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FINESTRA SULL’AUTORE Cicerone Cicerone e l’epistolografia E pistolografia deriva dal greco epistolé (latino epistula) graf ía e significa letteralmente «scrittura di lettera». L’epistolografia è un genere letterario molto antico che rispondeva a precise regole retori- che. La lettera poteva essere scritta per un fine ufficiale o informale, colloquiale e personale. La sua forma espressiva doveva essere chiara e sintetica con un lessico medio vicino al sermo cotidianus, alla «lingua par- lata». Nella letteratura latina il genere dell’epistolografia diventa con Cicerone espressione vera e sincera di stati d’animo, un mezzo per comunicare a parenti e amici lontani ansie, turbamenti, sentimenti. Marco Tullio Cicerone è il primo rappresentante del genere epistolografico nella letteratura latina. Nac- que ad Arpino, nel Lazio meridionale, nel 106 a.C. da un’antica famiglia dell’ordine equestre priva di tra- dizioni nella vita politica. Fu quindi un homo novus. A Roma compí la sua formazione politica e forense. Nell’81 sostenne la sua prima causa civile e nell’80 difese Sesto Roscio, un ricco cittadino di Ameria che un liberto di Silla tentava di privare dell’eredità, facendo iscrivere il nome del padre nelle liste di proscrizione ormai decadute. Subito dopo il processo intraprese un viaggio per sottrarsi alle possibili rappresaglie dei Sillani e perfezionare la propria cultura. Nel 77 a.C. sposò Terenzia, di ricca e nobile famiglia e iniziò il cur- sus honorum. Fu questore in Sicilia dove si distinse per la sua integrità e a Siracusa scoprí la tomba di Ar- chimede. Nel 70 a.C. i Siciliani gli affidarono la causa contro Verre nel processo de repetundis per le rube- rie commesse nel triennio 73-71, quando lo stesso Verre fu governatore della Sicilia. Nel 63 a.C. fu console e si schierò contro i populares: con le quattro Catilinarie soffocò il tentativo rivoluzionario di Catilina e Cesare Maccari, Cicerone accusa Catilina in Senato, XIX secolo. Roma, Palazzo Madama.

plicium progrĕdi necesse habeant. Haec quam potest ...epea.altervista.org/wp-content/uploads/2018/06/Cicerone-Tempus... · Marco Tullio Cicerone è il primo rappresentante del genere

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FINESTRA SULL’AUTORE Cicerone

gnorum, frumenti inopia, conloquium petunt et id, si fi eri possit, semoto a militibus loco. Ubi id a Caesare negatum et palam si conloqui vellent concessum est, datur obsĭdis loco Caesa­ri fi lius Afrani. Venitur in eum locum quem Caesar delegit. Audiente utroque exercitu, loqui­tur Afranius: non esse aut ipsis aut militibus suscensendum quod fi dem erga imperatorem su­um Cn. Pompeium conservare voluĕrint. Sed satis iam fecisse offi cio satisque supplicii tulisse, perpessos omnium rerum inopiam; nunc vero paene ut feras circummunitos prohibēri aqua, prohibēri ingressu, neque corpore dolorem neque animo ignominiam ferre posse. Itaque se vic­tos confi tēri: orare atque obsecrare, siqui locus misericordiae relinquatur, ne ad ultimum sup­plicium progrĕdi necesse habeant. Haec quam potest demississime et subiectissime exponit.

Cicerone e l’epistolografi a

Epistolografi a deriva dal greco epistolé (latino epistula) graf ía e signifi ca letteralmente «scrittura di lettera». L’epistolografi a è un genere letterario molto antico che rispondeva a precise regole retori-

che. La lettera poteva essere scritta per un fi ne uffi ciale o informale, colloquiale e personale. La sua forma espressiva doveva essere chiara e sintetica con un lessico medio vicino al sermo cotidianus, alla «lingua par-lata». Nella letteratura latina il genere dell’epistolografi a diventa con Cicerone espressione vera e sincera di stati d’animo, un mezzo per comunicare a parenti e amici lontani ansie, turbamenti, sentimenti. Marco Tullio Cicerone è il primo rappresentante del genere epistolografi co nella letteratura latina. Nac-que ad Arpino, nel Lazio meridionale, nel 106 a.C. da un’antica famiglia dell’ordine equestre priva di tra-dizioni nella vita politica. Fu quindi un homo novus. A Roma compí la sua formazione politica e forense. Nell’81 sostenne la sua prima causa civile e nell’80 difese Sesto Roscio, un ricco cittadino di Ameria che un liberto di Silla tentava di privare dell’eredità, facendo iscrivere il nome del padre nelle liste di proscrizione ormai decadute. Subito dopo il processo intraprese un viaggio per sottrarsi alle possibili rappresaglie dei Sillani e perfezionare la propria cultura. Nel 77 a.C. sposò Terenzia, di ricca e nobile famiglia e iniziò il cur­sus honorum. Fu questore in Sicilia dove si distinse per la sua integrità e a Siracusa scoprí la tomba di Ar-chimede. Nel 70 a.C. i Siciliani gli affi darono la causa contro Verre nel processo de repetundis per le rube-rie commesse nel triennio 73-71, quando lo stesso Verre fu governatore della Sicilia. Nel 63 a.C. fu console e si schierò contro i populares: con le quattro Catilinarie soff ocò il tentativo rivoluzionario di Catilina e

Cesare Maccari, Cicerone accusa Catilina in Senato, XIX secolo. Roma, Palazzo Madama.

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fece condannare a morte i complici che non lo avevano seguito in Etruria. Per questo nel 58 a.C. Clodio, tri-buno della plebe, propose una legge che puniva con l’esilio chi aveva fatto condannare a morte un cittadino romano senza concedergli l’appello al popolo. Cicerone lasciò Roma prima che la legge venisse approvata. I suoi beni furono confi scati e la sua casa sul Palatino fu rasa al suolo: sul terreno fu innalzata una statua alla dea Libertà. Trascorse sedici mesi a Tessalonica e a Durazzo, poi rientrò a Roma tra molte dimostra-zioni di stima e di onore. Quando nel convegno di Lucca i triumviri Cesare, Pompeo e Crasso spinsero Cicerone a collaborare con loro, egli divenne l’oratore del triumvirato.Nel 52 a.C. Milone, fautore degli optimates, uccise in uno scontro di bande armate Clodio. La cosa provocò a Roma gravi disordini e Pompeo fu nominato unico console. Cicerone assunse la difesa di Milone ma non riuscí a evitargli la condanna. Nel 51 a.C. fu proconsole in Cilicia e rientrò in Italia nel 50, nell’imminenza della guerra civile. Quando Cesare scese in Italia, seguí Pompeo in Oriente pur presentendone la sconfi t-ta. Dopo la battaglia di Farsàlo si rimise alla clemenza del vincitore. In seguito si ritirò prima nella villa di Tuscolo, poi a Roma, dedicandosi quasi esclusivamente agli studi. Nel 45 a.C. gli morí la fi glia Tullia e si dedicò alla stesura delle opere fi losofi che: gli Academica, il De fi nibus bonorum et malorum e le Tuscula­nae disputationes. Quando Cesare cadde sotto i colpi dei congiurati, tornò alla vita politica nella speran-za di ripristinare la repubblica aristocratica. Prese poi posizione contro Antonio e tra il Dicembre del 44 e l’Aprile del 43 pronunciò in senato e davanti al popolo dodici orazioni contro Antonio (le Filippiche sono complessivamente 14). Quando nell’Ottobre del 43 a.C. si costituí il secondo triumvirato (Ottaviano, An-tonio e Lepido), vennero redatte le liste di proscrizione nelle quali Cicerone fi gurava al primo posto. Volle fuggire in Grecia per raggiungere Bruto, ma respinto da venti contrari rientrò nella sua villa di Formia e il 7 Dicembre del 43 a.C. fu ucciso dai sicari di Antonio.

L’epistolario di Cicerone comprende quasi 900 lettere divise in quattro raccolte:Ad Atticum, in 16 libri dal 68 al 44 a.C.;Ad familiares, in 16 libri dal 62 al 43 a.C.;Ad Quintum fratrem, in 3 libri dal 59 al 54 a.C.;Ad Marcum Brutum, in 2 libri, di dubbia autenticità, su avvenimenti del 43 a.C.

Tutto questo materiale fu raccolto dal fedele liberto Tirone e dall’amico Tito Pomponio Attico: si trat-ta di un documento umano a cui Cicerone affi dò tutti i suoi moti dell’animo, le speranze, i timori, le gioie, le amarezze, l’aff etto per i suoi cari. Non scrisse per i posteri ma per un intimo bisogno di sfogo, pertanto emerge da esse soprattutto il Cicerone privato che mette sinceramente a nudo le sue debolezze e i suoi de-sideri. Le lettere, inoltre, sono importanti dal punto di vista storico, poiché rappresentano quell’età (dal 68 al 43 a.C.) che vide la potenza di Pompeo e di Cesare, la congiura di Catilina, la guerra civile, la dittatura di Cesare, la sua morte e, infi ne, l’ascesa di Ottaviano.

Lo stile delle epistole ciceroniane è semplice e piano, il lessico medio, ricco di grecismi. Cicerone impiega anche neologismi e diminuitivi dal valore aff ettivo-sentimentale. Prevalgono periodi brevi, ricchi di ellissi, di incisi, di parentesi che testimoniano un tipo di comunicazione viva, spontanea e informale.

Ad Atticum, I, 2, 1-2: La nascita del fi glio MarcoAll’amico Attico Cicerone comunica la nascita del fi glio Marco. È un momento di gioia di cui l’oratore intende rendere partecipe l’amico piú caro. Non mancano le preoccupazioni politiche: Cicerone chie-de consiglio e aiuto per la sua candidatura a console, in competi-zione con colui che diventerà il suo piú acerrimo avversario, Lucio

Sergio Catilina.

L. Iulio Caesare, C. Marcio Figulo consulibus, fi liolo me auc­tum scito salva Terentia. Abs te tam diu nihil litterarum! Ego de meis ad te rationibus scripsi antea diligenter. Hoc tempore Catilinam, competitorem nostrum, defendere cogitamus; iudi-

ces habemus, quos voluimus, summa accusatoris voluntate;

Ritratto di Marco Tullio Cicerone; XIX secolo.

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spero, si absolutus erit, coniunctiorem illum nobis fore in ratione petitionis; sin aliter accide-rit, humaniter feremus. Tuo adventu nobis opus est maturo; nam prorsus summa hominum est opinio tuos familiares, nobiles homines, adversarios honori nostro fore: ad eorum vo­luntate mihi conciliandam maximo te mihi usui fore video. Qua re Ianuario mense, ut costitu­isti, cura ut Romae sis.

Sotto il consolato di L. Giulio Cesare e di C. Marcio Figulo1, sappi che sono stato allietato dalla nascita di

un fi glio e che Terenzia2 sta bene. Non ho ricevuto da te nessuna lettera da molto tempo! Io ti ho scritto

prima accuratamente riguardo ai miei progetti. Ora penso di difendere Catilina, mio rivale: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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. . . . . . . . . . . . .; spero che se sarà assolto costui mi sia piú amico nell’aff are della candidatura; . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. Ho bisogno del tuo sollecito arrivo; . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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capisco che mi sarai di grandissimo aiuto per conciliarmi il loro favore. Perciò nel mese di Gennaio3, co-

me hai stabilito, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..

1 Siamo nel 65 a. C.2 Terenzia era la prima moglie di Cicerone, dalla quale ebbe due fi gli: Tullia, amata teneramente che morí nel 45 a.C., gettando il padre in

uno stato di profonda disperazione, e Marco Cicerone, la cui nascita è appunto qui ricordata.3 Il gennaio è quello del 64 a.C.; nei comizi dell’agosto dello stesso anno Cicerone fu eletto console superando notevolmente Catilina che

l’anno successivo tentò il famoso colpo di Stato.

Ad Atticum, III, 3: Cicerone chiede aiuto dall’esilioCon la lex Clodia de capite civis Romani, Cicerone viene mandato in esilio. Ospite dell’amico Lucio Sicca a Vibone (oggi Vibo Valentia, nei pressi di Catanzaro), scrive ad Attico chiedendogli di raggiungerlo affi nché possa ricevere da lui conforto e consigli.

Utinam illum diem videam, cum tibi agam gratias, quod me vivere coegisti! Adhuc quidem valde me poenitet. Sed te oro, ut ad me Vibonem statim venias, quo ego multis de causis con-verti iter meum. Sed eo si veneris, de toto itinere ac fuga mea consilium capere potero. Si id non feceris, mirabor; sed confi do te esse venturum.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . in cui possa ringraziarti per il fatto che

mi hai costretto1 a rimanere in vita! Per ora purtroppo me ne pento amaramente. Ma ti prego di venire

subito a Vibone dove io . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. Ma se

verrai là, potrò prendere una decisione a proposito di tutto ciò che riguarda il viaggio e il mio esilio. . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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1 Dalle parole di Cicerone sembra che Attico abbia convinto l’amico a evitare il suicidio, ma può trattarsi di un topos per evidenziare la grandezza dell’oratore.

Ad familiares XVI, 14: Preoccupazione per il fedele TironeCicerone si trova a Cuma per incontrare Pompeo. Da qui scrive al suo fedele schiavo Tirone che si trovava ammalato nella villa dell’oratore a Formia. Tirone fu per Cicerone piú un amico che uno schiavo, tanto che

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proprio lo stesso anno di questa lettera, il 53 a.C., gli concesse l’aff rancamento, la manumissio, forse in oc-casione del suo cinquantesimo compleanno. Gli fece anche dono di una cospicua somma di denaro che gli permise di acquistare una piccola proprietà agricola.

Andricus postridie ad me venit, quam exspectaram; itaque habui noctem plenam timoris ac miseriae. Tuis litteris nihilo sum factus certior, quomodo te haberes, sed tamen sum recrea­tus. Ego omni delectatione litterisque omnibus careo, qua, antequam te videro, attingere non possum. Medico mercedis, quantum poscet, promitti iubeto: id scripsi ad Ummium. Audio te animo angi, et medicum dicere ex eo te laborare. Si me diligis, excita ex somno tuas litte­ras humanitatemque, propter quam mihi es carissimus. Nunc opus est te animo valēre, ut corpore possis. Id cum tua, tum mea causa facies a te peto. Acastum retine, quo commo­dius tibi ministretur. Conserva te mihi: dies promissorum adest, quem etiam repraesentabo, si advenĕris. Etiam atque etiam vale. III Id. Apr. Hora VI.

Andrico1 è arrivato da me il giorno dopo di quando lo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .; perciò ho trascorso

una notte piena di timore e di preoccupazione. Dalla tua lettera non . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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ogni piacere dell’attività letteraria a cui non posso dedicarmi prima di averti rivisto. Fa’ di promettere al

medico il compenso che richiederà; ho scritto questo a Ummio2. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Se mi ami, risveglia la tua cultura letteraria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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per te ma anche per me. Tieni Acasto perché tu possa essere accudito meglio. Mantieniti per me: il gior-

no della promessa è vicino e, se verrai, lo anticiperò anche. Stammi benone. 11 Aprile a mezzogiorno

1 Andrico era uno dei tabellarii di Cicerone, cioè uno degli schiavi incaricati di consegnare la corrispondenza.2 Ummio era forse l’amministratore dei beni di Cicerone.3 Probabilmente Tirone soff riva di disturbi legati all’ansia, a causa dei quali cadeva in depressione e non poteva dedicarsi agli studi.

Ad familiares XIV, 4, 1, 3-4, 6: Preoccupazioni per i familiariIn questa lettera emerge tutta la disperazione di Cicerone per le diffi cili condizioni in cui erano costretti a vivere i suoi familiari, esposti a vessazioni di ogni genere dopo la condanna dell’oratore all’esilio.

Ego minus saepe do ad vos litteras, quam possum, propterea quod cum omnia mihi tempora sunt misera, tum vero, cum aut scribo ad vos aut vestras lego, confi cior lacrimis sic, ut ferre non possim. […] Si est spes nostri redĭtus, eam confi rmes et rem adiuves; sin, ut ego metuo, transactum est, quoquo modo potes ad me fac venias. Unum hoc scito: si te habebo, non mihi videbor plane perisse. Sed quid Tulliola mea fi et? Iam id vos videte: mihi deest consi­lium. Sed certe, quoquo modo se res habebit, illius misellae et matrimonio et famae serviendum est. Quid? Cicero meus quid aget? Iste vero sit in sinu semper et complexu meo. Non queo plura iam scribere: impĕdit maeror. Tu quid egeris, nescio: utrum aliquid teneas an, quod metuo, plane sis spoliata. Pisonem, ut scribis, spero fore semper nostrum. […] Mea Terentia, fi dissima atque optima uxor, et mea carissima fi liola et spes reliqua nostra, Cicero, valēte.

Io scrivo meno spesso di quanto potrei poiché, se anche tutti i momenti sono per me dolorosi, in parti-

colare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . quando vi scrivo o quando leggo le vostre lettere. Se esiste una speran-

za che io possa tornare, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..

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Se invece, come temo, è tutto perduto, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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della mia piccola Tullia? Ormai vedete ciò: a me manca il proposito. Ma certamente in qualunque modo

la cosa andrà, dobbiamo preoccuparci del matrimonio e della reputazione di quella poverina1. E che? Il

mio Cicerone che cosa farà? Lui però vorrei sempre averlo con me e tra le mie braccia. Non posso scri-

vere di piú; la tristezza me lo impedisce. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . .; se tu possieda ancora qualche cosa o se tu sia stata spogliata del tutto, come temo. Spero che Pi-

sone sarà sempre dalla nostra parte, come mi scrivi, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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1 Tullia era sposata con C. Calpurnio Pisone di cui Cicerone loda spesso le qualità umane. Tuttavia, in questo diffi cile momento della sua vita, l’Arpinate teme che i provvedimenti economici presi contro di lui, come la confi sca dei beni, possano nuocere alla fi glia e al suo ma-trimonio in quanto non aveva terminato di pagare a Pisone l’intero ammontare della dote di Tullia.

Ad Atticum, XII, 13,1: Dolore per la morte di TulliaDopo la morte della sua diletta Tullia, Cicerone cercò conforto nella corrispondenza con Attico e con altri amici. Si dedicò inoltre alla composizione di una Consolatio in cui descriveva le grandi qualità intellettuali e umane della fi glia, di cui però è rimasto solo qualche esiguo frammento.

Me haec solitudo minus stimulat quam ista celebritas. Te unum desidero; sed litteris non dif-fi cilius utor quam si domi essem. Ardor tamen ille idem urget et manet, non mehercule in-dulgente me, sed tamen repugnante.

Questa solitudine mi fa soff rire meno di codesto aff ollamento. Mi manchi solo tu; . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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. . . . . . . . . . . . . . . . . .. Tuttavia quello stesso tormento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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1 La lettera è stata scritta il 7 marzo del 45 a.C. Non era dunque trascorso neppure un mese dalla morte della fi glia: troppo poco tempo perché egli potesse sentirsi piú sereno.

Ad Atticum, XII, 15,1: Profonda solitudineSempre disperato per la morte della fi glia, il grande oratore cerca conforto nella solitudine dei libri con i quali intesse un colloquio spirituale che, tuttavia, è spesso interrotto dal pianto.

In hac solitudine careo omnium colloquio, cumque mane me in silvam abstrūsi densam et asperam, non exeo inde ante vesperum. Secundum te nihil est mihi amicius solitudine. In ea mihi omnis sermo est cum litteris. Eum tamen interpellat fl etus cui ripugno quoad possum. Sed adhuc pares non sumus.

In questa solitudine non parlo con nessuno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. A parte te . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . .. In essa ogni mia conversazione è con i libri. Tuttavia la interrompe il pianto con il quale lotto fi n-

ché posso. Ma non siamo ancora alla pari1.

1 Cicerone ricorre qui a una metafora: il suo dolore è un potente avversario che lui non è ancora in grado di battere.

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Per approfondire

Dopo Cicerone nella letteratura latina altri famo-si autori si sono dedicati al genere epistolografi co. Oltre alle epistole latine in versi del poeta Orazio, di cui abbiamo letto una Satira nell’Unità 3 del Vol. II, occorre ricordare l’opera di Seneca, autore vissu-to durante la prima età imperiale. Con lui si aff erma l’epistola di natura fi losofi ca: nelle 124 Epistulae mo-rales ad Lucilium, infatti, Seneca si serve della forma epistolare per esporre le proprie rifl essioni fi losofi -che.Vanno poi ricordate le epistole di Plinio il Giovane, nato a Como nel 61 o 62 d.C., nipote del famoso Pli-nio il Vecchio al quale fu affi dato dopo la morte del padre. Questi lo adottò e lo portò con sé a Roma do-ve frequentò la scuola di Quintiliano. Plinio il Giovane fu amico personale e consigliere dell’imperatore Tra-iano, che lo nominò legato consolare nella provincia

del Ponto e della Bitinia, dove probabilmente morí nel 113 d.C.L’epistolario di Plinio è costituito da 10 libri e ci for-nisce un quadro della società aristocratica del tempo, attraverso il racconto delle sue attività sportive e cul-turali e dei suoi svaghi. A diff erenza delle lettere di Ci-cerone, però, quelle di Plinio sono fi nalizzate alla pub-blicazione e pertanto sono frutto di una raffi nata ela-borazione formale, lontane dalla spontaneità delle epistole dell’Arpinate.Ti presentiamo adesso in traduzione italiana la famo-sa epistola in cui Plinio il Giovane narra la morte dello zio Plinio il Vecchio, durante l’eruzione del Vesuvio del 24 agosto del 79 d.C. La lettera è destinata allo storico Tacito che aveva chiesto a Plinio notizie sulla catastro-fe e sulla morte del famoso naturalista per poi parlar-ne nella sua opera, le Historiae.

Epistulae, VI, 16, 4-9Si trovava a Miseno e comandava personalmente la flotta. Il 24 Agosto attorno alle tredici mia madre gli fa notare l’apparire di una nube inusitata per grandezza e per forma. Dopo aver preso un bagno di sole e un altro nell’acqua fredda, aveva fatto uno spuntino stando a letto; chiede i sandali e si reca nel luogo da dove quel prodigio poteva essere contemplato nella migliore condizione. Da un monte difficile a in-dividuare per chi guardava da lontano – si seppe poi che si trattava del Vesuvio – si levava una nube la cui forma non può essere descritta meglio che da un pino. Infatti, sollevatasi in alto, come sorretta da un tronco altissimo, si allargava poi in quelli che potrebbero essere chiamati dei rami, poiché, trasportata

in alto dal turbine recente, poi disperden-dosi quello nell’aria o anche vinta dal pro-prio peso, si dissolveva allargandosi ora bi-anca, ora sporca e a macchie a seconda che avesse sollevato con sé terra o cenere. Lo straordinario fenomeno gli sembrò, come è naturale per un uomo cosí erudito, gran-dioso e degno di essere conosciuto piú da vicino. Ordina di preparare una nave libur-nica; a me concede la possibilità di andare con lui nel caso lo volessi; rispondo che preferisco dedicarmi allo studio e per ca-so proprio lui mi aveva affidato qualcosa da scrivere. Esce di casa, prende una let-tera da parte di Rettina, moglie di Casco atterrita per l’imminente pericolo (infat-ti la sua villa era situata sulla spiaggia so-pra la quale incombeva il vulcano); pre-gava di strapparla da quella minaccia. Egli allora cambia parere e affronta con gran-dissimo coraggio ciò che aveva intrapreso spinto da interesse scientifico. Fa scendere in mare una quadrireme e lui stesso vi sale per portare aiuto non solo a Rettina ma a molti (infatti quel litorale era molto fre-quentato).

Bernardino, Jacopo e Tommaso Rodari, Statua di Plinio il Giovane, XVI secolo. Como, Duomo.

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Nell’Epistula VI, 20 il racconto prosegue:Già in precedenza e per molti giorni la terra aveva tremato, ma poiché in Campania il fenomeno era fre-quente, nessuno si era eccessivamente preoccupato. Senonché quella notte la terra infierí in modo tale che pareva che le cose non si muovessero ma venissero capovolte. […]Una folla attonita ci segue […] e mentre avanziamo preme e incalza con massa sterminata. […] I car-ri che ci eravamo fatti portare, pur trovandosi in luogo perfettamente piano, si muovevano in direzioni opposte, e non riuscivano a stare fermi neppure puntellati con massi. Vedevamo il mare ritrarsi, quasi respinto dal movimento della terra, e il litorale allargarsi e lasciare sulla spiaggia disseccata molti ani-mali marini. Dalla parte opposta, una nube nera e terrificante, rotta da guizzi sinuosi e lampeggianti di vapori ardenti si sfilacciava in lunghe figure di fiamme, simili alle folgori ma ancor piú grandi. […] Già cadeva la cenere anche se al momento ancor rada. Mi volto. Alle spalle incombeva una nube densa. […] Potevi udire gemiti di donne, pianti supplichevoli di fanciulli, grida di uomini: chi chiamava a gran voce i genitori, chi i figli o il coniuge, e si riconoscevano alla voce. Vi era chi per paura della morte pregava di morire. Molti sollevavano le mani agli dèi, molti altri dicevano che non c’erano piú dèi e che quella era l’ultima ed eterna notte del mondo.

Trad. di Eva Cantarella, in E. Cantarella, G. Guidorizzi, Antologia latina, Einaudi scuola, 1999.

uno sguardo al lessico

In questa unità hai incontrato un testo tratto dal De divinatione di Cicerone (Lezione 4, versione 1), in cui l’autore latino tratta delle origini dell’arte di prevedere il futuro. Come in ogni tempo, la dimensione religiosa è stata fondamentale anche nella realtà dell’antica Roma e per questo ci sembra interessante guardare piú da vicino due termini della sfera semantica religiosa: religio e divinatio.Religio, -onis, f., della terza declinazione, è una vox media, in quanto può avere un va-lore positivo o negativo. Nella sua valenza positiva può essere tradotto «sentimento re-ligioso, religiosità, devozione agli dèi, fede, culto», oppure «coscienziosità, scrupolosità, puntualità, precisione, lealtà, sincerità», e in� ne, soprattutto al plurale, «pratiche religiose, riti religiosi, cerimonie religiose». Nella sua valenza negativa, invece, assume il signi� ca-to di «scrupolo superstizioso, credenza superstiziosa, superstizione», ma anche «sacrile-gio, profanazione, maledizione». Dal punto di vista etimologico Cicerone lo connette con il verbo relegere nel senso di «coltivare diligentemente» la devozione agli dèi; altri scrit-tori lo collegano a relıgo, -as, -avi, -atum, -are, nel senso di «legarsi» agli dèi.Nell’italiano troviamo il termine «religione» e l’aggettivo «religioso», in cui è rimasto il va-lore positivo di religio, mentre il valore negativo è presente in «superstizione» che deri-va da superstitio, superstitionis. Anche nelle altre lingue si è mantenuto il signi� cato po-sitivo del termine come «fede, pratica religiosa»: religion in francese, spagnolo, inglese; Religion in tedesco. In inglese e in francese si è conservato anche il valore originario del termine latino «scrupolo, precisione», soprattutto nell’aggettivo derivato religieux in fran-cese e religious, «religioso, osservante, pio, scrupoloso», in inglese. Il signi� cato nega-tivo di «superstizione» deriva, anche nelle altre lingue europee, dal termine superstitio, a parte il tedesco che usa il termine Aberglaube (da Glaube, «fede, credenza» e aber, «ma», che ha valenza di un pre� sso negativo).Divinatio, -onis, f., sempre della terza declinazione, viene tradotto con «divinazione, presentimento, dono della profezia, interpretazione dei segni divini», e si ricollega alla stessa radice del sostantivo deus / divus. La divinazione era l’arte di prevedere il futuro interpretando i fatti della realtà come segni della volontà degli dèi ed era molto diffusa nel mondo romano e, piú in generale, nel mondo antico. In particolare i Romani usavano due tecniche, apprese dagli Etruschi: l’arte augurale, esercitata dagli augures, che inter-pretavano i segni inviati dagli dèi agli uomini attraverso l’osservazione del volo, del canto

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e del modo di mangiare degli uccelli, e l’arte aruspicina, esercitata dagli aruspıces, che esaminavano le interiora delle vittime e prevedevano fatti straordinari come terremoti, eclissi. Il termine è rimasto nell’italiano «divinazione», che ha lo stesso signi� cato della parola latina e pertanto è di uso limitato, come il verbo «divinare» che indica il predire interpre-tando sogni o altri presagi, mentre è di uso comune il derivato «indovinare» che indica il «prevedere la verità di una realtà presente o futura» e i sostantivi «indovino» e «indovinel-lo». Nelle altre lingue europee possiamo trovare divination, «divinazione», deviner, «in-dovinare, presagire, predire», divinateur, aggettivo che signi� ca «divinatorio, divinatore» e l’altro aggettivo divinatoire, usato anche nel nesso art divinatoire, «arte divinatoria, ar-te indovina», in francese; divination, «divinazione, profezia, intuizione», to divine, «divi-nare, presagire, profetare» e diviner, «indovino, mago, divinatore» in inglese; divinaciòn, «divinazione» e divinar, «divinare, profetare» in spagnolo. Il tedesco mantiene il termine Divinatione.

Il Tempio di Apollo, I secolo d.C. Oplontis (Torre Annunziata, Napoli), Villa di Poppea. La parete raffi gura un suggestivo ingresso in un tempio consacrato ad Apollo, identifi cabile dal tripode delfi co incoronato d’alloro, entrambi sacri al dio.