un’onda dipressione spingerà la cornea, l’acqueo e l’iri -de contro la capsula anteriore del cristallino elo stesso contro il vitreo (contraccolpo); sipotranno così verificare danni alla cristalloi-de, all’epitelio lenticolare e all’apparato zo-nulare(12). La zonula, messa in forte tensioneper la proiezione posteriore del cristallino,subisce un contemporaneo contraccolpo acausa della dilatazione trasversale del bulbo,che aumenta il diametro dell’anello circolare

(corpo ciliare) su cui le fibre zonulari sonoinserite. Questa doppia azione traumaticapuò determinare una disinserzione zonulareche da parziale, con gradi di diversa entità,può diventare totale e sovente si associa aevulsione della base vitreale ed erniazionedel vitreo in camera anteriore(13).Questo tipo di patologia è meno frequentenelle contusioni indirette in cui vi è prevalen-za dei danni legati al propagarsi dell’onda didanneggiamento a livello delle interfacce(cataratta sottocapsulare) rispetto a quelli le-gati alle variazioni del diametro del bulbo. Alla luce di quanto esposto si possono pre-sentare diverse situazioni cliniche e si ritienecorretta un’attenta valutazione clinico-dia-gnostica e terapeutica prima di procedere a uneventuale atto chirurgico che, nelle maggiorparte dei casi, è sicuramente complesso e fo-riero di ulteriori complicanze. A volte, infatti,senza intervento chirurgico anche una rotturadella capsula anteriore può evolvere favore-volmente formando un’opacità settoriale delcristallino; inoltre, alcune volte, subito dopoil trauma, è difficile distinguere una catarattadalla fibrina che sovente riveste il campo pu-pillare. Stabilita la necessità di un interventoper la ridotta funzione visiva, per l’ipertono oper il rischio di dislocazione di un cristallinolussato, è importante esaminare attentamentela lente e verificare se vi sia facodonosi e iri-dodonesi e se vi sia la presenza di vitreo incamera anteriore, cercando di valutare con at-tenzione il danno zonulare. L’ecografia bul-bare può essere di estrema utilità, soprattuttoquando vi è scarsa trasparenza dei mezzi diot-trici, per valutare la sede del cristallino,l’integrità della capsula e la possibile presen-za di materiale lenticolare verso la camera vi-trea per rottura capsulare posteriore(14). I quadri clinici che si possono presentare sono: • cataratta con zonula intatta;

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Capitolo 24 Traumi a bulbo chiuso

125QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

• sublussazione o dislocazione della lentecon o senza cataratta zonulare.

Sublussazione o dislocazione della lentecon o senza catarattaLa presenza di una sublussazione o disloca-zione della lente non è necessariamenteun’indicazione all’intervento chirurgico. Sela lente è dislocata posteriormente può esserelasciata nel vitreo se non vi è reazione in-fiammatoria, e il paziente corretto con lente acontatto ha una visione soddisfacente. Se la lente sublussata è ancora in sede e senon vi sono altre complicazioni l’uso di mio-tici associati a iridectomia consentono una ri-duzione dei disturbi e una visione ancora va-lida riducendo la diplopia e l’astigmatismoindotto dall’obliquità della lente(15). Numerose sono però le indicazioni a un in-tervento chirurgico: • dislocazione della lente in camera anterio-

re che richiede un atto chirurgico urgente; • marcata riduzione dell’acuità visiva per opa-

cità o grave sublussazione del cristallino;• diplopia monoculare non risolvibile con

miotici;• dislocazione posteriore associata a fatti in-

fiammatori o a ipertono oculare;• necessità di eseguire chirurgia vitreoretini-

ca per patologia associata.

24.2 Segmento posteriore

EmovitreoL’emorragia vitreale complica il 6% dei trau-mi oculari(16) con un aspetto clinico che variadal semplice tyndall ematico a una vera epropria emorragia massiva; può derivare dal-la diffusione posteriore di un ipoema secon-dario a lesione dell’iride o del corpo ciliare,o da una rottura retinica periferica e del vaso

a ponte sulla rottura, o da un distacco di cor-po vitreo con avulsione dei vasi retinici su-perficiali, o da una rottura posteriore come larottura della coroide. Il management prevedeil follow-up con l’esplorazione diretta quan-do possibile, o con controlli ecografici peruno-due mesi; 1’intervento è indicato in casodi mancata risoluzione clinica, di possibiledistacco di retina. L’emovitreo è comunqueuna causa di evoluzione degenerativa del vi-treo e quindi aumenta il rischio legato allepossibili complicanze del distacco di vitreo.

Distacco posteriore di vitreo - PVDI traumi contusivi possono causare il PVDcon meccanismo sia diretto, trauma oculare,che indiretto, ad esempio trauma cranico ecolpo di frusta(17).Nel distacco di corpo vitreo si ha la separa-zione della corticale vitreale dalla limitanteinterna.Le complicanze del PVD sono le rotture reti-niche periferiche, nel 90% associate a PVD eil 10-15% dei PVD sono associati a rottura,le emorragie vitreali (nel 7,5% dei PVD), lerotture maculari e paramaculari specie nellamiopia elevata e nei traumi, le membraneepiretiniche specie nei PVD emorragici, ilforo maculare idiopatico(18).

Commotio retinae È una lesione da contraccolpo che può avve-nire in periferia o al polo posteriore, nel qualcaso si definisce “edema di Berlin”. La retinaappare normale subito e per alcune ore dopoil trauma; quindi il paziente lamenta un calovisivo e la zona interessate diventa bianca eopaca, per contrasto la macula può assumerel’aspetto rosso ciliegia; non è presente fluidointercellulare, ma la disorganizzazione el’ispessimento edematoso dello strato esternodella retina: l’evoluzione è generalmente fa-

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126 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

vorevole anche se qualche volta si verifica ladistruzione dei fotorecettori. L’edema intra-cellulare può causare, infatti, un danno dell’e-pitelio pigmentato; l’edema interessa anchegli spazi situati tra le varie strutture retiniche;reperti istologici hanno evidenziato la distru-zione dei segmenti esterni dei fotorecettorisubito dopo il trauma, mentre dopo 48 orecellule di epitelio pigmentato iniziano a mi-grare tra i frammenti dei segmenti esterni everso gli strati interni. L’acuità visiva può va-riare dai 10/10 a 1/20 e non è necessariamen-te correlata all’entità dell’aspetto clinico(19).Nessun tipo di terapia medica ha un reale si-gnificato; è consigliabile il riposo e la ridu-zione della motilità oculare estrinseca (oc-chiali con foro stenopeico, riposo guardandole televisione) e intrinseca (ridurre la letturaper la possibile trazione sulla retina perifericadurante l’accomodazione); la terapia topicacon un FANS può avere significato comel’associazione con farmaci antiemorragici.L’evoluzione è generalmente favorevole tran-ne che per le forme con rotture della coroidesubfoveolari, specie se complicate da emorra-gie(20). La commotio retinae può essere asso-ciata ad altre manifestazioni traumatiche co-me le rotture della coroide, la necrosi retinica,il distacco di retina, le rotture periferiche, leemorragie retiniche e vitreali, i fori maculariecc. Il danno all’EPR può dare esito a mode-sti cambiamenti atrofici (effetto finestra allaFAG) fino a fenomeni di iperplasia e di mi-grazione massiva con aspetto a pseudopig-mentosa; tali aspetti possono presentarsi soloin periferia, a quadranti, o al polo posteriore,o possono essere diffusi. In qualche caso siverifica la distruzione dei fotorecettori che siaccompagna a deficit localizzati del capo vi-sivo; il danno sembra derivare dagli enzimicatalitici rilasciati dai lisosomi del citoplasmadelle cellule di EPR. L’edema maculare mi-

crocistico, cronicizzandosi, può portare a unaperdita di sostanza per necrosi retinica conforo maculare senza opercolo. Il foro macula-re può anche essere causato da PVD acutocon trazione foveale; in questo caso è presen-te un opercolo soprastante. La contusione del-l’EPR è una variante dei quadri già descritti.L’edema delle cellule può causare un solleva-mento sieroso della retina sovrastante constaining fluorangiografico dell’EPR senzanecessariamente un sollevamento dell’EPR;nel decorso successivo alla fase edematosa sipuò sviluppare una maculopatia pigmentariacon fenomeni di accumulo di pigmento e diatrofia dell’EPR; l’edema intracellulare tran-sitorio può provocare la distruzione dei seg-menti esterni e la compromissione funzionalevaria secondo 1’evolu zione e 1’entità deldanno iniziale(21,22).

Rottura della coroideUn quadro ben più grave è la rottura della co-roide causata probabilmente dalla compres-sione antero-posteriore seguita dall’espan-sione orizzontale; si verifica nell’8% dellecontusioni con la lacerazione diretta o indi-retta della coroide, dell’epitelio pigmentatoretinico e della membrana di Bruch per untrauma non perforante che determina unabrusca deformazione delle pareti bulbari ouna necrosi vascolare da brusco aumento dipressione. La membrana di Bruch è poco ela-stica e si rompe, al contrario della retina (cheè elastica) e della sclera (che è robusta) cheresistono abbastanza alla distensione; lamembrana di Bruch coinvolge nella sua rot-tura l’EPR e la coriocapillare con conseguen-te emorragia sottoretinica; i vasi coroidealiprofondi rimangono invece intatti(23). La rottura della coroide può essere diretta equindi legata alla sede dell’impatto; in questicasi è parallela all’ora; oppure indiretta, che

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Capitolo 24 Traumi a bulbo chiuso

127QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

è la più frequente e interessa la sede oppostarispetto alla zona dell’impatto, ha decorso ar-cuato e concentrico al nervo ottico. Esistonodei fattori predisponesti e, in particolare, lafragilità costituzionale della membrana diBruch come nelle strie angioidi, nella miopiaelevata o in altre diatesi. Inizialmente può es-sere oscurata di un’emorragia sottoretinicada rottura della coriocapillare e solo succes-sivamente, quando il sangue si riassorbe, sievidenzia la striscia concentrica al disco otti-co; prevalentemente temporali al disco otticoe isolate sono state descritte anche multiple enasali(24,25). Quando è subfoveale la prognosivisiva è negativa, mentre, altrimenti, è positi-va perché lo strato soprastante delle fibrenervose non è mai strappato, per cui una rot-tura tra disco ottico e macula non ha effettisull’acuità visiva. La fluorangiografia puòaiutare a evidenziare le piccole rotture e ilquadro è di ipofluorescenza precoce per larottura della coriocapillare mentre i vasiprofondi sono intatti e la lesione si colora tar-divamente per la diffusione dalla coriocapil-lare adiacente. La rottura della membrana diBruch può favorire la proliferazione di neo-vasi della coroide e complicarsi a distanzaanche di molti anni da neovascolarizzazionesottoretinica e distacco sieroemorragico conperdita della visione centrale(26,27).

Foro maculareIl foro maculare si presenta nel 6% delle con-tusioni bulbari di rilievo clinico; può avereun’insorgenza precoce o tardiva.

PrecoceSi presenta precocemente dopo il trauma ed ècausata dalla trazione vitreale antero-poste-riore; spesso si associa a emovitreo e a emor-ragie maculari; si presenta a lembo con oper-colo o l’opercolo è libero nel vitreo; non rara

è l’associazione con una patologia retinicaperiferica come la dialisi e la rottura gigante;la prognosi è negativa e l’approccio terapeu-tico è in chirurgia vitreale via pars plana conchirurgia della membrana limitante internaper ridurre la possibilità di sviluppo di mem-brane epiretiniche che si formano molto fre-quentemente nel tempo.

TardivaÈ l’evoluzione di un quadro edematoso eischemico che si verifica a livello maculare ein particolare a livello della foveola; in que-sta sede lo spessore retinico è minimo e si hala maggior concentrazione di coni con parti-colarmente gravi conseguenze di tipo edema-toso e ischemico; prima si verifica l’edemapostraumatico (EMC) cui segue la distruzio-ne dei fotorecettori con atrofia maculare (ne-crosi retinica) e il foro maculare senza solle-vamento; considerata la patogenesi la chirur-gia in pars plana sembra pressoché inutile ela prognosi visiva non è dunque buona; lachirurgia vitreale potrebbe avere significatoove risulti evidente una componente trattiva,tangenziale o anteroposteriore che, se rimos-sa, può evitare l’evoluzione dell’edema inatrofia. Il foro maculare può complicarel’evoluzione di un edema di Berlin, di un’e-morragia sottoretinica o di una rottura dellacoroide. Il distacco di corpo vitreo, dopo untraumatismo diretto o indiretto (p.es. una de-celerazione brutale - colpo di frusta), puòportare allo sviluppo di un impending macu-lar hole e poi di un vero e proprio foro; inquesti casi la chirurgia vitreale con rimozio-ne delle trazioni tangenziali (ILM compresa)e antero-posteriori ha un ruolo terapeuticofondamentale e va programmata quando vi èl’evidenza della trazione, il visus scende tra i4 e 6/10, le metamorfopsie sono presenti eingravescenti(28).

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128 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Pucker maculare Lo sviluppo di membrane epiretiniche è fre-quente e prevedibile dopo ogni trauma oculareche in qualche modo abbia causato un aumentodella dinamica vitreale, un distacco di vitreoparziale, un movimento cellulare in camera vi-trea. La chirurgia è risolutiva e va programmatain presenza di metamorfopsie ingravescenti eclinicamente rilevanti (specie nei giovani), diun visus in calo (8-6-4/10) e dell’evidenza cli-nica di trazione tangenziale e antero-posterio-re; la rimozione di tutte le trazioni tangenziali èfondamentale e quindi tutte le membrane van-no asportate, compresa la limitante interna(29).

Rotture retiniche e distacco di retina Il trauma oculare è la prima causa di distaccodi retina in età pediatrica e giovanile; è presen-te nel 10% dei distacchi di retina e una qual-che forma di distacco di retina complica il43% dei traumi oculari(30-32). Il meccanismo pa-togenetico è quello classico con l’aumentodella dinamica vitreale, con o senza distaccodi corpo vitreo, e sviluppo di rotture retinicheda trazione o necrosi, dialisi retinica o rotturagigante(34,35). Nell’87% dei casi si trova una rot-tura lungo la base vitreale nel superonasale eanteriori alla base vitreale; spesso viene sco-perto mesi o anni dopo per cui la presenza dilinee di demarcazione, di atrofia dell’EPR sot-tostante, di precipitati sottoretinici, di macro-cisti retiniche, di tobacco dust estesa possonoessere considerate caratteristiche del distaccodi retina postraumatico; rara è la progressionein PVR con prognosi dunque buona(36).

Lesioni del nervo ottico Le lesioni da contraccolpo possono giustifi-care le atrofie postraumatiche anche se non ènoto il meccanismo patogenetico principale;probabilmente sono causate da emorragie al-l’interno della guaina che comprimono o oc-

cludono i piccoli vasi, oppure da un traumadiretto dall’onda d’urto sulle fibre ottiche.Molto più grave è l’avulsione del nervo otti-co che generalmente si associa ad altre im-portanti lesioni traumatiche anche se rara-mente può essere l’unica manifestazione diun trauma apparentemente minore(37).

Retinite sclopetaria La retinite sclopetaria è la rottura corioretinicadovuta a un violento trauma oculare non pene-trante spesso associata ad emorragia vitreale,sottoretinica o intraretinica. È la conseguenzadella diversa resistenza elastica di retina, co-roide e ialoide posteriore; il trauma agisce de-terminando una rapida deformazione del bul-bo che causa la rottura della retina e della co-roide sottostante che rimangono aderenti; re-sta esposta la superficie sclerale interna e nel-lo stesso tempo la ialoide posteriore più elasti-ca resta integra; l’integrità della ialoide el’assenza del distacco di vitreo giustificano lararità del distacco di retina. È determinata daun violento trauma orbitario con il bulbo coin-volto in tutte le sue componenti e spesso, allealterazioni sclerali e vitreoretiniche, si asso-ciano gravi danni del nervo ottico fino alla suaavulsione. Non è programmabile alcuna tera-pia realmente utile anche se vengono utilizzatiantiflogistici e antiemorragici; nessun approc-cio chirurgico. Il giudizio prognostico dipendedal grado di coinvolgimento maculare(38).

Traumi contusivi indiretti

Shaken baby syndrome (sindrome dell’in-fante picchiato) Questa sindrome è caratterizzata dalla presen-za di emorragie intracraniche (subdurali e su-baracnoidee: TAC e RMN) e intraoculari (reti-niche nel 65-89%) con aspetto simile alla sin-drome di Terson, alla retinopatia di Purtscher,

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Capitolo 24 Traumi a bulbo chiuso

129QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

o all’occlusione della vena centrale della reti-na(39). Le emorragie sono dovute all’aumentobrutale della pressione venosa centrale causatadal trauma contusivo toracico che può provo-care delle emorragie retiniche come nell’espi-razione forzata. Possono essere presenti essu-dati cotonosi, papilledema, segni di ingorgovenoso, emorragie vitreali, distacco di retina.L’evoluzione generalmente è verso la restitu-tio ad integrum anche se possono permaneredegli esiti specie in caso di coinvolgimentoimportante della regione maculare.

Sindrome di Terson In questa sindrome è presente l’associazionetra l’emorragia vitreale e l’emorragia subarac-noidea o subdurale, di origine traumatica ospontanea, per rotture di aneurismi intracrani-ci. L’emorragia vitreale è verosimilmente do-vuta all’aumento della pressione della venacentrale retinica da aumento della pressione in-tracranica(40). Può riassorbirsi spontaneamenteo necessitare di intervento; talvolta è associataa emorragie pre- e intra-sottoretiniche che ten-dono a regredire spontaneamente; può compli-carsi ad edema maculare cronico. Nel 78% deicasi si verifica la comparsa di una membranaepiretinica. L’approccio chirurgico in vitrecto-mia può essere dunque giustificato sia per la ri-mozione del vitreo ematico che consente unapiù rapida riabilitazione funzionale, sia per larimozione della ialoide e della membrana limi-tante interna con riduzione ed eliminazionedello sviluppo di membrane epiretiniche(41).

Retinopatia di Purtscher La retinopatia fu descritta nel 1910, con insor-genza dopo gravi traumi compressivi della te-sta e del tronco, è caratterizzata da aree disbiancamento retinico con emorragie retinichesuperficiali che interessano anche l’area papil-lare, con aspetto simile a papillite e quadro

fluorangiografico simile a una forma di occlu-sione della vena centrale della retina di tipoischemico; si verifica una perdita significativadi acuità visiva - talvolta in forma definitiva -per patologia ischemica, la comparsa di impor-tanti fenomeni di rimaneggiamento pigmenta-rio e l’evoluzione verso l’atrofia ottica(41). La re-tinopatia sarebbe dovuta a fenomeni di embo-lia grassosa per la frequente associazione conquadri di pancreatite acuta, o all’aggregazioneleucocitaria causata da attivazione del comple-mento dovuta al trauma stesso e alla pancreati-te associata. Nessuna terapia risulta utile(42,43).

Sindrome da embolia gassosa Nelle sindrome di embolia gassosa, in unquadro di embolia multisistemica associato auna mortalità del 20%, si presentano nume-rosi essudati retinici cotonosi con piccoleemorragie puntiformi, in qualche caso si ve-rifica l’occlusione dell’ACR; la prognosi vi-siva è generalmente buona, tranne che in ca-so di occlusione dell’ACR, anche se possonoresiduare scotomi centrali e paracentrali per-manenti dovuti ai fenomeni microinfartuali.Nessuna terapia risulta efficace(44).

Retinopatia da manovra di Valsalva Durante la manovra di Valsalva, la glottidechiusa con il rapido aumento della pressioneintratoracica e addominale, può causare unimportante aumento della pressione venosa ela rottura dei capillari retinici, con emorragiasubialoidea maculare con particolare compro-missione funzionale(45,46); il sangue tende a de-cantare con sviluppo di livello e sindrome gra-vitazionale; talvolta si può verificare anche larottura della coroide; la persistenza prolungatapuò portare a un danno funzionale permanenteper cui un approccio terapeutico invasivo puòessere giustificato, con il drenaggio dell’e-morragia nella cavità vitrea(47).

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Pronto Soccorso Oculistico

130 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

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Capitolo 24 Traumi a bulbo chiuso

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132 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Capitolo 25

Il trauma oculare a bulbo aperto, inteso comescoppio bulbare (da contusione) o ferita pe-netrante/perforante (da taglio), rappresentaun’evenienza estremamente drammatica, congravi ripercussioni anatomico-funzionali peril paziente(1). L’approccio al trauma a bulboaperto presenta, inoltre, spesso moltepliciproblematiche di carattere clinico e medico-legale. Fondamentale è raccogliere un’anam-nesi più completa possibile sulle circostanzeche hanno portato al trauma, per indagare, adesempio, circa la presenza di un eventualecorpo estraneo ritenuto. La valutazione allalampada a fessura, spesso non eseguibile inmaniera completa, necessita di approfondi-menti strumentali per indirizzare al tratta-mento. Per quanto riguarda le ferite del glo-bo possiamo distinguere, in accordo con laclassificazione del BETT (Birmingham EyeTrauma Terminology)(2), quelle lineari, com-poste, irregolari, con perdita di sostanza e as-sociate a lacerazioni del limbus corneo-scle-rale/sclerale con perdita di sostanza endobul-bare. In caso di sutura, è importante eseguirlain modo tale che i passaggi siano meno astig-mogeni possibile, con tragitto a 2/3 dellospessore corneale, evitando di serrare troppoil nodo, in modo tale che la sutura costituiscasolo un mezzo per affrontare i margini del ta-glio. È molto importante infossare sempre icapi del punto, per evitare reazioni dolorosedella superficie oculare, spesso molto fasti-diose per il paziente. L’obiettivo è l’adeguatachiusura della ferita, previa meticolosa puli-

zia dei margini, rimozione di materiale estra-neo presente, riposizionamento (per quantopossibile) dei tessuti endoculari impegnati,riformando la camera anteriore. Nella suturaè generalmente utilizzato il nylon 10-0; aghicurvi per tragitti brevi nello stroma, mentre siutilizzeranno aghi lunghi per un tragitto piùlungo, in caso di ferita con edema dei lembi.In caso dai trauma corneo-sclerale, il primopassaggio è la ricostruzione del limbus lace-rato, per fissare, fin dall’inizio, un chiaropunto di repere. Da qui, si procede verso ilcentro corneale e verso la periferia sclerale.In tal modo si ottimizza la ricostruzione ana-tomica dell’occhio, riducendo l’astigma -tismo secondario e procedendo posterior-mente con la tecnica “a cerniera”. In caso disospetta ferita sclerale occulta, il primo pas-so è l’esplorazione del globo oculare.In caso di ferita corneale, dopo aver eseguitouna sutura della stessa, e in presenza di unagrave ipotonia, deve sempre essere sospettatauna ferita sclerale, per cui è assolutamentenecessario provvedere a un’esplorazione del-la parete sclerale a 360°, alla ricerca di even-tuali soluzioni di continuo misconosciute.Verrà quindi eseguita una peritomia con-giuntivale circolare, visualizzando le inser-zioni muscolari e procedendo a una metico-losa esplorazione dei quadranti sclerali. Que-sta manovra deve essere condotta con estre-ma cautela, soprattutto se il bulbo è moltoipotonico, ed evitando eccessive trazioni du-ranti i movimenti esplorativi. Inoltre, se la

Traumi oculari a bulbo apertoCesare Forlini, Matteo Forlini, Adriana Bratu, Paolo Rossini

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Capitolo 25 Traumi oculari a bulbo aperto

133QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

ferita sclerale si estende sotto l’inserzione diun muscolo retto, questo può essere tempo-raneamente disinserito per ispezionare e trat-tare con precisione la ferita. La sutura di fe-rite radiali deve iniziare dal lato anterioreverso quello posteriore della ferita, cercandopossibilmente un punto di riferimento rico-noscibile come il limbus o l’apice della rot-tura. È importante, ed è il primo obiettivo daraggiungere, assicurare una chiusura stagnadella ferita, per ripristinare il tono endocula-re e contenere la proliferazione fibrovascola-re interna conseguente a una ferita scleralenon perfettamente chiusa. A tale scopo è pre-feribile usare suture a punti staccati evitandocontatti con la coroide (rischio di emorra-gie); il materiale da sutura deve essere prefe-ribilmente non riassorbibile, eccetto che perpiccoli difetti sclerali. La maggior parte del-le lacerazioni sclerali possono essere chiuseutilizzando un filo riassorbibile 6/7-0. È im-portantissimo, durante tali manovre, porreestrema attenzione a evitare l’incar cera -mento di tessuti endoculari (uvea, retina, vi-treo) nella breccia. In tal caso può risultareutile l’aiuto di un assistente che provveda ariposizionare, con una spatola da ciclodialisio con del materiale viscoelastico, il materia-le prolassato all’interno del bulbo, mentre ilchirurgo esegue la sutura. Il prolasso di ma-teriale uveale e retinico, deve essere risoltocercando il più possibile di riposizionare talitessuti all’interno del bulbo, mentre in casodi fuoriuscita del vitreo, questo verrà rimos-so con un vitrectomo. In caso di traumi con-tusivi o rotture bulbari, a causa del meccani-smo inside-out, vi saranno conseguenze piùgravi delle lacerazioni, o delle ferite causateda oggetti taglienti: infatti, il rapido ed ele-vato aumento della pressione intraocularecausa perdite di tessuto non solo più fre-quenti, ma anche più gravi.

Se non trattato, il tessuto erniato va incontroa una serie di processi (formazione di fi -brina→fibrosi→cicatrizzazione inadeguatadella ferita (ipotensione, rischio di endoftal-mite)→ proliferazione fibrovascolare a par-tenza dal sito della rottura (PVR con distaccodi retina trazionale)→ flogosi cronica (sine-chie). Sostanzialmente, il trattamento di talesituazione patologica, si basa sul riposiziona-mento laddove possibile, o sull’escissione, eva eseguito in prima istanza, prima o conte-stualmente alla sutura.

25.1 Prolasso irideo

L’iride va riposizionata se presenta le se-guenti caratteristiche: appare vitale, priva dieccessive crescite epiteliali e di contamina-zione batterica.Utile eseguire contestualmente una plasticairidea/pupillare (utilizzando una sutura in po-lene 10-0), se possibile. In caso di iride ne-crotica, macerata, contaminata, non vitale,essa andrà escissa. In tal caso, l’obiettivosarà comunque la massima conservazione deltessuto per ottenere il migliore risultato este-tico e funzionale (funzione pupillare) possi-bile. Nel manipolare il tessuto irideo, deveessere posta particolare attenzione nell’evita-re eccessive trazioni, per evitare sanguina-mento della radice iridea, disinserzione dellastessa e/o ulteriori traumatismi iatrogeni.

25.2 Prolasso di vitreo

Un vitreo prolassato è fonte di serie complica-zioni che possono essere fatali per il recuperofunzionale e anatomico del bulbo prolassato.La presenza di vitreo in camera anteriore puòportare ad ipertono, scompenso corneale per

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Pronto Soccorso Oculistico

134 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

contatto con l’endotelio corneale, alterazionidell’iride, dislocazione di IOL.Le ripercussioni a livello del segmento poste-riore possono essere altrettanto gravi, qualiedema maculare cistoide, distacco di retinaregmatogeno/trazionale, PVR, fino alla tisibulbare.Come già anticipato, in caso di prolasso vi-treale, deve essere eseguita un’attenta vitrec-tomia dei margini della ferita, evitando di ri-chiamare ulteriore vitreo dall’interno del bul-bo, e assicurandosi di aver liberato totalmen-te i lembi della ferita.

25.3 Prolasso di retina

Il prolasso della retina è l’evenienza con pro-gnosi più grave rispetto agli altri tessuti. Taleevenienza si ha spesso in traumi con ampierotture posteriori, comunemente associate agrave emorragia vitreale, distacco emorragi-co di coroide, prolasso di vitreo.Il tessuto retino-coroideale dovrebbe essereriposizionato il più possibile all’interno delbulbo, utilizzando strumenti smussi qualispatole o sostanze viscoelastiche, rimuoven-do il vitreo impegnato nella breccia. La pre-

Fig. 25.1Ferita corneale con dialisi iridea, cataratta traumatica ed emorragia vitreale. A: sutura stagna della ferita corneale. B: trapanazione corneale e apposizione di TKP dopo aver ripristinatoil forame pupillare con plastica iridea. C: chirurgia vitreale con peeling della membrana limitante interna.D: impianto di IOL a enclavazione retroiridea e cheratoplastica perforante finale.

A B

C D

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Capitolo 25 Traumi oculari a bulbo aperto

135QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

senza di tessuto retinico incarcerato nella fe-rita sclerale, sarà fonte di ampi distacchi tra-zionali secondari, con estesa proliferazionevitreoretinica a partenza dal sito di rottura.Solo in casi di estrema incoercibilità si dovràricorrere in prima istanza a una più o menoampia retinectomia. Casi particolari sono itraumi chiusi in pazienti con pregressa chera-toplastica perforante (PK), nei quali, in se-guito a una riapertura della cicatrice corneale(anche a distanza di diversi anni) che fungeda locus minoris resistentiae, si ha un’espul-sione del materiale endobulbare e conse-guente ipotonia acuta con alto rischio di di-stacco coroideale siero/emorragico (SCH).Naturalmente la prima cosa da fare è chiude-re la breccia corneale e ripristinare il tonooculare con infusione via limbus di BSS esostanza viscoelastica. Il timing del successi-vo approccio per il trattamento dell’SCH ècontroverso. Oggi, grazie alle moderne tecni-che mini-invasive, si tende ad anticiparel’intervento dopo 5-7 giorni con approcciotranscongiuntivale capace di drenare il fluido

sovra-coroideale, nonché con procedureopen-sky per la ricostruzione del segmentoanteriore. In caso di scompenso corneale sipuò associare una chirurgia vitreoretinicacon utilizzo di cheratoprotesi temporanea(3-6)

e cheratoplastica finale per trattare contem-poraneamente il segmento anteriore e poste-riore(7).

25.4 Conclusioni

Il primo approccio risulta sempre determi-nante per il destino dell’occhio e, di conse-guenza, della stessa vita del paziente, intesacome risultato estetico che può indurre pro-blematiche psicologiche.I nuovi strumenti mini-invasivi offrono pos-sibilità ricostruttive immediate tali da nonaggiungere ulteriore trauma a occhi già trau-matizzati. Cercare sempre di ottenere il mas-simo risultato riducendo al minimo il numerodi interventi, pensando già da subito al risul-tato funzionale ed estetico.

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136 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Capitolo 26

Si definisce trauma oculare a bulbo chiusoe/o aperto una lesione meccanica che colpi-sce l’occhio provocando o meno una feritacontusiva o a tutto spessore.I traumi a bulbo aperto sono traumi in cui laparete bulbare presenta una ferita a tuttospessore (Figg. 26.1, 26.2).Le ferite si evidenziano quando si ha un im-patto del bulbo con un oggetto appuntito, op-pure per un aumento della pressione intrao-culare, causata da una violenta collisione delbulbo con un agente traumatico smusso, pro-vocando una ferita in una zona di minore re-sistenza (limbus, inserzione dei muscoliestrinseci, equatore del bulbo, lamina cribro-sa, sede di pregressi traumi o interventi chi-rurgici).

Il BETT (Birmingham Eye Trauma Termino-logy) definisce il primo caso come lacerazionebulbare che avviene nella sede in cui l’agentetraumatico colpisce il bulbo, il secondo comerottura o scoppio del bulbo che, invece, si ve-rifica lontano dal punto di impatto.Le lacerazioni vengono a loro volta distintein ferite penetranti e perforanti, a secondache sia presente solo una lacerazione di en-trata dell’agente traumatico o anche una diuscita (Fig. 26.3) (Tab. 26.I). Le ferite penetranti possono essere poi di-stinte sulla base della presenza o assenza diun corpo estraneo ritenuto.Qualsiasi trauma oculare deve sempre faresospettare la possibile presenza di un corpoestraneo (CE).

Quando sospettare e come individuare la presenza di un corpo estraneoCarlo Attilio Squeri, Giuseppe Squeri

Fig. 26.2Ferita a tutto spessore con cataratta traumatica eprolasso irideo.

Fig. 26.1Ferita a tutto spessore con cataratta traumatica eprolasso irideo.

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Capitolo 26 Quando sospettare e come individuare la presenza di un corpo estraneo

137QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Il sospetto della ritenzione di un CE, quandosi è in presenza di un trauma oculare, imponedi eseguire innanzitutto un’accurata anamnesiche, il più delle volte, fornisce elementi perricostruire i fatti accaduti, la causa dell’inci-dente, il tempo intercorso e il materiale even-tualmente penetrato all’interno dell’occhio.È di aiuto conoscere le dimensioni del CE, lavia di accesso, il tragitto percorso e la sedeintraoculare, la natura, animale o vegetale odi altro, ferro, acciaio,vetro plastica ecc.Questi dati ci consentono di sapere se è cala-mitabile oppure no e se è chimicamente obiologicamente inerte.Un altro atto da compiere sempre è la misura-

zione del visus non solo per questioni medi-co-legali, ma anche per una prognosi finale.L’ispezione e l’osservazione al biomicrosco-pio di una ferita bulbare e/o palpebrale deveessere accurata al fine di evidenziare la pre-senza di ferite e perforazioni della congiunti-va, della cornea, della sclera, irregolarità pu-pillari, opacità del cristallino; importante è lavalutazione della profondità della camera an-teriore (CA), l’esame oftalmoscopico puòfornire indicazioni sulla localizzazione delCE, e se vi è trasparenza dei mezzi diottrici,è utile valutare le condizioni vitreoretiniche. Accertata la presenza del CE sorge il proble-ma della sua esatta localizzazione che natu-ralmente condizionerà l’approccio chirurgico. Nei traumi oculari a bulbo aperto gli esamistrumentali ci consentono di studiare lamorfologia delle strutture oculari danneggia-te e di individuare la presenza, la localizza-zione e la natura del CE presente.L’esame ecografico può essere eseguito, main presenza di ferite aperte deve essere effet-tuato esercitando una minima pressione sulbulbo.L’esame radiografico dell’orbita interessata,effettuato in due proiezioni, può essere utileanche se è incapace di fornire dati relativi al-

Fig. 26.3CE (chiodo) intraoculare.

Tabella 26.I

CLASSIFICAZIONE DEL TRAUMA OCULARE (Birmingham Eye Trauma Terminology)CLASSIFICAZIONE PROPOSTA DA KUHN, MORRIS ET AL.

IL BETT - TRAUMA OCULAREBulbo chiuso Bulbo aperto Contusione Rottura Lacerazione Lacerazione lamellare

Penetrante Penetrante + CE

Perforante

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Pronto Soccorso Oculistico

138 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

la morfologia delle strutture bulbari e la pos-sibilità di rilevare corpi estranei, solo se ra-diopachi, di grandezza superiore a 1 mm;inoltre non permette una precisa localizza-zione del CE.La TAC è invece indicata, ed è in grado distudiare la morfologia delle strutture ocularie di rilevare la presenza e la sede di una rot-tura sclerale, spesso nascosta, di evidenziareuna dislocazione del cristallino, l’emovitreo,il distacco di coroide e/o di retina e di rileva-re la presenza di corpi estranei di grandezzasuperiore a 0,05 mm per i metalli, da 0,75 a 2mm per il vetro e 2 mm per il legno e ne per-mette una precisa localizzazione.La risonanza magnetica è indicata nel caso incui sia praticamente certa l’assenza di corpiestranei metallici (Figg. 26.4, 26.5).La reazione oculare al CE può essere di tretipi qui di seguito descritti.Un primo tipo da sostanze non organizzate,chimicamente inerti, quali vetro, plastica,pietra, porcellana, grafite, oro, platino e al-tre che causano una reazione non specificalegata più che altro al tipo di tessuto ocularecon cui vengono a contatto, più che alla na-tura del CE.La reazione è caratterizzata da essudazione eda una produzione di fibroblasti al fine di

isolare e incapsulare il CE.Un secondo tipo di reazione di molte sostan-ze non organizzate, però chimicamente reat-tive, può provocare un danno aspecifico.Ad esempio certi metalli, come il ferro nel90% dei casi, reagiscono chimicamente conil tessuto oculare impregnandolo di prodottidi decomposizione e stimolando fenomeni ir-ritativi e degenerativi della struttura adiacen-te, inducendo nel tempo le cosiddette metal-losi, quali la siderosi e la calcosi, che posso-no condurre velocemente alla perdita dellafunzione visiva (Fig. 26.6).Un terzo tipo di reazione è dato da sostanzeorganizzate (materiale vegetale o animale)

Fig. 26.4CE intraoculari acquisizione immagine TAC.

Fig. 26.5CE intraoculari acquisizione immagine TAC.

Fig. 26.6Siderosi oculare.

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Capitolo 26 Quando sospettare e come individuare la presenza di un corpo estraneo

139QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

che inducono una risposta proliferativa carat-terizzata dalla formazione di tessuto di gra-nulazione con cellule giganti.La sede del CE condiziona in maniera deter-minante la prognosi funzionale e la sceltadella via di estrazione chirurgica più idonea.Certamente un CE nel segmento anteriore hauna prognosi decisamente migliore e le even-tuali complicanze pre- e postoperatorie(ipoema, lesioni iridee, prolassi, catarattatraumatica) sono facilmente più gestibili espesso conducono a esiti funzionali menogravi (Fig. 26.7).Un CE nel segmento posteriore, invece, com-porta una prognosi riservata in quanto circa il20% delle ferite perforanti in tale sede evolvein cecità (Fig. 26.8).

26.1 Preparazione all’intervento

Accertato il trauma a bulbo aperto, ed essen-do a conoscenza di tutti i dati utili, è beneprocedere all’esecuzione di un esame coltu-rale con antibiogramma del materiale presen-te nel sacco congiuntivale.Tale esame potrebbe fornire preziose infor-mazioni nel caso in cui dovesse sopraggiun-

gere un’endoftalmite, evenienza non rara sevi è ritenzione di CE.Bisogna eseguire una terapia antibiotica alargo spettro sia locale che generale ed ese-guire una profilassi antitetanica (Fig. 26.9).L’anestesia generale è solitamente preferibilerispetto a quella locale, in quanto consenteuna perfetta analgesia senza indurre aumentodi pressione orbitaria causata da iniezioni re-trobulbari.Permette una totale sedazione e immobilitàdel paziente per interventi che possono esse-re di lunga durata.In ogni caso l’intervento deve essere pianifi-cato: in prima istanza deve essere sempre unintervento riparativo e costruttivo per cercaredi ripristinare un’integrità anatomica, il ripo-sizionamento dei tessuti oculari impegnati, la

Fig. 26.7CE con prolasso irideo.

Fig. 26.8CE retinico.

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Pronto Soccorso Oculistico

140 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

ricostruzione della CA e il ripristino di un to-no endobulbare adeguato (Fig. 26.10).Ciò permetterà al chirurgo di reintervenire inuna situazione meno complessa e con una vi-sione delle strutture in quiete.Il trattamento di un CE endobulbare rimaneancora oggi complesso e il risultato funzio-nale è correlato principalmente al visus resi-

duo, all’estensione della ferita, alla localizza-zione e alla natura del CE e alla modalità diaccesso all’intervento.Si può discutere sull’opportunità di lasciare omeno in situ i corpi estranei non reattivi.È questa una decisione importante presa perpreservare quanto più possibile una funzio-nalità visiva, anche se ridotta.

Fig. 26.9Endoftalmite da ritenzione di CE.

Fig. 26.10Sutura ferita corneale.

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Capitolo 27

141QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Le endoftalmiti postraumatiche rappresenta-no il 30% delle forme di endoftalmite e in-sorgono nell’1-16% dei traumi a bulbo aper-to(1,2). Ritenzione di corpi estranei (CE)(13%), specie se si tratta di CE vegetali; su-tura della ferita dopo 24 ore (11,3%); traumiin ambiente rurale (10,1%); rottura della ca-psula posteriore (12,8%) e ferite corneali ≥8mm o “sporche” (14,3%) rappresentano fat-tori di rischio importanti(2). Le forme polimi-crobiche (12%) risultano più frequenti nelleforme postraumatiche (5,3-47%) rispetto aquelle postchirurgiche (0-17%) e in questicasi i batteri Gram+ (27%) (stafilococchi,streptococchi, Bacillus cereus) sono quellimaggiormente rappresentati. Lo Staphylo-coccus epidermidis risulta prevalente nei casicon CE intraoculare (37,1%) mentre glistreptococchi nei casi senza CE (41,8%)(3). IlBacillus cereus si osserva soprattutto neitraumi perforanti con ritenzione di CE avve-nuti in ambito rurale. È responsabile di for-me a rapida insorgenza (entro le prime 24ore) mediate da diversi enzimi e tossine co-me l’emolisina BL, lesiva, almeno in vitro,sul tessuto retinico. Sono forme caratterizza-te da grave flogosi e dolore, ipopion, chemo-si importante, infiltrato corneale anulare e ra-pida progressione a panoftalmite con pro-gnosi infausta (perdita completa della fun-zione visiva [70%], necessità di enucleazioneo eviscerazione [48%]). Tra i batteri Gram_

(12,8-25%) gli Pseudomonas e i clostridi so-no responsabili di forme fulminanti. Le infe-

zioni da clostridi (16% delle forme con riten-zione di CE vegetale) si contraddistinguonoper la rapida riduzione del tono oculare,l’ipopion color caffè e la presenza di micro-bolle in camera anteriore. Tra i funghi (3,8-13%), specie nei casi di ritenzione di CE diorigine vegetale, le candide sono le più fre-quenti seguite da aspergilli, Paecilomyces eFusarium. Queste possono avere esordi e de-corsi variabili da forme acute a forme torpidea comparsa tardiva(3). Uno dei problemi delleendoftalmiti postraumatiche è che possonoessere mascherate dagli esiti dell’eventotraumatico, esiti che spesso comportano qua-dri complessi che impediscono la corretta vi-sualizzazione delle strutture anteriori e po-steriori del bulbo. Fattori che possono far so-spettare il viraggio a processo infettivo sonola comparsa di sintomi generali come febbree malessere; un rapido peggioramento deisintomi locali quali il dolore, la riduzione vi-siva o un intorbidamento vitreale assente inprecedenza; la comparsa di ipopion, precipi-tati cheratici o di alterazioni specifiche, co-mesecrezione verdastra e maleodorante(Pseudomonas), petecchie congiuntivali ecutanee (Neisseriae), ipopion marrone e iper-tono (Lysteria monocytogenes). In presenzadi un trauma a bulbo aperto è fondamentaleescludere la presenza di un CE intraoculare.La TAC permette di evidenziare CE radio-opachi metallici fino a 0,5 mm di diametro,ma è scarsamente efficace per materiali comelegno, plastica o ceramica, casi in cui può es-

Le endoftalmiti postraumaticheRiccardo Martini, Maria Rosaria Rollo, Antonio Mocellin

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Pronto Soccorso Oculistico

142 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

sere più efficace la RMN per la quale, però,bisogna essere assolutamente sicuri che iltrauma non si sia verificato per mezzo di ma-teriale metallico. L’ecografia oculare Bscanpresenta alcuni vantaggi: buona visualizza-zione dei CE di qualunque materiale essi sia-no composti, studio accurato del vitreo e del-la retina, rapida esecuzione anche in traumi abulbo aperto (palpebre chiuse) e basso costo. L’approccio terapeutico prevede inizialmentela sutura della ferita nel minor tempo possi-bile (entro le 24 ore), valutando attraversoun’anamnesi accurata la copertura antitetani-ca del paziente, specie in traumi che abbianocomportato contaminazione con terra. La tempistica della rimozione di eventualiCE intraoculari presenta aspetti controversi.In alcuni studi la rimozione entro le 24 oresembrerebbe ridurre significativamente il ri-schio di endoftalmiti postume, mentre altridimostrerebbero che la rimozione precocenon sarebbe necessaria se presente un’ade-guata copertura antibiotica sistemica confluorochinolonici(1). Una vitrectomia precocedeve essere intrapresa sicuramente nel casodi CE organici, traumi con contaminazionevegetale o con rottura lenticolare, condizioniche presentano alto rischio di infezione po-straumatica. Può essere indicata anche in as-senza di CE endobulbari, permettendo la de-tersione delle tossine batteriche e dei detritiinfiammatori, il prelievo di fluidi intraoculariper l’analisi microbiologica e la creazione dispazi per l’iniezione intravitreale di antibioti-ci. Per la profilassi delle endoftalmiti, in que-sti casi, è utile l’impiego di antibiotici ad am-pio spettro sia localmente sia per via sistemi-ca. La levofloxacina per via orale (500mg/die per 7-10 gg) ha un’ottima penetrazio-ne intravitreale e ampio spettro, risultandoefficace contro i principali microorganismiGram+ e Gram_, sebbene la sua efficacia ri-

sulti però variabile verso ceppi di Pseudomo-nas aeruginosa. Nei casi ad alto rischio possono essere usatiper via sistemica vancomicina (1 gr e.v.), at-tiva contro i Gram+ compreso il Bacillus ce-reus e ceftazidime (1 gr e.v.) attivo contro iGram_. Comunque la penetrabilità intravi-treale di questi antibiotici risulta ancora con-troversa. In caso di sospetto di infezione fun-gina il fluconazolo orale (200 mg/die) è dapreferirsi, in quanto offre maggiore sicurezzae migliore penetrazione intravitreale. I colliririnforzati devono essere iniziati in primagiornata postoperatoria e continuati fino airisultati degli esami colturali. Comunemente si utilizzano vancomicinacoll. (25 mg/dl) e ceftazidime coll. (100mg/dl) ogni ora associati a steroidi topici ecicloplegici. L’utilizzo di antibiotici intravi-treali (vancomicina 1 mg/0,1cc e ceftazidime2,25 mg/0,1cc) è fortemente consigliato nelcaso di traumi con contaminazione da terra oessudazione intorno a CE ritenuti, anche inassenza di ipopion o opacità vitreali impor-tanti. Negli altri casi l’uso è a discrezione delchirurgo, sebbene alcuni studi dimostrinol’efficacia degli antibiotici intravitreali nellaprevenzione delle endoftalmiti rispetto aigruppi di controllo(4). In caso di sospetta infe-zione fungina possono essere utilizzati anfo-tericina B (5 µg) o voriconazolo (100 µg),evitando l’uso degli steroidi intravitreali. La prognosi visiva delle endoftalmiti po-straumatiche risulta generalmente peggiorerispetto a quella delle forme postoperatorie.Come dimostrato da alcuni studi nelle infe-zioni polimicrobiche, si osserverebbe un esi-to visivo positivo nel 55,5% delle forme po-stoperatorie contro il 12% di quelle postrau-matiche(2). La presenza di un distacco retinicopeggiora ulteriormente la prognosi visiva, so-prattutto in presenza di germi virulenti. Que-

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Capitolo 27 Le endoftalmiti postraumatiche

143QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

sti casi sono trattati generalmente utilizzandotamponamento con PDMS che, oltre a garan-tire un effetto tamponante efficace, impedi-sce anche la crescita sia di batteri sia di mice-ti. L’utilizzo del PDMS, inoltre, sembrerebbemigliorare sensibilmente la prognosi visiva

già di per sé scadente in questi casi, come di-mostrato da uno studio randomizzato pro-spettico condotto su 24 casi di endoftalmitepostraumatica con DR che ha evidenziato unvisus finale di 20/200 nel 58% utilizzandoPDMS contro l’8,3% utilizzando gas(3).

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IL CONTROLLO DEIPAZIENTI OPERATI

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Capitolo 28

147QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

28.1 PRK

Dopo l’intervento applichiamo una lente acontatto terapeutica per accelerare la ripara-zione epiteliale, attenuare il dolore e prevenirele erosioni epiteliali ricorrenti1). Dopo circa 20anni di esperienza, riteniamo che una lente adelevatissima permeabilità all’ossigeno (DK/tnon inferiore a 80) e specificatamente approva-ta per uso notturno rappresenti la migliore op-zione, in grado di produrre una riepitelizzazio-ne più rapida e regolare(2) proteggendo mecca-nicamente le cellule epiteliali in rapida crescitae fornendo adeguate quantità di ossigeno. La-sciamo la lente in sede per 3-4 giorni, temponecessario alla riepitelizzazione completa.

Terapia topicaPrevede un collirio antibiotico monodose(aminoglicosidico o fluorchinolonico di IVgenerazione) 4 volte al giorno fino a riepiteliz-zazione avvenuta, acido ialuronico monodoseallo 0,2%, un FANS per il controllo del dolorepostoperatorio può essere utile sebbene siastata segnalata la possibilità che essi induca-no, in modo differente, un ritardo del processodi riepitelizzazione(3). Completata la riepiteliz-zazione iniziamo la somministrazione di unosteroide topico (fluormetolone 0,1% in colli-rio monodose 3 volte al giorno a scalare in ba-se all’andamento del processo ripartivo). In al-cuni casi ricorriamo a molecole più potenti o aprotocolli di somministrazione più incalzanti.

La rottura della barriera funzionale rappresen-tata dall’epitelio corneale, la presenza dellalente a contatto corneale e l’effetto immuno-soppressore dello steroide possono aumentareil rischio di infezione(4). Condizioni ambientalinon idonee, l’inosservanza delle Linee Gui -da(5), l’e secuzione di manovre chirurgicheinappropriate, o particolarmente prolungate,rappresentano ulteriori fattori di rischio. È ne-cessario riconoscere un’eventuale infezione alpiù presto e instaurare una terapia adeguata. Ilcomportamento dovrebbe essere il seguente:sospensione dello steroide, esame colturale dimateriale prelevato e della lente a contatto eantibiogramma, terapia con antibiotico rinfor-zato (vancomicina, antibiotico utilizzato per iltrattamento delle infezioni da stafilococchi re-sistenti). Occorre preparare un collirio estem-poraneo, rimuovere 3 ml da un flacone di la-crime artificiali da 10 ml conservate con ben-zalconio 0,01% lasciandone 7 ml, sciogliere lapolvere di un flacone di vancomicina cloridra-to da 500 mg in 2,5 ml di acqua distillata perpreparazioni iniettabili; si otterranno 3 mlcontenenti 500 mg di vancomicina; aggiunge-re i 3 ml nel flacone di lacrime artificiali con-tenente 7 ml residui per ottenere una soluzio-ne di vancomicina al 5% (50 mg/ml); infine,terapia mirata in base all’antibiogramma.La terapia generale prevede un antidolorificoper ridurre il dolore, tipico dopo la PRK(6),solitamente paracetamolo, diclofenac, nime-sulide, ibuprofene; in alcuni casi, bassi do-

Tempistica e valutazioni dopo intervento di PRK e LASIKGiuseppe Perone

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Pronto Soccorso Oculistico

148 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

saggi di benzodiazepine (p.es. bromazepamgocce) sfruttandone l’effetto ansiolitico,ipnoinducente e sedativo. Per concludere, riassumiamo in termini prati-ci i controlli dopo l’intervento: • nei primi giorni (1ª-2ª giornata): controllo

della riepitelizzazione, verifica della pre-senza della lente terapeutica, controllo deldolore, verifica dell’assenza di infezioni;

• 3ª-4ª giornata: verifica riepitelizzazionecompleta e rimozione della lente terapeutica;

• 1 settimana, 1 mese e successivi: controllodella cicatrizzazione e refrazione con topo-grafia, eventuale aggiustamento della som-ministrazione dello steroide e del sostitutolacrimale.

28.2 LASIK(7) e i-LASIK(8,9)

La creazione del flap permette un’ablazioneintrastromale, riduce ma non annulla il ri-schio infezioni; inoltre porta ulteriori com-plicanze. Dopo l’intervento applichiamo unguscio protettivo trasparente. Frequenti nelleore successive sono iperlacrimazione, fotofo-bia e sensazione di corpo estraneo. Dopo 6-8ore, controlliamo alla lampada a fessura illembo, i rapporti con il letto stromale, l’in -terfaccia e il letto stromale stesso. Verifichia-mo che non vi sia epitelio tra i margini di ta-glio; nell’interfaccia non vi devono essere re-sidui (eventuale rimozione con risollevamen-to). Il primo controllo del visus è quasi sem-pre fonte di enormi soddisfazioni (wow ef-fect). Lasciamo i gusci per le 4-5 notti. La te-rapia prosegue con l’associazione steroide eantibiotico ad alte dosi (8 somministrazioni)da scalare e sospendere nell’arco dei primi 7-10 giorni. Il sostituto lacrimale viene lasciatocome terapia per i primi mesi. La terapia lo-cale è la seguente: netilmicina 0,3% + desa-

metazone 0,1% collirio 8 volte al giorno per2 giorni poi a scalare e acido ialuronico 0,2%collirio monodose frequentemente.

InfezioniRappresentano una grave e temibile compli-canza da riconoscere al più presto. Sebbeneapparentemente ridotto rispetto alla PRK, nellaLASIK il rischio di infezione è reale. Il laser afemtosecondi l’ha ulteriormente ridotto. È piùfrequente l’insorgenza tardiva. Infezioni piùprecoci sono più legate a contaminazione in-traoperatoria. I batteri più frequentemente inte-ressati sono, nelle infezioni ad insorgenza pre-coce, Gram+ resistenti alla meticillina mentrenelle infezioni a insorgenza tardiva sono di piùfrequente riscontro micobatteri atipici. La pro-filassi inizia nel preoperatorio con netilmicinaassociato nel postoperatorio allo steroide. Nelcorso dell’intervento si devono adottare tutte lestrategie di prevenzione. Importante l’uso diiodopovidone al 10% sulla cute palpebrale e al5% nel fornice congiuntivale.

Diffuse Lamellar Keratitis(10,11)

Si manifesta con disturbi irritativi e altera-zioni del visus nei primissimi giorni. Multi-pli fini infiltrati dapprima non confluenti nel-l’interfaccia evolvono espandendosi, fonden-dosi e producendo alterazioni che possonoconcludersi con il melting corneale. La dia-gnosi precoce è di fondamentale importanza.Va trattato con steroidi topici ad alte dosi edeventuale risollevamento del flap.

Transient Light Sensitivity SyndromeInsorge(12) 2-6 settimane dopo una LASIK ef-fettuata con laser a femtosecondi. Caratteriz-zata da disturbi irritativi dominati dalla fo-tofobia, è secondaria a livelli di energia trop-po elevati. La sintomatologia si riduce nel-l’arco di pochi giorni.

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Capitolo 28 Tempistica e valutazioni dopo intervento di PRK e LASIK

149QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Complicanze del flap(13) (striae, pieghe)Possono avere origine preoperatoria (proble-matiche stromali misconosciute, warpagecorneale da lenti semirigide), intraoperatoria(anomalie del taglio) o postoperatoria (trau-matica). Peggiorano il visus a causa delleaberrazioni indotte. Va effettuato tempestiva-mente un risollevamento associato a un lorostretching(14).

Dislocazione del flapSpontanea (cattiva corrispondenza tra flap eletto stromale) oppure per scorretta procedu-ra di posizionamento. Favorita da anomaliedella cerniera, da un evento traumatico. Vatrattata con un rapido risollevamento e ripo-sizionamento del flap(15).

Ingrowth epiteliale(16)

Migrazione e proliferazione di lembi o iso-lotti di epitelio attraverso il margine di taglio.Diagnosticato facilmente alla lampada a fes-

sura (Fig. 28.1). Il trattamento con risolleva-mento del flap e pulizia dell’interfaccia èspesso incompleto.

Riduzione dell’effetto refrattivoPuò essere conseguenza di un’ectasia (Fig.28.2), si manifesta con un difetto refrattivoprogressivo e anomalie topografiche ben ca-

Fig. 28.2Ingrowth epiteliale al margine tra flap e lembo.

Fig. 28.1Ectasia corneale post-LASIK.

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Pronto Soccorso Oculistico

150 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

ratterizzate(17). Tale complicanza deve esserericonosciuta e adeguatamente trattata(18).Riassumiamo in termini pratici i controlli do-po l’intervento: • 1ª giornata (6-8 ore dall’intervento): con-

trollo del flap e dell’interfaccia, tono ocu-lare, primo visus;

• 2ª giornata: controllo del flap e dell’inter-

faccia, verifica dell’assenza di infezioni,prima refrazione, tono, eventuale topogra-fia corneale;

• 4ª giornata e successivi: come in 2ª giorna-ta; controllo finalizzato alla ricerca di infe-zioni e di una sindrome dell’interfaccia;

• controlli successivi (3, 6, 12 mesi): con-trollo completo e topografia.

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Capitolo 29

151QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

L’impianto di una lente fachica richiede un’at-tenta valutazione dell’oculista, per preveniree/o gestire complicanze postoperatorie chepossano compromettere il risultato refrattivo,obiettivo di questa chirurgia o addirittura lafunzione visiva. La tempistica e la valutazione dell’impiantodi una lente fachica riconosce due fasi: il po-stoperatorio precoce in cui si valutano i ri-schi connessi all’atto chirurgico e alla corret-ta indicazione, e il postoperatorio tardivo incui viene valutato il possibile danno, per lestrutture oculari, di una lente posizionata incamera anteriore (Fig. 29.1 A), a fissazioneiridea (Fig. 29.1 B) o in camera posteriore(Fig. 29.1 C).Nel postoperatorio precoce, in 1ª-3ª giorna-ta, è indispensabile valutare la tenuta del ta-

glio, i fatti infiammatori, la possibile ridu-zione della camera anteriore fino all’atala-mia, la pressione oculare, il corretto posizio-namento della lente e l’integrità delle strut-ture oculari maggiormente interessate (cor-nea, iride e cristallino). In caso di ipertono sideve ricercare la presenza di materiale vi-scoelastico in camera anteriore, un’eventua-le blocco pupillare secondario a insufficienteo assente comunicazione tra camera anterio-re e posteriore, un eccessivo vaulting dellalente fachica in camera posteriore, la presen-za di tyndall ematico/infiammatorio oltre aun errato posizionamento della lente fachicaa fissazione iridea.La tempistica e valutazione nel follow-updelle lenti fachiche dipende dal tipo di lenteimpiantata.

Tempistica e valutazioni dopo intervento di lenti fachicheGuido Caramello

Fig. 29.1

A B C

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Pronto Soccorso Oculistico

152 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

29.1 Lente ad appoggio angolare

La lente è posizionata in camera anteriore; inpassato, questo tipo di lente ha dato numerosecomplicanze legate alla riduzione delle celluleendoteliali e ad alterazioni a carico dell’ango-lo iridocorneale con conseguente ipertono, al-terazioni infiammatorie del segmento anterio-re e posteriore. Diversi studi hanno dimostratocome la principale causa di espianto di unaAC-P IOL sia nel 65% dei casi la cataratta, nel25% la perdita di cellule endoteliale e nel 10%l’ovalizzazione pupillare. Quindi un paziente,che presenta impianto di IOL ad appoggio an-golare, necessita di un’attenta e continua valu-tazione post-operatoria a cadenza semestrale,per valutare la densità delle cellule endoteliali,il tono oculare, modificazioni della conforma-zione dell’iride e lo stato infiammatorio delsegmento anteriore e posteriore.

29.2 Lente a fissazione iridea

La lente è agganciata all’iride, allo stromairideo, appoggiando sul piano pupillare; que-sto impianto garantisce una maggior distanzadall’endotelio e dal trabecolato preservandotali strutture da danni irreversibili. È stato di-mostrato come questo tipo di lente inducauna modesta infiammazione cronica dell’iri-de (irite) con possibile sviluppo di una cata-ratta nucleare e un danno endoteliale minorerispetto alla AC-P IOL ma progressivo favo-rito sia dalla tecnica chirurgica (dimensionidel taglio), sia dalle manipolazioni dell’iridedurante l’enclavazione delle parti aptiche.Quindi un paziente con una IOL fachica afissazione iridea dovrà almeno una volta al-l’anno eseguire controlli per valutare l’even -tuale stato infiammatorio subclinico, coin-volgente l’endotelio, l’iride e il cristallino.

29.3 Lente in camera posteriore adappoggio zonulare

La lente è posizionata in camera posterioretra l’iride e la cristalloide anteriore con gli ap-ti a livello zonulare, utilizzando una procedu-ra chirurgica poco traumatica con un piccolotaglio corneale senza indurre astigmatismo. Le principali problematiche connesse a talilenti sono legate alla sede in cui vengono po-sizionate e al vaulting che presentano. Il vaulting, misurato in micron, è la curvaturache la lente possiede e che allontana la facciaposteriore dell’ottica dalla cristalloide ante-riore (Fig. 29.2). Le lenti di 1ª e 2ª generazio-ne presentavano una curvatura simile alla cri-stalloide anteriore per cui il vaulting venivadeterminato dalle dimensioni della lente, ri-spetto al solco/solco per cui la lente potevaaderire al cristallino o incurvarsi eccessiva-mente verso la camera anteriore. Nel primo caso, per ridotta o assente circola-zione dell’umore acqueo tra cristalloide elente, si sviluppavano dense opacità sottoca-psulari anteriori. Nel secondo caso l’eccessiva induzione divaulting determinava una dispersione di pig-mento dalla faccia posteriore dell’iride, unamarcata riduzione dell’ampiezza della cameraanteriore e il rischio di blocco pupillare, mal-grado la presenza di iridotomie Yag-laser per-vie. In questo caso si poteva avere un aumento

Fig. 29.2

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Capitolo 29 Tempistica e valutazioni dopo intervento di lenti fachiche

153QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

della pressione oculare, acuta o cronica, asso-ciata a dolore ingravescente. Le lenti da came-ra posteriore di ultima generazione hanno “inmemoria” un vaulting di circa 300 µ e presen-tano un foro centrale nella parte ottica e duefori nelle parti aptiche per migliorare la circo-lazione dell’acqueo evitando il blocco pupilla-re, anche in assenza di iridotomie Yag-laser el’induzione di cataratta.

29.4 Valutazione dopo intervento di lenti fachiche

La principale emergenza delle lenti fachi-che, nell’immediato postoperatorio, è l’iper -tono, in caso di impianto di lenti in cameraposteriore e a fissazione iridea. L’ipertonopuò essere causato dalla presenza di mate-riale viscoelastico in camera anteriore, dauna lente ad appoggio zonulare troppo lungarispetto al solco/solco, da insufficienti o as-senti iridotomie Yag-laser e dalla disenclava-zione dal piano irideo con ipoema. Oltre al-

l’immediato trattamento topico con farmaciipotonizzanti, si può asportare chirurgica-mente il materiale viscoleastico o il sanguepresente in camera anteriore, nel caso di unblocco pupillare è indispensabile eseguireun ulteriore iridotomia Yag-laser o un’iri-dectomia basale chirurgica. In casi limite sipuò ricorrere a un reintervento chirurgico,sostituendo o riposizionando la lente o ri-muovendo la lente, con contestuale asporta-zione del cristallino naturale quando compa-re una cataratta postraumatica intumescente.La principale emergenza nel postoperatoriotardivo è lo scompenso endoteliale e l’iper to -no secondario, complicanze frequenti dopoun impianto di lente ad appoggio angolare.In conclusione i pazienti che hanno un im-pianto di P-IOL devono eseguire con caden-za non superiore all’anno una corretta valuta-zione del segmento anteriore (pressione ocu-lare, conta endoteliale) valutazione del seg-mento posteriore con ecografia oculare edOCT e periferia retinica per escludere com-plicanze legate a miopia elevata.

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154 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Capitolo 30

Un corretto management postoperatorio do-po chirurgia della cataratta prevede, oltre allaterapia topica con steroidi e/o FANS e anti-biotici, l’applicazione di una shield protettivanelle ore notturne, con controlli a 24 h, 7 e 15gg, e valutazione della stabilizzazione ottica,che in genere avviene entro 2-4 settimane. Inera di facoemulsificazione è stato rilevatoche il mancato controllo di routine a 1 setti-mana può comportare il misconoscimento dicomplicanze significative anche in pazientisenza fattori di rischio pre- o intraoperatori(1).È infatti nozione comune che, anche dopo unintervento di cataratta non complicato, il pa-ziente può lamentare, in acuto, riduzione delvisus, dolore, lacrimazione, iperemia, fotopsieo miodesopsie, diplopia monoculare, nausea. Si tratta quasi sempre dei sintomi di compli-canze precoci, correlate all’imperfetta esecu-zione dei tempi chirurgici, a un terreno favo-revole, alla compliance del paziente e dei fa-miliari o all’effetto di fattori imprevisti qualieventi traumatici.Ricordiamo l’edema corneale, che induce ri-duzione visiva e fotofobia; l’ipertono, conpossibile dolenzia e senso di peso o nausea;il leakage dalla ferita con ipotono e ipotala-mia, che possono manifestarsi con dolenzia,offuscamento, lacrimazione; l’ipoema conannebbiamento visivo ciclico; l’iridociclite ol’uveite da materiale lenticolare residuo in

CA o CV, con edema, ipertono, dolore, peri-cheratica; la dislocazione della IOL, con di-plopia monoculare; l’endoftalmite, caratte-rizzata da panuveite, ipopion, iperemia con-giuntivale e chemosi, edema corneale, ano-malie della ferita, eventuale flogosi palpebra-le e orbitaria, con dolore e offuscamento visi-vo variabile; il distacco di vitreo con mio -desopsie/foto psie/emo vitreo, o di retina, confotopsie e scotomi a tenda; il distacco di co-roide, con offuscamento e scotomi periferici(Figg. 30.1-30.4). Alcune di queste complicanze possono pre-sentarsi anche anni dopo l’intervento, insie-me ad altre più tipicamente tardive, come ca-taratta secondaria con annebbiamento, ede-ma maculare cistoide con riduzione visiva,

Tempistica e valutazioni dopo intervento di catarattaSalvatore Cillino

Fig. 30.1Edema corneale.

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Capitolo 30 Tempistica e valutazioni dopo intervento di cataratta

155QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

glaucoma acuto con dolore e offuscamento,lussazione della IOL con diplopia. Le suddette complicanze possono essereraggruppate in base al tipo di management(Tab 30.I).Non potendo analizzare in dettaglio tutte lesingole condizioni sopra elencate, ne sceglie-remo una tra le più frequenti e significativeda ogni gruppo.

Gruppo 1. Terapia medica/laser + osservazione

Edema cornealeL’incidenza di edema corneale, che può com-

portare riduzione visiva, aloni, dolore, sensodi corpo estraneo, fotofobia(2) e, nei casiestremi, evolvere in cheratopatia bollosapseudofachica e quindi rientrare nel gruppopassibile di chirurgia differita, è stimata in-torno allo 0,1%(3). In caso di edema cornealesignificativo l’oculista valuterà in primaistanza, in base a dati anamnestici e oggetti-vi, se l’edema è da attribuire a predisposizio-ne distrofica (Fuchs), danno iatrogeno mec-canico o fisico da ultrasuoni, flogosi o iperto-no. La terapia potrà includere, pertanto,agenti ipertonici topici, quali cloruro di sodio2-5%, glicerolo, mannitolo, in collirio o po-mata, che traggono acqua dallo stroma, ipo-tonizzanti, che comunque riducono l’edemariducendo la pressione attiva dell’umor ac-queo attraverso l’endotelio indebolito (è beneescludere le prostaglandine per il ben notoeffetto flogogeno e i CAI, per l’effetto nega-tivo sulla pompa endoteliale(4)) e antinfiam-matori. Una LAC idrofila terapeutica può es-sere di aiuto, associata ad antibiotico topicomonodose. Se il potenziale visivo è scarso,possono essere utili punture superficiali conago da 25 G per far cicatrizzare l’epitelio eridurre la bollosa(5). In casi non altrimentitrattabili è d’obbligo una cheratoplastica la-

Fig. 30.2Dislocazione IOL.

Fig. 30.3Gruppo 2: residuo lenticolare in CV.

Fig. 30.4Gruppo 2: residuo lenticolare in CA con edema.

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Pronto Soccorso Oculistico

156 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

mellare endoteliale. Le suddette azioni tera-peutiche vanno intraprese tempestivamente,con follow-up e controlli settimanali.

Gruppo 2. Terapia medica + osservazione +chirurgia differita

Residuo lenticolare in CA o CVLa dislocazione di materiale lenticolare incamera anteriore o vitrea avviene in circal’1% degli interventi di cataratta(6-8). Nel pri-mo caso, se si tratta di minuti residui cortica-li, è plausibile una terapia medica con steroi-di e cicloplegici per dominare la flogosi constretto controllo in attesa del riassorbimentodegli stessi. In caso di residui nucleari piùconsistenti, dei quali è stato descritto il se-questro in sede retroiridea o intracapsulareanche per 15 anni nel postoperatorio, conuveite e scompenso corneale tardivo, è consi-

gliabile l’asportazione chirurgica per evitarel’uveite persistente da dissequestro antigeni-co e la perdita da contatto endoteliale conedema corneale(9-11).In caso di materiale lenticolare in CV, è sotto-lineata l’utilità di una vitrectomia immediatadopo la lussazione solo se il chirurgo vitreo-retinico è prontamente disponibile, per evita-re due procedure. In caso contrario, una tera-pia farmacologica adeguata, ritardando quin-di la vitrectomia, consente il miglioramentodel frequente edema corneale e dell’infiam-mazione postoperatoria, così come una cor-retta visualizzazione durante la vitrectomiastessa. Il follow-up e la terapia antinfiamma-toria-antibiotica devono essere costanti e pie-ni, in relazione all’incremento del rischio diendoftalmite in seguito a rottura capsulare(12).In generale la vitrectomia via pars plana(PPV) può essere eseguita tra 1 e 3 settimanedopo l’evento iniziale(13). Ancora, un confron-

Tabella 30.I

CAUSE DI PRONTO SOCCORSO DOPO CHIRURGIA DELLA CATARATTA.CLASSIFICAZIONE IN BASE AL MANAGEMENT

Terapia medica/laser Terapia medica Chirurgia urgente+ osservazione + osservazione

+ chirurgia differita

Edema corneale Modesto leakage ferita Endoftalmite precoce/(da scompenso o ipertono) medio-grave

Ipertono Ipoema ≥ grado 2 Leakage ferita con ipotono/ipotalamia

Ipoema grado 1 Distacco coroideale Distacco di retina

Blanda uveite/endoftalmite Residuo lenticolare in CA o CV Glaucoma acuto secondario

Piccolo residuo lenticolare in CV Cheratopatia bollosa pseudofachica Lussazione sacco-IOL

Distacco di vitreo Blanda endoftalmite

Edema cistoide Dislocazione IOL

Opacità secondaria

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Capitolo 30 Tempistica e valutazioni dopo intervento di cataratta

157QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

to retrospettivo tra PPV precoce, entro 7 gior-ni, o ritardata, oltre 2 settimane, mostra che lachirurgia può essere rimandata con successoin molti casi(14). Infine, in un’ampia revisionedella Letteratura del 2011, la maggior parte distudi retrospettivi sul momento ottimale, ti-ming, della vitrectomia con lensectomia(asportazione del nucleo caduto) non mostraalcun vantaggio con la PPV precoce, cioè en-tro i 7 giorni(15).

Gruppo 3. Chirurgia urgente

EndoftalmiteÈ una severa infiammazione che coinvolgesia il segmento anteriore che posteriore del-l’occhio, causata dall’introduzione periope-ratoria di organismi microbici sia dalla nor-male flora congiuntivo-cutanea del pazienteche da strumenti contaminati, e che, una vol-ta che il microrganismo raggiunge la cavitàvitreale, diviene clinicamente evidente, conessudazione settica intraoculare, entro 6 set-timane dall’intervento(16,17).In teoria è un evento che può sempre coinvol-gere un paziente pseudofachico, dal momentoche infezioni osservate in pazienti ad alto ri-

schio o causate da organismi a lenta crescitapossono evidenziarsi mesi o anni dopo la chi-rurgia. Rimane, per fortuna, una complicanzarara dopo chirurgia della cataratta: 0,04% nelperiodo 1995-2001 al Bascom Palmer Eye In-stitute(18,19). Più recentemente si è assistito a unincremento dovuto alla tecnica senza sutura,per poi ottenere un nuovo decremento grazieall’uso dello iodio-povidone e del cefuroximein CA. In particolare, il cefuroxime ha ripor-tato l’incidenza dallo 0,59% allo 0,043%(20-22).Il follow-up degli operati di cataratta deve es-sere più stretto in caso di tempi chirurgiciprotratti (p.es. chirurghi in training), rotturacapsulare con perdita di vitreo, materiale len-ticolare ritenuto, sospetta contaminazionestrumentale, ferita imperfetta.La terapia è correlata alla gravità dell’infezio-ne e alla funzione visiva: l’EndophthalmitisVitrectomy Study non ha mostrato differenzetra pazienti trattati con antibiotici intraocularivs vitrectomia se l’AV era superiore alla per-cezione luce. Nei pazienti con sola percezio-ne luce la vitrectomia ha mostrato una proba-bilità 3 volte superiore di ottenere almeno5/10, 2 volte superiore di ottenere almeno2/10, e il 50% di rischio in meno di danno vi-sivo severo (<1/20)(23).

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Pronto Soccorso Oculistico

158 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

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Capitolo 31

159QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Tutti gli atti medici su cui si deve basare lagestione del paziente trapiantato di cornea, inpronto soccorso, devono mirare a garantirel’integrità del lembo impiantato.

31.1 Il lembo e l’anello ricevente

L’epitelio verrà valutato con l’instillazione difluoresceina al fine di rilevare la presenza, el’estensione, di aree di disepitelizzazione osofferenza. In questi si casi dovrà attuare unaterapia mediante utilizzo di colliri antibioticie pomate “riepitelizzanti”, almeno in due in-stillazioni giornaliere, e sostituti lacrimali abase di acido ialuronico ad alto peso moleco-lare con instillazioni frequenti nell’arco dellagiornata. I controlli dovranno essere a 5-7giorni. Lo stroma verrà valutato in illumina-zione diretta e parafocale al fine di individua-re la presenza di opacità o stati edematosi. Inquesti casi il cardine della terapia sarà costi-tuito dall’utilizzo di colliri cortisonici (desa-metasone o prednisolone) ad alto numero diinstillazioni (5-6 volte/die), fino a regressio-ne del quadro obbiettivo. Nel caso sia asso-ciata anche una sofferenza epiteliale, essa èda correlare, nella maggioranza dei casi, allasofferenza stromale e della membrana basa-le. Per tale motivo è necessario attuare la te-rapia con colliri antibiotici e sostituti lacri-mali associando, comunque, una terapia cor-tisonica al fine di interrompere la catena del-l’infiammazione il turnover cellulare da par-

te della membrana basale. La frequenza delleinstillazioni, dei colliri cortisonici, potrebbeiniziare con due volte al dì per poi essere au-mentata alla regressione della sofferenza epi-teliale. I controlli dovranno essere a 3-5 gior-ni. La strato endoteliale verrà valutato in re-troilluminazione e in riflessione speculare.La presenza di una sofferenza endotelialeverrà evidenziata da una perdita di trasparen-za, più o meno importante, di tutto il lembo,con edema stromale. Anche in questi casi ilcardine della terapia è rappresentato dall’in-stillazione di colliri corticosteroidi (desame-tasone o predinosolone) ad elevato numero diinstillazioni, fino a una ogni ora, da scalareopportunamente man mano che il quadro cli-nico migliori. I controlli dovranno molto ser-rati (24 h-2 giorni)(1-6).

31.2 La sutura

Una sutura intatta, a punti staccati o continuamista, può presentare, nell’immediato posto-peratorio, fenomeni reattivi tissutali dovuti al-la fisiologica infiammazione tissutale conse-guente al trauma chirurgico, sia alla sua irre-golarità. In questo caso si osserverà la com-parsa di piccoli addensati infiammatori lungoil decorso della sutura (dellen). Nella maggio-ranza dei casi la terapia postoperatoria a basedi colliri antibiotici e corticosteriodei, in as-sociazione, con instillazioni frequenti, per-mette la regressione del quadro clinico. I con-

Tempistica e valutazioni dopo intervento di trapianto di cornea Mario Bifani, Luigi Mele, Francesca Simonelli

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Pronto Soccorso Oculistico

160 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

trolli dovrebbero avere una cadenza da 3 a 7giorni. Una sutura intatta ma stretta potrebbecausare l’insorgenza di fenomeni di sofferen-za tissutale quali la comparsa di ulcere, se-condarie alla sofferenza della membrana ba-sale e dei ponti cellulari epiteliali. In questicasi, solitamente, la sutura tende a distendersie a ridurre, nel tempo, il suo effetto trattivo.L’iter terapeutico prevede l’utilizzo di colliriantibiotici e pomate riepitelizzanti da instilla-re 2-3 volte/die in attesa del miglioramentodel quadro clinico. Quando ciò non dovesseaccadere è necessario riapporre la sutura al fi-ne di evitare una compromissione irreversibi-le della trasparenza del lembo.L’individuazione di un’interruzione della su-tura risulta abbastanza agevole attraverso lalampada a fessura. Tale situazione è, nellamaggior parte dei casi, accompagnata daun’importante sintomatologia dolorosa, im-provvisa, lamentata dal paziente. L’obbiet tivo,principale, dell’iter terapeutico successivo,sarà quello di impedire una diastasi del lembodall’anello ricevente, con tutte le conseguenzecliniche quali svuotamento della camera ante-riore, penetrazione di microrganismi patogeniecc. È importante valutare il tempo intercorsodall’intervento: nel caso ci si trovi in un tempoinferiore ai 6 mesi, in linea di massima, anchenon riscontrando una evidente diastasi dellagiunzione corneo-corneale; è abbastanza ine-vitabile che essa si manifesterà nel tempo, acausa delle dinamiche pressorie che caratte-rizzano il bulbo oculare (in toto e in particola-re nella camera anteriore) ma anche per effettotrattivo esercitato dai punti contrapposti. Invirtù di ciò conveniente asportare la sutura eriapporla per evitare problemi futuri(1-3). Quan-to esposto è maggiormente riferito alle suturea punti staccati o singole continue. Nel caso disuture miste o doppie antitorsione, quando siverifichi un’interruzione di una sola sutura o

di uno o più punti staccati della mista, la situa-zione, dopo l’asportazione, consente una piùcalma riflessione non imponendo l’im me diatanecessità di riapposizione, ma lasciandone lavalutazione nei diversi controlli programmatinel tempo. In tutti i casi la terapia prevedel’instillazione di colliri antibiotici e cortisoniciin associazione, a scalare per un periodo noninferiore alle 3 settimane, cadenzando le visiteogni 3-7 giorni.

31.3 Il rigetto

Quando ci si trova dinanzi a un quadro obbiet-tivo caratterizzato da una perdita di trasparen-za del lembo e una neovascolarizzazione inte-ressante uno o più quadranti, si deve attuare,necessariamente, un protocollo terapeutico at-to a eliminare la complicanza più temibile nelpostoperatorio del trapianto di cornea, ossia ilrigetto(7). Il protocollo terapeutico prevedel’instillazione di colliri antibiotici e corticoste-roidi in associazione (betametasone o predni-solone) ogni ora fino a miglioramento delquadro clinico per poi programmare una tera-pia a scalare fino, anche, a 6 mesi dall’iniziodella terapia stessa(1,2). L’instillazione di ciclo-sporina per via topica ha prodotto risultaticontrastanti, come ampiamente rilevato dallaLetteratura: dovrebbe essere presa in conside-razione quando vi è rischio di aumento dellaIOP o quando appare inefficace la terapia cor-ticosteroidea. In questi casi il protocollo pre-vede l’instillazione per 3-4 volte/die fino a 3mesi in eventuale associazione con la terapiacorticosteroidea standard. In tutti i casi di ri-getto la cadenza dei controlli dovrebbe esserea 3 giorni per poi aumentare a 7 giorni in basealle evidenze del miglioramento del quadroobbiettivo(5), con una gestione molto attentadel paziente.

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Capitolo 31 Tempistica e valutazioni dopo intervento di trapianto di cornea

161QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

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Bibliografia

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162 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Capitolo 32

La trabeculectomia rappresenta ancora oggiil gold standard tra gli interventi per il glau-coma. Non esiste ancora un’evidenza defini-tiva che alternative chirurgiche possano ave-re un’efficacia comparabile dal punto di vi-sta dell’effetto ipotonizzante, sia a breve siaa lungo termine. Anche per questo motivo latrabeculectomia rimane tuttora l’interventoantiglaucomatoso più praticato al mondo.Tuttavia, la sua natura di intervento “pene-trante”, rende possibili le numerose compli-canze postoperatorie descritte in Letteratura,come l’ipotono, l’ipo/atalamia, il distacco dicoroide, il “fallimento” della bozza, le “ble-biti” e le endoftalmiti(1,2). Nel tempo, con loscopo di ovviare o comunque ridurre dettecomplicazioni, sono state proposte molte va-rianti all’intervento, mirate a prevenirel’iper fil trazione, le “perdite” dalla bozza, leconformazioni anomale della bozza (cisti-che, esuberanti, trasudanti ecc.), la fibrosipostoperatoria, ovvero il fallimento dell’in-tervento filtrante. A tale proposito, basti lacitazione del Enhanced Trabeculectomy-TheMoorfields Safer Surgery System propostoda Peng Tee Khaw et al. (3). Comunque,l’“essenza” dell’intervento di trabeculecto-mia, ovvero l’origine e causa della maggiorparte delle complicanze e la base del suofunzionamento, rimane la bozza filtrantesottocongiuntivale.Il risultato ideale della procedura filtrante,

ovvero la creazione di una fistola preternatu-rale che deve cicatrizzare un poco ma nontroppo (citando a braccio Marco Nardi), perpotere raggiungere il target pressorio deside-rato, dipende in modo fondamentale dallagestione postoperatoria della bozza, ovveroda un accurato e appropriato follow-up po-stoperatorio con immediato riconoscimentoe trattamento delle complicazioni. Anche pertutti questi motivi, negli ultimi anni stiamoassistendo a una quasi continua ricerca eproposta di nuove tecniche chirurgiche anti-glaucomatose bleb-free, come ad esempio laviscocanalostomia, la canaloplastica, la co-siddetta MIGS (Micro Invasive GlaucomaSurgery) che prevede l’uso di strumenti de-dicati a questo tipo di chirurgia angolare co-me il Trabectome®, l’STT® per la sclerotala-motomia, o di particolari device atti a pro-muovere la filtrazione angolare come ilGlaukos’ I stent®, il Transcend’s Cy Pass Im-plant®, l’Ivantis Hydrus Microstent®, TheAquesys® ecc. Per questioni di spazio a di-sposizione, in questo capitolo tratteremoprincipalmente la tempistica e le valutazionidopo trabeculectomia, accennando soltantoa quanto necessario per le altre tipologie diinterventi, per i quali, d’altra parte, il follow-up è spesso molto semplificato, così comesono ridotte le possibilità di modularne il ri-sultato pressorio.È necessario ricordare, come premessa, che

Tempistica e valutazioni dopo interventi di glaucomaMaurizio Giacinto Uva

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Capitolo 32 Tempistica e valutazioni dopo interventi di glaucoma

163QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

l’intervento di trabeculectomia, dalla sua de-scrizione nella fine degli anni ’60 del Secoloscorso a oggi, è tutt’altro che standardizzatoe che le varianti all’intervento possono esse-re innumerevoli, come differenti possono es-sere le tecniche adottate da ogni chirurgo(basti pensare alle modalità di impiego degliantimetaboliti). Tali “variabili” possono con-dizionare in maniera importante i risultati eil follow-up, e sarebbe buona norma che ilfollow-up postoperatorio, almeno nelle pri-me fasi, fosse svolto dal chirurgo o dalla suaéquipe(4). La ritardata diagnosi e trattamentodi complicanze o errori (tipici talora deglioftalmologi non glaucoma-specialist) nellagestione farmacologica del decorso postope-ratorio, come ad esempio la troppo precocesospensione di steroidi topici o la prescrizio-ne di terapia ipotonizzante al minimo accen-no di rialzo pressorio, possono compromet-tere in maniera irreversibile il funzionamen-to della bozza filtrante(5,6). Una corretta tempistica del follow-up posto-peratorio dovrebbe prevedere controlli in 1ª,3ª, 7ª, 14ª, 28ª giornata, e ogni 1-2 mesi nelcorso del primo anno postchirurgia. Il pa-ziente deve essere accuratamente istruito ariconoscere i sintomi di possibili compli-canze che potrebbero insorgere in qualun-que momento e deve essere prevista una viapreferenziale di accesso all’eventuale con-trollo fuori-programma senza rischiosi tem-pi di attesa. Ove questo non fosse pratica-mente attuabile non si può prescindere dal-l’instaurare canali di comunicazione il piùpossibile “in tempo reale” tra il centro di ri-ferimento e lo specialista che segue il pa-ziente in periferia(5,6). Le valutazioni di importanza fondamentale,ovvero le variabili cliniche-chiave che devo-no essere verificate ad ogni controllo sono leseguenti:

• la pressione intraoculare, che in condizio-ni steady state ovvero senza aver sottopo-sto l’occhio a massaggi o altre manovreche possono influenzare il dato tonometri-co, deve rientrare nel range previsto. Co-me indicazione di massima, non dovrebbesuperare i 12-15 mmHg almeno nel 1° me-se e, non dovrebbe essere abnormementebassa, tanto, per esempio, da non esseremisurabile;

• la profondità della camera anteriore (CA),che deve essere normale;

• la bozza congiuntivale, che deve esserepresente, diffusa, abbastanza estesa, diaspetto “microcistico”, non presentare ec-cessivi segni di reazione iperemica manemmeno essere ischemica.

Dalla valutazione di queste variabili, oveuna o più dovessero essere “fuori norma”devono scaturire un corretto e pronto inqua-dramento diagnostico della situazione e unconseguente atteggiamento terapeutico, attoa riportare nella normalità il decorso posto-peratorio. A questo riguardo il fattore tempoè fondamentale soprattutto nel post-trabecu-lectomia, perché ritardi nella gestione dellecomplicanze possono facilmente rovinare ilrisultato dell’atto chirurgico, anche se cor-rettamente eseguito. Le altre chirurgie, co-me le non perforanti (viscocanalostomia,sclerectomia profonda), la canaloplastica, ivari tipi di MIGS prima menzionati, conce-dono tempi un po’ più lunghi di osservazio-ne, prima di dovere agire in senso corretti-vo. Invece, dopo una trabeculectomia, unabozza che non si forma, una camera assenteo una pressione fuori-range, possono esserecorrelate a problematiche da trattare in ur-genza.Vengono schematicamente riportati gli sce-nari possibili, a seconda della fase del fol-low-up.

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Pronto Soccorso Oculistico

164 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

32.1 A breve termine (1-4 settimane)

IpotonoA.Se in concomitanza di una bozza assente e

una CA più o meno bassa, ricercare unaperdita della bozza (controllare retina ecoroide!). Trattamento perdita della boz-za: ridurre temporaneamente medicazionecon steroidi e applicare pomata antibioti-ca, eventualmente LAC terapeutica, ben-daggio non compressivo, eventualmentesutura.

B. Se in concomitanza di una bozza eccessi-va, pensare a un’iperfiltrazione dallo spor-tello. Trattamento iperfiltrazione: sospen-sione temporanea steroidi topici, eventualesomministrazione temporanea di inibitorianidrasi carbonica(6), revisione chirurgicadella sutura del flap sclerale. Trattamentodell’atalamia: cicloplegici e midriatici at-tivi, se la CA non si riforma nonostante larimozione della causa, iniezione di viscoe-lastici. Trattamento ev. distacco di coroide:rimozione cause ipotono, cicloplegici, ste-roidi per via sistemica, attesa.

IpertonoA.Se in concomitanza di una CA normale e

bozza assente: pensare a un’ostacolata fil-trazione a livello del flap. Trattamento diassente filtrazione dallo sportello: mas-saggio, laser lisi dei punti di sutura o ri-mozione suture rilasciabili.

B. Se in presenza di CA normale e bozza diaspetto cistico: pensare a un incapsula-

mento della bozza. Trattamento bozza in-capsulata: needling.

C. Se in presenza di una CA bassa: dopo averescluso la presenza di un distacco emorra-gico di coroide (p.es. fundus o ecografia),specie in occhi fachici e ipermetropi, pen-sare al glaucoma maligno. Trattamento delglaucoma maligno: midriatici cicloplegici,inibitori anidrasi carbonica, osmotici, ia-loidotomia YAG-laser, vitrectomia.

32.2 A medio termine (1-6 mesi)

IpertonoOsservare la bozza: se cistica eseguire need-ling; se tende ad appiattirsi o mostra segni difibrosi eseguire needling implementato daantimetaboliti. Se avviene dopo chirurgianon perforante (sclerectomia profonda) prati-care goniopuntura YAG-laser.Altre anomalie della bozza (procidente sul-la cornea, troppo esuberante da causare“dysesthesie”, trasudante ecc.) vanno atten-tamente sorvegliate, trattate con sostituti la-crimali lubrificanti ed eventualmente me-diante plastica congiuntivale.In conclusione, l’intervento di trabeculec-tomia richiede al chirurgo e alla sua équipeun impegno che prosegue ben oltre l’e -secuzione dell’atto chirurgico stesso, tantoche è stato coniato da Franz Grehn e dalsuo gruppo il termine IPC (Intensified Po-stoperative Care). Il tempo e la fatica a essodedicati frutteranno però, sicuramente, unapiù alta percentuale di successi chirurgici(4).

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Capitolo 32 Tempistica e valutazioni dopo interventi di glaucoma

165QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

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Bibliografia

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166 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

Capitolo 33

La gestione postoperatoria del paziente sot-toposto a chirurgia vitreoretinica rappresentaun momento fondamentale per il raggiungi-mento di un buon risultato anatomico e fun-zionale dell’intervento. Il corretto posiziona-mento del paziente, un’adeguata terapia po-stoperatoria, una corretta programmazionedei controlli postoperatori riducono notevol-mente l’incidenza di complicanze e massi-malizzano il risultato della chirurgia.La gestione del paziente vitrectomizzato ri-chiede un prestabilito protocollo che prevedasia il primo periodo postoperatorio sia il fol-low-up prolungato in termini di mesi. La fre-quente necessità, infatti, di dover sottoporreil paziente a ulteriori interventi successivi alprimo intervento di vitrectomia, come la con-seguente estrazione della cataratta in caso dipaziente fachico o la rimozione di olio di sili-cone, richiedono la presa in carico del pa-ziente per un periodo che deve generalmenteessere di almeno un anno.La preparazione del paziente da sottoporre aintervento di vitrectomia prevede innanzitut-to una serie di esami preoperatori che devonoentrare a far parte della cartella clinica. Oltrealla fondamentale anamnesi generale e spe-cialistica e all’esame obbiettivo, è necessariala presenza di una tomografia a coerenza ot-tica (OCT) che valuti lo stato della regionemaculare. Questa è d’obbligo in presenza dipatologie maculari ma anche in presenza didistacco di retina per valutare se questo ha o

meno interessato la regione maculare e quin-di già fornisce un’indicazione sulla’ntità direcupero funzionale. Anche l’analisi obbietti-va della funzionalità maculare, resa possibiledall’esecuzione di una microperimetria com-puterizzata, ha la sua indubbia utilità, specieper la possibilità di confronto con la situazio-ne postoperatoria. L’ecobiometria ocularepreoperatoria è fondamentale quando ci siaccinge a effettuare un intervento di vitrecto-mia anche quando l’intervento di facoemulsi-ficazione non è previsto nel piano operatorioin quanto può sempre esistere il rischio didanno iatrogeno. È dibattuto se l’interventodi facoemulsificazione debba o meno essereassociato all’intervento di vitrectomia. Tra i vantaggi della chirurgia combinata vasicuramente, in questa sede, menzionata pro-prio la possibilità di ridurre al paziente il nu-mero dei controlli postoperatori e il disagiodi doversi sottoporre a un successivo inter-vento. Questo comporta anche, dal punto divista organizzativo, una minore spesa econo-mica in termini di personale e costo chirurgi-co. In caso di intervento per distacco di retinaè buona regola effettuare un disegno preope-ratorio, specie in caso di intervento di chirur-gia episclerale o, ancora meglio, una fotofundus raffigurante il distacco retinico. Il pa-ziente andrà poi preparato con la sommini-strazione di collirio antibiotico e di colliriomidriatico da iniziare 2 giorni prima dell’in-tervento. Attualmente grande sforzo viene

Tempistica e valutazioni dopo interventi di vitrectomiaGiorgio Tassinari, Paolo Tassinari

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Capitolo 33 Tempistica e valutazioni dopo interventi di vitrectomia

167QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

fatto a livello direzionale amministrativo perconvertire la chirurgia vitreoretinica da unregime di ricovero ordinario a un regime diday surgery. Questa conversione si sta ren-dendo sempre più praticabile sia grazie allasempre minore necessità di effettuare inter-venti in anestesia generale sia grazie al mino-re traumatismo indotto dalla chirurgia smallgauge. Il maggiore limite della chirurgia inregime di day surgery è la scarsa consapevo-lezza da parte del paziente dell’entità e del-l’importanza dell’intervento che deve subire.Purtroppo, come per quanto è accaduto per lachirurgia della cataratta, l’assenza di alletta-mento e tempi chirurgici molto brevi tendonoa far sottostimare al paziente l’entità dellachirurgia che deve subire. Sarà quindi doveredel medico esacerbare ancora con maggiorevigore i rischi e benefici di questo tipo di chi-rurgia e soprattutto la necessità di controlli eriposo postoperatori.Il primo controllo postoperatorio viene co-munemente eseguito lo stesso giorno dell’in-tervento a distanza di 4-6 ore dalla chirurgia.Questo controllo serve sia per effettuare laprima medicazione sia per valutare il tonooculare. Inoltre viene edotto il paziente sullaposizione da mantenere in presenza di mezzitamponanti. La frequente necessità di sistemitamponanti gassosi e il sempre più diffuso ri-corso a tecniche small gauge senza suturapossono determinare importanti variazioni inplus o in minus della pressione intraoculare.È quindi importante, già nelle primissime fa-si postoperatorie, monitorizzare la pressioneintraoculare.Il controllo del primo giorno postoperatorio èfondamentale e deve essere eseguito entro le24 ore dall’intervento di vitrectomia. Questocontrollo è importante, oltre che per le valu-tazioni che vedremo di seguito, anche perl’impostazione della terapia domiciliare. So-

litamente è abitudine comune dare una tera-pia topica che preveda un associazione anti-biotico-cortisone. È più dibattuta invece lanecessità di una somministrazione di antibio-tico per via orale. I parametri che nei mag-giori studi clinici vengono presi in considera-zione nel primo giorno postvitrectomia sonola presenza o meno di infiammazione intrao-culare, il tono oculare (tenuta sclerotomie) el’ocular surface core. La principale compli-canza legata alla chirurgia vitreale small gau-ge è infatti l’ipotonia postoperatoria. La pre-senza di sclerotomie aperte, anche se di pic-colo diametro, può determinare la comparsadi ipotonia che a sua volta determina accu-mulo di liquido nello spazio supracoroidealecon grave rischio emorragico e minaccia del-la funzionalità visiva. Molti studi hanno evi-denziato la comparsa di ipotonia in oltre il20% delle procedure 25-gauge(1,2). Nellamaggior parte dei casi l’ipotonia bulbarerientra nei valori normali. Byeon riscontròcome l’unico fattore clinicamente significati-vo nel determinare la comparsa di ipotoniapostoperatoria nel sistema 25-gauge fosse lagiovane età(3). Comunque la comparsa di ipo-tono (ritenuto come pressione al di sotto dei6 mmHg) in prima giornata è molto variabilenella Letteratura con percentuali variabilidallo 0% al 21,1%(4). In uno studio di Gon-cu(6) sono state comparate le due tecniche divitrectomia 20-23-gauge. Il 15% delle scle-rotomie eseguite con tecnica 23-gauge hannonecessitato, al termine dell’intervento, di su-tura mentre non sono stati evidenziati casi dileakage il giorno successivo. Non sono statirilevati valori di ipotono al di sotto dei 6mmHg il giorno successivo all’intervento. Ilvalore medio del tono oculare era di16,2±3,9 mmHg nel gruppo 20-gauge e di14,1±2,2 mmHg nel gruppo 23-gauge. Un’altra analisi che viene eseguita nel primo

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Pronto Soccorso Oculistico

168 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

giorno postoperatorio è il valore dell’ocularsurface score. Questo tiene in considerazionetre parametri: l’infiammazione, la presenza diemorragie sottocongiuntivali, l’evidenza dicicatrici congiuntivali. Nel gruppo 20-gaugeil valore medio dell’ocular surface score po-stoperatorio era di 3,4±1,1 in prima giornata,3,2±1,4 alla prima settimana e 2,67±1,3 alprimo mese. Nel gruppo 23-gauge il primogiorno postoperatorio il valore era di 1,2±1,1,la prima settimana 0,6±0,8 e al primo mese0,47±0,8. La differenza tra i due gruppi erastatisticamente significativa (p= 0,001)(6). An-che la presenza di infiammazione intraocula-re, e quindi di fibrina, deve essere controllatain prima giornata postoperatoria. La fibrinapotrà essere data da una reazione infiammato-ria conseguente, ad esempio, a estese laser-sottrazioni in corso di vitrectomia per retino-patia diabetica oppure a manipolazioni irideeo essere di tipo infettivo.L’endoftalmite è una rara complicanza delprimo periodo postoperatorio che recente-mente, con le tecniche small gauge senza su-tura, ha presentato un lieve incremento di in-cidenza. Il rischio di endoftalmite dopo vi-trectomia 20-gauge è stimato essere tra il0,039% e il 0,07%. In seguito a vitrectomia25-gauge il rischio di comparsa di endoftal-mite è stimato essere dello 0,23% secondouno studio del Wills Eye Hospital su 3103occhi(7). In uno studio di Scott l’incidenza diendoftalmite è stata stimata essere dello0,02% per chirurgia 20-gauge, 0,03% per 23-gauge, 0,13% per 25-gauge(8). Il tempo mediodi insorgenza di endoftalmite postvitrecto-mia è in media di 3 giorni dopo la chirurgia ela maggior parte dei pazienti si presenta conoffuscamento visivo e dolore (88%)(9).Il meccanismo reputato all’origine dellamaggiore incidenza di endoftalmite con letecniche small gauge sembra essere connes-

so a più fattori. Innanzitutto la minore e piùincompleta rimozione del corpo vitreo si puòassociare a una maggiore aderenza battericae quindi a una maggiore carica, a questo siassocia la minore turbolenza all’interno dellacamera vitrea dovuta alla presenza di trocarvalvolati che quindi determina una minoreentrata e uscita di liquido e minore lavaggiointravitreale. Infine, l’ipotonia postoperatoriapuò determinare un flusso retrogrado di ger-mi dalla congiuntiva all’interno della cavitàvitreale(9). Alcuni studi non hanno però ri-scontrato una significativa più alta incidenzadi endoftalmite con tecnica small gauge ri-spetto al tradizionale 20-gauge. Parolini hariscontrato un caso di endoftalmite su 3078pazienti operati con tecnica 20-gauge rispet-to a nessun caso su 943 pazienti operati contecnica 23-gauge(10). Anche Gupta non ha ri-scontrato casi di endoftalmite dopo chirurgia23-gauge senza sutura mediante creazione disclerotomie oblique(5). Alla luce di questa complicanza è sempreimportante avvertire il paziente di presentarsicon urgenza in caso avverta la comparsa disintomi quali il dolore o il peggioramentodella condizione visiva. Il successivo con-trollo postoperatorio, in caso di assenza diproblemi in prima giornata, viene general-mente eseguito a distanza di 7-15 giorni dal-l’intervento. Questo controllo ha soprattuttolo scopo di valutare la situazione retinica ov-vero l’appianamento retinico, l’entità deltamponamento retinico ad opera dei mezzigassosi o liquidi, effettuare il completamentodel trattamento retinopessico e l’eventuale ri-mozione dei punti.In una review sulle complicanze della chirur-gia vitreoretinica small gauge Fabian(11) ripor-ta come diversi studi hanno riscontrato unapercentuale variabile di distacco di retina.Ibarra et al. riportano un caso di distacco di

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Capitolo 33 Tempistica e valutazioni dopo interventi di vitrectomia

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retina (2,2%) su 45 pazienti operati per foromaculare(12), Chieh et al. non riportano casi didistacco di retina dopo 118 vitrectomie contecnica 23-gauge(13), Byeon e Kellner riporta-no una più alta percentuale di distacco di reti-na (rispettivamente 6-6,67%) in seguito a chi-rurgia 25-gauge(1,14). La percentuale di insor-genza di distacco di retina sembra, comun-que, secondo i vari Autori, essere più bassanella chirurgia con utilizzo di trocar rispettoalla 20-gauge senza trocar senza differenzesignificative in tra il calibro 23- o 25-gauge. Ilcontrollo ad un mese dall’intervento prevedesolitamente l’esecuzione di un esame tomo-grafico atto a valutare lo stato della regionemaculare. Inoltre, in caso di presenza di oliodi silicone pesante viene programmata la suarimozione. Anche i successivi controlli a 3 e 6mesi devono entrare nella routine della ge-

stione del paziente vitreoretinico in quantoprevedono anch’essi la valutazione sia dell’e-ventuale rimozione del sostituto vitreale sia laprogrammazione dell’eventuale intervento dicataratta. Infatti, anche la comparsa di cata-ratta successiva all’intervento di vitrectomia,nel caso non sia stata effettuata una chirurgiacombinata, deve richiedere comunque con-trolli a lungo termine. Dopo vitrectomia 20-gauge la cataratta occorre mediamente a7,7±2,7 mesi dall’intervento mentre nel grup-po 23-gauge dopo 7,6±2,7 mesi, differenzanon statisticamente significativa(6). È quindievidente come la gestione del paziente vitrec-tomizzato richieda una specifico iter organiz-zativo atto a espletare molteplici controlli epiù interventi con una “presa in carico” delpaziente da parte della struttura e dell’équipeoperante prolungata nei mesi.

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Pronto Soccorso Oculistico

170 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

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Bibliografia

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Capitolo 34

171QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

I controlli postoperatori dei pazienti operatiper un distacco di retina sono un elementofondamentale per la guarigione del paziente;in particolare la gestione dello stesso in con-dizioni di urgenza.Generalmente, i controlli dovrebbero essereeffettuati ogni settimana nel primo mese dopol’intervento e, se il decorso risulta essere nel-la norma, potranno essere dilazionati a unavolta ogni tre mesi, per poi passare a una vol-ta ogni sei mesi e infine a una volta l’anno.Ad ogni controllo vanno valutate tutte le strut-ture oculari: il segmento anteriore, che potreb-be evidenziare un edema corneale, un proces-so flogistico in camera anteriore (irite o irido-ciclite), un ipoema; il controllo della pressioneintraoculare, in quanto frequentemente si de-terminano ipertoni dovuti o a una terapia ste-roidea eccessiva (cortico responders) o all’usodi farmaci midriatici o a una reazione posto-peratoria legata alla chiusura dell’angolo ca-merulare. In quest’ultimo caso, il paziente an-drà controllato con scadenza settimanale finoalla completa stabilizzazione del tono oculare.Solo se la reazione infiammatoria è modesta,si potrà procedere con la dilatazione dellapupilla che permetterà un esame dettagliatodella retina.Quest’ultimo dovrà essere eseguito con lamassima accuratezza, analizzando la periferiaretinica nei dettagli e valutando l’indentazionedel cerchiaggio, la corretta chiusura e il crio-trattamento delle rotture retiniche, l’eventuale

presenza di una congestione coroideale.La coroide potrebbe presentare un fenomenodi effusione che, se circoscritto e in pazientisclerotici e/o con miopia elevata, costituisceun evento frequente che non andrà sottovalu-tato, tenendo sotto stretto controllo il pazientecon scadenza di 4/5 giorni con particolare at-tenzione alla componente tonometrica finchél’effusione regredirà nel tempo senza determi-nare danni ulteriori.Se si evidenziasse una recidiva del distacco diretina dovrà essere indicata la sede del distac-co, l’esistenza di eventuali nuove rotture o lapresenza di processi proliferativi (PVR).È evidente che la tempistica dei controlli po-stoperatori dovrà essere più frequente in condi-zioni di insorgenza di qualsiasi complicanza.I dispositivi utilizzati nella chirurgia episcle-rale (soprattutto il cerchiaggio), ad esempio,possono causare una seria complicanza po-stoperatoria che può presentarsi al prontosoccorso a carico del segmento anteriore,ossia l’i sche mia/necrosi anteriore. Ciò è do-vuto al ridotto afflusso di sangue alle struttu-re anteriori, per occlusione delle arterie cilia-ri lunghe. Le cause possono essere: gli effettidi trattamenti fisici eccessivi oppure un cer-chiaggio troppo indentante. La sindrome simanifesta con edema corneale e iniezionepericheratica.Nel caso in cui si sospetti una sindromeischemica anteriore, deve essere instauratarepentinamente una terapia con alte dosi di

Tempistica e gestione in urgenza delpaziente operato per distacco di retinaBernardo Billi, Donatella Caprino

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Pronto Soccorso Oculistico

172 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

cortisone topico. In questi casi potrà risultarenecessario controllare il paziente ogni duegiorni ed eventualmente decidere di procede-re alla sezione o alla completa rimozione delcerchiaggio.Inoltre, nel decorso postoperatorio, è moltocomune l’insorgenza di uno strabismo transi-torio postchirurgico, legato all’edema mu-scolare dovuto alle eccessive trazioni e crio-trattamenti sui muscoli estrinseci. In questocaso, per quanto riguarda la tempistica deicontrolli postoperatori, questa sarà la stessadel decorso normale, in quanto, fortunata-mente, entro le sei settimane, l’eterotropiadiventa eteroforia. In caso di persistenza ol-tre i tre mesi dalla chirurgia, si deve sospetta-re una probabile interferenza di elementi in-dentanti o del cerchiaggio sulla motilità mu-scolare e, nel qual caso, si dovrà controllareil paziente a brevi scadenze per decidere uneventuale reintervento sui muscoli estrinseci.Può capitare, inoltre, che il paziente si pre-senti al pronto soccorso con l’estrusionespontanea del materiale indentante. In generequesta è una complicanza rara e tardiva. In

questo caso, i segni sono dolore, essudazionemucopurulenta ed emorragia sottocongiunti-vale. Ciò si verifica quando il piombaggio èfuoriuscito esternamente superando la capsu-la di Tenone e la congiuntiva. In molti casi,l’erosione è seguita da infezione localizzata,per cui il paziente andrà controllato con sca-denza settimanale dopo avergli prescritto unaterapia antibiotica e per concordare la rimo-zione dell’impianto che è, in genere, risoluti-va nel trattamento di questa complicanza. Ta-le manovra raramente espone a una riapertu-ra della rottura retinica, essendo generalmen-te presente una cicatrice corioretinica.Dovrà essere sempre evitata una gestione su-perficiale del paziente, distaccata e soprattut-to approssimativa.Anche in caso di complicanze vanno spiegatii motivi e le possibili soluzioni dell’eventopatologico.Tutto ciò va documentato con una diagnosiaccurata in quanto il referto avrà una valenzamedico-legale e potrà essere utilizzato dalpaziente per un’eventuale causa verso il chi-rurgo che ha eseguito l’intervento.

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Capitolo 35

173QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

L’obiettivo di queste brevi note sugli aspetti ele problematiche medico-legali dell’attivitàdel medico oculista in pronto soccorso èquello di fornire gli elementi necessari asvolgere quest’attività in sicurezza eviden-ziando come alcune comunicazioni intraor-ganizzative e procedure, per ripetitività, fre-quenza o prassi consolidate generino spessoeventi avversi dei quali il medico è poi chia-mato a rispondere.Non si ripeteranno, in questa sede, ordinari ri-chiami alla dottrina o ripetizioni nozionistichedi concetti medico-legali (referto, denuncia,omissione di soccorso, stato di necessità) cherenderebbero poco pratico l’uso di questo ma-nuale e per i quali rimandiamo ad altre letture.L’accesso al pronto soccorso per motivazionicliniche di esclusiva pertinenza dell’apparatovisivo è, in una grande maggioranza dei casi,un accesso classificabile come improprio;ciò a ragione che l’evidenza clinica di urgen-za è spesso non percepita rispetto alla realtàclinica.Ne è prova che la codifica di triage in assolu-to più frequente, nell’ambito di un prontosoccorso oculistico, è il codice bianco sia inaccettazione sia in dimissione e le condizionioftalmiche caratterizzate da reale urgenza so-no da considerare rare per frequenza.Per queste ragioni, durante l’attività di pron-to soccorso il rischio di errore è elevato.La prestazione sanitaria in pronto soccorsooculistico è basata essenzialmente sulla sinto-

matologia denunciata dal paziente. La visitaoculistica in pronto soccorso non è - e nonpotrebbe essere - una visita oculistica genera-le, ma l’approccio clinico è condizionato dal-la necessità di individuare la causa dei sinto-mi che hanno indotto il paziente a rivolgersial pronto soccorso e, se possibile, alla loro ri-soluzione pur contestualizzando l’urgenzaclinica in una prospettiva più generale. Il paziente riferisce i propri sintomi al triagi-sta che, in conformità a questi, assegna il co-dice colore, solitamente, senza registrare lasintomatologia.Al medico oculista il paziente giunge con uncodice colore, senza una descrizione dei sin-tomi e, ovviamente, senza note anamnestiche. La valutazione medico-legale di una presta-zione oculistica di pronto soccorso è, anche inquesto caso, una valutazione esclusivamentedocumentale e deduttiva che si svolge moltotempo dopo l’evento quando proprio in fun-zione degli scarsi elementi documentali chepermettono di ricostruire la condotta del me-dico e l’eventuale evento avverso verificatosi,il medico si trova nella concreta difficoltà difornire una prova liberatoria del correttoadempimento dell’obbligazione dovuta.Alla luce di quanto detto gli elementi da te-nere sempre in considerazione sono:• la valutazione medico-legale dell’attività

sarà fatta sui documenti che saranno rila-sciati al paziente e potrà essere solo logico-deduttiva;

Aspetti medico-legali nell’attività di pronto soccorso oculisticoPasquale Troiano, Lorenzo Polo

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Pronto Soccorso Oculistico

174 QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

• il paziente giunge all’osservazione del me-dico con un codice colore ma senza alcunadescrizione della sintomatologia;

• la visita di pronto soccorso è una visita mi-rata alla soluzione della condizione clinicache ha condotto il paziente in pronto soc-corso e non è una visita generale oculisticacon possibilità di scotomizzare stati clinicicollaterali;

• le terapie prescritte si riferiscono al tratta-mento del quadro acuto.

Pertanto, il medico oculista - nella documen-tazione clinica che sarà poi consegnata al pa-ziente - deve necessariamente riportare, il piùdettagliatamente possibile, la sintomatologiariferita e la sua precisa cronologia e tutti glielementi utili sul piano anamnestico, al finedi motivare le indagini clinico-strumentaliindicate per risolvere il quesito diagnostico oconfermarne l’ipotesi etiologica o svolgereuna diagnosi differenziale e per giustificarele indicazioni e i provvedimenti utili per latutela della salute del paziente.Altrettanto essenziale deve essere considera-to il momento della dimissione con riferi-mento alle prescrizioni cui il paziente deveattenersi evitando fraintendimenti sulla ne-cessità delle cure o di ulteriori approfondi-menti da eseguire in tempi differiti.L’assenza di questi dati rende complicato – aposteriori – giustificare o comprendere even-tuali incongruenze.A titolo esemplificativo riportiamo il caso diun paziente che, nella tarda serata, si rivolge aun grande pronto soccorso oculistico. Al tria-ge viene assegnato codice bianco. Il refertodel medico oculista riporta solo la diagnosi dicongiuntivite e la prescrizione di un collirio.Non ci sono notizie anamnestiche e non sonoriportati i sintomi per i quali il paziente si erarivolto al pronto soccorso. Codice bianco an-che in dimissione. La mattina dopo il pazien-

te si rivolge a un altro pronto soccorso denun-ciando un peggioramento dei sintomi. Il tria-ge assegna codice verde e precisa “visitato ie-ri in altro pronto soccorso, peggioramento deisintomi”. Alla visita oculistica viene riscon-trato distacco di retina subtotale con coinvol-gimento della macula e nel referto è riportato“miope elevato, miodesopsie e fosfeni da ieripomeriggio”. Il collega oculista che ha visita-to il paziente nel primo pronto soccorso hasubito un procedimento penale esitato conuna condanna a due anni.Per altro verso segnaliamo l’estrema impor-tanza del sistema di triage oculistico S.O.I.pubblicato nel 2008. Il triage S.O.I. dovreb-be essere adottato diffusamente soprattuttonei grandi ospedali oftalmici. In ogni caso, iltriage S.O.I. dovrebbe essere perfettamentenoto a tutti gli oftalmologi che svolgono ser-vizio di reperibilità. La chiamata in reperibi-lità può implicare rilevanti ripercussioni sulpiano della responsabilità; le implicazionisono di immediata percezione nel caso il me-dico oculista reperibile decide di non recarsiin pronto soccorso per visitare il paziente. Ilmedico oculista reperibile al momento dellachiamata deve essere in condizione di discer-nere con attenzione sulla opportunità di in-tervento o meno. Il triage S.O.I. è uno stru-mento estremamente utile per orientare me-glio la decisione. Anche in questo caso, per rendere di imme-diata comprensione l’utilità del triage S.O.I.,ricorriamo a un caso concreto. Un medicooculista reperibile in un giorno festivo vienechiamato dal pronto soccorso per una pazien-te che si era presentata al triage denunciandomiodesopsie da tre giorni. Nonostante il tria-ge avesse assegnato codice verde l’oculistareperibile decise di non recarsi in pronto soc-corso e di far presentare la paziente la matti-na successiva. Alla visita del giorno successi-

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Capitolo 35 Aspetti medico-legali nell’attività di pronto soccorso oculistico

175QUADERNI DI OFTALMOLOGIA

vo venne riscontrata una rottura retinica suretina piana ed eseguito il trattamento foto-coagulativo. Lo stesso giorno il direttore delpronto soccorso sporse denuncia control’oculista per interruzione di pubblico servi-zio e omissione di soccorso. Solo dopo undifficile procedimento penale è stato possibi-le dimostrare al giudice che come indicatonel sistema di triage S.O.I. la presenza dimiodesopsie da oltre 24 ore non rappresentaun’urgenza oftalmica evidenziando manche-volezze nella fase di triage che aveva asse-gnato un codice verde e non quello bianco.Un altro aspetto rilevante nell’assoluzione delcollega venne rivestito dalla disponibilità del-le attrezzature. Ciò in quanto anche nel casol’oculista si fosse recato in pronto soccorso eavesse diagnosticato la presenza della rotturaretinica non avrebbe potuto eseguire il tratta-mento laser poiché l’attrezzatura non rientra-va nelle disponibilità operative del prontosoccorso e preclusa agli operatori nei giornifestivi. Quello della disponibilità di attrezzature e di

personale per l’esecuzione di eventuali pro-cedure è un problema significativo e deve es-sere dettagliatamente descritto nella docu-mentazione, quando impedisca la corretta as-sistenza del paziente in pronto soccorso. Infine, deve essere sempre tenuto presente,che di fronte a un quadro clinico complesso oa una situazione che richieda un approccioterapeutico e chirurgico inusuale per il medi-co oculista in pronto soccorso, è consigliabi-le - dopo le opportune indagini semiologiche- richiedere l’intervento del responsabile del-la unità operativa di oculistica. Il medicooculista di pronto soccorso ha - nella mag-gioranza dei casi - il vantaggio di non doverintervenire in estrema urgenza e, quindi, ha iltempo per contattare il responsabile dell’u-nità operativa richiedendone l’intervento. Questa opzione non deve essere mai dimenti-cata o sottovalutata, neanche nella gestionedei pazienti oftalmici ricoverati, soprattuttoquando il medico di guardia o reperibile nonha avuto modo di essere informato sulle ca-ratteristiche dei pazienti ricoverati.

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