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Sociologia della comunicazione Prof. Giovambattista Fatelli

Presentazione di PowerPoint 2... · lasciate aperte nel corso dell’introduzione. ... dominato la scienza occidentale ha ... Il risultato di questa politica ignara della globalità

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Sociologia

della

comunicazione

Prof. Giovambattista Fatelli

Affronteremo ora più in dettaglio le principali questioni

lasciate aperte nel corso dell’introduzione. Sono già

state messe in evidenza la complessità dei fenomeni

comunicativi nella società contemporanea e le difficoltà

poste all’approccio scientifico da un insieme così

problematico, sviluppatosi in prevalenza lungo una

dimensione multidisciplinare.

Si tratta ora di approfondire brevemente i concetti

chiave che stiamo usando per articolare il nostro

discorso:

• Complessità

• Interdisciplinarità

• Olismo

Complessità

Il termine «complesso» (dal latino complector:

cingere, tenere avvinto strettamente, e in senso

metaforico abbracciare, comprendere, riunire in un

solo pensiero) nel linguaggio comune è sinonimo di

ingarbugliato, pieno di implicazioni, difficile da

controllare e appianare, ma nel dibattito scientifico

contemporaneo indica qualcosa di più e di diverso.

Complessità

In epoca moderna il termine inizia ad essere usato

per definire situazioni o problemi composte da molte

parti interrelate, che si influenzano a vicenda, solo

apparentemente contiguo al senso di «complicato»

(dal latino com-plico: piego, arrotolo, avvolgo), che

definisce una matassa faticosa da districare poiché

contiene un gran numero di parti nascoste, da

individuare una per una in mezzo a un groviglio.

Complessità

Un oggetto “complicato”, sebbene con grande

fatica, può essere scomposto nei suoi costituenti

per capire come è fatto e come funziona. Esso può

essere ricostruito attraverso l’analisi dei dettagli,

perché ciascuno di essi obbedisce alle stesse leggi

degli altri ed inserito in un progetto finalizzato e

uniforme, sebbene sia evidente che l’analisi dei

“componenti” non equivale sempre alla totalità, così

come la somma delle nostre prestazioni non

coincide con la nostra «persona».

Linearità

Un sistema complesso invece non è mai riducibile

all’esame delle sue singole parti. E, per analogia, le

cause ultime di un problema complesso non sono

quelle delle sue parti essenziali. Il problema che si

può scomporre in una somma di sotto-problemi

indipendenti tra loro è detto «lineare». Quando,

invece, l’interazione tra i vari componenti/aspetti è

tale da rendere impossibile la separazione e la

risoluzione del problema passo-passo e “a blocchi”,

si parla di non-linearità.

Linearità

I sistemi e i problemi che si presentano in natura

sono essenzialmente non-lineari. Ma l’impostazione

scientifica del sapere, almeno in Occidente, pur

sapendo che il mondo è pieno di fenomeni

“complessi”, si è concentrata su un paradigma che

potremmo definire “della semplicità”, fondato su un

metodo analitico, un’epistemologia lineare e un

orientamento riduzionista, convinta dell’esistenza

di un fondo “semplice” oltre lo schermo intricato

delle apparenze empiriche.

Questo metodo di riduzione della

complessità è definito paradigma

meccanicistico e/o riduzionista:

meccanicistico, perché tende a

concettualizzare e rappresentare

ogni realtà (ivi compresi gli

organismi viventi, l’uomo, la

psiche, la società) come un

dispositivo meccanico.

Paradigma meccanicistico

L’homme machine (1747) Dalla scoperta dell’irritabilità (vis

irritabilis) delle fibre muscolari fatta

dal fisiologo svizzero von Haller, La

Mettrie trae l’idea che ogni materia

organizzata sia dotata di un principio

di movimento e di sensibilità; anche

l’uomo è, quindi, come gli animali, un

puro meccanismo; ciò che lo

distingue dagli altri esseri viventi è

soltanto la sua maggiore complessità.

Il concetto di anima non è che

un’ipotesi metafisica priva di utilità: in

realtà l’attività spirituale potrà essere

spiegata grazie al progressivo

avanzamento degli studi di medicina

(anatomia, fisiologia, patologia).

Il paradigma meccanicistico è anche

riduzionista perché predilige un

modello metodologico ispirato

all’idea che ogni fenomeno vada

studiato mediante la scomposizione

analitica e ricondotto (ridotto)

all’azione delle unità elementari,

esaminabili isolatamente l’una dalle

altre e astraendo dall’insieme che le

comprende.

Paradigma riduzionista

Il paradigma riduzionista, maturato nella rivoluzione

scientifica del XVII secolo, ha dato risultati molto

brillanti nello studio dei fenomeni fisico-chimici,

conducendo a scoperte importanti che hanno

strutturato la nostra conoscenza del mondo e

spesso modificato per sempre la nostra vita.

Paradigma riduzionista

Il fascino di questo paradigma ha contagiato a

più riprese anche le scienze umane, ma con

risultati non altrettanto brillanti: ha favorito un

aumento, anche notevole, delle conoscenze e

l’istituzionalizzazione degli studi sulla

comunicazione, ma solo a prezzo di rilevanti

compromessi.

Paradigma riduzionista

In termini generali, l’ipotesi

meccanicistica e «dicotomica» che ha

dominato la scienza occidentale ha

suscitato, sul piano macroculturale,

crescenti critiche presso numerosi

filosofi e intellettuali, sempre più

dubbiosi circa le sue effettive

possibilità di interpretare il mondo e

cambiarlo, naturalmente in meglio.

«E tuttavia, proprio quando è sotto questa minaccia

l’uomo si veste orgogliosamente della figura di signore

della terra. Così si viene diffondendo l’apparenza che

tutto ciò che si incontra sussista solo in quanto è un

prodotto dell’uomo. Questa apparenza fa maturare

un’ultima ingannevole illusione. È l’illusione per la quale

sembra che l’uomo, dovunque, non incontri più altri che

sé stesso».

Martin Heidegger, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, 1976

«Proprio qui viene in luce una profonda antinomia: l’uomo

rientra nell’universo dei fatti obiettivi, ma in quanto

persona, in quanto io, l’uomo ha dei fini, degli scopi, ha

norme tradizionali, norme della verità, norme eterne.

(…)Tutti questi problemi derivano dall’ingenuità per cui la

scienza obiettiva ritiene che ciò che essa chiama mondo

obiettivo sia l’universo di tutto ciò che è, senza badare al

fatto che la soggettività che produce la scienza non può

venir conosciuta da nessuna scienza obiettiva».

E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia

trascendentale, pp.351 - 352.

Hannah Arendt si sofferma in

particolare sul decadimento della

condizione umana prodotto dalla

scienza e dalla tecnica, che si rivela

nella scomparsa di una autentica

dimensione politica e nelle

drammatiche conseguenze che ciò

comporta.

Solo l’arte, attraverso il linguaggio,

può colmare la frattura tra il mondo

sensibile e il mondo razionale,

aprendo all’uomo una via di fuga

dalla passività e dal conformismo di

massa che sono all’origine della

banalità del male di uomini normali,

impiegati e burocrati, parte di un

sistema meccanicistico dove sono

assenti il pensiero e la libertà.

«La politica ci consegna in modo

ineluttabile alla società del lavoro

e ci trasforma in impiegati, come

se la vita individuale fosse stata

sommersa dal processo vitale

della specie e la sola decisione

attiva ancora richiesta fosse di

lasciar andare, di abbandonare la

sua individualità, la fatica e la

pena di vivere sentite ancora

individualmente e adagiarsi in un

attonito, “tranquillizzato”, tipo

funzionale di comportamento».

Hannah Arendt, Vita activa. La condizione

umana, p.240

Con particolare riguardo alle scienze

umane, il meccanicismo è stato

frequentemente accusato di produrre

un senso di distacco dell’uomo da se

stesso, dagli altri e dalla natura, di

obbedire a una logica funzionale alla

razionalità capitalista.

Al di là delle sofferenze psicologiche,

sono state imputate al paradigma

«meccanicistica» conseguenze

deludenti come la «disumanità» della

scienza e il progredire di una

conoscenza a compartimenti stagni, di

una concezione del mondo

meccanica, senza etica né finalità.

L’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in

continuo progresso, ha perseguito da sempre

l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di

renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata

splende all’insegna di trionfale sventura.

M. Horkheimer, T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, p. 12

«La scienza, in virtù del suo metodo e dei suoi concetti, ha progettato e

promosso un universo in cui il dominio della natura è rimasto legato al dominio

dell’uomo – legame che rischia di essere fatale a questo universo intero.

La Natura, scientificamente compresa e dominata, ricompare nell’apparato

tecnico di produzione e distruzione che sostiene e migliora la vita degli individui

nel mentre li assoggetta ai padroni dell’apparato.

Così la gerarchia razionale si fonde con quella sociale. Se le cose stanno

veramente così, allora un cambiamento in direzione progressista, tale da poter

tagliare questo vincolo fatale, influirebbe anche sulla struttura propria della

scienza, sul progetto scientifico.

Le sue ipotesi, senza perdere nulla del loro carattere

razionale, si svilupperebbero in un contesto

sperimentale essenzialmente diverso

(quello di un mondo pacificato); di conseguenza,

la scienza giungerebbe a formulare concetti di

natura essenzialmente diversi e a stabilire fatti

essenzialmente differenti.

La società razionale sovverte l’idea di Ragione».

Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, p. 173

Etica per la civiltà tecnologica

La tecnica è sempre più potente e sempre più

distruttiva. Ne deriva una paura crescente di fronte a

un possibile esito catastrofico di distruzione della

natura e dell’umanità. E se la vita stessa è

minacciata, serve una nuova etica.

«Una volta era la religione a terrorizzarci con il

Giudizio universale alla fine dei tempi. Oggi è il

nostro torturato pianeta a predirci l’approssimarsi di

quel giorno senza alcun intervento divino. L’ultima

rivelazione, che non giungerà da alcun monte Sinai

(…), è il grido silenzioso delle cose stesse, quelle che

dobbiamo sforzarci di risolvere per arginare i nostri

poteri sul mondo, altrimenti moriremo tutti su questa

terra desolata che un tempo era il creato».

H. Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, pp. 48-49

«A livello atomico, quindi, gli oggetti materiali solidi

della fisica classica si dissolvono in distribuzioni di

probabilità che non rappresentano probabilità di

cose, ma piuttosto probabilità di interconnessioni.

La meccanica quantistica ci costringe a vedere

l’universo non come una collezione di oggetti fisici

separati, bensì come una complicata rete di relazioni

tra le varie parti di un tutto unificato.

Questo, peraltro, è anche il tipo di esperienza che i

mistici orientali hanno del mondo, e alcuni di essi

hanno espresso tale esperienza con parole che sono

quasi identiche a quelle usate dai fisici atomici».

Fritjof Capra, Il Tao della fisica, p. 157

Il tao della fisica

La riduzione dell’essere umano a una macchina ha comportato invece la sua

parcellizzazione: il corpo viene curato dai medici, la mente dagli psicologi e

l’anima dai preti, come se fossero entità distinte e non aspetti interconnessi di

un unico «sistema». La decadenza delle discipline umanistiche e l’astiosa

divisione fra le «due culture» hanno contribuito a indebolire la considerazione

dell’essere umano nella sua totalità e ostacolato l’educazione all’unità.

Il secondo motivo d’imbarazzo viene, come detto, dalla suddivisione in campi

disciplinari molteplici, a loro volta articolati in settori e sotto-settori, a fatica

consapevoli l’uno dell’altro o non comunicanti. L’inconveniente è che su ogni

fenomeno impattano molteplici visioni particolari, o specialistiche, che si

soffermano su singoli aspetti, livelli o parti, velando il fenomeno nella

sua totalità. Tale frazionamento, pur con i suoi vantaggi, costituisce di fatto un

formidabile ostacolo per la «visione d’insieme».

Non solo.

Il risultato di questa politica ignara della globalità

dei processi e delle relazioni ha avuto

conseguenze drammatiche sugli ecosistemi:

inquinamento, dispersione delle scorie

radioattive, disboscamento selvaggio,

sovrappopolazione, sfruttamento del terzo

mondo, povertà e abusi.

Il mondo di oggi si trova di fronte a numerose

sfide di portata «globale», che interessano

diversi ambiti e implicano conoscenze di ogni

tipo, come i problemi ambientali e gli effetti del

riscaldamento globale, l’instabilità politica e le

tensioni in varie regioni, la povertà, il

sottosviluppo, i grandi flussi migratori.

La complessità delle questioni non richiede solo

una molteplicità di competenze o una loro

convergenza momentanea, bensì la loro

integrazione in una cornice radicalmente nuova,

cioè un vero e proprio cambiamento di

paradigma.

«Il cambiamento climatico

rappresenta una sfida unica per

le scienze economiche: è il

fallimento del mercato maggiore

e di più ampia portata fra quelli

finora visti. L’analisi economica

deve pertanto essere globale,

avere un orizzonte di lungo

periodo, porre al centro

l’economia del rischio e

dell’incertezza, e valutare la

possibilità di cambiamenti di

grosso respiro, non marginali».

Dal Rapporto Stern, elaborato su incarico del

governo inglese, 2006

«Nel XIX secolo la frammentazione ha

svolto un importante ruolo nella nascita

di discipline separate per la biologia, la

chimica, la fisica, la matematica, la

psicologia, la sociologia, etc. Ma quando

consideriamo le grandi sfide che

l’umanità ha oggi di fronte a sé…

Noi ci accorgiamo che abbiamo bisogno

di un approccio interdisciplinare.

Pertanto in questo momento storico, io

credo che sia veramente molto

importante enfatizzare la fine della

frammentazione, o almeno il suo

superamento».

Ilya Prigogine, Intervista postuma, New

Perspective Quarterly, 2004.

Giorgio Gallo. Professore

di Ricerca Operativa,

Dipartimento di

Informatica, Università di

Pisa

Nuovi

approcci

L’insoddisfazione crescente per

l’oggettivizzazione dogmatica della

realtà e per la frantumazione

disciplinare ha quindi generato nel

corso del tempo due importanti linee di

frattura nel paradigma riduzionista: una

impegnata a proporre una visione

globale dei problemi sociali articolata

sui concetti di sistema e di

complessità e su un nuovo paradigma

scientifico definibile come «olistico»,

l’altra tesa a superare le delimitazioni

di campo troppo rigide mediante

un’applicazione più rigorosa dell’idea

di «interdisciplinarità».

Complessità

Il concetto odierno di complessità

sorge dai problemi affrontati da

matematici e fisici nella prima metà

del Novecento, dall’avvento della

cibernetica e dei computer (Wiener,

von Foerster, Weaver). Tra gli anni ’50

e ’60 costituisce l’embrione di un

nuovo paradigma, a cavallo tra la

fisica che si affranca dal riduzionismo,

lo studio dei sistemi «squilibrati» (Ilya

Prigogine) e una teoria dei sistemi

transdisciplinare (Bertalanffy).

Herbert Alexander Simon (1916-2001)

Pensatore inventivo ed

eclettico, Simon viene

incluso tra i padri

fondatori di molti indirizzi

scientifici: sistemi

complessi, problem

solving, elaborazione

dell’informazione, teoria

dell’organizzazione,

intelligenza artificiale,

vincendo infine il premio

Nobel per l’economia.

Ancora oggi l’uso del termine complessità risulta un

po’ instabile, gravato dagli usi colloquiali, confuso

con i concetti di sistema o di cibernetica, e spesso si

riduce a un generico appello all’interdisciplinarità. I

concetti di «complessità» e di «sistema» faticano

pertanto ad affermare il loro autentico valore per

l’analisi dei fenomeni contemporanei, vittime del

retaggio etimologico e del riferimento continuo agli

esempi “concreti”, come gli organismi viventi,

importantissimi ma pur sempre specifici.

Sistema

Collegato al concetto di

complessità è quello di

«sistema»: un’entità nuova

che si ottiene mettendo

insieme (concettualmente)

dei componenti in una

interrelazione stabile nel

tempo. Ogni interrelazione

stabile o regolare assume

un carattere «organizzato»

e produce un sistema.

Sistema

Una molecola si ottiene mettendo insieme dei

componenti (atomi), ma non è un aggregato

qualsiasi di atomi, bensì un’entità nuova identificata

con un suo nome e definita da proprietà molecolari

non riducibili a quelle atomiche. Il nuovo soggetto

dovrà essere spiegato mediante le caratteristiche

del mondo microscopico, che la compone, ma

anche di quello macroscopico, con cui intrattiene

relazioni significative.

Sistema

Allo stesso modo, anche la società è formata da

individui, ciascuno dei quali può ben dirsi un

microcosmo, ma li “trascende” in vari modi, non tutti

chiaramente percepibili, intervenendo sulle strutture

relazionali con forme organizzative (istituzioni) che,

pur essendo fatte dagli uomini e per gli uomini,

riescono ad imporre dinamiche cogenti e peculiari.

Ludwig von Bertalanffy (1901-1972)

Biologo viennese emigrato in Canada

nel 1949, critico verso il vitalismo e il

meccanicismo (che reputava analitico-

sommatorio, macchinistico e

reazionistico), propose (1968) una

«teoria generale dei sistemi» come

prospettiva unificante per tutte le

scienze.

Ilja Prigogine (1917-2003)

Chimico belga di origine

russa (Premio Nobel nel

1977), studiò le strutture

dissipative, rilevando che nei

sistemi amorfi piccole

fluttuazioni casuali tendono a

creare forme d’ordine assenti

nel sistema originario. Nel

1979 pubblicò La nuova

alleanza.

Ilja Prigogine (1917-2003)

Il mondo deve essere pensato

non come un cosmo vivente o

come un orologio ben regolato o

come una macchina in via di

esaurimento, ma come un caos

generatore d’ordine paragonabile

al disordine creativo dal quale

emergono le opere d’arte. La

nuova alleanza è tra il mondo

della vita e quello della natura.

Ilja Prigogine (1917-2003)

La complessità sistemica

dei sistemi organici o della

vita umana è l’esito di una

tendenza fondamentale

nella storia dell’universo e

non il risultato casuale di

una serie improbabile di

eventi naturali.

Gregory Bateson (1904-1980)

Psichiatra e antropologo

americano, allargò lo studio

della malattia mentale alla

cultura, ai valori, al ruolo

sociale. I suoi vasti interessi (ha

ispirato anche un indirizzo di

studi denominato «pragmatica

della comunicazione umana») e

la vocazione interdisciplinare

sono testimoniati da Verso

un’ecologia della mente (1972).

Evoluzione emergente

I sistemi complessi presentano caratteristiche non

possedute dai loro elementi costitutivi. I fenomeni di

organizzazione sono disposti in una gerarchia di

complessità crescente i cui gradi superiori non sono

«riducibili» a quelli inferiori. Eventi rari e

imprevedibili determinano nella storia dell’universo

l’emergere di livelli di organizzazione della materia

sempre nuovi e più complessi.

Comportamento emergente

Il comportamento emergente è una proprietà esibita da

un sistema, inspiegabile sulla base delle leggi che governano le singole

componenti, che scaturisce da interazioni non-lineari tra queste ultime. Può

anche essere definito come il processo di formazione di schemi complessi a

partire da regole più semplici.

La nuova proprietà è imprevedibile poiché non ha precedenti e rappresenta

un livello inedito di evoluzione del sistema. Non è una proprietà delle singole

entità, non si riconosce facilmente e non può essere dedotta dal

comportamento di entità del livello più basso. Buoni esempi possono essere

la forma e il comportamento di uno stormo di uccelli o di un branco di pesci.

Altro esempio è il gioco del poker, guidato in larga misura dal comportamento

emergente. Giocare a un tavolo o a un altro può generare differenze anche

radicali, nonostante l’invarianza delle regole di base. Le variazioni che si

sviluppano sono esempi di «metagioco emergente».

Comportamento emergente

Il comportamento emergente è più facilmente

riscontrabile in sistemi di organismi viventi o sociali

o economici, «complicati» dai molteplici «gradi di

libertà», ma appare anche nei contesti elementari

offerti dalla fisica atomica e delle particelle,

confermando il proprio valore epistemologico anti-

riduzionista: la conoscenza scientifica non deve

risalire obbligatoriamente alle leggi che governano

le particelle elementari, anzi, al salire della scala

geometrica degli aggregati emergono leggi nuove

che, senza violarle, integrano e superano quelle dei

livelli precedenti.

Non-linearità «Il comportamento emergente di

un sistema è dovuto alla non-

linearità. Le proprietà di un

sistema lineare sono infatti

additive: l’effetto di un insieme di

elementi è la somma degli effetti

considerati separatamente, e

nell’insieme non appaiono nuove

proprietà che non siano già

presenti nei singoli elementi. Ma

se vi sono termini/elementi

combinati, che dipendono gli uni

dagli altri, allora il complesso è

diverso dalla somma delle parti e

compaiono effetti nuovi». Percy Williams Bridgman

(1882-1961)

Non-linearità

«Agli inizi del secolo, con gli esperimenti di

Ronald Fischer sui suoli coltivati, si è visto

chiaramente che esistono sistemi complessi

che non permettono in alcun modo di variare

un fattore alla volta, perché sono così ricchi di

interconnessioni dinamiche che la variazione di

un singolo fattore provoca la variazione

immediata di altri fattori, e probabilmente di

molti altri fattori.

«Problema analogo si pone nello studio degli

organismi viventi, e soprattutto dell’uomo e

delle ‘sfere’ ad esso inerenti: psicologica,

socioculturale, politica, religiosa etc.».

William Ross Ashby (1971)

Non-linearità

L’emergenza non scaturisce quindi dalla numerosità

delle interazioni in un sistema, ma proprio dalla non-

linearità. Per questo motivo, nel sistema vivente umano,

la coscienza, il linguaggio o la capacità auto-riflessiva

sono ritenute proprietà emergenti, dal momento che

non risultano spiegabili in base alla «semplice»

interazione tra neuroni.

Nuovi paradigmi

Quando di fronte alla inafferrabilità dei problemi cade il velo della

«finzione di linearità» del metodo analitico - che considera la complessità

una nube di apparenze che va solo diradata - la non-linearità di

interazione tra le componenti di un sistema risalta con chiarezza. Per

avere una descrizione più equilibrata della realtà, il paradigma della

complessità proclama le insufficienze dell’approccio analitico e invoca

almeno la sua integrazione con una visione sistemica, di tipo «olistico»,

che evidenzi i caratteri globali di ogni realtà.

Da alcuni decenni pertanto le perplessità verso il meccanicismo

riduzionista hanno condotto numerosi scienziati ad auspicare un nuovo

paradigma che si faccia carico della ricomposizione di ciò che è stato

scomposto e analizzato, in modo da ottenere processi conoscitivi più

completi e soddisfacenti, nonché un ampliamento dell’orizzonte scientifico

che produca non soltanto una miriade di immagini settoriali ma anche una

visione d’assieme delle realtà studiate.

Nuovi paradigmi

La visione dell’essere

umano come sistema

interdipendente è uno

dei punti di forza del

nuovo paradigma: il

corpo non è svincolato

dalla mente, un organo

non è isolato dagli altri e

dal tutto, la coscienza e

lo spirito si riflettono

sulla realtà materiale,

emozionale, mentale.

Paradigma olistico

Le medicine alternative, l’attenzione per l’ecologia, le

nuove forme di spiritualità e di ricerca del sacro (yoga,

sciamanesimo, channeling) la globalizzazione della

cultura e la filosofia new age in genere hanno illustrato

negli ultimi decenni la diffusione di una sensibilità

profondamente intrisa di opzioni olistiche.

Paradigma olistico

Il termine olismo risale a Jan

Smuts (Holism and

Evolution , 1926) ma solo

negli ultimi decenni ha

registrato un enorme sviluppo,

influenzando profondamente,

in ogni parte del globo,

movimenti, gruppi e filosofie

che rifiutano la «cultura della

frammentazione» e tendono

ad una visione unitaria del

mondo e dell’essere umano.

Paradigma olistico

Il paradigma olistico emergente non ricusa i

contributi della scienza riduzionista, ma si propone

di collegarli tra loro, evidenziando l’interdipendenza

e riproponendosi di riconciliare la visione razionale,

matematica e materialista con la visione intuitiva,

artistica e spiritualista. Come infatti ha dimostrato la

fisica quantistica, è inevitabile che coesistano

modelli diversi della realtà (oggettuale e

processuale, corpuscolare e ondulatorio): si tratta di

dar loro pari dignità, impegnandosi a trovare i

collegamenti per pervenire ad un modello integrato

di livello superiore, insomma ad un metamodello.

Interdisciplinarità

L’interdisciplinarità è oggi una

parola d’ordine che attraversa

tutti gli ambiti scientifici, un

nuovo galateo che impone lo

scambio di concetti e metodi,

idee e pratiche, fra le varie

discipline; ma lo scambio

diventa veramente strategico

nel campo delle scienze

umane, allorché ci si confronta

con fenomeni basati sulle

interazioni degli individui. Abel Grimmer, Torre di Babele

Interdisciplinarità

Questa indicazione che mette in discussione la funzionalità

dell’articolazione del sapere in singole discipline proviene da due

tendenze: l’aspirazione ad adottare visioni più unitarie sui diversi

momenti dell’esperienza pratica e conoscitiva («unificazione del

sapere») e l’uso di postulare, in alcuni settori, l’apporto

convergente di più metodi di analisi intorno a un medesimo

oggetto di studio, a seconda delle necessità pratiche della ricerca

scientifica.

Inizialmente quindi l’interdisciplinarità è declinabile come la

collaborazione di diverse discipline per raggiungere degli scopi

comuni: «Rete dei rapporti di complementarità, integrazione e

interazione per cui discipline diverse convergono in principi

comuni sia nel metodo della ricerca sia nell’ambito della

costruzione teorica».

Interdisciplinarità

Sono interdisciplinari quindi le aggregazioni intrinseche

a un determinato problema, intorno al quale convergono

conoscenze di origini diverse ma organizzate in modo

funzionale alla sua risoluzione. La localizzazione di una

centrale elettrica, ad esempio, integra nozioni sul suolo,

sull’ambiente, sulle fonti energetiche, sui costi di

distribuzione, i livelli della domanda etc.

Interdisciplinarità

Ma lo stesso dizionario

sottolinea come alcuni autori

abbiano introdotto una

distinzione tra forma più deboli

e forme più forti di

interdisciplinarità. In particolare

è stato Jean Piaget, teorico

dell’«epistemologia genetica»,

a insistere sulla distinzione tra i

vari modi in cui si le diverse

competenze disciplinari si

aggregano.

Multidisciplinarità

Sono allora multidisciplinari (o

pluridisciplinari) le aggregazioni

di sulla base di un criterio

estrinseco (chi si occupa del

Novecento, per esempio, ne

considera la storia politica e

sociale, la letteratura, l’arte, la

scienza etc.) ovvero le semplici

convergenze di più discipline

verso un comune termine di

riferimento.

Multidisciplinarità

Ma se l’interdisciplinarità nasce dalla necessità

pratica, dalla constatazione che i problemi reali

spesso non sono separabili secondo le linee di

confine stabilite dalle diverse discipline, le nuove

relazioni possono restare occasionale, ma anche

produrre forme di connessione più o meno stabili.

Giorgio Gallo, Dipartimento di Informatica, Università di Pisa

Transdisciplinarità

Parliamo in questo caso di «transdisciplinarità», con

ciò intendendo «l’integrazione epistemologica o la

progressiva unificazione di più ambiti disciplinari,

che può a volte significare l’individuazione di un

nuovo settore di ricerca».

Transdisciplinarità La transdisciplinarità è insomma una forma di

collaborazione tra le diverse discipline

piuttosto avanzata, che porta alla

realizzazione non tanto di un semplice

scambio quanto di un’integrazione a livello

concettuale, metodologico ed epistemologico,

producendo relazioni strutturate di tipo nuovo.

Le nuove strutture possono condurre in alcuni

casi all’individuazione di nuove aree

disciplinari e in altri al consolidamento di un

approccio multidisciplinare di tipo sistemico.

Per esempio, la docimologia è un settore

della conoscenza a comporre il quale hanno

concorso elementi originariamente compresi

nella didattica, nella psicologia, nella

statistica, nella legislazione scolastica

eccetera. Lo stesso vale per l’ecologia,

l’informatica etc.

Sociobiologia

«Ci sono numerosi

approcci darwiniani

che cercano di

spiegare i fenomeni

culturali usando come

modello la teoria della

selezione naturale. I

sociobiologi ritengono

che la cultura sia

un’estensione

dell’ambito biologico».

Sociobiologia

«Ci sarebbe una selezione sia dei tratti fisici dell’organismo sia dei tratti

comportamentali. La variabilità ambientale farebbe parte di un programma

biologico. Si tratta di un approccio che è stato molto criticato.

Sfortunatamente non c’è modo di spiegare la diversità del comportamento

umano partendo dalle opzioni determinate dai geni e dalla loro attivazione

nei diversi contesti locali. Questa idea si è rivelata sbagliata.

Presa in sé l’idea di una genetica comportamentale non è sbagliata. È

possibile studiare alcuni aspetti del comportamento riconducendoli alle

basi biologiche: il fatto che si suda quando fa caldo è un comportamento

che ha una precisa base biologica. [Ma] più i comportamenti sono diversi

e complessi, più dipendono dalla storia e dalla società».

Ecologia umana «L’ecologia, che tradizionalmente si basava

sull’osservazione degli ecosistemi in modo

svincolato dai sistemi sociali umani, evade

dalla sua tradizionale orbita di competenza per

un viaggio nelle scienze sociali e

nell’economia, trasformandosi nell’unica

ecologia oggi possibile: l’ecologia umana.

Certo, il “gioco” della conoscenza si fa più

laborioso. Il primo nodo da chiarire, dunque, è

proprio questo: l’uomo può ancora restare

affacciato alla finestra a osservare e misurare

il suo ambiente di vita? O deve piuttosto

imparare a riconoscere il ruolo che, più di

qualsiasi altro essere sul pianeta, riveste nelle

dinamiche impazzite degli ecosistemi?»

«Non sono interrogativi di poco conto. Sopra questi

interrogativi si sta giocando una partita dai toni non

sempre pacati in seno alla comunità scientifica,

alla politica e alla società civile. I dibattiti più accesi

riguardano il significato e le potenzialità da

attribuire all’ecologia e all’economia: due discipline

unite da una comune radice etimologica, ma che

finora si sono divise sbattendo la porta circa le

risposte da dare all’atavico dualismo uomo-natura.

I sistemi ecologici e i sistemi sociali non sono altro

che due facce della stessa medaglia. E il loro

funzionamento, spesso governato da meccanismi

di controllo molto simili, finisce sempre per

condizionare anche l’ultimo anello della “catena del

pianeta”. Solo un approccio davvero sostenibile

allo sviluppo, basato su una pianificazione

multidisciplinare nell’uso delle risorse, saprà darci

gli strumenti utili a modificare l’impatto umano

sull’ambiente».

Prefazione di Maurice Strong, Presidente Earth Council.

Trans-disciplinarità

Ma la transdisciplinarità difficilmente può essere rinchiusa

negli schemi che definiscono le singole discipline, con un

oggetto e un metodo definiti, e possiede la tendenza naturale

a trasformarsi in ideologia, in una complessità

epistemologica praticamente senza limiti, in un

«nomadismo» radicale.

Essa quindi attraversa e supera tutte le discipline con

l’obiettivo di afferrare la complessità, assumendo le vesti di

un atteggiamento intellettuale e scientifico volto a

comprendere meglio la complessità del mondo moderno con

un approccio enciclopedico funzionale al paradigma olistico.

Scienze cognitive

Oltre alla comunicazione,

che vedremo in dettaglio, un

esempio di fervore

interdisciplinare sono le

«scienze cognitive», che

trovano una forte spinta

centripeta nel concetto di

«mente», un punto di snodo

complesso che costituisce

la chiave di volta per

spiegare le evoluzioni dei

contenuti culturali.

Antropologia cognitiva Un protagonista di questo percorso è Dan

Sperber, che alla fine degli anni Ottanta,

con altri antropologi e psicologi dello

sviluppo, ha iniziato una marcia verso

un’«antropologia cognitiva» in grado di

accomunare le diverse prospettive con cui

si studia la mente per poter sussumere in

un solo campo linguaggi, criteri e

problematiche divergenti.

«La frammentazione tra discipline di studio

– afferma Sperber - non è il riflesso della

divisione naturale di livelli di realtà, ma è

una semplice costruzione storico-sociale

espressa ai tempi in cui sono sorte le

moderne università».

Angela Simone, 29 Agosto 2011

Epidemiologia

L’epidemiologia mi interessa per diverse ragioni.

Una di queste riguarda il rapporto tra le scienze

cognitive e le scienze sociali. Il rapporto tra

l’epidemiologia e le patologie individuali è un

rapporto di differenza di scala. Quegli stessi

fenomeni che vengono esaminati a livello delle

patologie individuali sono presi in

considerazione anche a livello di popolazione.

Il rapporto tra i fatti psicologici e i fatti sociali è

analogo. «Non si tratta di due realtà diverse, ma

della stessa realtà considerata in due scale

differenti. Sarebbe un errore pensare che i

processi psicologici individuali possano essere

isolati dal mondo sociale. Gli stati mentali

possono avere delle cause e degli effetti sociali

perché è la stessa vita mentale che è immersa

nella vita sociale».

Epidemiologia «Se invece andiamo nella direzione opposta e

facciamo una sorta di zoom out, allora non si

guarda più nella mente dell’individuo, ma si finisce

per concentrarsi sulla rete sociale e sulle catene

causali [tra] la mente individuale e l’ambiente. (…)

Se si pensa alla vita sociale in termini di catene

causali che legano gli individui al loro ambiente, i

modelli epidemiologici forniscono un punto di

partenza costruttivo».

Credo che ci sia un rapporto di pertinenza

reciproca tra lo studio della mente e lo studio della

vita sociale. (…) Non si capisce cosa è un

fenomeno sociale se non si tiene conto che tanti

episodi della vita sociale accadono nel cervello

degli individui e, d’altra parte, non si comprende la

vita mentale degli individui se non si rende conto

del fatto che la vita mentale individuale ha luogo

in una rete sociale.

È Edgar Morin a fornire le riflessioni più importanti sugli

aspetti che interessano le scienze umane, sviluppando

a partire dai primi anni ’70, una proposta epistemologica

che sostiene la pervasività della complessità,

muovendo dalla critica al riduzionismo e dall’importanza

del comportamento emergente.

Una testa ben piena è

una testa in cui il sapere

è accumulato,

ammucchiato; una testa

ben fatta invece è in

grado di selezionare e

organizzare i saperi, in

modo da collegarli e dare

loro senso.

«Meglio una testa ben fatta che

una testa ben piena».

I saperi non vanno divisi, frammentati, disgiunti, ma

collegati. La frammentazione dei saperi è avvenuta per

la prevalenza del metodo scientifico, che suddivide per

analizzare e riprodurre. I saperi vengono così, anche

alla luce dell’iperspecialismo, divisi in discipline proprio

mentre i problemi sono complessi, multidimensionali,

globali. Ci hanno così insegnato a disgiungere gli

oggetti, a separare le discipline, piuttosto che a

collegare e a integrare i problemi.

Le conoscenze frammentate

servono a un utilizzo tecnico. Non

possiamo cadere nella sindrome di

Pico della Mirandola: siccome non

si può conoscere tutto, per

accumulazione, si rinuncia alla

conoscenza. È invece necessario

riorganizzare le conoscenze. La

sfida delle sfide è proprio questa:

rivoluzionare l’insegnamento per

rivoluzionare il pensiero, le menti;

rivoluzionare il pensiero per

rivoluzionare l’insegnamento.

Non sono ottimista, però vedo che qualcosa si sta

muovendo. In alcuni settori del sapere, nelle scienze

umane, nella biologia. Vedo segnali che tendono a

ricongiungere, a restituire un legame tra cultura

umanistica e cultura scientifica. Certo, ci sono delle

resistenze da parte delle istituzioni. C’è il potere dei

mandarini. Però vedo segnali forti in molti Paesi che si

basano sull’idea dell’integrazione dei saperi.

Che cosa è l’intelligenza? È un’attitudine generale alla

curiosità, che spesso la scuola tende a spegnere: più

potente è l’intelligenza generale, maggiore è la capacità

di trattare problemi speciali. È un insieme di ars

cogitandi (uso della logica), metis (insieme di sagacia,

intuizione, elasticità mentale), serendipity (ricostruire

una storia da indizi e dettagli). Quindi l’obiettivo resta

quello della connessione delle due culture.

I due «partiti», quello scientifico e

quello umanistico, sono sbagliati. È

necessario connettere, integrare,

contestualizzare, globalizzare. È

necessario unire gli antagonisti

nella molteplicità. Per capire la

qualità di un buon vino non bastano

le caratteristiche organolettiche, la

gradazione. In un bicchiere di vino

c’è la storia, la cultura, simboli, oltre

alla fisica e alla chimica.

«Materie» come la cosmologia, la scienza della terra,

l’ecologia, la nuova storia, permettono di articolare e

unire discipline sinora disgiunte. Il nuovo spirito

scientifico ci aiuta. E anche la cultura umanistica

favorisce l’attitudine ad aprirsi ai grandi problemi, a

riflettere, a cogliere la complessità umana. È questa

l’essenza di ciò che io chiamo la comprensione.

Ma lei avverte davvero

che sia in atto una

ricomposizione delle

culture?

L’Università dovrà svolgere una funzione paradossale:

conservare il patrimonio culturale, adattarsi alla

modernità scientifica e integrarla, fornire insegnanti per

le nuove professioni, e fornire un insegnamento meta-

professionale, cioè una cultura. Bisognerà passare dal

piacere del sapere legato al potere al piacere del

sapere legato al dono, a ciò che può suscitare amore

per il sapere nei giovani. Dove non c’è amore ci sono

solo problemi di retribuzione, di carriera e di noia per

l’insegnamento. Corriere Lavoro, Pagina 15 (19 maggio 2000)

Consigli di lettura

Complessità

• Introduzione al pensiero complesso,

Sperling & Kupfer, Milano 1993.

• La testa ben fatta. Riforma

dell’insegnamento e riforma del

pensiero, Raffaello Cortina, Milano

2000.

• Il metodo 3. La conoscenza della

conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1989

(Raffaello Cortina, 2007).