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Politiche per gli anziani non autosufficienti e Amministrazioni Comunali:

quali possibili (e necessari) sviluppi per l’integrazione socio-sanitaria?

Introduzione1

Viviamo un’epoca nella quale abbiamo la fortuna di poter pensare che la nostra vita durerà a lungo,

più dei nostri padri, molto più dei nostri nonni. L’accresciuta possibilità di vivere una lunga vita in

età anziana è spiegabile con il miglioramento delle cure e, in generale, con il fatto che le ultime due

generazioni non sono state coinvolte in conflitti bellici, eventi che in precedenza hanno

drasticamente ridotto le popolazioni [Facchini, 2005].

L’incremento della popolazione e il miglioramento delle condizioni di salute si accompagnano da

tempo al generale calo delle nascite, così che l’indice di dipendenza risulti da anni in continua

crescita. Questo è uno di quei fattori che hanno contribuito ad alimentare la consapevolezza di

governanti e addetti al settore rispetto all’insostenibilità dei sistemi di welfare, tanto più in quei

settori di politiche – come le pensionistiche – dove lo stato di quiescenza di alcuni è stato

sostanzialmente finanziato dal lavoro di altri. L’apertura su scala globale delle economie nazionali e

l’incremento della flessibilizzazione dei rapporti di lavoro ha prodotto un incremento della

vulnerabilità di ampie fasce della popolazione, la perdita delle protezioni collettive [Castel, 2004,

2007] e la destandardizzazione dei bisogni [Andreotti, Mingione, 2013] e, insieme, ha eroso quella

consolidata base di popolazione, inserita in un mercato del lavoro di tipo fordista, con la quale

venivano drenate le risorse da destinare ai bisogni collettivi.

L’accresciuta speranza di vita, non senza una dose di amara ironia, oggi deve fare i conti con un

quadro economico di permanente “crisi fiscale dello Stato” [O’Connor, 1977] e con policy meno

generose rispetto al passato cui si sommano bisogni di cura e salute diversi da quelli conosciuti sino

a pochi anni fa (es. malattie croniche). La principale sfida dei sistemi di welfare consiste, di fatto,

nel trovare la formula capace di rispondere congiuntamente a queste diverse esigenze.

A complicare lo scenario che lo Stato e, più in generale, le politiche pubbliche devono fronteggiare

vi è un’altra trasformazione che dipende dall’incremento della partecipazione femminile al mercato

del lavoro; questo fenomeno ha certamente favorito la mobilità sociale, l’equità e la parità di genere,

ma ha implicato delle ricadute sulla vita quotidiana delle donne e sull’insieme dei bisogni delle

famiglie da soddisfare, sia per mano pubblica che privatamente. In paesi con un assetto del welfare

di tipo familiare, dove il lavoro di cura è tradizionalmente delegato alle donne, ci determina

1 Il contributo proposto è frutto di un lavoro di ricerca in corso di svolgimento presso Éupolis Lombardia –

Istituto superiore per la ricerca, la statistica e la formazione di Regione Lombardia. Il lavoro in parte fa leva

su interviste a testimoni privilegiati e referenti dei servizi sociali di alcuni capoluoghi lombardi che ringrazio

per la disponibilità ma che non hanno responsabilità rispetto ai contenuti dell’elaborato, responsabilità che è

solo del sottoscritto.

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un’esposizione delle famiglie a maggiore fragilità e l’emergere di una domanda sociale di persone

anziane prive di un’adeguata rete di supporto. A meno che non si ritenga desiderabile continuare a

far leva sulla doppia presenza femminile quale principale mezzo di cura, è indubbio che il riassetto

dei sistemi di welfare e, in particolare, la riformulazione delle politiche di assistenza (dei minori

come degli anziani) dovrà lavorare all’incrocio tra l’azione degli interventi propriamente pubblici e

quelli indiretti di sostegno all’iniziativa privata.

Questi aspetti qui tratteggiati – la trasformazione demografica e quella culturale legata alla

partecipazione femminile al mercato del lavoro – sono parte integrante della “struttura” con la quale

le politiche di long term care devono oggi fare i conti nel corso della loro riconfigurazione.

Sono molti i termini e i concetti ombrello all’ombra dei quali, almeno negli ultimi 25 anni, sono

stati intrapresi percorsi di riforma. Uno dei principi normativi che, soprattutto a partire dalla fine

degli anni Novanta, ha guidato alcuni indirizzi di policy – a scala nazionale e regionale – è quello

della sussidiarietà, da cui dipendono i cosiddetti processi di sussidiarizzazione [Kazepov, 2009] che,

con stili differenti a seconda del contesto, stanno caratterizzando le nuove politiche sociali e,

probabilmente, tracceranno il futuro delle politiche pubbliche [Donolo, 2006].

Il primo elemento strutturale di questo processo consiste nel trasferimento su scala locale

(rescaling) del livello nel quale le politiche vengono elaborate e amministrate; si tratta di un

processo sancito con la Legge 328/2000 ma che ha avuto tra i primi motori il movimento

antistituzionalista degli anni ’70. Un’ulteriore spinta alla territorializzazione è poi giunta da parte

delle istituzioni europee orientate a perseguire la coesione sociale con il coinvolgimento della

società civile e la responsabilizzazione delle amministrazioni locali2.

Il secondo elemento del processo risiede nell’esternalizzazione dei servizi. Lo sviluppo di queste

forme di organizzazione (dei servizi) e gestione (della spesa) ha trovato il suo repertorio di

giustificazione tecnico-politica nella contrazione delle risorse, e la sua matrice culturale nella

concezione neoliberista della cosa pubblica. A partire dalle riforme degli anni Novanta, con la

regionalizzazione della sanità, l’esternalizzazione dei servizi ha coinvolto in larga misura quelli

sociosanitari, anche tramite il coinvolgimento di enti e organizzazioni del Terzo Settore nel

crescente ruolo di erogatori delle prestazioni (e nella declinante funzione di portatori di istanze [De

Leonardis, 2002]).

L’ultimo ingrediente che, strettamente connesso alla territorializzazione, caratterizza il processo di

sussidiarizzazione è molto legato al tema di questo contributo. L’integrazione tra le politiche è un

concetto-ombrello che pu essere declinato in modi diversi e che dovrebbe essere una guida utile al

superamento della nota frammentazione che caratterizza il sistema di welfare italiano sia rispetto al

2 Un esempio emblematico di questo orientamento è rappresentato dagli interventi di riqualificazione urbana

a cavallo tra fine degli anni Novanta e i primi anni del 2000.

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livello istituzionale – i/le diversi/e attori/istituzioni che insistono in un settore di policy – e sia

rispetto al livello operativo – che riguarda le diverse organizzazioni che erogano i servizi. Nell’idea

dell’integrazione tra le politiche s’intreccia l’attenzione alla fase di programmazione e a quella di

implementazione. Nel primo momento il coordinamento tra responsabili di diversi settori di policy

dovrebbe permettere di considerare in modo più organico la complessità dei bisogni sociali così da

rispondervi in modo coerente e, nel secondo momento, la presa in carico dell’utenza, tramite il

coordinamento tra i diversi servizi territoriali, dovrebbe caratterizzarsi per continuità e condivisione

delle decisioni [Bissolo e Fazzi, 2005]. Superando il conflitto tra competenze (es. “questo non è un

mio problema”), si produrrebbe una partecipazione collettiva alla definizione dei problemi,

imbevendo le politiche pubbliche di una dimensione politica [Bifulco, De Leonardis, 2006].

Anche il tema dell’integrazione tra le politiche e, in particolare, quello tra politiche sociali e

sanitarie ha origine negli anni settanta, già con la legge che ha istituito il Servizio Sanitario

Nazionale (23 dicembre 1978, n.833); questa disponeva che l’Unità sanitaria (USL) e i servizi

sociali condividessero i medesimi ambiti territoriali (art. 11), che la gestione dovesse avvenire da

parte dei Comuni e che vi fosse un coordinamento tra i servizi sociali territoriali e i servizi delle

USL (art. 14). Questo slancio verso un’embrionale integrazione tra politiche sociali e sanitarie ha

avuto una battuta d’arresto intorno agli anni Novanta con la trasformazione delle USL3 in aziende

con personalità giuridica pubblica con al vertice un direttore generale di nomina regionale in

sostituzione dei sindaci/presidenti. Questi eventi hanno implicato la separazione tra sociale e

sanitario, non solo a livello istituzionale ma anche tra gli operatori che hanno coltivato eccessivi

spazi di indipendenza [Bissolo, 2005]. La riforma del titolo V della Costituzione, che ha attribuito

alle Regioni potere di programmazione e regolazione in materia di welfare (prima sanitario, poi

socio-sanitario) e facoltà di decidere come e quanto condividere le competenze con il livello di

governo comunale, ha poi ulteriormente amplificato la distanza tra i settori di policy e l’asimmetria

tra governo regionale e locale [Bifulco, 2010, Musella, 2009]; l’elezione diretta dei sindaci ha

esasperato queste distanze poiché i contesti locali hanno risentito della personalizzazione

dell’attività politica e dell’autoreferenzialità delle scelte su quei temi capaci di garantire il consenso

elettorale a livello locale [Segatori, 2003].

Sebbene tali eventi abbiano frenato la possibilità che si sviluppassero in modo coerente delle

politiche integrate, non sono mancati interventi di senso contrario. Infatti, da un lato, il D.P.C.M. 14

febbraio 20014 ha stabilito che i destinatari di protezione sociale e delle prestazioni sanitarie fossero

oggetto di valutazione multidimensionale del bisogno e, dall’altro, la Legge 328/2000 ha portato a

compimento il percorso intrapreso con l’approvazione del SSN promuovendo una connessione tra il

3 D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e dal D.Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517 4 Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni sociosanitarie.

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settore delle politiche sociali e sanitarie territoriali. È proprio sugli effetti di questa legge, con

l’individuazione del Piano di Zona quale strumento per la programmazione congiunta tra servizi

sociali territoriali e ASL (art. 19), che sono state riposte le maggiori aspettative.

In questa cornice devono essere lette le politiche a favore delle persone anziane non autosufficienti

e, in particolare, deve essere considerato lo stretto legame con le caratteristiche strutturali del

welfare italiano: elevata frammentazione degli interventi, differenze territoriali nella copertura dei

bisogni e un deciso orientamento a favore dei trasferimenti monetari. Questi aspetti saranno

richiamati nella primissima parte del contributo evidenziando alcuni fattori di eterogeneità. La

riflessione sul welfare in Italia si focalizza su singoli casi specifici o nella comparazione tra le

diverse regioni (ci vale soprattutto per il settore socio-sanitario) mentre potrebbero essere di

particolare interesse le differenze all’interno degli stessi territori regionali. Ad esempio, provando a

sintetizzare l’eterogeneità interna, alcune regioni potrebbero essere tra loro più uguali (o diverse) da

quanto si ritiene comunemente. Partendo da questa riflessione ci si è proposti di compiere un primo

passo per valutare la fattibilità di una analisi che, rifacendosi ai metodi impiegati per comparare le

regioni, sia orientata ad approfondire un singolo territorio. Il caso studio è quello della regione

Lombardia che, oltre alle specificità per quanto riguarda il modello istituzionale e organizzativo

sottostante all’erogazione di servizi socio-sanitari, rappresenta in Italia uno dei contesti con le

migliori performance in questo settore di policy: qual è il livello di eterogeneità interna rispetto alla

copertura del bisogno?

La seconda parte del contributo è invece dedicata a una particolare – ma minoritaria – componente

dell’insieme dei servizi a supporto delle persone anziane non autosufficienti, il servizio di assistenza

domiciliare (SAD). La prima ragione che ha guidato questa scelta risiede nella semplice

considerazione che non è possibile parlare adeguatamente di territorializzazione senza considerare

l’intervento dell’istituzione più capillare e diffusa sul territorio, il Comune, che, proprio per questo,

potrebbe svolgere quel ruolo di “naturale” punto unico di accesso al welfare. L’approfondimento

sull’accesso al SAD è ancora in corso di svolgimento e, soprattutto, sta avvenendo in un periodo in

cui quasi tutte le amministrazioni incontrate nel corso della ricerca stanno lavorando per ristrutturare

il servizio sia in ragione dei trasformati bisogni dell’utenza sia, e soprattutto, per affrontare il

ridimensionamento delle risorse. Come viene selezionata l’utenza? Se e come avviene il contatto tra

operatori dell’ambito sociale con quello sanitario?

L’eterogeneità territoriale attraverso i dati

In Italia la capacità di offrire supporto, attraverso trasferimenti o servizi, alle persone anziane non

più autosufficienti varia a seconda del territorio che si osserva. Se si “legge” la penisola dal Nord al

Sud prestando attenzione ad alcune misure aggregate rispetto ai principali interventi per la non

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autosufficienza si ha un’indicazione sintetica che ci informa del grado di disparità di accesso e

“trattamento” tra i (potenziali) beneficiari anziani.

Il Grafico 1 mostra che mentre la copertura del Servizio di assistenza domiciliare (SAD) erogato

dai Comuni è scarsa, ma raggiunge gli interessati in modo tendenzialmente uniforme a prescindere

all’area geografica, gli ospiti nelle strutture residenziali e i beneficiari dell’Assistenza Domiciliare

Integrata (ADI) offerta dalle Regioni diminuiscono in proporzione dal Nord al Sud dove, invece, è

nettamente più alta l’incidenza dei beneficiari dell’indennità di accompagnamento (Iac). Questa è la

componente più rilevante in termini di numerosità dell’utenza e risorse pubbliche impegnate

[Lamura, Principi, 2009] e ha vissuto nel recente passato [Gori, 2010] una crescita attribuita alla

struttura della popolazione (invecchiamento, bassi livelli di istruzione [Chiatti et al., 2010]) e ad

alcune caratteristiche culturali ed organizzative dei singoli contesti5. La sua ampia diffusione è stata

attribuita anche all’intenzione di compensare i cittadini dell’assenza di altre misure dedicate alla

lotta alla povertà, al punto da divenire un vero e proprio strumento di sostegno al reddito [ibidem;

Micheli, Rosina, 2008].

Il sistema di cura degli anziani non autosufficienti risulta quindi del tutto sbilanciato sui

trasferimenti in denaro raggiungendo quasi il triplo dei beneficiari dell’ADI, che rappresenta il

servizio più diffuso. Si tratta di un aspetto che colora in modo deciso il sistema delle politiche per la

non autosufficienza in Italia e sul quale, almeno da un decennio, ruota il dibattito tra gli addetti al

settore – ricercatori e policy maker – che, anche se in forme diverse, ne propongono il ridisegno6.

Grafico 1 – Beneficiari di trasferimenti e servizi

5 Alcune ragioni culturali e di natura organizzativa: assenza di procedure standardizzate per l’assegnazione

della misura, assenza di vincoli reddituali, comportamenti di “azzardo morale”, non coincidenza tra ente

certificatore della condizione di bisogno con l’ente finanziatore [Gori, 2010]. 6 Una delle proposte più recenti è riportata nel numero 8-10 della rivista “Prospettive sociali e sanitarie”,

Agosto-Ottobre 2013, dal titolo Costruiamo il welfare di domani. Proposta per una riforma delle politiche e

degli interventi socio-asistenziali attuale e attuabile.

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Fonte: elaborazione su dati Istat, anni 2012, 2011, 2012b, Ministero della salute, 2012

Una forma differente per leggere lo status quo della capacità delle Regioni italiane di far fronte ai

bisogni delle persone non autosufficienti trae spunto da una ricerca condotta da Pavolini [2004] che,

lavorando all’incrocio tra l’analisi delle politiche pubbliche e la sociologia politica, ha formulato

alcune ipotesi per spiegare l’eterogeneità dei risultati raggiunti. Nell’approccio proposto l’indennità

di accompagnamento viene utilizzata per identificare “l’effettiva” entità del fenomeno della non

autosufficienza tra gli anziani, cioè come indicatore per approssimare il numero e,

conseguentemente, la proporzione di anziani non più autosufficienti. In ragione del notevole

incremento dei beneficiari dell’Iac pu risultare inadeguato utilizzarla come unica proxy per stimare

l’entità della domanda; anche per tale ragione lo stesso Pavolini [2004:160] ha utilizzato come

ulteriore termine di paragone la percentuale di persone anziane con limitazioni funzionali7 stimata

dall’Istat [2013].

La Tabella 1 ripropone l’analisi di Pavolini [ibidem] utilizzando i più recenti dati disponibili.

Adottando la percentuale di beneficiari dell’Iac quale termine per stimare il bisogno le sottraiamo il

tasso di copertura dell’ADI e dell’offerta data dai Presidi. Osserviamo quindi che la differenza a

livello nazionale è del 5,2%8, che rappresenta la proporzione di persone che rimangono senza alcun

intervento territoriale mentre il 4,3% è seguito con ADI e il 2,2% con la collocazione in residenza.

Leggendo i dati per regione si osserva che Emilia-Romagna e Trentino-Alto Adige registrano un

7 L’ISTAT, adeguandosi alla definizione ICF dell’Oms – che non concepisce più la disabilità “come

riduzione di capacità determinata da malattia o menomazione, ma come la risultante di una interazione tra

condizioni di salute e fattori contestuali”- adopera il concetto di limitazioni funzionali, ovvero la popolazione

che esperisce difficoltà rispetto ad alcune dimensioni specifiche (fisica, vita quotidiana, comunicazione). 8 Colonna denominata “Differenza a-(c+d).

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saldo positivo, il che vuol dire che la proporzione dei beneficiari dei servizi territoriali regionali è

superiore a quella di chi riceve negli stessi territori l’Iac.

Le differenze tra la capacità della prestazione monetaria nazionale e i servizi regionali nel

raggiungere i potenziali beneficiari assume tratti marcati nel Sud del paese (Campania, Puglia e

Calabria) dove lo scarso sviluppo dei servizi mostra la corda rispetto all’ampia diffusione dell’Iac.

Sempre al Sud è differente, ad esempio, il caso della Regione Basilicata che raggiunge con i servizi

territoriali quasi il 50% della platea considerata con questo approccio: il 5,5% utenti con ADI e

l’1,3% con i Presidi fronteggiano un bisogno pari ad 11,9% di cui, quindi, rimane senza interventi

territoriali il 5,2%, un valore pari alla scopertura media nazionale.

Tabella 1 – Copertura della non autosufficienza in Lombardia

Iacc Limitazioni ADI Presidi Differenza Domanda-Offerta REGIONE a b c d a-(c+d) b-(a+c+d)

Piemonte 8,8 14,7 2,1 3,5 3,2 0,4

Valle d'Aosta 9,8 14,4 0,4 3,7 5,7 0,6

Liguria 9,8 15,0 3,5 3,0 3,3 -1,3

Lombardia 9,7 15,7 4,0 3,2 2,5 -1,1

Trentino Alto Adige 3,9 15,3 2,1 4,6 -2,7 4,7

Veneto 10,4 18,7 5,5 3,2 1,6 -0,4

Friuli-Venezia Giulia 10,5 17,4 6,3 3,6 0,6 -2,9

Emilia-Romagna 10,0 17,9 11,9 3,1 -5,0 -7,2

Toscana 10,3 17,6 2,0 1,7 6,6 3,7

Umbria 16,9 21,3 7,9 1,3 7,7 -4,8

Marche 13,1 19,2 3,0 1,9 8,2 1,1

Lazio 13,3 19,4 4,2 1,1 8,0 0,8

Abruzzo 13,2 19,2 4,9 1,6 6,6 -0,6

Molise 10,9 20,6 3,9 1,7 5,4 4,1

Campania 15,7 25,2 2,8 0,6 12,4 6,1

Puglia 14,3 26,9 2,2 0,9 11,2 9,4

Basilicata 11,9 19,7 5,5 1,3 5,2 1,1

Calabria 17,2 22,8 3,2 0,8 13,2 1,6

Sicilia 13,5 25,5 3,7 1,0 8,8 7,4

Sardegna 15,1 25,4 4,6 1,4 9,0 4,3

Italia 11,7 19,8 4,3 2,2 5,2 1,6

Fonte: elaborazione su dati Istat, anni 2012, 2013, 2012b, Ministero della salute, 2012

Come baseline per comparare il grado di copertura dei servizi utilizziamo la percentuale di

persone con limitazioni con età uguale o superiore a 65 anni sul totale della popolazione con le

medesime caratteristiche. In questa simulazione l’Iac rappresenta l’indicatore della risposta

nazionale alle esigenze della popolazione anziana non autosufficiente. Pertanto abbiamo calcolato la

differenza tra la proporzione di persone con limitazioni e la somma dei diversi tassi di copertura

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degli interventi di fonte nazionale e regionale. Da ci osserviamo che ammonta all’1,6% degli

anziani la domanda (potenziale) non soddisfatta dai servizi territoriali che intervengono nel 4,3% dei

casi con l’assistenza domiciliare e nel 2,2% mediante i Presidi. Com’era ragionevole attendersi, non

mancano delle differenze tra le aree del paese e la presenza di alcune Regioni9 nelle quali l’offerta

aggregata (prestazioni in denaro e servizi) supera la domanda (persone con limitazioni).

Il Grafico 2 ha lo scopo di semplificare il confronto tra alcune di queste regioni e mostra, in

termini relativi, la composizione delle politiche destinate agli anziani non autosufficienti. È ovvio

che il “superamento” dell’offerta rispetto alla domanda dipende sia dall’ammontare delle tre forme

di supporto (Iac+Adi+Presidi) che dal grado di bisogno (persone con limitazioni) di quel contesto.

Nonostante ci è interessante notare le differenze esistenti tra alcune di queste regioni a saldo

positivo10: l’Abruzzo – con una composizione degli interventi prossima a quella nazionale –, la

Lombardia e la Liguria – con un’evidente inclinazione all’offerta di residenze sociosanitarie e

un’assistenza domiciliare integrata di poco inferiore alla media nazionale – e l’Emilia Romagna –

l’unica regione in Italia con un’offerta di ADI che in proporzione ricopre quasi la metà dell’insieme

degli interventi socio-sanitari di supporto agli anziani non autosufficienti.

Grafico 2 – Composizione dei principali interventi in 5 Regioni – Valori %

Fonte: elaborazione su dati Istat, anni 2012, 2012b, Ministero della salute, 2012

9 Liguria, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana,

Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo. 10 Per un approfondimento sugli stili di intervento delle Regioni si veda NNA - Network per la Non

Autosufficienza [2013].

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Tutte le analisi di tipo descrittivo orientate a comparare i risultati delle Regioni rispetto ai diversi

filoni di politiche poggiano sull’uso dei valori medi per ogni singolo territorio che per , al suo

interno, pu celare differenze anche inaspettate. È plausibile ipotizzare che al crescere

dell’attenzione ai dettagli di ogni singolo contesto siano sempre più visibili differenze e particolarità

che potrebbero – inutilmente – far perdere la visione d’insieme. Allo stesso tempo, per , focalizzare

l’attenzione anche sul livello del welfare “locale” con riferimento sia ai tassi di copertura delle

prestazioni monetarie e dei servizi che ai processi organizzativi pu essere un’utile prospettiva di

ricerca. In questo modo si valorizzerebbe quel (relativamente scarso) patrimonio informativo

disponibile a livello territoriale per interrogarsi sul se e quali siano i modelli di welfare sottostanti ai

noti “sistemi regionali” [NNA, 2013; Bertin e Cipolla, 2013; ] tenendo sott’osservazione anche i

processi di ristrutturazione organizzativa in corso. In questo senso l’ADI rappresenta un punto di

ingresso interessante per la ricerca poiché è il servizio che negli ultimi ani è stato oggetto di un forte

investimento da parte di tute le regioni, nella convinzione che la cura a casa sia più desiderabile per

minimizzare i costi e migliorare la qualità della vita. Dal punto di vista territoriale le singole ASL

della Lombardia possono avere un’incidenza a tal punto diversa nel grado di copertura di ADI da

essere paragonabili alla distanza che c’è tra la regione col più altro livello di offerta (Emilia-

Romagna, 11,9%) e quella col valore più basso (Valle D’Aosta, 1,8%). I territori delle ASL

geograficamente più periferiche (Sondrio e Mantova) hanno tassi di copertura ADI quasi tripli

rispetto alla media regionale, mentre l’ASL Milano 2 ha un risultato di gran lunga inferiore alla

media11. L’ipotesi che la bassa numerosità della popolazione sia il fattore esplicativo del risultato in

termini di copertura è plausibile per Sondrio ma meno per Mantova che ospita una popolazione

numericamente non dissimile da altri territori.

Tabella 2 – Regione Lombardia: Percentuale di anziani trattati con ADI su totale della

popolazione anziana (>= 65 anni), per ASL – Anno 2012

ASL Copertura ADI Casi con ADI Pop. ASL età >=65 anni Bergamo 4,5 8.933 199.407 Brescia 2,3 5.034 216.161

Como 3,2 3.840 119.830

Cremona 5,9 4.616 78.804

Lecco 2,7 1.877 68.988

Lodi 2,7 1.203 45.115

Mantova 13,4 11.950 89.197

Milano 2,6 9.829 372.240

Milano 1 4,5 8.193 182.283

11 A partire da questa constatazione è in corso un approfondimento specifico per comprendere quali

siano i fattori esplicativi. 12 Quando più ASL facevano riferimento ad un unico territorio provinciale

ne è stato calcolato il valore medio. 13 Varese, Como, Bergamo, Brescia, Lecco, Lodi, Monza e

Brianza.

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Milano 2 1,8 2.023 112.489

Milano 3 3,4 5.679 167.168

Pavia 2,9 3.531 123.185

Sondrio 11,4 4.288 37.469

Varese 4,1 7.601 185.293

Vallecamonica-Sebino 7,1 1.448 20.287

Lombardia 4,0 80.045 2.017.916

Italia 4,3 532.536 12.370.822

Fonte: Ministero della salute, 2012

Ora spostiamo l’attenzione sull’insieme delle prestazioni monetarie di fonte nazionale e sugli

interventi governati dalla Regione o dai Comuni, e lo facciamo considerando l’insieme delle

prestazioni e interventi per ogni singolo territorio provinciale12 (Grafico 3). Di primo acchito

possiamo riconoscere due gruppi: il primo racchiude in sé province13 che nell’insieme non

sembrano discostarsi particolarmente dalla media regionale nella capacità di copertura data

dall’apporto di prestazioni monetarie e servizi; includiamo in questo gruppo anche la provincia di

Milano, caratteristica per avere valori inferiori alla media regionale in ogni filone di intervento

considerato. Nel secondo gruppo includiamo le restanti province poiché molto distanti dalle prime

per una o più caratteristiche. Nei territori di Sondrio e Mantova, oltre ad essere particolarmente

diffusa l’ADI, si fa anche ampio ricorso all’Iac; Mantova è inoltre la provincia con la più alta

copertura offerta dal SAD. Pavia ha in comune con Sondrio il rilevante impiego dell’IAC ma,

insieme a Cremona si caratterizza per una percentuale di ospiti nei presidi doppia rispetto alle altre

aree della regione [Facchini, 2005]. Queste quattro province, anche se con una diversa

composizione di servizi, si differenziano dalle altre per l’alta proporzione di persone inserite nei

presidi, per la particolare incidenza dell’Iac e per l’azione rilevante o predominante dell’ADI, con

una composizione degli interventi molto simile al contesto Emiliano-Romagnolo (è il caso di

Mantova)12.

Grafico 3 – Beneficiari di trasferimenti e servizi in Lombardia

12 L’Emilia-Romagna è infatti l’unica Regione d’Italia con la copertura garantita dall’Assistenza domiciliare

integrata superiore a quella data dall’Indennità di accompagnamento.

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Fonte: elaborazione su dati Istat, anni 2012, 2011, 2013b, Ministero della salute, 2012

Tabella 3 – Copertura della non autosufficienza in Lombardia Iacc Limitazioni ADI Presidi SAD Differenza

Provincia a b c d e b-(a+c+d) Varese-Como 9,2 20,9 3,7 2,9 1,1 3,9

Lecco-Sondrio 11,7 15,4 5,8 2,9 1,5 -6,6

Bergamo 9,5 17,0 4,5 2,5 2,7 -2,3

Brescia 9,3 14,9 2,7 2,9 2,3 -2,3

Pavia-Lodi 13,4 17,9 2,8 3,9 1,1 -3,3

Mantova-Cremona 11,1 20,1 9,9 4,4 2,1 -7,4

Milano-Monza B. 8,7 15,7 3,1 2,0 1,3 0,6

Lombardia 9,7 17,0

4,0 2,7 1,6 -0,9

Fonte: elaborazione su dati Istat13, anni 2012, 2013c, 2013b, 2012°, Ministero della salute, 2012

Quanto sin qui presentato pu essere arricchito confrontando – come fatto tra regioni – la copertura

dei trasferimenti e dei servizi rispetto alla proporzione regionale delle persone con limitazioni; ci è

possibile grazie all’indagine ISTAT – Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari –, nella sua

versione con sovra campionamento a livello regionale che permette stime significative per

aggregazioni di province (Area Vasta)16.

Possiamo quindi osservare che, nella maggior parte delle aree, l’offerta supera o quasi eguaglia

(Milano-Monza) la domanda (la percentuale di persone con limitazioni) ad eccezione della zona di

Varese-Como. Poiché in questo caso i valori di prestazioni e servizi risultano non molto distanti

13 Si veda nota 12, per le Persone con limitazioni la fonte è Istat, Condizioni di salute e ricorso ai servizi

sanitari, anno 2013 16 L’aggregazione penalizza inevitabilmente il livello di dettaglio nella lettura a livello

territoriale, che comunque rimane inedita rispetto a questo tema.

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dalla media regionale è possibile ipotizzare che la difficoltà dell’offerta di raggiungere la domanda

dipenda prevalentemente dal fatto che nella zona si concentri una proporzione di persone con

limitazioni quasi sempre superiore alle altre aree.

Welfare locale: il caso del servizio di assistenza domiciliare

Sino agli anni ottanta i bisogni derivanti dalla fragilità del nucleo famigliare, dalla condizione di

disabilità o dalla vecchiaia, hanno trovato una risposta pubblica soprattutto con l’inserimento delle

persone nelle residenze. La residenzialità veniva declinata nella segregazione spaziale e sociale.

Emblematico in tal senso è il caso dei manicomi, caratterizzati più il contenimento degli ospiti che

per le pratiche terapeutiche e riabilitative finalizzate al reinserimento in società. L’isolamento di

questi istituti dal contesto circostante era ulteriormente esasperato dal fatto che le politiche

pubbliche non erano organizzate per offrire strutture territoriali intermedie.

Come noto, la riforma dei servizi psichiatrici italiani a seguito della Legge Basaglia 14 ha

rappresentato un passaggio fondamentale nel riconoscimento dei diritti e della dignità degli

individui più fragili, ed è stata l’apripista al rinnovamento dei servizi di cura secondo un approccio

fortemente territoriale. È infatti possibile rintracciarne alcune ricadute nella Legge 328/2000 che

tramite lo sviluppo dei servizi territoriali ha inteso favorire la permanenza degli individui presso il

domicilio (artt. 15 e 22). Nel corso degli ultimi anni quest’orientamento è stato ulteriormente

rafforzato, nella convinzione che fosse la strada per conciliare economicità della spesa pubblica e

miglioramento della qualità della vita. I principali attori coinvolti nell’assistenza domiciliare sono i

Comuni e le ASL che concorrono alla programmazione, pianificazione e erogazione degli interventi

e delle prestazioni; inoltre, ciascuno rispetto al proprio territorio di competenza, definisce le regole

per l’accesso ai servizi e alle prestazioni. Oggetto di questa parte del contributo è il ruolo esercitato

dai criteri di accesso ai servizi e quindi, più in generale, quello degli strumenti di governo finalizzati

alla definizione del target degli interventi.

Analizzare gli strumenti di governo, e quindi le modalità di targeting, è un fruttuoso punto di

ingresso per la ricerca per evidenziare quanto gli esiti delle politiche siano intrecciati con tutta

quella strumentazione tecnica che, lungi dall’essere neutra, pu contribuire a determinare distinte

forme di cittadinanza [Lascoumes e Le Galès 2009]. Quest’approccio risulta di particolare attualità

nella misura in cui è proprio tramite gli strumenti di scrematura dell’utenza che viene implementato

quell’«universalismo selettivo» oggi sempre più enfatizzato per affrontare la congiuntura economica

e per conciliare l’efficacia degli interventi con la riduzione delle risorse disponibili [Granaglia

2007].

14 Legge 13 maggio 1978 n. 80, Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori.

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All’interno di questa prospettiva, il caso del servizio di assistenza domiciliare (SAD) erogata dai

Comuni singoli e associati è significativo per comprendere come viene selezionata l’utenza e se e

come si verifichi integrazione tra operatori dell’ambito sociale e sanitario.

Il lavoro di ricerca è stato svolto, in una prima fase, reperendo i regolamenti per la gestione del SAD

in un piccolo campione di Comuni15 per poi analizzarli al fine di rilevare l’insieme dei criteri con i

quali viene identificata l’utenza da prendere in carico. Poiché la sola analisi dei regolamenti non pu

rendere conto in modo esaustivo di come avvenga la presa in carico, è stata arricchita da alcune

interviste in profondità con i referenti dei servizi sociali dei Comuni del campione16.

Il primo aspetto rilevante riguarda il fatto che i criteri non sono costruiti con il fine esplicito di

definire una vera e propria graduatoria. Tranne che in un caso, infatti, non sono assegnati dei

punteggi o attribuite delle priorità in base alle quali stilare una classifica e scremare l’utenza. Ci è

probabilmente dovuto al costante flusso delle domande nel corso dell’anno; a meno che le risorse

siano in esaurimento, il servizio viene erogato a tutti coloro i quali ne fanno richiesta purché siano

in possesso dei requisiti minimi richiesti nei regolamenti.

È quindi nel caso di un imminente esaurimento delle risorse che si pone il problema di una vera e

propria scelta tra utenti. L’assenza, tranne che in due Comuni considerati, di liste di attesa sembra

validare l’ipotesi che lo status di “eleggibile” derivante dal possesso dei requisiti indicati implichi il

diventare anche beneficiario del servizio. In realtà, se pure ci sembra verificarsi, il processo di

selezione è molto più opaco di come ci si sarebbe aspettati se si pensa, ad esempio, all’estrema

standardizzazione dei criteri utilizzati per l’accesso ai servizi per l’infanzia17.

In generale è possibile rintracciare nei regolamenti la presenza di criteri economici e non economici

dove i primi sono quelli più esplicitamente utili a definire l’insieme dei (potenziali) beneficiari

mentre i secondi servono a definire se e quanto l’utenza debba compartecipare ai costi del servizio.

Il SAD non è rivolto in modo esclusivo agli anziani ma più in generale a cittadini e famiglie che

sono in difficoltà nello svolgere alcune attività nel corso della vita di tutti i giorni; probabilmente

per tale ragione l’età non è un criterio formulato in modo preciso, neppure per definire eventuali

liste di attesa o priorità per l’accesso.

Poiché il campione dei Comuni considerati è esiguo proponiamo in Tabella 4 l’estratto della

definizione dei destinatari del SAD, così da mostrare le principali regole per la scelta da parte delle

15 Sono stati contattati i referenti dei servizi sociali di tutti i capoluoghi lombardi e il campione si costituisce

dei soli rispondenti che hanno fornito materiale per la ricerca. 16 Tranne che per l’Ambito 8 dell’ASL 2 Milano. 17 Il riferimento è dovuto a una precedente esperienza di ricerca su questo tema e cui mi permetto di

rimandare: Fazzini O., Nava L., (2014), Sui criteri di accesso ai servizi. Il caso degli asili nido, Università

degli Studi di Torino – Settima conferenza annuale ESPAnet Italia “Sfide alla cittadinanza e trasformazione

dei corsi di vita: precarietà, invecchiamento e migrazioni” – Sessione 14 “Idee e policies: l’interazione tra

politiche sociali e basi cognitive e normative”

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amministrazioni; è possibile considerare che il SAD pu essere riservato a persone sole prive di rete

familiare oppure – secondo una definizione del bisogno completamente diversa – purché sia

disponibile un supporto capace di garantire la continuità assistenziale. Il riferimento alla famiglia di

appartenenza è quindi un aspetto tenuto in considerazione per determinare l’accesso al SAD ma,

come già osservato da Costa [2007], non sembra guidare univocamente le possibilità di scelta

dell’ente locale18.

Per quanto riguarda la valutazione della condizione di autosufficienza, non risulta definita o

specificata in modo puntuale rispetto alle sue caratteristiche o al livello di gravità. Le definizioni

sembrano rimandare sostanzialmente a due diverse situazioni dove, la prima, tiene insieme la

condizione di salute e la rete di relazioni mentre, la seconda, pone l’accento sulla compromissione

fisica tale da richiedere necessariamente il supporto di altri [Costa, 2007]. Sotto quest’aspetto è

significativo che in alcuni casi sia chiara la volontà di dare priorità agli anziani che provengono

dalle dimissioni ospedaliere19: è possibile rintracciare in queste scelte un servizio volto a connettersi

con l’ambito sanitario nel momento in cui quest’ultimo conclude il suo compito di ridurre l’acuzie.

In generale la valutazione dell’utenza non sembra poggiare sull’utilizzo di strumenti standardizzati o

utilizzabili in modo replicabile nel tempo, quanto in un insieme di considerazioni che, caso per caso,

sembrano orientate prevalentemente a definire cosa erogare ai beneficiari. L’uso di sistemi di

valutazione dell’utenza maggiormente strutturati tramite scale validate a livello internazionale

sembra verificarsi quando le problematiche assumono una maggiore connotazione sanitaria e

quando si valuta l’impiego di risorse di fonte regionale:

“[…] in quelle misure (della Regione) c’è un grosso lavoro con ASL e teniamo conto delle diagnosi

e delle valutazioni sanitarie […] ma utilizziamo queste schede solo per le misure di fonte

regionale ma non per i nostri servizi, non ci è richiesto…è come se lo facessimo ma non lo

formalizziamo…non abbiamo l’obbligo di dover dare un esito per determinare l’accesso…perché

su queste misure c’è un campo molto ristretto….ad esempio devono avere una dipendenza

severa…invece sulla nostra assistenza domiciliare non è necessario […]”

Tabella 4 – Estratto da regolamenti SAD – Criteri Comune/Ambito Destinatari e lista d’attesa

Bergamo Nuclei familiari in cui sono presenti persone con ridotto grado di autosufficienza fisica, con scarsa capacità

organizzativa nel governo della casa, in situazioni di solitudine e di isolamento psicologico, che hanno

difficoltà a mantenere rapporti con il monto esterno

18 Esempio emblematico è l’individuazione come priorità per l’accesso della “presenza/assenza di familiari o

di personale di assistenza” (Ambito 8 – ASL 2 Milano). 19 È il caso di Pavia, Sondrio e dell’Ambito 8 – ASL 2 Milano, ma sono in atto anche dei progetti territoriali

che, al di fuori dei servizi offerti con il SAD, sono finalizzati ad intercettare le persone anziane al momento

della dimissione dall’ospedale (Bergamo).

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Brescia Persone sole in condizioni di parziale autonomia socio-sanitaria totalmente non autosufficienti, inserite in

una famiglia che necessita di aiuto

Lecco

Persone sole prive di rete familiare, rese gravemente inabili da infermità o handicap con perdita totale o

parziale dell’autosufficienza; Persone rese gravemente inabili da infermità o da handicap che vivono in famiglia, ma che necessitano di

aiuti per i soddisfacimento dei bisogni primari; Tutte le altre situazioni di bisogno, anche temporanee

Monza Persone anziane con limitazioni fisiche - psichiche o sensoriali

Pavia

Il Servizio pu essere richiesto da soggetti anziani fragili residenti, con ridotta autonomia personale,

permanente o transitoria, adeguatamente certificata. Precedenza verrà riservata alle persone anziane sole e ai disabili privi di rete familiare e/o di sostegno

adeguata. In caso di indisponibilità di risorse, la richiesta sarà inserita nell'apposita lista di attesa [...]. Le

nuove attivazioni saranno efettuate secondo le priorità stabilite in base ai seguenti criteri: - richiesta finalizzata all'igiene personale e alla mobilizzazione di persone non autosufficienti con

rete familiare/sociale assente/inadeguata/impossibilitata a supportare la persona; - richiesta di intervento transitorio, correlata a una particolare e temporanea difficoltà (es. decorso

post ricovero, temporanea inabilità, ecc.)

Sondrio

Possono usufruire del S.A.D. gli anziani [...] parzialmente e/o totalmente non autosufficienti, nonché i

disabili, residenti nel Comune [...], indipendentemente dalle condizioni socioeconomiche. Le condizioni di non autosufficienza parziale o totale e di disabilità dovranno risultare da idonee

certificazioni sanitarie. Per la presa in carico è necessaria inoltre la valutazione effettuata dall’assistente sociale dei fattori di rischio

(elencati nei punti successivi) e di urgenza che concorrono a determinare l’indice di fragilità: a) dimissione protetta da strutture sanitarie e interventi integrati con il servizio A.D.I. (Assistenza

Domiciliare Integrata); b) stato di malattia o invalidità, che comporti la perdita totale o parziale dell’autosufficienza

dell’utente, temporaneamente o permanentemente; c) impossibilità o difficoltà da parte della famiglia di assistere adeguatamente il destinatario del

S.A.D. per motivi determinati da: assenza dei familiari, età, stato di salute, distanza, carico familiare, impegni

lavorativi, relazioni conflittuali, incapacità di fornire prestazioni assistenziali adeguate dal punto di vista

tecnico; d) condizioni economiche particolarmente sfavorevoli dell’interessato e della rete familiare che non

consentono l’acquisti di prestazioni private di assistenza

Ambito 8

ASL 2

Persone non autosufficienti purché in presenza di un familiare/care giver che garantisca la continuità

assistenziale; Persone parzialmente autosufficienti, sole o prive di adeguata assistenza da parte dei familiari;

Valutazione in base a seguenti fattori: urgenza (dimissioni ospedaliere o situazione di emergenza socio-sanitaria)

presenza di un elevato carico di cura in relazione al grado di non autosufficienza

condizione di solitudine o di isolamento sociale presenza/assenza di familiari o

di personale di assistenza tipo di intervento richiesto situazione socio-

economica data di presentazione della domanda

L’integrazione tra gli operatori dei comparti sociale e sanitario sembra esserci con grande

probabilità nei momenti in cui entra in campo l’azione della Regione che vincola l’accesso alle

risorse all’impiego di tali strumenti e alla condivisione (almeno formale) delle scelte tra i diversi

operatori20. Nei momenti in cui il bisogno dei destinatari è già definito come a prevalenza non

20 Il riferimento fatto nella citazione è all’impostazione data con le seguenti delibere regionali: D.G.R. X/740

del 27/09/13 “Approvazione del programma operativo regionale in materia di gravi e gravissime disabilità

di cui al fondo nazionale per le non autosuffcienze anno 2013 e alla DGR 2 agosto 2013, n. 590.

Determinazioni conseguenti”; D.G.R. X/2655 del 14/11/2014 “Programma operativo regionale in materia di

gravissime disabilità in condizioni di dipendenza vitale, di cui al fondo nazionale per non autosufficienze

anno 2014. Prime determinazioni”; D.G.R. X/2883 del 12/12/14 “Programma operativo regionale in

materia di gravi disabilità e non autosufficienza di cui al fondo nazionale per le non autosufficienze anno

2014. Ulteriori determinazioni”

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sanitaria, o quando non si ravvisa la necessità di potenziare il SAD con altre risorse di fonte

regionale, i due comparti sembrano lavorare prevalentemente in maniera distinta21.

Al fianco dei criteri di tipo non economico quelli strettamente economici hanno, in generale,

l’obiettivo di razionare la domanda e definire l’ammontare della compartecipazione economica da

parte di individui e famiglie. A tal proposito la Tabella 5 sintetizza i principali elementi tratti dai

regolamenti presi in esame così che sia possibile osservare la varietà delle soluzioni adottate, di

frequente specificate con ulteriori dettagli all’interno degli stessi regolamenti.

Tabella 5 – Estratto da regolamenti SAD – ISEE e compartecipazione

Comune/Ambito Isee (Prima

soglia) ISEE

massimo Compartecipazione

minima richiesta Compartecipazione

massima richiesta

Bergamo 4.900 18.001 0,00 16,00

Brescia 708 mese 1.487 mese 2,00 18,30

Cremona 6.076 35.000 Proporzionale lineare 19,00

Lecco 6.500 26.000 Proporzionale lineare 15,20

Monza 6.640 19.320 0,00 17,46

Pavia 5.242 20.968 0,00 17,20

Sondrio 6.000 22.500 0,00 16,64

Ambito 8 - ASL 2 6.000 12.000 3,00 18,00

È evidente la variabilità nei valori della soglia minima e massima dell’ISEE che ovunque è il

parametro per la valutazione di tipo economico. La differenza tra questi valori pu essere spiegata

dal diverso assetto dei bilanci comunali, dalla numerosità della domanda e dal costo del servizio

rispetto al quale le amministrazioni consultate controllano direttamente le assistenti sociali

responsabili mentre è esternalizzato il servizio degli operatori – solitamente del terzo settore – che

erogano le prestazioni.

Un ISEE al di sotto della soglia minima non garantisce ovunque l’accesso gratuito al SAD rispetto

al quale pu essere richiesta una compartecipazione che parte da due euro all’ora per arrivare a

diciannove nel caso di superamento dell’ISEE massimo. Anche il modo in cui sono individuate le

tariffe intermedie è diversificato. Nella maggioranza dei casi vengono definiti i diversi gruppi sulla

base di scaglioni di ISEE e poi sono associati degli importi predefiniti; in due casi, invece, la

compartecipazione è determinata con il metodo lineare, cioè moltiplicando il valore ISEE per una

coefficiente fisso. In questo modo il valore della compartecipazione cresce proporzionalmente

all’indicatore ISEE collegandosi direttamente alla capacità reddituale; l’impiego di questo metodo

21 Per avere un quadro sintetico e comparato tra le Regioni per quanto riguarda le possibili interazioni tra

attori delle ASL o dei Comuni nella valutazione della persona non autosufficiente si veda NNA, 2013:37. 25

Ad esempio aggiungendo al costo € 0,65 per ogni accesso.

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evita così la suddivisione degli individui in gruppi fittiziamente omogenei al loro interno creando un

continuum di valori per la compartecipazione.

Se questo è l’impianto generale per la definire l’entità della compartecipazione economica, non

mancano alcuni correttivi applicati dalle diverse amministrazioni. Quello più diffuso (in 4 casi)

riguarda la definizione del costo nel caso in cui il beneficiario del SAD lo sia anche dell’indennità di

accompagnamento; in questa eventualità pu succedere che il calcolo dell’ISEE venga corretto

tenendone conto, o che il costo della compartecipazione sia incrementato in modo fisso25. Anche chi

è oggetto della valutazione economica, e quali siano le condizioni che permettano l’esonero (o

sgravi) dal pagamento, è un fattore di variabilità. Ad esempio se il SAD è rivolto ad un individuo

verrà considerato il suo reddito mentre se il servizio garantisce prestazioni domestiche all’interno

nucleo sarà quest’ultimo ad essere oggetto di valutazione. Non mancano, inoltre, formule per la

riduzione del costo della compartecipazione: ci pu verificarsi quando nel corso di una giornata si

verificano più accessi al domicilio, quando il numero di ore supera una soglia prefissata, quando

sono coinvolti più operatori o quando l’utente documenti di affrontare una spesa per l’assistenza

aggiuntiva al SAD.

L’ultimo elemento da segnalare rispetto alla dimensione economica per l’accesso al SAD riguarda il

fatto che la richiesta di massima compartecipazione agirebbe come incentivo per l’utenza a

rivolgersi autonomamente al mercato privato di cura. Difficile dire quanto questi eventi siano diffusi

sul territorio – e escludiamo riguardino un particolare territorio – ma ci sembra vadano in senso

contrario all’ipotesi che ha introdotto la compartecipazione, ovvero che l’abbassamento dei costi

sostenuti dalle amministrazioni avrebbe permesso l’allargamento della platea dei beneficiari.

Quanto sintetizzato ci sembra confermare l’ipotesi [Costa, 2007] che il SAD sia destinato a una

platea di beneficiari caratterizzati congiuntamente da fragilità economica e relazionale. Per quanto

riguarda la prima potrebbe essere all’opera un processo di autoselezione dei beneficiari

economicamente meno vulnerabili, mentre la definizione della fragilità socio-relazionale sembra

caratterizzarsi per discrezionalità all’interno di un processo che rimanda all’idea della black box o,

comunque, con una valorizzazione della condizione dipendente dalla professionalità e dalla cultura

organizzativa locale.

Quest’ultimo aspetto non rappresenta di per sé una criticità, ma è meritevole di attenzione poiché,

da un lato, abbiamo organizzazioni che con definizioni morbide classificano e prendono in carico

l’utenza e, allo stesso tempo, quando la definizione del problema dello stesso utente ha già assunto

un’impronta sanitaria, entrano in gioco classificazioni che fanno leva sulla standardizzazione per

definirne il livello di gravità.

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Conclusioni: il percorso verso l’integrazione tra le politiche e il ruolo dei Comuni

L’avvio modesto della programmazione di zona a seguito della Legge 328/200 registrati in

Lombardia nei primi anni Duemila [Avanzini et. al., 2005] sembrano superati anche grazie

all’intervento dell’amministrazione regionale in modalità trasversale, utilizzando i programmi di

supporto per le famiglie e gli anziani non autosufficienti per incentivare l’interazione tra attori del

comparto sociale con quello sanitario. Se non mancano timidi segnali della crescente interazione tra

i due settori non mancano per anche degli aspetti critici poiché l’integrazione tra operatori sembra

avvenire quando la definizione del bisogno è già rientrata all’interno della cornice sanitaria. Sembra

si tratti, al momento, di un’integrazione volta ad autorizzare la spesa più che a intercettare (e

definire) i bisogni con il confronto tra diverse competenze.

D’altronde la strada verso l’effettiva integrazione in Lombardia è ardua dato che la condizione di

partenza delle politiche è particolarmente frammentata: l’apertura al sistema del quasi mercato dei

servizi [Bartlett e Le Grand, 1993] adottato a partire dalla metà degli anni Novanta con un sistema

di accreditamento degli enti gestori nei settori socio-assistenziale e sanitario [Bifulco, 2011; Gori,

2005, 2011] ha infatti esasperato la distanza tra competenze e professionalità, e ora l’operazione di

ricucitura non pu che procedere a piccoli passi.

Gli interventi dell’amministrazione regionale potrebbe sanare questo solco promuovendo occasioni

per l’integrazione interistituzionale; per far ci , per , è opportuno valorizzare maggiormente il ruolo

e considerare le attuali fonti di criticità delle amministrazioni comunali (a partire anche da quelle

economiche).

Esse rappresentano l’istituzione territorialmente più diffusa che per , nel corso degli ultimi anni, ha

perso il controllo diretto dei servizi socio-assistenziali. Nei territori considerati si sono diffuse prassi

di co-progettazione dei servizi che certamente possono favorire il superamento del mero

affidamento di incarico legato all’esternalizzazione ma, anche alla ricerca di un efficace

coordinamento degli operatori, si sono create situazioni di quasi-monopolio nella gestione dei

servizi. Le amministrazioni comunali sembrano quindi affannate, da una parte, nel tentativo di

garantire un’offerta coordinata e permanente e, dall’altra, nel poter completare la propria offerta

tramite l’interazione “forzosamente integrata” con l’ASL. Se si considera che questo incastro

avviene anche per garantire una copertura di SAD in media inferiore di circa la metà rispetto

all’ADI, allora ci si dovrebbe porre l’interrogativo rispetto a se e come massimizzare le interazioni

tra i due ambiti, innanzitutto al fine di bilanciare le differenze territoriali emerse nella prima parte di

questo contributo.

Impostare una riforma che tocchi l’indennità di accompagnamento è, come noto, una delle proposte

più ricorrenti e che, da sempre, trova forti resistenze. Il miglioramento della capacità di fronteggiare

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i bisogni pu avvenire anche attraverso una rinnovata collaborazione tra amministrazione regionale e

comunale nell’organizzare un sistema di accesso che sia uniforme nelle modalità di valutazione

della condizione di bisogno. È partendo da questo strumento che troverebbe maggiore efficacia il

funzionamento di un budget di cura vocato anche a integrare le risorse economiche e che si

potrebbero ridimensionare le differenze territoriali.

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