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Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex D.M. 270/2004) in Economia e gestione delle aziende Tesi di Laurea Politiche di prodotto e dinamiche di innovazione nel settore automobilistico Relatore Ch. Prof. Francesco Zirpoli Laureando Chiara Albiero Matricola 821857 Anno Accademico 2012 / 2013
1
Ai miei genitori
che mi hanno dato la possibilità di arrivare fino a qui.
Ai miei compagni
che hanno reso questo percorso indimenticabile.
2
Indice
Pag. INTRODUZIONE 4
1. CONTESTO DI RIFERIMENTO: SETTORE AUTOMOTIVE 7
1.1. Settore di riferimento 7
1.2. Storia del settore 8
1.2.1. Andamento delle vendite nel periodo considerato 14
1.3. Principali protagonisti 16
1.4. Ruolo dell’innovazione nel settore auto 21
1.4.1. Diversi tipi di innovazione 22
1.4.2. Integrità di prodotto nel settore auto 26
1.4.3. Qualità del prodotto e lead time 29
1.4.4. Esternalizzazione e standardizzazione 32
2. IL PRODOTTO AUTO 35
2.1. Differenziazione del prodotto 38
2.2. Varietà del prodotto 40
2.3. Paradosso della scelta 43
2.4. Ciclo di vita del prodotto auto 46
2.4.1. Evoluzione del ciclo di vita nel settore auto 48
3. METODO DI ANALISI 50
4. ANALISI DEI DATI 53
4.1. Portafoglio prodotti 53
4.1.1. Confronti 67
4.1.2. Conclusioni 69
3
4.2. Analisi sui singoli prodotti 70
4.2.1. Ciclo di vita dell’auto 71
4.2.1.1. Confronti 86
4.2.2. Politica di gestione delle versioni proposte 87
4.2.2.1. Confronti 99
CONCLUSIONI 100
BIBLIOGRAFIA 103
4
Introduzione
Questo lavoro si propone di esaminare, attraverso l’analisi di una serie di dati
raccolti, le politiche di gestione del portafoglio prodotti da parte delle principali case
automobilistiche. Attraverso il data set raccolto si cerca di identificare la politica di
differenziazione e segmentazione del mercato da parte dei principali attori operanti in
Europa, con particolare attenzione ad analizzare come la rapida innovazione
tecnologica abbia notevolmente ridotto la durata del ciclo di vita delle automobili.
Si tratta di un tema interessante sia come quesito di ricerca, perché va a toccare
argomenti molto importanti nel dibattito scientifico, che dal punto di vista più
operativo ovvero in chiave di strategie settoriali.
Sul piano teorico di ricerca, temi quali la differenziazione e segmentazione del
mercato sono alla base del marketing. Il concetto di differenziazione nasce con
l’obiettivo di offrire di un prodotto che risulti unico per il cliente finale. Questa unicità
deve essere anche apprezzata dall’acquirente. Il vantaggio di differenziazione consente
all’impresa di ottenere un premium price dai suoi acquirenti e vantaggi equivalenti
come, ad esempio, un maggior grado di fedeltà da parte del cliente. Nel settore
dell’automobile la differenziazione del prodotto è un tema che ha rivestito una
notevole importanza con l’aumentare della concorrenza tra gli operatori e con
l’avvento della crisi economica. Questi due fattori hanno portato le aziende
automobilistiche ad operare una considerevole differenziazione dei prodotti offerti per
cercare di distinguersi dai concorrenti e, al contempo, di cogliere il maggior numero di
esigenze riferite a diversi segmenti di consumatori. Nel corso dell’analisi viene toccato
anche un tema strettamente collegato alla differenziazione ovvero la segmentazione di
mercato. Il processo di segmentazione di mercato consiste nel suddividere i
consumatori secondo una serie di variabili (ad esempio localizzazione geografica,
atteggiamenti, abitudini di acquisto, ecc.). Nel settore automobilistico, nel corso degli
anni, è stata attuata una politica di segmentazione sempre più spinta passando da
segmentazione concentrata su un singolo segmento, proponendo pochi modelli, a una
5
segmentazione differenziata cercando di proporre automobili che riuscissero a
rispondere ad esigenze dei clienti più sofisticate ed articolate.
Come precedentemente evidenziato, gli argomenti trattati in questo elaborato
sono interessanti anche sul piano operativo ovvero per la messa in pratica di strategie
settoriali da parte dei manager delle aziende automobilistiche. Si cerca di capire se
l’aumento del numero di modelli offerti all’interno del mercato, con la conseguente
riduzione del ciclo di vita dei prodotti, abbia un effettivo riscontro sul numero di
immatricolazioni effettuate ovvero su un aumento delle unità vendute. Infatti, con la
crisi economica, si è assistito a un crescente tasso di innovazione tecnologica che ha
portato al lancio di un numero crescente di modelli e a un maggiore tasso di rinnovo
delle automobili. Questo punto riguarda un tema che ha radici lontane nel dibattito
scientifico quale il ciclo di vita del prodotto che può essere fatto risalire al 1922 con
uno studio di Raymond B. Prescott.
Questi argomenti saranno presi in esame nel corso del lavoro e delineati con un
maggiore approfondimento anche con l’ausilio di grafici che consentono di rendere più
semplice e immediata la comprensione di tutti i dati precedentemente raccolti.
Questo lavoro si articola nel seguente modo.
Nel primo capitolo si esamina il settore dell’automotive con un’analisi dello
sviluppo storico per capire le basi della sua evoluzione. Si procede evidenziando i
principali protagonisti, e il ruolo del loro brand all’interno del settore, per poi
identificare la funzione sempre più importante svolta dall’innovazione tecnologica
nello sviluppo di nuovi modelli.
Il secondo capitolo va ad analizzare il prodotto auto analizzando gli aspetti della
differenziazione e segmentazione del mercato, varietà del prodotto e del ciclo di vita
declinandoli nello specifico settore di riferimento. Si cerca di discutere come una
eccessiva varietà di scelta possa in realtà creare confusione nella mente del
consumatore.
6
Nel terzo capitolo si delinea il metodo utilizzato per raccogliere ed elaborare i dati
in parte raccolti direttamente, in parte provenienti da fonti specializzate nel settore
dell’automotive.
Il quarto capitolo si propone di svolgere una serie di considerazioni, attraverso
l’analisi dei dati, sui temi delineati in precedenza. Si analizza il portafoglio prodotti nel
complesso delle aziende automobilistiche divise tra generaliste, specialiste e asiatiche;
distinzione utile ai fini della nostra ricerca. Queste stesse verranno successivamente
collegate alle performance di mercato. Si vanno poi a studiare dei singoli prodotti,
presi ad esame in quanto di maggiore rilevanza nel portafoglio prodotti delle aziende
prese come oggetto di analisi, per capire lo sviluppo del ciclo di vita del prodotto e
l’evoluzione nel tempo del numero di versioni proposte.
7
1. Contesto di riferimento: settore Automotive
1.1. Settore di riferimento
Il settore dell’auto riveste sicuramente un grande ruolo. Ha una portata
economica rilevante nel mondo con una produzione di auto registrate nel 2012 pari a
84.141.209, di cui 63.069.541 light vehicle e 21.071.668 veicoli commerciali1, con un
annesso tasso di occupazione molto alto. Non dobbiamo sottovalutare la rilevanza
sociale che ricopre l’auto essendo, nei paesi industrializzati, la seconda voce di spesa
nel paniere delle famiglie dopo la casa. È diventata il simbolo della moderna società
della produzione e del consumo di massa portando la popolazione a un cambiamento
irreversibile nella concezione di mobilità. Il settore dell’automobile è stato un settore
di riferimento anche per innovazioni tecnologiche e organizzative rivoluzionarie
partendo dal fordismo e taylorismo per arrivare alla lean production. Le imprese della
filiera automobilistica sono, infatti, tra i maggiori investitori al mondo in ricerca e
sviluppo.
La definizione del settore automotive non è univoca e, nella sua accezione più
allargata, può comprendere (Volpato e Zirpoli, 2011):
• I produttori finali degli autoveicoli che vengono a loro volta suddivisi in
produttori di autovetture e di veicoli commerciali (che possono essere
ulteriormente suddivisi in veicoli commerciali leggeri, peso inferiore a 3,5
tonnellate, e pesanti). Questi soggetti vengono tradizionalmente indicati con la
sigla inglese Oem che sta per Original Equipment Manufacturers.
• I produttori di componenti di autoveicoli che sono indicati con la sigla inglese
Cs che sta per Component Supplier. Questi vengono ulteriormente suddivisi in
base all’importanza economica del componente fornito. Si distinguono quindi
in fornitori di primo livello (first tier supplier) che offrono componenti che si
collocano al vertice della catena di fornitura, e fornitori di secondo livello
(second tier supplier) specializzati in alcune parti che confluiscono 1 Oica, l’Organisation Internationale des Constructeurs d’Automobiles.
8
successivamente nei componenti complessi. Solitamente il numero dei livelli di
fornitura può arrivare a quattro o cinque.
• Si devono considerare anche tutte le attività a monte, quindi imprese che
producono beni e servizi per i produttori finali e componentisti (ad esempio i
produttori di acciaio o di altri materiali generici), e le attività a valle, che
riguardano la commercializzazione dei veicoli nuovi e usati e le attività di
manutenzione e riparazione.
Tutto questo insieme di attività va a formare quella che è la catena del valore
(Porter, 1985) dell’industria automobilistica, indicata anche come “filiera
dell’automobile”, vista come l’insieme di attività che vengono svolte per progettare,
produrre, vendere, consegnare e assistere i prodotti da parte delle aziende del settore
(Volpato, 2008).
In questo studio andremo a considerare l’industria automobilistica nella sua
accezione più ristretta che coincide con i produttori finali (Oem) solo nel comparto
delle autovetture tralasciando la produzione di veicoli commerciali medi e pesanti.
1.2. Storia del settore
Lo sviluppo del settore è stato fortemente influenzato dalle differenze geografiche
e dalle vicende politico-‐economiche delle nazioni di appartenenza. In questo elaborato
adotteremo una distinzione che va a considerare questa riflessione differenziando tra
specialisti di fascia alta, generalisti o produttori di grande serie e asiatici.
La tradizione degli specialisti risale in Europa alla nascita della stessa automobile
con auto che si distinguevano per la progettazione delle parti meccaniche, della
carrozzeria e per le prestazioni. L’auto rappresentava quindi un prodotto di consumo
elitario (Clark e Fujimoto,1992).
Negli Stati Uniti il processo di motorizzazione è decollato nel 1908, con qualche
anno di ritardo rispetto all’Europa, grazie a un’offerta di vetture a costo contenuto con
una logica di produzione di serie e un ritmo di motorizzazione molto elevato.
9
Si parla di “approccio fordista” dal lancio della Ford T da parte di Henry Ford. Una
vettura semplice, ma affidabile, con un prezzo alla portata anche degli stessi operai
della Ford. Questo tipo di produzione era indirizzato al mercato di massa senza
operare nessun tipo di variazione nel modello, ma presentando un modello
fortemente standardizzato, guidato da un’ottica rivolta solo al costo e al prezzo finale
del prodotto.
Solo dopo il secondo conflitto mondiale l’industria automobilistica europea ha
avuto un grande e rapido sviluppo ispirandosi alla filosofia americana. Si è passati alla
produzione di automobili che assolvevano la funzione di trasportare una famiglia a
basso costo con la nascita di nuovi produttori generalisti. La produzione di veicoli, in
Europa Occidentale, è passata da 1,6 milioni nel 1950 a 6,1 milioni nel 1960, livello non
molto lontano a quello americano che ne contava 8,3 milioni nel 1960.2
Negli Stati Uniti come nei paesi asiatici le grandi automobili di lusso vennero
trattate come parte integrante della gamma e vennero quindi costruite dagli stessi
produttori delle auto generaliste.
Lo sviluppo della motorizzazione nei diversi paesi forma una curva a “s” passando
da una situazione di scarsa motorizzazione a una di alta motorizzazione. All’inizio, in
Europa, la combinazione reddito disponibile basso da parte della maggioranza delle
famiglie e la produzione di auto di alto livello porta a un livello di motorizzazione che
non riesce a decollare; si assiste a un aumento delle immatricolazioni man mano che i
redditi si alzano e iniziano a prodursi auto a basso costo. In questa fase le soluzioni
tecniche di tipo innovativo venivano introdotte nei nuovi modelli solo dopo che le
innovazioni realizzate nella fase precedente avevano avuto modo di essere
ammortizzate attraverso la produzione prolungata della stessa autovettura (Volpato,
2008).
2 Kim B. Clark Takahiro Fujimoto, Product development performance, Il Sole 24 Ore
Libri, Milano, 1992
10
Negli anni ’70 si è assistito a un altro importante cambiamento tra i consumatori
che aveva portato a rivedere l’usuale distinzione che vedeva una divisione tra auto di
lusso di grandi dimensioni acquistate da appartenenti a una fascia di reddito elevata e
auto piccole e povere di particolari acquistate dalle fasce meno abbienti. Il
cambiamento nella domanda parte da quando l’idea dei “ricchi con macchine grandi e
poveri con macchine piccole” iniziò a barcollare. Individui più abbienti avevano iniziato
a desiderare auto con equipaggiamenti di lusso, ma più piccole per una maggiore
mobilità e soggetti appartenenti a una fascia di reddito più bassa con famiglia
iniziavano a desiderare auto più grandi.
Con gli anni si passa a un mercato dove la maggioranza degli acquirenti possiede
già un’autovettura e va a sostituire la vecchia con una di nuova immatricolazione.
Quest’ultimo passaggio è molto importante perché:
• Segna una svolta notevole nelle esigenze degli automobilisti che cercano
vetture sempre più con un occhio rivolto all’estetica, alla dotazioni di bordo e
prestazioni. L’auto diventa un prodotto socialmente significativo perché,
quando è utilizzata, sia l’auto che il proprietario sono in vista e l’apparenza
inizia ad avere una grande importanza.
• Riduce il tasso complessivo di crescita delle vendite annue.
Le case automobilistiche hanno risposto a questo notevole cambiamento con due
mosse principali che hanno portato a una rivoluzione manifestatasi a metà degli anni
’80. Le case hanno proceduto ampliando notevolmente la gamma di prodotti offerti
cercando di cogliere le esigenze di ogni nicchia di mercato. Si è passati da un’ottica
product oriented, data dal forte prevalere della cultura ingegneristica rispetto alle altre
funzioni aziendali, a un’ottica customer oriented che va ad ascoltare la voce e le
esigenze del mercato. I diversi produttori hanno poi accelerato il ritmo di sostituzione
dei modelli passando da cadenze di 10-‐12 anni a operazioni più leggere di face-‐lifting
ogni 2-‐3 anni (riguardano cambiamenti sulla carrozzeria e sull’arredo interno che
possono essere percepite dall’automobilista, ma comportano modesti costi di sviluppo
11
e attrezzaggio) e ogni 4-‐5 anni un rinnovo più accentuato (che tocca il motore,
dotazioni elettroniche e così via) (Volpato e Zirpoli, 2011).
Queste variabili, insieme con il cambiamento della domanda descritto in
precedenza, hanno portato le case automobilistiche a offrire più varianti e opzioni
possibili. Alfred Sloan, CEO della General Motors negli anni del secondo dopo guerra,
prese la formula di base della Ford e l’arricchì con un maggior numero di modelli,
colori e prestazioni. Sloan, cogliendo l’evoluzione del mercato, creò un sistema di
progettazione basato su poche piattaforme, ma grande varietà di carrozzerie di diversa
forma e colore. Faceva quindi leva sull’ampiezza di gamma e il valore del prodotto
portando il concetto di auto da un veicolo utilitario a un mezzo con un look sempre
nuovo che attirasse i clienti. Questa impostazione espressa dallo slogan coniato dallo
stesso Sloan “A car for every purpose and purse” (“una macchina per ogni scopo e
portafoglio”) costituì negli anni Venti una nuova tendenza che in seguito tutti i
costruttori furono obbligati a seguire, inclusa la Ford.
I produttori hanno tentato di rispondere alla diminuzione della domanda, e al
conseguente problema della crescita nel mercato, con un maggior valore unitario delle
vetture vendute. Per fare un esempio la Ford in Europa nei primi anni ’80 aveva
quattro modelli base e vent’anni dopo ne aveva dieci con un enorme numero di
combinazioni possibili.
A tutto questo si accompagnò un netto innalzamento dei livelli di competitività fra
le case automobilistiche. In un mercato stagnante il continuo lancio di nuovi prodotti
porta a un abbassamento delle economie di scala delle aziende. La proliferazione ha
portato ogni produttore d’auto a investire pesantemente per avere piccoli ritorni
indirizzandosi su segmenti di mercato sempre più piccoli (Maxton e Wormald, 2004).
In una situazione di frammentazione dell’offerta, e il conseguente innalzamento
delle sfide competitive all’interno del settore, il settore dell’auto è stato travolto dalla
grande crisi.
12
La crisi finanziaria scoppiata nel quarto trimestre del 2008 non ha mancato di
produrre effetti negativi nei bilanci di tutte le case automobilistiche con una flessione
delle immatricolazioni mondiali di light vehicle da 69,5 milioni nel 2007 a 56,6 milioni
del 2009. Questo è dovuto alla natura stessa del settore denominato come ciclico
perché è strettamente correlato ai fattori congiunturali.
Figura 1: “Variazioni percentuali della vendita di autovetture” (fonte: Datamonitor).
La crisi ha avuto come effetto:
• Riconfigurazione della struttura dell’industria attraverso operazioni di
fusione e assorbimento permettendo una riduzione notevole dei costi
mettendo in condivisione, a una pluralità di modelli, la componentistica che
non contribuisce ad attribuire la caratterizzazione stilistica di un modello.
Sul fronte commerciale ciò può permettere un allargamento di gamma
offerta e una concentrazione delle reti di distribuzione automobilistica
ampliando anche i mercati serviti. Le reti di distribuzione possono essere
concentrate parzialmente, privilegiando i concessionari prima specializzati
in un singolo marchio nella gestione dei due marchi, oppure far scomparire
13
una rete distributiva a favore dell’altra. Un esempio di utilizzo di
piattaforme condivise, per cercare di ridurre i costi di realizzazione di un
modello dell’ordine del 10% (Volpato, 2008), può essere rappresentato
dalla piattaforma della Golf utilizzata anche per la Skoda Octavia, l’Audi A3
e la Seat Ibiza.
• Rafforzamento delle tecnologie di prodotto e di processo per costruire un
vantaggio competitivo con il quale scalzare la concorrenza accrescendo la
quota di mercato e lo sviluppo di tecnologie powertrain per ridurre la
dipendenza dal petrolio.
• Processo di ampliamento dei mercati serviti sia con fenomeni di
delocalizzazione nei mercati Bric da parte dei marchi più affermati sia da
marchi meno conosciuti, nati in questi paesi, che si propongono di sfruttare
i bassi costi che li caratterizzano per realizzare una crescita nei mercati più
sviluppati. La crisi può essere vista come una forza che ha spostato in modo
massiccio il baricentro geografico. Un esempio è il gruppo coreano Hyundai-‐
Kia che si contraddistingue per una politica basata su un rapporto
competitivo qualità/prezzo a parità di prestazioni con i marchi più
affermati. Una strategia che, come si può vedere nella figura 2, ha portato
una notevole crescita delle immatricolazioni in Europa a dispetto della crisi
per il marchio Hyundai.
14
Figura 2: “Immatricolazioni Europa di Hyundai” (fonte: nostra elaborazione).
Questi trend sono ancora in atto e i possibili sviluppi sono molti. Possiamo dire,
dopo l’analisi dello sviluppo storico del settore, che la crisi non ha fatto altro che
accelerare l’arrivo di un processo di cambiamento che era del tutto inevitabile.
1.2.1. Andamento delle vendite nel periodo considerato
Con i dati delle immatricolazioni a disposizione da ACEA (European Automobile
Manufacturers’ Association) abbiamo potuto delineare nel grafico (figura 3)
l’andamento delle vendite dei veicoli in Europa nel nostro periodo di riferimento
(1990-‐2010) che è stato scelto per sviluppare l’analisi quantitativa che seguirà
nell’elaborato.
-‐
50.000
100.000
150.000
200.000
250.000
300.000
350.000
400.000
450.000
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Immatric
olazioni
15
Figura 3: “Andamento immatricolazioni 1990-‐2010” (fonte: nostra elaborazione da
dati ACEA).
Come si può notare l’andamento delle vendite ha subito una caduta notevole nel
1993 per poi risalire anno dopo anno arrivando al picco nel 1999 con 15.066.357 unità.
In corrispondenza della crisi finanziaria, iniziata nel 2008, si vede come il numero di
immatricolazioni sia iniziato a scendere arrivando, nel 2010, appena al disotto delle
13.000.000 unità.
Questo va a dimostrare come il settore dell’auto risenta molto dei fattori
congiunturali e del ciclo economico, per la caratteristica di essere un bene durevole
che non è di prima necessità. Va anche considerato che i continui progressi qualitativi
hanno determinato un allungamento della sua vita utile, tale da rendere meno
pressante l’esigenza di sostituzione per motivi di affidabilità tecnica e/o sicurezza.
10.000.000
11.000.000
12.000.000
13.000.000
14.000.000
15.000.000
16.000.000
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
16
1.3. Principali protagonisti
Riferendoci all’industria automobilistica nella sua accezione più ristretta, quindi ai
soli Oem produttori di veicoli leggeri, ci troviamo di fronte a una concorrenza tra
diversi gruppi titolari, nella maggior parte dei casi, di più marchi per riuscire a coprire
più segmenti di mercato con la propria offerta.
Abbiamo svolto un’analisi sulle principali fusioni e acquisizioni avvenute dal 2000 al
2010 per i principali gruppi che sono stati presi in considerazione. Esse sono
sintetizzate nella tabella 1 qui di seguito.
17
Case 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 TOYOTA Daihatsu = = = = = = = = =
GENERAL MOTORS
Daewoo, Chev, Cadillac, Opel = = = = = = = = =
VOLKS WAGEN
Audi, Seat, Skoda, Bentley, Bugatti, Lamb
= = = = = = = + Por =
HYUNDAI Kia = = = = = = = = =
FORD Jaguar, Vo, LR, AM = = = = = J, Vo, LR
Vo = /
NISSAN HONDA PEUGEOT e CITROEN
SUZUKI RENAULT
FIAT Maserati, Ferrari = = = = = = = + Chr =
DAIMLER Chr, MB = = = = = MB = = =
BMW Mini, Rolls Royce = = = = = = = = = MAZDA
MITSUBISHI CHANG'AN
AUTOMOBIL GROUP
TATA
J, LR = = FAW
Vo
Tabella 1: “Fusioni e acquisizioni” (fonte: nostra elaborazione).
Legenda: -‐ “=” i marchi sono invariati
-‐ “+..” quando agli altri marchi ne viene aggiunto un altro
-‐ Sigle: LR = Land Rover, AM = Aston Martin, Lamb = Lamborghini,
Chev = Chevrolet, Chr = Chrysler, Vo = Volvo, J = Jaguar, Por =
Porsche, MB = Mercedes.
18
Nel settore dell’automobile, come negli altri settori, una considerevole importanza
è ricoperta dalla marca. Il brand può aggiungere valore al prodotto e, in un mercato
come quello dell’auto dove la maggior parte dei marchi ha una grande storia alle
spalle, si può parlare di “capitale di immagine” che si traduce in un elevato grado di
fedeltà e fiducia da parte del cliente. Il brand deve essere visto come una sintesi di
tutte le caratteristiche materiali e immateriali che rendono un articolo unico e
inimitabile; caratteristiche che rendono il cliente disponibile a pagare il cosiddetto
premium price, cioè un differenziale di prezzo, in seguito a ciò che ha appreso e
percepito del brand (Montrucchio, 1999). Secondo alcuni osservatori il panorama
competitivo sarà basato sempre di più sulle marche e quindi sarà necessario possedere
dei brand che riescano a dominare il mercato.
Il valore economico di una marca è il corrispettivo del valore che essa genera per il
consumatore (Kerin, Hartley, Berkowitz e Rudelius, 2007). Kapferer e Thoening hanno
fatto derivare il valore della marca da alcune funzioni che essa svolge:
• Funzione di identificazione, perché permette al prodotto di essere
riconosciuto.
• Funzione di orientamento, perché riduce i costi di ricerca permettendo al
consumatore di orientarsi nel momento dell’acquisto.
• Funzione di garanzia, in quanto identifica e responsabilizza il produttore,
impegnandolo a offrire un livello specifico e costante di qualità riducendo il
rischio del consumatore.
• Funzione di personalizzazione, grazie alle valenze simboliche legate alla
marca che permettono al consumatore di esprimere esteriormente la
propria immagine.
Nel caso dell’auto le funzioni di garanzia e personalizzazione hanno un ruolo molto
rilevante visto l’elevato grado di complessità del prodotto di riferimento. La funzione di
garanzia è importante perché il rischio percepito dal consumatore è elevato, derivante
dall’alto costo dell’automobile di cui non è in grado di valutare con precisione il livello
di qualità. La funzione di personalizzazione è sempre più presente nell’acquisto di
19
un’automobile perché è considerata come un bene da esibire che esprime la
personalità di ogni individuo.
Interbrand, una società che si occupa di analisi sul Brand Value, pubblica ogni
anno una classifica dei cento brand al mondo in base al loro valore. Come possiamo
vedere dalla figura 4 il valore che viene attribuito ad ogni marchio equivale ai guadagni
attribuibili alle vendite aggiuntive dovuta alla sola forza del brand. Interbrand
considera il valore del brand come un qualsiasi altro asset aziendale quindi sulla base
dei flussi economici che esso potrà generare in futuro e sul grado di rischio. Questa
società combina proiezioni di analisti, report finanziari e proprie analisi qualitative e
quantitative per arrivare a un valore attuale netto di tali flussi. Sostanzialmente il
valore del brand è dato dalla differenza di prezzo che il consumatore è disposto a
pagare per avere dei prodotti con quella determinata marca rispetto a quanto li
pagherebbe senza marca (Cappellari, 2008).
Si può vedere come all’inizio del decennio scorso solo sei marchi del settore
automotive comparivano nella classifica dei cento brand con più valore, ma, nel corso
degli anni, il numero sia aumentato a dieci. Questo può dimostrare quando la potenza
dei singoli brand sia una forza propulsiva da sfruttare soprattutto in una fase di crisi
come quella che caratterizza questi ultimi anni.
20
Figura 4: “Valore dei Brand” (fonte: nostra elaborazione sui dati Interbrand).
Si deve tener presente che, in presenza di un mercato automobilistico saturo con
una domanda debole, causata dalla crisi economica, il brand ricopre un ruolo sempre
più importante perché la motivazione alla base dell’acquisto è quella di concedersi una
gratificazione piuttosto che di semplice possesso di un mezzo di trasporto.
L’esperienza di consumo diventa sempre più “un’esperienza cognitiva che ha valore
per il significato che le viene dato” (Rullani, 2004). Il valore della marca nel settore
auto ha lo stesso peso che ha nel settore della moda e del lusso quindi legato
soprattutto alla capacità di attribuire un cuore e un’anima agli oggetti, trasformando
così un’auto da un mezzo di trasporto a un’espressione di se stessi e del proprio modo
di essere. Il consumatore va sempre più alla ricerca di brand che siano coerenti con i
propri valori e stili di vita.
Sotto l’influenza di questa nuova motivazione all’acquisto che caratterizza il
mercato odierno possiamo leggere diversi fenomeni di brand extension intesa come
l’entrata in nuovi settori cercando di utilizzare il nome di una marca di successo per
-‐
5.000
10.000
15.000
20.000
25.000
30.000
35.000 Milion
i di dollari
2001
2002
2009
2010
21
lanciare dei prodotti (Kotler, 2004). Nel settore auto essa si è manifestata con accordi
formalizzati di licensing che consiste nella concessione da parte del proprietario
(licenziante) a un altro soggetto (licenziatario) di diritti d’uso sulla marca soggetta a
tutela giuridica. Un esempio è la 500 della Fiat che ha utilizzato come licenziataria il
marchio Gucci e Diesel. Per la 500 ha rappresentato un notevole vantaggio per la
crescita del giro di affari derivante dalla notorietà del marchio utilizzato.
1.4. Ruolo dell’innovazione nel settore auto
Come si è potuto evidenziare il settore ha subito notevoli cambiamenti a livello
competitivo che si sono tradotti in importanti innovazioni, anche sul piano tecnologico.
In questo contesto, l’innovazione tecnologica diventa uno degli strumenti principali
a disposizione dell’impresa per riuscire a rispondere con successo alla ricerca di varietà
dei consumatori, contrastando la crescente concorrenza globale, differenziando la
propria offerta.
L’innovazione tecnologica è diventata il fattore determinante del successo
competitivo in quanto, per la maggior parte delle imprese, innovare è un imperativo
strategico fondamentale per mantenere e acquisire posizioni di leadership nel mercato
così come per recuperare condizioni di svantaggio competitivo (Schilling, 2009).
Schumpeter identifica l’innovazione come una “creative destruction”, la maggiore
forza che va ad influenzare il cambiamento industriale e lo sviluppo economico.
Quando parliamo d’innovazioni tecnologiche intendiamo tutti i prodotti e processi
dell’impresa che possono essere considerati nuovi o migliorati rispetto a quelli
precedenti dal lato delle caratteristiche tecniche, funzionalità, prestazioni e così via.
In un settore come quello dell’auto caratterizzato per essere di tipo capital
intensive, quindi con notevole necessità di capitale e una grande quantità di costi fissi,
molti attori si sono trovati di fronte alla necessità di incrementare la produttività
cercando di ridurre i costi fissi agendo sullo sviluppo delle economie di scala. Per fare
questo, a livello di mercato, abbiamo assistito a sempre più fusioni e acquisizioni che
22
permettono di coprire con il posizionamento dei singoli brand diversi segmenti di
mercato e, a livello tecnologico, l’utilizzo di piattaforme condivise.
1.4.1. Diversi tipi di innovazione
Una delle distinzioni principali che si possono evidenziare riguarda la natura
dell’innovazione distinguendo tra innovazione di prodotto o processo (Schilling, 2009).
Le innovazioni di prodotto sono incorporate nei beni e nei servizi realizzati
dall’impresa. Producono più facilmente un vantaggio competitivo esterno poiché
apportano un miglioramento del servizio reso al cliente o una migliore risposta ai suoi
bisogni introducendo sul mercato un prodotto tecnologicamente nuovo o migliorato in
termini di performance, facilità d’uso, caratteristiche tecniche e così via. Non può
essere considerata un’innovazione la sola variazione di caratteristiche estetiche o nel
design che non determinano una modifica nelle sue caratteristiche tecniche e
funzionali.
Le innovazioni di processo riguardano dei cambiamenti nelle modalità in cui
l’impresa svolge la sua attività e sono spesso orientate a un miglioramento
dell’efficacia e dell’efficienza dei sistemi di produzione. Sono, in genere, più adatte alla
creazione di un vantaggio competitivo interno, per via di una maggiore efficienza, della
riduzione dei costi e così via.
Spesso le innovazioni di prodotto e di processo sono tra loro simultanee e correlate
in quanto:
• Un nuovo prodotto può determinare lo sviluppo di nuovi processi
• Un nuovo processo può consentire la realizzazione di nuovi prodotti
• Un’innovazione di prodotto introdotta da un’impresa può essere
un’innovazione di processo per un’altra.
Le innovazioni di prodotto e processo possono essere ulteriormente suddivise:
• In base alla profondità del miglioramento introdotto possiamo distinguere tra
innovazione radicale o incrementale secondo una classificazione fatta da Dewar
e Dutton nel 1986 che riguarda la distanza tra l’innovazione e il prodotto o
23
processo preesistente. Le innovazioni radicali dovrebbero essere di completa
rottura con il passato, risultare differenti dai prodotti o processi produttivi
precedenti. Le innovazioni radicali presentano un elevato tasso di rischio
perché, incorporando nuove conoscenze, ogni produttore o cliente potrà
esprimere un giudizio differente sulla sua utilità o affidabilità. Le innovazioni
incrementali non presentano caratteristiche particolarmente nuove o originali,
possono essere già note all’interno del settore o dell’impresa e consistono in
cambiamenti marginali; riguardano miglioramenti continui delle prestazioni con
il raffinamento di soluzioni esistenti e implicano, in pratica, la costante ricerca
di miglioramento da parte dell’impresa.
Questa distinzione presenta una componente di relatività in quanto la novità di
un prodotto o processo può cambiare a seconda del tempo o della prospettiva
di analisi. Per quanto riguarda l’aspetto temporale, un’innovazione considerata
da qualche tempo radicale potrebbe assumere un carattere incrementale man
mano che le conoscenze che hanno contribuito a generarla si diffondono. Per
quanto riguarda la prospettiva di analisi il grado di novità dal punto di vista
dell’impresa può essere diverso rispetto a quello del cliente.
Per quanto riguarda l’impresa (tabella 3) più essa si avventura su terreni nuovi
più il rischio strategico diventa rilevante. Nel caso di prodotto e mercato noti ci
troviamo di fronte a prodotti riformulati, migliorati e nuove generazioni di
prodotti. Si tratta di penetrazione del mercato dove il rischio per l’impresa è
limitato. Se il mercato è nuovo, ma il prodotto è noto si tratta di uno sviluppo
attraverso i mercati e quindi non possiamo parlare di innovazione per l’impresa
stessa. Se il mercato è noto e il prodotto è nuovo siamo in presenza di
aggiornamenti di caratteristiche, estensioni di gamma, nuove linee di prodotti.
In questo caso il rischio è alto e chiama in causa competenze di tipo tecnico. Se
il mercato e i prodotti sono nuovi si tratta di rischi ancora più elevati.
24
Grado di novità del
mercato per l’impresa
Grado di novità del prodotto per l’impresa
Basso Elevato
Basso (clientela attuale) Prodotti riformulati o
migliorati
Nuova generazione
Aggiunta alle linee di
prodotti esistenti
Nuova linea di prodotti
Alto (clientela nuova) Estensione di prodotti
esistenti
Prodotti radicalmente
nuovi
Diversificazione
Tabella 3: “Grado di novità per l’impresa” (fonte: Abernathy e Clark, 1985).
Per quanto riguarda il cliente, l’innovazione può richiedere un cambiamento
comportamentale anche senza una reale modifica tecnologica del prodotto
stesso (tabella 4). Nel caso di semplici miglioramenti, che implicano un
perfezionamento del prodotto, essi non hanno alcun impatto sul
comportamento dell’utilizzatore (per esempio, nel settore degli smartphone, il
passaggio dall’iphone 4 al 5 o, nel settore auto, il restyling da parte della
Mercedes della classe A avvenuto nel 2008 dopo l’uscita della seconda serie
avvenuta nel 2004). Si può parlare di conversioni tecnologiche quando si assiste
a cambiamenti tecnologici rilevanti che non hanno conseguenze nel
comportamento dei consumatori (ad esempio con l’introduzione dell’airbag o
dell’ABS nel settore auto). Le innovazioni comportamentali significano che
siamo di fronte a innovazioni a debole cambiamento tecnologico che portano
però un cambiamento notevole nel comportamento dei consumatori (per
esempio il riciclaggio obbligatorio dei prodotti). Siamo di fronte a mutamenti
radicali quando si è davanti a nuovi prodotti che si fondano su cambiamenti
tecnologicamente rilevanti e che modificano il comportamento di consumo o
utilizzo del cliente (ad esempio, nel settore auto, l’invenzione dell’auto elettrica
25
porta notevoli ripercussioni per il cliente sull’utilizzo e alimentazione del
mezzo).
Generalmente si può dire che la ricettività del cliente varia in base all’intensità
del cambiamento comportamentale che gli viene richiesto. Il cliente accetterà
molto più difficilmente un’innovazione che implica un cambiamento
comportamentale rispetto a una che comporta solo un cambiamento
tecnologico. In questo caso si deve tener conto di quelli che sono gli switching
cost (costi di cambiamento) che il consumatore deve sostenere nel momento in
cui adotta un prodotto che va a cambiare quelle che sono le sue abitudini
comportamentali.
Cambiamento
tecnologico per il cliente
Cambiamento comportamentale per il cliente
Basso Elevato
Basso Miglioramento Metamorfosi
comportamentale
Elevato Conversione tecnologica Mutamento radicale
Tabella 4: “Grado di novità per il cliente” (fonte: Abernathy e Clark, 1985).
• In base all’effetto che esercita sulle competenze possedute dall’impresa si può
distinguere in innovazione competence enhancing e competence destroying.
Un’innovazione competence enhancing consiste in un’evoluzione della base di
conoscenze preesistenti in cui ogni generazione fa leva sul patrimonio di
conoscenze acquisendo così un valore sempre crescente (per esempio ogni
generazione dei diversi modelli di auto parte da quella precedente
migliorandola). Si parla di innovazione competence destroying se la nuova
tecnologia non scaturisce da competenze già possedute o se le rende
addirittura inadeguate e obsolete (ad esempio l’effetto che ha avuto
l’introduzione del computer sulla macchina da scrivere).
26
• In base al suo ambito di destinazione possiamo distinguere l’innovazione
architetturale e modulare. Questa distinzione parte dalla considerazione che la
maggior parte dei prodotti e dei processi sono un sistema nidificato, ordinato in
modo gerarchico, composto da tante componenti e, ogni singolo componente,
è formato anch’esso da tante piccole parti. Henderson e Clark nel 1990
propongono questa classificazione osservando la difficoltà che dei potenziali
entranti in un segmento di mercato incontrano anche solo ricorrendo a
innovazioni incrementali, sottolineando l’importanza di possedere quelle che
loro chiamano competenze “architetturali”, relative alla capacità di
riconfigurare l’architettura del prodotto in maniera originale, anche a parità di
tecnologie delle parti utilizzate (Baglieri, 2003). Per innovazione modulare si
intende un’innovazione che prevede cambiamenti di uno o più componenti
senza modifiche sostanziali alla configurazione generale del sistema (ad
esempio l’introduzione dell’airbag nell’auto può essere vista come
l’introduzione di un nuovo “modulo”, per una maggiore sicurezza in auto, a
parità di architettura del prodotto). L’innovazione architetturale consiste in un
cambiamento della struttura generale del sistema o del modo in cui i
componenti interagiscono tra loro. Spesso questo tipo di innovazioni
comportano dei cambiamenti nel sistema che si ripercuotono sul progetto nel
suo complesso.
1.4.2. Integrità di prodotto nel settore auto
In un settore come quello dell’auto non bastano buone prestazioni e bassi costi
per potersi assicurare un vantaggio significativo, ma sono un punto focale per la
competitività è l’integrità del prodotto. Le aziende che operano in questo settore non
possono competere puntando semplicemente sulla superiorità di una tecnologia
proprio perché la tecnologia del prodotto è complessa e in costante evoluzione.
Come abbiamo detto in precedenza le innovazioni di tipo incrementale, tanto nei
prodotti quanto nei processi, in questo settore sono sempre più frequenti spostando
27
costantemente verso l’alto lo standard di eccellenza del prodotto. All’interno del
settore si può riscontrare un notevole balzo in avanti che porta le imprese ad
accorciare il ciclo di vita del prodotto e a introdurre, con sempre maggiore velocità,
nuovi prodotti. Si è giunti così a una maggiore segmentazione del mercato e a una più
rapida obsolescenza del prodotto. L’innovazione è realmente un elemento cruciale
perché un’impresa che non è in grado di sostenere i rapidi ritmi di innovazione vedrà i
margini di profitto ridursi, non appena i suoi prodotti inizieranno a diventare obsoleti,
e la sua inevitabile uscita dal mercato.
L’eccellenza del prodotto offerto è qualcosa di molto più ampio rispetto alle sole
prestazioni tecniche e funzionalità. I consumatori, che hanno già sperimentato il
prodotto, pretendono sempre di più un equilibrio complessivo tra le diverse
caratteristiche quali le funzioni di base, l’estetica, l’affidabilità e il costo d’acquisto ed
uso. Per capire se un prodotto ha raggiunto la sopra citata integrità deve riuscire a fare
coincidere questo equilibrio e, di conseguenza riesce ad attirare e soddisfare clienti.
L’integrità di prodotto è sia interna che esterna:
• Interna si riferisce alla coerenza fra funzione e struttura del prodotto ad
esempio se le parti si adattano bene l’una all’altra. Viene realizzata dal
processo di sviluppo soprattutto grazie al coordinamento interfunzionale che
coinvolge anche i fornitori di componenti.
• Esterna nella misura con cui le funzioni e la struttura del prodotto soddisfano
gli obiettivi, i valori, lo stile di vita e il senso d’identità dei clienti. Questo tipo di
integrità è correlata al rapporto tra produttore e cliente in quanto il concetto di
prodotto è il ponte di collegamento tra quelli che sono i bisogni del cliente e la
parte di progettazione del prodotto; per questo diventa fondamentale, ai fini
dell’integrità esterna, il processo che l’azienda utilizza per creare il concetto di
prodotto e realizzarlo in un progetto.
L’integrità deve quindi essere vista come una forma di coerenza tra queste due
dimensioni.
28
In un settore complesso come quello dell’automobile non bisogna sottovalutare
anche la complessità delle relazioni interne ed esterne che continuano ad aumentare.
Durante lo sviluppo del prodotto entrano in gioco diversi tipi di relazioni che possono
essere schematizzate nella seguente figura 5.
Figura 5:”Gestione delle relazioni” (fonte: nostra elaborazione da Maxton e
Wormald, 2004).
La funzione di ingegnerizzazione del prodotto devi assicurarsi che sia presente e
utilizzabile la giusta tecnologia da poter poi inserire all’interno del prodotto. Deve
anche fare i conti con tutte le regolamentazioni poste dai diversi governi e dalle
istituzioni internazionali. Questa funzione deve anche combinare nel modo corretto
tutti i sistemi e componenti forniti dai fornitori durante il processo di sviluppo del
prodotto. Lo styling deve essere letto come la capacità di riuscire ad anticipare e
interpretare quelle che sono le esigenze e i gusti del mercato in unione con la
ingegnerizzazione del prodotto. Il marketing deve poi assicurare una compatibilità tra
la scelta dei partner per la distribuzione e una giusta promozione del prodotto.
Marketing
Styling Product engineering
Branding Distribuzione
Gusto
Normative
Tecnologia
Sviluppo di sistemi e
componenti
29
Durante la creazione del prodotto tutte queste relazioni, interne ed esterne, devono
essere tenute assieme e sostenute.
Tutto questo sta diventando sempre più complesso nel corso del tempo. Le varie
case del settore auto, introducendo sempre più modelli e versioni, risentono sempre di
più della difficoltà di gestire questo equilibrio. I consumatori hanno aspettative sempre
più alte in termini di performance, sicurezza, attrattività e rispetto dell’ambiente;
sempre più innovazioni tecnologiche sono state offerte per riuscire ad assicurare tutto
questo.
Nel corso di questo capitolo cerchiamo di analizzare il modo in cui le aziende
operanti nel settore dell’auto cerchino di raggiungere l’integrità dei prodotti che vanno
ad offrire sul mercato.
1.4.3. Qualità del prodotto e lead time
Un fattore essenziale per la competizione tra le aziende è lo sviluppo del prodotto
che deve avere la capacità di attrarre e soddisfare il cliente.
Questa capacità del prodotto è data da tre dimensioni del suo processo di
sviluppo:
• Qualità totale del prodotto, TPQ, misurata dal grado in cui il prodotto soddisfa
le esigenze del cliente. È influenzata sia da attributi oggettivi, come il consumo
di benzina o la velocità di accelerazione, che da attributi soggettivi, come lo
styling.
• Lead time che è la misura della rapidità con cui la casa riesce a passare dal
concetto al mercato; se si fa coincidere l’inizio del progetto con lo sviluppo del
concetto il lead time è il tempo richiesto per progettare e introdurre sul
mercato il prodotto. Il lead time è una variabile strategica molto importante
che va ad influenzare l’attrattività del prodotto sul mercato. Le case con lead
time troppo lenti rischiano di proporre al mercato prodotti che sono già
obsoleti. Tuttavia anche l’eccessiva velocità può non rappresentare un
vantaggio. Lead time troppo brevi possono causare una progettazione troppo
30
affrettata che può compromettere il livello di prestazione del prodotto. Il lead
time dipende quindi sia dal livello della tecnologia presente che dalle condizioni
del mercato in cui l’azienda si trova ad operare perché, in un mercato
turbolento, chi riesce a rinnovare con un ciclo più veloce ha un vantaggio
competitivo rispetto ai concorrenti. Nel settore auto il lead time, denominato
anche time to market, superava facilmente i 2-‐3 anni, ma da tempo le case
automobilistiche si sono adoperate per ridurre la tempistica e scendere al di
sotto dei 24 mesi. Ad esempio in occasione del lancio della Grande Punto la Fiat
ha conseguito un importante traguardo scendendo sotto i 24 mesi, ma con la
Bravo il time to market è passato a soli 18 mesi e questo ha rappresentato un
record per l’intero settore (Volpato, 2008).
• Produttività cioè il livello di risorse richiesto per portare a termine il progetto
dallo stadio di concetto a quello di prodotto commercializzabile. Questa
dimensione ha un effetto diretto sul costo di produzione unitario e, di
conseguenza, sul numero di progetti che la casa costruttrice può portare a
compimento.
L’azienda automobilistica può usare in diversi modi i vantaggi derivanti da una
migliore produttività. Può cercare un vantaggio competitivo attraverso un
frequente rinnovo dei modelli oppure mantenendo fisso il tempo di rinnovo e
ampliando la gamma dei prodotti offerti per coprire i bisogni di più nicchie del
mercato.
Ad esempio, un dipendente Toyota nel 1950 riusciva ad assemblare in media
non più di due veicoli all’anno, ma questo rapporto già nel 1960 era salito a
14,8 e nel 1970 a 19,4. Oggi Toyota, grazie al suo sistema di produzione, è
dotata di un livello di personalizzazione del prodotto altissimo riuscendo a far
uscire annualmente dalla propria catena di montaggio circa 32.000 modelli
diversi.
31
Figura 6: “Dimensione della prestazione dello sviluppo del prodotto” (fonte: Clark,
Fujimoto, 1992).
Nel corso degli ultimi trent’anni abbiamo assistito a una profonda trasformazione
che non tocca solo l’innovazione tecnologica e le prestazioni delle auto (che possiamo
ricondurre alla Qualità totale del prodotto), ma anche i processi che toccano sia la
divisione del lavoro nel complesso della filiera automobilistica, ripartizione dei compiti
all’interno della casa costruttrice e le relazioni dei singoli prodotti con la gamma dei
modelli proposta (per rispondere all’esigenza di ridurre il lead time e aumentare la
produttività).
Analizziamo ora in dettaglio la modalità con cui il settore dell’auto ha risposto a
questi cambiamenti.
Lead Time Produttività
Qualità Totale del Prodotto
Competitività a lungo termine
32
1.4.4. Esternalizzazione e standardizzazione
In precedenza la casa automobilistica progettava in misura quasi totalmente
integrale l’automobile. L’azienda, effettuata la progettazione, decentrava le attività di
produzione delle parti a dei fornitori che poi dovevano rifornirle alle linee di
assemblaggio degli stabilimenti. In questo stadio la gran parte dei produttori di
componenti era coinvolta solo nella fase di manufacturing con il compito di produrre
con precisione i pezzi richiesti rispettando la tempistica concordata con l’Oem.
La necessità di introdurre con un ritmo crescente innovazioni all’interno del
mercato ha portato le aziende automobilistiche a rivedere il loro rapporto con i
fornitori. Per affrontare l’accelerato ritmo di innovazione, la riduzione del ciclo di vita
del prodotto e l’abbattimento dei costi le case auto sono ricorse all’esternalizzazione.
L’idea di coinvolgere i fornitori nel processo di sviluppo del prodotto si diffonde a
seguito del successo avuto soprattutto durante gli anni Novanta della lean production
nata in Giappone (Womack et al., 1990). Queste pratiche avevano dimostrato di essere
funzionali al miglioramento della performance innovativa dell’impresa in termini sia di
tempi, costi e qualità.
Si parla anche di comakership per identificare il processo per cui le potenzialità di
tipo produttivo del fornitore vengono integrate all’interno dell’azienda mettendo al
primo posto il cliente finale, cooperando cercando di soddisfare il suo bisogno
(Camuffo e Volpato, 1997).
Nel caso del settore auto il rapporto con i fornitori si è spinto oltre alla
comakership andando a coinvolgerlo nella vera e propria progettazione del prodotto.
Si parla, in questo caso, di codesign andando a coinvolgere il fornitore nelle fasi di
progettazione e sviluppo del prodotto.
Si passa così da un fornitore di tipo integrato (Castagna, 2008), che conosce lo
scopo delle sue forniture e le funzioni che dovrà svolgere che vengono commissionate
dall’impresa, a un fornitore “partner”, che contribuisce alla messa a punto del business
comune con tecnologie proprie che saranno presenti nel prodotto finale.
33
Oltre all’esternalizzazione un passaggio importante è stata la standardizzazione
del prodotto. Occorreva che le auto prodotte potessero essere declinabili in diverse
caratterizzazioni riuscendo comunque a preservare la massima standardizzazione per
favorire le economie di scala. Utilizzare parti comuni permette di ripartire su diversi
modelli i costi fissi di ricerca e sviluppo e di produzione. Oltre a questo anche il fatto
che le parti sono già state collaudate sul campo fa sì che possano essere apportati i
miglioramenti necessari per ridurre al minimo i rischi di difetti o errori.
Per fare questo è necessario che l’azienda abbia un’approfondita conoscenza
architetturale del prodotto in sviluppo che gli permetta di identificare quelli che sono i
componenti del prodotto e il modo in cui questi sono integrati e coordinati all’interno
del sistema (Zirpoli, 2010). Si parla in questo caso di innovazione di tipo architetturale
che cambiano il modo in cui le parti dialogano tra loro, lasciando i concetti core
invariati.
È conveniente utilizzare la stessa architettura per una pluralità di modelli, definita
anche come comunanza di piattaforme (termine che sta ad indicare una parte comune
del pianale della carrozzeria e di componenti), perché si ha una notevole riduzione dei
costi e un accorciamento dei tempi.
Ovviamente sia l’esternalizzazione che la standardizzazione presentano dei lati
negativi:
• Quando l’esternalizzazione viene spinta troppo all’estremo l’impresa può
trovare difficoltà sotto due aspetti molto importanti riguardanti lo sviluppo
di nuovi prodotti e il governo della sua filiera. Lo sviluppo di nuovi prodotti
diviene sempre più complesso perché, quando un set di compiti di
progettazione è esternalizzato, l’azienda rischia uno svuotamento di
competenze. Il learning by doing è qualcosa di essenziale per l’Oem per
sviluppare una conoscenza sui componenti che verrà poi utilizzata per
l’integrazione nel prodotto finale e, con un’esternalizzazione eccessiva,
viene persa. “Il fallimento di questa strategia è causato dal decadimento
della conoscenza specifica sui componenti che porta al decadimento di
34
competenze più generali di integrazione di sistema” (Zirpoli, 2011). Si deve
riuscire a trovare un trade-‐off tra il buy (vantaggi in termini di costo e
qualità) e il make (le imprese devono produrre per conoscere). Prahalad e
Hamel (1990) sviluppano il concetto di core competence basata sull’idea
che, in un portafoglio prodotti, diversi prodotti possono basarsi su
competenze comuni. Un’idea che si è sviluppata dal concetto di core
competence, legata al fenomeno dell’esternalizzazione e
all’impoverimento di conoscenze, è quella di esternalizzare solo quello che
non tocca quelle attività fondamentali (core) che devono essere sviluppate
in-‐house.
• La standardizzazione e quindi l’utilizzo di parti comuni, soprattutto in
carrozzeria può avere effetti negativi a livello di personalità di prodotto nel
senso che il nuovo modello può apparire simile al precedente. Può avere
anche l’effetto di peggiorare il lead time e il carico di lavoro di
progettazione perché le parti esistenti possono porre dei vincoli molto
rigidi che possono causare uno sforzo notevole per progettare la parte
rimanente del prodotto. Infine la decisione di utilizzare un componente già
esistente può rappresentare la rinuncia all’opportunità di introdurre una
nuova tecnologia, con una possibile riduzione della competitività nel lungo
termine.
35
2. Il prodotto Auto Un prodotto è “tutto ciò che può essere offerto a un mercato a fini di attenzione,
acquisizione, uso e consumo, in grado di soddisfare un desiderio e un bisogno” (Kotler,
2002).
L’automobile può essere classificata come:
• Un bene durevole, in quanto è un prodotto tangibile che dura nel tempo,
utilizzato molte volte e richiede un maggior volume di assistenza e
garanzia, ma consente margini più elevati.
• Bene ad acquisto saltuario e ponderato perché il consumatore, durante il
processo di selezione e di acquisto, confronta abitualmente con altri beni
per quanto riguarda la qualità, la capacità di rispondere al bisogno, il
prezzo e lo stile.
• Prodotto complesso. Come si può vedere nella figura 5, che permette di
analizzare le due dimensioni di un prodotto cioè la complessità della
struttura interna (per esempio il numero di componenti e delle fasi di
produzione) e la complessità dell’interfaccia dell’utilizzatore (per esempio il
numero e la specificità dei criteri prestazionali). Un’automobile essendo
composta da moltissimi componenti, dotati di una grande complessità
tecnologica e richiedendo processi produttivi composti da molte fasi ha
una complessità della struttura interna sicuramente molto elevata.
L’automobile è sicuramente complessa, anche esternamente, in quanto le
“motivazioni all’acquisto tendono ad essere altamente emotive e
soggettive, comprendono fantasie e simboli e sono difficili da tradurre in
specifiche tecniche” (Clark e Fujimoto, 1992). Di conseguenza, molto
importante per l’azienda automobilistica, è tener conto dell’esperienza
fatta nello sviluppo dei vari modelli per rispondere al meglio alle esigenze
dei clienti.
36
Figura 7: “Tipologia di prodotti in termini di complessità” (fonte: Clark e Fujimoto,
1992).
La complessità esterna dell’automobile ci porta a parlare dell’importanza del saper
ascoltare quelle che sono le esigenze del consumatore. È essenziale quindi che
all’interno dello sviluppo prodotto si crei una simulazione dell’esperienza del
consumatore. Il grado in cui il gruppo di sviluppo riesce a mettersi nei panni dei
potenziali clienti è essenziale per l’efficacia dello sviluppo del prodotto. Nella misura in
cui cambiano i bisogni del cliente e i criteri di valutazione, devono anche cambiare i
criteri di sviluppo. Possiamo parlare in questo caso di “integrazione esterna” (Clark,
Fujimoto, 1992) quando tutti gli sforzi dell’azienda automobilistica sono indirizzati per
uniformare le attività di sviluppo all’esperienza del cliente.
Nel caso del settore automobilistico la capacità di simulazione esterna diventa
molto importante perché si riesce ad indirizzare lo sviluppo del prodotto solo su quelle
variabili che realmente interessano il cliente tralasciando quelle meno rilevanti. Ad
Alta
Bassa
Bassa Alta
Prodotti
caratterizzati dai
componenti
(es. attrezzature)
Prodotti
complessi
(es. automobile)
Prodotti semplici
(es. prodotti
confezionati
convenzionali)
Prodotti caratterizzati dall’interfaccia con l’utilizzatore (es. orologio)
Complessità de
lla struttura interna
Complessità interfaccia esterna
37
esempio se al cliente appartenente al segmento di riferimento interessa la velocità, la
potenza e le dimensioni, lo sforzo dello sviluppo prodotto dovrà indirizzarsi verso
queste variabili tralasciando, ad esempio, l’economicità dei consumi.
Bisogna quindi aver presente che la validità di un prodotto si misura “sempre in
termini di adeguatezza alle esigenze della clientela; un prodotto ha o non ha successo
nella misura in cui risponde alle esigenze espresse e/o latenti della clientela” (Volpato,
2011).
Come conseguenza dell’allargamento della gamma e della riduzione del ciclo di
vita del prodotto, portando a un’uscita sempre più ravvicinata delle innovazioni
tecnologiche, ogni consumatore ha una vasta scelta tra automobili di elevati standard.
Facendo riferimento ai cinque livelli di prodotto individuati da Kotler (vantaggio
essenziale, ciò che il cliente riceve in termini di soluzione al bisogno, prodotto
generico, incorpora il vantaggio essenziale ed è la versione di base del bene, prodotto
atteso, l’insieme di attributi che il cliente si aspetta, prodotto ampliato, comprende
servizi e vantaggi addizionali, e il prodotto potenziale, insieme di tutti i possibili
ampliamenti e trasformazioni che potrebbero avere come oggetto il prodotto futuro)
possiamo vedere come la base competitiva delle aziende operanti nel settore
dell’automobile sia notevolmente cambiata. Nella fase iniziale, agli inizi del Novecento,
la base competitiva, per gli Oem appartenenti al segmento generalista, era a livello di
prodotto atteso dove ci si aspettava dall’automobile un semplice servizio di trasporto
con degli attributi, dati per scontati, come volante, ruote e sedili. Successivamente,
con il crescere del tasso di motorizzazione e l’aumento dell’offerta per portare il
cliente a un acquisto di sostituzione, la base competitiva si sposta su un prodotto
ampliato. Come afferma Levitt “la competizione si svolge più fra ciò che le imprese
aggiungono ai loro prodotti” sotto forma, in questo caso, di opzioni aggiuntive e
innovazioni tecnologiche. Nel corso del tempo si vede come gli aspetti distintivi che
spostano l’attenzione e la preferenza del cliente da un prodotto a un altro mutano di
segno e intensità. Se, ad esempio, l’affidabilità e la sicurezza era qualche anno fa un
attributo importante di scelta e veniva riconosciuto solo a determinati marchi, come la
38
Volvo, ora è un requisito dato per scontato che viene richiesto ed è presente in ogni
automobile offerta dalle varie case. Anche il prezzo inizia ad assumere un significato
diverso, non vince più chi ha il prezzo più basso, ma chi riesce ad offrire un miglior
rapporto tra il valore percepito dal cliente e il prezzo da pagare.
2.1. Differenziazione del prodotto
Non esiste un prodotto che può essere definito come “commodity” quindi privo di
ogni tipo di differenziazione, ma ogni impresa può puntare a realizzare un’offerta
differenziata.
Levitt sottolinea come l’applicazione di una logica di differenziazione inizia con il
prendere atto che gli acquirenti hanno bisogni diversi e sono quindi attratti da offerte
diverse.
Bisogna al contempo considerare che non tutte le differenziazioni sono rilevanti.
Quindi si devono operare solo quelle differenziazioni che portano a un incremento del
valore per il cliente, giustificando così l’aumento di costo per l’impresa. Si devono
scegliere con estrema attenzione quelle caratteristiche differenziali che consentono un
vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti apprezzato dal mercato obiettivo.
La differenziazione è “la definizione di un insieme di differenze significative in
grado di rendere distinguibile per l’acquirente l’offerta dell’impresa rispetto a quelle
dei concorrenti” (Kotler, 2002).
La differenziazione può essere di due tipi (Cabral, 2002):
• Differenziazione verticale. Riferita all’intensità diversa di presenza di un
determinato attributo all’interno del prodotto e, questa caratteristica, ha
un significato di diversa qualità. Si crea una “graduatoria di qualità” fra i
diversi prodotti che porterà i consumatori a scegliere, a parità di prezzo, il
bene con la qualità maggiore. Un esempio può essere la sicurezza di
un’auto dove tutti, a parità delle altre condizioni, preferiscono una maggior
sicurezza.
39
• Differenziazione orizzontale. L’elemento che si va a considerare del bene
non è suscettibile di una graduatoria condivisa, ma dipende dalle
preferenze dei consumatori. Esempi possono essere il colore
dell’automobile, un Suv rispetto a una famigliare o una spider rispetto a
una coupè.
In base alla strategia di posizionamento dell’impresa, quindi verso quale segmento
di mercato intende rivolgersi e che posizione occupare nella mente del consumatore,
dovranno essere decise quali e quante differenze sviluppare. Secondo Ries e Trout
(1984) per ogni marchio dovrebbe essere individuato un solo attributo, con
riferimento al quale l’azienda verrebbe poi presentata come numero uno, ad esempio
“miglior sicurezza” o “superiore tecnologia”. Questo perché gli acquirenti tendono a
ricordare un messaggio con un’affermazione come questa molto più di altro,
specialmente in una società con un sovraccarico di informazioni. Nel corso del tempo,
a causa dell’accresciuta rivalità tra aziende che ha portato l’esplosione di nuovi modelli
e versioni con una tecnologia sempre più performante, le diverse case
automobilistiche hanno cercato di puntare su due o più attributi. In questo modo si è
tentato di individuare una particolare nicchia nell’ambito del segmento obiettivo.
Nel settore dell’auto, con una domanda debole per la crisi economica, l’unica
strada vista dagli Oem per stimolare l’acquisto da parte dei consumatori è stata quella
di riuscire a rispondere a tutti i bisogni dei consumatori arrivando a una segmentazione
sempre più approfondita del mercato.
La vecchia segmentazione della domanda in quattro semplici classi: vetture
piccole, medio-‐piccole, medio-‐grandi e grandi ha perso di significato di fronte al
moltiplicarsi dei modelli proposti che sono andati a costituire nuovi cluster di prodotti
sempre più specializzati. La segmentazione del mercato è esplosa cercando di cogliere
tutte le necessità dei diversi consumatori in esso presenti.
La proliferazione dei segmenti è però rischiosa perché, se da un lato, permette ai
costruttori di auto di sfruttare le opportunità di generare profitto, tipiche della
segmentazione spinta, spinge anche verso un aumento dei costi di sviluppo (Volpato e
40
Zirpoli, 2011). Ricollegandoci al capitolo precedente, si dovrebbero riuscire a
differenziare i modelli offerti sul mercato minimizzando, nello stesso tempo, il numero
di componenti specifiche per ogni modello.
A questo proposito Maxton e Wormald affermano come lo stimolo alla
segmentazione spinta del mercato abbia portato il settore auto a notevoli problemi; i
tempi di sviluppo e progettazione del prodotto sono stati ridotti notevolmente: se, in
precedenza, un nuovo modello richiedeva cinque anni per essere progettato ed uscire
nel mercato ora ne richiede solo due-‐due e mezzo. Secondo questi autori il numero
delle ore di ingegnerizzazione è stato dimezzato, ma richiede comunque sforzi e
tempo; moltiplicando l’output di nuovi prodotti il tempo e gli sforzi richiesti saranno
comunque gli stessi se non maggiori.
2.2. Varietà del prodotto
La domanda essenziale che deve essere posta, alla presenza di un mercato
frammentato ed esigente, è quanta varietà mettere in una nuova automobile.
Come abbiamo detto in precedenza la varietà rende più semplice l’incontro delle
esigenze dei clienti e dei loro criteri di scelta, ma comporta dei costi aggiuntivi in ore
addizionali di progettazione, attrezzature. Se la varietà è troppo limitata il prodotto
non attira i potenziali clienti, ma, se è eccessiva, la complessità che risulta può erodere
la qualità e la redditività.
Può essere utile fare una distinzione fra (Clark e Fujimoto, 1992):
• Varietà fondamentale, si identifica con le principali differenziazioni di
carrozzeria (per esempio il numero di portiere). Richiede un significativo
incremento delle ore di progettazione ed è visibile agli occhi del cliente.
• Varietà secondaria, non hanno alcun incidenza sulla progettazione di base
(ad esempio il colore, tappezzeria). Dato un prodotto le combinazioni di
tutte le possibili forme di varietà secondaria sono quasi infinite.
In questo elaborato faremo riferimento alle varietà fondamentali che sono messe
in atto dalle case costruttrici per rivolgersi a determinati cluster di consumatori.
41
Nel marketing le decisioni di questo tipo vengono ricondotte al concetto di linea e
gamma di prodotto. Per linea di prodotto si intende “un gruppo di prodotti
strettamente collegati, poiché svolgono funzioni simili, sono venduti allo stesso gruppo
di clienti o ricadono tutti nella stessa classe di prezzo” (Kotler, 2002). La gamma (o
portafoglio) è costituita dall’insieme delle linee offerte. Ogni prodotto va a dare il suo
contributo sulle vendite e profitti totali: uno dei principali problemi è riuscire a
determinare l’ampiezza ottimale delle gamma e la lunghezza (o profondità) ottimale
della linea di prodotti offerti. Ad esempio la linea è troppo corta se, introducendo
nuovi prodotti, i profitti possono aumentare o, viceversa, se i profitti si incrementano
togliendo qualche prodotto.
Nel settore dell’auto si possono individuare diversi tipi di interventi sull’offerta:
• Ampliamento della gamma verso il basso. Molti marchi, inizialmente
posizionati in fascia alta di mercato, hanno cercato di inserire linee di
prodotto in una fascia di mercato più bassa. Un esempio può essere il
marchio Mercedes, da sempre posizionato nella fascia alta del mercato, ha
cercato di allargare il suo mercato offrendo prodotti, sempre di fascia alta,
ma che gli permettessero di cogliere le esigenze anche di quel gruppo di
consumatori che inizialmente non poteva permettersi auto di questo tipo.
• Ampliamento della gamma verso l’alto. Le imprese che si trovano nella
fascia più bassa del mercato possono avere interesse a penetrare in quella
più elevata attratte dalla possibilità di accrescere i propri margini e di
aumentare la reputazione del marchio. Gli esempi in questo caso possono
essere molti, uno fra tutti è sicuramente il marchio Volkswagen. Questo
marchio che ha rappresentato storicamente un marchio generalista, ha
progressivamente introdotto prodotti di più alta fascia come ad esempio il
Touareg.
• Con riferimento alla linea, possono verificarsi situazioni di completamento
della linea. In tal caso una linea di prodotti può essere arricchita
aggiungendo articoli all’interno della linea già esistente per ottenere
42
profitti addizionali, soddisfare sempre più esigenze dei clienti o sfruttare
capacità produttiva in eccesso. I nuovi prodotti dovrebbero però
presentare delle differenze rilevanti rispetto a quelli già esistenti sul
mercato. In questo caso parliamo di politiche di Flankering (Mauri, 2007):
vi è la volontà di soddisfare bisogni specifici eterogenei, assimilabile al
concetto di differenziazione laterale, fortemente collegata alla
segmentazione dei clienti sulla base dei benefici ricercati e delle occasioni
d’uso del prodotto.
Nella strategia di gestione di linea e gamma vi sono dei rischi: il maggiore è
rappresentato sicuramente dal rischio di cannibalizzazione. L’introduzione di nuovi
prodotti può erodere le vendite di altri beni presenti all’interno del portafoglio
prodotti dell’azienda (Busacca e Bertoli, 2009). Un esempio può essere l’introduzione,
da parte della Fiat, della Bravo e della Brava nel 1995, in base alla logica di segmentare
l’offerta di una vettura rispettivamente a tre e cinque porte. La Brava, ritenuta meno
interessante sul piano stilistico è stata soffocata sul piano delle performance
commerciali dal modello Bravo a tre porte, ritenuto più accattivante dai consumatori.
Nel settore automobilistico, quando si introduce un nuovo modello, non basta più
pensare ai costi, ricavi e portata dell’investimento, ma si deve cercare di valutare che
impatto ha nella gamma complessiva dell’offerta di una casa automobilistica. Anche
questo tipo di riflessione non basta. Si devono analizzare “tutti gli effetti, positivi o
negativi, che il lancio di un nuovo modello può generare sul complesso non solo della
gamma di una casa automobilistica, ma anche delle gamme dei prodotti concorrenti”
(Volpato, 2011). Questo perché un prodotto di successo può fungere da prodotto
traino verso altri prodotti dello stesso marchio e può avere un particolare impatto
competitivo su un prodotto della concorrenza che si rivolge allo stesso segmento. Al
crescere dell’affollamento del mercato aumentano i legami di interdipendenza tra i
prodotti della gamma di una casa automobilistica e tra quelli di tutte le gamme. Un
esempio è l’introduzione della 500 per il marchio Fiat; questo prodotto ha portato
molti nuovi clienti, soprattutto della fascia più giovane, a guardare un marchio, e non
43
solo il modello, che si era dimostrato giovane e innovativo. L’introduzione della 500 ha
determinato degli effetti anche nelle vendite di auto che si collocavano nello stesso
segmento come con la Mini come possiamo vedere nella figura 8.
Figura 8: “Confronto tra vendite di Mini e 500” (fonte: nostra elaborazione da
dati Inter Auto News).
2.3. Paradosso della scelta
Nel corso degli anni, nel settore dell’automobile dominato sempre da maggiore
incertezza e rischio, la differenziazione dell’offerta non si è più basata sul prodotto, ma
sulla sua funzione d’uso, concentrandosi su mercati o segmenti potenziali. Questo ha
portato a saper cogliere quelle che sono le funzioni d’uso o caratteristiche del prodotto
a cui il cliente attribuisce più valore. Secondo Michele Pizzinga (Iveco Vice President) si
deve pensare la struttura di costo del prodotto e degli investimenti relativi in modo
fortemente correlato alla struttura del valore che il cliente attribuisce alle stesse
funzioni d’uso. Per dominare l’incertezza, le aziende operanti nel settore dell’auto,
hanno prestato sempre più attenzione al mercato e ai concorrenti aumentando
l’offerta di prodotti.
Un’altra forza che ha spinto le imprese ad aumentare la varietà dei modelli e
versioni è rappresentata dall’ampliamento dei mercati, per mantenere o incrementare
le vendite andando a soddisfare bisogni sempre più specifici (Bianchi, 2011).
Nella teoria del marketing l’aumento della varietà dei prodotti offerti viene vista
come una strategia per risvegliare l’interesse dei consumatori nei confronti dei beni
che sono in una fase avanzata del ciclo di vita. Le varianti permettono di rispondere in
0 50.000 100.000 150.000 200.000
2008 2009 2010 2011
mini
500
44
modo puntuale ad esigenze specifiche, permettendo di praticare politiche di premium
price che mantengono elevata la redditività (Bianchi, 2011).
Nel momento della scelta il consumatore conferisce una funzione di utilità a
ciascun attributo; la funzione di utilità descrive la modalità con cui la soddisfazione
derivante dal prodotto si modifica al variare dei diversi livelli di ciascun attributo
(Kotler, 2002). La possibilità di proporre al mercato più modelli e varianti permette
quindi di cogliere più attributi, e a livelli più alti, della funzione di utilità dei diversi
consumatori.
Come conseguenza di questa politica il consumatore si trova di fronte a una scelta
sempre più ampia e le gamme si arricchiscono continuamente di nuovi prodotti.
Tutto ciò è indubbiamente positivo perché le persone riescono a trovare quello
che più si avvicina al loro ideale di prodotto. L’abbondanza dell’offerta però può
rendere difficile scegliere e anche portare l’individuo a perdere il controllo delle
opportunità che gli si prospettano (Stumpo, 2008).
Un recente contributo di Barry Schwartz (2005) introduce il “paradosso della
scelta” per cui troppe opportunità rischiano di essere peggio di poche e il più può
diventare meno.
Schwartz si basa sul fatto che avere delle scelte è sicuramente qualcosa di
positivo, che identifica la nostra società moderna, ma non sempre averne “di più” è
meglio in quando comporta dei costi per i consumatori. Una grande varietà di opzioni
hanno la capacità di scoraggiare il consumatore perché comportano un aumento dello
sforzo per prendere la decisione finale. Secondo Schwartz tutto questo può portare il
consumatore a:
• scegliere di non scegliere, risolvendosi quindi in un non-‐acquisto
• comprare il prodotto però, nel momento in cui lo si acquista, gli sforzi fatti
per la scelta, distrarranno il consumatore dalla felicità della scelta fatta.
Questo anche perché, avendo una grande varietà di scelta, il prodotto
scelto avrà meno attrattività per il consumatore perché penserà a quelle
alternative abbandonate, distraendolo così dal piacere dell’acquisto.
45
Il consumatore non riesce a rivolgere la sua attenzione solo su poche alternative
perché:
• Tende a guardarsi sempre intorno, a cosa gli altri stanno utilizzando, come
standard di comparazione
• E’ sempre portato ad aggiungere una nuova opzione all’insieme di modelli
che erano già stati presi in considerazione, per quella che l’economista
Fred Hirsch chiama “tirannia delle piccole decisioni”.
Dallo studio condotto da Schwartz possiamo ricavare delle riflessioni importanti
che possono essere rivolte ai diversi settori (nel nostro caso dell’automobile),
sintetizzate in due punti:
• Quando il consumatore mette sempre più sforzi e tempo nel prendere la
sua decisione si aspetta che le sue energie impiegate siano ripagate da dei
risultati a dir poco soddisfacenti. Quindi l’aumento della varietà di modelli
e versioni proposte porterà, da un lato, ad incontrare con maggiore facilità
le esigenze di diverse nicchie di mercato, ma, dall’altro, aumenterà anche
le aspettative insite nei consumatori. Le conseguenze della discrepanza tra
aspettative e risultato sarà molto più evidente da parte del consumatore.
• È preferibile offrire al consumatore un prodotto con una serie di opzioni
aggiuntive già comprese e non viste come opzionali. Questo perché
quando le opzioni non sono già unite al prodotto non sono viste come
parte del pacchetto, ma vengono viste come una spesa aggiuntiva. Tutto
questo è stato confermato da uno studio dove si mettevano davanti ai
soggetti due macchine: una macchina con tutte le opzioni a cui si chiedeva
di togliere quelle ritenute come non indispensabili, e una macchina con
nessun tipo di opzione aggiuntiva a cui si chiedeva di aggiungere le
alternative desiderate. Dallo studio i clienti posti davanti alla prima auto
terminavano l’acquisto con molte più attributivi aggiuntivi scelti rispetto al
secondo gruppo di consumatori.
46
2.4. Ciclo di vita del prodotto auto
Il concetto di ciclo di vita del prodotto è noto da tempo e si può far risalire la sua
origine a degli studi fatti da Raymond B. Prescott nel 1922.
Il modello di ciclo di vita del prodotto ha un grado diverso di applicabilità a
seconda della situazione che andiamo a considerare (Kotler, 2002):
• Product class o Industry, quando ci si riferisce all’intera categoria di
prodotti senza distinguere tra imprese offerenti o diverse versioni offerte.
Normalmente ha una durata più lunga. Un esempio può essere l’intera
categoria formata dalle automobili.
• Product form, fa riferimento a una particolare categoria di prodotto. Un
esempio può essere, nel caso delle automobili, quelle sportive o familiari.
• Brand, quando si intende l’offerta specifica di una particolare impresa su
un determinato prodotto. Esso ha durata molto più breve rispetto agli altri.
Un esempio, nel settore auto, è il modello Lupo per la Volkswagen o la
Arosa per Ibiza.
In questo caso quando parliamo di ciclo di vita del prodotto, ci riferiamo alla sua
accezione più allargata, intesa come intera classe di prodotto.
La maggior parte delle formulazioni del ciclo di vita presenta la storia delle vendite
di un prodotto come una curva ad S divisa in quattro fasi:
• Introduzione, collegato all’inserimento del prodotto sul mercato.
• Crescita, periodo di rapida accettazione da parte del mercato con un
miglioramento dei profitti.
• Maturità, caratterizzato da un rallentamento nella crescita delle vendite
dovuto all’acquisto della maggioranza degli acquirenti potenziali.
• Declino, in cui si manifesta una netta tendenza alla diminuzione delle
vendite e un’erosione dei profitti.
L’errore principale è vedere questo ciclo con una visione di tipo deterministico
immaginando che, dopo l’introduzione nel mercato, ogni prodotto debba seguire
queste fasi. In realtà, lo sviluppo del prodotto nel mercato, dipende da tutte quelle
47
interazioni competitive che si realizzano tra l’azienda che lancia il prodotto e le
risposte delle aziende concorrenti (Stocchetti e Volpato, 2008). Tutte queste
interazioni possono far cambiare la forma, la durata del ciclo di vita di prodotto.
A questo proposito Goldman e Muller (1982) hanno presentato delle osservazioni
interessanti sui fattori che influenzano la forma e la durata dei cicli di vita di prodotti
specifici:
• Il tempo di sviluppo è più breve e meno costoso per prodotti di routine
rispetto a quelli ad alta tecnologia. Un prodotto come quello
dell’automobile richiede un notevole impegno in ricerca e sviluppo con
notevoli costi e tempi di progettazione.
• Il tempo di introduzione e crescita che dipende dall’esistenza o meno di
canali di distribuzione, dall’intenzione dei distributori di accettare e
promuovere di buon grado il prodotto e dall’interesse da parte dei
consumatori. Per l’auto il punto più critico si può trovare nell’adozione del
prodotto da parte dei consumatori poiché si tratta principalmente di un
acquisto di sostituzione.
• Il tempo di maturità dipende dalla stabilità dei gusti dei consumatori e
dall’evoluzione di nuove tecnologie. Nel caso dell’auto abbiamo visto come
la maggiore concorrenza e la voglia di soddisfare al meglio i desideri dei
consumatori abbiano spinto gli Oem ad apportare sempre innovazioni
tecnologiche ai prodotti. Dall’altro lato il consumatore è sempre più
esigente e, per affrontare un acquisto di sostituzione, pretende un netto
miglioramento e una maggiore capacità del mezzo di soddisfare ogni sua
esigenza.
• Il tempo di declino dipende anch’esso dai gusti dei consumatori e dalla
tecnologia del prodotto.
48
2.4.1. Evoluzione del ciclo di vita nel settore auto
La progressiva maturazione del mercato automobilistico con la conseguente
crescita della competitività tra le varie case automobilistiche, accompagnata
dall’entrata sempre più forte nel mercato dei costruttori giapponesi, le ha spinte ad
elaborare strategie innovative sempre più decise e complesse. Queste innovazioni
hanno riguardato un po’ tutti gli aspetti delle gestione delle imprese, ma si sono
manifestate in modo particolare nelle politiche di innovazione del prodotto (Volpato,
2011).
Questo fenomeno di innovazione cumulativa ha portato delle innovazioni rilevanti
nel ciclo di vita del prodotto dell’auto. Da un’analisi svolta da Stocchetti e Volpato su
un campione di duecento modelli tra il 1970 e il 2006 si può evidenziare come la
durata media del ciclo di vita delle auto in Europa tra il 1970-‐1980 era pari a 10,7 anni,
mentre nel periodo 2000-‐2006 esso si era ridotto a 5,6 anni con una contrazione pari al
47,66%.
Figura 10: “Trasformazione del ciclo di vita tra il 1970 e il 2006” (fonte: Stocchetti e
Volpato, 2008).
49
Le case automobilistiche hanno operato in modo che la riduzione del ciclo di vita
complessivo avesse un impatto più contenuto possibile nella vita utile del prodotto
che, nel lavoro citato, viene fissato indicativamente nel periodo nel quale le vendite
sono pari al 70%. Per fare questo le case hanno cercato di ridurre il tempo che
intercorre tra il lancio della produzione al raggiungimento del picco della produzione a
quello del ritiro del modello dal mercato. Come è evidenziato nella figura le case
automobilistiche sono riuscite nel loro intento. Il 70% della capacità produttiva durava,
nel periodo 1970-‐1980, 5,2 anni che equivalgono al 48,9% dell’intero ciclo di vita utile
del prodotto, nel periodo 2000-‐2006, 4,1 anni che rappresentano il 71,2% dell’intero
ciclo di vita del prodotto.
Tutto questo è stato reso possibile sia agendo a livello produttivo, con un
miglioramento della capacità produttiva degli impianti e l’utilizzo di piattaforme
condivise tra più modelli, ma anche agendo sul fronte delle iniziative di sostegno del
prodotto a livello di comunicazione e campagne promozionali (Volpato, 2011). Ciò ha
reso l’automobile un prodotto sempre più influenzato da fattori di moda. Comunicare
non più solo le innovazioni riguardanti la componente tecnica del prodotto, ma
qualcosa che potesse realmente differenziare il proprio prodotto dagli altri presenti
all’interno del mercato che portava a un crescente affollamento dei messaggi
pubblicitari. Si è cercato di trasmettere sempre di più lo stile di vita che l’auto
assicurava ai suoi proprietari. “L’essenza del prodotto non è più una determinante
oggettiva delle caratteristiche tecniche e materiali dell’automobile: essa comincia ad
essere sempre più ciò che gli automobilisti <vedono> in essa attraverso il filtro
psicologico dei desideri e delle aspettative personali” (Volpato, 2011).
50
3. Metodo di analisi
I temi affrontati nella seguente parte analitica sono quelli fin qui descritti ed
aggravati in modo particolare, come abbiamo potuto evidenziare in precedenza, dalla
crescente competizione manifestatasi nel settore dell’automotive negli ultimi decenni,
ovvero:
• Politiche di differenziazione con il conseguente aumento del numero di
modelli offerti al mercato.
• Politiche del ciclo di vita del prodotto attuate dalle diverse case
automobilistiche prese in esame.
• Politiche di ampiezza della gamma offerta.
Tutti e tre questi temi sono stati esaminati anche in rapporto alle relative
performance di mercato.
Dobbiamo introdurre inizialmente una fondamentale distinzione tra modelli e
versioni nell’ambito automobilistico. Per modello s’intende un tipo di prodotto auto
che può essere fabbricato in numerose versioni con una struttura di base diversa
rispetto a un altro modello della stessa azienda automobilistica. Le versioni non sono
altro che configurazioni diverse dello stesso modello.
L’analisi è stata svolta attraverso un confronto su delle serie storiche di:
• Modelli e versioni proposti al mercato dalle diverse case automobilistiche,
dal 1990 al 2010, raccolti dai numeri di “Quattroruote” dei mesi di gennaio
e luglio di ogni anno. Per avere un solo numero di versioni per anno
abbiamo preso il numero più alto tra le due rilevazioni di gennaio e luglio.
Questo vuol dire che se una casa costruttrice sta sostituendo un modello
con un altro il numero di versioni considerate riguarda il modello che
nell’anno ne ha segnato il maggior numero. È stato deciso di estendere la
validità di questi dati a tutta l’Europa Occidentale.
51
• Immatricolazioni per casa automobilistica, dal 1990 al 2010, grazie ai dati
disponibili da Acea3.
• Immatricolazioni per singolo modello, disponibili per un periodo di tempo
più ristretto che va dal 1999 al 2010, grazie ai dati disponibili in
“InterAutoNews” (rivista del settore automotive).
Il periodo preso a riferimento ricopre un arco temporale di vent’anni, dal 1990 al
2010, per riuscire ad avere dei risultati significativi.
I marchi presi in considerazione rappresentano la maggior parte delle case più
importanti del mercato europeo, americano e asiatico per un totale di quarantasei
marchi. I marchi sono Fiat, Alfa Romeo, Lancia, Maserati, Ferrari, Chrysler, Toyota,
Daihatsu, Daewoo, Chevrolet, Cadillac, Opel, Audi, Seat, Volkswagen, Skoda, Bentley,
Bugatti, Lamborghini, Skoda, Kia, Jaguar, Volvo, Land Rover, Rover, Aston Martin,
Nissan, Honda, Peugeot, Citroen, Suzuki, Renault, Jeep, Mercedes, Smart, Mini, Bmw,
Rolls Royce, Mazda, Mitsubishi, Tata, Hummer, Lexus, Hyundai, Ford, Dacia.
Questo insieme di case automobilistiche è stato diviso in base alla loro
appartenenza al segmento generalista, specialista e asiatici.
Storicamente i produttori generalisti si sono distinti per offrire una gamma di
prodotti completa ovvero le cui linee coprono sostanzialmente tutti i segmenti di
mercato (es. utilitarie, medie, superiori, sportive, monovolume). Il segmento
specialista si era sempre distinto per offrire una gamma di prodotti più ristretta
concentrandosi su una nicchia un po’ più alta del mercato offrendo auto ad un livello
“premium” quindi di elevata qualità ad un prezzo più elevato rispetto al resto del
settore automotive, questo anche grazie alla forza del marchio e alla sua storia
(Rosengrarten, Stuermer, 2006). Nell’ultimo decennio questa distinzione si è andata ad
affievolire per l’estensione dell’offerta di gamma, per i marchi specialisti, verso il
basso. Ora la distinzione principale tra le due si basa soprattutto sul diverso prezzo con
3 Acea, acronimo di “European Automobile Manufacturers’ Association”, associazione fondata nel 1991 rappresenta gli interessi dei quindici maggiori marchi di auto, camion e autobus.
52
cui vengono presentate le automobili nel mercato: medio-‐basso per il segmento
generalista e alto per quello specialista. I produttori asiatici (chiamati così per la loro
provenienza geografica) assumono un loro carattere specifico in quanto, anche se
possono essere assimilati al segmento generalista o specialista a seconda dei casi, si
sono distinti nella loro politica di gestione e strategica fin dalla loro comparsa nei
mercati occidentali. I produttori asiatici si sono distinti storicamente per offrire un
minor numero di versioni rispetto ai principali concorrenti occidentali. Il numero più
basso di versioni disponibili si spiega perché la gran parte della produzione viene
approvvigionata da stabilimenti asiatici e, di conseguenza, i lead time sono più lunghi.
In questo modo si possono ridurre le combinazioni possibili aumentando la possibilità
di incrocio tra le vetture disponibili e quelle richieste dai clienti (Buzzavo, 1997).
Questo tipo di distinzione resta utile ai fini della nostra ricerca perché è interessante
vedere qual è lo sviluppo temporale della politica di gestione del portafoglio prodotto
per questi tre segmenti che, come potremo vedere in seguito, si sono tendenzialmente
allineati seguendo una linea comune per il numero di modelli proposti, ma non per
quanto riguarda il numero di versioni.
Nell’analisi iniziale, sull’intero portafoglio prodotto offerto dalle aziende per
cercare di delineare una possibile correlazione tra numero di modelli offerti e quota di
mercato, sono state prese in esame tutte le case auto sopra citate per avere una
visione il più possibile significativa all’interno dell’intero settore dell’automotive.
Nella seconda analisi svolta, che va ad analizzare la gestione di singoli modelli più
rilevanti all’interno del portafoglio prodotti complessivo delle aziende, si prendono
come riferimento i maggiori esponenti di ciascun segmento quindi:
• Per il segmento generalista i marchi Fiat, Volkswagen, Opel e Ford.
• Per il segmento specialista le case Mercedes, Bmw e Audi.
• Per il segmento asiatiche i marchi Toyota, Nissan e Hyundai.
53
4. Analisi dei dati In questa analisi l’obiettivo principale è quello di evidenziare le diverse politiche di
prodotto presenti nelle varie case automobilistiche che sono state distinte tra:
• Generaliste o produttori di grande serie composti dai marchi Fiat, Opel,
Seat, Skoda, Volkswagen, Ford, Citroen, Peugeot, Renault, Alfa Romeo e
Lancia.
• Specialisti di fascia alta formati da Audi, Jaguar, Mercedes, Bmw, Land
Rover e Volvo.
• Asiatici composti da Toyota, Hyundai, Nissan, Honda, Mazda e Mitsubishi.
Una distinzione che tiene conto sia della differente tipologia di prodotto offerto
che si rivolge a diversi segmenti di mercato, in quanto il prodotto offerto dalla classe
generalista è a un prezzo più basso con componenti dell’auto più “basici” rispetto agli
specialisti, ma tiene anche conto della differente politica di prodotto che caratterizza i
marchi asiatici comparsi nel mercato europeo solo successivamente negli anni
sessanta (Volpato, 2011).
4.1. Portafoglio prodotti
Nei capitoli precedenti è stato evidenziato come, nel corso degli anni, a causa di
una serie di fattori quali l’aumento della concorrenza (dovuta a una diminuzione della
domanda dell’auto in quanto la maggior parte dei consumatori ne aveva già acquistata
una e si trattava di un acquisto di sostituzione), riduzione del ciclo di vita
dell’automobile per l’introduzione di innovazioni tecnologiche sempre più ravvicinate e
una segmentazione intensiva del mercato, il numero di modelli proposti dalle case è
esploso. Un ampliamento della gamma di prodotti offerti che ha portato ogni azienda
automobilistica a servire non più vetture ripartite su pochi segmenti, quattro/cinque,
secondo la diversa dimensione e cilindrata, ma un maggior numero di nicchie di
mercato per arrivare a dodici/quattordici segmenti. L’esplosione di modelli offerti in
54
Europa da tutte le aziende automobilistiche considerate si può evidenziare dal grafico
riportato qui sotto (figura 11).
Figura 11: “Numero di modelli proposti dal 1990 al 2010” (fonte: nostra
elaborazione).
Oltre che a livello di ampiezza della gamma le aziende automobilistiche hanno
apportato un arricchimento delle versioni proposte agendo sulla profondità delle
singole linee di prodotti. Nel grafico che segue (figura 12) abbiamo rappresentato la
profondità media delle varianti per le diverse aziende.
0
50
100
150
200
250
300 1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Num
ero mod
elli prop
osL
55
Figura 12: “Numero versioni nel mercato automobilistico dal 1990 al 2010” (fonte:
nostra elaborazione).
Una evoluzione portata avanti dalle case automobilistiche che hanno cercato di
compensare il minor tasso di crescita delle vendite con un maggior valore unitario
delle vetture vendute (Volpato e Zirpoli, 2011).
Figura 13: “Sviluppo modelli offerti da generalisti, specialisti e asiatici” (fonte:
nostra elaborazione).
Interessante è riuscire a vedere come questa strategia è stata seguita dalle tre
diverse tipologie di Oem. Ovviamente questo grafico risente dal diverso numero di
aziende che vanno a formare i tre segmenti di Oem considerati. Si può comunque
0
2
4
6
8
10
12
14
16
1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010
Num
ero med
io Version
i
0 20 40 60 80 100 120 140
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006
2008
2010 Num
ero mod
elli off
erL
asiawci
generalisw
specialisw
56
notare una linea di tendenza generale, appartenente a tutte e tre le fasce, di continua
crescita dei modelli proposti.
Analizziamo ora in dettaglio l’offerta di modelli e versioni delle diverse aziende
automobilistiche divise per segmento di riferimento.
• Generalisti
Car Maker 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 -‐ Fiat 8 9 9 8 11 13 12 12 13 12
Opel 8 9 9 11 10 11 11 13 11 12 Seat 3 3 4 3 4 4 4 5 7 6 Skoda 2 3 3 2 2 2 1 2 3 4 Volkswagen 7 7 7 7 8 7 8 7 7 10 Ford 8 8 9 9 8 8 9 10 11 10 Citroen 7 5 6 7 7 7 9 9 12 11 Peugeot 8 7 7 7 7 8 7 8 9 10 Renault 8 9 10 10 9 9 9 9 12 11 Alfa Romeo 5 6 7 7 7 9 6 6 6 6 Lancia 4 4 4 4 4 5 6 7 7 7 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Fiat 13 13 14 14 12 12 13 14 12 14 15 Opel 12 13 15 16 14 15 12 14 13 12 12 Seat 7 7 7 7 7 7 6 7 7 8 7 Skoda 5 5 5 5 5 6 6 6 6 6 7 Volkswagen 11 12 13 14 14 16 17 15 15 18 17 Ford 10 9 8 9 10 10 11 12 11 12 12 Citroen 11 12 11 12 12 12 12 13 12 15 14 Peugeot 9 13 12 12 14 13 15 16 17 14 17 Renault 6 11 15 14 14 15 15 16 15 16 14 Alfa Romeo 7 9 9 6 6 7 12 10 6 7 6 Lancia 6 6 4 5 5 6 6 4 4 4 4
Figura 14: “Modelli offerti dai generalisti 1990-‐2010” (fonte: nostra elaborazione).
Da questa tabella (figura 14) possiamo vedere come complessivamente tutti i
marchi che facciamo ricondurre al segmento generalista hanno aumentato i modelli
proposti sul mercato. Un marchio che si distingue in modo particolare è sicuramente
Volkswagen che amplia notevolmente i modelli proposti attuando un allungamento
verso l’alto (Kotler, 2002) del proprio portafoglio prodotti passando da sette nel 1990 a
57
diciassette nel 2010. All’opposto la Lancia parte nel 1990 proponendo quattro modelli
e, salvo una crescita verso la fine degli anni Novanta, continua a proporre quattro
modelli anche nel 2010.
Car Maker 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 -‐ Fiat 13 10 16 8 9 7 7 7 7 7
Opel 12 9 11 9 11 10 9 9 11 10 Seat 7 7 14 9 14 27 15 14 11 10 Skoda 2 1 1 2 6 4 4 5 5 8 Volkswagen 12 13 13 12 13 11 11 14 16 12 Ford 11 10 12 9 10 19 14 10 6 8 Citroen 7 11 13 9 9 9 7 7 9 9 Peugeot 16 12 18 13 9 7 9 9 11 9 Renault 10 11 14 17 11 10 14 10 9 11 Alfa Romeo 7 9 7 5 5 5 7 6 6 6 Lancia 10 13 12 12 10 8 8 9 7 5 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Fiat 7 8 10 10 12 14 14 13 14 13 15 Opel 11 11 10 11 16 16 13 12 13 13 11 Seat 12 15 15 12 9 9 16 15 13 15 13 Skoda 9 15 13 10 14 11 12 20 24 22 19 Volkswagen 14 16 16 15 14 14 17 20 18 12 13 Ford 8 8 10 11 11 15 13 15 22 12 11 Citroen 10 8 8 10 13 15 13 17 17 13 12 Peugeot 10 10 11 12 13 15 15 11 11 12 10 Renault 15 24 16 23 30 29 24 18 17 13 13 Alfa Romeo 7 9 12 16 19 18 13 18 21 8 9 Lancia 7 7 10 11 11 11 17 14 16 18 23
Figura 15: “Media versioni offerte dai generalisti 1990-‐2010” (fonte: nostra
elaborazione).
In questa tabella (figura 15) possiamo vedere l’offerta delle aziende nell’ampliare
la profondità dei diversi modelli. Grazie a questo grafico possiamo vedere come il
marchio Lancia, che non ha aumentato il numero di modelli proposti, ha agito
ampliando il numero di versioni in modo notevole rispetto ai suoi concorrenti
passando da dieci nel 1990 a ventitré nel 2010.
58
Analizziamo ora in maggior dettaglio la politica seguita da Lancia che si distingue
dagli altri appartenenti al suo settore per offrire il minor numero di modelli, ma con un
elevato numero di variabili come possiamo vedere nel grafico sottostante (figura 16).
Figura 16: “Numero di versioni e modelli Lancia dal 1990 al 2010” (fonte: nostra
elaborazione).
Figura 17: “Immatricolazioni Lancia” (fonte: nostra elaborazione da dati ACEA).
Come si può vedere dal grafico qui sopra (figura 17) la strategia della Lancia di
presentare pochi modelli, ma con maggiori versioni non ha portato risultati nel
mercato; la sua quota di mercato passa da 2,2% nel 1990 a 0,8% nel 2010. La politica di
-‐
50.000
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150.000
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Immatric
olazioni Lan
cia
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Modelli
Versioni
59
offerta di Lancia può essere spiegata dalla crisi che ha colpito il Gruppo Fiat (di cui fa
parte) nel 2002. Nel 1990 Paolo Cantarella, amministratore delegato di Fiat Auto,
portò avanti una politica di aumento di volume e varietà, già iniziata in precedenza, ma
senza successo con un continuo degrado dell’immagine dei tre marchi del gruppo con
un’erosione della quota di mercato. La crisi che colpì il marchio, con la conseguente
carenza di fondi, non ha permesso uno sviluppo di nuovi modelli per Lancia che
richiede notevoli costi di progettazione e sviluppo. Dal 2004, con il nuovo
amministratore delegato Sergio Marchionne, si sono cercati di rilanciare i tre marchi
del gruppo Fiat. Come possiamo vedere nella figura 14, sul numero di modelli offerti, la
politica di ampliamento di gamma si è concentrata sul marchio Fiat tralasciando i
marchi Lancia e Alfa Romeo.
Per il marchio Lancia, caso preso ad esempio, il gruppo Fiat ha cercato di ridefinire
il suo posizionamento su vetture che puntano al comfort e alla signorilità sia per un
pubblico femminile (Ypsilon) che per quello maschile (Delta). Si tratta di un segmento
di mercato molto complesso perché:
− Nel corso degli anni si è assistito a una tendenza di dilatazione verso il
basso della gamma da parte dei produttori specialisti; offrivano prodotti ad
alto livello qualitativo con una forza del marchio rilevante rubando così
parte della clientela obiettivo alla Lancia.
− Innalzamento complessivo della qualità nelle diverse aziende generaliste e,
sotto questo aspetto, il gruppo Fiat era ancora carente (Volpato, 2011).
Questo insieme di variabili offre una parziale spiegazione di come la Lancia abbia
subito un notevole calo di immatricolazioni e, di conseguenza, quota di mercato. La
speranza di ovviare al problema della scarsità di fondi per introdurre nuovi modelli con
l’introduzione di più versioni per modello non ha riscosso successo.
60
• Asiatici
Car Maker 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 -‐ Toyota 7 7 7 7 9 10 11 12 14 13
Hyundai 4 4 4 4 4 4 5 5 9 10 Nissan 5 9 9 9 10 11 11 11 11 11 Honda 7 6 10 9 9 8 9 10 12 13 Mazda 6 6 7 7 7 6 6 6 7 8 Mitsubishi 3 5 6 6 8 8 10 9 8 7 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Toyota 13 14 16 16 17 17 18 15 12 12 13 Hyundai 11 11 13 11 11 11 11 11 9 12 12 Nissan 11 12 13 12 11 16 15 12 11 11 14 Honda 14 15 12 11 11 12 12 10 10 10 10 Mazda 8 7 8 11 9 10 10 9 9 9 8 Mitsubishi 10 11 7 9 11 10 12 13 9 7 7 Figura 18: “Modelli offerti dagli asiatici 1990-‐2010” (fonte: nostra elaborazione).
Car Maker 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 -‐ Toyota 1 1 2 2 2 2 2 2 2 3 Hyundai 5 3 4 5 4 5 5 5 6 4 Nissan 3 3 3 4 4 5 5 4 5 5 Honda 2 4 5 7 6 3 3 3 3 7 Mazda 2 2 2 2 2 2 3 3 3 3 Mitsubishi 5 4 3 2 2 2 4 6 7 10 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Toyota 3 3 4 3 5 4 5 7 9 8 8 Hyundai 4 5 5 5 5 5 6 6 7 8 10 Nissan 5 6 7 9 8 7 9 8 7 9 10 Honda 3 8 2 10 11 12 12 13 8 8 7 Mazda 3 3 4 6 7 7 9 8 8 9 7 Mitsubishi 5 5 6 4 4 5 4 4 6 6 5
Figura 19:”Media versioni offerte dagli asiatici 1990-‐2010” (fonte: nostra
elaborazione).
61
Della politica seguita dai marchi asiatici possiamo notare (figura 18-‐19) come si
distinguano dai marchi generalisti e, come vedremo tra poco, dai marchi specialisti per
offrire al pubblico un maggiore numero di modelli e una minore varietà di versioni.
Questo lo possiamo vedere in modo lampante dai grafici (figura 20-‐21) delle due
principali esponenti del segmento: Toyota e Nissan.
Figura 20: “Politica di offerta prodotto di Toyota 1990-‐2010” (fonte: nostra
elaborazione).
Figura 21: “Politica di offerta prodotto Nissan 1990-‐2010” (fonte: nostra
elaborazione).
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1992
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1997
1998
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2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Toyota
Modelli
Versioni
62
Sono stati i primi a cogliere l’importanza di una dilatazione della gamma (Maxton,
Wormald, 2004) per riuscire a segmentare in profondità il mercato e cogliere le
esigenze della dilatazione della gamma.
Figura 22: “Quota di mercato segmento asiatici 1990-‐2010” (fonte: nostra
elaborazione da dati ACEA).
Importante è osservare anche come si sviluppa nel tempo la quota di mercato dei
diversi marchi (figura 22). Si assiste a un’esplosione della quota di mercato della
Toyota che, dal 2000, si stacca completamente dalle altre case appartenenti al suo
segmento.
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2005
2006
2007
2008
2009
2010
Toyota
Hyundai
Nissan
Honda
Mazda
Mitsubishi
63
• Specialisti
Car Maker 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 -‐ Audi 9 5 6 7 6 7 6 7 7 8
Jaguar 3 3 3 3 3 3 3 3 3 4 Mercedes 9 9 10 11 10 10 12 14 17 16 Bmw 7 7 8 8 7 7 8 8 8 10 Land Rover 4 4 4 4 4 4 4 4 5 6 Volvo 11 10 9 10 9 9 8 7 6 6 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Audi 9 11 12 12 12 12 13 14 14 16 17 Jaguar 4 7 5 5 6 6 6 6 6 6 6 Mercedes 17 18 18 17 17 19 21 19 19 22 23 Bmw 11 11 11 12 13 13 14 14 16 16 18 Land Rover 6 6 6 6 6 6 7 6 6 6 5 Volvo 5 7 7 8 9 9 8 9 9 9 9
Figura 23: “Modelli offerti dagli specialisti 1990-‐2010” (fonte: nostra
elaborazione).
Car Maker 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 -‐ Audi 3 6 6 6 11 7 11 10 17 24
Jaguar 4 5 5 5 7 5 9 7 4 5 Mercedes 12 13 13 10 12 11 10 11 13 14 Bmw 7 4 4 5 11 7 7 7 11 8 Land Rover 4 5 5 4 4 3 4 3 3 3 Volvo 7 5 5 5 5 5 5 7 22 21 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Audi 25 18 11 12 10 16 19 21 23 23 26 Jaguar 7 5 7 5 7 10 8 7 7 7 6 Mercedes 14 16 9 14 16 17 20 21 24 23 25 Bmw 9 9 10 13 12 17 21 27 28 29 28 Land Rover 4 5 4 6 7 8 8 7 6 6 7 Volvo 25 13 14 14 15 19 19 21 20 17 17
Figura 24: “Media versioni offerte dagli specialisti 1990-‐2010” (fonte: nostra
elaborazione).
Come si può notare dai grafici sui modelli (figura 23) e versioni (figura 24)
proposte dagli specialisti il marchio Mercedes si distingue dai suoi concorrenti per
offrire una maggiore varietà di modelli. L’origine di questa politica si può individuare
64
andando indietro nella storia con la crisi petrolifera dei primi anni Settanta. In quel
periodo storico le automobili di lusso non erano più le “migliori” sotto ogni punto di
vista, ma dimostravano debolezze nei consumi, sicurezza e nell’utilizzo di nuove
tecnologie (Rosengarten, Stuermer, 2006). Il mercato era diventato più critico e veniva
richiesta un’elevata qualità e un miglior rapporto di costi-‐benefici. La risposta a queste
nuove esigenze ha portato a diverse strategie: marchi come la Bentley o la Rolls-‐Royce
hanno deciso di rivolgersi a una nicchia di super-‐élite, la Mercedes ha intrapreso per
prima la sfida posta dal mercato con innovazioni tecnologiche. Questa casa
automobilistica ha iniziato a sviluppare una grandissima serie di modelli d’auto e
prototipi che cercavano di rispondere alle debolezze che caratterizzavano il segmento
delle auto di lusso sia sotto l’aspetto della sicurezza che sotto quello dei minori
consumi. La Mercedes si è distinta anche per la voglia di portare avanti una politica di
brand development intesa come il trasferimento delle caratteristiche tecniche e della
forza del brand dai segmenti top a quelli più “bassi”. Questo approccio è stato attuato
per la prima volta con l’introduzione di modelli estate (familiari) con il primo Kombi nel
1977 offerto come soluzione ai bisogni di rivenditori e negozianti, si è trasformato in
un veicolo apprezzato anche da molti altri consumatori che lo vedevano più pratico
rispetto alla classica berlina (Rosengarten, Stuermer, 2006). Nel 1993, con la classe C,
Mercedes ha ampliato la sua gamma puntando su station wagon più eleganti
(segmento già aperto in precedenza dalla Bmw con la serie 3 touring nel 1987). Con
l’introduzione di questo nuovo segmento la Mercedes ha potuto rivolgersi a una nuova
fascia di consumatori con famiglia che non volevano sacrificare il comfort e l’eleganza
per maggiori spazi. Mossi da uno sguardo diverso alla famiglia, non vista più come un
obbligo morale ed etico, ma come un simbolo del successo economico e sociale, la
Mercedes ha introdotto nuovi prodotti di lusso, la classe A e la B, in segmenti che non
offrivano altro di quel genere.
65
Figura 25: “Quota di mercato segmento specialisti 1990-‐2010” (fonte: nostra
elaborazione da dati ACEA ).
Interessante è vedere gli effetti delle diverse politiche sulla quota di mercato dei
marchi (figura 25). Ci focalizziamo però sui primi tre: Mercedes, Bmw e Audi (figura
26).
Figura 26: “Quota di mercato focalizzata sui tre marchi 1990-‐2010” (fonte: nostra
elaborazione da dati ACEA).
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ercato Mercedes
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Quo
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erctao
Mercedes
Bmw
Audi
66
Come possiamo notare la politica portata avanti dalla Mercedes ha permesso di
differenziarsi dai suoi principali concorrenti fino al 2008, anno in cui è stata raggiunta,
per poi essere superata. Bmw, Audi e Mercedes, come possiamo vedere dai grafici
(figura 23-‐24), presentano un’elevata offerta di modelli e versioni rispetto ai
concorrenti del segmento e questo si ripercuote sulla diversa quota di mercato.
La Bmw è mossa dal portare avanti innovazioni che riguardano l’aspetto più
emozionale del guidare, reso noto al pubblico anche dal loro slogan pubblicitario
“driving pleasure”. Ne elenchiamo qualcuna:
− 1994 prima auto in Europa ad avere il navigatore integrato
− 2001 l’introduzione del sistema i-‐Drive che consiste in un bottone che
permette di integrare il sistema di controllo del veicolo e dell’aspetto
multimediale
− 2003 il primo ad introdurre il sistema “Active Curve Light” con luci di
posizione che si illuminano in base alla curva che la macchina sta seguendo
− 2004 introduzione del sistema xDrive, un particolare sistema di trazione
integrale
− 2004 l’introduzione del bi-‐turbo diesel.
Tutte queste innovazioni vengono proposte sul mercato con un maggior numero
di versioni rispetto ai concorrenti. Una politica che ha permesso alla Bmw di ottenere
una quota di mercato del 4,6% nel 2010.
Anche l’Audi ha saputo cogliere i cambiamenti che avvenivano nel mercato
coprendo nuovi segmenti grazie all’introduzione di modelli quali, ad esempio:
− A3, nel 1996, automobile compatta che permetteva di soddisfare clienti di
una fascia d’età più giovane disposti a spendere un prezzo più alto o
consumatori che volevano un maggiore spazio senza rinunciare a una guida
sportiva e all’eleganza
− A2, nel 1999, per rispondere al lancio della Mercedes della classe A e
riuscire a coprire un segmento rivolto principalmente a un pubblico
67
femminile con famiglia che non voleva rinunciare alla sicurezza e
all’eleganza offerta.
4.1.1. Confronti
Dopo aver analizzato la gestione del portafoglio prodotti delle diverse aziende in
modo separato in base alla loro appartenenza al segmento generalista, specialista o
asiatico è interessante poter fare dei confronti tra di loro basati sul numero di modelli
proposti.
Figura 27: “Confronto basato sui modelli tra Mercedes e Fiat” (fonte: nostra
elaborazione).
Nel grafico qui sopra (figura 27) abbiamo messo a confronto una azienda
generalista, la Fiat, con una specialista, Mercedes in quanto entrambe si distinguo
dalle appartenenti nel settore per avere una grande varietà di modelli offerti al
mercato. Possiamo vedere come l’offerta della Mercedes sia notevolmente superiore
rispetto al gruppo torinese. La motivazione principale che può essere data è che la casa
tedesca ha potuto operare un allargamento dei modelli offerti su più segmenti
operando un ampliamento verso il basso della gamma (ad esempio la classe A e B).
Una strategia molto più semplice che consente di cogliere tutte le esigenze dei possibili
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2010
Mercedes
Fiat
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clienti Mercedes che hanno sviluppato nuove necessità. Per Fiat un allargamento verso
l’alto è una strategia molto più difficile da portare avanti perché richiederebbe alla
casa di scontrarsi con marchi che godono di un elevato prestigio e dovrebbe riuscire ad
attuare un upgrade della sua immagine complessiva impossibile da attuare.
Figura 28: “Confronto basato sui modelli tra Mercedes e Toyota” (fonte: nostra
elaborazione).
In quest’ultimo grafico (figura 28) abbiamo sperimentato un confronto tra la
Mercedes e la Toyota, azienda facente parte del gruppo asiatico. Anche l’azienda
giapponese si distingue per avere una grande proposta di modelli rispetto agli altri
appartenenti alla sua classe d’appartenenza. Possiamo vedere come, entrambe le case,
abbiamo seguito una politica di ampliamento dei modelli offerti, ma questa strada è
stata abbandonata a seguito della crisi economica dalla Toyota che ha preferito
puntare le risorse sui principali modelli riducendo il portafoglio prodotti.
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2008
2009
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Mercedes
Toyota
69
4.1.2. Conclusioni
Dopo quest’analisi sullo sviluppo del portafoglio prodotti da parte delle diverse
case automobilistiche è interessante notare come, complessivamente, un aumento
dell’ampiezza di gamma ha portato a un aumento della quota di mercato.
Lo stesso non si può dire per l’aumento delle versioni per modello proposte al
mercato. In questo caso possiamo vedere una correlazione positiva solo per Bmw che
ha agito comunque apportando un aumento dei modelli. Il caso della casa
automobilistica Lancia ci fa capire come agendo solo sul numero di versioni proposte
non si riescano ad aumentare le vendite.
Infatti, la possibilità di cogliere quante più esigenze dei possibili clienti deriva da
un aumento dei modelli e non tanto delle versioni. Ricollegandoci allo studio di
Schwartz (2005) il maggior numero di varianti, al contrario, potrebbe solo mettere in
confusione il consumatore al momento della scelta quindi causare effetti negativi.
Dopo questo insieme di analisi, grazie all’insieme di dati raccolti che ci permette di
avere il numero di versioni, modelli e immatricolazioni nel corso degli anni per tutte le
aziende automobilistiche, è interessante riuscire a vedere se esiste una correlazione
statistica tra numero di modelli/versioni e immatricolazioni.
Utilizzando la funzione correlazione di Excel, che ci permette di mettere in
relazione due matrici, restituisce dei valori che stanno tra -‐1 e 1. Se il risultato della
correlazione tende a 1 allora significa che siamo in presenza di una correlazione
positiva tra le due serie di dati prese a riferimento, quindi all’aumentare della prima si
assiste a un aumento della seconda e viceversa. Di conseguenza, se il valore risultato
dalla correlazione tende a -‐1 significa che tra le due matrici c’è una correlazione
negativa (inversamente correlati) per cui all’aumentare dell’uno diminuisce l’altro e
viceversa. Se la funzione tende a 0 significa che tra le due matrici non c’è nessun tipo
di correlazione.
La correlazione esistente tra il numero di modelli e le immatricolazioni per anno,
di tutte le aziende automobilistiche prese in considerazione, dal 1990 al 2010 da un
numero pari a 0,501. Questo numero dimostra una correlazione positiva, anche se
70
debole, tra il numero di modelli proposti e il numero di immatricolazioni. Quindi
all’aumentare dei modelli c’è una forte probabilità di assistere a un aumento delle
immatricolazioni.
La correlazione esistente tra insieme di versioni proposte e le immatricolazioni è
pari a 0,392. Questo numero ci porta a dire che non c’è una vera e propria correlazione
tra l’aumento delle versioni proposte e l’espansione della quota di mercato andando a
confermare quanto detto in precedenza. Non si può dire che l’aumento del numero di
versioni possa portare a un incremento delle immatricolazioni, ma i suoi effetti
possono essere diversi.
4.2. Analisi sui singoli prodotti
Dopo aver analizzato la politica del portafoglio prodotti nel suo complesso
andiamo a vedere come si comportano le aziende nella gestione dei singoli prodotti.
Andiamo ad analizzare i principali prodotti delle diverse case automobilistiche. Per fare
questo abbiamo analizzato i dati di InterAutoNews che riportavano le immatricolazioni
per singolo modello e abbiamo scelto i primi due o tre modelli per casa.
71
4.2.1. Ciclo di vita dell’auto
Anche in questa analisi analizziamo separatamente le tre classi di aziende
automobilistiche (generalisti, specialisti e asiatici) per poi metterle a confronto.
• Generalisti
Di questo gruppo abbiamo analizzato le aziende Fiat, Volkswagen, Opel e Ford.
Modello Anno Totale anni Punto 1993
1999 6
2005 6 Panda 1986
2003 17
2012 9 Figura 29: “Anni rinnovo modelli Fiat” (fonte: nostra elaborazione).
In questa tabella (figura 29) possiamo vedere i due modelli che ricoprono il
maggior peso nel portafoglio prodotto della Fiat ovvero la Punto e la Panda. Per i dati
della Punto dobbiamo considerare che, nel 2005, è stato introdotto il modello Grande
Punto, ma non si è interrotta la produzione del modello precedente fino al 2010. Ai fini
della nostra ricerca, che va a vedere la durata in vita di un modello prima della nascita
del successivo, abbiamo preferito considerare il 2005 come un anno di fine di un
modello e l’inizio del successivo. Nel prodotto Panda vediamo una drastica riduzione
del ciclo di vita che passa da 17 anni a 9. Complessivamente possiamo vedere come il
ciclo di vita dei prodotti nell’azienda torinese è abbastanza lungo con una media
complessiva di 9,5 anni.
72
Figura 30: “Ciclo di vita Fiat Panda” (fonte: nostra elaborazione).
Il grafico qui sopra (figura 30) mette in evidenza come, anche se la durata media
del ciclo di vita della Fiat sia abbastanza elevato, è stata messa in atto una politica di
notevole riduzione del ciclo di vita dei prodotti con il caso specifico della Fiat Panda.
Modello Anno Totale anni Golf 1983 1992 9
1997 5
2003 7
2008 5 Polo 1994 2001 7
2009 8 Figura 31: “Anni rinnovo modelli Volkswagen” (fonte: nostra elaborazione).
Analizziamo ora i principali modelli del marchio Volkswagen (figura 31) cioè la Golf
e la Polo. Questi modelli rappresentano una grossa percentuale delle vendite
complessive del marchio. Come possiamo vedere il ciclo di vita di questi modelli è
stato, fin dai primi anni Novanta, molto breve. La durata media del prodotto nel
mercato è di 6,8 anni.
0
5
10
15
20
1986 2003
Panda
73
Figura 32: “Ciclo di vita Volkswagen Golf” (fonte: nostra elaborazione).
In questo grafico (figura 32) possiamo vedere come, nel caso specifico della Golf, il
ciclo di vita sia tendenzialmente diminuito nel corso del tempo.
Modello Anno Totale anni Astra 1991
1998 7
2004 6
2011 7 Corsa 1993
2001 8
2006 5 Figura 33: “Anno rinnovo modelli Opel” (fonte: nostra elaborazione).
Per quanto riguarda i prodotti Astra e Corsa, principali modelli del portafoglio
prodotti Opel (figura 33), la durata media del loro ciclo di vita è pari a 6,6 anni. Quindi
abbiamo una durata media simile a quella dei prodotti Volkswagen.
0
2
4
6
8
10
1983 1992 1997 2003
Golf
74
Figura 34: “Ciclo di vita Opel Corsa” (fonte: nostra elaborazione).
Attraverso questo grafico (figura 34) possiamo vedere come anche per Opel, nel
caso specifico il modello Corsa, ha subito nel corso del tempo una diminuzione del
ciclo di vita dei suoi prodotti.
Modello Anno Totale anni Fiesta 1989
1996 7
2002 6
2008 7 Focus 1998
2004 6
2011 7 Figura 35: “Anno rinnovo modelli Ford” (fonte: nostra elaborazione).
Per quanto riguarda la casa automobilistica Ford (figura 35) abbiamo considerato i
prodotti Fiesta e Focus. Vediamo come anche in questo caso la media del ciclo di vita
dei prodotti è pari 6,6 anni.
0
2
4
6
8
10
1993 2001
Corsa
75
Figura 36: “Ciclo di vita Ford Fiesta” (fonte: nostra elaborazione).
Nel caso della Ford (figura 36) possiamo vedere come il ciclo di vita non abbia
subito delle generali diminuzioni nel corso del tempo distinguendosi dalle altre aziende
appartenenti al segmento generalista.
Per avere una prospettiva di insieme analizziamo ora la figura 37.
Figura 37: “Durata media ciclo di vita dei prodotti segmento generalista” (fonte:
nostra elaborazione).
5,5
6
6,5
7
7,5
1989 1996 2002
Fiesta
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Durata m
edia ann
i
Fiat
Volkswagen
Opel
Ford
76
Attraverso questa rappresentazione (figura 37) possiamo vedere che il ciclo di vita
delle automobili ha una durata media poco inferiore ai 7 anni ad eccezione del marchio
Fiat. L’azienda torinese si distingue dalle altre case per avere una durata pari a nove
anni e mezzo.
Dal grafico possiamo vedere che la Ford non ha operato una diminuzione del ciclo
di vita dei suoi modelli dagli anni Novanta, ma presenta una durata media in linea con
le altre case del suo segmento.
Figura 38: “Andamento complessivo ciclo di vita del prodotto nel segmento
generalista” (fonte: nostra elaborazione).
Come possiamo vedere dalla figura 38 la durata media dei prodotti nel segmento
generalista, dagli inizi degli anni Novanta all’ultimo modello uscito nel mercato del
periodo di riferimento, è diminuita passando da otto anni e mezzo a meno di sette
anni.
5
5,5
6
6,5
7
7,5
8
8,5
9
inizio '90 ulwma serie
77
• Specialisti
Per il segmento specialista abbiamo preso in considerazione i marchi Mercedes,
Bmw e Audi.
Modello Anno Totale anni Classe A 1997
2004 7
2012 8 Classe C 1993
2000 7
2007 7 Classe E 1984
1995 11
2002 7
2009 7 Figura 39: “Anno rinnovo modelli Mercedes” (fonte: nostra elaborazione).
Come possiamo vedere dalla tabella (figura 39) per il marchio Mercedes i modelli
che ricoprono un maggior peso nel portafoglio prodotti complessivo sono la Classe A,
la Classe C e la Classe E. La durata media del ciclo di vita dei suoi prodotti è pari a 7,7
anni.
Figura 40: “Ciclo di vita Classe E Mercedes” (fonte: nostra elaborazione).
0
2
4
6
8
10
12
1984 1995 2002
Classe E
78
Viene evidenziato in questo grafico (figura 40) come il ciclo di vita dei modelli, nel
caso specifico la Classe E, si è ridotto nel corso degli anni anche per la casa Mercedes.
Modello Anno Totale anni A3 1996 2003 7
2012 9 A4 1994 2000 6
2004 4
2008 4 A6 1990 1997 7
2004 7 Figura 41: “Anno rinnovo modelli Audi” (fonte: nostra elaborazione).
Dalla figura 41 possiamo analizzare la politica di offerta per il marchio Audi sui suoi
principali prodotti A3, A4 e A6. La durata media del ciclo di vita dei prodotti offerti
dall’azienda automobilistica tedesca è pari a 6,2 anni. Un periodo decisamente più
basso rispetto alla Mercedes che abbiamo analizzato in precedenza.
Figura 42: “Ciclo di vita Audi A4” (fonte: nostra elaborazione).
Da questo grafico (figura 42) possiamo vedere come dagli anni Novanta il ciclo di
vita dei prodotti per l’Audi, prendendo come riferimento il modello A4, sia diminuito
0 1 2 3 4 5 6 7
1994 2000 2004
A4
79
nel corso del tempo confermando la stessa tendenza che abbiamo visto per la
Mercedes.
Modello Anno Totale anni Serie 3 1990
1998 8
2005 7 Serie 5 1996
2003 7
2010 7 Figura 43: “Anno rinnovo modelli Bmw” (fonte: nostra elaborazione).
Per l’azienda Bmw abbiamo considerato i suoi principali modelli Serie 3 e Serie 5
(figura 43). Come possiamo vedere la durata media del ciclo di vita è pari a 7,3 anni.
Figura 44: “Ciclo di vita Bmw Serie 3” (fonte: nostra elaborazione).
Dal grafico (figura 44) possiamo vedere come, anche per questa azienda
automobilistica, ci sia stata una riduzione del ciclo di vita dei prodotti, anche se
minore rispetto alle altre case prese in considerazione del segmento specialista.
6,4 6,6 6,8 7
7,2 7,4 7,6 7,8 8
8,2
1990 1998
Serie 3
80
Per avere uno sguardo d’insieme analizziamo la seguente figura (figura 45).
Figura 45: “Durata media ciclo di vita dei prodotti segmento specialista” (fonte:
nostra elaborazione).
Nel segmento specialista la casa Mercedes è quella che presenta un ciclo di vita
del prodotto più lungo rispetto ai concorrenti seguita dalla Bmw. L’Audi si distingue
per avere una durata breve dei suoi modelli nel mercato rispetto ai principali
concorrenti.
0,0
1,0
2,0
3,0
4,0
5,0
6,0
7,0
8,0
9,0 Du
rata m
edia ann
i
Mercedes
Audi
Bmw
81
Figura 46: “Andamento complessivo ciclo di vita del prodotto nel segmento
specialista” (fonte: nostra elaborazione).
Come possiamo vedere dal grafico qui sopra (figura 46) rispetto agli inizi degli anni
Novanta si è assistito a una complessiva riduzione del ciclo di vita del prodotto. Si è
passati da sette anni e mezzo di media a una durata di sette anni; una riduzione
sicuramente minore rispetto a quella che ha interessato i marchi generalisti che
abbiamo visto in precedenza.
• Asiatici
Per i marchi asiatici abbiamo considerato le aziende Toyota, Nissan e Hyundai.
Modello Anno Totale anni Corolla 1991
1995 4
2000 5
2006 6
2012 6 Yaris 1999 2005 6
2011 6 Figura 47: “Anno rinnovo modelli Toyota” (fonte: nostra elaborazione).
6,7
6,8
6,9
7
7,1
7,2
7,3
7,4
7,5
7,6
inizio '90 ulwma serie
82
Per il marchio Toyota abbiamo analizzato il ciclo di vita dei prodotti Corolla e Yaris.
Come possiamo vedere la durata media si è notevolmente ridotta rispetto agli altri
segmenti generalisti e specialisti arrivando a 5,5 anni.
Figura 48: “Ciclo di vita Toyota Corolla” (fonte: nostra elaborazione).
Come possiamo vedere da questo grafico (figura 48) si assiste, per la prima volta, a
un allungamento del ciclo di vita del prodotto nel corso degli anni per il modello
Corolla. Si passa da una durata di quattro anni a una di 6. La durata del prodotto nel
mercato era partita notevolmente bassa e si è alzata arrivando ad uniformarsi al
segmento generalista.
Modello Anno Totale anni Almera 1995
2000 5
2006 6 Micra 1992
2002 10
2010 8 Figura 49: “Anno rinnovo modelli Nissan” (fonte: nostra elaborazione).
0
2
4
6
8
1991 1995 2000 2006
Corolla
83
Come possiamo vedere dalla tabella qui sopra (figura 49) per il marchio Nissan
abbiamo analizzato i prodotti Almera e Micra. Le media di durata del ciclo di vita dei
modelli nel mercato è pari a 7,3 anni.
Figura 50: “Ciclo di vita Nissan Micra” (fonte: nostra elaborazione).
Come possiamo vedere (figura 50) il ciclo di vita dei prodotti Nissan, nel caso
specifico Micra, si è ridotto nel corso del tempo come abbiamo riscontrato nel
segmento generalista e specialista.
Modello Anno Totale anni Lantra 1991
1995 4
2000 5
2006 6 Accent 1995
1999 4
2005 6 Figura 51: “Anno rinnovo modelli Hyundai” (fonte: nostra elaborazione).
0 2 4 6 8 10 12
1992 2002
Micra
84
Per quanto riguarda il marchio Hyundai (figura 51) abbiamo considerato i prodotti
Lantra e Accent. La durata media dei prodotti sul mercato è pari a 5 anni quindi più
bassa anche del marchio Toyota appartenente al segmento in questione.
Figura 52: “Ciclo di vita Hyundai Accent” (fonte: nostra elaborazione).
Come possiamo vedere dal grafico (figura 52) in questo caso, come per il marchio
Toyota, assistiamo a un aumento del ciclo di vita del prodotto all’interno del mercato.
Figura 53: “Durata media ciclo di vita dei prodotti segmento specialista” (fonte:
nostra elaborazione).
0 1 2 3 4 5 6 7
1995 1999
Accent
0
1
2
3
4
5
6
7
8
Durata m
edia ann
i
Toyota
Nissan
Hyundai
85
Possiamo vedere come il marchio Nissan si distingua dagli altri appartenenti al
segmento asiatico per una politica di durata del ciclo di vita più simile ai suoi
concorrenti occidentali. I marchi Toyota e Hyundai hanno una durata del ciclo di vita
più breve anche se, nel corso degli anni, è cresciuta.
Figura 54: “Andamento complessivo ciclo di vita del prodotto nel segmento
asiatici” (fonte: nostra elaborazione).
Come possiamo vedere da questo grafico (figura 54) il segmento degli asiatici è
l’unico a presentare un aumento del ciclo di vita dei prodotti a partire dagli anni
Novanta fino al primo decennio del Duemila.
5
5,2
5,4
5,6
5,8
6
6,2
6,4
inizio '90 ulwma serie
86
4.2.1.1. Confronti
Il grafico (figura 55) ci permette di confrontare le politiche di gestione del ciclo di
vita utilizzate dalle principali aziende operanti nei diversi segmenti.
Figura 55: “Evoluzione ciclo di vita dei prodotti nei diversi segmenti” (fonte: nostra
elaborazione).
Come possiamo vedere gli specialisti e i generalisti hanno ridotto notevolmente il
ciclo di vita dei loro prodotti per cercare di cogliere, come abbiamo visto nei capitoli
precedenti, tutti i possibili bisogni ed esigenze dei consumatori mutati nel corso del
tempo attraverso innovazioni tecnologiche e stilistiche del prodotto. Questa strada è
stata intrapresa con maggior enfasi dal segmento generalista che è passato dall’essere
il segmento con la maggior durata di permanenza dei prodotti nel mercato, più di otto
anni, ad avere una durata media di meno di sette anni.
Al contrario, il segmento degli asiatici si distingue per avere aumentato la durata
dei suoi modelli all’interno del mercato avvicinandosi ai due segmenti generalisti e
specialisti.
4
4,5
5
5,5
6
6,5
7
7,5
8
8,5
9
inizio '90 ulwma serie
Specialisw
Generalisw
Asiawci
87
Guardando sempre il grafico possiamo vedere come tutti e tre i segmenti si stiano
avvicinando a una durata media del ciclo di vita del prodotto pari a sei anni e
mezzo/sette.
4.2.2. Politica di gestione delle versioni proposte
Attraverso i dati raccolti dall’analisi sui listini Quattroruote è interessante vedere
come evolvono, nel corso del ciclo di vita del prodotto, il numero di versioni proposte
al pubblico dei singoli prodotti. Con questa analisi andiamo a vedere come le diverse
aziende automobilistiche hanno agito sulla gestione della profondità delle linee di
prodotto. Analizziamo sempre i diversi segmenti separatamente per poi poter fare dei
confronti. Per ogni segmento abbiamo considerato le stesse aziende dell’analisi
precedente sul ciclo di vita dei prodotti, ma abbiamo svolto lo studio sulla profondità
della linea su un solo modello per casa.
• Generalisti
Per l’azienda torinese Fiat abbiamo analizzato il modello Punto.
Figura 56: “Numero di versioni nel tempo per Fiat Punto” (fonte: nostra
elaborazione).
0
10
20
30
40
50
1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
Punto
88
Nel grafico qui sopra (figura 56) abbiamo rappresentato l’andamento delle
versioni proposte da quando è uscita nel mercato al momento in cui è uscita la Grande
Punto.
Figura 57: “Numero versioni modello dal 1993 al 1998” (fonte: nostra
elaborazione).
Figura 58: “Numero di versioni proposte dal 1999 al 2005” (fonte: nostra
elaborazione).
Analizzando in specifico la gestione delle versioni per i diversi modelli (figure 58).
Se, per il modello dal 1993 al 1998, inizialmente si parte con un numero minore di
versioni per aumentare i due anni centrali e poi tornare al numero iniziale di versioni, il
modello dal 1999 al 2005, segue un andamento crescente delle versioni proposte.
Cercando però di capire cosa succede al modello Punto dopo l’uscita della Grande
26
27
28
29
30
1994 1995 1996 1997 1998
Punto
0
10
20
30
40
50
1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
Punto
89
Punto (figura 58),sua diretta sostituta, possiamo vedere come il numero di versioni
proposte cala vistosamente nel corso del tempo. Generalmente, per l’azienda Fiat,
possiamo dire che parte con un numero ristretto di versioni per farle crescere nel
periodo di maggiore forza del modello per poi ridurre il numero di versioni proposte
nella fase finale del ciclo di vita del prodotto.
Figura 59: “Numero di versioni proposte dal 2005 al 2010” (fonte: nostra
elaborazione).
0
10
20
30
40
50
2005 2006 2007 2008 2009 2010
Punto
90
Per l’azienda automobilistica Volkswagen abbiamo preso come modello di studio
la Golf.
Figura 60: “Numero di versioni nel tempo per Volkswagen Golf” (fonte: nostra
elaborazione).
Già da questo grafico (figura 60) vediamo come non ci sia un vero e proprio
pattern che l’azienda segue nel presentare le versioni al pubblico.
Figura 61: “Numero di versioni proposte dal 1992 al 1996” (fonte: nostra
elaborazione).
0 10 20 30 40 50 60 70
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Golf
0
10
20
30
40
1992 1993 1994 1995 1996
Golf
91
Figura 62: “Numero di versioni proposte dal 1997 al 2002” (fonte: nostra
elaborazione).
Figura 63: “Numero di versioni proposte dal 2003 al 2008” (fonte: nostra
elaborazione).
Come possiamo vedere da questi grafici (figure 61-‐62-‐63), che ci permettono di
fare uno zoom della profondità delle linee dei diversi modelli della Golf nel periodo di
tempo considerato, vediamo che non appare una politica definita seguita in modo
costante dal gruppo tedesco.
0 10 20 30 40 50
1997 1998 1999 2000 2001 2002
Golf
0
20
40
60
80
2003 2004 2005 2006 2007 2008
Golf
92
Analizzando per il marchio Opel il modello Corsa (figura 64) e per il marchio Ford
la Fiesta (figura 64) possiamo dire che, anche in questi casi, non possiamo delineare
delle linee generali di gestione di profondità della linea nell’arco del tempo.
Figura 64: “Numero di versioni nel tempo per Opel Corsa” (fonte: nostra
elaborazione).
Figura 65: “Numero di versioni nel tempo per Ford Fiesta” (fonte: nostra
elaborazione).
0
10
20
30
40
50
1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006
Corsa
0 5 10 15 20 25 30 35 40
1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
Fiesta
93
• Specialisti
Per il marchio Mercedes abbiamo preso come esempio la Classe C (figura 65).
Figura 66: “Numero di versioni nel tempo per Mercedes Classe C” (fonte: nostra
elaborazione).
La Classe C viene rinnovata nel 2000 e vediamo che, in corrispondenza di questo
anno, il numero di versioni diminuisce per poi risalire. Possiamo vedere una politica di
gestione della profondità della linea simile a quella che avevamo riscontato nel
marchio Fiat. All’uscita del modello il numero di versioni resta basso per aumentare
negli anni centrali e poi diminuire nuovamente alla fine del suo ciclo di vita.
0
10
20
30
40
50
Classe C
94
Figura 67: “Numero di versioni nel tempo per Audi A4” (fonte: nostra
elaborazione).
Per quanto riguarda la casa automobilistica Audi abbiamo considerato il modello
A4. Come possiamo vedere già da questo grafico (figura 67) non possiamo ricavare una
linea generale dalla gestione delle sue versioni.
Figura 68: “Numero di versioni proposte dal 1995 al 1999” (fonte: nostra
elaborazione).
0 10 20 30 40 50 60 70
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
A4
0
10
20
30
40
1995 1996 1997 1998 1999
A4
95
Figura 69: “Numero di versioni proposte dal 2000 al 2003” (fonte: nostra
elaborazione).
Figura 70: “Numero di versioni proposte dal 2004 al 2007” (fonte: nostra
elaborazione).
Come possiamo vedere da questi grafici (figure 68-‐69-‐70) nel primo (1995-‐1999) e
terzo (2004-‐2007) periodo vengono proposte poche versioni nella fase iniziale per poi
crescere durante tutto il ciclo di vita del prodotto. Questo però non si verifica per il
modello uscito dal 2000 al 2003 che segue un andamento irregolare.
0
10
20
30
40
2000 2001 2002 2003
A4
0
20
40
60
80
2004 2005 2006 2007
A4
96
Figura 71: “Numero di versioni nel tempo per Bmw Serie 3” (fonte: nostra
elaborazione).
Per la Bmw abbiamo analizzato la Serie 3 (figura 71).
Anche in questo caso l’andamento è del tutto irregolare e non è possibile
ricavarne un andamento generale.
0
5
10
15
20
25
30
35
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Serie 3
97
• Asiatici
Per le aziende appartenenti al segmento asiatici Toyota, Nissan e Hyundai
abbiamo considerato rispettivamente i modelli Yaris, Micra e Accent.
Figura 72: “Numero di versioni nel tempo per Toyota Yaris” (fonte: nostra
elaborazione).
Figura 73: “Numero di versioni proposte nel tempo per Nissan Micra” (fonte:
nostra elaborazione).
0
5
10
15
20
25
30
1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Yaris
0
10
20
30
40
50
60
10 10 14 14 10 14 14 15 19 22 22 16 28 51 33 21 19 22
Micra
98
Figura 74: “Numero di versioni proposte nel tempo per Hyundai Accent” (fonte:
nostra elaborazione).
Come possiamo vedere da questi diversi grafici (figure 72-‐73-‐74) non possiamo
delineare in nessun caso una linea generale perseguita dalla singola azienda nella
gestione delle versioni proposte nel mercato.
0
2
4
6
8
10
12
14
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
Accent
99
4.2.2.1. Confronti
Nel caso delle versioni, a differenza di quel che riguarda la gestione del ciclo di vita
del prodotto, non è possibile ricavare un filo conduttore tra appartenenti allo stesso
segmento.
Può essere utile fare un ragionamento sulle medie complessive per segmento.
Figura 75: “Numero medio versioni per segmento” (fonte: nostra elaborazione).
Come possiamo vedere in questo grafico (figura 75) il numero medio di versioni
proposte è pressoché identico tra generalisti e specialisti, rispettivamente 11 e 10,6,
mentre varia notevolmente per gli asiatici che hanno una media di versioni proposte
pari a 3,8. Anche nell’ambito del numero di versioni proposte vediamo come il
segmento asiatico si distingua dai concorrenti occidentali.
Avevamo visto in precedenza che non c’è una forte correlazione tra il numero di
versioni proposte e le immatricolazioni quindi, la strategia seguita dal segmento
asiatico, sembra essere adeguata.
0,0
2,0
4,0
6,0
8,0
10,0
12,0
numero medio versioni generalisw
numero medio versioni specialisw
numero medio versioni asiawci
100
Conclusioni
Questo elaborato ha lo scopo di approfondire il tema della gestione del
portafoglio prodotti da parte dell’industria dell’automotive: si è cercato di capire se il
settore dell’auto si stia muovendo nel verso giusto dal punto di vista operativo, se le
strategie portate avanti dai manager delle aziende automobilistiche siano idonee ad
affrontare la crisi economica che tocca questa parte di mercato molto da vicino.
Infatti, la crescente competizione all’interno del mercato di riferimento e la crisi
economica hanno portato le case automobilistiche ad offrire un maggior numero di
modelli e versioni riducendo, al contempo, il ciclo di vita dei singoli prodotti con un
conseguente aumento dei costi.
Secondo le principali teorie del marketing una maggiore segmentazione del
mercato, correlata ad un’offerta di specifici prodotti, permette di allargare i propri
clienti potenziali cogliendo esigenze più articolate e specifiche. A tal proposito, anche
una maggiore differenziazione porta il consumatore a sentire il proprio prodotto come
unico rispetto a quello degli altri e conseguentemente aumenta anche la propensione
da parte del cliente a spendere di più (premium price) per quella specifica auto.
Attraverso i dati raccolti ci si è posti l’obiettivo di verificare se effettivamente una
maggiore segmentazione e differenziazione del prodotto auto sia in grado di apportare
un aumento della quota di mercato dei rispettivi marchi.
Si sono suddivisi i diversi marchi in tre segmenti che si distinguono per la loro
diversa strategia di prodotto, ovvero, generalisti, specialisti ed asiatici.
I dati utilizzati sono delle serie storiche relative a modelli e versioni dal 1990 al
2010 ricavati attraverso uno studio approfondito della rivista “Quattroruote”, con la
decisione di estendere la validità di questi dati raccolti per tutta l’Europa Occidentale.
Attraverso l’accesso a dei database affidabili (quali quelli di “Acea” e “InteaAutoNews”)
si sono potute ricavare le immatricolazioni per anno dal 1990 al 2010 per i diversi
marchi e quelle per singolo modello di ogni casa dal 1999 al 2010.
Con l’ausilio di questi dati e grazie ad una serie di analisi abbiamo ottenuto degli
interessanti risultati. In primis, relativamente al numero di modelli proposti nel
101
mercato, abbiamo potuto evidenziare come effettivamente siano aumentati in tutte e
tre le classi prese in considerazione (generalisti, specialisti e asiatici); lo stesso vale per
il numero di versioni introdotte. Grazie ai dati sulle immatricolazioni e al grande
numero di aziende automobilistiche prese in considerazione (quarantasei marchi),
abbiamo esaminato poi la possibile esistenza di correlazione significativa fra il numero
di modelli e versioni proposte nel mercato ed il tasso di immatricolazioni. Il legame che
intercorre tra numero di modelli e immatricolazioni si è dimostrato essere
tendenzialmente positivo (difatti, ad un aumento del numero di modelli si è palesata
una maggior probabilità di veder aumentare il tasso di immatricolazioni), diversamente
la correlazione tra numero di versioni e immatricolazioni si è dimostrata troppo
debole, tendenzialmente vicina allo zero.
Con i dati a disposizione abbiamo deciso di analizzare lo sviluppo del ciclo di vita
del prodotto auto nel corso dei vent’anni presi in considerazione. Sono stati esaminati i
marchi più rilevanti per classe e, per ognuno di essi, i prodotti che ricoprivano un
maggior peso nel loro portafoglio prodotti complessivo. Attraverso quest’analisi
abbiamo potuto vedere come i tre segmenti stiano cercando di avvicinarsi verso una
linea comune con una durata media di sette anni; durata che è diminuita per i
segmenti generalisti e specialisti, ma aumentata per gli asiatici.
Il numero di versioni proposte dalle diverse case non segue una linea precisa ed in
media i segmenti generalisti e specialisti hanno un alto numero di versioni medie
proposte (si aggira attorno alle undici) mentre gli asiatici detengono un numero di
versioni medie molto più basse (pari a poco meno di quattro). La strategia seguita dagli
asiatici, in luce dell’analisi svolta sulle correlazioni possibili, sembra risultare quella
ottimale perché non emerge un rapporto diretto tra numero di versioni e quota di
mercato. In aggiunta, l’aumento del numero di versioni offerte porta a costi aggiuntivi
considerevoli non motivati da un corrispettivo aumento delle vendite.
Per concludere, si può affermare come l’analisi svolta in questo elaborato possa
offrire degli spunti che possono essere considerati in modo trasversale ovvero anche in
altre aree di interesse. Infatti, ambiti come quelli della cosmesi, della moda e molti altri
102
sono continuamente mossi dall’istinto di continuare a proporre nuovi prodotti al
consumatore al fine di attirare la sua attenzione e, conseguentemente, aumentare le
vendite.
Tuttavia rimane cruciale lo sforzo di comprendere se all’introduzione di nuovi
prodotti, con i conseguenti costi aggiuntivi, possa seguire un effettivo ritorno in
termini di vendite e di redditività.
103
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