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Volume IV L’ESECUZIONE FORZATA. I PROCEDIMENTI SPECIALI NON COGNITORI. PROCEDIMENTI CAUTELARI. GIURISDIZIONE VOLONTARIA *** *** *** CAPITOLO 1: IL PROCESSO DI ESECUZIONE NEI SUOI ASPETTI GENERALI (artt.474-632 c.p.c.) 1. Orientamenti generali e schema della disciplina del processo di esecuzione. Il processo esecutivo è spiegato all’interno del terzo Libro del Codice di procedura Civile (artt.474-632), che comprende finanche la disciplina di altri procedimenti strutturalmente di cognizione, ma funzionalmente coordinati all’esecuzione forzata: le opposizioni al processo esecutivo. Il processo esecutivo è strutturato in 6 titoli: 1) titolo è dedicato agli atti anteriori all’inizio del processo esecutivo vero e proprio e comuni ad ogni tipo di esecuzione forzata (titolo esecutivo e precetto); 2), 3), 4) titolo sono dedicati alla disciplina di ciascuno dei tre tipi di esecuzione forzata (espropriazione, esecuzione per consegna o per rilascio, esecuzione degli obblighi di fare o non fare); 5) titolo è dedicato alle opposizioni nel processo esecutivo; 6) titolo è dedicato alla sospensione ed estinzione del processo esecutivo. 2. L’attività giurisprudenziale esecutiva nel quadro della tutela giurisdizionale . Occorre distinguere sotto il profilo della funzione giurisdizionale che, mentre la cognizione consiste nell’accertamento dell’esistenza del diritto da tutelare, l’esecuzione forzata consiste nell’attuazione pratica in via coattiva o forzata di tale diritto accertato, contenuto nel Titolo Esecutivo es. sentenza del giudice di primo grado con formula esecutiva (processo di cognizione) + Atto di Precetto (inizio del processo di esecuzione). 3. Il processo esecutivo. Sue caratteristiche e suoi principi. Al centro dell’attività processuale esecutiva si trova l’organo esecutivo: l’ufficiale giudiziario nel quadro di un ufficio giudiziario il Tribunale , e sotto il controllo di un giudice. Le parti nel processo di esecuzione si distinguono in creditore, colui cha da inizio all’azione di esecuzione, e debitore, colui che è destinatario di questa procedura esecutiva, a differenza del processo di cognizione dove distinguiamo in parte attrice e parte convenuta. L’attività del giudice, nel processo di esecuzione, si realizza nell’emanazione di provvedimenti ordinatori per lo più ordinanza o decreto, la sentenza è invece propria ed esclusiva del processo di cognizione, che tuttavia può dar luogo nel processo di cognizione a delle parentesi di cognizione con la forma delle opposizione del processo esecutivo. Operano il principio della domanda, il principio dell’impulso di parte, il principio della disponibilità dell’oggetto del processo, il principio della congruità delle forme allo scopo, ed è applicabile la disciplina della nullità degli atti. Non vige il principio della disponibilità delle prove, né il principio dell’eguaglianza delle parti, né il principio del contraddittorio. 4. I diversi tipi di esecuzione forzata e di processo esecutivo. L’esigenza tendenziale è quella di far conseguire al creditore “tutto quello e proprio quello cui ha diritto”. I tipi di processo esecutivo che realizzano l’esecuzione forzata in forma specifica sono: l’esecuzione forzata per consegna di cosa mobili o rilascio di immobili, e l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare.

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Volume IV

L’ESECUZIONE FORZATA. I PROCEDIMENTI SPECIALI NON COGNITORI. PROCEDIMENTI CAUTELARI. GIURISDIZIONE VOLONTARIA

*** *** ***

CAPITOLO 1: IL PROCESSO DI ESECUZIONE NEI SUOI ASPETTI GENERALI(artt.474-632 c.p.c.)

1. Orientamenti generali e schema della disciplina del processo di esecuzione.Il processo esecutivo è spiegato all’interno del terzo Libro del Codice di procedura Civile (artt.474-632), che comprende finanche la disciplina di altri procedimenti strutturalmente di cognizione, ma funzionalmente coordinati all’esecuzione forzata: le opposizioni al processo esecutivo.Il processo esecutivo è strutturato in 6 titoli: 1) titolo è dedicato agli atti anteriori all’inizio del processo esecutivo vero e proprio e comuni ad ogni tipo di esecuzione forzata (titolo esecutivo e precetto); 2), 3), 4) titolo sono dedicati alla disciplina di ciascuno dei tre tipi di esecuzione forzata (espropriazione, esecuzione per consegna o per rilascio, esecuzione degli obblighi di fare o non fare); 5) titolo è dedicato alle opposizioni nel processo esecutivo; 6) titolo è dedicato alla sospensione ed estinzione del processo esecutivo.

2. L’attività giurisprudenziale esecutiva nel quadro della tutela giurisdizionale.Occorre distinguere sotto il profilo della funzione giurisdizionale che, mentre la cognizione consiste nell’accertamento dell’esistenza del diritto da tutelare, l’esecuzione forzata consiste nell’attuazione pratica in via coattiva o forzata di tale diritto accertato, contenuto nel Titolo Esecutivo es. sentenza del giudice di primo grado con formula esecutiva (processo di cognizione) + Atto di Precetto (inizio del processo di esecuzione).

3. Il processo esecutivo. Sue caratteristiche e suoi principi. Al centro dell’attività processuale esecutiva si trova l’organo esecutivo: l’ufficiale giudiziario nel quadro di un ufficio giudiziario il Tribunale , e sotto il controllo di un giudice.Le parti nel processo di esecuzione si distinguono in creditore, colui cha da inizio all’azione di esecuzione, e debitore, colui che è destinatario di questa procedura esecutiva, a differenza del processo di cognizione dove distinguiamo in parte attrice e parte convenuta.L’attività del giudice, nel processo di esecuzione, si realizza nell’emanazione di provvedimenti ordinatori per lo più ordinanza o decreto, la sentenza è invece propria ed esclusiva del processo di cognizione, che tuttavia può dar luogo nel processo di cognizione a delle parentesi di cognizione con la forma delle opposizione del processo esecutivo.Operano il principio della domanda, il principio dell’impulso di parte, il principio della disponibilità dell’oggetto del processo, il principio della congruità delle forme allo scopo, ed è applicabile la disciplina della nullità degli atti.Non vige il principio della disponibilità delle prove, né il principio dell’eguaglianza delle parti, né il principio del contraddittorio.

4. I diversi tipi di esecuzione forzata e di processo esecutivo.L’esigenza tendenziale è quella di far conseguire al creditore “tutto quello e proprio quello cui ha diritto”. I tipi di processo esecutivo che realizzano l’esecuzione forzata in forma specifica sono: l’esecuzione forzata per consegna di cosa mobili o rilascio di immobili, e l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare.

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L’esecuzione in forma generica è costituita dall’esecuzione per espropriazione.

5. L’azione esecutiva ed il titolo esecutivo come unica condizione dell’azione esecutiva.Condizione necessaria e sufficiente della azione esecutiva è l’accertamento del diritto sostanziale fatto valere, punto di arrivo nell’azione di cognizione.Il documento che racchiude questo accertamento è il titolo esecutivo, che costituisce la condizione necessaria e sufficiente per procedere all’esecuzione forzata, (nulla executio sine titulo).Gli organi dell’esecuzione debbono solo eseguire senza ulteriori indagini. L’azione esecutiva è un diritto autonomo dal diritto sostanziale poiché rivolta ad una parte diversa e tende ad una prestazione diversa. Tutti gli elementi dell’azione esecutiva: personae, petitum, causa pretendi, risultano dal titolo esecutivo.

6. I soggetti del processo esecutivo: gli organi, le parti, i terzi; i limiti subbiettivi del titolo; la pluralità di parti; la portata obbiettiva del titolo.I soggetti del processo esecutivo sono: l’organo esecutivo (l’ufficiale giudiziario) opera nell’ambito di un ufficio giudiziario il Tribunale, il giudice dell’esecuzione, il presidente del tribunale, il cancelliere, le parti, il creditore e il debitore che risultano dal titolo, ovvero coloro che, di fatto assumono o ai quali viene fatto assumere quel ruolo.

7. I presupposti del processo di esecuzione: presupposti generali (competenza, capacità, e legittimazione processuale) e speciali (previa notificazione del titolo e del precetto).Presupposti del processo di cognizione: la competenza sia dell’ufficiale giudiziario (la circoscrizione alla quale è addetto), sia dell’ufficio giudiziario( per materia sempre il tribunale, per territorio il luogo dove si trovano le cose o deve essere eseguita l’obbligazione o dove risiede il terzo debitore; la legittimazione processuale con riferimento alla capacità processuale da un lato, e alla rappresentanza processuale dall’altro lato, il compimento degli atti preparatori , notificazione del titolo esecutivo e del precetto.Il difensore nel processo esecutivo è soltanto eventuale e facoltativo.

8. I difensori nel processo esecutivo. Gli atti conclusivi del processo esecutivo. Le spese dell’esecuzione forzataGli atti conclusivi del processo esecutivo risultano privi dell’incontrovertibilità del giudicato. Il carico delle spese processuali va addossato alla parte debitrice o soccombente che con la sua resistenza ha reso necessario il processo esecutivo.

CAPITOLO 2: GLI ATTI PREPARATORI DEL PROCESSO DI ESECUZIONE FORZATA

9. Il Titolo Esecutivo nella sua disciplina positiva: i suoi diversi tipi.(art. 474 c.p.c.) “l’esecuzione forzata non può aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido, ed esigibile”. Il requisito della certezza è dato come conseguenza dell’esistenza del titolo stesso contenente un atto di accertamento di un diritto; il requisito della liquidità è dato dal credito in denaro esattamente quantificato nel suo ammontare; il requisito della esigibilità è dato dal credito in denaro non più sottoposto a condizione o a termine.I titoli esecutivi si distinguono in titoli giudiziali, es. le sentenze di condanna esecutive, le ordinanze o i decreti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva, es. decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ex artt.642-648 c.p.c., l’ordinanza di convalida di sfratto ex art. 633 c.p.c. assieme con l’atto di intimazione, l’ordinanza presidenziale nel giudizio di separazione dei coniugi ex art. 708 c.p.c., le ordinanze di

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rilascio ex art. 665 c.p.c., le ordinanze ex art. 186. bis, ter quater c.p.c.; titoli stragiudiziali, le cambiali, le scritture private autenticate con atto notarile, o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli, gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente l’efficacia esecutiva, le scritture private autenticate afferenti ad obbligazioni di somme di denaro.Con riguardo le sentenze, solo le sentenze di condanna passate in giudicato, ovvero siano giudicate esecutive dalla legge (art. 337-282 c.p.c.) o dal giudice, le sentenze di primo grado in materia di lavoro valgono ai fini dell’esecuzione, non valgono ai fini dell’esecuzione, pertanto, né le sentenze di mero accertamento, né le sentenze costitutive.Se la sentenza successivamente viene riformata e privata dell’esecutività si determinerà l’immediato arresto del processo di esecuzione forzata, fondando il ripristino della situazione anteriore.

10. La c.d. spedizione in forma esecutiva. La disciplina positiva dell’efficacia del titolo sotto il profilo della sua estensione ai successori. La successione nel processo esecutivo.(art. 475 c.p.c.) stabilisce che tutti i titoli giudiziali e quelli di formazione notarile debbano, per valere come titoli esecutivi, essere muniti della formula esecutiva, di un “comando di eseguire” , c.d. spedizione del titolo in forma esecutiva che presuppone un controllo solo formale effettuato non dal giudice ma dal cancelliere o dal notaio. La spedizione in forma esecutiva può essere effettuata una sola volta, col rilascio di una sola copia in forma esecutiva, occorrendo per il rilascio di altre copie un espresso “giusto motivo” (art. 476 c.p.c.). L’azione esecutiva spetta a colui che dal titolo risulta debitore ed ai suoi successori, di contro il titolo esecutivo contro il debitore ha efficacia contro gli eredi, (art. 477 c.p.c.) purchè decorrano almeno 10 giorni dalla notificazione del titolo prima della notificazione del precetto (estensione soggettiva).

11. Gli atti preparatori anteriori all’inizio del processo esecutivo; a) la notificazione del titolo esecutivo. (art. 479 c.p.c.)a) la notificazione del titolo esecutivo e del precetto consiste nella consegna alla parte personalmente di copia autentica del titolo spedito in forma esecutiva e del precetto da parte dell’ufficiale giudiziario, con funzione di preavvisare l’intenzione di procedere a esecuzione forzata. Ad un anno dalla morte del debitore, la notificazione può essere effettuata agli eredi collettivamente e impersonalmente nell’ultimo domicilio del defunto.

12 Segue . b) il precetto e la sua notificazioneb) la notificazione del precetto. (artt. 479-480 c.p.c.)Il precetto consiste nell’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo, entro un termine non inferiore a 10 giorni con l’avvertimento che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata. Il precetto è atto recettizio del creditore nei confronti del debitor, al quale l’atto va notificato personalmente. Sono invece, richiesti a pena di nullità, i requisiti dell’indicazione delle parti e dell’indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo. Il precetto può essere redatto di seguito al titolo esecutivo, ed essere notificato assieme ad esso personalmente al debitore.La mancata sottoscrizione del precetto può generare la sua nullità. L’efficacia del precetto è sottoposta al termine acceleratorio, infatti, se entro 90 giorni dalla sua notificazione, non è iniziata l’esecuzione, esso perde efficacia. (art. 481 c.p.c.) Il Presidente del Tribunale può con decreto in calce al precetto, e trascritto nella copia da notificarsi, autorizzare l’esecuzione immediata con dispensa dal termine dei 10 giorni. Il precetto vale come costituzione in mora agli effetti dell’interruzione della prescrizione.

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CAPITOLO 3: L’ESPROPRIAZIONE FORZATA IN GENERALE

13. La nozione dell’espropriazione, le sue diverse forme e l’ordine seguito dal codice nella disciplina dell’istituto. L’espropriazione è lo strumento processuale esecutivo coattivo per i crediti in denaro (art. 2910 c.c. art. 2740 c.c), con tutti i beni presenti e futuri. Occorre distinguere n.3 tipi di espropriazione: 1) espropriazione mobiliare del debitore, quando attiene a denaro o altri beni mobili; 2) espropriazione presso terzi, quando i crediti del debitore o altre cose mobili sono nella disponibilità di terzi; 3) espropriazione immobiliare, allorché afferente a beni immobili del debitore.

14. I l giudice dell’esecuzione e i suoi provvedimenti. (art. 484 c.p.c.) l’espropriazione è diretta dal giudice dell’esecuzione come il giudice istruttore, il quale può emettere ordinanze caratterizzate dalla revocabilità e modificabilità. Contro tali ordinanze è esperibile l’opposizione agli atti esecutivi.Per giudice competente per l’esecuzione si intende l’ufficio giudiziario.L’attività del giudice dell’esecuzione è ordinatoria, afferente all’opportunità delle modalità dell’espropriazione. Tuttavia nelle parentesi di cognizione che sono costituite dalle opposizioni, il giudice dell’esecuzione poteva fino all’ultima riforma assumere anche le funzioni di giudice istruttore.

15. Il fascicolo dell’esecuzione, la designazione del giudice dell’esecuzione e le modalità generali delle udienze e degli atti dell’espropriazione.(art. 488 c.p.c.) Il cancelliere deve formare il fascicolo dell’esecuzione, dopo il deposito in cancelleria dell’atto notificato col quale ha inizio l’espropriazione, il pignoramento. Entro due giorni dalla formazione del fascicolo il presidente del tribunale designa il giudice dell’esecuzione. Davanti al giudice dell’esecuzione, quindi, si svolgerà poi l’udienza di fissazione della vendita delle cose pignorate, mediante fissazione dell’udienza con decreto del giudice, da comunicarsi da parte del cancelliere. (art. 490 c.p.c.) stabilisce che deve darsi pubblicità agli atti dell’espropriazione, con affissione per tre giorni consecutivi nell’albo degli uffici giudiziari, con l’inserzione sui quotidiani della stampa di maggiore diffusione nazionale, ovvero su inserzione su siti internet per beni immobili di valore superiore a €. 25.000,00, almeno 45 giorni prima del termine della presentazione delle offerte o della data dell’incanto.

16. il pignoramento (in generale) : a) funzione ed effetti(art. 491 c.p.c.) L’atto con il quale inizia l’espropriazione forzata è il pignoramento che ha la funzione di vincolare determinati beni del debitore alla soddisfazione del credito, ed ha l’effetto di rendere inefficaci nei confronti del creditore procedente gli atti con il quale il debitore esecutato intende alienare le cose pignorate (inefficacia relativa), cosicché l’atto di alienazione del debitore è inefficace rispetto all’espropriazione. Gli atti di alienazione o disposizione anteriori al pignoramento prevalgono sul pignoramento a condizione che questi siano stati trascritti anteriormente, trasmessi anteriormente al pignoramento, in quanto siano stati notificati e accettati anteriormente al pignoramento, in quanto contengano data certa anteriore al pignoramento ex artt. 2914-2915-2918 c.c.

17. Segue. Il pignoramento (in generale) la struttura. La conversione e la riduzione del pignoramento.I caratteri essenziali del pignoramento sono dettati dall’art. 492 c.p.c., che enuncia: “il pignoramento consiste in un’ingiunzione che l’ufficiale giudiziario fa al debitore, di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano all’espropriazione e i frutti di essi”. Pertanto, sotto il profilo soggettivo il pignoramento è l’atto dell’ufficiale giudiziario, il quale lo attiva su istanza del creditore, dietro esibizione del titolo esecutivo e del precetto ritualmente

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notificati; mentre sotto il profilo oggettivo consiste nell’ingiunzione al debitore di non sottrarre i beni alla garanzia del credito.Importanti integrazioni all’art. 492 c.p.c. sono intervenute con la L. 80/2005 e L. 263/2005 e L. 52/2006 che hanno introdotto 1) l’invito al debitore a dichiarare la propria residenza o domicilio in uno dei comuni del circondario in cui ha sede il giudice per l’esecuzione con l’avvertimento che in difetto le notifiche avverranno in cancelleria del giudice dell’esecuzione; 2) l’avvertimento può chiedere di sostituire alle cose o ai crediti pignorati, una somma di denaro comprensiva del debito interessi e spese, pari ad 1/5 da depositare in cancelleria prima che venga disposta la vendita o l’assegnazione. Se i beni pignorati risultano insufficienti, l’ufficiale giudiziario invita il debitore ad indicare ulteriori beni utilmente pignorabili, i luoghi ove si trovano ovvero le generalità dei terzi debitori, con avvertimento della sanzione prevista per l’omessa o falsa dichiarazione.L’ufficiale giudiziario, su istanza del creditore, qualora i beni pignorati risultino insufficienti, può rivolgersi a gestori dell’anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche.I medesimi beni possono essere pignorati da più creditori. Al momento del pignoramento il debitore può evitarlo versando all’ufficiale giudiziario la somma per cui si procede comprensiva delle spese da consegnare al creditore. Inoltre, in qualsiasi momento anteriore alla vendita il debitore può chiedere per una sola volta la conversione del pignoramento in una somma di denaro pari all’importo dovuto oltre le spese allegando all’istanza 1/5 del dovuto. Il giudice dell’esecuzione può consentire nel pignoramento immobiliare al versamento rateale per un massimo di 18 mesi se ricorrono “giustificati motivi”. Inoltre è possibile la riduzione del pignoramento quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo dei crediti per cui si procede. L’efficacia del pignoramento è soggetta al termine perentorio di giorni 90 (art. 497 c.p.c.). Se entro tale termine non viene compiuto il successivo atto il pignoramento diviene inefficace.

18. L’intervento dei creditori nell’espropriazione (in generale)I creditori intervenuti concorrono insieme con creditore procedente alla ripartizione del ricavato della vendita dei beni pignorati in misura proporzionale al credito di ciascuno, salvi i diritti di prelazione di altri creditori che risultino da pubblici registri o scritture contabili ex art. 2214 c.c.per i quali è previsto che il creditore pignorante notifichi ad essi un avviso contenente l’indicazione del suo credito del suo titolo, delle cose pignorate. Il creditore pignorante ha facoltà di indicare ai creditori intervenuti tempestivamente l’esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili con diritto di essere preferito in sede di distribuzione in mancanza di estensione del pignoramento.Gli intervenienti per somme risultanti da scritture contabili debbono allegare a pena di inammissibilità, l’estratto autentico notarile.Il debitore nei riguardi dei creditori privi di titolo deve, in udienza di comparizione, dichiarare se riconosce in tutto o in parte i debiti. I crediti riconosciuti partecipano alla distribuzione, quelli non riconosciuti hanno diritto all’accantonamento delle somme previa istanza entro 30 giorni successivi all’udienza. (art. 499 c.p.c.) l’intervento si pone in essere con ricorso tempestivo anteriore all’udienza di vendita o di assegnazione, che deve contenere l’indicazione del credito e quella del titolo, la domanda di partecipazione alla distribuzione della somma ricavata. Se l’intervento è successivo all’udienza di vendita o assegnazione, ovvero è tardivo, esso dà diritto soltanto alla partecipazione alla distribuzione della parte che sopravanza dopo la soddisfazione del creditore pignorante, dei creditori privilegiati, e degli intervenuti anteriormente.(art. 500 c.p.c.) stabilisce l’effetto dell’intervento statuendo che non solo esso dà diritto a partecipare alla distribuzione della somma ricavata, ma anche a provocarne i singoli atti.

19. Vendita forzata assegnazione e distribuzione della somma ricavata (in generale)

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L’atto successivo al pignoramento è l’istanza di vendita da proporre al giudice dell’esecuzione entro un termine di 90 giorni dal pignoramento, ma non prima di 10 giorni dal pignoramento. La vendita forzata che può avvenire con incanto es. asta, ovvero senza incanto svolge la funzione di trasformare i beni pignorati in denaro liquido. L’assegnazione è l’attribuzione diretta del bene pignorato al creditore in base ad un determinato valore che copra le spese e consenta la par condicio tra i creditori intervenenti non privilegiati. La fase successiva alla vendita forzata o all’assegnazione è la distribuzione della somma ricavata che avviene mediante ordinanza del giudice dell’esecuzione con riparto proporzionale e previo accantonamento delle somme per i creditori intervenenti privi di titolo esecutivo i cui crediti non siano stati in tutto o in parte riconosciuti dal debitore. In caso di contestazione dei creditori intervenenti sui crediti degli altri la soluzione è risolta dal giudice dell’esecuzione con ordinanza impugnabile nelle forme e nei termini dell’opposizione agli atti esecutivi ax art. 617c.p.c. 2^comma. Inoltre, il giudice dell’esecuzione può provvedere alla sospensione della distribuzione della somma ricavata ex art. 512 c.p.c. ovvero al quale è ammesso reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c.

CAPITOLO 4: L’ESECUZIONE DIRETTA O IN FORMA SPECIFICA

33. L’esecuzione per consegna o rilascio. Fondamento della procedura per consegna o rilascio è l’art.2930 c.c. che, enuncia l'eseguibilità specifica dell'obbligo di consegnare una cosa mobile o di rilasciare una cosa immobile. Con la parola «obbligo» la legge si riferisce ad ogni situazione passiva che si presenta come obbligo al momento dell'esecuzione, e cioè, oltre ai casi in cui l'obbligo è legato ad un diritto di natura obbligatoria o personale, anche i casi in cui l'obbligo è legato a un diritto reale la cui violazione dà luogo all'obbligo della restituzione mediante consegna o rilascio. La procedura è disciplinata negli artt. 605 e 611 genericamente sia all'esecuzione per consegna e sia a quella per rilascio, e gli altri specificamente o all'esecuzione per consegna artt. 606 e 607, o a quella per rilascio artt. 608 e 609.Con riguardo ad entrambi i tipi di procedimento, la legge detta innanzi tutto una disposizione che concerne un atto anteriore all'inizio del procedimento, ossia il precetto. Più precisamente, dispone che il precetto, la cui notificazione, nel procedimento in esame, come in ogni altro procedimento esecutivo, deve precedere l'inizio del procedimento stesso (insieme o successivamente alla notificazione del titolo esecutivo), ha qui un requisito in più, e cioè la descrizione sommaria dei beni sui quali si intende procedere con l'esecuzione per consegna o rilascio (art. 605, 10 comma); ed in ciò si può ravvisare il fondamento, che il precetto, che può e deve avere portata generica quando preannuncia l'esecuzione per espropriazione, deve invece avere una portata specifica quando preannuncia un'esecuzione in forma specifica. D'altra parte, anche nell'intimazione ad adempiere, il creditore deve, nel precetto, riferirsi al termine eventualmente disposto nel titolo esecutivo e che potrebbe essere più lungo di quello di cui all'art. 482. Così dispone l'art. 605, 20 comma. La succinta normativa precisa se e quali titoli, tra quelli elencati nell'art. 474, debbono essere ritenuti idonei e quali inidonei a fondare l'esecuzione de qua: nel senso che tale inidoneità sussiste soltanto per quei tipi di titoli la cui portata è limitata alle obbligazioni di somme di denaro, come ad es. i titoli di credito e gli atti ricevuti da notaio. In particolare si ritiene che l'esecuzione de qua possa essere fondata anche sul verbale di conciliazione, in quanto compreso tra gli altri atti di cui all'art. 474 n. 1. La seconda delle disposizioni che concernono tanto l'esecuzione per consegna quanto quella per rilascio contempla l'eventualità che, nel corso dell'esecuzione, sorgano «difficoltà che non ammettono dilazione», stabilendo - per questa eventualità - che

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ciascuna parte può chiedere al giudice dell'esecuzione, anche verbalmente, i provvedimenti temporanei occorrenti (art. 610) revocabili e modificabili. Queste «difficoltà» non sono vere e proprie contestazioni di natura giuridica sulla legittimità del «se» o del «come» dell'esecuzione, poiché siffatte contestazioni esigono un giudizio di cognizione e perciò possono essere sollevate solo con un'opposizione per la cui proposizione, peraltro, l'iniziativa in discorso può offrire l'occasione. Si tratta invece di questioni di opportunità o di modalità dell'esecuzione: quelle questioni che, nell'espropriazione, costituiscono il campo d'azione del potere direttivo del giudice dell'esecuzione. Perciò i provvedimenti sul punto non hanno carattere decisorio. Anche da questa disposizione si può dedurre che, in questo procedimento, pur non essendo espressamente disciplinata la nomina di un giudice dell'esecuzione, ne sono previste le funzioni, ancorché in via eventuale. Eventuale perché l'esecuzione di cui trattasi è caratterizzata da atti tanto semplici, da poter essere affidati senz'altro all'organo esecutivo, ossia all'ufficiale giudiziario; mentre il giudice rimane come sullo sfondo. Le norme concernenti la competenza per questo procedimento, e che si riferiscono genericamente al tribunale del luogo dove si trovano le cose da consegnare o rilasciare: art. 26 c.p.c., debbono essere intese come riguardanti più propriamente l'ufficio giudiziario, ossia il tribunale, al quale appartengono sia l'organo esecutivo (ufficiale giudiziario) e sia il giudice dell'esecuzione (le cui funzioni sono solo eventuali). Nel quadro di questo ruolo che ha il giudice dell'esecuzione, va veduta la sua funzione - che costituisce oggetto dell'ultima delle disposizioni (art. 611) dettate tanto per l'esecuzione per consegna quanto per quella per rilascio - di liquidare a norma degli artt. 91 e ss. le spese dell'esecuzione: ciò che il giudice compie, sulla base di una specifica effettuata dall'ufficiale giudiziario, con un decreto che costituisce titolo esecutivo. Il procedimento per consegna di cose mobili si sostanzia con un semplice atto dell'ufficiale giudiziario a seguito di richiesta anche verbale del creditore della consegna. Dopo la notificazione del titolo e del precetto, ed il decorso del relativo termine, il creditore può, esibendo titolo e precetto, rivolgere la suddetta richiesta all'ufficiale giudiziario, il quale si reca (munito, appunto, del titolo e del precetto) sul luogo in cui le cose si trovano, e le ricerca con le modalità stabilite dall'art. 513. Dopo averle rinvenute, se ne impossessa e ne fa consegna alla parte istante o a persona da lui designata (art. 606). Ciò che naturalmente non può avvenire nell'ipotesi che le cose da consegnare risultino pignorate; nel qual caso la parte istante deve far valere le sue ragioni mediante opposizione ai termini dell'art. 619 (art. 607). Nell'esecuzione per il rilascio di immobili, le forme procedimentali sono lievemente meno semplici. Il nuovo art. 608 prevede che: «L'esecuzione inizia con la notifica dell' avviso con il quale l'ufficiale giudiziario comunica almeno dieci giorni prima alla parte, che è tenuta a rilasciare l'immobile, il giorno e l'ora in cui procederà». Con la quale disposizione la legge prende tra l'altro posizione sulla questione del momento d'inizio di questa esecuzione (soprattutto rilevante con riguardo alle modalità di proposizione delle opposizioni).Nel giorno e nell’ora stabiliti, l’ufficiale giudiziario munito del titolo esecutivo e del precetto si reca sul luogo dell’esecuzione, ed immette ex art. 513 la parte istante o una persona da lei designata nel possesso dell’immobile del quale consegna le chiavi.Qualora l'immobile sia detenuto da terzi nomine debitoris (ad es. conduttori o affittuari) la cui detenzione non impedisce il trasferimento del possesso, l'ufficiale giudiziario ingiunge a tali eventuali detentori di riconoscere il nuovo possessore (art. 608, 2° comma), Qualora invece il terzo detentore vanti un titolo di possesso autonomo da quello del debitore, o comunque non assoggettato espressamente dalla legge all'efficacia del titolo contro il debitore, l'esecuzione non può, almeno in linea di principio, proseguire fino a quando non sia stata respinta l'opposizione nella quale la pretesa del detentore dovrebbe concretarsi ed alla quale esso detentore sarebbe legittimato in quanto assoggettato all'esecuzione, e

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fino a quando il creditore non si sia munito di un titolo nei confronti del terzo. Se nell'immobile si trovano cose mobili estranee all'esecuzione, e che non vengano immediatamente asportate dal debitore, l'ufficiale giudiziario può disporne la custodia sul posto o il trasporto altrove (art. 609, 1 ° comma), L'art. 609, 2° comma, prevede, tuttavia, che, se le cose sono pignorate o sequestrate, l'ufficiale giudiziario dà immediatamente notizia dell' avvenuto rilascio al creditore su istanza del quale fu eseguito il pignoramento o il sequestro, e al giudice dell'esecuzione per l'eventuale sostituzione del custode. L'ufficiale giudiziario può, avvalersi dell' assistenza della forza pubblica; la cui effettiva concessione è affidata alla discrezionalità dell'autorità amministrativa, è considerata essenziale dagli ufficiali giudiziari.Diversamente dalla consegna delle cose mobili, l'eventuale pignoramento o sequestro dell'immobile non ne impedisce il rilascio. Le spese anticipate dal procedente sono specificate dall'ufficiale giudiziario nel verbale e sono poi liquidate dal giudice dell'esecuzione con decreto che costituisce titolo esecutivo (art. 611 c.p.c,). Ma anche indipendentemente da ciò, è consentito al procedente di intimare col precetto le spese e i diritti con un'autoliquidazione suscettibile di controllo con l'opposizione all'esecuzione. Molto opportuna sul piano pratico è infine la precisazione contenuta nel nuovo art. 608 bis aggiunto dalla L. 80/2005 ove si dispone che «l'esecuzione di cui all'articolo 605 si estingue se la parte istante prima della consegna o del rilascio, rinuncia con atto da noti/icarsi alla parte esecutata e da consegnarsi all'ufficiale giudiziario procedente».

34. L’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fareQuesta forma di esecuzione forzata specifica realizza gli obblighi positivi di fare, oppure quelli, consistenti nel divieto di fare, che, a seguito della violazione di questo divieto, sono divenuti anch'essi positivi, in quanto trasformati nell'obbligo di eliminare ciò che è stato fatto in violazione dell'originario obbligo di non fare (artt. 2931, 2933 c.c.). L’'espressione «obbligo» è intesa in relazione alla situazione successiva alla pronuncia della sentenza di condanna, e perciò l'obbligo eseguibile specificamente può essere, oltre che un'obbligazione in senso proprio (ad es. l'obbligo di demolire un muro costruito in violazione di un'obbligazione personale di non costruire), anche l'obbligo conseguente alla violazione di un diritto assoluto (ad es. demolizione di una costruzione effettuata in violazione di una servitus altius non tollendi) e, secondo l'opinione prevalente, anche gli obblighi conseguenti all'affidamento dei minori. Il limite all'utilizzazione di questo strumento processuale non è dato dunque dalla natura del diritto da cui è sorto l'obbligo di fare o di non fare, ma soltanto dalla obiettiva possibilità dell' esecuzione forzata, in quanto questa avviene - come sempre - prescindendo dalla volontà dell'obbligato o addirittura contro la sua volontà, Sotto questo profilo,. L’art. 612 c.p.c. riconduce assai chiaramente il procedimento in esame alla «sentenza di condanna», lasciando intendere che questo sia il tipo di titolo esecutivo come l'unico idoneo a fondare l'esecuzione in argomento. Pur potendosi convenire sull' opportunità di intendere la parola «sentenza» in senso estensivo di ogni provvedimento contenente una condanna, si deve senz' altro prendere ricomprendere nel titolo esecutivo anche un provvedimento giudiziario (che, ovviamente, non può essere che di condanna); necessità che il legislatore ha evidentemente riconosciuto come conseguenza del fatto che l'impiego della procedura in esame prevede una valutazione in merito alla fungibilità dell’obbligo, valutazione che deve emergere dal provvedimento giudiziario. Venendo alla disciplina del procedimento, qui le funzioni del giudice dell' esecuzione non sono soltanto quelle eventuali del risolvere le difficoltà che possono nascere nel corso del procedimento (art. 613, da porre in relazione con l'art. 610). Né tali funzioni sono solo quelle marginali di pronunciare il provvedimento che consente il recupero delle spese della procedura a carico del debitore (art. 614, da porre in relazione con l'arto 611);

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provvedimento questo, che qui è espressamente definito dalla legge come decreto d'ingiunzione, da pronunciarsi su presentazione di nota delle spese anticipate. Le suddette funzioni del giudice dell'esecuzione hanno, in questo procedimento, un ruolo necessario ed essenziale, poiché è previsto, come atto base per l'intero successivo iter procedurale, un provvedimento del giudice, da chiedersi con ricorso a cura del creditore istante e la cui funzione consiste nella determinazione delle modalità dell' esecuzione. Più precisamente, il creditore istante - dopo aver provveduto alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto - deve inoltrare al giudice dell' esecuzione un ricorso col quale chiede che siano determinate le modalità dell'esecuzione (art. 612, l° comma). Il giudice, a seguito di questo ricorso, deve attuare il contraddittorio, ossia disporre l'audizione delle parti; dopo averle sentite, pronuncia il provvedimento (ordinanza) con il quale determina le modalità dell'esecuzione, designando l'ufficiale giudiziario che deve procedere all'esecuzione e le persone che debbono provvedere al compimento dell'opera non eseguita o alla eliminazione di quella compiuta (art. 612, 2 comma). Successivamente, spetta all'ufficiale giudiziario realizzare l'esecuzione secondo le modalità indicate nell'ordinanza, salva la sua richiesta al giudice dell'esecuzione di provvedimenti per eliminare le eventuali difficoltà, ai termini del già veduto art. 613. Il giudice dell'esecuzione provvede poi, con decreto ingiuntivo «a norma dell' art. 642», alla liquidazione delle spese (art. 614 c.p.c.) limitatamente, però, a quelle proprie dell'esecuzione. A tal proposito va detto che la riforma del 2009 con legge n. 69 ha introdotto un nuovo articolo quale il 614bis “Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare”, articolo aggiunto dall’art. 49 della stessa legge.

CAPITOLO 5: LE OPPOSIZIONI NEL PROCESSO ESECUTIVO

35. Le opposizioni nel processo esecutivo in generaleIl rapporto tra le opposizioni ed il processo esecutivo che le determina emerge come conseguenza di quella efficacia incondizionata propria del titolo esecutivo. Infatti, la sussistenza di questa condizione che è appunto il titolo esecutivo dà già per acquisita la certezza giuridica nella misura sufficiente perché possa attuarsi l'esigenza di attuazione pratica del diritto, che è la funzione propria del processo esecutivo. Non esiste, nel processo esecutivo, un vero e proprio contraddittorio: del quale non c'è necessità per il semplice motivo che non c'è luogo ad alcun giudizio poiché l'esecuzione deve effettuarsi con riferimento a quella situazione giuridica che è rappresentata nel titolo, prescindendosi da tutto ciò che dal titolo non risulta.Per evitare di compromettere quell'efficacia incondizionata o «isolante» del titolo, che è essenziale per la funzionalità dell'esecuzione, non c'è che un modo: consentire di far valere quelle eventuali discordanze dalla realtà o quelle eventuali illegittimità, anziché nel processo esecutivo (ciò che non sarebbe possibile in relazione alla struttura di questo processo, e che sarebbe in contrasto con l'efficacia incondizionata del titolo), in un'autonoma sede di cognizione, quella appunto, delle opposizioni nel processo esecutivo.Sede di cognizione, poiché si tratta di un accertamento, che è compito tipico del giudice, in sede di cognizione; autonoma, nel senso che postula un autonomo atto introduttivo di un giudizio che - per quanto funzionalmente coordinato col processo esecutivo, si svolge in modo autonomo, ad iniziativa di chi vuol far valere quella discordanza o illegittimità.Più esattamente ad iniziativa del soggetto passivo dell'esecuzione (è questo il caso «delle opposizioni del debitore e del terzo assoggettato all'esecuzione». Colui che assume questa iniziativa - debitore o terzo - assume la veste di opponente e, come tale, è un vero e proprio attore, mentre convenuto è il credito re o colui che si vanta tale con una concreta iniziativa di avvio o di preannuncio del processo esecutivo. Processo autonomo, ma funzionalmente coordinato col processo esecutivo. Infatti, le opposizioni sono determinate da un processo esecutivo iniziato o almeno preannunciato e

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per questo motivo, esse debbono poter influire - sia pure indirettamente - su quel processo. Più esattamente, l'opposizione opera sul titolo, togliendolo di mezzo quando con essa si contesta il «se» dell'esecuzione (opposizione all'esecuzione); oppure opera sugli atti del processo esecutivo, quando con essa si contesta il «come» dell'esecuzione (opposizione agli atti esecutivi e opposizione del terzo nel processo esecutivo). L'eliminazione del titolo o la dichiarazione di illegittimità di determinati atti del processo esecutivo travolge o arresta questo processo; e questa è l'efficacia indiretta che le parentesi di cognizione in argomento producono sul processo esecutivo nel quale si inseriscono o che comunque le occasiona. Queste considerazioni possono riferirsi anche a quella parentesi di cognizione che è determinata, in sede di distribuzione della somma ricavata dall' espropriazione, dalla contestazione di uno o più ereditari concorrenti, ai termini dell' art. 512 c.p,c. Il relativo giudizio può perciò essere inquadrato nell'ambito delle opposizioni nel processo esecutivo.

36. L’opposizione all’esecuzione.Il codice che riserva al capo 1 ° del titolo 5° del libro 3° le opposizioni del debitore e del terzo assoggettato all'esecuzione (il quale terzo viene però qui in rilievo, come si è visto, non come terzo, ma in relazione al ruolo di debitore che la legge gli fa assumere) è suddiviso in tre sezioni dedicate 1) all'opposizione all'esecuzione, 2) all'opposizione agli atti esecutivi e 3) alle opposizioni in materia di lavoro di previdenza e di assistenza; mentre le opposizioni del terzo in senso proprio sono disciplinate in un successivo capo 2°.Occorre rilevare che le opposizioni nel processo esecutivo del debitore sono: 1) l'opposizione all'esecuzione; 2) l'opposizione agli atti esecutivi. Con l’opposizione all'esecuzione si contesta il «se» dell'esecuzione, e più precisamente - così testualmente l'art, 615, l° comma c.p.c., «si contesta il diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata». Sotto il profilo soggettivo attivo, risulta evidente che l'opposizione in esame può essere proposta (nella veste di opponente o attore in opposizione) da tutti coloro che in concreto subiscono l'esecuzione (o il suo preannuncio, con l'intimazione del precetto), coloro ai quali la parte istante attribuisce o pretende di attribuire il ruolo di «debitore», sia che tale veste risulti e sia che non risulti dal titolo esecutivo, mentre legittimata passivamente è, invece, la parte istante. Sotto il profilo oggettivo, «il diritto di procedere ad esecuzione forzata» non è altro che!'azione esecutiva che si fonda sul titolo esecutivo. Si tratta dunque di contestare il tipico effetto processuale del titolo attraverso la negazione dell’ esistenza di un titolo, fin dall'origine, o per sopravvenuta caducazione (ad es. affermo che la sentenza esecutiva è stata riformata in appello o cassata o ne è stata revocata l'esecutività); o attraverso la negazione della idoneità soggettiva del titolo a fondare l'esecuzione ad opera di quel soggetto o contro quel soggetto (ad es. nego la mia qualità di erede del debitore, agli effetti dell' arto 477, o la qualità di successore del credito re in capo a colui che agisce); o attraverso la negazione della idoneità del titolo a fondare quella esecuzione (ad es. nego la legittimità della esecuzione di un obbligo di fare sulla base di un titolo stragiudiziale); o attraverso la negazione della corrispondenza della misura richiesta col contenuto del titolo; oppure per ragioni di merito, attraverso la negazione dell'esistenza attuale del diritto per la cui attuazione si procede ad esecuzione forzata (ad es. sostengo di aver adempiuto il debito dopo il passaggio in giudicato della sentenza), contestando la situazione sostanziale così come è enunciata nel titolo, attraverso la allegazione di fatti impeditivi o estintivi. In quest'ultimo caso (c.d. opposizione di merito all'esecuzione) l'ambito delle possibilità di contestare da parte del debitore è diverso a seconda che il titolo sulla cui base si procede sia giudiziale oppure stragiudiziale; ed infatti nel caso dell'opposizione di merito, come anche in quello in cui si fanno valere i vizi processuali di formazione del titolo (c.d. vizi di

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costruzione), la natura giudiziale del titolo fa sì che le contestazioni di merito o processuali incontrano il limite generale e assoluto determinato dal giudicato che copre il dedotto ed il deducibile e sana i vizi processuali (art. 161 c.p.c.); e perciò tali contestazioni possono fondarsi soltanto su fatti estintivi ed impeditivi successivi alla formazione del giudicato (posso opporre di aver pagato dopo la formazione del giudicato; ma non posso opporre di aver pagato prima; posso opporre la c.d. inesistenza della senten za, ma non la semplice nullità di una sentenza non impugnata o im pugnata senza far valere il vizio). Inoltre - quando si tratti di senten za esecutiva, non ancora passata in giudicato -le contestazioni in di scorso incontrano il limite, ugualmente generale, determinato dalla litispendenza o dalle preclusioni eventualmente verificatesi, nel senso che le eccezioni e contestazioni di merito o processuali costituiscono, presumibilmente, già oggetto del giudizio di impugnazione e co munque non possono essere sollevate se non in quella sede salvi solo i vizi di inesistenza. Quando invece si tratti di titolo stragiudiziale, quei limiti ovviamente non esistono, pur potendo esistere limiti di al tro genere (ad es. i limiti di cui agli artt. 64 e 65 L. camb.). Se l’esecuzione non ancora iniziata, l’opposizione si instaura con un normale atto di citazione innanzi al giudice competente secondo le normali ex artt. 17 e 27 c.p.c. Ma poiché, in pratica, il debitore della consegna o del rilascio teme le conseguenze del possibile inizio dell'esecuzione, il nuovo testo dell'art. 615, venendo incontro a queste esigenze in modo che supera gli espedienti ai quali la giurisprudenza era solita ricorrere, dispone che «il giudice, concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l’efficacia esecutiva del titolo». Si svolgerà così, ad iniziativa del debitore (che diviene opponente, ossia attore in opposizione) o di colui che è equiparato al debitore (art. 604), un normale giudizio di cognizione (destinato a concludersi con una sentenza ora non impugnabile, ma solo ricorribile per cassazione ex art. 111 cost.) il cui collegamento con l'esecuzione sta in ciò che la sentenza alla quale tende è destinata ad influire sul titolo o per negare o per riaffermare la sua efficacia, ossia per negare o riafferma re l'esistenza dell'azione esecutiva. Diversamente, quando l'esecuzione è già iniziata, da un lato, occorre evitare il già attuale pericolo in ipotesi irreparabile - che venga esecutivamente attuato un diritto che si assume inesistente; e perciò occorre poter fermare provvisoriamente l'esecuzione (o almeno valutare l'opportunità di fermarla); mentre, dall' altro lato, la pendenza del processo esecutivo offre gli strumenti per poter realizzare quell'esigenza, ossia il modo di operare sull'esecuzione. Più precisamente, poiché la pendenza dell'esecuzione implica la già avvenuta designazione del giudice dell'esecuzione o (nelle esecu zioni dirette) la presenza di un giudice che ne svolge le funzioni, c'è l'organo al quale rivolgersi perché esamini l'eventuale opportunità di una sia pure provvisoria sospensione dell'esecuzione. Per tali ragioni l’art. 615, 2° comma dispone che, quando l'esecuzione è già iniziata, l'opposizione all'esecuzione va proposta con ricorso al giudice dell'esecuzione, il quale fissa, con decreto in calce al ricorso stesso, l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé (udienza che per il nuovo art. 185 disp. att., si svolge con le forme del giudizio camerale) ed un termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto. Alla udienza così fissata, il giudice dell'esecuzione - che in quel momento assomma le funzioni di organo del processo esecutivo e di giudice dell'opposizione si pronuncia sull'eventuale istanza di sospensione dell'esecuzione, concedendo tale sospensione qualora sussistano gravi motivi (art. 624, 1 comma c.p.c.). Pertanto, il giudizio di opposizione si svolgerà d'ora innanzi in modo autonomo secondo le consuete regole del giudizio di cognizione, a cominciare da quelle sulla competenza: nell'ipotesi che queste regole sulla competenza indichino come competente per la causa di opposizione il tribunale al quale appartiene il giudice dell'esecuzione, i due processi (quello esecutivo e quello di opposizione) procederanno in modo autonomo l'uno dall'altro

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sicché le funzioni di giudice istruttore potrebbero essere affidate ad altro magistrato designato dal presidente. In questa ipotesi – così l'art. 616 nel testo integrato della L. 52/2006, che competente per la causa sia l'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice dell'esecuzione, questo «fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all'art. 163 bis, o altri, se previsti; ridotti alla metà. Altrimenti rimette la causa dinanzi all'ufficio giudiziario competente assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa». Come già detto la riforma del 2009 ha soppresso l’ultima parte dell’art. 616 quindi deve ritenersi che la sentenza con la quale il giudice decide sull’opposizione è impugnabile con gli strumenti ordinari.Così se le regole della competenza indicano come competente un altro giudice (ciò che difficilmente potrà ora verificarsi perché la competenza per materia e valore, che, nel testo previgente, lasciava spazio solo per la competenza del giudice di pace, nel testo attuale non contiene più il riferimento al valore), mentre i criteri della competenza per territorio riconducono al luogo dell'esecuzione (art. 27), la norma sopra riportata (art. 616 c.p.c.) dispone che il giudice dell'esecuzione, con ordinanza, rimette le parti davanti all'ufficio giudiziario competente, assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a quest'ultimo. Si tratta di provvedimento ordinatorio che non implica pronuncia sulla competenza e perciò non è impugnabile col regolamento; ciò neppure se vi sia stato contrasto tra le parti sulla competenza; così almeno secondo un orientamento della Cassazione che in precedenza aveva deciso che in tal caso, la pronuncia di rimessione al giudice competente dovrebbe assumere la forma della sentenza impugnabile col regolamento di competenza con la conseguente incontestabilità in caso di mancata proposizione. La parte convenuta - che è la parte che chiede l'esecuzione - si può costituire con comparsa di risposta e può svolgere la sua attività difensiva che di solito consisterà nella richiesta del rigetto dell' opposizione con la contestazione del suo fondamento sia processuale che di merito; si ritiene, d'altra parte, che il creditore opposto possa anche superare l'ambito della semplice attività difensiva e proporre anche domanda riconvenzionale (ad es. per chiedere la condanna, se l'esecuzione si svolge sul fondamento di un titolo stragiudiziale), ma non sarebbe corretto configura re questo potere come un onere perché l'oggetto del processo consiste nella contestazione del diritto di procedere ad esecuzione soltanto per il motivo dedotto dall' opponente e non per tutti i possibili motivi. Se la parte istante. rinuncia al precetto, non ne consegue l'estinzione del giudizio di opposizione, ma la cessazione della materia del contendere, mentre la decisione avverrà con sentenza; in caso di competenza del tribunale, di regola senza previa rimessione al collegio secondo il nuovo art. 50 ter c.p.c., per cui la decisione di queste cause spetta al tribunale in composizione monocratica. Inoltre, occorre ricordare che la L. 52/2006 ha aggiunto all'articolo in esame la seguente proposizione: «La causa è decisa con sentenza non impugnabile». Va, altresì, rilevato che, in forza dell'art. 618 bis inserito nel codice dalla L. 52/2006, al procedimento relativo a questa opposizione (come per l' opposizione agli atti esecutivi) in materia di lavoro e previdenziale si applica il rito del lavoro, ferma la competenza del giudice dell'esecuzione per i provvedimenti di cui all'arto 615, 2° comma). La sentenza che conclude il giudizio dopo l'eventuale istruzione, e che, come si è veduto, è dichiarata non impugnabile, sarà di accoglimento o di rigetto dell' opposizione. In quest'ultimo caso la sentenza passata in giudicato ha portata di mero accertamento del legittimo svolgimento e della proseguibilità dell'esecuzione sotto il profilo dedotto come motivo dell'opposizione. Nel caso dell'accoglimento, la sentenza passata in giudicato ha la portata - pure dichiarativa - di negare l'esistenza o l'efficacia attuale del titolo esecutivo o comunque dell' azione esecutiva nel suo concreto esercizio, con la conseguente

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invalidazione degli atti compiuti e negazione radicale (che cioè trascende il motivo addotto) del potere di iniziare o di proseguire il processo esecutivo. L'opposizione all'esecuzione non è sottoposta ad alcun termine, ma, presupponendo la pendenza del processo esecutivo, non può essere iniziata dopo la pronuncia del provvedimento che chiude tale processo. La procedura di legge (art. 615, 2° comma) è estesa anche al caso dell'opposizione che riguarda la <<.pi gnorabilità dei beni», ossia al caso in cui il pignoramento abbia colpito beni obbiettivamente impignorabili artt. 514, 515, 516, 545; ciò che presuppone il già avvenuto inizio dell'esecuzione.

37. L’opposizione agli atti esecutivi.L'opposizione agli atti esecutivi è la seconda delle due opposizioni che si ricollegano all'iniziativa del debitore; essa è infatti disciplinata, immediatamente dopo l'opposizione all' esecuzione, nella sezione seconda del capo intitolato alle «opposizioni del debitore e del terzo assoggettato all' esecuzione». Sotto il profilo della legittimazione attiva, con riguardo all'opposizione all'esecuzione va solo aggiunto il rilievo che la contestazione del «come» che è l'oggetto di questa opposizione, in quanto può investire i singoli atti per se stessi, allarga 1'ambito dei soggetti legittimati all' opposizione formale, rispetto a quelli legittimati all'opposizione all'esecuzione. L'opposizione in discorso può, infatti, essere proposta, oltre che dal debitore dal terzo assoggettato all'esecuzione, anche da tutti i soggetti destinatari dei singoli atti interessati a rimuoverli, compresi gli intervenienti e quelli che nel processo esecutivo hanno un ruolo marginale. La legittimazione passiva spetta alla parte istante, ma anche ai creditori intervenuti e gli altri interessati sono litisconsorti necessari. Con riguardo all'oggetto, si è già detto che qui si contesta il «come» dell'esecuzione, ossia non si nega che il creditore abbia l'azione esecutiva, ma si contesta la legittimità del modo col quale l'esercizio dell’azione è avvenuto, o è stato preannunciato; si contesta, in altri termini, la regolarità formale dei singoli atti o di un singolo atto del processo esecutivo o degli atti che lo preannunciano. La irregolarità formale che costituisce il fondamento dell'opposizione in discorso, è più ampia della nullità, in quanto la comprende senza esaurirsi in essa, lasciando un margine per le ipotesi di irregolarità che non sono nullità, e nel quale vanno incluse tutte quelle divergenze dalla fattispecie legale che, da un lato, non sono espressamente previste dalla legge come nullità e, dall'altro lato, non consistono (secondo l'a dicitura dell'art. 156 c.p.c.) in difetti di requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo dell'atto. La eventuale contestazione che può sollevarsi con l'opposizione in parola è configurata, dall'art. 617, 1° comma, come contestazione della regolarità formale del titolo esecutivo. Ma si noti: contestazione della sola regolarità formale, poiché se si sostenesse la nullità del titolo o, a maggior ragione, la sua inesistenza (o si negasse la qualità di titolo esecutivo) si rientrerebbe nel campo dell'opposizione all'esecuzione; così, se ad es. si fa valere la mancanza della eseguibilità provvisoria perché sospesa ai sensi dell'art. 283, si deve proporre opposizione all'esecuzione; mentre se si fa valere la mancanza della formula esecutiva, ossia il difetto di spedizione in forma esecutiva si deve proporre opposizione agli atti esecutivi). Altra ipotesi di contestazione configurata espressamente dallo comma dell'art. 617 consiste nella contestazione della regolarità formale del precetto (ad es. per mancanza di uno dei requisiti di cui all'art. 480): si pensi al caso in cui nel precetto manca la data della notificazione del titolo, avvenuta in precedenza; ma qui la nozione di regolarità non è più contrapposta a quella della nullità, bensì comprensiva di essa; così come anche nel caso della contestazione della regolarità della notificazione del titolo e del precetto nonché nel caso di omissione della notifica del titolo.

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Nei casi ora esaminati il vizio di regolarità investe un atto anteriore all'inizio dell'esecuzione; ma può anche accadere che il vizio investa un atto successivo all'inizio dell'esecuzione stessa: ad es. un vizio di forma del pignoramento (un vizio, che investe il modo del pignoramento, e non il suo oggetto, nel qual caso si rientrerebbe nella veduta ipotesi di cui all'art. 615, 2° comma) o dell'istanza di vendita o dell'ordinanza che dispone la vendita o, insomma, di un qualsiasi atto del processo esecutivo: sono queste le ipotesi prese in considerazione nel 2° comma dell'art. 617 c.p.c.; tra le quali, d'altra parte, l'opinione che prevale in dottrina e in giurisprudenza tende ad includere anche le censure di inopportunità o di incongruità che, altrimenti, stante il numerus clauSlIs delle opposizioni nel processo esecutivo, rimarrebbero prive di tutela. Venendo al modo col quale si propone questa opposizione, anche per l'opposizione agli atti esecutivi, come per l'opposizione all'esecuzione, la legge distingue tra i casi di opposizione quando l'esecuzione non è ancora iniziata e i casi di 0pposizione successiva all'inizio dell'esecuzione. Nella prima ipotesi - in cui si contesta la regolarità formale del titolo o del precetto, poiché questi sono i soli atti relativi al processo esecutivo, anteriori all'inizio del processo stesso - l'art. 617, 1° comma dispone che l'opposizione si propone con atto di citazione. Più precisamente, essa si propone (dal «debitore», o da colui che è assimilato al debitore [art. 604], o eventualmente anche un altro soggetto, come si è veduto, che comunque assume la veste di opponente, ossia attore in questo autonomo giudizio di cognizione) con atto di citazione davanti al giudice indicato dall'art. 480, 3° comma (che è il giudice competente per l'e secuzione, come si vedrà tra poco) da notificarsi entro 20 giorni dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto. Ed è bene notare subito che questo termine già di 5 e ora di 20 giorni è un elemento caratteristico e costante dell'opposizione di cui trattasi; si può dire infatti, in linea generale, che questa opposizione va sempre proposta entro venti giorni dal compimento o dalla notificazione dell'atto che si assume viziato o irregolare. Il termine di 20 giorni decorre dal compimento del primo atto di esecuzione, quando - venendo così ai casi di opposizione proposta dopo l'inizio dell'esecuzione - si fa valere il vizio della notificazione del titolo o del precetto, oppure un vizio di regolarità del titolo o del precetto che non sia stato possibile far valere prima dell'inizio dell'esecuzione (art. 617, 2° comma). Infine, tale termine decorre dal giorno del compimento di ciascun singolo atto, quando si contesta la regolarità di un qualsiasi atto successivo all'inizio dell' esecuzione (art. 617, 2 comma) e comunque dal momento in cui le parti del processo esecutivo vengono a conoscenza dell'atto stesso, o dell'atto conclusivo della relativa fase.In tutti questi casi di opposizione successiva all'inizio dell'esecuzione, la opposizione stessa va proposta anziché con citazione, con ricorso al giudice dell’esecuzione analogamente a quanto si è visto per l'opposizione alla esecuzione.Anche qui il giudice dell'esecuzione fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perento rio per la notificazione del ricorso e del decreto, pronunciando nei casi urgenti gli eventuali provvedimenti opportuni, inoltre, in questa udienza potrà anche revocare i provvedimenti urgenti eventualmente già pronunciati.Ora sia che il giudizio sia stato iniziato con citazione prima dell'inizio dell'esecuzione, e sia che sia stato iniziato con ricorso dopo tale inizio, esso si svolge con le regole proprie del giudizio di cognizione, analogamente a quanto si è visto per il giudizio di opposizione all'esecuzione e fermo restando che l'opponente si costituisce col semplice deposito del ricorso mentre il convenuto opposto potrà costituirsi prima dell'udienza fissata per il giudizio di merito, ferma la validità della prassi secondo la quale, nelle opposizioni ad esecuzione iniziata, il convenuto suole costituirsi alla prima udienza di comparizione innanzi al giudice dell'esecuzione, Tuttavia, rispetto a questo ultimo giudizio, possiamo evidenziare alcune ulteriori essenziali differenze che inducono una parte della dottrina a considerare l'opposizione agli atti esecutivi come una fase incidentale inserita nel processo esecutivo, e che comunque

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autorizzano a considerare il giudizio sull'opposizione agli atti esecutivi come meno autonomo rispetto al processo esecutivo, di quanto non lo sia il giudizio sull'opposizione all'esecuzione. Ciò va detto specialmente con riguardo alla competenza, che rimane ferma, in tutto il corso del giudizio, nel giudice (nel senso di ufficio giudiziario) competente per l'esecuzione; nonché alla non impugnabilità che da sempre è caratteristica delle sentenze che definiscono questo giudizio (ancorché ora estesa anche alle sentenze sull'opposizione all'esecuzione). Va peraltro aggiunto che la suddetta non impugnabilità rimane temperata dalla possibilità - ormai pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza - di proporre, contro la sentenza in discorso, il ri corso per cassazione previsto dall'art, 111 della Costituzione che è ora proponibile per tutti i motivi di cui all'art, 360 (v. il nuovo ultimo comma dell'art. 360 c.p,c.).L'eventuale accoglimento dell'opposizione di cui trattasi darà luogo alla dichiarazione di nullità degli atti esecutivi contestati, con la conseguente eventuale dichiarazione d'invalidità degli atti successivi che ne sono dipendenti (art. 159 c.p.c.) e così, eventualmente, dell'intero processo esecutivo; la nullità non ha effetto nei confronti dei terzi acquirenti, salvo il caso di collusione (art. 2929). Col medesimo atto possono invece essere proposte congiuntamente sia un'opposizione all'esecuzione e sia un'opposizione agli atti esecutivi o che, d'altra parte, contro due distinte pronunce contenute in una sentenza formalmente unica, siano proposte le due distinte opposizioni.È importante segnalare che la legge n. 69 del 2009 ha introdotto l’art. 186bis disp. Att., secondo cui i giudizi di merito relativi all’opposizione agli atti esecutivi devono essere trattati da un magistrato diverso da quello che ha conosciuto degli atti avverso i quali è proposta opposizione.

38. L’opposizione del terzo nel processo esecutivoCon l’opposizione nel processo esecutivo il terzo può far valere eventuali errori nell’esecuzione che sebbene ritualmente diretta verso il debitore, abbia per errore colpito beni di sua proprietà. Questo fenomeno si verifica tipicamente nell’espropriazione, quando accade (e l'ipotesi è particolarmente frequente nell'espropriazione mobiliare presso il debitore) che il pignoramento colpisca, per errore, beni appartenenti non al debitore, ma ad un terzo, per errore, poiché sappiamo che il titolo esecutivo non ha alcuna efficacia contro il terzo, e l'ufficiale giudiziario non potrebbe colpire scientemente beni di un terzo, né il creditore procedente avrebbe interesse a che ciò avvenisse. Tuttavia, può accadere che l'ufficiale giudiziario pignori beni di un terzo, nella convinzione che essi appartengano al debitore, secondo la presunzione conseguente al fatto che tali beni si trovano in luoghi appartenenti al debitore; né sarebbe concepibile che l'ufficiale giudiziario si astenesse dal pignorare, per il solo fatto che il debitore gli affermasse che quei determinati beni appartengono ad un terzo; se ciò fosse sufficiente, sarebbe troppo facile, per il debitore, sottrarsi all' esecuzione forzata. Perciò può accadere che il pignoramento colpisca beni sui quali un terzo pretenda di avere dei diritti; dando luogo ad un'esigenza di accertamento tipica de processo di cognizione. In tali situazioni, la legge lascia l'iniziativa per contestare la legittimità dell'esecuzione non già al debitore, ma a colui che è direttamente interessato, ossia il terzo. A questo terzo la legge attribuisce la legittimazione a proporre un'opposizione, con le forme e le caratteristiche del giudizio di cognizione, in contraddittorio non solo col creditore, ma anche col debitore (quest'ultimo, infatti, potrebbe contestare il diritto del terzo; mentre è chiaro che l'eventuale riconoscimento spontaneo di questo diritto da parte del debitore non potrebbe essere decisivo, per l’ipotesi della troppo facile collusione) nonché degli eventuali più creditori pignoranti. Il conseguente autonomo giudizio di cognizione dà luogo ad un

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accertamento (sul diritto vantato dal terzo), che è determinante, in un senso o nell'altro, sulla legittimità del pignoramento e degli atti successivi e quindi sull'ulteriore procedibilità dell'esecuzione. Si ritiene che questo accertamento abbia efficacia anche autonoma, ossia al di fuori dell' esecuzione, naturalmente se ed in quanto su di esso sia sceso il giudicato. Pertanto, l’art. 619 nel disciplinare questa opposizione, ne determina l'oggetto nella pretesa del terzo di «avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati), ossia con una formula sembra non lasciar margine né per far valere vizi del procedimento (salvo specifico interesse), né per una sua applicazione a fenomeni analoghi. Tali fenomeni analoghi potrebbero essere, da un lato, il caso in cui, sempre nell'ambito dell'espropriazione, il terzo vanti, sulle cose pignorate, un diritto non reale, ma personale; e, dall'altro lato, il caso in cui il processo esecutivo sia diverso dalla espropriazione, ossia consista in una esecuzione diretta.Con riguardo al fatto che l'art. 619 fa riferimento, per l'opposizione in discorso, alla sola espropriazione - che la palese limitazione della formula della legge all'espropriazione e ai diritti reali eventualmente pregiudicati dal pignoramento, ha la sua ragion d'essere in ciò che solo l'espropriazione coinvolge, con le sue particolari modalità, beni diversi da quelli che costituiscono oggetto del diritto che si porta ad esecuzione, mentre nelle esecuzioni dirette la coincidenza tra il bene colpito e il bene oggetto del diritto, di solito esclude la stessa possibilità dell'errore; in altri termini l'errore che sta alla base del fenomeno sopra descritto è un errore tipicamente inerente a quella scelta dei beni da pignorare che è propria dell'espropriazione, mentre nell'esecuzione specifica quell'errore è reso difficilmente immaginabile dal fatto che il titolo esecutivo indica, per eseguire un diritto ben determinato, un iter altrettanto ben determinato: poiché, di solito, avuto riguardo alle caratteristiche dell' esecuzione diretta, tale diritto ed iter risulta, già nel titolo, ingiustamente pregiudizievole per il terzo, questi avrà a disposizione i consueti rimedi del giudizio di cognizione (tipicamente, l'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c; se invece il creditore procedente pretendesse di far valere contro il terzo un titolo esecutivo che contempla un diverso debitore, questo terzo - che in realtà non sarebbe tale, ma di fatto già soggetto passivo dell'esecuzione - potrebbe facilmente opporre il limite soggettivo del titolo, ossia il difetto di titolo contro di lui, con un'opposizione all'esecuzione ai termini dell'art. 615. L'opposizione di cui trattasi - che non è proponibile prima del pignoramento - non è assoggettata a termini di preclusione. Tuttavia, la necessità di tener conto dei diritti di coloro che, per effetto dell'espropriazione, siano divenuti acquirenti delle cose pignorate, pone un limite alla funzionalità dell'opposizione, a partire dal momento della vendita o dell'assegnazione (art. 619, 1 ° comma); non che l'opposizione in discorso non possa essere proposta anche dopo tale momento; solo che, in tal caso, gli eventuali diritti del terzo non possono essere fatti valere che sulla somma ricavata (art. 620) e naturalmente se ed in quanto questa somma non sia stata ancora distribuita. L'iter procedimentale è analogo a quello contemplato per l'opposizione all'esecuzione dopo l'inizio dell'esecuzione stessa: ricorso al giudice dell'esecuzione, fissazione, con decreto, da parte di quest'ultimo, dell’udienza di comparizione delle parti - che sono, oltre al terzo, anche, necessariamente, il creditore e il debitore - davanti a sé (udienza che, per il nuovo art. 185 disp. att. si svolge con le forme del procedimento camerale) e del termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto (art. 619, 2° comma); designazione del giudice istruttore, quando è competente l'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice dell'esecuzione o, in caso contrario - che peraltro potrà difficilmente verificarsi a seguito della soppressione dell'ufficio del pretore - fissazione all'opponente di un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti all'ufficio giudiziario competente per valore (art. 619,3° comma); il tutto, previo eventuale provvedimento di sospensione della vendita (arg. ex artt. 620 e 624).

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Tutto ciò è ora espresso sinteticamente nel testo (modificato dalla L. 52/2006) dell'art. 619, 3° comma c.p.c. ove si stabilisce che, ove le parti non raggiungano un accordo, il giudice provvede ai sensi dell'art. 616, tenuto conto della competenza per valore; così richiamando la norma che disciplina l'intero procedimento di opposizione all'esecuzione (compresa la non impugnabilità della sentenza). Quest’ultimo articolo è stato modificato dall’art. 49 della legge 18-06-2009 n. 69, infatti, lo stesso ha soppresso il seguente comma: “la causa è decisa con sentenza non impugnabile”.Tuttavia occorre precisare che il nuovo testo dell'art. 619 si riferisce al caso che le parti abbiano invece raggiunto un accordo, stabilendo per questa eventualità, che «il giudice ne dà atto adottando ogni altra decisione idonea ad assicurare, se del caso, la prosecuzione del processo esecutivo, ovvero ad estinguere il processo, statuendo altresì in questo caso, anche sulle spese». L’eventuale acquiescenza del debitore alle pretese del terzo non può essere ritenuta sufficiente, stante il pericolo di collusione tra il debitore e il terzo per frustrare l'esecuzione. Il legislatore pone dei limiti severi ai mezzi di prova di cui il terzo può servirsi per provare il diritto da lui vantato. Più precisamente, l'art. 621 nega al terzo opponente la possibilità di provare con testimoni il suo vantato diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell'azienda del debitore. Questa disposizione va posta in relazione col rilievo che la stessa presenza di tali beni in luoghi appartenenti al debitore crea una sorta di presunzione di appartenenza a quest'ultimo, presunzione che il legislatore non considera superabile se non con la particolare efficacia dello scritto (e, naturalmente, deve trattarsi eli scritto avente data certa anteriore al pignoramento: art. 2704 c.c.) o quanto meno in presenza di particolari circostanze inerenti alla professione o al commercio esercitato dal terzo o dal debitore, circostanze che rendono verosimile la suddetta presenza di cose del terzo presso il debitore. E pertanto, solo in quest'ultimo caso la legge consente al terzo la prova per testimoni. D’altra parte, occorre tener presente che - almeno secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza della Cassazione - il terzo ha l’onere di provare i fatti costitutivi non solo della sua proprietà delle cose pignorate, ma anche dall'affidamento di esse al debitore. Il legislatore aveva disposto, all'art. 622, l'improponibilità dell'opposizione in discorso da parte della moglie convivente col debitore relativamente ai beni mobili pignorati nella casa di lui, tranne che in determinate ipotesi. Ma questa norma è stata dichiarata in costituzionale dalla Corte costituzionale con sentenza 15 dicembre 1967 n. 143 in quanto lesiva del principio della parità della condizione giuridica dei coniugi. L'opposizione della moglie, che è conseguentemente divenuta proponibile, si assimila così all'opposizione di qualsiasi altro terzo anche con riguardo ai limiti probatori di cui all'art. 621.

CAPITOLO 6: SOSPENSIONE ED ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO

39. La sospensione dell’esecuzioneLa sospensione del processo esecutivo produce conseguenze praticamente analoghe a quelle prodotte dalla sospensione del processo di cognizione. La sospensione dà luogo ad un arresto della sequenza degli atti processuali, e nessun atto esecutivo può essere compiuto, salva diversa disposizione del giudice dell'esecuzione ex art. 626 riecheggiando l'art. 298.Diverso è invece il fenomeno che costituisce la ragione della sospensione. Mentre nel processo di cognizione tale ragione sta sempre nel fatto che il giudizio in corso dipende dall'esito di un altro giudizio (pregiudizialità), nel processo esecutivo la ragione della sospensione solo eccezionalmente consiste nel suddetto rapporto di pregiudizialità. Di solito, nel processo esecutivo, tale ragione sta nel fatto che in un giudizio di cognizione in corso (in sede di opposizione o anche di impugnazione: ad es. quando è in corso l'appello

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contro una sentenza provvisoriamente esecutiva) è in contestazione 1'esistenza dell' azione esecutiva o la legittimità delle modalità con le quali si sta svolgendo l'esecuzione. La quale contestazione potrebbe in ipotesi concludersi con una pronuncia di totale o parziale inesistenza dell'azione o di illegittimità dell'esecuzione.Di fronte a questa eventualità - il cui grado di probabilità dovrà essere valutato di volta in volta - si delinea il pericolo che la prosecuzione dell'esecuzione comprometta la situazione di fatto in modo irreparabile o difficilmente riparabile. Di cui l'opportunità di un arresto provvisorio dell'esecuzione fino alla definizione del giudizio di cognizione. Non si tratta dunque di ragioni di necessità più o meno imposta dalla priorità logica; si tratta solo di ragioni di opportunità che stanno palesemente in relazione con finalità di natura genericamente cautelare. La portata generale, dell' art. 623, secondo la quale l'esecuzione non può essere sospesa che con provvedimento del giudice dell'esecuzione, premette una salvezza, per l'ipotesi che la sospensione sia disposta dalla legge o dal «giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo», con un evidente riferimento ai casi d'impugnazione, in senso proprio, dei provvedimenti giudiziari che siano già esecutivi, ma non ancora passati in giudicato.Sono tipici i casi di cui agli artt. 283 (potere di sospensione attribuito al giudice di secondo grado in pendenza di appello), 373 (potere di sospensione attribuito al giudice di secondo grado in pendenza di ricorso per cassazione), 401 (potere di sospensione attribuito al giudice della l'evocazione), 407 (potere di sospensione attribuito al giudice dell'opposizione di terzo; tutti casi caratterizzati dal fatto che il giudice dell'impugnazione ha il potere di sottrarre al provvedimento l'efficacia esecutiva, in modo tale che l'esecuzione non potrebbe essere iniziata, mentre, qualora fosse già stata iniziata, essa rimarrebbe sospesa per effetto di tale sottrazione. L'art, 624 prevede poi, più dettagliatamente, la sospensione a seguito della proposizione delle opposizioni di cui agli ,artt. 615 e 619, comprese le controversie che sorgono in sede di distribuzione della somma ricavata, ma omettendo ogni accenno all'opposizione agli atti esecutivi.Tuttavia tale omissione non significa che quella opposizione non possa dar luogo a sospensione poiché soccorre il potere che l'art. 618 attribuisce, come si è veduto, al giudice dell'esecuzione, di pronunciare «i provvedimenti opportuni», tra i quali il più recente testo della norma prevede espressamente la sospensione della procedura dei singoli atti esecutivi. Mentre, d'altra parte, il fatto stesso della proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi sospende il decorso del termine di efficacia del pignoramento (art. 628). L’art. 49 della legge n. 69 del 2009 ha tuttavia sostituito il terzo ed il quarto comma dell’art. 624, infatti la novella ha previsto che il giudice dell’esecuzione dichiara con ordinanza, anche d’ufficio l’estinzione del processo esecutivo a condizione che ricorrano due presupposti:

1. È necessario che la sospensione sia disposta dal giudice dell’oopisizione e che l’ordinanza non sia reclamata.

2. È necessario che il giudizio di merito non sia stato introdotto nel termine perentorio stabilito dal giudice ai sensi dell’art. 616. L'istanza - così la norma come ora integrata dalla L. 263/2005 - può essere proposta fino a venti giorni prima della scadenza del termine per il deposito delle offerte di acquisto o, nel caso in cui la vendita senza incanto non abbia luogo, fino a quindici giorni prima dell'incanto. Sull'istanza, il giudice provvede nei 10 giorni successivi al deposito e, se l'accoglie, dispone, nei casi di cui al 2 comma dell' art, 490, che, nei cinque giorni successivi al deposito del provvedimento di sospensione, lo stesso sia comunicato al custode e pubblicato sul sito Internet sul quale è pubblicata la relazione di stima. La sospensione è disposta per una sola volta. L'ordinanza è revocabile in qualsiasi momento, anche su richiesta di un solo creditore e sentito comunque il debitore. Entro 10 giorni dalla

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scadenza del termine la parte interessata deve presentare istanza per la fissazione dell’udienza in cui il processo deve proseguire”.L'art. 625 dispone poi che sull'istanza di sospensione - che, come si è veduto, può essere proposta anche indipendentemente dalla pendenza di un'opposizione - il giudice provvede con ordinanza sentite le parti, ossia previa instaurazione di un contraddittorio sia pure limitato. Soltanto nei casi urgenti, il giudice può disporre la sospensione prima di instaurare il contraddittorio, provvedendo con un decreto col quale fissa l'udienza di comparizione delle parti. All'udienza provvede poi con ordinanza (art. 625, 2 comma). L'art. 627 disciplina l'iter per la ripresa del processo esecutivo dopo la sospensione. Tale ripresa avviene con un atto impropriamente definito «riassunzione» in analogia col fenomeno corrispondente nel giudizio di cognizione. È previsto un ricorso da inoltrarsi nel termine perentorio fissato dal giudice dell'esecuzione e, in ogni caso, non più tardi di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che rigetta l'opposizione, o dalla sua comunicazione, se si tratta di sentenza d'appello. L'istanza è rivolta al giudice dell'esecuzione che, con decreto, dispone la comparizione delle parti.

40. L’estinzione del processo esecutivoL’estinzione del processo esecutivo è stato configurata dal legislatore secondo uno schema analogo quello proprio dell'istituto medesimo nel processo di cognizione, senza che peraltro sia stato tenuto adeguatamente conto della profonda differenza strutturale dei due processi. Ciò costringe l'interprete a compiere un delicato lavoro di adattamento. Occorre, ricordare che l'estinzione del processo di cognizione è configurata dal legislatore come una ipotesi di fine anormale del processo stesso, per cause diverse da quella fine normale che è determinata dall'esaurimento della serie degli atti. Ed inoltre occorre tener presente che questo esaurimento della serie normale degli atti (con conseguente fine normale del processo) si verifica, nel processo esecutivo, sia nell'ipotesi che sia stato conseguito il risultato di attuazione coattiva del diritto e sia nell'ipotesi che questo non sia stato conseguito (per ragioni contingenti, come ad es., nell'espropriazione, la mancanza o l'insufficienza dei beni del patrimonio del debitore; l'irreperibilità della cosa da consegnare nell'esecuzione per consegna, ecc.). Le ragioni che possono dar luogo alla fine anormale del processo sono, anche qui, come nel processo di cognizione, di due ordini e fanno capo ai due tipi di estinzione: a) La rinuncia, da compiersi, prima dell'aggiudicazione o dell'assegnazione, «personalmente» dal creditore procedente e dai creditori intervenienti. La rinuncia anche di questi ultimi è necessaria solo se essi sono muniti di titolo esecutivo (art. 629, l° comma); ma se la rinuncia avviene dopo la vendita, occorre che sia effettuata da tutti i creditori anche non muniti di titolo (art. 629, 2° comma), Le modalità della rinuncia, la legge (art. 629 ultimo comma) dichiara applicabile, in quanto possibile, la norma dell'art. 306, che disciplina la rinuncia nel processo di cognizione; b) per inattività delle parti, che si verifica o per il difetto di atti d'impulso (prosecuzione o riassunzione) nel termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice (art. 630, l0 comma), oppure per mancata comparizione all'udienza, secondo il meccanismo che l'art. 631 configura in modo analogo a quello col quale opera l'art. 309 c.p.c. nel processo di cognizione tenendo peraltro presente che - come previsto da un inciso che la L. 263/2005 ha inserito nell'art. 631 - dalle udienze alla cui diserzione consegue l'estinzione va esclusa quella in cui ha luogo la vendita. Invero, l’art. 49 della legge n. 69/2009 ha sostituito il secondo comma dell’art. 630, stabilendo che l’estinzione opera di diritto ed è dichiarata anche d’ufficio, con ordinanza dal giudice dell’esecuzione, non oltre la prima udienza successiva al verificarsi della stessa. Non sembra infine che sussistano i presupposti normativi per immaginare una diversa forma di estinzione d'ufficio dell'esecuzione da alcuni ipotizzata come conseguenza della riscontrata impossibilità di vendita. D'altra parte, il venir meno dei presupposti del

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processo esecutivo (come, in particolare, l'efficacia del titolo) non potrebbe essere oggetto che di un provvedimento di cognizione. Anche per l'estinzione del processo esecutivo, la legge (art. 630, 2° e 3° comma) riproduce il disposto - apparentemente contraddittorio - dell'art. 307 ultimo comma; e qui le perplessità sono ancora maggiori poiché alla contraddizione tra l'operare di diritto e l'onere di eccezione nella prima difesa (contraddizione da risolversi anche qui, come nel giudizio di cognizione, ammettendo che gli effetti dell'estinzione, avvenuta di diritto, possono essere eliminati dalla eventuale mancata eccezione).Se, quando si verifica l'estinzione, pendono opposizioni, occorre distinguere a seconda che si tratti di contestazioni sul «come» o di contestazioni sul «se» dell'esecuzione, Nel primo caso, il giudizio di opposizione si svuota della materia del contendere; non così nel secondo caso, poiché il giudizio in corso investe - con possibilità di autonomo giudizio - i rapporti tra creditore, debitore ed eventualmente un terzo, Anche nel processo esecutivo, le spese del processo estinto restano a carico delle parti che le hanno .anticipate (art, 310 ultimo comma richiamato dall'arto 632 ultimo camma c.p.c.). Inoltre, nel processo esecutivo non opera l'interruzione.

PARTE SECONDACAPITOLO 8: SEZ. VI

IL PROCEDIMENTO SOMMARIO DI COGNIZIONE

Una delle novità significative introdotte dalla riforma del processo civile operata con legge n. 69/2009 è costituita dall’introduzione nel codice di rito del procedimento sommario di cognizione. L’art. 51 della citata legge ha infatti inserito nel titolo I del quarto libro del codice di procedura civile il capo IIIbis, rubricato “del procedimento sommario di cognizione”; la disciplina è contenuta negli artt. 702bis (forma della domanda e costituzione delle parti), 702ter (procedimento) e 702quater (appello).Il procedimento in esame è concepito come alternativo rispetto al procedimento ordinario dinanzi al tribunale e mira a realizzare l’obiettivo della sollecita definizione di quei giudizi per i quali è sufficiente un’istruzione sommaria.Si tratta di un procedimento speciale, in quanto la relativa disciplina si differenzia sensibilmente da quella del procedimento ordinario, ed a cognizione sommaria perché la conoscenza dei fatti rilevanti per la decisione non viene acquisita attraverso i mezzi di prova previsti dal codice di rito, ma attraverso un’istruttoria particolarmente semplificata la cui concreta determinazione è in sostanza rimessa alla discrezionalità del giudice, il quale, per la formazione del proprio convincimento potrà fare ampiamente ricorso anche a fonti di prova non disciplinate dalla legge (c.d. prove atipiche). Per quanto riguarda l’ambito di applicazione del procedimento sommario di cognizione, bisogna dire che esso può essere utilizzato per la trattazione di tutte le cause in cui il tribunale giudice in composizione monocratica. La specialità del rito discende dall’iniziativa dell’attore, il quale può scegliere se introdurre la causa, qualunque sia il suo oggetto e purchè sia attribuita alla cognizione del tribunale monocratico, con il rito ordinario ovvero con quello speciale fatto salvo tuttavia il potere del giudice di disporre il mutamento del rito qualora ritenga che la causa richieda un’istruttoria non sommaria.L’ammissibilità del procedimento è collegata alla complessità dell’attività istruttoria necessaria per giungere alla decisione e non alla natura ovvero alla funzione del provvedimento conclusivo.

La forma della domanda di propone con ricorso al tribunale competente secondo le regole ordinarie. Il ricorso, che deve essere sottoscritto personalmente dalla parte o dal suo procuratore a norma dell’art. 125, ha il medesimo contenuto dell’atto di citazione, con esclusione naturalmente della indicazione della data dell’udienza, posto che si tratta di un

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elemento incompatibile con la natura dell’atto. A seguito della presentazione del ricorso il cancelliere forma il fascicolo d’ufficio e lo presenta senza ritardo al presidente del tribunale, il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento. Il giudice designato fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione del convenuto che deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell’udienza; il ricorso unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione. Il convenuto deve costituirsi mediante deposito in cancelleria della comparsa di risposta nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione nonché formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d’ufficio.Se il convenuto intende chiamare un terzo in garanzia deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere al giudice designato lo spostamento dell’udienza. Il giudice con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, provvede a fissare la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. La costituzione del terzo in giudizio avviene nelle stesse forme previste per la costituzione del convenuto. Instaurato il contraddittorio, se il giudice ritiene di essere incompetente, lo dichiara con ordinanza, se rileva che la domanda principale ovvero quella riconvenzionale non rientrano tra quelle indicate nell’art. 702bis il giudice le dichiara inammissibili con ordinanza non impugnabile. Solo dopo che il contraddittorio si è costituito il giudice è chiamato ad accertare se vi sono i presupposti perché il procedimento possa proseguire nelle forme del rito speciale. Si tratta di momenti essenziali del nuovo procedimento speciale di cognizione, perché a seconda del risultato di tale valutazione il processo proseguirà con diverse forme e, con differenti esiti sotto il profilo della rapidità della definizione.La sommarietà della cognizione che caratterizza il procedimento speciale attiene alla superficialità dell’istruttoria, e cioè alla possibilità che le fonti di conoscenza acquisite permettano di accertare adeguatamente la verità dei fatti allegati senza necessità di lunghe indagini.Alla prima udienza, il giudice deve verificare se la causa possa essere decisa sulla base di un’istruttoria sommaria. Alla fine di tale valutazione si possono verificare tre ipotesi:

1. Se il giudice ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un’istruzione non sommaria, con ordinanza non impugnabile fissa l’udienza di cui all’art. 183 ed il processo prosegue nelle forme del rito ordinario a cognizione piena.

2. Se il giudice ritiene che la causa relativa alla domanda riconvenzionale richiede un’istruttoria non sommaria, ne dispone la separazione, sicchè il procedimento sommario prosegue soltanto per l’istruzione e la decisione della domanda principale.

3. Se, infine, il giudice ritiene che la causa può essere decisa mediante un’istruttoria sommaria, egli, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto.Lo svolgimento del procedimento sommario di cognizione è interamente rimesso alla discrezionalità del giudice, il quale ha il potere:

● Di determinare le modalità con le quali le parti possono esercitare i propri poteri di difesa e di allegazione;

● Di individuare le fonti di convincimento che ritiene utili ai fini della decisione in relazione alla natura ed al contenuto del provvedimento richiesto.

● Di stabilire le modalità con le quali tali fonti di convincimento devono essere acquisite o assunte.64. Giurisdizione volontaria e procedimenti in camera di consiglio.

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Gli attributi di «specialità» che caratterizzano il terzo gruppo dei procedimenti speciali che ora vengono in esame, ossia i procedimenti di giurisdizione volontaria, sono indubbiamente i più intensi ed evidenti, Si vide infatti, in sede di esame dei diversi tipi di attività giurisdizionale, che la giurisdizione volontaria è la meno giurisdizionale - se così si può dire - delle attività configurate dal codice di procedura civile. Si tratta di un'attività di tipo amministrativo sia sotto il profilo strutturale (perché non è idonea al giudicato, ma è, al contrario, caratterizzata dalla revocabilità e dalla modificabilità) e sia sotto il profilo funzionale (perché non tende ad attuare diritti, ma situazioni meno definite, riconducibili alla figura degli interessi legittimi o degli interessi semplici). Così come si vide che la ragione per la quale rientra nella disciplina del codice sta solo nel fatto che, sotto il profilo soggettivo, 1'attività in discorso è svolta dagli organi giurisdizionali, mentre, sotto il profilo oggettivo, la materia sostanziale sulla quale essa incide è data da situazioni giuridiche di diritto privato, nel senso che essa integra (o rimuove ostacoli per) la fattispecie costitutiva, modificativa o estintiva di soggetti giuridici, di stati personali, di poteri, ecc. In tal modo assolve ad una funzione assimilabile a quella della giurisdizione costitutiva (necessaria), dalla quale tuttavia si distingue nettamente perché non accerta e non attua diritti, ed in relazione a ciò non dà luogo all'incontrovertibilità propria dell'attività di cognizione. Si tratta, in sintesi, di amministrazione del diritto privato affidata ad organi giurisdizionali. Neppure per questo tipo di attività, come per quella cautelare, il legislatore ha dettato una disciplina autonoma ed organica. D'altra parte, neppure si è limitato ad includere tra i procedimenti speciali la disciplina di alcuni procedimenti di questo tipo (individuati dal loro oggetto sostanziale). Ed in realtà, avendo anche riguardo al fatto che molti altri procedimenti di questo tipo sono disciplinati altrove (e cioè in altri libri del codice di procedura civile, come ad es. la nomina del curatore speciale di cui agli artt. 78 e ss. c.p.c.; o nel codice civile o in leggi speciali, come ad es. i procedimenti di adozione); il codice include tra i procedimenti speciali (e precisamente nel capo sesto del titolo secondo del libro quarto del codice) un gruppo di norme che anziché disciplinare un particolare procedimento speciale, sono dedicate genericamente ai «procedimenti in camera di consiglio» e che, come stiamo per vedere, costituiscono un tentativo, timido e tutt'altro che perfetto, di disciplina unitaria e paradigmatica per i procedimenti di giurisdizione volontaria, ancorché adotta bili - e spesso inopportunamente adottati per procedimenti che incidono su diritti. In effetti, queste norme, lungi dall'essere espressamente riferite alla giurisdizione volontaria (che, si noti, non è neppure nominata né in queste norme né altrove nel codice, salvo un cenno fugace nell'art. 801 c.p.c. (ora abrogato) e nell'art. 32 disp. atto c.c., e ciò per l'evidente preoccupazione del legislatore di evitare di impegnarsi su questioni di ordine sistematico), sono riferite ad una caratteristica formale, essendo intitolate: «disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio». Ma già il legislatore ha avuto cura di precisare (sia pure in epoca successiva) che tali norme si applicano anche ai procedimenti «non regolati nei capi precedenti o che non riguardino materia di famiglia o di stato delle persone» (così l'art. 742 bis), come altrimenti si sarebbe dovuto dedurre dalla collocazione di queste norme nel titolo dedicato ai procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone. D'altra parte, anche il riferimento alla forma della pronuncia in camera di consiglio è tutt'altro che univoco ed assoluto, anche perché non mancano esempi, nella disciplina del processo di cognizione ordinario, di provvedimenti in camera di consiglio ai quali le norme in discorso sicuramente non si applicano, si pensi ad es. alla pronuncia sul reclamo contro il provvedimento dichiarativo dell'estinzione, ai termini dell'art. 308, 2 comma c.p.c. In tanta incertezza, il solo criterio orientatore sicuro sembra essere offerto da una delle norme in discorso (e precisamente l'art. 742) che, con l'enunciare che «i decreti possono essere in ogni tempo modificati o revocati ... », si riferisce alla caratteristica strutturale più

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tipica dell'attività in discorso, e che perciò è implicitamente richiamata come categoria, si voglia o non si voglia servirsi della denominazione convenzionale di «giurisdizione volontaria». Il suggerimento concreto che si desume da questo rilievo è nel senso che le «disposizioni comuni» di cui trattasi costituiscono un nucleo di disciplina applicabile a tutti i procedimenti che, indipendentemente dalla loro collocazione e in correlazione con un oggetto sostanziale che non incide su diritti o non li incide in situazioni di contrasto, da un lato si svolgono davanti ad organi giurisdizionali ed operano in senso genericamente costitutiva, e dall' altro lato presentano le caratteristiche strutturali della revocabilità e della modificabilità o comunque della non idoneità a dar luogo alla cosa giudicata. In pratica, questo nucleo di disciplina, integrato dall'eventuale disciplina dettata specificamente per i singoli procedimenti, si applica, interamente o nella misura risultante delle singole norme di richiamo, a procedimenti che di solito hanno ad oggetto materie - anche non di famiglia o di stato delle persone - diverse dai diritti o che, pur incidendo su diritti, non risolvono posizioni di contrasto né assolvono ad esigenze di tutela, e che in relazione a ciò, possono tollerare, per la maggiore speditezza del procedimento, l'attenuazione delle garanzie del contraddittorio e delle prove e soprattutto l'instabilità propria dell'inidoneità al giudicato; procedimenti configurati nel libro dei procedimenti speciali o in altri settori del codice di rito o di altri codici o leggi speciali, come ad es. i procedimenti di adozione o di separazione consensuale o di revisione delle condizioni di separazione e di divorzio.

1.2. Le c.d.«disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio».

Le norme in discorso costituiscono nucleo di disciplina unitaria dei procedimenti che sono riconducibili alla giurisdizione volontaria; norme raggruppate negli artt. 737-742 bis, sotto il titolo «disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio». Giudice competente per questo tipo di procedimento è di regola, dopo la soppressione dell'ufficio del pretore, il tribunale al quale conduce l'espressione «in camera di consiglio» e tenendo presente che, per l'art. 50 bis, nei procedimenti in camera di consiglio il tribunale giudica in composizione collegiale, ad eccezione dei procedimenti già di competenza del pretore e per i quali l'art. 244, 2° comma del D.Lgs. 19 febbraio 1998 n. 51 prevede la competenza del tribunale in composizione monocratica, ciò che vale anche per le funzioni del giudice tutelare esclusi solo i procedimenti disciplinati direttamente dalle nuove disposizioni. Rimane tuttavia qualche margine per il giudice di pace (v. ad es. l'art. 752 e l'art. 778, 1 comma c.p.c.). Si tratta comunque di attribuzioni non già in applicazione dei normali criteri di distribuzione della competenza per materia o valore, né di altri criteri sistematici, bensì in base alle indicazioni che emergono dalla disciplina specifica dei singoli procedimenti che, d'altra parte, talora attribuiscono la competenza al presidente del tribunale. Ugualmente è da escludere la possibilità di individuare un criterio generale di competenza per territorio, che peraltro è configurata (dall'art. 28 c.p.c.) come inderogabile. La domanda si propone con ricorso, che viene inoltrato direttamente (ossia senza alcuna previa notificazione) al giudice, per il tramite della cancelleria (art. 737 c.p.c.). Si ritiene che, di regola, non sussista l'onere del patrocinio. Il presidente nomina, tra i componenti del collegio, un relatore, che ha il compito – così dispone l'art. 738, 1 comma di riferire in camera di consiglio. Ma, prima di compiere tale relazione, il relatore che può essere anche lo stesso presidente - provvede ad una succinta attività d'istruzione, non senza farla precedere da un riscontro circa l'eventuale necessità od opportunità che al procedimento partecipino (o di esso siano comunque edotti) eventuali altri interessati o controinteressati, ai quali pertanto il giudice può disporre che il ricorso venga notificato. Interessato per dovere d'ufficio può essere, in certi

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procedimenti, il P.M. Ed a questo riguardo, l'art. 738, 2 comma, dispone che «se deve essere sentito il pubblico ministero, gli atti sono a lui previamente comunicati ed egli stende le sue conclusioni in calce al provvedimento del presidente», così esaurendo l'assolvimento all'onere della sua partecipazione. Il giudice può compiere anche, ove lo ritenga necessario, una vera e propria istruzione probatoria. La formula estremamente succinta e generica di cui la legge si serve a questo riguardo (art. 738, 3° comma: «il giudice può assumere informazioni») mette tuttavia in evidenza l'ampiezza della discrezionalità dei poteri del giudice e soprattutto il carattere ufficioso delle possibili iniziative al riguardo, ciò che, da un lato, conferisce al procedimento in discorso talune caratteristiche proprie del sistema inquisitorio in pratica, il giudice può chiedere la collaborazione delle autorità inquirenti e, dall' altro lato, evidenzia insieme con la discrezionalità nella scelta delle forme per l'attuazione del contraddittorio, la mancanza degli elementi essenziali e caratteristici della cognizione piena. Il provvedimento nel quale sfocia il procedimento di cui trattasi ha - così dispone l'ultima parte dell'art. 737 - «forma di decreto mo tivato, salvo che la legge disponga altrimenti». Anche nel procedimento in discorso è in qualche modo operante il principio del doppio grado. L'art. 739 configura infatti un mezzo di impugnazione contro i decreti di cui trattasi: il reclamo, da proporsi al giudice immediatamente superiore: al tribunale in camera di consiglio contro i decreti del giudice in veste di giudice tutelare; nei confronti, invece, dei decreti del tribunale in camera di consiglio, alla Corte d'appello, che pure pronuncia in camera di consiglio. Contro i decreti pronunciati in sede di reclamo non è ammesso, di regola, altro mezzo di impugnazione (art. 739, 3 comma). Naturalmente il reclamo di cui trattasi, come ogni altro mezzo di impugnazione, va proposto in un termine perentorio. Ed in effetti il 2 comma dell'art. 739 dispone che «il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni», precisando che il dies a quo per la decorrenza di questo termine è la «comunicazione del decreto (ovviamente da parte della cancelleria), se è dato in confronto di una sola parte», o la «notificazione, se è dato in confronto di più parti». Dalla quale ultima disposizione si desume, oltre al rilievo che, in certi casi, il decreto va notificato, anche una conferma circa l'eventuale possibilità della presenza di controinteressati, rispetto ai quali soltanto, la notificazione ha un significato, anche agli effetti della loro legittimazione al reclamo in via incidentale. Anche il P.M. può proporre reclamo nel medesimo termine di dieci giorni (dalla comunicazione a lui del decreto) purché naturalmente si tratti di decreti per i quali è necessario il suo parere (art. 740). La decorrenza del termine per il reclamo condiziona anche, di regola, la efficacia (costitutiva) dei decreti, L'art. 741 dispone infatti che «i decreti acquistano efficacia quando sono decorsi i termini di cui agli articoli precedenti senza che sia stato proposto reclamo», salvo tuttavia il potere del giudice di attribuire ai decreti stessi, qualora sussistano ragioni di urgenza, efficacia immediata. Sennonché, a differenza di quanto tipicamente accade nel processo di cognizione, questa tecnica rimane, in un certo senso, fine a se stessa, in quanto l'assoggettamento ad un numero limitato di mezzi di impugnazione (con la perentorietà del relativo termine) non viene affatto utilizzata per l'attribuzione ai decreti dell'incontrovertibilità propria del giudicato. E infatti, a parte la significativa esclusione del rimedio del ricorso per cassazione - che è il rimedio di legittimità tipico ed ineliminabile di ogni provvedimento idoneo al giudicato, con particolare riferimento al ricorso ex art. 111 Cost.) abbiamo già ampiamente veduto che la caratteristica tipica dei procedimenti in discorso (quella cioè per la quale essi ap partengono alla c.d. giurisdizione volontaria) sta nella loro struttura zione in modo antitetico alla incontrovertibilità. Tale caratteristica sta, più precisamente, nella regola enunciata dall'art.. 742 c.p.c. e secondo la quale «i decreti possono essere in ogni tempo modificati o revocati», salvi soltanto «i diritti acquisiti in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca».

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Rimane da domandarsi come questa permanente e caratteristica revocabilità e modificabilità possa conciliarsi con la situazione determinata dall'esaurimento della possibilità d'impugnazione (avvenuto esperimento del reclamo o avvenuta decorrenza del termine perentorio per il reclamo stesso). Che significato ha, in altre parole, la perentorietà di questo termine e l'impossibilità di proporre altri mezzi d'impugnazione, se non ne consegue l'incontrovertibilità del decreto? Secondo una corrente della dottrina, che ha trovato qualche credito anche in giurisprudenza, l'esaurimento dei possibili ri medi darebbe luogo ad una sorta d'incontrovertibilità limitata che, ferma la revocabilità o modificabilità del decreto, avrebbe tuttavia l'effetto di precludere a coloro che furono parti nel procedimento in camera di consiglio, la possibilità di esperire, in autonoma sede di cognizione, la c.d. actio nullitatis per far valere gli eventuali vizi del procedimento o del provvedimento. Ma questa opinione non può essere condivisa poiché soltanto il giudicato (o la pendenza dell'iter procedimentale) può escludere, attraverso la regola dell'assorbimento dei vizi di nullità nei motivi di gravame (la possibilità di far valere in sede autonoma (ossia con l'actio nullitatis) i vizi di un provvedimento. E poiché, d'altra parte, la revocabilità e modificabilità dei decreti in camera di consiglio esclude la loro idoneità al giudicato, si deve ammettere che i decreti in discorso, oltre che revocabili e modificabili dallo stesso giudice che li ha pronunciati, sono anche contestabili nella loro legittimità sia attraverso la c.d. disapplicazione (analogamente a quanto accade per gli atti amministrativi), e sia con l'actio nullitatis o con un'azione autonoma a cognizione piena, anche ad opera di coloro che furono parti nel relativo procedimento. L'esaurimento delle possibilità d'impugnazione e la perentorietà del relativo termine rimangono dunque, fine a se stessi e rilevanti solo con riguardo all'iter procedimentale non contenzioso, la cui pendenza può solo costituire un temporaneo impedimento alla revoca e alla proponibilità dell' actio nullitatis ad opera della parte. La revoca, in quanto esercizio di un potere officioso del giudice, non postula l'istanza di parte, che peraltro non è affatto esclusa, con i conseguenti problemi di legittimazione. Legittimati a chiedere la revoca sono soltanto - secondo l'orientamento prevalente - coloro che furono parti nel procedimento di giurisdizione volontaria, mentre i terzi possono soltanto chiederne l'annullamento in sede contenziosa. D'altra parte, la revoca non è più possibile se sono venuti meno i presupposti dell'originario atto di impulso. Il potere di revoca non è, ovviamente, fondato sull' arbitrio, ma, pur essendo «a critica libera», si fonda su motivi di illegittimità o inopportunità e non presuppone mutamenti nelle circostanze. Si discute se con i provvedimenti in camera di consiglio si possa far luogo a condanna nelle spese, mentre è certa la spettanza del compenso al consulente tecnico. Si ritiene, infine, che anche il giudice adito nei procedimenti in camera di consiglio possa, ove ne sussistano i presupposti, proporre il regolamento di competenza d'ufficio.