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In copertina Daryl Wein & Zoe Lister-Jones fotografati da Coley Brown. Interviste a Delphic, Il Pan del Diavolo, Memory Tapes, Christian Joy, Gabriele Salvatores e Valeria Bilello, e molti altri… I servizi di moda di questo mese sono di Valerie Philips, Sidney Geubelle. Gli Street Files di questo mese sono scattati a Gerusalemme da Yael Sioma.
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Mensile. Numero 81, Aprile 2010
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Japan ¥2.250 - Austria €8,90 - Portugal €6,30
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© 2010 adidas AG
. adidas, the Trefoil, and the 3-Stripes mark are registered tradem
arks of the adidas Group.
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PIG Mag 81, Aprile 2010PIG Mag are:
Daniel BeckermanPublisher
Simon BeckermanPublisher & Editor in Chief
Sean Michael BeolchiniExecutive Editor Fashion & Photography
Valentina BarzaghiManaging Editor, Cinema Editor
Giacomo De Poli (Depolique)Managing Editor Music
Ilaria NorsaManaging Editor Fashion
Fabiana FierottiFashion Editor, Production Assistant
Stefania Mapelli (Meschina)PR, Production and Photography
Marco VelardiManaging Editor Books
Maria Cristina BastanteManaging Editor Design
Giovanni CerviManaging Editor Art and New Media
Janusz DagaManaging Editor Videogames
Piotr NiepsujAssistant Managing Editor Music, Photography
Gaetano ScippaContributing Music Editor
Marco LombardoContributing Music Editor
Graphic design dept
Stefania Di Bello - Graphic design and layout
Contributors
Rebecca Caterina Elisabeth Larsson, Karin Piovan, Luca Campri
(foto), Sidney Geubelle (foto), Valerie Phillips (foto), Aldene
Johnson (stylist), Charlotte Cave (hair & make-up), Astrid
(model), Holly Barnes (stylist’s assistant), Coley Brown (foto),
Alex Flach (foto), Ioulex (foto), Elizabeth Ammerman (model),
Yael Sloma (foto), Barnaba Ponchielli, Sabine Peeters (hair
& makeUp), Elisabeth Ouni (model), Emmanuelle Moutinho
(stylist), Giovanni Galilei (stylist’s assistant), Nicole Krunic (hair
& make-up), Brittany Hollis (model), Irina Berezina (model),
Christian Nulty (model) e Max Nippert (model).
Special Thanks
Bianca Beckerman, Caterina Napolitani, Caterina Panarello,
Piera Mammini, Giancarlo Biagi, Laura Cocco, Laura De Matteis
e Jo and Jason.
Marketing Director & Pubblicità:
Daniel Beckerman [email protected]
Pubblicità per la Spagna:
SDI Barcelona - Advertising & Graphic Design
Tel +34 933 635 795 - Fax +34 935 542 100
Mov.+34 647 114 842
Gestione & Risorse Umane:
Barbara Simonetti
Edizioni B-arts S.r.l. www.b-arts.com
Direzione, Redazione e Amministrazione:
Via S. Giovanni sul Muro 12 - 20121 Milano.
Tel: +39 02.86.99.69.71 - Fax: 02.86.99.32.26
Presidente: Daniel Beckerman
PIG Magazine: Copyright ©2002 Edizioni B-Arts S.r.l.
Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 453 del 19.07.2001
Sviluppo foto:
Speed Photo via Imbriani 55/A - 20158 Milano
Stampa: Officine Grafiche DeAgostini S.p.A.
Corso della Vittoria 91 - 28100 Novara (Italy).
Tel: +39 0321.42.21 Fax: +39 0321.42.22.46
Distribuzione per l’Italia: SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.A. Via
Bettola 18 - 20092 Cinisello Balsamo (MI).
Tel: +39 02.66.03.01 Fax: +39 02.66.03.03.20
Distribuzione per l’estero: S.I.E.S. Srl Via Bettola, 18 - 20092
Cinisello Balsamo (MI). Tel. 02.66.03.04.00 - Fax 02.66.
03.02.69 - [email protected]
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38804795 intestato a B-Arts S.r.l
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Legge 662/96 Milano.
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Inghilterra, Brasile, Hong Kong, Giappone, Turchia, Germania.
PIG è presente anche nei DIESEL Store di:
Berlino, Londra, Parigi, Tokyo, Milano, Roma e Treviso.
Pig Magazine è edita da B-arts editore srl. Tutti i diritti sono riservati. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, disegni non si restituiscono anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo, senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati dall’uso improprio delle informazioni contenute. Le immagini sono copyright © dei rispettivi proprietari. Prezzo del numero 5 Euro. L’Editore si riserva la facoltà di modificare il prezzo nel corso della pubblicazione, se costretto da mutate condizioni di mercato.
Ed Banger 7th Birthday Party a Londra. Foto di Piotr Niepsuj.
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Interviste:
Sommario
Street Files:
Regulars
52: Gerusalemme
14: Bands Around 18: Fart 20: Shop: Wah Nails 22: Publisher: Nick Neubeck 24: Design 26: PIG Files 30: Moda News 44: Moda: Miss World
48: Photographer of the Month: Red Caballo 130: Musica 136: Cinema 140: Libri 142: Whaleless 144: PIG Waves 146: Videogames
104: AstridServizio di Valerie Phillips
80: Gabriele Salvatores e Valeria Bilello
Foto di Yael Sloma
116: Ostend TransitServizio di Sidney Geubelle
Moda:
76: Il Pan Del Diavolo
Foto di copertina di Coley Brown
84: Daryl Wein & Zoe Lister-Jones
70: Delphic
66: Memory Tapes 60: Christian Joy
6 PIG MAGAZINE
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MartynRed Bull Music Academy - Londra
Nome? Martyn Età? 35 Da dove vieni? Washington DC. Ma sono nato in Olan-da, ad Eindhoven Cos’hai nelle tasche? Telefono e tre differenti valute. Qual è il tuo vizio segreto? Overdose di caffè Qual è l’artista-la band più sorprenden-te d’oggi? Ce ne sono almeno un paio: King Midas Sound, Washed Out e The Detachments Di chi sei la reincarnazio-ne? Ahaha! Proprio non lo so Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Talking Heads Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Per forza Eros Ramazzotti con Senza Una Donna
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Bands Around Foto di Piotr Niepsuj
GO FORWARD, MOVE AHEAD. THE WHIP. ONE sTEP AHEAD.
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Todd TerjeRed Bull Music Academy (Secret Sundaze @ Paramount) - Londra
Nome? Terje Olsen aka Todd Terje Età? 28 anni e mezzo Da dove vieni? Mjøn-dalen, Norvegia Cos'hai nelle tasche? iPhone, monete, free drinks che il barista ha rifiutato per qualche motivo Qual è il tuo vizio segreto? Simpsons e Family Guy, dormire troppo, cioccolato Qual è l'artista / band più sorprendente oggi? Di recente ho visto i Jaga Jazzist dal vivo e ho capito che sono tutti dei superoi con almeno un superpotere a testa Di chi sei la reincarnazione? Del chimico norvege-se Odd Hassel o Bob Marley, entrambi sono morti il giorno in cui sono nato. Preferirei Bob Marley, ma non sono un grande fan della musica reggae. Del resto la chimica... Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Uno spaventoso di Michael Jackson vestito con una armatura da cavaliere. Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Uno Qualsiasi tipo Andrea Bocelli o uno piu credibile/serio? Se si Lucio Battisti, Claudio Simonetti, Celso Valli, Tony Carra-sco, Daniele Baldelli, Pino Daniele, Tullio de Piscopo, Tony Esposito...
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Bands Around Foto di Piotr Niepsuj
Ricordi cosa ti ha spinto a lavorare nel mondo dell'arte?Ricordo l’amore di sempre per alcune cose, che a un certo punto sono confluite in una sola: il pensiero, la scrittura, le relazioni umane e l’arte stessa. E’ stato un processo naturale, anche se con molti scossoni. Ed è tutt’ora in corso.Come descriveresti i lavori che fai?Come una continua ricerca, del presente e del futuro. Sempre con un occhio al passato. In cosa ti riconosci di quello che vedi?Tendenzialmente in tutto ciò che è sobrio, essenziale, forte e dolce al tempo stesso. Si tratti di arte, persone o scelte di vita. Quanto contano i compromessi? E l'inte-grità?Niente ipocrisie: i compromessi contano, eccome. Ma ci sono diversi livelli di profon-dità in ogni cosa. Lo zoccolo duro, la base della professionalità e dell’etica di ciascuno deve rimanere integra. Sempre. Il fatto che poi a un livello più superficiale si scenda più o meno spesso a patti con la propria coe-renza, fa parte del gioco. Le persone che ne sono esenti sono rarissime, e stupende.Cosa vedi di nuovo in giro? ci sono rivolu-zioni in atto? fermenti emergenti?Rivoluzioni, assolutamente no. Nuovi fer-menti certamente, e in questo caso mi rife-risco volentieri all’Italia. La sfida sta proprio nel saperne discernere la qualità, e nel va-lorizzare quelli veramente meritevoli. Senza cedere alla continua tentazione del ‘si dice’.Quanto credi nella rete? e nelle nuove tecnologie?Per natura sarei portata a usare ancora carta e penna... ma non posso che riconoscerne l'utilità, e non potrei più farne a meno. Con-tinuo però a considerarle un mezzo, mai un fine. L'arte ha dei limiti?Rischia di averne uno molto grosso: l'auto-referenzialità. Secondo te perché tutti vogliono andare a New York?Risposta di pancia, da folle amante della Grande Mela: perché è semplicemente una città straordinaria, densa di stimoli a 360°unici al mondo. Risposta di testa, da
Mi sono sempre chiesto cosa muova le persone che stanno nel mondo dell’arte. Gli artisti è facile, si sa, è il sacro fuoco che li divora. Ma tutti quelli che ci stanno intorno? Galleristi, curatori, critici, agitatori… cosa li spinge? Fart questo mese intervista Barbara Meneghel, giovane giornalista e curatrice persa tra arte e vita.
Barbara Meneghel
professionista: non sono completamente d'accordo sul fatto che "tutti vogliano an-dare a New York". Senza dubbio eserciterà sempre un fascino eccezionale, ma come Mecca dell'arte si sta confrontando da al-cuni anni con nuove concorrenti, europee ed extra Europee. Mi sembra che si sia già
passati attraverso un "Tutti vogliono andare a Berlino", ad esempio. Oppure a Pechino, o in India. Resta vero che il ventaglio di of-ferta di altissima qualità e l’equilibrio tra una rete forte di gallerie private, spazi alternativi e istituzioni museali che si trova a New York difficilmente trova eguali.
Foto di Piotr Niepsuj
18 PIG MAGAZINE
Di Giovanni Cervi ([email protected])Fart uno spazio dedicato al sacro fuoco dell’arte
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Wah NailsOk, so che questa intervista può lasciarvi un po’ perplessi. Non sono mai andata pazza per le decorazioni alle unghie
e robe del genere. Wah Nails mi ha fatto ricredere del tutto. Questo nail bar di Londra, è assolutamente un posto da
visitare per aggiudicarsi una manicure d’autore di tutto rispetto, ascoltando musica e chiacchierando con le amiche.
Ciao, come ti chiami?Sharmadean ReidQual è il tuo ruolo all’interno di Wah Nails?Sono la proprietaria.Ah, bene! Quando hai deciso di aprire il negozio? Nel gennaio del 2009 e l’abbiamo inaugura-to in agosto 2009.Come mai proprio un negozio dedicato esclusivamente alla manicure artistica?Perchè mi era venuta una voglia matta, dopo aver visto quei nail bar stupendi che ci sono a New York e Los Angeles. Sapevo
perfettamente che una volta tornata a Lon-dra, avrei avuto i soliti, orrendi posti. Così ne ho aperto uno tutto mio!Buona idea! Ma qual è la decorazione più gettonata tra le clienti di Wah?I motivi leopardati e i fiocchi! Quella più strana?Spogliarelliste che fanno la lapdance circon-date da strass.Ah, beh! Niente male devo dire! E orga-nizzate mai degli eventi all’interno del negozio?Si, sempre. Ospitiamo degli artisti inglesi... ad esempio questa settimana abbiamo avu-
to Uffie! Fantastico! Uffie è una nostra cara cono-scenza. Hai qualcos’altro da raccontarci? Si! abbiamo appena aperto un corner da Topshop in Oxford Circus! La prossima volta che passi per Londra, devi assolutamente venire a trovarci!Non vedo l’ora!
WAH NAILS420 KINGSLAND ROAD, LONDON, E8 4AA
www.wah-magazine.com
20 PIG MAGAZINE
Shop Intervista di Fabiana Fierotti
www.sessun.comdistribuito da A.N.A. infoline 0733. 781322
pig_sessun destra:Layout 1 5-02-2010 12:33 Pagina 1
Non mi ricordo più come ho conosciuto Nick, ma quello di cui sono certo è che da quel momento è nata una grande stima per il suo lavoro. Negli anni Nick ha fondato Seems, piccola casa editrice nata inizialmente a San Francisco, e che oggi vanta una piccola galleria a New York e una dozzina di pubblicazioni all’attivo.
Nick Neubeck
Da quanto esiste Seems e quali sono state le motivazioni iniziali?Siamo partiti nel 2006 con l’idea di produr-re opere originali a prezzi accessibili, e in formato di libro. Credo che i libri siano una delle forme più intime d’interazione con
l’arte. L’esperienza che si ha in un museo o una galleria è molto breve, mentre i libri ti danno la possibilità di sederti con l’arte e godertela senza fretta. L’altra idea dietro Se-ems è la voglia di creare un dialogo in torno ad arte e design; ed è da lì che proviene il
nome. L’arte non è in bianco e nero, ma è materia grigia e richiede un constante dialo-go e confronto.Da qui a selezionare gli artisti con cui la-vori, qual è il tuo criterio di scelta?E’ un processo molto libero, se vedo per-sone il cui lavoro mi piace e vorrei lavorarci insieme, provo a contattarli e a sviluppare un progetto insieme. L’unico vero prerequisito è che il lavoro dell’artista deve trasmettermi qualcosa. I nostri libri sono come delle piccole mostre personali, per questo mi piace poter lavora-re con un artista e fare in modo che si metta insieme un gruppo di opere che stiano bene tra di loro e che raccontino una storia. Le opere stesse tendono a definire autonoma-mente il formato, tipo di carta e grafica per ogni libro.Ti occupi di altro oltre a Seems?Mi occupo di grafica e art direction per svariati clienti, in particolar modo lavoro con la carta stampata. Mi piace poter seguire svariati lavori contemporaneamente, perché ti permette di mantenere il tuo lavoro inte-ressante.Se ti chiedo di darmi una definizione di editoria indipendente?Credo sia un termine vago oggi. Ti potrei rispondere dicendo che essere indipendenti vuol dire poter pubblicare i progetti in cui credi, fuori dai limiti commerciali di dover piacere al mondo. L’aspetto più bello e mo-tivante è sicuramente quello di non avere influenze o obblighi esterni.Del futuro dell'editoria cosa ne pensi?L’editoria si sta specializzando sempre di più, e l’editoria in sé non è morta, ma al contrario è morto il modello antiquato con cui molti facevano editoria.Un libro che consiglieresti?Ci sono tantissimi bei progetti. Al momento mi piace molto l’ultimo libro di Coley Brown - Jam, Jelly, Honey, Wild Rice - per il forma-to, contenuti e il progetto grafico che lo tie-ne insieme. Gottlund Verlag sta facendo dei progetti molto interessanti, e due libri che tutti dovrebbero avere sono The Last Whole Earth Catalog e The Anarchist Cookbook.
www.seemsbooks.com
22 PIG MAGAZINE
Publisher Intervista di Marco Velardi
Intervista di Mariacristina Bastante ([email protected])
Niente di sdolcinato. Piuttosto una sensazione autentica. Perché il design può davvero entrare nel cuore,
quando è semplice e divertente, quando parte da un ricordo e da un’emozione. 83design è duo made in
Japan, che pensa al design come ad un regalo da fare agli amici. Noi ne abbiamo parlato con Koji Yano.
Heartwarming design
Che cos’è 83design?E’ un duo formato da me (Koji Yano) e Yo-shiyuki Kashiwagi nel 2007, dopo la laurea alla Musashino Art University. L’idea è che il design non debba solo stimolare, ma pene-trare lentamente nel cuore.
Quanti anni avete?26 anni, tutti e due.Dove vivete?Io vivo a Tokyo, Kashiwagi vive a Kanagawa.Com’è la scena del design giapponese?Sta iniziando a movimentarsi!
Le opportunità per i giovani designer au-mentano.Molti di noi già lavorano come interni in del-le aziende, ma sta crescendo il numero di quelli che lavorano anche individualmente, oltre che per la compagnia a cui apparten-gono.Che cos’è il design per voi? Un regalo per gli amici.Pensate che il design debba essere utile?Sì. Comunque utile non va inteso solo nel senso “fisico” del termine…Koji, quando hai deciso che saresti voluto diventare un designer? Ho deciso all’età di 17 anni. Poi mi quando ho finito l’università a 22 anni è davvero iniziato tutto.Chi sono i designer che preferisci?Andrea Branzi, Ettore Sottsass, Konstantin Grcic, Form us with Love, Stefan Diez, Bar-berOsgerby, Ronan & Erwan Bouroulles, Hisakazu Shimizu e… mio padre (Hiroshi Yano). E’ difficile dirlo… perché ci sono tan-tissimi bravi designer!E poi c’è un sito che mi piace moltissimo, Thefuntheory.com… Dateci un’occhiata!Che cosa ti ispira di più?Direi la piccola felicità quotidiana. Per esem-pio il suono della pioggia, la luce all’ingres-so di casa, gli amici che sorridono, alcuni ricordi. Tutte quelle cose che rendono felici le persone.Quali sono i prossimi progetti di 83de-sign?Stiamo per mettere in commercio Keat. E poi ci sono dei prototipi, che pubblichere-mo in autunno.E Keat, quando uscirà?Sarà in vendita da giugno. Dovrebbe costa-re intorno ai 9 euro.Gli altri oggetti al momento sono pezzi unici, potremmo venderli, ma costerebbero troppo, così stiamo cercando un’azienda, per una produzione più ampia. Anzi, se qualcuno fosse interessato…Che cosa rende un progetto speciale?Credo quattro elementi. E’ qualcosa che co-struisce una relazione vera, è qualcosa con cui condividi gli stessi obbiettivi, è qualcosa
“Light boy”, lampada con le ruote
24 PIG MAGAZINE
per cui non ti dispiace fare uno sforzo e qualcosa che si realizza sul momento!E se non aveste fatto i designer?Kashiwagi avrebbe potuto fare il tassista.E io l’allenatore!Ci sono un paio di vostri progetti che mi piacciono veramente tanto. Sono due sedute e il loro design s’ispira ai giochi che si fanno da bambini, come mettersi a
cavalluccio sulle spalle dei genitori. Me ne vuoi parlare?L’idea nasce proprio dai nostri ricordi. Ab-biamo cercato di pensare ad una sedia per non stare “solo” seduti. E poi volevamo accorciare la distanza che c’è tra gli oggetti e le persone.Keat, di cui abbiamo già parlato prima, e Light boy sono molto divertenti. Mi piace
molto il fatto che riusciate a fare oggetti semplici, minimali eppure così divertenti. Quanto conta il divertimento nel vostro design?Non si tratta solo di divertirsi. Non vogliamo solo suscitare una sensazione, ma in qualche modo rimanere nel cuore delle persone!
www.83design.jp
"Keat", portachiavi che sorride
"Kataguruma", seduta-a cavalluccio
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Si chiama Hairy Chair ed è ideata da Charles Kaisin, designer francese emer-so all’alba del nuovo millennio. Charles è specializzato in oggetti che fanno del riciclo e del movimento la loro forza strutturale, con un gusto e una fattura che oltre la media dei lavori di questo tipo che vediamo in giro. Cut your chair!. www.charleskaisin.com
Furry recycle
Non sempre è facile comunicare. A volte se non ci si guarda negli occhi è più immediato. Altre si ha il bisogno di confessare, per liberarsi di un peso, con la speranza che bastino cinque Ave Ma-ria. La vita è complicata e a volte serve un quid in più che la renda semplice, almeno nelle apparenze. Arik levy forse ha fatto questo ragionamento. Forse no. Va comunque onorato per questa Confession. www.ariklevy.fr
ConfessionOperazione interessante. Un collettivo di designers ha deciso di uscire dalle dinami-che della produzione industriale seguen-do una linea artigianale e quasi copyleft. Tutti gli oggetti sono corredati da piani per essere prodotti in casa da chiunque, lasciando la libertà di migliorali. Questo contenitore da cinque scaffali di Jacob & Line ad esempio. Do it yourself.www.design-uncovered.com
Creative commons design
Un po' come se un esplo-ratore marino indossasse una medusa di metallo dal peso di 70 kg. O una persona dormisse con un sogno di metallo appeso sopra la testa. Aequorea si getta in una nuova di-mensione spazio tempo, Matali Crasset ne è ne è la creatrice onirica. Novella Orfeo che ci protegge in una gabbia metallizzata. www.matalicrasset.com
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26 PIG MAGAZINE
PIG files Di Giovanni Cervi
L’idea è molto semplice: abbandonare pan-chine e sedute varie aprire buchi per sedersi sull’orlo. Come guardare già da un abisso con le gambe a penzoloni. L’idea, molto urbana, è di Decker Yeadon, studio di New York e ha l’iconografico nome di OOoo Chair. Provare per credere. www.deckeryeadon.com
Sit hole
Suggestiva mostra di architettura insoste-nibile al Guggenhaim Museum di New York. Vedere il vuoto come forma piena e come simbolo decadente di perdita di stabilità. Kenofobia, paura del vuoto, allo stato puro ed essenziale. Forse l’inizio di una nuova direzione architettonica? Nella foto la visione di Anish Kapoor. www.guggenheim.org/new-york/exhibitions/on-view-now/contemplating-the-void
Contemplating the void
I see the lightTra tensione spirituale e ribellione ico-noclasta. Il minimalismo monasteriale di queste piantane colpisce forte. Si chia-mano “Bless you lamp” e arrivano dalla mente (o dall’anima?) del designer russo Dima Loginoff. Per tutti quelli che cercano un rifugio spirituale nel soggiorno di casa.www.dimaloginoff.com
Un tavolino con un prato sopra che ricarica organica-mente l’energia delle nostre dipendenze tecnologiche. Af-fascinante progetto di Nectar Design, Volt Charger è una speranza, forse l’ennesima, nel mondo del design sostenibile. Come per gli altri, la speranza è che attecchisca. Il tempo dirà se è destinato a morire. www.nectardesign.com
Grass charger
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Senza titolo-3 1 18/02/10 15.13
Senza titolo-3 1 18/02/10 15.13
Feature on Designer:Alice Palmer www.alicepalmer.co.uk - Intervista di Fabiana Fierotti
Ciao Alice, come stai?Benissimo, grazie! Vuoi qualcosa da bere? Un po' di bollicine?Mi hai letto nel pensiero... grazie. (beviamo e iniziamo l'intervista)Allora, che ne dici di parlarci un po' di te prima?Ok! Sono Alice Palmer, vivo a Londra sono una designer e questa è la mia terza stagio-ne. Sono specializzata nel lavoro a maglia.Ok. A cosa ti sei ispirata per la tua nuova collezione?Credo che tutto sia ispirato a Batman, le forme, le curve richiamano le forme del
pipistrello e specialmente la maschera del supereroe. Ci sono molti drappi e ho voluto produrre un lavoro a maglia molto struttu-rato, che è poi per me una specie di firma, rispecchia molto il mio stile. Spalle esage-rate, quadrate, punk-rock edge, borchie, accessori pieni di spikes, come le calze...Sono incredibili! davvero bellissime...Grazie! In effetti sono andate fortissimo.. e poi sono anche comode da indossare, eh!Non ci avrei giurato, buono a sapersi! Ma vedo che la collezione è divisa in due linee...Si, questa è la Fusion line. E’ stata sponso-
rizzata da Asos.com, quindi ho voluto che fosse molto più semplice e vestibile, oltre che più economica. Ma supporta davvero bene la linea principale...A proposito di negozi, hai già dei punti vendita in Italia?Si! A Milano potete trovare alcuni pezzi della collezione da Alan Journo.Fantastico! Molti designer in questi gior-ni mi hanno dato questo negozio come punto di riferimento, mi toccherà fare un salto...Beh si. E' da non perdere e poi ha un gran bel sito web...
Durante la settimana della moda di Parigi, ho avuto il piacere di conoscere numerosi designer, tutti molto bravi
e molto diversi tra loro. Nei prossimi numeri troverete tutte le interviste a riguardo. Per il momento vi presen-
to Alice Palmer, designer based in London, che mi ha illustrato la sua nuova collezione aw11. All about Bats.
30 PIG MAGAZINE
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Geoff Rowley, leader of those devoted, a Vans skateboarder since 1999.P: D
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From founder Paul Van Doren’s doodle came one of Vans’ most iconic emblems.The Vans Warped Tour, 16 years of punk rock.
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In honor of a UK movement that took over the world, a Sex Pistols collaboration for Spring 2010.
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From founder Paul Van Doren’s doodle came one of Vans’ most iconic emblems.The Vans Warped Tour, 16 years of punk rock.
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In honor of a UK movement that took over the world, a Sex Pistols collaboration for Spring 2010.
Blog of the Month: Style Bubble stylebubble.typepad.com - Intervista di Fabiana Fierotti
Ciao Susanna, potresti presentarti ai no-stri lettori?Sono nata a Londra, ma i miei genitori sono di Hong Kong.Dove vivi adesso?A Londra ancora... ma viaggio un sacco e perdo un sacco di sonno e tempo.Niente male... C'è da ammettere che sei una delle blogger più conosciute in rete. Come hai cominciato?La noia e un lavoro che non mi piaceva hanno fatto la loro parte. In più sono una grande fan dei progetti di nicchia. Poi se il lavoro non ti soddisfa, devi sicuramente iniziare qualcosa per conto tuo. Non avevo
idea che il blog diventasse ciò che è adesso, comunque. E' una cosa completamente au-toreferenziale poter scrivere di moda e stile dal mio strano punto di vista.A questo punto però vorrei sapere qual-cosa in più sul tuo lavoro... Sono contributor per DazedDigital.com e per Dazed & Confused.Riesci a spiegarci il tuo gusto estetico? E' molto particolare...E' sicuramente eclettico. Non mi piace chiudermi in un genere o in un altro. Sono molto sperimentale...Hai qualche icona?Uhm, no... nessuna icona... ma ammiro
molto lo stile delle persone... come Lou Doillon, Catherine Baba, Camille Bidault Waddington, ma ciò non vuol dire che cerco di emularle. Il tuo personaggio preferito in questo periodo?Hmm.... Dame Judi Dench?Top 5 designers? Beh... di sempre sicuramente: Azzedine Alaia, Olivier Theyskens, Yves Saint Laurent (la persona non il brand...), Gianni Versace, Charles Worth.La tua fashion week preferita?Londra, perchè è casa, è divertimento e mi da sempre ispirazione!
Style Bubble non ha bisogno di grandi presentazioni. Ormai è quasi un'istituzione: con i suoi look eccentrici e
i suoi post senza peli sulla lingua ha conquistato un posto importante nel web. Non solo, è fonte di ispirazione
per numerosi giornalisti che, come me, seguono attentamente il suo lavoro, alla ricerca di nuovi e talentuosi
designer, ancora sconosciuti, che si rivolgono a lei per avere un po' di attenzione dal pubblico
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A partire dall'11 marzo fino al 29 agosto, a Parigi è possibile visitare una splendida mostra che ospita i lavori più significativi dello stilista francese, dal 1962 al 2002. Oltre ai disegni, i modelli e alcuni filmati, è possibile ammirare anche 250 tra i capi più belli, realizzati nel corso degli ultimi 40 anni di attività di Yves Saint Laurent. La location è il Petit Palais del Musée des Beaux-Arts, in Avenue Winston Churchill. Da non perdere. www.ysl.com di Fabiana Fierotti
Yves Saint Laurent in mostra a Parigi
Nato in Irlanda del nord nel 1984, Jonathan William Anderson, si trasferisce a Washington DC all'età di 17 anni, per studiare recitazio-ne all'ambitissimo Actors' Studio. Qui scopre l'amore per i costumi di scena, così decide di partire per Lon-dra, dove lavora come styli-st e si laurea in menswear al London College of Fashion. Debutta alla settimana della moda londinese nel 2007. An Eye for an Eye è la sua terza collezione, per la sta-gione ss10. Adoro questi accessori, rigorosamente unisex, ispirati dall' amore per il misticismo e carichi di profonda drammaticità. www.j-w-anderson.com F.F.
J.W. Anderson: An eye for an eye
Qual è il modo migliore per lanciare una linea di abbi-gliamento? Sapere esattamente cosa la gente desidera. Certo è difficile. Ma avendo un negozio e facendo un po' di ricerca il risultato è quasi garantito. E' quello che hanno fatto i ragazzi di Weekday, originariamente shop based in Stockholm, adesso catena nord-europea che ha lanciato una linea davvero niente male. Le collezioni sono disegnate da designer emergenti, che meglio riescono a soddisfare le esigenze dei clienti più giovani, dalla qualità dei vestiti, al prezzo assolutamente abbor-dabile. Potete anche comprare on line su www.weekday.se F.F.
Weekday
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So delicate!Inutile dire che adoro Lara Stone e che è assolutamente divina. Ma mi preme sottolineare quanto sia perfetta come modella per Eres, brand di lingerie e costumi da bagno. E’ la testimonianza che non bisogna essere anoressiche e cadaveriche per avere successo (grazie a dio!). Lo stile della collezione ss10 è assolutamente femminile e raffinato. I leitmotiv sono gli anni ‘50, le pin up burrose e il comfort, ovviamente. www.eresparis.com F.F.
In occasione della collaborazione tra Jason Jessee e Obey, per una capsule collection di t shirt, abbiamo intervistato in quasi introvabile skater , più impegnato che mai.
Ciao Jason, come stai? C'è il sole, quindi sto proprio bene direi. Che programmi hai per la giornata? Devo preparare 190 cose e ho mille distrazioni. Raccontaci delle tue origini: dove sei nato e cresciuto? Sono nato all'Hoag Hospital a Newport Beach, California. Per prima cosa ho fatto un viaggio all'Hoag Hospital e ho conosciuto Hoagie il clown e sono andato a casa e ho detto a mia madre che avevo conosciuto il dottore che mi aveva fatto nascere. Sono cresciuto in California. Ok. Non sono sicura
di aver capito tutto, ma ok. Quando hai iniziato andare sullo skate? Quando avevo 8 anni. Parlando della collaborazione con Obey, di cosa si tratta? Per me si tratta so-prattutto di amicizia e mi piace la propagan-da. Come vi siete conosciuti? Non ricordo esattamente, ma credo risalga a quando avevamo 12 o 13 anni e avevamo un sac-co di amici in comune. Cosa mi dici sulle stampe? Sono fotografie della mia vita in giro per il mondo. Nella Shepard, credo che stessi tenendo un sacco d'acqua in bocca
quel giorno perchè le mie guance sembrano super ciccione. Credi che la collaborazione con Obey avrà un seguito? Non so... è dif-ficile da dire, soprattutto perchè il mio elen-co di obiettivi non va oltre domani. Cosa vuol dire per te "do it yourself" ? Sembra cattivo dire a qualcuno "Hey, do it yourself". Mi piace. Vuoi aggiungere qualcosa? Mi sento fortunato a essere parte di tutto que-sto e voglio ringraziare Chris e Jon per aver reso tutto semplice per me. http://obeyclothing.com/
Jason Jessee x Obey
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Già da un po’ di tempo mi ripropongo di parlare di Erdem, brand inglese nato nel 2006, conosciuto per le stampe particolari e i colori accesi. La stagione ss10 ha un background molto affascinante, soprattutto per me che sono una grande appassionata di cultura giappo-nese. Durante una visita al National Museum of Art di Kyoto, centro famoso per la forte tradizione legata alle geisha, il team di Erdem si è trovato ad ammirare una serie di immagini dedicate alle Mogas, o Modaan Garu, un gruppo di ragazze che nel XX secolo si era ribellata ai convenzionali costumi giapponesi, rifiutando di indossare il kimono e adottando comportamenti occidentali. Il risultato vede la giustap-posizione di patterns dai colori vibranti cosparsi di fiori, su fondi dai toni scuri. Le silhouette sono molto grafiche, le spalle da Samurai si contrappongono ai bolero in organza. Le calzature, in stile geisha, sono state disegnate da Georgina Goodman per una capsule collection, mentre gli occhiali da sole sono di Cutler & Gross. www.erdem.co.uk F.F.
Erdem: New Mogas
Molto interessante la collaborazione queste due istituzioni del mondo britannico; i due brand uni-scono le loro forze e il loro impeccabile gusto in una collezione incentrata sul classico: da un lato i tagli tradizionali di Fred Perry (polo, camicia, giacca) e dall'altro due tra le stampe più famose di Liberty, la Mark e la Edenham (quella floreale, la mia preferita). La collezione è appena stata lanciata e potrete trovarla nei punti vendita Fred Perry e online. www.fredperry.com - www.liberty.co.uk F.F.
Fred Perry ft. Liberty Le stampe, ecco
cosa sta al centro del lavoro di Prose Studio, brand tedesco nato dalla creatività di Sabine Egler e Miriam Lehle. Nonostante sia nato soltanto 2 anni fa, le sue ultime collezioni sono state presentate all’ON/OFF di Londra, durante la settimana della moda, riscuotendo un enorme successo. Il segreto è una particolare attenzione alla donna, al suo stile individuale, combinato a uno spiccato linguaggio estetico. www.prose-studio.com F.F.
Prose Studio
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Patrik Ervell ha debuttato nel 2005 con una collezione in esclusiva per il negozio di Opening Ceremony a New York. Per la stagione ss10, il designer segue la sua estetica originaria: capi sportivi che con l’uso di materiali pregiati, diventano classici dalla spiccata eleganza. Dopo aver usato materiali spaziali e vecchi paracadute dell’esercito, questa volta Patrik si è dato ai tessuti colorati con il ferro ossidato e i filamenti di rame. Cosa ci riserverà per la prossima stagione? www.patrikervell.com F.F.
Patrik Ervell
Nato in Belgio, ma di origini italiane, come si-curamente avrete capito dal cognome, Anthony Vaccarello è uno dei nuovi modi della moda parigina. Dopo aver lavorato per Ann Demeulemeester e Fendi, il designer ha lanciato la sua linea, grazie anche alla vincita della Hyères fashion competition, nel 2006. La sua collezione ss10, in con-trasto con la tendenza ge-nerale ai colori pastello, si concentra sul nero, i body e le giacche. I baveri sono impreziositi da cristalli di vetro che rendono tutto più luccicante. anthonyvacca-rello.blogspot.com F.F.
Anthony Vaccarello
In occasione del Fuori Salone del Mobile, dal 14 al 18 Aprile, al WOK Store di via Col di Lana 5/a, sarà possibile ammirare il lavoro di 7 designers (45 Kilo, Philipp Böhm, Uli Budde, Johannes Hein, Julius Kranefuss, Laura Straßer), ispirato alla musica, alla poesia e alla crisi. My Bauhaus is better than yours, sarà inaugurata il 16 Apri-le con un Opening Party alle ore 18.00. www.wok-store.com F.F.
My bauhaus is better than yours
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Almeno così dicono le due designer, Sydney Rose e Ashley Munns, che hanno fondato il marchio RosenMunns nel 2007, a San Francisco. L'ispirazione centrale è Chinatown, mantenendo sempre alta una buona dose di estetica occidentale. Le tonalità, come vi avrò ripetuto circa mille volte negli scorsi numeri, sono le mie preferite per quest'estate: rosa cipria e pale blue. La trasparenza dei tessuti, il vedo-non-vedo, rendono la collezione estremamente femminile e sofisticata, donando alla silhouette un'aura attraente e innocente. Sarà l'anno di RosenMunns? A voi il giudizio. www.rosenmunns.com F.F.
The year of the Rosenmunns
Laureatasi in Belle Arti nel 2007, alla Concordia University, in Canada, Arielle De Pinto si distin-gue subito per uno stile unico nella lavorazione del metallo. Dopo aver lanciato la sua linea, viene scelta come Gen Art's Fresh Faces of Fashion e partecipa agli eventi della settimana della moda europea. Adesso Arielle è già alla terza collezione, che mantiene il suo carattere hand-made. Se si guarda attentamente alle ma-glie dei gioielli della designer, sembra di essere davanti a un oggetto fatto a maglia, con tanto di filo e ferri. Ma è tutta un'illusione. Si tratta di una speciale tecnica, assolutamente unica, di mani-polazione dell'argento e dell'oro, che vengono letteralmente "filati". Per la stagione ss10, Arielle ha proposto dei colori vivaci e brillanti, dal rosso all'arcobaleno. www.arielledepinto.com F.F.
Arielle De Pinto
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Con grande sorpresa, Diesel ha da poco rivelato il lancio di una home collection in collaborazione con Foscarini, brand italiano famoso nel design di lampade. Lo stile è vintage, con influenze dal mondo musicale più vario: dal grunge, si passa al pop, per arrivare all'heavy metal. Le lampade si trasformano in veri e propri oggetti di arredamento dal gusto underground. diesel.foscarini.com F.F.
Successful Living
Clogs, clogs clogs!Ok, abbiamo capito. Quest’estate avere un paio di zoccoli è pratica-mente obbligatorio. Non sono il tipo a cui piace parlare di “trends”, ma in questo caso è veramente palese e fuor di dubbio. Se non volete svenarvi, però, vi consiglio quelli di No.6, super carini e totalmente eco-friendly. In più potrete personalizzarli come volete, dall’altezza del tacco, al colore, alla qualità della pelle (nu-buck, nappa, camoscio). A voi la scelta. www.no-6store.com F.F.
Le bel étéPer la presentazione della collezione ss10, Vanessa Bruno ha deciso di rinnovare la sua collaborazione con Lou Dillon, in un nuovo cortometraggio arricchito dal-le note del pianista Gonzales. La danza della Dillon si unisce all’estetica dei capi, in un tutt’uno armonioso, dai toni pastello. www.vanessabruno.com F.F.
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God save McQueenDi Ilaria Norsa
Alexander McQueen (1969-2010)
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Miss world Di Ilaria Norsa
1.Philip Lim 2.Stella McCartney 3.Valentino 4.Ioselliani 5.Valentino 6.Sogoli 7.Dior 8.Topshop 9.Mawi 10.Elisabetta Franchi Celyn b. 11.Dolce &
Gabbana 12.Alexander McQueen ss2007 13.Chloe 14.Chanel 15.Valentino 16.Ioselliani 17.Donna Karan 18.Dior 19.Miu Miu 20.Roberto Cavalli
21.Bruno Frisoni 22.Acne 23.Wesc 24.Givenchy
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1.Vintage One 2.Antonio Marras 3.La Perla 4.Chanel 5.Vintage One 6.Givenchy 7.Vintage One 8.Missoni 9.Givenchy 10.Valentino 11.Just Cavalli
12.Nina Ricci 13.Angelica 14.Marni 15.Valentino 16.Vintage 17.Antonio Marras 18.Elisabetta Franchi Celyn b. 19.Marni 20.Dior 21.Vintage
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1.Dior 2.Lanvin 3.Missoni 4.Nanà 5.Dolce & Gabbana 6.Erickson Beamon 7.Valentino 8.Elisabetta Franchi Celyn b. 9.John Galliano 10.Vintage
11.Marc Jacobs 12.Melissa by Vivienne Westwood 13.Christopher Kane 14.Deepa Gurnani 15.Vintage 16.Givenchy 17.Just Cavalli 18.Missoni
19.Erickson Beamon 20.Marni 21.Fendi 22.Assad Mounser 23.Nina Ricci 24.Lanvin 25.Marc Jacobs 26.Louis Mariette
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1.Valentino 2.Antonio Marras 3.Diesel 4.Elisabetta Franchi Celyn b. 5.Fendi 6.Nina Ricci 7.Dolce & Gabbana 8.Topshop 9.Nanà 10.Lanvin 11.Stella
McCartney 12.Valentino 13.Jennifer Behr 14.Erickson Beamon 15.Dolce & Gabbana 16.Valentino 17.Elisabetta Franchi Celyn b. 18.Vintage
19.Antonio Marras 20.Jennifer Behr 21.Fendi 22.Miu Miu 23.Nina Ricci 24.John Galliano 25.Obey 26.Vintage
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Photographer of the Month: Red Caballo www.redcaballo.com - A cura di Sean Michael Beolchini
Come vi chiamate? Red Caballo Di dove siete? Spagna Dove vivete? Le nostre basi sono Barcellona e Amsterdam. Ma ci trasferiamo nelle altre città per seguire i nostri progetti. Marsiglia, Valencia, Berlino, Budapest, etc... Ci campate con la foto-grafia? O la la la la la la o la la la... Quanti anni avete? 28 Quanti anni vi sentite? Ci sentiamo molto giovani. Come vi siete in-contrati? In una stanza buia. Quando avete iniziato a fotografare e perchè? Abbiamo iniziato aiutandoci reciprocamente sui no-stri progetti individuali. Iniziare a lavorare insieme è semplicemente successo, è stato
solo lo step successivo, naturale. Amanti? Amici? O ex amanti? Non lo si capisce dal nostro lavoro? Lavorate sempre in squadra? Non sempre, sviluppiamo anche dei progetti indipendentemente. Come descrivereste le foto che fate? Quello che ci interessa di più è la vita di tutti i giorni. Ci piace rivelare i momenti magici e speciali della quotidianeità. Qual è la vostra “big picture”? Facciamo parte di una genera-zione che può sfruttare i voli low-cost, gli inter-rail gli Erasmus. Viaggiare è necessario per noi. Ci piace vedere le cose con i nostri occhi e creare il nostro personale approc-
cio alla realtà. Il nostro progetto affronta la relazione tra l’immagine e l’identità. Vo-gliamo rappresentare uno spazio collettivo che apparentemente è stato occupato dai brands e dal potere delle aziende. Quali sono le vostre situazioni preferite da scat-tare? Quello che ci piace di più è lavorare quando le persone si divertono. Ci piace la luce del pomeriggio ed il clima caldo. Ci piace ritrarre la gioventù. Troviamo che sia molto interessante rappresentare quel mo-mento in cui i giovani entrano nel “mondo degli adulti”. Ci piace il gioco di ruolo che improvvisamente appare con i suoi gesti e
Red Caballo, il duo fotografico spagnolo (Maria Cavaller e Marc Roig Blesa), ha un certo talento nel saper
catturare in maniera unica la bellezza dell’ordinario. Come nascosta all’interno della società, in mezzo alle
sue continue violazioni, la loro macchina fotografica scatta silenziosamente, senza disturbare in nessun modo
l’ambiente che la circonda, documentando i momenti magici ed interessanti del quotidiano.
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con il confronto dell’identità. Cosa altera le vostre percezioni? Cosmetici biologici di giorno e gin tonic di notte. Avete delle regole che sguite? Scattiamo con un’unica fotocamera che ci dividiamo e non riveliamo mai chi ha scattato cosa. Ci piace pensare che il tutto è il risultato di un esperimento accidentale di squadra. Chi è il vostro fo-tografo preferito? Gus Van Sant. Che tipo di macchine fotografiche usate? Usiamo
digitali piccole tascabili e analogiche molto grosse. Quali vorreste usare? Ci piacereb-be molto scattare con una Polaroid grosso formato, c’è qualcosa di magico nel vedere un immagine di 50 x 60cm di grandezza che emerge da un foglio di plastica lucida. Cosa non ti piace della fotografia di oggi? La brutta e sensazionalistica fotografia di gior-nalismo e la fotografia decorativa che viene venduta come arte. Chi dovrebbe essere il
nostro Photographer of the Month? Lady Gaga. Quale sarà il vostro prossimo pro-getto? Stiamo lavorando su un progetto di scambio tra Spagna e Marocco : ‘Estudio Ramblas’. Il prossimo giugno sarà presenta-to al Festival della Fotografia in Marocco a Fez. Stiamo anche lavorando su un progetto educativo per l’archivio fotografico di Bar-cellona. Per questo progetto stiamo scattan-do nelle scuole locali.
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Street Files.Gerusalemme - Yael Sloma.
Nome? Maya Levi. Età? 21 Da dove vieni? Gerusalemme. Qual è il posto più bello di Gerusa-lemme? Ein Kerem. Tre cose di cui non puoi fare a meno: non saprei, ce ne sarebbero tante. Se ti dico “felicità”, qual è la prima cosa che pensi? Arte.
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Nome? Tal Friedland. Età? 21 Da dove vieni? Israele. Qual è il po-sto più bello di Gerusalemme? Nachlaot. Tre cose di cui non puoi fare a meno: dipingere, i libri e lo shopping. Chi è il tuo idolo? Ayn Rand. I suoi libri sono brillanti, ispirati e possono anche insegnare molto su come vivere la vita di tutti i giorni. Se ti dico “felicità”, qual è la prima cosa che pensi? Cibo.
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Nome? Daniel Ranchwerger. Età? 22 Da dove vieni? Israele, Gerusa-lemme. Qual è il posto più bello di Gerusalemme? Casa mia. Tre cose di cui non puoi fare a meno: caffè, giornali, righelli. Se ti dico “felicità”, qual è la prima cosa che pensi? Il mio gatto.
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Nome? Adi Segal. Età? 25 Da dove vieni? Israele. Cosa ti rende unica? Cercare di essere me stessa. Qual è il posto più bello di Gerusalem-me? La strada verso Tel Aviv. Tre cose di cui non puoi fare a meno: il sole. Chi è il tuo idolo? Ronit Elkabetz perché è una donna forte e straordinaria. Se ti dico “felicità”, qual è la prima cosa che pensi? Una grossa risata.
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Nome? Yael Tarshish. Età? 20 Da dove vieni? Gerusalemme Qual è il posto più bello di Gerusalem-me? Nahlaot .Tre cose di cui non puoi fare a meno: la musica, l’arte e gli amici. Chi è il tuo idolo? Non ne ho.
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Nome? Idan Raizberg. Età? 26 Da dove vieni? Israele. Qual è il posto più bello di Gerusalem-me? La Città Vecchia. Tre cose di cui non puoi fare a meno: gli strumenti musicali. Se ti dico “fe-licità”, qual è la prima cosa che pensi? La salute.
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Nome? Ben Lev. Età? 26 Da dove vieni? Gerusalemme. Cosa ti ren-de unico ? Non credo di esserlo. Qual è il posto più bello di Ge-rusalemme? La Città Vecchia. Tre cose di cui non puoi fare a meno: caffè; musica, il mio laptop. Chi è il tuo idolo? David Bowie, per ovvie ragioni. Se ti dico "felicità", qual è la prima cosa che pensi? La laurea.
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Hey Christiane, come va?
Bene grazie. Ho appena finito di lavorare, almeno per oggi. Cosa stavi facendo?
Stavo completando un ordine per un negozio in Giappone. Stampo in serigrafia e cucio tut-to da sola, così ci vuole del tempo per finire. Per fortuna ho un sacco di aiuto....Dicci qualcosa di te:
Vengo da Marion, lowa e ho 36 anni. I miei genitori sono Cristiani della Rinascita ed è per questo che il mio nome è Christiane Joy. Per il mio marchio ho eliminato la "e" finale dal nome, sebbene siano pronunciati allo stesso modo. Descrivi te stessa in tre parole:
Felice, fantasiosa e stacanovista. Dove vivi?
A New York, Greenpoint Brooklyn per essere precisi. Da quanto tempo vivi lì?
Da sette anni; prima ho vissuto a Bedstuy Bro-oklyn per quasi cinque anni. Qual è il tuo primo ricordo legato alla
moda?
Quando ero una ragazzina ero ossessionata da tutto ciò che indossava mio fratello mag-giore. Ha sette anni più di me e per questo ho sempre pensato che fosse un figo. Era un tipo "New Romantic", vestito in modo simile ai Thompson Twins o agli Human League. Ero totalmente ossessionata dal suo modo di
vestire. Quando entrò in Marina lasciò a casa tutti i suoi vestiti ed io cominciai a indossarli attingendo a piene mani dal suo guardaroba. Ovviamente erano troppo grandi così c'erano un sacco di orli arrotolati, nastri e spille. Che tenera!
Sì... Quando ero alle medie mi comprò un un orologio Swatch trasparente. Aveva persino lo schermo protettivo rosa. Ero al settimo cielo.Diventare una stilista è qualcosa che hai
sempre voluto fare?
Più o meno, ma in realtà non pensavo fosse qualcosa che avrei effettivamente potuto fare. Al liceo desideravo diventare una scrittrice, poi più tardi studiai fotografia. Ma sono sem-pre stata affascinata dai vestiti: era come se la moda mi rendesse unica rispetto al resto della gente intorno a me in Iowa: per me rappre-sentava un mezzo per esprimermi e affermare la mia identità. Poi un giorno in una galleria vidi un'installazione realizzata da Imitation Of Christ (marchio di abbligliamento americano di cui è stata direttrice creativa anche Chloe Sevigny N.d.R) e pensai: "Oh, potrei fare que-sto". In seguito lavorai presso una boutique che vendeva le creazioni di diversi designer emergenti e mi resi conto che probabilmente non era difficile come pensavo. E da lì a creare il tuo marchio com'è anda-
ta?
Lavoravo in un negozio chiamato Anitque Boutique: con un amico passavamo il tempo
a guardare i vestiti in vendita e a dirci "Oh, questo potrei farlo anch'io". Un giorno deci-demmo di mettere su un concorso per crea-tori di t-shirt. Vinsi io, perché lui non ne fece una. Poi un'amica mi chiese di farne una per lei, la indossò e una donna che aveva un ne-gozio gliene chiese altre. Cominciò tutto così.Quindi non hai studiato per diventare sti-
lista?
No, sono autodidatta. Al tempo non avevo la più pallida idea di quello che stavo facendo. Realizzavo pezzi unici, creati da vecchi vestiti. E oggi come descriveresti il tuo stile?
Mi piacciono i capi dal design e dal taglio semplici ma con stampe in grassetto, colori e/o applicazioni. Adesso per esempio indosso un abito nero dal taglio molto semplice ma con una spessa e lunga treccia che pende da esso. Amo molto realizzare stampe e aggiun-gere tocchi di colore qua e là. Hai fatto molta strada da quelle prime
t-shirt fatte a mano ma hai mantenuto
l'aspetto artigiananale del tuo lavoro...
Sì, per me l'aspetto artigianale è molto impor-tante in termini qualitativi!Quand'è stata la svolta per te in termini
professionali?
Cominciare a lavorare con gli Yeah Yeah Ye-ahs ha sicuramente rappresentato il mio più grande traguardo lavorativo. I termini più per-sonali la mia più grande realizzazione è stata vedere i costumi che avevo creato per Karen
Christiane Joy Hultquist è una stilista americana autodidatta, appassionata di storia e paladina del
DIY, diventata popolare grazie alle sue eccellenti collaborazioni in campo musicale. Tuttavia definirla
“solo” stilista o chiamare i suoi solo “vestiti” sarebbe riduttivo, ed io non vorrei mai macchiarmi di
una simile colpa: le sue mirabolanti e coloratissime creazioni sono vere e proprie opere d’arte che
trovano ideale collocazione sugli stage dei più importanti festival musicali e all’interno di musei e
rassegne d’arte internazionali. Nata nell’Iowa e insiedatasi a Brooklyn, Christiane dal 2001 è la re-
sponsabile dei costumi di scena di Karen O, voce e leader degli Yeah Yeah Yeahs: un sodalizio tanto
fortunato quanto emblematico che ben giustifica il veemente entusiasmo della sottoscritta; perché
di Karen tutto si può dire tranne che sia una sprovveduta e se tra milioni di designer ha scelto pro-
prio questa giovane fanciulla, che di musica non se ne intende assolutamente, un motivo ci sarà...
Christian Joy
Intervista a Christiane Joy Hultquist di Ilaria Norsa.Photography: IOULEXModel: ELIZABETH AMMERMANTutti i vestiti by CHRISTIAN JOY
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O (Karen Lee Orzołek, voce e leader della band americana YYY, N.d.R.) esposti al Victo-ria and Albert Museum di Londra all'interno della mostra New York Fashion Now.Wow... Come hai conosciuto Karen O?
Ci siamo incontrate quando lavoravo per la designer Daryl K nel suo negozio sulla sesta strada nell'East Village a NYC. Qual è stata la prima cosa di cui avete par-
lato?
Abbiamo parlato di ragazzi. Oltre a Karen hai collaborato con altri ar-
tisti?
Coi Klaxons...Com'è stato?
Lavorare con Karen è sempre sorprendente perché può indossare qualsiasi cosa! Lavorare coi Klaxons è stato interessante perché era la prima volta che realizzavo vestiti maschili. Karen per te è una sorta di musa?!
Sì, senza dubbio. Chi altro sogni indossi i tuoi costumi?
Vestire lei è stato così straordinario che credo che chiunque altro impallidirebbe ai miei occhi. Se avessi potuto vedere i tuoi vestiti su
chiunque al mondo chi sarebbe stato?
La mia mamma. Indossi spesso le tue creazioni?
Sì, mi piace farlo. Mi fa sempre sentire molto orgogliosa e un po' sciocca allo stesso tempo. Hai un vestito preferito tra quelli creati nel
corso degli anni?
E' un vestito che non porto molto spesso, di taffetà di seta e un po' gonfio. La schiena è d'argento e il davanti nero. E' della mia colle-zione invernale '08. Mi piace perché sembra un po' un costume: mi fa sentire come se fossi in un'altra epoca e come se fossi qualcun al-tro. E' come un travestimento!Qual è l'ultimo progetto a cui hai lavorato?
Ultimamente mi sto concentrando sulla cre-azione di nuovi pezzi da mettere in vendita on-line. Questo mi diverte, ma mi piacerebbe iniziare a lavorare su alcuni nuovi costumi.Da dove prendi maggiormente ispirazione
per il tuo lavoro?
David Bowie, Yoko Ono, John Waters e la nuova scena punk di NY sono quattro ispira-zioni costanti e onnipresenti nel mio lavoro. Amo Bowie perché i suoi look, come lui, arrivano da un altro pianeta; Yoko Ono per le sue opere d'arte e John Waters perché è autodidatta (sono una grande fan dei suoi film e adoro la personalità assurda di tutti i suoi personaggi!). Anche mia mamma ha rappresentato un'enorme influenza sulla mia creatività: una donna molto fantasiosa che è sempre stata una paladina del fai-da-te e che mi ha insegnato molto. Inoltre adoro andare al Metropolitan Museum qui a New York: sono appassionata di storia. Infine mi piacciono
molto anche l'arte tribale e quella folk. Qual è l'ultima cosa che hai visto che ti ha
davvero ispirata?
I costumi africani al Museo di Storia Natura-le. Ci ripenso tutto il tempo. Le opere di El Anatsui, un artista del Ghana che crea pezzi di stoffa veramente sorprendenti dai tappi in alluminio per bottiglie di alcolici, sono davve-ro straordinarie. Tolgono il fiato! Inoltre sono rimasta affascinata dalle stoffe e dai vestiti della sezione Copta del Metropolitan. Amo la storia così tanto: adoro visitare i musei... resto a fissare questo genere di pezzi per ore, chie-dendomi come siano stati creati e che effetto facessero quando indossati. Se potessi viaggiare nel tempo quale perio-
do storico vorresti visitare?
Il medioevo. Amerei tornare a quel periodo, vedere com'erano i villaggi e sbirciare in un castello. E' un periodo che mi affascina molto, così inquietante, oscuro e enigmatico... Mi piacerebbe vedere come la gente viveva e come creava. E se potessi rivivere un periodo della storia
della moda più recente?
Sarebbe il 1920 quando la moda delle donne cominciò a cambiare. Tuttavia, anche se amo i vestiti, sarei più felice di vedere che il clima sociale era piacevole. C'è un trend che vorresti tornasse?
Hmm, gli orologi Swatch?! E mi piacerebbe vedere persone che indossano più colore. Ma a piccole dosi. Il colore al quale non puoi resistere:
Il rosso! Lo adoro. Chi sono i tuoi designer preferiti?
Issey Miyake, Yohji Yamamoto, Bernhard Will-helm, E tra i fotografi?
Non conosco molto bene il mondo della fo-tografia. Mi piace il lavoro dei miei amici Tina Schula e Alain Levitt. E tra i giovani talenti della moda c'è qualcu-
no che apprezzi e desideri citare?
Ho una stagista molto talentuosa che ha un gran bel blog chiamato The Trashicist. Tratta più che altro il suo stile personale...Hai una rivista preferita?
ANPQuarterly, una rivista gratuita di arte di LA. Mi dicevi che ultimamente ti stai dedicando
soprattutto alla creazione di capi destinati
alla vendita on-line...
Sì è così. Era da un po' che non creavo una collezione vera e propria perché lavorare con Karen O mi prende molto tempo, così ho deciso di aprire un negozio online e di creare una collezione appositamente per quello. Volevo che la selezione dei capi rispecchiasse il mio lavoro per Karen. Mi piacciono le mie collezioni passate ma ho sempre sentito che avevo di più da offrire...
Mi sembra di capire che ti senti più realizza-
ta nel creare costumi ad hoc piuttosto che
ready to wear?
Sì è così. Trovo che sia nella creazione di capi speciali che il mio lavoro si esprima al massi-mo, così ho creato una piccola collezione di abiti e top da vendere online. La maggior par-te sono stampati a mano, ma ci sono anche un paio di abiti che hanno applicazioni intrec-ciate o cucite che pendono dalle spalle. Quante persone lavorano con te?
Ho un assistente che viene 1-2 giorni alla set-timana e poi qualche stagista che ci aiuta.Descrivi la tua tipica giornata (lavorativa):
Mi sveglio alle 8.30, controllo la mia e-mail e bevo una tazza di caffè. Mi piace finire di occuparmi di tutte le mie scartoffie e commis-sioni al mattino prima di dedicarmi al lavoro vero e proprio, cosa che di solito faccio a par-tire da mezzogiorno circa, quando comincio a disegnare, cucire e stampare. Vado avanti fino alle 7 circa di sera. Ci occupiamo di tutto internamente, dal disegno, alla creazione di cartamodelli, alla cucitura e la stampa. E' un sacco di lavoro, ma mi piace. Qual è l'ultima cosa che fai prima di dor-
mire?
Guardo un episodio di Lost. Non l' ho mai guardato, sono solo alla seconda stagione. Cosa ti piace fare nel tuo tempo libero?
Mi piace stare con i miei amici. Ma mi piace molto anche stare da sola. Il mio lavoro è tutta la mia vita, un hobby oltre che un lavoro: gira tutto intorno ad esso per cui è bello po-ter staccare ogni tanto anche solo per rilassar-si guardando un film o bevendo qualcosa. Ti piace cucinare?
Sì, quando ho tempo. Qual è il tuo piatto preferito?
Amo i burritos con spinaci, patate dolci, fagio-li neri, avocado e panna acida. YUM! Qual è il tuo posto preferito nel mondo?
Parigi. 5 cose che ti piace fare nella tua città:
Andare al Metropolitan. Andare al Bacaro, il ristorante dei miei amici. Andare al cinema. Andare allo Strand book store. Portare amici che non sono di qui a fare lun-ghe passeggiate intorno alla città: si prende l'esperienza in modo diverso. Il tuoi negozi preferiti?
In Iowa, i negozi di cianfrusaglie sono sor-prendenti: adoro fare viaggi on the road e spulciare nei negozietti dell'usato. Mi fa sen-tire come se fossi una specie di ricercatrice impegnata in uno scavo archeologico!E a New York?
Un negozio di vintage a Brooklyn chiamato Fluke. E poi lo Strand book store.L'ultima cosa che hai comprato?
Collant neri.
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Dove possiamo trovare la tua collezione?
In Giappone da Psichedelia e Excube a Osa-ka. Online su www.etsy.com/shop/Joy1222 Hai un marito e un fratello musicisti e vanti
diverse collaborazioni in questo campo.
Parlami del tuo rapporto con la musica e
dei tuoi gusti...
Darò una risposta un po' impopolare.... Gli Yeah Yeah Yeahs sono la mia band preferita! Ma adoro anche la musica 80's: è quella con cui sono cresciuta. Cosa possiamo trovare sul tuo i-Pod?
Aphex Twin, Thompson Twins, Judy Bats, Dusty Springfield, Magnetic Fields, Harmony and Pollution, Velvet Underground, The Stone Roses, Leonard Cohen, Grace Jones, PIL. L'ultimo album che hai comprato?
Penso che sia stato The Psychedelic Furs, Mirror Moves. E quello che di cui non ti stancherai mai?
I Wanna Be Adored degli Stone RosesL'ultimo concerto che hai visto?
Quello della band di mio fratello, Francis Brady. E il prossimo?
Quello della nuova band di mio marito, i Bubbles. Tra gli emergenti chi ti piace?
In questo senso mi affido completamente ai gusti di mio marito, e quindi ti dirò Die Ant-
woord. Quali sono i pro e i contro del tuo lavoro?
Sono sempre a corto di soldi, per questo è una vera fregatura, ma il rovescio della meda-glia è che lavoro per me stessa e questo mi permette di essere creativa 24 ore su 24. C'è da dire che è una vera e propria lotta, ma sen-to che la lotta stimola la creatività, così se da un lato mi auguro di avere più soldi dall'altro apprezzo il dover trovare soluzioni pratiche in modo creativo. Cosa saresti se non fossi una designer?
Una scrittrice. E' quello che volevo essere quando ero piccola...Qual è l'aspetto più eccitante della moda?
Progettare i vestiti e vedere qualcuno che li indossa. E la parte più spaventosa?
Penso che alcune persone prendano troppo sul serio la moda. Non è una scienza, dovreb-be essere divertente. Sei coinvolta in progetti al di fuori di que-
sto campo?
Sto cercando di cominciare a lavorare a qualche progetto cinematografico con i miei amici. Ho tanti amici che sono registi e così mi piacerebbe davvero provare. Che cosa ti rende felice?
Mio marito. Mi sento così felice ogni mattina quando mi rotolo nel letto e lo vedo lì.
Cosa ti fa arrabbiare?
Le persone ignoranti. Persone che riescono o non vogliono farsi gli affari propri. E cosa ti fa ridere?
I miei amici. Hanno tutti un grande senso dell' umorismo. E poi Karen O in scena mi fa sem-pre ridere. Non sai dire di no...
Alle patatine! Non potresti vivere senza...
Jason, mio marito Raccontaci qualcosa di cui ti vergogni:
Essere stata meschina con mio fratello quan-do eravamo bambini. Nel braccio della morte che cosa chiedere-
sti per il tuo ultimo pasto?
Il mio pasto preferito da Bacaro, il ristorante dei miei amici. E' piuttosto semplice: zuppa di fagioli bianchi, insalata tritata con formaggio bleu, vodka martini e il pane con l'olio d'oliva. Mi fa sempre sentire a casa e rilassata. Il segreto del tuo successo:
Il duro lavoro. E seguire sempre la mia strada. Progetti per il futuro?
Ho un'idea per un'installazione d'arte e poi vorrei realizzare un cortometraggio e conti-nuare a creare abiti.
wwww.christianjoy.us
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La storia normale, di una persona qualunque. Il titolo perfetto per un ipotetico film sulla vita di Dayve Hawk, il deus ex
machina dietro a Weird Tapes, Memory Cassette e Memory Tapes. Sottotitolo: L’epica della mediocrità. Dayve viene da
una zona rurale del New Jersey. E’ cresciuto tra attacchi di panico e seri problemi d’ansia. Non ha mai preso la patente e
non ha mai posseduto un cellulare. Vive nella lavanderia dei suoi suoceri, con la moglie e una figlia di cinque anni, che sof-
fre di insonnia. Per sbarcare il lunario sino a pochi mesi fa lavorava tra gli scaffali di una drogheria nella sperduta provincia
americana. Un abbozzo di biografia che potrebbe essere la sinossi perfetta per un nuovo film intimista dei fratelli Coen.
Se non fosse che oggi il signor Hawk è in tour in giro per l’Europa, raccogliendo concerti sold-out un po’ ovunque, diviso
tra interviste per i giornali più prestigiosi del vecchio continente e remix per il gotha della scena indie internazionale, sen-
za dimenticare star planetarie come Britney Spears. Tutto questo grazie a una manciata di brani eterei e super malinconici
divisi tra l’ep di Memory Cassette e il disco “Seek Magic” di Memory Tapes. Lo abbiamo intervistato.
Memory Tapes
Intervista di Marco Lombardo. Foto di Alex Flach.
Ciao Dayve, come stai?Sono un po’ influenzato.Dove sei in questo momento?A casa, in New Jersey. Una zona chiamata Pine Barrens, tra Filadelfia e la Jersey Shore. Mi racconti brevemente la storia della tua carriera nel mondo del music business?Facevo parte degli Hail Social, una band di Filadelfia con cui ho suonato parecchio tra il New Jersey e New York. A un certo punto sia-mo andati in tour con gli Interpol e abbiamo ottenuto un contratto con la Polyvinyl, pub-blicando un album nel 2005. Non ero felice di suonare in una band ma sono rimasto inca-strato in quella situazione per un altro album e qualche ep. Verso la fine della mia avventura negli Hail Social ho iniziato a scrivere musica come Weird Tapes e Memory Cassette.A che età hai iniziato a suonare?Avevo otto o nove anni. Ho cominciato come batterista.Quanti anni hai adesso?29Perché hai deciso di usare tre nomi diversi per pubblicare i tuoi dischi?Il primo progetto è stato Weird Tapes, con il quale facevo una sorta di collage-music me-scolando campioni di brani altrui sulla scia di Avalanches e Dj Shadow. Poi sono arrivati i Memory Cassette. In questo caso ho iniziato a usare vecchi demo registrati durante il college, che erano rimasti inediti. Alla fine mi sono stufato di lavorare principalmente sui loop e su idee comunque datate e ho cominciato a scrivere del materiale nuovo di zecca. Ho mes-so insieme i due nomi e sono nati i Memory Tapes. L’inizio di una nuova era.Da ora in avanti ti concentrerai solo più su questo progetto?Probabilmente sì. Rende tutto più semplice.
Anche se mi stufo facilmente. Non si può mai dire…Cosa ti ha spinto a registrare Seek Magic?La voglia di confrontarmi con un album vero e proprio. Ho sempre lavorato sul breve forma-to, singoli e ep. Sentivo il bisogno di lavorare a qualcosa di più complesso, da ascoltare con attenzione dall’inizio alla fine, come ai vecchi tempi, magari usando le cuffie. Dove hai registrato il disco?Nella lavanderia dei miei suoceri. Dove tra l’al-tro vivo con mia moglie e la mia bambina.Hai fatto tutto da solo?Sì. Tutto in casa.C’è qualche artista in particolare che ti ha ispirato durante le registrazioni?Non credo si senta ma Spirit Of Eden dei Talk Talk è stato il punto di riferimento di questo disco.Quanto tempo hai impiegato a scrivere e registrare Seek Magic?Circa tre mesi. Lavoravo di notte mentre mia figlia dormiva.C’è un tema comune che attraversa i vari brani?Più che altro credo ci sia la sensazione di un luogo. Mi ricorda molto le estati trascorse nel-la città dove sono cresciuto. Di cosa parlano i testi delle canzoni?Il più delle volte nascono semplicemente da immagini evocate dalla musica che sto com-ponendo. Quello è il punto di partenza, metto insieme i pezzi e alla fine mi accorgo che ho scritto di qualcuno che conosco. Che tipo di software e strumenti usi?Ho registrato il disco con un Imac usando Ableton Live. Utilizzo Live come un mangia-nastri. Registro ogni traccia separatamente, dall’inizio alla fine. Possiedo diversi sintetizza-tori analogici, samplers, varie chitarre, peda-
liere che ho collezionato nel corso degli anni. Una strumentazione abbastanza standard. Come reagisci a tutta l’attenzione mediatica che stai ricevendo in questo periodo?Sono contento anche se ogni tanto la trovo eccessiva, non sono abituato. Mi offre però l’opportunità di lavorare molto, ed era quello che volevo. Come è stato crescere nel New Jersey?Non ho avuto un’infanzia particolarmente felice. Anche se i problemi che ho avuto non sono assolutamente riconducibili al posto dove sono cresciuto. Al contrario, una delle poche cose positive di quegli anni è stata proprio il vivere vicino ai boschi, alla natura. Il poter scappare da casa per correre a giocare nella foresta. Quanto è importante il fattore nostalgia nel-la tua musica?E’ una componente fondamentale ma non è un’ossessione come molti credono. La mag-gior parte dei miei riferimenti vengono dai ricordi o dai sogni. Questo comporta inevita-bilmente che sia presente una certa dose di nostalgia, credo sia normale. Tuttavia non mi ritengo una persona immersa nel suo passato.Sei un tipo malinconico?Forse sì. Mi piace pensare che la musica sia una cosa positiva e che un po’ di speranza emerga da quello che faccio… La tristezza è proprio ciò che sta dietro a quel desiderio di speranza. Mi descrivi in tre parole come ti senti in questo momento?Real fucking tiredSeek Magic è stato pubblicato a settembre ma hai iniziato a fare concerti come Memory Tapes solo a inizio gennaio. Cosa hai fatto nel frattempo?Ho lavorato a un sacco di remix prima di an-
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dare in tour. Ho anche scritto buona parte del mio prossimo disco che spero di finire appena terminati i concerti. Come sta andando la tua prima tournée come Memory Tapes?Bene, non sono ancora del tutto a mio agio sul palco ma ho fatto progressi rispetto all’epoca degli Hail Social. E’ un buon punto di partenza per il futuro. Come ti esibisci dal vivo? Hai una band? Io mi occupo di cantare e suonare la chitar-ra, il mio migliore amico suona la batteria. Siamo solo io e lui. Ci incastriamo sulle basi pre-registrate lanciate dal computer che a sua volta è sincronizzato a un video proiettore che trasmette delle immagini create per l’occasio-ne da Philly, un altro mio amico. Che lavoro facevi prima di avere successo con Memory Tapes? Come ti guadagnavi da vivere?Lavoravo in una drogheria. Mettevo a posto gli scaffali.E’ stato il tuo primo tour in Europa?Ero già stato una volta in Inghilterra, ma mai nell’Europa continentale. Con che musica sei cresciuto? C’è qualche artista in particolare che ha cambiato la tua vita?Probabilmente David Bowie. Ho sentito per la prima volta Ziggy Stardust alle medie ed è diventato un’ossessione. Amo la varietà di ciò che fa, è un songwriter straordinario. Qual è la cosa migliore di essere Memory Tapes?Registrare i dischi.La cosa peggiore?Promuoverli.Cosa ti rende felice?Mia figlia e mia moglie.Cosa ti spaventa di più?Perderle.Qual è stato sinora il momento più impor-tante della tua carriera?Pubblicare Seek Magic. Musicalmente parlan-do è la prima cosa di cui posso dire di essere quasi soddisfatto. Anche se punto a migliorar-mi nel prossimo album.Avevi qualche poster nella tua cameretta quando eri un teenager?Ne ricordo uno enorme di David Bowie.Come è nato l’ep Call & Response di Memo-ry Cassette?I ragazzi della Acephale Records mi hanno chiesto di fare un ep con un paio di brani che avevo pubblicato in rete in free download, ai quali poi ho aggiunto due inediti. Le due nuove canzoni sono nate come una risposta al vecchio materiale, per questo il titolo Call & Response.L’ep è stato pubblicato in comproprietà con la Sincerely Yours. Come sei entrato in con-tatto con i ragazzi dell’etichetta svedese?Patrik il proprietario della Acephale Records è
un amico dei The Tough Alliance. Gli ha fatto sentire i miei brani, loro hanno apprezzato e hanno deciso di pubblicare il disco insieme.Li hai mai incontrati di persona?No, ma ci siamo parlati molto via mail.Cosa mi dici della Acephale Records?Mi piace molto la musica che producono, soprattutto i Salem e i Kingdom. E’ un’ottima etichetta.Non hai intenzione di girare alcun video per le tue canzoni?In realtà ce n’è uno in cantiere da qualche mese. Non so che fine ha fatto e se riusciranno mai a finirlo. Con chi ti piacerebbe collaborare?Elizabeth Frazer dei Cocteau Twins.Ho letto in altre interviste che hai rilasciato che non hai la patente e non possiedi un cel-lulare? Come mai?Non so spiegare bene il perché. Ho sofferto di attacchi di panico e ansia piuttosto seri crescendo. Così da ragazzo non ho mai preso la patente. Oggi non sento più il bisogno di tornare indie-tro. Per quanto riguarda il cellulare è più una questione di non poterselo permettere. Devo rimediare al più presto però, è davvero dura stare lontano dalla mia famiglia quando sono in tour e non poter parlare con mia figlia ogni volta che ne sento il bisogno.Quanti anni ha tua figlia? Le piace la musica di Memory Tapes?Ha cinque anni. Adora la mia musica ma non è contenta che io vada in tour.Hai mai scritto una ninna nanna per lei?Sì. Purtroppo ha ereditato i miei problemi di insonnia. Ho trascorso molte notti a cantare e a ballare per lei in questi anni per aiutarla ad addormentarsi.Che musica stai ascoltando ultimamente?Sto di nuovo consumando Marquee Moon dei Television. Poi ho appena scoperto cose tipo i Wire, Pere Ubu e Slits. Ho bisogno di una pau-sa dai sintetizzatori. Mi hai detto che stai già lavorando al tuo prossimo disco. Che differenze ci saranno rispetto a Seek Magic?Ho registrato un sacco di materiale che suona come una sorta di pop anni sessanta. Di re-cente però ho scritto delle bozze che vanno ancora in un’altra direzione. E’ presto per dire quali brani verranno pubblicati. Il nuovo album uscirà entro quest’anno.Chi vorresti come produttore?Forse Steve Albini.Sei dipendente da qualche serie tv?The Wire.Se ne avessi la possibilità chi ti piacerebbe intervistare?Non sono una persona particolarmente lo-quace.Il tuo blog preferito?Lovefingers
Il regista?Stanley Kubrick o Quentin Tarantino.Il film?Mi piacciono i primi Star Wars perché posso guardarli insieme alla mia bambina.Se potessi rinascere donna chi ti piacerebbe essere?Kate Bush.Sei mai stato in Italia?No.Conosci qualche artista italiano?I Goblin.Cosa ti manca di più del New Jersey quando sei in tour?Gli alberi e ovviamente la mia famiglia.Se fossi un animale, che animale saresti?Non mi dispiacerebbe essere un orso.Sei religioso?A modo mio credo di sì. Non faccio parte di nessuna religione organizzata però. Stai sfornando moltissimi remix ultimamen-te. Come funziona la faccenda? Sono gli artisti a contattarti o è un qualcosa che ti piace fare?Non ho mai fatto un remix per puro piacere. Sono gli artisti a chiedermelo o chi per loro. E’ una sorta di vero e proprio lavoro per me. Come sei finito a fare un remix per Britney Spears?E’ successo grazie al manager di Diplo. Lui sa che lavoro in fretta, avevano bisogno di un re-mix in giornata e mi hanno chiesto se potevo farlo… Tra i vari remix il mio preferito è quello di Real Life dei Tanlines, un duo di Brooklyn molto interessante, che seguo con attenzio-ne da qualche mese. Li hai mai incontrati? Ti piacciono?Li ho conosciuti la sera del mio ultimo concer-to a New York, facevano i dj nel locale dove ho suonato. Mi piacciono moltissimo, infatti ci siamo accordati per uno scambio di favori. Re-mixeranno uno dei miei brani molto presto.Cosa mi dici invece degli Yeasayer?Anche in questo caso sono stati loro a contat-tarmi. Di solito come ti approcci a un remix?Ascolto rapidamente le varie tracce separate e cerco la parte che mi piace di più del pezzo. Una volta individuata le costruisco il resto del brano intorno. Tra i remix che hai fatto qual è il tuo prefe-rito?Quello per i Fool’s Gold.Quanto costa farsi remixare da Memory Tapes?Dipende dall’artista, dall’etichetta, da quanto tempo mi danno a disposizione e se sono oc-cupato in quel periodo.Se iniziassi una nuova band domani come la chiameresti?Non te lo dico perché così mi riconosceresti subito…
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Non sappiamo se ci saranno ancora tra dieci anni. Né se varcheranno la soglia del secondo album. Sta di fatto
che oggi i Delphic sono la nuova band inglese su cui tutti i bookmaker sembrano scommettere. “Alcolyte” il
loro album d’esordio ha raggiunto il settimo posto nella classifica dei dischi più venduti del Regno Unito. I loro
concerti raccontano di un gruppo tecnicamente ineccepibile ed emotivamente coinvolgente. Le radio e i gior-
nali d’oltre manica li hanno già etichettati come una delle rivelazioni del 2010. Avranno ragione? Noi intanto
abbiamo fatto quattro chiacchiere con Matt Cocksedge, non proprio loquacissimo fondatore del terzetto di
Stockport, a due passi da Manchester. Vi vengono in mente i New Order? Nooooooo, che dite mai…
DelphicIntervista di Marco Lombardo. Foto di Luca Campri
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Ciao Matt come stai? Abbastanza bene. Ho incasinato la scaletta delle interviste oggi, credo di aver confuso un po’ gli orari. Un paio di telefonate si sono accavallate. A volte non so neanche con chi sto parlando. Sicuramente ho perso qualche gior-nalista per strada…Vita da rockstar?(Sorride)… Più che altro spero che non si incaz-
zi nessuno.Dove ti trovi al momento?Manchester. Qualche giorno di riposo a disposizione?Riposo non tanto. Siamo in sala prove. Dobbia-mo mettere a punto il nostro live, fare alcune correzioni sull’ordine dei brani. Abbiamo regi-strato qualche nuova idea e sistemato alcuni dettagli tecnici.
Cosa vi ha spinto a formare i Delphic?Un misto di noia, inquietudine e la voglia di intraprendere una direzione musicale diversa. Tutti e tre in passato abbiamo suonato in altre band ma alla fine ci siamo sempre stancati di quello che stavamo facendo. I Delphic rappresentano una nuova dimensione in cui dare libero sfogo alla sperimentazione, disco-standoci dalla mediocrità dei gruppi che ci circondavano. Da quali influenze siete partiti?Una passione comune per i Radiohead e l’epi-ca dei Sigur Ros combinata a sonorità più dan-ce oriented: i Daft Punk per esempio, i Chemi-cal Brothers, gli Underworld o i New Order.Da quanto tempo esistono i Delphic?Circa due anni. Io e Rick suonavamo insieme in un altro gruppo, anche James aveva la sua band. Ci siamo incontrati in un momento in cui avevamo bisogno di crescere come musicisti. Tutti e tre abbiamo maturato singolarmente un bisogno di cambiamento che è poi confluito nei Delphic. Grazie a questo progetto abbiamo ritrovato l’entusiasmo perduto.Come vi siete conosciuti?Io e Rick siamo amici dai tempi delle scuole superiori. James lo abbiamo conosciuto all’ università. Dopo aver passato anni cercando di ottenere un contratto discografico con band mediocri, che erano copie sbiadite dei Coldplay, abbiamo deciso di lasciarci tutto alle spalle e formare finalmente un gruppo che potesse rappresentarci davvero. Senza alcuna pressione legata al raggiungimento di un tra-guardo commerciale. Ci siamo rifugiati in un cottage di campagna per un lungo weekend e abbiamo fantasticato sulla musica che avrem-mo voluto scrivere. I Delphic sono nati prima con le parole, soltanto più tardi è arrivata la musica.Quanti anni avete?Siamo nati tutti e tre nel 1985. Perché avete deciso di chiamarvi Delphic?Ci piacciono le band con un nome aperto a più interpretazioni. Vogliamo che chi ci ascolta possa fantasticare sul suo significato.Siete cresciuti a Manchester, una delle capi-tali mondiali della musica dance, e non solo. Ne eravate consapevoli da ragazzini?Non proprio. La gente tende a collegarci ai New Order, all’Hacienda, alla Factory Records, quel tipo di immaginario insomma. E a noi va bene così ovviamente. E’ un universo che amia-mo ma da teenager andavamo a ballare il Big Beat, i Prodigy, i Chemical Brothers. Non vole-vamo ascoltare Blue Monday o gli Stone Roses ma qualcosa di nuovo. Così abbiamo iniziato a frequentare i rave techno. Quando ha fatto la sua prima apparizione la minimal tedesca sia-mo rimasti a bocca aperta. Finalmente c’era un suono nuovo nella scena dance. Alcolyte il vostro album d’esordio è disponi-bile online e sugli scaffali dei negozi di dischi ormai da qualche settimana. Quanto tempo avete impiegato a scriverlo e registrarlo? Ne siete soddisfatti?
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Alcolyte ha avuto una lunga gestazione. Ha attraversato diverse fasi. E’ stato riscritto e riar-rangiato più volte. Abbiamo fatto vari provini con produttori differenti senza mai riuscire a trovare il suono che stavamo cercando. A un certo punto abbiamo anche iniziato a registrar-lo noi stessi e ad autoprodurcelo. Immagino non abbia funzionato dato che la versione definitiva del disco porta la firma di Ewan Pearson (produttore di The Rapture e Ladytron). Esatto, neanche in quel caso eravamo soddi-sfatti del risultato. Ci siamo trovati in una fase di stallo. Come siete arrivati a lui?E’ stato grazie a Dan, un nostro amico che lavora per la R&S, l’etichetta sussidiaria della Polydor che ci ha messo sotto contratto. Una sera ha rubato dallo studio di registrazione i demo di un paio di brani che avevamo appena ultimato, tra cui Counterpoint. La cosa avrebbe potuto essere davvero fastidiosa se non fosse tornato qualche giorno dopo con gli stessi ma-ster prodotti da Ewan Pearson. Come avete reagito alla cosa?Non ti nascondo che in un primo momento eravamo davvero indispettiti. Quando però abbiamo sentito il risultato finale siamo rimasti senza parole. Era esattamente il suono che avevamo cercato durante tutti quei mesi di lavoro. Ewan è un grande professionista: un ottimo produttore, un ottimo dj, un ottimo musicista, un ottimo remixer. Non potevamo chiedere di meglio. E’ vero che avete lavorato con Tom Rowland dei Chemical Brothers e Paul Hartnoll degli Orbital ma avete cestinato tutto?Sì. Entrambi sono degli eroi per noi. Hanno fatto un lavoro eccellente sui nostri pezzi ma non ci rispecchiavano. Non ti nascondo che abbiamo attraversato momenti di panico. Poi è arrivato Ewan a salvarci.Come sbarcavate il lunario prima di avere successo con i Delphic?Facevamo normalissimi lavori diurni. Io e Ja-mes lavoravamo in una catena di negozi di elettronica, Rick faceva il commesso. Era solo un modo per pagare l’affitto e arrivare la sera in sala prove con qualche strumento nuovo. E’ ironico ma all’epoca avevamo più tempo per suonare, nonostante avessimo un altro lavoro. Oggi siamo sempre in tour, al telefono con qualche giornalista, sul set di un video o di un servizio fotografico. Passiamo pochissimo tem-po con un strumento in mano. Preferite la dimensione dello studio di regi-strazione o suonare dal vivo?Quando siamo in studio non vediamo l’ora di andare in tour e viceversa. Io personalmente ritengo che il momento della composizione sia quello più eccitante. Cosa state ascoltando al momento? C’è qual-che nuovo artista che ha attirato al vostra attenzione?Mi sembra un ottimo periodo musicalmente parlando. Joy Orbison sta facendo delle cose
molto interessanti, il nuovo lavoro dei Beach House è sensazionale, Riton si sta muovendo benissimo e di recente ha messo le mani sul nostro singolo Doubt, tirando fuori una bomba.Suonate anche come djs? Che musica vi pia-ce proporre in quel contesto?Sì facciamo anche delle serate da dj. Anche se stiamo cercando di sviluppare la cosa in manie-ra più originale rispetto a un tradizionale dj-set. Qualche giorno fa ci siamo esibiti tutti e tre in-sieme solo con i laptop collegati l’uno all’altro. Abbiamo suonato versioni alternative, più club oriented, dei brani presenti su Alcolyte. E’ un esperimento che ci piacerebbe ripetere, anche per dare una nuova veste al progetto Delphic.Di recente ho incontrato i Two Door Cinema Club e vi hanno ricoperto di complimenti. So che avete condiviso il palco per un po’. Sia-mo di fronte a una nuova ondata di giovani band inglesi?Non saprei. Il mercato britannico è in conti-nuo movimento. Ci teniamo a non rientrare in nessun calderone specifico. D’altra parte però adoriamo i Two Door Cinema Club. Sono un’ottima band e ragazzi simpaticissimi. Abbia-mo legato molto. Undercover Martyn è stato il mio brano preferito del 2009.Oltre ai Two Door Cinema Club avete aperto i concerti di The Streets, Bloc Party e Orbi-tal. Cosa avete imparato da quelle esperien-ze?Suonare con i Bloc Party ci ha aiutato a spinge-re il nostro live verso una direzione più fisica. All’inizio il modello a cui facevamo riferimento erano i Kraftwerk ma con loro abbiamo capito l’importanza del coinvolgimento da parte del pubblico. Chi è sul palco deve trasmettere energia oltre ad essere perfetto dal punto di vista tecnico. Vedere gli Orbital dal vivo invece è stato come partecipare a un seminario. Assistevamo ai loro soundcheck come dei principianti avidi di co-noscenza, quaderno degli appunti alla mano. Abbiamo imparato a gestire le macchine in maniera più istintiva. Improvvisare con i com-puter e molto più difficile che con gli strumenti tradizionali.In Inghilterra pubblicate con la Polydor, nel resto d’Europa con la Kitsuné. Come siete entrati in contatto con queste etichette?Con la Polydor abbiamo instaurato un rapporto lavorativo idilliaco. Abbiamo fatto rientrare la nostra etichetta discografica all’interno della loro struttura di management. In questo modo abbiamo ottenuto assoluta libertà artistica e decisionale appoggiandoci a un apparato organizzativo potentissimo che da soli non saremmo mai riusciti a costruire. L’approccio con i ragazzi della Kitsuné è stato invece molto più emotivo. Ci hanno visti suonare dal vivo e hanno iniziato a corteggiarci. E’ nata subito una relazione limpida di grande stima reciproca. Ammiriamo molto quello che hanno fatto in questi anni, contaminando la scena dei club con quella dei concerti rock.Vi siete sentiti sotto pressione quando la
BBC Radio vi ha segnalato al terzo posto nel-la lista degli artisti da seguire nel 2010?Cerchiamo di non dare molto peso a quel tipo di cose. I nostri discografici si sono subiti lecca-ti i baffi. Sappiamo esattamente che essere in quell’elenco vuol dire un ritorno mediatico gi-gantesco. Ovviamente ci ha fatto piacere. Sia-mo consapevoli anche che venderemo qualche copia in più. Il nostro obiettivo però è costruire una band che possa durare negli anni. Anche quando l’hype del momento sarà svanito.
Partecipare al programma televisivo Later with Jools Holland vi ha aperto ufficialmen-te le porte della scena mainstream inglese, avendo in Gran Bretagna una risonanza me-diatica pari a quella di Late Night di David Letterman negli Stati Uniti per intenderci. Come è andata?Decisamente bene. Anche se i giorni che han-no preceduto la performance sono stati infer-nali. Non lo nascondo. Eravamo tesissimi. Jools Holland da noi è un’istituzione. Tutte le grandi band sono passate di lì. Non potevamo sfigu-rare. Non abbiamo dormito per una settimana dalla tensione. Eravamo terrorizzati che qual-che apparecchiatura si rompesse, non tanto del fatto di essere in televisione di per sé. Alla fine tutto è andato alla perfezione. I video tratti dai vostri singoli sono molto evocativi, veri e propri gioielli estetici. This Momentary ha addirittura ricevuto tre nomi-nation agli Uk Music Video Awards. Come scegliete i registi con cui lavorare?Nel caso specifico di This Momentary è stato Ewan Pearson a suggerirci il nome di Dave Ma. Ci ha mostrato un video che aveva girato per i Lost Valentinos e nelle nostre teste lo aveva-mo già ingaggiato dopo qualche minuto. Per fortuna lo abbiamo contattato in uno dei suoi rari momenti liberi e abbiamo sviluppato il pro-getto. Ha avuto carta bianca. Ci piace affidarci completamente alle persone che stimiamo. L’unico veto che abbiamo posto è stato la presenza di attori come protagonisti, visto che erano già stati usati in Counterpoint. E’ andato a Chernobyl, ha ripreso i volti e i luoghi di quella tragedia ed è tornato con questo capo-lavoro in bilico tra sogno e documentario. Ci siamo emozionati quando lo abbiamo visto per la prima volta. Dave è stato molto coraggioso, si è spinto in zone ad altissima concentrazione di radioattività. Ha rischiato sulla sua pelle. Ci ha raccontato che ogni giorno si sottoponeva all’analisi di questi macchinari che misurano il livello di radiazioni del corpo umano. E’ tuttora molto pericoloso avventurarsi in quell’area. Più volte si è trovato sul punto di avere un attacco di panico.Cosa vi aspetta durante il 2010?Finalmente abbiamo pubblicato il nostro disco d’esordio. Ora gireremo il mondo. Andremo per la prima volta in tour in Australia e negli Stati Uniti. Ci stiamo organizzando per avere un piccolo studio sul tour bus. Ci piacerebbe con-tinuare a scrivere canzoni per il prossimo disco. E vorremo farlo mentre siamo in tournèe.
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Da un’idea di Pietro Alessandro Alosi nasce il Pan Del Diavolo. Siamo a Palermo, corre l’anno 2006 e il nostro,
decide di ricominciare da zero dopo svariate esperienze musicali. L’incontro con Alessio contribuisce a dare
una forma al progetto. Dopo circa due anni e un EP Alessio, pur restando dietro le quinte lascia la band, e
viene sostituito da Gianluca; il passaparola aumenta e i due cominciano a viaggiare su e giù per lo stivale. De-
cisivo l’incontro con Davide Toffolo (Tre Allegri Ragazzi Morti) che li recluta per La Tempesta, etichetta prin-
cipe tra le indipendenti nostrane. A gennaio l’esordio sulla lunga distanza; esce “Sono All’Osso” ed è subito
un caso. Due chitarre acustiche, gran cassa e sonagli: la canzone italiana mostra i denti, melodica e irruenta, e
abbraccia il folk a stelle strisce, come un tornado in un western firmato Leone. Ho incontrato Alessandro Alo-
si a Milano i primi di Marzo.
Il Pan Del DiavoloIntervista di Depolique. Foto di Piotr Niepsuj
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Quanti anni hai?24Come mai il Pan Del Diavolo?Dal proverbio “il pan del diavolo è sempre avvelenato”.Mi racconti la tua storia, la storia del Pan Del Diavolo? Che poi alla fine sei solo tu, o no?Si, sono io. Anche se non è che si tratta di un progetto solista tipo le Luci Della Centra-le Elettrica...Nel 2006 dopo varie esperienze, più o meno riuscite - una meno riuscita, con un tentativo discografico su cui è meglio sorvo-lare e tenere chiuso in un cassetto - mi sono ritrovato a scrivere e ad arrangiare dei brani in versione acustica.A un certo punto ho incontrato Alessio - il ragazzo che poi ha scritto con me i brani del disco e con cui ho suonato fino al 2008 - e abbiamo cominciato a ripensare un po’ i brani in direzione folk/rock e a lavorare mol-to e a suonare di più, fino a registrare una demo.Lo stesso anno abbiamo vinto Italia Wave; il premio consisteva in due giorni di registra-zioni al Cape Studio di Catania. Con un piccolo aiutino supplementare sia-mo riusciti a registrare un EP.A quel punto Alessio ha lasciato il gruppo ed è entrato Gianluca, l’attuale chitarrista, che era il nostro assistente di studio lì a Catania… Ed eccoci qui.Come mai è andato via Alessio?Alessio è un personaggio molto tecnico, non ama suonare dal vivo, andare in tour.. Gli piace lavorare con me e continuiamo a farlo, ma di andare in giro non ne voleva sapere. Diciamo che siamo una squadra for-mata da tre elementi.Hai voglia di raccontarmi qualcosa di questa tua precendente esperienza disco-grafica?Il Pan Del Diavolo all’inizio era una forma-zione con due chitarre elettriche e batteria e facevamo pezzi in italiano che erano mol-to… Banali. Ma nella loro banalità avevano un qualcosa di anni ‘50, sia nei suoni che nei testi.Poi il gruppo si è sciolto e io come ti ho det-to ho proseguito da solo. Ho fatto alcuni provini e ho incontrato un produttore che, detto in parole povere, mi ha chiesto dei soldi per produrmi un sin-golo. Così è nato un brano assurdo, stranissimo……Tipo? Stile Sanremo?No, perché in quel caso il produttore dietro avrebbe dovuto essere uno con dei begli attributi… Mentre lui era uno che aveva si qualche esperienza discografica riuscita, ma
tra mille colpi sparati a salve. Uno l’aveva beccato ed era un po’ quello che si portava dietro come biglietto da visita.A un certo punto però ho capito che uno mi stavano fregando dei soldi e due non era quello che volevo fare. Così mi sono detto: pago i miei debiti e ricomincio da solo a lavorare su quello che è stato.Adesso ti occupi di tutto da solo?Seguo tutto il lavoro in prima persona. Si, ho un booking, ho un manager, ho una serie di figure professionali che mi aiutano, ma sono io che vedo quello che succede e indi-rizzo il progetto nella direzione che ritengo più opportuna.Già l’EP aveva fatto parlare del Pan Del Diavolo, ma tutto questo “hype” attorno al disco… Te l’aspettavi?No, ma mi fa piacere che ci sia… Poi però bisogna vedere cosa porta.Al momento sto facendo tante interviste, tanta promozione. Diverse riviste parlano di noi, ma la prova del nove sarà dopo l’estate, quando faremo un tour nei club. Lì allora si vedrà quante persone porta effet-tivamente Il Pan Del Diavolo ai concerti.Per quanto riguarda poi l’aspetto discogra-fico sto ancora aspettando i risultati, a quel punto si potranno tirare le somme.E’ un po’ come quando apri un’azienda: chiedi un prestito, fai degli investimenti, an-che in termini di impegno e lavoro, e speri che le cose vadano bene.Ora sono in questa situazione, quindi aven-do la necessità di pagare le bollette… Spe-ro che ci sia un hype ben più grosso!Perché dici dopo l’estate? State suonando molto in giro ora, penso lo farete anche quest’estate...Perché d’estate faremo vari festival; lì la gente viene per diversi motivi: il reading di Vasco Brondi, il concerto dei Fratelli Calafu-ria, chi per bere, chi per rimorchiare.. Non è detto che venga solo per te. Io invece voglio vedere cosa succede quan-do faremo data secca, nei club, solo Pan Del Diavolo.Resta il fatto che dal vivo siete una bom-ba...Si? Ci hai visti?Al Mi Ami Ancora al Leoncavallo..Lì è stato molto bello. Breve, ma intenso.Ti piace suonare dal vivo?Certo, è la mia vita.Hai visto Sanremo?Allora, ero a casa che lavoravo, perso nelle mie cose. Al piano di sopra, in cucina c’era la tv accesa su Sanremo (a casa mia c’è sempre la tv accesa). A un certo punto salgo e vedo su Striscia La Notizia che sul palco
dell’Ariston c’era Belèn… La showgirl… Che cantava con Toto Cotugno…!?!?…Dopo di che, altra slide…Cassano..Cassano? Non mi dire che ha cantato pure Cassano?!No, no, solo una visita di cortesia. No, io ho visto Pupo, con Emanuele Filiber-to… Mi sono chiesto cosa c’entrassero??? Lei, loro.. Boh, non so che pensare.Anche perché mi dicono che bisogna continuare a guardare Sanremo perché co-munque lascerà un segno.. Che le canzoni rimarranno, siano brutte o belle. “Come fe-nomeno musicale va sempre guardato”… Ma c’era Belèn sul palco! Certo che questo mondo dell’indie è vivo ma davvero imbrigliato..D’altra parte più che il festival della canzone italiana mi sembra il festival del televoto, delle showgirl, delle case discografiche… Magari l’anno prossimo ci andranno davvero i calciatori a cantare.Tu chi ci avresti fatto suonare a Sanremo quest’anno?Dei miei colleghi io ci avrei mandato Dente. Perché no? Ci poteva stare benissimo. Non dico Il Teatro Degli Orrori, ma uno come Va-sco Brondi (Le Luci Della Centrale Elettrica) tutta la vita. Oppure Brunori (Sas), gli Zen Circus.. Gente che s’è fatta un mazzo così, che ha registrato un sacco di dischi, scritto un sacco di testi, suonato un sacco di concerti. E s’è fatta da sola. Poi per me una come Irene Grandi va benis-simo a Sanremo.. Pure Malika Ayane.Non so come funzioni, ci saranno dei ca-sting, immagino pensino più all’aspetto televisivo che a quello musicale.Penso ci siano in ballo tante cose, forse al mondo indie neanche interessa o forse la trafila è un po’ più lunga.. Se pensi che Afterhours e Subsonica ci sono andati quando erano ben più famosi..Figurati che i Bluvertigo sono andati a San-remo e poi si sono sciolti…Restando in tema di musica italiana: citi tra i tuoi preferiti artisti come Luigi Tenco, Fred Buscaglione, Rino Gaetano… Pensi ci siano dei nomi equivalenti oggi nel nostro paese?A parte il Pan Del Diavolo… Non credo pos-sano esserci degli equivalenti.Scherzo.Un esempio: ma se Dente - non perché mi sono fissato, ma per fare un nome - deve fare quattro o cinque dischi per avere un passaggio su Radio Due… Come potrà mai arrivare al livello dei nomi che hai fatto?
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Non parlo di livello, pensavo alla “quali-tà”…Per me i testi del Teatro Degli Orrori sono di altissima qualità.Pensi che tra vent’anni la gente si ricorde-rà di loro? Considerando che nemmeno oggi sono tan-to conosciuti…Dovesse ricordarsi di Valerio Scanu sarebbe molto più grave.Non lo so, io vedo un grande fermento in giro oggi, molto maggiore rispetto a non
dico dieci anni fa, ma anche solo cinque. La gente c’è, viene ai concerti.Ci sto lavorando io, ci stai lavorando tu, ci sta lavorando il mio booking. Lo stesso discorso vale per gli altri artisti e i loro team, che si stanno dando un gran da fare e riescono a portare due, tremila perso-ne ai concerti. Poi per arrivare ad un pubblico più vasto, trasversale, ci vuole il supporto dei media, delle case discografiche.. Ma se le case di-scografiche non pensano che l’artista possa
arrivare a questo tipo di pubblico non lo fanno. Non lo so, è un po’ una guerra, una situazio-ne in divenire. Certo che il pubblico cresce, e le proposte si allargano: youtube, myspa-ce.. Vediamo.Sulle case discografiche non farei troppo affidamento: i dischi non si vendono più e loro non sanno che pesci pigliare. Non hanno guardato e non guardano avanti. Fanno gli ascolti collettivi, stampano copie watermaked per paura che il disco
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finisca in rete; ma la pirateria è “sempre” esistita. La verità è che si sono abituati bene, a non sforzarsi troppo, a non lavorare sul prodotto… E’ per quello che secondo me sono in crisi. Sta a voi inventarvi qualcosa di nuovo per vendere ciò che fate. Ma tu lo saprai meglio di me… Quante copie hai venduto finora di Sono All’Osso scusa?Non lo so, aspetto ancora il rendiconto trimestrale, ma la seconda ristampa ancora non è partita…
E la prima stampa di quant’è?1250 copieAndiamo bene... Dieci anni fa probabil-mente sarebbero stati dieci, venti volte tanto...Mannaggia.Ma secondo te perché non si vendono più dischi?Perché la musica non rappresenta più un momento di socializzazione.Ora c’è internet, ci sono i videogiochi… Quello che vuoi.
S’è persa la funzione sociale. Poi non è mai stata difesa a livello culturale; se poi ci metti anche la questione dell’IVA…Cosa volevi fare da piccolo una volta di-ventato grande?L’astronautaChe poster avevi appeso nella tua came-ra?Quando ho cominciato ad appendere po-ster avevo quello di Pulp Fiction, degli MC5, dei Whites Stripes… Un concerto a Palermo dei Tre Allegri Ragazzi Morti del 2000.. New York. Poi c’erano un po’ di cazzate, collage stile pop art che facevo con il plexiglas.Com’è stato passare dal poster dei Tre Allegri appeso in camera a lavorare con loro, con la Tempesta, la loro casa disco-grafica?Fighissimo, ma ancora la devo digerire questa cosa. Però so di lavorare con artisti che sanno cosa è meglio per altri artisti. Persone che sanno sempre darmi una mano, un consiglio: “con questo ci puoi lavorare”, “con quello meglio di no”, “stai attento che quell’altro è un figlio di puttana”…Come vi siete conosciuti?Ancora non s’è capito bene, non ci ricor-diamo. Secondo me è andata così: Vasco Brondi ci ha visto suonare l’anno scorso al Mi Ami, ne ha parlato con Toffolo che si è interessato ed è venuto a trovarci a Milano. Poi ci ha seguito per un paio di date in Ve-neto e alla fine di una di queste gli abbiamo detto: “ ma allora lo facciamo sto disco insieme o no?” Se non sbaglio era il dieci luglio scorso.Tornando alla tua camera, al poster dei White Stripes, vedendovi in due sul palco a fare tutto quel baccano potrebbero an-che tornare in mente… Cosa ne pensi?Sono bravissimi i White Stripes, li ho amati tanto, specialmente i primi dischi.Però devo ammettere che mi sono fermato a White Blood Cells, perché quando hanno cominciato a piacere a tutti, ad essere famo-si, a non essere più una mia “esclusiva” li ho abbandonati.Invece ho visto che citi l’omonimo degli Alice In Chains tra i tuoi lp preferiti..Si, lo chiamano anche Tripod se non sba-glio. Un disco pazzesco, psichedelico, con deitesti bestiali… Jerry Cantrell poi ha fatto il meglio della ricerca.Altri dischi fondamentali?Nevermind dei Nirvana, gli omonimi di Clash e Dylan… Celentano. E per tornare al discorso di prima, Buscaglione e Tenco. Un altro disco che mi ha colpito quando ero più giovane è stato The Science Of Things dei Bush, quello con The Chemical Between Us. Sarà stato il ‘98/’99..
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E il primo che hai comprato?(scoppia a ridere) The Fat Of The Land dei Prodigy in cassetta, nel ‘98. Ma che formato era la cassetta??? Chissà che fine hanno fat-to tutte quelle cassette, quante ne saranno rimaste nei magazzini di tutto il mondo e quante saranno state distrutte. Ricordo che alla Feltrinelli di Palermo, nel 2000 o 2001 ci fu una svendita colossale di musicassette. Vidi un signore che si era comprato tutta la discografia dei Pearl Jam!E a Palermo cosa succede?Il vero problema di Palermo è il traffico… No, a parte gli scherzi, a Palermo ci sono un sacco di band, di musicisti, ma non per forza legati ad una scena. Ci sono gruppi punk, hard core, blues, artisti che cantano in inglese e che magari vanno a suonare fino in Brasile. C’è stato una specie di passaggio di testi-mone, di conoscenze e di esperienza dalla musica catanese alla musica palermitana; merito di persone serie, persone che tra l’altro mi hanno insegnato tanto. Poi ci sono anche individui meno seri e anche grossi rompicoglioni. Ma tutti quelli che sto coin-volgendo ci credono, che sia Palermo o che sia New York hanno tantissima voglia di fare e sono molto determinati. La prova è stato il concerto che abbiamo fatto poco tempo fa, in occasione della pre-sentazione del video di Pertanto: non suo-navamo a casa da molto, ma abbiamo fatto un bello spettacolo, una gran performance e riempito il locale, con la gente giusta, non con passanti che erano lì per ballare o per bere qualcosa: la pars costruens della città.Hai sempre vissuto a Palermo?SiMai pensato di trasferirti?Si. Ma alla fine chi me lo fa fare?La musica?E perché? Posso farla anche giù. Forse mi tocca sbattermi un po’ di più.. Ma chi me lo fa fare di trasferirmi, ricostruirmi una vita da un’altra parte. Giù un affitto di un posticino in centro lo pago trecentocinquanta euro…Beh se le cose dovessero andare davvero bene…Allora potrei rivalutare la cosa… Mi piace-rebbe la Toscana: c’è il mare e si mangia bene.Ho sempre pensato che i gruppi italiani debbano cantare in italiano. Ascoltando Sono All’Osso per la prima volta mi sono chiesto come sarebbe il Pan Del Diavolo in inglese... Probabilmente per il sapore, per il taglio internazionale che ha il disco. Cosa ne pensi?All’inizio cantavo in inglese, poi sono pas-sato all’italiano. Merito di una persona che
mi ha dato questo suggerimento; io sono molto attento a quello che mi consigliano gli altri. Lì mi sono detto: “ecco, il segreto è l’italiano, è questa la ricetta!”. Ora non tornerei mai indietro. Ma poi con quello che offre la discografia italiana, la promozione italiana come si fa? Tra l’altro un gruppo nostrano che canta in inglese lo vedo molto meno credibile.La difficile esportazione della nostra musica e il suo scarso appeal più che per un problema di lingua o credibilità, secondo me dipendono essenzialmente dall’aspetto produttivo: la maggior parte dei dischi italiani, anche quelli con degli spunti interessanti, sono prodotti male. Stop. O no? E’ per quello che sei andato a cercare l’aiuto di uno straniero? Basta affidarsi ad un produttore straniero per risolvere il problema? Se si perché non lo fanno tutti?JD tecnicamente non è stato un vero e pro-prio produttore, è stato più un sound engi-neer; ha dato il colore al suono del disco. Chiamare i produttori stranieri? Si, perché no. Non conosco bene i produttori italiani, però so che i dischi di Tenco suonavano, eccome se suonavano, erano registrati con l’orchestra della RAI. Per non parlare di Battisti, che suona un milione di volte meglio delle produzioni che girano in Italia. Oggi si usa Pro Tools… Scheda audio e via.Non lo so, forse è un discorso più gene-rale, che coinvolge tutto il Paese… Dalla musica al cinema, fino agli ospedali, co-struiti in modo tale che alla prima scossa vengono giù…Forse si, è un fenomeno che si sta allargan-do… Sicuramente se vuoi “costruire” devi investire.Come sei arrivato a JD?Aveva lavorato con un altro gruppo palermi-tano, i The Second Grace. Io ero andato a trovarli e mi era piaciuto il suo modo di fare.Avendolo scritto e visto nascere ti sei mai reso conto che stava venendo fuori un gran bel disco?Spesso ho avvertito la sensazione che si stava facendo qualcosa di importante, ma niente di più. Poi una volta finito, general-mente un disco non lo tocchi più, diventi allergico e lo lasci lì. Per un mese non l’ho ascoltato, addirittura mi sono proiettato sul prossimo pur di non avere niente a che far-ci… Non lo so, posso dirti che sono molto contento dell’album. Ovviamente penso che alcune cose potevano venire meglio, altre invece sono al di sopra delle nostre aspettative.Come nascono i tuoi testi?
Di getto, una mattina, come nel caso di Ci-riaco, da una semplice idea o dalla voglia di costruire un testo attorno ad un argomento specifico. Nel caso di Scarpette A Punta, ad esempio, volevo scrivere una canzone per bambini, così ho fatto un po’ di ricerca, leg-gendo e ascoltando materiale dedicato.Quanto c’è della Sicilia nella tua musica?Non lo so, i brani io li ho scritti tutti a Paler-mo. Non so cosa sarebbe venuto fuori se li avessi scritti qui o da un’altra parte. Quindi direi quasi tutto. Dal punto di vista stretta-mente musicale invece direi poco: la tradi-zione popolare siciliana è legata ai canti di lavoro, ai canti dei carrettieri, ad altre cose.E la gran cassa?Innanzitutto abbiamo fatto di necessità virtù: una volta arrangiati i brani, con Ale, abbia-mo fatto dei provini a dei batteristi, ma non è che cambiasse chissà che. Io contempora-neamente avevo fatto dei concertini chitarra e gran cassa ed ero rimasto soddisfatto. Così al primi vero concerto ci siamo presen-tati con quella e quella è rimasta.Poi c’è da dire che dal punto di vista arti-stico e compositivo è un elemento con dei risvolti interessanti.E i sonagli?I sonagli li ho inventati io. E’ una corona con centottanta sonagli applicabile sulla cassa che ho fatto fare ad un fabbro.Quali potrebbero essere gli sviluppi futuri per il Pan Del Diavolo?Mi piacerebbe avvicinarmi un po’ al soul, al funk, agli spiritual americani… Ma sempre con un’impronta rock.Se dico elettronica e remix?Interessanti al cinque per cento.Cosa fai quando lasci da parte la musica?Leggo tantissimo e sto con la mia ragazza. E’ la prima che mi segue in tutto quello che faccio; lei ha la sua vita, non mi segue in tour e non è la classica ragazza groupie, ma mi aiuta tantissimo.Cosa hai studiato?Studio ancora, Economia, mi mancano dieci esami, ma ho in programma di finirla.Sei religioso?Ancora non ne sono venuto a capo.Sei felice?SiCos’è che ti fa arrabbiare?Le cose di cui abbiamo parlato prima: la situazione discografica, Belèn a Sanremo, Berlusconi - ogni anno che passa - sempre di più. Mi fa incazzare che i poveri siano dal-la parte dei ricchi: perché ascoltano Vasco Rossi e non gli Zen Circus, perché guardano Maria De Filippi, perché aspirano ad essere come Costantino?Perché i poveri stanno dalla parte dei cat-tivi?
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Volti noti rispettivamente del grande e piccolo schermo, Gabriele Salvatores e Valeria Bilello, a cui non cre-do occorrano molte presentazioni, firmano con “Happy Family” un buon sodalizio lavorativo, trasformatosi forse anche in una bella amicizia. Li abbiamo incontrati in una delle prime assolate giornate milanesi e chiac-chierato sul loro presente e passato lavorativo, a partire proprio da quella Milano in cui sono cresciuti e in cui hanno realizzato insieme questo film. Gabriele torna infatti nella sua città - come hanno fatto molti registi italiani in questo 2010 appena cominciato - proprio con una pellicola tratta da uno spettacolo del Teatro dell’Elfo, sua prima casa e amore lavorativo. Un ritorno in tutti i sensi che viene sottolineato anche attraverso l’utilizzo del registro della commedia. Valeria, che nella capitale meneghina ha anche studiato regia, firma invece la sua seconda collaborazione davanti alla macchina da presa. Un nuovo inizio per entrambi? Incrocia-mo le dita, in attesa di vedere cosa queste due personalità stupefacenti, a tratti disarmanti nella loro simpa-tia e modestia, riusciranno ad estrarre in futuro dal loro cappello a cilindro.
Gabriele Salvatores e Valeria BilelloIntervista di Valentina Barzaghi. Foto di Sean Michael Beolchini
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Ciao, come state?
Gabriele e Valeria: Bene grazie!
Inizierei parlando un po' di voi... Se vi chie-
dessi di descrivervi usando 3 aggettivi, quali
usereste?
G: Il primo che mi viene in mente è timido,
rispetto alla vita e un po' meno rispetto al
cinema. Poi direi ricercatore, nel senso che
attraverso il cinema cerco di fare quello che
invece non mi riesce nella vita, cioè improvvisa-
re e rischiare un po' di più. E il terzo potrebbe
essere... Dai, facciamo timido, allegro e melan-
conico, togliamo ricercatore.
V: Pigra, bugiarda, romantica.
G: Bugiarda e romantica è pericolosissimo...
(ride)
Ascoltando gli aggettivi con cui ti sei defini-
to Gabriele, mi viene in mente che in molte
interviste che hai rilasciato fino ad oggi, hai
detto che il cinema riesce ad essere il con-
testo in cui vivi più a tuo agio. Non è una
visione un filo pessimistica?
G: Purtroppo è così e trovo sia una visione
pessimistica nei miei confronti. Però credo che,
anche se definirmi artista mi risulta presuntuo-
so, sia una caratteristica comune a chi cerca
di raccontare qualcosa, che sia dipingere o
suonare.
Si ripete abbastanza spesso, capita frequente-
mente, soprattutto a musicisti... Anche quelli
che magari fanno i dannati, poi non riescono
a reggere il gioco della vita e sono più a loro
agio quando si esprimono musicalmente. Nel
mio caso è un transfert abbastanza normale,
così come per chi fa il cinema e in particolare
il regista: nel momento in cui giri un film hai
l'illusione di poter controllare il mondo in cui
stai vivendo in quel momento, perché ci entri
mentre lavori, e lo controlli perché sei tu che
lo hai creato, oltre al fatto che hai un'attenzio-
ne da parte degli altri che è esagerata. Tutti
dipendono da come tu vedi quel mondo.
Quando torni alla vita normale invece, nessuno
se ne frega del tuo mondo e non puoi, per
fortuna- e lo dico adesso mentre per tanti anni
è stato un problema - governare la vita, "la vita
non ha regia" dice il personaggio di Valeria
nel film, "al massimo puoi fare l'attore". La vita
non ha dei tempi che organizzi o un happy end
che crei come vuoi, quindi come un attore puoi
solo abbandonarti ad un copione che stai scri-
vendo scena dopo scena e non sai nemmeno
come andrà a finire. Questa cosa una volta mi
spaventava, ora piano piano sto riuscendo ad
uscirci. Prima di salutare tutti quanti (ride) vorrei
arrivare a dire di essermi abbandonato al caos.
Ma visto che è uno dei temi film... Qual è la
vostra idea di felicità?
G: Questa rispondi prima tu... (ride)
V: Per fortuna che le ho chiesto se le domande
erano facili e lei mi ha detto di sì... oh mam-
ma... è una domanda difficile...
Ok, mentre ci pensate allora chiederei una
cosa a te Valeria. Visto che abbiamo avuto la
fortuna di conoscerci tempo fa frequentando
la stessa scuola di cinema (lei faceva regia e
io sceneggiatura)... Cos'è successo in questi
4 anni che ci siamo perse di vista?
V: Come ben sai io sono stata espulsa dalla
scuola di regia e credo sia stata una delle cose
più interessanti della mia vita perché fino ad
allora ero sempre stata una studentessa model-
lo, quindi volevo portarmi a casa un cartellone
quando è successo...
G: Perché ti hanno espulsa?
V: Perché ero una fighetta borghese che nel
frattempo lavorava in tv, ma anche perché ave-
vo insultato il mio produttore. Che dai... Può
succedere nella vita..
G: Oh, l'ho fatto talmente tante volte... (ride)
V: Detto questo ho continuato a fare quello
che facevo anche prima, quindi le tv musicali,
a viaggiare... Dopo un paio d'anni ho cono-
sciuto Gabriele. In mezzo c'è stato il film con
Pupi Avati, quindi quello, Venezia, poi pausa...
Gabriele l'ho conosciuto ad All Music, durante
la promozione di Come Dio Comanda. E' stato
tutto molto veloce perché siamo diventati ami-
ci, poi ci siamo persi di vista per più o meno
un anno, poi improvvisamente grande ritorno
per un provino: "Ti ricordi di me? Sì, eh, ciao...
Vuoi fare un provino? Di solito non li faccio, mi
vengono malissimo"...
Ma è nei tuoi progetti tornare dietro alla
macchina da presa?
V: Sì, ma ho capito molto bene che è un lavo-
ro... non difficile, direi quasi non umano. Per-
ché il regista è davvero il God della situazione
per almeno 3 mesi. Bisogna sicuramente avere
delle grandi motivazioni perché altrimenti non
si fa fronte alle difficoltà. Anche in un progetto
bellissimo, che sta andando alla grande, pro-
prio come vuoi tu, ci sono dei momenti così
difficili che ti mettono in discussione, che se
non sei davvero motivato a raccontare la storia
su cui stai lavorando, ti conviene abbandonare.
Ma dopo così tanti film Gabriele, cosa provi
ancora quando gridi il primo "azione"?
G: Così mi aggancio a quello che chiedevi sulla
felicità... La felicità è fatta di momenti, non è
uno stato permanente. A volte ce la neghiamo
noi, più frequentemente lo fanno gli altri. Ogni
volta che mi accingo ad iniziare un nuovo film
mi sembra di non essere capace. Arrivo sul set
e mi dico "ma come ho fatto a fare quell'altro?
Porca miseria, mi era venuto bene e ora non
sarò mai più capace". La sensazione è quella
di essersi dimenticati tutto durante i primi ciak,
mentre poi man mano che incominci a mettere
un mattone sull'altro e a sentire il rapporto
con gli attori più intimo, vero e vedi le primi
risposte, entri totalmente nella storia e prendi
coraggio. Un film è come un piccolo, grande
sogno che tu hai, una visione che devi condi-
videre con gli altri, che è la cosa più difficile.
Sono tanti quelli con cui la devi spartire perché
gli attori sono solo il terminale emotivo e se
capiscono quello che hai immaginato lo rein-
ventano... è fantastico... è come Miles Davis
che se chiama Coltrane non vuole solo un sax,
vuole uno che gli cambi la sua musica. Quando
questo succede diventi più sicuro e man mano
il sogno scompare, si infila tra i rulli di pellicola,
i problemi dei proiettori, i problemi economici,
l'attore che si sveglia male... Non a caso gli
americani usano lo stesso termine per girare
e sparare, "to shoot", e non è un caso che si
chiamino "crew, troupe, reparti, ordine del
giorno" i componenti... Se va bene, il sogno
ricompare quando in una sala buia, speriamo in
tanti, si rimettono in contatto con quella strana
allucinazione che hai avuto.
Quest'anno per il cinema italiano è quello
che amo definire "l'anno dei ritorni" (vedi
Virzì, Rubini...). Con Happy Family sei tor-
nato a Milano... Segno di un'altra svolta, di
altre sperimentazioni, o un ritorno?
G: E' vero, non ci avevo pensato... Avevo paura
dicessi che fosse l'anno delle famiglie... (ride)
Non so ancora dire cosa sarà, le storie ti ven-
gono incontro, anche in funzione di un tuo sta-
to emotivo... In base al film che faccio ascolto
musica diversa, mi vesto in modo diverso... Ad
esempio, quando giravo Come Dio Comanda
tutti mi dicevano "ma come sei scorbutico",
invece ora con Happy Family è cambiato in
"come sei simpatico". Credo che succeda an-
che agli attori...
Non so se sia il ritorno a qualcosa, la comme-
dia di sicuro mi ha sempre coinvolto, sono nato
con lei - anche se in verità sono nato con la
musica - da quando facevo teatro. Ovviamente
parlo di commedia contaminata con altro, vedi
Nemico di Classe. Diciamo che sono tornato
alla commedia dopo un periodo in cui non
avevo più voglia di ridere, in cui vedevo le cose
più dark, il prossimo non so... Milano è la città
in cui sono cresciuto, che odio e amo come
tutte le cose importanti di una vita. E poi sai
cos'è? E' il terzo film che faccio tratto da uno
spettacolo del Teatro dell'Elfo... quindi è pro-
prio vero che è un ritorno, non ci avevo mica
pensato...
V: Io sto ancora pensando alla domanda della
felicità (ridono entrambi)... Non crediate che
abbia abbandonato... Sono così, penso e
ripenso alle stesse cose, ma non sono ancora
arrivata a una conclusione. Ma sono molto
felice...
Gabriele ha introdotto il tema musica, che è
qualcosa che seppur in modi diversi, vi acco-
muna. Cosa vi piace ascoltare?
V: Penso a quelli che per me hanno fatto la dif-
ferenza quest'anno. Tv On The Radio, che han-
no un background interessantissimo, poi uno di
loro lo conosco anche personalmente, e fanno
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un casino pazzesco sul palco; poi direi The xx,
che ho visto a New York durante il primo tour
americano. Non sono bravi, anzi sono piuttosto
sfigati, nel senso... dal vivo a uno parte la cor-
da della chitarra, un altro parte male... sgarru-
patissimi, ma bravi... il disco è di una delicatez-
za allucinante, ma intenso al tempo stesso. C'è
un pezzo che si chiama Fantasy, bellissimo...
Poi non sono male anche i Dirty Projector (can-
ta). Ecco quello che direi è basta con gli Arctic
Monkeys, basta con i Cheap Monday...
G: Che bello sentirti parlare così... in codice...
(ride). No va beh, alcuni gruppi che hai citato li
conosco anch'io... Ma mi fermo ai Radiohead,
come riferimento intoccabile.
(Da qui Gabriele Salvatores inizia a mostraci
alcune foto "vintage" sul suo iPhone. Chitarra
in mano, capello lungo... è irriconoscibile)
G. Ecco, quello sono io.Te ne faccio vedere
altre perché fa troppo ridere...
Questo è Italo Petriccione e l'altro con la par-
rucca sono io. Era il 1969, proprio beat gene-
ration. Questo per dire che la mia cultura mu-
sicale risale soprattutto a questi anni... Un altro
che mi piace molto è Beck, ma anche Charlotte
Gainsbourg... sono innamorato di lei e quindi
potrei dire qualsiasi cosa.
Valeria, qual è tra i film di Gabriele quello
che preferisci, che non sia Happy Family?
V: E' difficile, è come per i dischi di una band.
Quando ti piace un gruppo, così come quan-
do ti piace un regista, ti sposi tutto, cerchi di
capire tutto... E poi nel suo caso ha spaziato
così tanto che credo che tutto il suo percorso
sia interessante. Quindi direi tutti per motivi
diversi. Nirvana perché era una cosa che non si
era mai vista; Marrakech-Mediterraneo-Turné
perché sono forti storie d'amicizia e hanno dei
personaggi di cui ti innamori, oltre che delle
loro storie; Quo Vadis Baby è stato rivoluzio-
nario perché anche quello girato in modo nuo-
vo... Mi è piaciuto anche moltissimo Come Dio
Comanda. Forse quello rischia di essere il mio
preferito. Per non parlare di Io Non Ho Paura,
ma quello lo trovo più scontato...
G: Sulla distanza anche io ho una predilezione
per Come Dio Comanda. Io Non Ho Paura è
molto tondo, perfettino, confezionato in termi-
ni tradizionali.
Direi che sia anche il mio preferito... Siamo
tutti d'accordo... Ma visto che Valeria ha
citato Nirvana, mi aggancerei passando ad
altro... Visto che la notte degli Oscar si sta
avvicinando e chi meglio di te in Italia ci può
dare un suo giudizio su Avatar, per chi tifi?
Bigelow o Cameron? Sono curiosa...
G: Dura sta domanda... Non ho visto il film del-
la Bigelow... Tra l'altro trovo bellissima questa
cosa di marito e moglie che si lasciano e dopo
anni si trovano in una circostanza simile... Tu
l'hai visto?
V: Sì. Sono molto diversi tra loro, ma lei senza
dubbio ha dimostrato di avere due palle grosse
così. L'impegno di lui è stato quello di supe-
rarsi e superare qualsiasi film di genere nella
storia, aspettando anche che le tecnologie utili
per un simile lavoro raggiungessero certi stan-
dard. Indubbiamente Avatar cambierà la storia
del cinema, l'ha detto anche Spielberg. Perso-
nalmente ho odiato le musiche, cheap e brutte.
Voto per la Bigelow comunque, perché era
molto più difficile per lei girare un film di quel
tipo che non per lui giocare con i suoi toys.
G: Avatar... Il cinema credo sia sempre stato
legato al concetto di tecnologia per sua defini-
zione. I primi esempi di film venivano mostrati
nelle fiere, perché di tecnologia si parlava. Nel
primo film girato dai Lumiere la gente si spa-
ventava perché pensava che il treno gli venisse
addosso; poi c'era Melies che attraverso il cine-
ma faceva un giro sulla Luna.
Già ci si dirigeva sulla fantascienza. Dall'inizio
quindi il cinema era un occhio che si apriva
su realtà da scoprire e su mondi non necessa-
riamente conosciuti. Se pensi all'Uscita dalle
Officine Lumiere, gli operai sapevano benis-
simo com'era la fabbrica, ma era destinato
ad altre persone che magari non ci erano mai
state. Quindi il cinema è stato sempre legato
ad un'idea di innovazione, mentre oggi con la
diffusione capillare dei mezzi di comunicazione,
con il fatto che quando vogliamo abbiamo
con noi internet con cui aprire una finestra sul
mondo, non ha più questo ruolo. Tutto è mol-
to globalizzato. Quindi cosa dovrebbe fare il
cinema oggi? Secondo me, filmare l'invisibile,
che non vuol dire filmare i fantasmi. Rosetta dei
Dardenne è un esempio di film sull'invisibile.
Più poesia che romanzo senza però perdere
il suo senso della realtà, anche cruda e dura,
anche se in merito a questo ultimo concetto
di legame con la realtà credo sarebbe molto
meglio se lo facessero, ma non lo fanno, la tv
o i media d'informazione. Avatar cambia le
regole del gioco. Se tu vedi, quando il cinema
è in crisi fa dei passaggi: muto-sonoro, B/N-
colore e ora il 3D che sta salvando le sale... Se
noi non ci fissiamo sul dato tecnico però, ma lo
vediamo come funzione aggiuntiva - se hai un
quadro nella tua testa e hai più colori a tua di-
sposizione è un di più che ti può servire - dicia-
mo che potrebbe anche cambiare l'ortografia
del cinema: il campo-controcampo non sono
più la stessa cosa, la soggettiva non è quella
del personaggio ma di te che lo stai guardan-
do perché ci sei dentro... Quindi da una parte
rimette in discussione una serie di cose, ma
quello che ha detto Cameron "ho provato ad
usare il Motion Control come Emotion Control"
ti dà la chiave per una serie di cose... Happy
Family ad esempio che è una commedia so-
fisticata, non all'italiana, particolare, ma pur
sempre una commedia, se ci fosse stato il 3D
sarebbe stata perfetta, perché gioca su due
livelli, quello di chi sta scrivendo e quello dei
personaggi. Non è detto che il 3D vada usato
per tutto il film, ma anche solo una parte come
quella dei sogni.
Tornando in ambito locale... Gabriele, tu hai
spesso dichiarato che in Italia parlando di ci-
nema ci piangiamo un po' troppo addosso...
che mi dite a proposito? Come possiamo
riprendere quota?
V: Io penso che a volte per essere più interna-
zionali siamo troppo autoreferenziali, che rac-
contiamo le solite cose che all'estero vogliono
vedere dell'Italia: il Sud, folklore... E' come se
regalassimo agli americani il loro weekend a
Capri, con il mare, il sole... E invece l'Italia, se
guardo quello che mi è piaciuto di più negli
ultimi anni, è differente. Si può raccontare un
paese diverso e quindi anche più internazio-
nale. Se non fossero così nazional-popolari le
nostre storie, seppur piccole, potrebbero girare
ovunque... Sto parlando di quei personaggi
invisibili di cui raccontava Gabriele prima e
in quest'ottica Come Dio Comanda sarebbe
stato facilmente esportabile. L'altro lato della
medaglia è che ci sono alcune pellicole che ne
giustificano magnificamente l'uso, vedi Pranzo
di Ferragosto, perché si reggono su una bella
storia che ha bisogno di raccontare quelle
tradizioni. Altre volte, invece, mi sembra che
venga proprio appiccicata alla trama solo a mo'
di figurina...
G: Io concordo. Se guardi i film italiani che
hanno vinto l'Oscar negli ultimi anni, tra cui
Mediterraneo, sono ambientati nel passato,
dove c'è il sole, il mare e un carattere degli ita-
liani che esiste, ma non è l'unico. Quindi sem-
bra che se vuoi avere successo all'estero devi
fare una cosa "italiana", con il rischio poi che
si rifacciano le stesse cose perché hanno avuto
seguito... Sai quante volte a me hanno chiesto
di fare “Mediterraneo 2, 3, 4, 5...”? Non mi
interessa. Il mondo è diventato molto piccolo e
io non voglio raccontare solo il mio cortile. Se
mi proponessero di girare una storia ambien-
tata in Cina, a me piacerebbe... Non bisogna
stare nella casella in cui vogliono chiuderci, è
un discorso pericoloso. Che poi, purtroppo,
sono le cose che funzionano anche in sala, ma
non so quanto siano sincere... In Happy Family
il personaggio di Fabrizio dice "Non puoi dire
bugie". E' una scorciatoia, quello che all'estero
vogliono da noi. Abbiamo due genitori molto
ingombranti in Italia purtroppo: da una parte
c'è la commedia che è una madre e il neoreali-
smo che è un padre, ma si sa che per crescere
devi un po' escludere dalla tua vita i genitori.
Una domanda che nessuno vi ha mai fatto?
V: Quali sono i pianeti del Sistema Solare? Li
so tutti...
G: Perché Pippo ha un cane se è un cane? E
perché Nonna Papera vive con Ciccio che è
un'oca? E Qui, Quo e Qua di chi sono figli?
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Daryl Wein e Zoe Lister-Jones sono fidanzati. Dopo quattro anni di reciproca dipendenza, i due
decidono di prendersi un “momento di pausa” in cui provare a recuperare l’autonomia che cre-
dono persa per sempre e aprire la loro storia a nuovi partners. Daryl e Zoe sono rispettivamente
lo sceneggiatore-regista -attore-produttore-montatore e la sceneggiatrice-produttrice-attrice-ad-
detta al catering di “Breaking Upwards”, un film a metà tra realtà e fiction che Daryl aveva inizia-
to a scrivere insieme Peter Dunchan (altro co-sceneggiatore) durante quel famigerato break con
Zoe, che tornata a casa poi è intervenuta sul testo. Daryl e Zoe, con un budget davvero irrisorio,
hanno scritto il “loro” film; loro perché hanno fatto tutto, intervenendo su più fronti e incastran-
dolo con i rispettivi impegni lavorativi, loro perché è ciò che hanno davvero vissuto - tant’è che
sono loro che recitano interpretando se stessi - e loro perché anche grazie a questo film hanno
saputo medicare la propria relazione e guardare avanti. In molti si potranno calare nei panni dei
protagonisti, d’altronde... a chi non è capitato di prendersi un “breaking upwards”? Sperando di
vederlo presto anche nelle nostre sale (noi l’abbiamo visto al Torino Film Festival), vista anche la
presenza di un cast celebre - vedi Peter Fridman (“The Savages”), Olivia Thirlby (“Juno”), Andrea
Martin (“My Big Fat Greek Wedding”) e Julie Wait (“Transformers”) -, li abbiamo raggiunti per
un’intervista durante le vacanze di Natale, in un piccolo momento di relax che precede l’ultima
fase di promozione del film a New York e di distribuzione grazie alla IFC Films.
Daryl Wein & Zoe Lister-Jones
Intervista di Valentina Barzaghi. Foto di Coley Brown
Ciao ragazzi! Come state?
Daryl e Zoe. Molto bene grazieRaccontateci qualcosa di voi... Tu Zoe
penso che sia più nota alle masse, proba-
bilmente perché fino a questo momento
hai rivestito più che altro ruoli d'attrice
(uno delle sue ultime parti è stata in State
of Play, di Kevin Macdonald, al fianco di
Russel Crowe), mentre di te Daryl sappia-
mo poco, a parte che Breaking Upwards
è il tuo secondo film (il primo è intitolato
Sex Positive) e che fino ad ora hai lavo-
rato sia come co-sceneggiatore sia come
regista a una serie di cortometraggi, pro-
dotti televisivi, serie... Diciamo che lavori
molto, ma mai sotto i riflettori come Zoe.
D. Diciamo che hai riassunto bene il tutto, non credo che avrei molto altro da aggiun-gere. Ma vediamo un po'... Ti direi qualcosa sugli inizi della mia carriera, se così la pos-siamo definire. Mio padre mi regalò la mia prima camera quando avevo tredici anni, che è anche quando ho iniziato a girare film. Poi crescendo ho frequentato la New York University Tisch School Of the Arts e una volta diplomatomi mi sono fermato in questa città in pianta stabile. Oggi ho ven-tisei anni, ma vorrei averne ancora sedici, avere ancora più tempo davanti a me per fare cose.Z. Io invece ho ventisette anni. Ho iniziato a prendere lezioni di recitazione quando ave-
vo otto-nove anni e al liceo ho continuato su questa strada partecipando a qualche commedia, ma se devo essere sincera, ero davvero preoccupata all'idea d'intraprende-re una carriera nel cinema, in televisione o a teatro, perché essendo stata cresciuta da due visual artists, sapevo già cosa mi sareb-be successo e dunque avrei preferito avere una professione finanziariamente stabile. Ma vinsi una borsa di studio alla New York University Tisch School Drama e mia madre mi disse che sarebbe stato stupido buttare all'aria una simile opportunità. Una volta laureatami ho scritto e prodotto uno spetta-colo, poi direi che il resto è storia. Descrivetevi usando tre aggettivi.
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D. Ossessivo. Compulsivo. Disordinato.Z. Non. Abbastanza. Giovane.Daryl, mi dicevi che hai frequentato la
New York University... E' stato un passo
importante per la tua carriera? Mi piace
sempre capire quanto fare una scuola pos-
sa essere utile ad un artista...
D. In realtà ho iniziato a frequentare la NYU per la recitazione, ma avevo già frequentato un corso intensivo di cinema quando avevo diciassette anni presso la USC (University of Southern California, ndr). Questa è la formazione che ho maturato fino ad oggi. D'altra parte mi è sempre piaciuto anche guardare film e parlarne. Il vero salto di carriera comunque è avvenuto dopo che mi sono laureato alla NYU e ho realizzato il mio primo cortometraggio con Olivia Thirlby: Unlocked. Quindi sì, mi è servito, ma ci vuo-le anche altro per una formazione completa. Chi è stata la prima persona che ha credu-
to in te?
D. Entrambi i miei genitori direi. Hanno incoraggiato le mie ambizioni e mi hanno permesso non solo di fare film, ma anche di mettermi in gioco professionalmente già da quando ero al liceo. Hanno pagato lezioni, sostenuto il mio lavoro e sono sempre stati una forte linfa vitale per me. Che tipo di regista sei sul set?
D. Parlo solo in terza persona e mi piace usare il linguaggio dei segni con la troupe (ride). No! Sono amichevole e divertente! Dedico un sacco di tempo al lavoro con gli attori, in modo poi da stare tranquillo quan-do giriamo. Mi piace tenere le mani ovun-que. "Guardatemi, sono io che controllo, va bene!?!". Non posso farne a meno...E cosa cosa ti piace fare quando non sei
sul set?
D. Mangiare... Mangio davvero un sacco.Zoe, invece tu come attrice ti stai sempre
più affermando e vieni dichiarata come
una delle "grandi promesse" del cinema
made in U.S.A. Ma è la prima volta che
ti trovi a far parte del Cast Tecnico di un
film al posto che di quello Artistico?
Z. Come sceneggiatore è la mia prima volta, mentre come produttore lo sono già stata per l'altro lavoro di Daryl, Sex Positive, an-che se sul set di quest'ultimo film mi sono davvero trovata a fare un po' di tutto. Vi ricordate la prima volta che vi è venuta
in mente l'idea per Breaking Upwards?
D. L'idea è venuta nel periodo in cui io e Zoe stavamo pensando seriamente di rompere. Mi ricordo che, come nel film, stavamo seduti al tavolino di un bar. Aveva-mo delineato un sacco di regole su come
impostare il nostro periodo di "pausa" e ho pensato che sarebbe potuto diventare qual-cosa di particolare e carino da sviluppare in una commedia romantica.Z. Sì, Daryl ha deciso di iniziare a scriverlo proprio nel bel mezzo della nostra "rela-zione aperta". Si è basato esclusivamente su ciò che stavamo vivendo. Sentivo che il tema trattato mi stava molto a cuore, ma non ci lavorai fino ad un anno dopo alla prima stesura, cioè quando avevo preso distanza sufficiente dalla nostra storia e quel periodo era terminato.5 cose che bisogna sapere su Breaking
Upwards.
D. 1) Ci sono tre scene di sesso; 2) Ci sono molte cose divertenti; 3) E' ambientato a New York City; 4) Racconta una storia sulla dipendenza di coppia; 5)E un cucciolo. (Quest'ultima affermazione non credo di averla capita... Ma faccio finta di nulla... Andiamo avanti)Z. 1) Si basa su un periodo di "relazione aperta" che abbiamo sperimentato io e Daryl; 2) Ho scritto la colonna sonora (tranne una canzone stupenda di Jack Lewis); 3) E' stato realizzato con 15000 $; 4) Daryl e io abbiamo scritto, prodotto e interpretato il film. Inoltre Daryl l'ha diretto e io quasi tutti i giorni mi sono occupata del catering; 5) Ha un cast strepitoso!Quali sono stati i problemi nella realizza-
zione di un film come questo (low budget,
molto intimo, con voi che vi prendete
parte sia come cast tecnico che cast arti-
stico)?
D. Sicuramente il denaro, che non era suffi-ciente per potersi permettere attrezzature e troupe a sufficienza, quindi abbiamo cercato di fare tutti il più possibile, anche se questo spesso poi ci distraeva da recitazione e re-gia, che doveva essere la parte più difficile di tutto il lavoro. Come ha detto Zoe il film è costato 15000 $, quindi puoi immaginare... è stato molto difficile far quadrare tutto. Z. Sì, anch'io posso dire con sicurezza il denaro. Abbiamo fatto tutti un sacco di cose per stare nei costi. Gli attori sono stati pagati ciascuno 100 $ al giorno, tutte le location sono state prestate e con i soldi rimanenti siamo riusciti solo a pagare una piccola troupe. Diciamo che comunque è stato interessante e alla fine possiamo dire anche gratificante perché abbiamo ottenuto il film che volevamo. Ne siamo felici, quindi la fatica è stata ben ricompensata. Daryl, mi puoi dire che tipo di camere hai
usato?
D. Panasonic HVX 200 con lenti Redrock 34
millimetri adattate con lenti Nikon. Magari è una domanda che implica una
risposta troppo personale e quindi mi
potete dire "fatti i fatti tuoi e passa ol-
tre", ma visto che Breaking Upwards è
un esperimento sul vostro rapporto di
coppia, sarei curiosa di sapere se il film
ha cambiato davvero qualcosa tra di voi,
se magari anzi vi è servito da "farmaco"
riparatore...
D. Non preoccuparti, non ci dà fastidio ri-spondere, anzi... Direi che realizzare insieme un film come questo ci ha reso più forti. Ci ha fatto ripensare al nostro rapporto "aper-to", soprattutto durante la fase di scrittura, facendocelo escludere come soluzione per tornare a stare bene tra noi; la stesura della sceneggiatura ha agito molto su di noi, così come parlare in continuazione della storia. Raccontarla ai festival ci è servito da terapia. Il film ci ha anche resi più aperti in generale come persone.Z. Trovo anch'io che ci abbia reso più forti, più sicuri del nostro legame. Realizzando Breaking Upwards siamo stati costretti a trattare questioni molto profonde e com-plesse su cui la maggior parte delle persone tende a sorvolare. Che cosa rappresenta New York per la
vostra vita?
D. La mia anima.Z. E' la città in cui sono nata e cresciuta. Non potrei vivere altrove.Qual è il miglior ricordo che avete della
vostra vita insieme?
D. Nel film o nella vita reale? Se vi va mi potete dire di entrambi, altri-
menti decidete voi in base a quello che
preferite (anche perché mi sto facendo
ancora gli affari vostri...).
D. Preferisco dire nel film, forse nella nostra relazione ci metterei un sacco a pensare ed è qualcosa di intimo... Quindi direi il lavoro con tutti gli attori probabilmente.Z. Io invece ti dico una cosa che sta nel mezzo. Per me è stato l'ultimo giorno di riprese. Ci siamo concessi una cena romanti-ca nel nostro ristorante preferito. E il peggiore?
D. Ti dico sempre nel film... Trasportare l'at-trezzatura per cinque rampe di scale.Z. E io sempre a metà tra i due... Lo stress da set porta un sacco di tensione anche nel rapporto.Mi raccontereste un episodio divertente
successo durante le riprese del film?
D. Non avevamo ancora preso nel cast An-drea Martin quando abbiamo girato la scena del Sender, quindi l'abbiamo fatta senza
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di lei. Una volta assoldata però, avremmo dovuto rifarla completamente, ma non ce lo potevamo permettere. Quindi abbiamo pre-so la stessa location, lo stesso tavolo, e ab-biamo girato come se intorno a lei ci fossero altre dodici persone, mentre invece lei era sola... Abbiamo dovuto più che altro stare molto attenti al gioco di inquadrature.Z. Pablo Schreiber (nel film è Turner) si è fatto una testa stile mohawk e si è rasato completamente il pizzetto dopo che aveva-mo già girato parecchie scene con lui con la barba e i capelli folti. Non ci ha detto nulla fino alla mezzanotte della sera prima del giorno in cui dovevamo ricominciare le riprese con lui. Quindi abbiamo dovuto pen-sare molto velocemente a come avremmo potuto mettergli una parrucca e una barba finta per preservare la continuità. E' per questo che nella scena dove siamo seduti è così orribile... Bisogna spiegare perché ha quel terribile taglio di capelli! (ride)Come dicevi anche tu Daryl, nel film ci
sono tre scene di sesso, di cui due tra voi
due e una tra Zoe e Pablo Schreiber...
E' stato difficile o imbarazzante girare
questo tipo di scene - soprattutto per voi
visto che è una situazione molto intima e
vissuta - di fronte a una telecamera?
D. No, non so davvero per quale ragione, ma non lo è stato. Eravamo tutti molto rilassati l'uno con l'altro, ma soprattutto la troupe era molto piccola quando giravamo quelle scene, abbiamo preferito.Z. Con Daryl è andato tutto bene, perché come diceva lui, mentre le giravamo non avevamo lì la produzione al completo: era-vamo solo io, Daryl e il nostro DP Alex Berg-man. La parte con Pablo è stata un tantino più difficoltosa come puoi immaginare, ma a parte un po' di blocco all'inizio, poi è filato tutto liscio anche lì. Daryl in tutto questo è stato sorprendente, davvero non so come avrei fatto senza il suo aiuto. Daryl, guardando ora il tuo film, c'è qual-
cosa che cambieresti?
D. Se potessi rifarlo mi piacerebbe avere più soldi e un parrucchiere... I miei capelli erano un disastro! Hai notato? Per il resto direi di
no, è come volevo venisse e ne sono felice. Credete nell'amore "via web"?
Z. Non sono sicura di cosa sia realmente... D'altronde non conosco molte persone che siano riuscite a trovare amore sui siti d'ap-puntamenti. Credo però che la chat per la mia generazione sia diventata il principale mezzo di corteggiamento. Ovvio che la cosa ha i suoi pro e i suoi contro. D. Dipende da cosa si intenda davvero per "amore via web"... Comunque come Zoe credo che, visto che ora si può davvero ve-dere la gente in video chat, si possa pensare di avere una sorta di reale connessione con qualcuno che sta dall'altra parte, tipo con Skype o iChat. Se è questo che si intende ci credo, al resto (siti d'appuntamenti e simili) direi di no. Qual è la vostra idea di rapporto a due?
Credete che la passione possa durare per
sempre o che questa sia solo la prima
parte e che l'amore vero arrivi con la co-
struzione di un rapporto e anche con duro
lavoro?
D. L'amore è una delle cose che ti può cam-biare nel modo più profondo possibile. In teoria, penso che si possa rimanere innamo-rati di qualcuno per sempre. Ma ho ventisei anni, quindi solo il tempo potrà dirmi se ho davvero ragione. A lungo termine, credo che un rapporto amoroso richieda di sicuro un duro lavoro: bisogna imparare ad accet-tare compromessi in funzione dell'altro, fare qualche sacrificio.... Ma ci sono così tanti regali in cambio che poi te ne dimentichi.Z. Penso che trovare un "amore sostenibile" sia molto diverso che trovare qualcuno di cui innamorarsi. L'innamoramento è solo una fase del processo e assomiglia a un masochistico e tortuoso stato della mente, più rivolto al piacere e alla passione. Ma trovare una persona che puoi amare e che ti ami davvero è un tesoro unico, nonostante implichi più sforzi. Quindi mi sento molto fortunata. Quando secondo voi una coppia dovreb-
be capire che è meglio lasciar perdere?
Z. Non saprei dirti... Probabilmente dipende tutto dal tipo di coppia.
D. Quando non si è più in grado di comuni-care o di provare qualsiasi tipo di sentimen-to per l'altro, per me questo è il momento che ti dovrebbe far pensare che è meglio abbandonare. In pratica è come se si fosse già diventati due estranei. Che musica vi piace ascoltare?
Z. Mi piace la musica che evoca in me qual-cosa di reale e forte già dal secondo ascol-to. I Pavement sono la mia band preferita di sempre, ma credo che ci siano molti artisti che si fanno sentire fuori dal coro anche oggi. In termini di band contemporanee adoro Palms, Telepathe, The xx, Edward Sharpe and the Magnetic Zeros, Grizzly Bear. Sono molto diversi tra loro, ma ciascu-no a suo modo epico. Adoro la musica. D. Mi piacciono un sacco di tipi diversi di musica, ma solitamente ascolto a prescinde-re quello che mi passa Zoe. Lei, come avrai capito, è una super appassionata... Ultima-mente appunto... Telepathe, Edward Sharpe and the Magnetic Zeros, The xx, Yeah Yeah Yeahs... Scontata come risposta? (ride) Cioè quello che sta ascoltando anche lei. Ma non saprei dirti chi mi piace di più e perché. Come mi raccontavi prima Zoe, tu sei sta-
ta anche l'autrice della colonna sonora di
Breaking Upwards...
Z. Sì, diciamo che io ho scritto tutti i testi per la colonna sonora, quindi ho contribuito solo a metà. Le musiche invece sono di Kyle Forester, che è un musicista meraviglioso di New York. Avevamo lavorato insieme su un album di cover, in cui avevo cantato a pia-noforte alcuni brani pop e rap molto famosi. Il lavoro della colonna sonora è stato un po' più lungo del precedente, ma per me è stato puro divertimento (mentre Kyle aveva un sacco di roba da fare...). Mi piace scrivere testi e cantare, ma è e rimarrà un hobby, anche perché tra tutte le cose che ho da fare non saprei come fare a farlo diventare qualcosa di più. ... e poi ti sei occupata anche della sce-
neggiatura.
Z. Diciamo che la mia fortuna è stata che ho iniziato a lavorare alla storia quando le basi erano già state costruite da Daryl e Peter
“L’idea è venuta nel periodo in cui io e Zoe stavamo pensando seria-mente di rompere. Mi ricordo che, come nel film, stavamo seduti al tavolino di un bar. Avevamo delineato un sacco di regole su come im-postare il nostro periodo di “pausa” e ho pensato che sarebbe potuto diventare qualcosa di particolare e carino da sviluppare in una comme-dia romantica” Daryl Wein
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Dunchan (il nostro co-autore). Il problema però era che mentre stavo riscrivendo la sceneggiatura e girando questo film, facevo otto spettacoli alla settimana a Broadway. Insomma, non avevo più energie, ero davve-ro esausta. Penso che la vita di un artista sia così: si lavora fino all'esaurimento per poi riprendere ancora a lavorare una volta che ci si è ripresi, per poi esaurirsi di nuovo... in un ciclico alternarsi. E' davvero dura. Chi è Zoe per la tua vita Daryl?
D. Il mio amore più grande.E per te Zoe, chi è Daryl?
Z. La stessa cosa... Il mio amore più grande.Come spieghereste ad un bambino cos'è
un "breaking upwards"?
Z. "Breaking upwards" vuol dire molte cose. Per noi è stato come sbriciolarsi lentamente, dal ri-prendere indipendenza all'introduzio-ne di nuovi partners da poter frequentare. Tentare di cambiare un po' di cose del pro-prio rapporto per vedere se cambia qual-cosa anche nelle proprie singole esistenze. Abbiamo capito molte cose...D. E' quando in maniera molto aperta si decide di prendere del tempo per stare soli, lontano dal proprio partner. Questa strada prevede che ci sia dialogo e che altre perso-ne verranno inevitabilmente tirate in mezzo (vedi parenti, amici, nuovi partners...). Mi sembrate una coppia molto affiatata:
vivete insieme, lavorate spesso insieme...
Insomma, se non andreste così d'accordo
vi sareste già scannati probabilmente...
Ma cosa vi piace fare quando uscite la
sera?
Z. Devo dirti la verità... Non usciamo mol-tissimo. Ci piace cucinare e, come dicevi tu, lavoriamo parecchio! Qualche volta andia-mo al cinema o alle partite, o ci vediamo con gli amici... niente di particolare insom-ma... delusa? Non siamo grandi amanti di feste o simili, ci divertiamo in modo molto tradizionaleNo, no... Anzi, mi piace scoprire che spes-
so quello che si pensa della vita di alcune
persone sia in verità solo una fantasia, o
comunque qualcosa di lontano dalla real-
tà. Poi immagino che in questo periodo
sarete anche incasinati con la promozio-
ne... E invece come sta andando la distri-
buzione?
D. Alla grande! Siamo stati fortunati che il film circolerà un po' ovunque. E' un sogno che si avvera. La IFC Films ha fatto in modo che a New York inizi a circolare dal 2 di Apri-le, ma che possa essere anche recuperabile video on demand. Fantastico!Siete già stati a molti festival? Io ho visto
il film al Torino Film Festival...
Z. Sì, ne stiamo girando davvero parecchi. Torino è stato un festival meraviglioso...Se non avessi fatto il regista Daryl, quale
altro lavoro ti sarebbe piaciuto?
D. Il giornalista relegato in paesi dilaniati dalla guerra.Il miglior film che avete visto ultimamen-
te?
D e Z (all'unisono). Inglourious BasterdsIl tuo film romantico preferito Zoe?
Z. Amo Annie Hall (W. Allen). Penso che dipinga perfettamente New York , il suo es-sere divertente, asciutta, elegante, giocosa, schiva. Regista preferito?
D. Non ne ho uno preferito.Z. Da sempre Woody Allen. Un regista (anche giovane o indipenden-
te) che dovremmo tenere d'occhio?
D. Ammiro molto Steven Soderbergh, per-ché rende i suoi film esattamente come li vorrei fare io.Z. Miranda July. Julie Delpy. Cosa vi tiene svegli durante la notte?
D. La marea di roba che ho da fare. Sembra che il tempo non mi basti mai. Se foste Dio per un giorno, cosa fareste?
D. Eliminerei tutte le malattie.Z. Risolverei una volta per tutte il conflitto tra israeliani e palestinesi. Una cattiva abitudine che non riuscite a
togliervi?
D. Giocare, attorcigliare i capelli.Z. Non saprei. Ho una forza di volontà dav-vero potente nel riuscire a fronteggiare i vizi. L'ultima volta che avete pianto?
D. Guardando il reality "So You Think You Can Dance".Z. Ieri. Dicono che le scarpe spieghino molte
cose di come sia fatta la persona che le
indossa... A voi che scarpe piace usare?
Z. FlatD. Mi piacciono tutti i tipi di scarpe, basta che abbiano i due buchini ai lati, sai quelli per tenere meno chiuso il piede. Qual è il segreto per l'Eterna Giovinezza?
Z. Un fantastico chirurgo plastico.Da quello che ho visto nel film, non tanto
perché vieni ripresa mentre ti affanni tra
un negozio e l'altro quanto per abiti e
brand che vengono sventolati qua e là, ho
dedotto che sei un'amante dello shopping
Zoe... è vero?
Z. Oh sì, amo lo shopping. Vestiti, scarpe, make up... Ogni volta che mi capita di esse-re nella situazione vorrei davvero comprare di tutto... è qualcosa di incontenibile...
A cosa state lavorando ora?
Z. Io e Daryl abbiamo finito due sceneggia-ture e due piloti per la tv. Se qualcuno in Ita-lia ci vuole finanziare... Per il resto Breaking Upwards deve arrivare ancora in sei città qui negli Stati Uniti e poi in tv. Come attrice ho appena finito di girare un film intitolato Stuck Between Stations con Josh Hartnett, la serie tv Delocated, il nuovo film di Will Ferrell The Other Guys, Salt con Angelina Jolie e All Good Things insieme a Ryan Go-sling e Kirsten Dunst. D. Abbiamo qualche script che al momento stiamo cercando di piazzare. Non posso dire di più, ma se avessi intenzione di investire, mandami una mail (ride). Inoltre lavoriamo sulla promozione di Breaking Upwards e alla scrittura-sviluppo di nuovo materiale. Insomma a un sacco di cose, poi vedremo come andrà...Siete felici?
Z. Sì, molto.D. Sì, al momento più del solito visto che abbiamo anche una buona distribuzione del film... Non potrebbe andare meglio! Come ti dicevo prima è davvero un sogno che si avvera. Come vi vedete tra dieci anni?
D. Con più pancia, meno capelli e tanti soldi.Z. RiccaCosa ne pensate del Nobel per la Pace ad
Obama?
Z. Wow! Parliamo di tutto qui, mi piace... Ma posso solo dire che trovo la cosa im-pressionante... Così sto sul vago (Infatti... Con questa risposta è riuscita a non dirmi nulla... astuta...)La domanda che nessuno vi ha mai fatto,
ma a cui vorreste rispondere?
D: "Vuoi che ti dia 100 milioni di dollari per fare un film come si deve?". Risposta: "Sì, grazie".Z: "Cosa vuol dire "awesome"?. Risposta: "Awesome!" Cosa farete dopo questa intervista?
D. Andrò un po' a controllare la mia pagina di FacebookZ. Andrò ad una festa. Lo so che mi con-traddico con quello che ho detto prima, ma è una delle rare occasioni. Allora vi saluto, è stato un piacere co-
noscervi! Se capiterete mai a Milano per
la presentazione del vostro film venite a
trovarci
D e Z. Certo! Non mancheremo... Se passe-remo dalle vostre parti ci sentiremo assolu-tamente.
90 PIG MAGAZINE
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ThursdayPIG MAGAZINE FOR PUMA ARCHIVE & AFRICA LIFESTYLE
Photographer: SEAN MICHAEL BEOLCHINIStylist: EMMANUELLE MOUTINHOAstnt Ph: GIOVANNI GALILEIHair & Make-up: NICOLE KRUNICModels: BRITTANY HOLLIS at Why Not, IRINA BEREZINA at Women, CHRISTIAN NULTY at Future e MAX NIPPERT at Elite
Brittany a sinistra e in alto: leggings Puma Africa Lifestyle, sneakers Cabana by Puma Archive
Irina: shorts Puma Archive
Brittany: windstopper, t-shirt e leggings by Puma Africa Lifestyle, sneakers Suede dalla collezione Puma Archive
Brittany: Puma Africa Lifestyle track jacket e sneakers Suede by Puma Archive
Chris: boardshorts e scarpe Tekkies by Puma Africa Lifestyle
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Chris e Brittany: sneakers First Round e Cabana by Puma Archive
Chris e Brittany: Puma Archive track jacket
AstridPhotographer: VALERIE PHILLIPSStylist: ALDENE JOHNSONHair & Make-Up: CHARLOTTE CAVE at Naked Artists using Bumble and Bumble and ChanelModel: ASTRID at FM ModelsStylist’s Assistant: HOLLY BARNESThanks to: Jo and Jason
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Top FRED PERRY, shorts STELLA MCCARTNEY for adidas
112 PIG MAGAZINE
Top con paillettes BEYOND RETRO, shorts DIESEL
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114 PIG MAGAZINE
Tuta in jeans DIESEL, top BEYOND RETRO, scarpe NIKE
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Photographer and Styling: SIDNEY GEUBELLEHair and Make-up: SABINE PEETERSModel: ELISABETH OUNI at newmodelsSpecial Thanks: Piotr Niepsuj
Ostend Transit
116 PIG MAGAZINE
Lei sinistra: giacca vintage, jeans LEE, t-shirt URBAN OUTFITTERS, gilet MARLENE BIRGE, stivali vintage. Lei destra: t-shirt SIXPACK
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Vestito by SESSUN, stivaletti by MINNETONKA, Vestito by SESSUN, stivaletti by MINNETONKA
Lei sinistra: pantaloni 55DSL, scarpe e body TOPSHOP, gioielli OBEY e vintage. Lei destra: jeans LEE, top vintage, cintura vintage
118 PIG MAGAZINE
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T-shirt OBEY, pantaloni RVCAgilet MODERN AMUSEMENT, giacca vintage
120 PIG MAGAZINE
Vestito by SESSUN, stivaletti by MINNETONKA, Vestito by SESSUN, stivaletti by MINNETONKA
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122 PIG MAGAZINE
Giacca vintage, camicia URBAN OUTFITTERS, jeans LEE, gilet MARLENE BIRGE, stivali vintage
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Lei destra: giacca vintage, camicia URBAN OUTFITTERS Lei sinistra: maglia SIXPACK, salopette LEE, gioielli OBEY e vintage
124 PIG MAGAZINE
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Vestito by SESSUN, stivaletti by MINNETONKA, Vestito by SESSUN, stivaletti by MINNETONKA
Pantaloni MARIOS, top LACOSTE, gioielli OBEY e vintage
126 PIG MAGAZINE
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Vestito by SESSUN, stivaletti by MINNETONKA, Vestito by SESSUN, stivaletti by MINNETONKA
128 PIG MAGAZINE
Jacket e top OBEY, gilet vintagepantaloncini e scarpe TOPSHOP
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Flying Burrito Brothers - Guilded Palace Of Sin, Digable Planets - Rebirth Of Slick, DJ Shadow - Endtroducing, Niravna - Bleach, D’Angelo - Voodoo, JTram - Only A Season, Wooden Veil - Wooden Veil, Bonnie Prince Billy - Ease On Down The Road, Freestyle Fellowship - Innercity Griots, Mobb Deep - Infamous
Yeasayer
Foto di Tre Dadlar
1.George Duke - Faces In Reflection (No. 2)2.Kassem Mosse - Those Days3.R. Kelly - Exit 4.Dillinja & Mystery - Deep Love5.Captain Beefheart - Dirty Blue Gene6.Reggie Dokes - Until Tomorrow7.Actress - Splazsh8.Addison Groove - Swamp Dubs9.Marcellus Pittman - The Midwest Advocates EP Part 110.The Soft Machine - As Long As He Lies Perfectly Still
Foto di Piotr Niepsuj
Joy Orbison
130 PIG MAGAZINE
Due super PIGlist questo mese: la prima ce l’hanno lasciata nella cassetta delle lettere gli Yeasayer, passati dall’Italia per presentare “Odd Blood”, la seconda è firmata Joy Orbison, uno dei nomi più caldi della nuova dance britannica... Un assaggio di quello che troverete sul numero di maggio.
Piglist:
Crookers - Tons Of Friends (Universal)Detto più volte, anche recentemente, che i dolori della mu-sica italiana siano attribuibili spesso e volentieri a carenze a livello di produzione, occorre in primis sottolineare come Phra e Bot non soffrano affatto di questa malattia: Tons Of Friends infatti “suona” come solo i migliori lavori dance internazionali sanno fare. Sarà forse perché negli ultimi anni hanno soggiornato più all’estero che dalle nostre parti, divi-dendo la consolle con i big della club culture mondiale fino a diventare parte dell’élite? Dai Soulwax a Diplo, passando per Tiga ed Erol Alkan: tutti li amano e tutti li vogliono. Come, dunque, non fiancheggiarli in questa grossa, grassa opera prima? La sfilata di ospiti è da red carpet (Kelis, Will I Am, Roisin Murphy, Tim Burgess e i già citati Soulwax tra gli altri), il risultato da blockbuster. Come autori navigati chiamati a lavorare ad un kolossal hollywoodiano i Crookers dirigono con mestiere le loro star, dosando a dovere azione, effetti speciali e i muscoli che li hanno portati tanto in alto. Più che un lp un best of, crossover variopinto e globale - dall’irish chic della Murphy all’african beat targato Very Best, passando per le malelingue nostrane Fabri Fibra e Dargen D’amico - a base di hip hop, vecchia e nuova house e quant’altro di ballabile ci sia in circolazione oggigiorno. Se questo è quel che cercate difficile trovare di meglio. D.
Mark Van Hoen - Where Is The Truth (City Centre Offices)Dove sta la verità, si sarà domandato il veterano dell’elettronica inglese Mark Van Hoen (Locust) scopren-do di essere figlio adottivo nel momento di trasferirsi a Brooklyn nel 2008. E’ lì, all’ufficio immigrazione, che questa notizia potrebbe aver influito sull’umore del suo nuovo lavoro. Un disco denso e onirico, dove convivono atmosfere chiaroscurali tra Brian Eno (Put My Trust In You), la 4AD su cui lui stesso ha inciso e i Massive Attack (She’s Selda) con i quali è stato in tour. Rispetto all’elet-tronica asciutta degli ultimi lavori e al focus sul ritmo, che comunque non manca a partire dalla splendida titletrack, sembrano prevalere suoni elettroacustici ovat-tati. Questi avvolgono voci altrettanto soffuse, distorte e riverberate che donano calore all’ascolto. Le tracce sono pervase da un senso di sicurezza e al tempo stesso di equilibrio precario, in cui un sibilo esitante, il tremolio di una voce o le note di una chitarra - merito anche di Neil Halstead di Slowdive e Mojave 3 - possono pro-curare un effetto malinconico ben più devastante di un urlo disperato. G.S.
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Di Depolique e Gaetano ScippaMusica Album del mese
Musica Album del mese Di Depolique, Marco Lombardo, Gaetano Scippa e Barnaba Ponchielli
Walls - s/t (Kompakt)
Come sia nato questo patto tra Sam Willis -
parte del collettivo disco dance Allez-Allez - e
il nostro, ottimo, Alessio Natalizia - ovvero Mr.
Banjo Freakout - è una cosa che ignoriamo
e ci piacerebbe approfondire. Nel frattempo
ci facciamo suggestionare pesantemente da
questo esordio, salutare come mezz’ora di
ossigeno puro, tra ambient, shoegaze e quei
paesaggi tanto cari alla musica kraut, anche
dei penultimi tempi. Dopo i remix per Pantha
Du Prince e The Field ecco otto tracce originali
cariche di malinconica elettricità. Respirare
gente, respirare. D.
Jahcoozi - Barefoot Wanderer (Bpitch Control)
L’album che non ti aspetti. La fascinazione
di Robot Koch per l’ambiente dubstep e le
frequentazioni di Sasha Perera potevano far
immaginare qualcosa, ma non un disco anti pop
pesante come un monolite. BW è un prodotto
tutto giocato su bassi enormi, echi dancehall
e collaborazioni che riassumono il girovagare
degli Jahcoozi dal Berghain al Kenya (Msoto
Millions) via Anti Pop Consortium (Powerdown
Blackout). Se Barefoot Dub fa tremare le pareti
di casa di Stereotyp e Close To Me è una cover
per seppellire Robert Smith, si torna a respirare
solo alla fine, superata la barriera elettrificata di
Deadbeat. G.S.
Prins Thomas - s/t (Full Pupp)
Nuovo disco solista per il meno celebrato del
duo Lindstrøm & Prins Thomas. Sottolineo
nuovo perché ricorderò sempre con piacere
il robusto LP uscito via Idjut Boys come Major
Swellings ormai un lustro fa, agli albori del revi-
val disco, e apparentemente caduto nell’oblio.
Rispetto ad allora, ai danzerecci dj set ed ai
molteplici trattamenti riservati a brani altrui, il
vichingo sceglie una strada meno immediata e
più astratta. PT infatti si regge su sette ghiotti
e chilometrici tripponi psichedelici che al funk
d’altri tempi preferiscono derive cosmiche e
progressive. D.
MGMT - Congratulations (Columbia)
Avrei voluto vedere la faccia di chi di dovere
quando Ben e Andrew gli hanno portato il
nuovo disco. Scrivere, se pure per caso, anthem
generazionali e riempire gli stadi non era dunque
il piano. Congratulations lo prova: nove brani
intrisi di psichedelia che abbracciano uno spettro
che va dalla prima ondata Nuggets a Barrett e
oltre. L’avessero fatto i nostri Jennifer Gentle
sarebbe passato inosservato. Mancano le canzoni
e manca Dave Friedman: ad aiutare ci sono
invece Sonic Boom e Jennifer Herrema. Forse
era stato proprio lui a dar forma al flow del duo
che qui nuota libero e beato in mare aperto (vedi
Siberian Breaks) come se niente fosse.
Congratulazioni, anche solo per questo. D.
Caribou - The Swim (City Slang)
Ripetere l’exploit di Andorra, uno degli album
più apprezzati del 2007, non era facile. Daniel
Victor Snaith invece mette in discussione il
suo passato e riesce a superarsi. In The Swim
si confronta con sonorità dance oriented che
nulla hanno di prevedibile. Le melodie sono
circolari, liquide e cristalline. I suoni celestiali,
etnici, illuminanti nel loro essere organici in un
tessuto digitale. Capolavori disco-funk come
Odessa e Leave House lasciano il passo a di-
gressioni sperimentali in odore di psichedelia e
terzomondismo. Caribou traccia le coordinate
per un nuovo concetto di pop. M.L.
Dum Dum Girls - I Will Be (Sub Pop)
Da Los Angeles un nuovo progetto tutto al
femminile, guidato dalla misteriosa e affa-
scinante Dee Dee. I Will be è un disco senza
fronzoli che evoca un immaginario in bilico tra
la piovosa Inghilterra degli anni ottanta e le
atmosfere in bianco e nero da girl-group six-
ties. I brani, interpretati con attitudine garage,
scorrono veloci ma sono le ballate Rest Of Our
Lives e Baby Don’t Go a farci innamorare ricor-
dandoci la splendida Nico, periodo Velvet Un-
derground. Brandon Welchez dei Crocodiles e
Nick Zinner degli Yeah Yeah Yeahs accrescono
il profilo di un esordio convincente. M.L.
132 PIG MAGAZINE
Lali Puna - Our Inventions (Morr)
Ha ancora senso parlare di indietronica? Quel
genere che abbiamo conosciuto e amato grazie
a gruppi come Notwist e Lali Puna è tramontato
già da un po’. Ma se i primi hanno trovato una
scappatoia nel pop psichedelico, i secondi,
senza inventarsi nulla di nuovo, sembrano osti-
narsi sulla strada del glitch con i tipici sussurri di
Valerie Trebeljahr a far da traino. Eppure, non si
capisce come, la loro formula funziona sempre,
pezzi come il singolo Remember scorrono lisci
che è un piacere ad accompagnare le nostre
fantasie cinematiche. Ancora una volta, per l’ul-
tima volta, bentornati Lali Puna. G.S.
Kontext - Dissociate (Immerse)
Pressoché sconosciuto dalle nostre parti, il “dissi-
dente” russo Stanislav Sevostyanikhin è in realtà
un eroe del Baltico, che da anni smanetta su
bassi techno e drum’n’bass, ma solo di recente è
approdato al dubstep. Dissociate è un album bel-
lissimo, profondamente atmosferico, dove i beat
spezzati si mischiano a strumenti acustici, glitch,
riverberi dub e suoni IDM come se Afx incidesse
per la Basic Channel (Clinch). Il synth analogico
usato da Kontext, un glorioso portatile Polyvox
sovietico, mostra da subito versatilità e dinami-
smo nell’opener, immergendoci lentamente nelle
acque dell’album fino a ripetuti ascolti. G.S.
Shy Child - Liquid Love (Wall Of Sound)
Ingiustamente sacrificato nel calderone Nu
Rave, il duo di Brooklyn cerca di liberarsi dal
pesce che puzza indossando un set di vestiti
nuovi, dal chiaro design anni ottanta. Liquid
Love è un disco derivativo, in cui non c’è trac-
cia di innovazione. Sciorina una serie di brani
ammiccanti, ruffiani e in cinquanta minuti non
offre un grammo di originalità. Ma sapete una
cosa? Chi se ne frega. Il singolo Disconnected
è irresistibile e il resto dell’album è in grado di
trasformarmi in un cretino, felice e ballerino,
per poi commuovermi con Dark Design. Dovrei
vergognarmi? M.L.
Ikonika - Contact, Love, Want, Have
(Hyperdub)
Ariete della svolta post-D dell’Hyperdub, Sara
Abdel-Hamid esordisce sulla lunga distanza con
un’opera straniante. Ikonika esplora con uno stile
apparentemente rudimentale ma di certo side-
rale, brutalmente disumano e privo di empatia,
frequenze medie e ritmi digitali diversi grazie ad
accordi atonali, improvvise sgommate retro-sin-
tetiche, codici binari mantrici che mischiano Uk
garage e musica da Commodore64 con elettro-
funk e soca. Il suo è un percorso provocatorio
che ha già determinato fenomeni di emulazione
ma, proprio per questo, destinato ad esaurirsi.
Fatene buon uso, ma fate in fretta. G.S.
Nice Nice - Extra Wow (Warp)
Si dichiarano ascoltatori onnivori Jason Buehler
and Mark Shirazi, gli ultimi arrivati dalla fucina
sonora di Portland. Hanno “masticato” di tutto
ma prima di oggi erano soliti rigurgitare i frutti
soltanto in pubblico (se ne parla come di una
delle migliori live band in circolazione); adesso
è privilegio di tutti.Extra Wow deve probabil-
mente il nome alla reazione che provoca tale
e tanta valanga di suoni e ritmi. Un incontro/
scontro tra la furia digitale di Dan Deacon e
il “tribalismo” degli Animal Collective, guada
caso entrambi concittadini dei due.
Fosse una specialità dell’Oregon? D.
Le Rose - s/t (Pippola Music)
Parte “Monica Vitti” e siam lì a dire: ”ecco l’en-
nesimo duo misto electro pop...”. Poi però ci
pensi, ripensi, ascolti e ti ricredi. Le Rose sono
differenti, pur mantenendo il binomio maschio/
femmina. Sanno un po’ di Offlaga Disco Pax e
trasudano intellettualismo naif alla Baustelle,
ma senza celare nostalgie targate Garbo, Ca-
merini o Righeira. Il cortocircuito è servito, ma
con stile e raffinatezza, come da uso Pippola
Music (non a caso gli stessi di Brunori SAS).
Nove raccontini glitterati, non proprio per bal-
lare, ma neanche per star fermi. B.P.
133
Di Depolique, Marco Lombardo e Gaetano Scippa
Kavinsky - Night Call EP (Record Makers)
A quattro anni dall’exploit Vinco non ha perso il
passo: il suo mood electromantico tiene botta.
C’è lo zampino di Guy-Man, Jackson e Sena-
stiAn, ma ad abbagliare più dei fari della Testa-
rossa ci pensa Lovefoxxx. D.
Laszlo - Mr Sunshine (Lydian Label)
Artista dalle influenze classiche che ha lavorato
con Herbert, Laszlo sperimenta con elettronica,
jazz, ambient e musica africana: la solare Mr
Sunshine qui anche in versione dance e glitch.
G.S.
Bon Iver - Re: Stacks (Tomas Barfod Remix)
Da un capanno sperduto nei boschi al centro di
un dancefloor: catarsi Borattiana in una notte
di luna piena. Crying at the discoteque. D.
Late Of The Pier - Best in Class/Blueberry
(Phantasy sound)
Rischiavamo di perderli. Ma sono qui per resta-
re. Erol Alkan produce. Loro inventano. Ipertrofi-
ci come sempre. Psichedelia e pop fosforescen-
te. Una conferma. M.L.
Egyptian Hip Hop - Wild human Child/Hea-
venly (Hit club/Zarcorp)
Giovanissimi e onnivori. Gli Egyptian Hip Hop
partono dai Klaxons e li stravolgono con irrive-
renza tra suoni 8-bit e chitarrine nord africane.
Se son rose… M.L.
Lemonade - Pure Moods EP (True Panther
Records)
Ancora un EP per i Lemonade; oggi è tempo di
soca, dub e ritmiche calypso mischia sonorità
elettroniche e sfumature baleariche. M.L.
Floating Points - People’s Potential (Eglo) 12”
Il nuovo pezzo di FP su white label è il naturale
sequel di Vacuum: una bomba house acida dal
cuore soul e dall’incedere implacabile, con bas-
so funky iniziale e piano jazz che progredisce da
metà opera. G.S.
Williams - Confused Arp Disco (Love
Triangle) 12”
Il tastierista di Mylo e producer dell’electro
che conta (Get Physical, remix per The Knife
e Moby), sforna un gran pezzo – con 3 ottimi
remix – che affonda nella disco sintetica degli
anni ’70. G.S.
Pantha Du Prince (feat. Panda Bear) - Stick To
My Side EP (Rough Trade)
La ditta Pantha + Panda declina il suo hit: Walls
lo spalmano come fossero gli Animali, Lawrence
lo spoglia, e Four Tet lo pompa. E c’è n’è an-
cora. D.
Musica varie
134 PIG MAGAZINE
the chemical brothers, air, lcd soundsystem, plastikman, jónsi, dizzee rascal, 2manydjs, hot chip,booka shade, king midas sound, broadcast, the sugarhill gang, aeroplane, flying lotus, cluster, matthew herbert’s one club, fuck buttons, pete tong, joy orbison, mary anne hobbs, uffie, bradien, john talabot, speech debelle, jimi tenor & kabu kabu, emilio josé, hudson mohawke, mike slott, carte blanche (dj mehdi & riton), delorean, nosaj thing visual show, the pinker tones, noaipre, sandwell district, mike slott, cora novoa, bomba estéreo, bcn216, bflecha, machinedrum, zigmat, the blessings, the slew feat. kid koala, necro deathmort, eclair fifi & john computer, american men,elektroguzzi, tristan perich, bruna, david m, tim & puma mimi, goldielocks, round table knights, dp-s, larytta, lesley flanigan... listen to them at SonarRadio www.sonar.es
media partners collaborating mediatechnological partners
main sponsoran initiative of in collaboration with supported by
tickets on sale
+34 932752294 -
SonarRadio
17th International Festival of Advanced Musicand Multimedia Artwww.sonar.es
Barcelona17.18.19 June
Fantastic Mr. FoxDi Wes Anderson. Ormai non ci sono più dubbi... Anderson trasforma in oro qual-siasi cosa tocchi! Così è stato anche per la trasposizione della celebre fiaba di Roal Dahl (autore anche di Charlie e la Fabbri-ca di Cioccolato), da cui il regista trae un film coerente con il testo, ma che trasuda la sua estetica in ogni elemento: dialoghi, fotografia, caratterizzazione dei personaggi (con relativo e immancabile tocco di classe costumistico - Mr. Fox si veste come lui!), at-taccamento ai suoi trascorsi narrativi (a tutti gli effetti Fantastic Mr. Fox è la storia di una famiglia sui generis). Il racconto muove le fila da un detto che va trasformato per l'occasione "una volpe per-de il pelo, ma non il vizio". Infatti Mr. Fox, da spericolato ladruncolo di pollame, una volta scoperto che la sua signora è incinta, decide di mettere la testa a posto e di diventare un buon padre di famiglia. Ma non dura molto, a Mr. Fox piace vivere agiato. Acquistata una casa in un grosso albero cavo, ricomincia a darsi a furti per avere prelibatezze per cena tutte le sere. Proprio nei pressi della sua tana ci sono tre aziende di proprietà di altrettanti spietati imprenditori: Boggis, che alleva galline, Bunce che vive di anatre e Bean rinomato per il sidro di mele. Gli avari possi-denti una volta scoperti i furti, inizieranno la
"caccia alla volpe". Anderson, apprezzato e conosciuto dai più per il suo mood eccentri-co ed eclettico, fa il suo esordio nel mondo dell'animazione (chi non si aspettava che pri-ma o poi ci sarebbe arrivato?) percorrendo la difficile strada dello stop motion... Uno sfizio che il regista probabilmente si voleva toglie-re da tempo quello di muoversi in un campo da gioco diverso dai suoi consueti, forse anche per mettersi alla prova, ma soprattut-to per staccare da quel marchio di fabbrica che seppur apprezzato internazionalmente, rischiava di non abbandonarlo più. Qui come dicevo ci mette tutto di sé, ma usando la storia di qualcun altro e sperimentando con una tecnica nuova. Fantastic Mr. Fox rischia di essere "il film che verrà più apprezzato" di Anderson, anche perché onestamente non c'è proprio nulla che possa essere rinfacciato alla sua messa in scena. A parte scenografia e costumi che con i loro colori autunnali e quel tocco di ori-ginal classic vintage, come si diceva, sono un must andersoniano, abbiamo una regia ade-rente con la narrazione, ma che non manca d'estro, così come la sceneggiatura scritta dal regista insieme a Noah Baumbach (che con Anderson aveva scritto anche il meno amato The Life Aquatic with Steve Zissou) che non lascia un momento di tregua allo
spettatore. Con le voci di G. Clooney-Mr.Fox, M. Streep-Mrs. Fox, J.Schwartzman-Ash, Bill Murray-Badger... la personalizza-zione sui protagonisti fatta da Anderson lascerà il segno nelle vostre menti e fantasie (personalmente posso dire che davanti ad un lavoro di animazione mi è capitato po-che volte di ridere tanto come guardando il personaggio di Ash, figlio abbastanza cinico e distaccato di Mr. Fox). Spero che nella versione italiana (io l'ho visto in versione ori-ginale al Torino Film Festival) mantengano lo spirito dei dialoghi e lo humor della versione originale (ma per evitare pericolosi doppiag-gi mi cercherei una sala in cui lo diano in lingua sottotitolato). Un lavoro bello e divertente, coraggioso e interessante, che non ha retto la concorrenza con Up (ma chi avrebbe scommesso il con-trario? Up avrebbe sbaragliato qualsiasi av-versario) nella corsa al premio come Miglior Film d'Animazione, a cui era candidato, e da cui è stato surclassato anche per la Miglior Colonna Sonora. Dai Wes non te la pren-dere, ti amiamo uguale... Andate a vedere questo film se volete a)vedere un buon lavo-ro autorale, b) farvi due risate, c)vedere una bella storia che piacerà molto ai più piccoli, ma che è nettamente destinata ad un pub-blico adulto nel suo assorbimento totale.
136 PIG MAGAZINE
Film del mese Di Valentina Barzaghi
Di Riad Sattouf (The French Kissers) Lo stereotipo del nerd ai primi bollori si sposta in Francia. Il soggetto in esame si chiama Hervé: fisico ciondolante-mente disgraziato, talmente timido che non riesce ad emergere a scuola, tanto che finisce per peggiorare le cose e chiudersi sempre di più in se stesso. Come tutti gli adolescenti sogna di avere una ragazza, ma soprattutto le sue prime esperienze sessuali , ma colleziona un due di picche dietro l'altro... La fortuna però è dietro l'angolo: un giorno capisce di aver fatto colpo, fra l'altro su una delle più carine della classe. Un film divertente e da godere in tutto svago, che racconta fatti di ordinaria vita con un occhio però attento e sensibile. Lontano dal rigore didattico di La Classe, un altro film francese interessante ambientato tra le mura di una scuola. Chicca-cameo della pellicola: la Golino protagonista di un assurdo video pornografico.
Di Roman Polanski (ITA - L'Uomo nell'Ombra). Vincitore dell'Orso d'Argento all'ultima edizione del Festival di Berlino il nuovo film di Polanski è una bomba. Quando un noto ghostwriter londinese (E. McGregor) accetta di completare la biografia dell'ex primo ministro inglese Adam Lang (P. Brosnan), capisce che non sarà un lavoro semplice, tant'è che il suo predecessore è morto in un misterioso incidente, ma la paga e la prevista fama sono un motivo più che sufficiente per rischiare. Arrivato su una piccola isola della costa orientale degli U.S.A., dove il presidente è alloggiato provvisoriamente, sarà sballotato dagli eventi visto che Lang viene accusato di aver consegnato dei sospettati terrori-sti alle torture della C.I.A., ma anche a segreti oscuri che collegano il politico all'intelligence. Un thriller ricco di pathos e atmosfera, per una storia di inganni e misteri politici, ma non solo. Una bella metafora sul fatto che la storia spesso sia quella che viene scritta e non quella che viene vissuta realmente.
The Ghost Writer
Di Yojiro Takita. Departures è il film che ha vinto l’anno scorso l’Oscar come Miglior Film Straniero. Daigo è un violoncellista; quando la sua orchestra si scioglie decide di tornare con la mansueta moglie al paese d’origine dove cerca subito lavoro. Trovato un annuncio di un’agenzia, una volta al colloquio scopre che i viaggi di cui si parla non sono turistici, ma dipartite per l’aldilà. All’inizio è scettico, ma poi si lascia convincere con conseguenti allontanamenti da parte non sono degli abitanti del luogo, ma anche della moglie. Departures è una pellicola intensa che parla di una rinascita spirituale che non è solo quel-la del protagonista che abbandona le sue doti da musicista per dedicarsi all’ar-te della sepoltura, ma anche ciò che questa significa nella cultura orientale: un passaggio da una vita all’altra. Molti i simbolismi presenti, a partire proprio dal rito funebre fino all’oggetto che si passano di mano in mano i protagonisti. Una pellicola sul valore della dignità, della compassione e dell’accettazione.
Departures
Di Peter Greengrass. Ispirato al libro Imperial Life in the Emerald City: Inside Iraq’s Green Zone di Rajiv Chandrasekaran, un altro film che vede l’accoppiata Greengrass-Damon al lavoro insieme e sembra che ormai il sodalizio sia sinonimo di garanzia. 2003, Iraq: il primo maresciallo Roy Miller intuisce che qualcosa non quadra nei rapporti sulla ricerca di armi di distru-zione di massa nel paese voluti dal governo U.S.A. e appoggiato dalla C.I.A. inizia le ricerche che lo porteranno ad una soluzione diventata ormai opinio-ne pubblica. Sebbene il regista insista col dire che Green Zone non sia un film sulla guerra in Iraq, ma un thriller ambientato in Iraq, la denuncia sottesa è molto più che evidente e Greengrass ha il merito di costruirci attorno una pellicola di respiro, facilmente assimilabile e registicamente notevole. Da vedere! (ultimamente avete visto come sono buona con Matt Damon? Mi stupisco da me)
Green Zone
Le Beaux Gosses
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Cinema
Questo mese ho optato per una selezione di film che potete già acquistare in dvd dall'estero e che non sono stati distribuiti in Italia. Si spazia tra diversi generi, per accontentare un po' i gusti di tutti. Buona visione!
Di Rob Zombie. Dai... diciamocelo... Rob Zombie si è voluto divertire a suon di sangue, tette, culi e un super eroe un po’ sui generis. Il film è tratto dal fumetto ideato dallo stesso Zombie. Non chiedetemi di raccontarvi la trama perché The Haunted World of El Superbeasto è una pellicola totalmente anarchica, che se dovessimo classificare sotto qualche genere opteremmo per musical ultra violento e sex co-medy. Notevole il cast che il frontman degli White Zombie, nonché autore di pellicole come Halloween 1-2 e The Devil’s Rejects, ha tirato in piedi per l’occasione. A parte i più famosi Paul Giamatti, Rosario Dawson, Tom Papa e Sheri Moon Zombie, visto il tipo di film troviamo anche il personaggio di Zombie in cartone animato che in un losco bar chiacchiera con la trasposizione cartoon di Tura Satana... Chi è Tura Satana? Se vi dico Faster, Pussycat! Kill Kill! non vi viene in mente ancora nulla? Bravi... l’icona del cinema di Russ Meyer, che visto l’omag-gio ha deciso pure di doppiarsi. Una bella trashiata ragazzi, ma lo sapete che più è delirante, più mi diverto! www.elsuperbeasto.com
Di Lee Toland Krieger. Vi è mai capitato di innamorar-vi della persona sbagliata al momento sbagliato? Che cosa avete fatto se ricambiati? Siete andati incontro al vostro destino o ci avete rinunciato? The Vicious Kind è la tormentata storia di due fratelli e di un padre che tenta di riunirsi a loro, anche per portare un po' d'ordine nelle loro vite. Ma l'azione ha inizio proprio quando il minore viene raggiunto al college dall'altro che lo riporta a casa per il Ringraziamento. Il più pic-colo, Peter, è accompagnato dall'attraente fidanzatina, da cui Caleb (il più grande) viene immediatamente attratto. Quest'ultimo avendo appena rotto in maniera traumatica con la fidanzata, avverte il fratello che la ragazza gli porterà solo dolore e farà di tutto per met-
tere i bastoni tra le ruote nel rapporto tra i due, man mano però che l'attrazione per lei aumenterà. La pellicola uscita l'anno scorso negli U.S.A. è di una delicatezza incredibile. Senza le pretese di raccontare una storia complessa, ma con l'intenzione di far trasparire le piaghe oscure dell'animo umano in preda ad innamoramento (che possa essere passato, presente o futuro; per una ragazza o un affetto paterno da ritrovare) il regista costruisce una storia intima che raggiunge il suo obiettivo. Un film molto maschile - i protagonisti sono tre uomini alle prese con i propri problemi di cuore -, drammatico nella sua capacità di raccontare quanto spesso siamo propensi a volere ciò che non possiamo avere, a rinunciare perché la vita ce lo impedisce (o forse il buon senso, o il poco coraggio), a stare immobili perché così si pensa non faremo male a nessuno. Un film passionale. E Adam Scott nei panni di Caleb è perfetto. Un bel film romantico... drammatico ovvio... come tutti i film romantici che abbiano una valenza reale (e non dite che sono una cinica pessimista).
The Haunted World of El Superbeasto
The Vicious Kind
138 PIG MAGAZINE
Dvd Di Valentina Barzaghi
Di Andrea Arnold. Fish Tank è la storia di Mia (Katie Jarvis), un'esplosiva quindicenne si trova perennemente nei guai: espulsa da scuola ed esclusa dalle amiche, non evita di trovare pretesti per atta-car briga e sfogare la sua rabbia, alcune volte semplicemente impre-cando altre arrivando perfino alla violenza fisica. Ma non solo... Mia è costretta a vivere con una madre ancora attraente e con una sorel-lina con cui non va d'accordo. L'equilibrio già precario della famiglia viene definitivamente messo in discussione quando la madre inizia una relazione con Condor, unico che sembra capire le potenzialità della ragazza. Andrea Arnold nel 2006 aveva incantato il festival di Cannes con Red Road, che aveva vinto il Gran Premio della Giuria. Con Fish Tank è tornata sulle Croisette l'anno scorso per presentare
un'altra pellicola ambientata nei sobborghi inglesi (per questo la regista è stata più volte accomunata a Loach, ma non solo per affinità di ambientazione, ma anche per tematiche, come disagio esistenziale e travagliati rapporti genitori figli), che ci fa conoscere approfondita-mente la protagonista seguendola ad ogni passo e quindi riuscendo a farci entrare passo dopo passo nel suo disagio, riuscendo a cogliere la sua rabbia. Un dramma intimo, a cui Andrea Arnold non tenta di aggiungere spiegazioni-giustificazioni inutili: non occorrerebbero, nel suo essere stimolante e ricco di "zone d'ombra" da scoprire così com'è. www.fishtankmovie.com
Paper HeartDi Nick Jasenovec. Charlyne Yi non crede nell’amore, o forse semplicemente ancora non le è capitato di trovare quella perso-na speciale in grado di farglielo provare. Figuriamoci poi se può credere in quel tipo di amore romantico “creato” dalla mitologia hollywoodiana. Ma Charlyne è pronta alla sfida e così si avventura in un’esperienza a metà tra fiction e documentario, in cui il regista Nick Jasenovec viene interpretato da Jake Kohnson così da poter essere co-protagonista della vicenda narrata. Charlyne viaggia in lungo e in largo per chiedere a diverse persone, anche opposte dal punto di vista ideologico-professionale, cosa sia l’amore e perché crederci: da un Elvis di Las Vegas che ci parlerà del matrimonio a medici che raccontano cosa ci succede fisicamente quando ci innamoriamo.
Charlyne però sembra non avere risposte che la soddisfino fino al giorno in cui, ad una festa a casa di amici a L.A. incontra Michael Cera. Paper Heart è un film dolce e divertente, che si sorregge sull’incredibile simpatia della sua protagonista Charlyne Yi (che non ci stupiamo appartenere alla crew di Jude Apatow - nel film infatti la scopriamo amica di Seth Rogen,co-protagonista di Funny People, e Demetri Martin, protagonista di Motel Woodstock). Bellissime le scene realizzate animate con la carta, che approfondiscono narrativamente parti di racconto degli intervistati. Una delle pellicole romantiche più originali che ho visto in quest’ultimo periodo. www.paperheart-movie.com
Di Rachel Ward. Guardando questo film un po’ mi è tornato in men-te un cartone animato di quando ero piccola: Georgie, ma non sto a dirvi altro altrimenti poi vi svelo tutto, capirete. La storia: lo scrittore Ned Kendall torna a casa per assistere il padre con cui però non è mai andato d’accordo. La residenza di famiglia si trova in un posto isolato dal mondo e man mano che ci si avvicina con la sua ultima fiamma (una bionda mozzafiato che si dimostra più astuta e sensi-bile di quanto ci si possa aspettare all’inizio) incomincia a ricordare alcuni momenti della sua infanzia e del suo rapporto morboso con la sorella Kate. Tutto questo scavare nel passato farà riemergere delle scomode verità familiari e una storia che non ha mai dimenticato. Beautiful Kate è una pellicola intima e coinvolgente, ma allo stesso
tempo inquietante e drammatica. Un’altra produzione australiana azzeccata, che gode di una sceneggiatura asciutta, ma ben sviluppata, che vi porterà tormenti interiori per il senso di mistero sui fatti narrati fino allo svelamento finale e per l’accurata costruzione dei personag-gi. Un film sul “non detto”, una pellicola sui rimpianti e rimorsi che non ci riescono ad abbandonare, ma anche su una redenzione che si è cercata disperatamente e su una assoluzione dovuta e mai interpretata dal giusto punto di vista. www.beautifulkatemovie.com
Beautiful Kate
Fish Tank
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Dvd
Una giornata modernaCi sono libri che per una serie di coinciden-ze, vuoi che sia il titolo, Una giornata mo-derna, o che siano gli autori, Mario Lupano e Alessandra Vaccari, o vuoi che sia un po' anche il parlare di un'epoca, l'Italia fascista dal 1922 al 1943, sotto una luce diversa dal solito, quella di moda e stili, che attraggono molta attenzione sin da prima della pubbli-cazione, creando un turbinio di recensioni e discussioni. Il volume, edito sia in Italiano sia in Inglese, è frutto di un'attenta ricerca iconografica, per la gran parte inedita, par-
tita da oltre 15.000 immagini per arrivare a 1.500 raccolte da archivi, cataloghi e riviste dell'epoca tra cui alcune come Almanac-co della Donna Italiana, Cordelia, Snob e Vita Femminile. In effetti, il titolo sarebbe stato perfetto anche per dar vita ad uno di quei blog di ricerca che tanto amiamo, confezionato con cura maniacale, dove ci si perderebbe ore e giorni per trovare chicche e materiali preziosi. Forse è proprio questo che darebbe un tocco in più alla pubblica-zione; chissà che Lupano e Vaccari decidano
un giorno di farci vedere le immagini non pubblicate e chissà quant'altro.www.damianieditore.com
Titolo: Una giornata modernaAutore: Mario Lupano e AlessandraVaccari Casa editrice: Damiani Anno: 2010Dimensioni: 23 x 29,5 cmPrezzo: 45 €
140 PIG MAGAZINE
Libri Di Marco Velardi
Titolo: Taciturn HeartAutore: Marcelo GomesCasa editrice: HasslaAnno: 2010Dimensioni: 16,5 x 23 cmPrezzo: 22 $
Taciturn HeartMarcelo Gomes non ne mette nemmeno una a fuoco, ma forse è proprio questo che piace tanto del suo lavoro, l’atmosfera, i colori soffusi e le sbavature di colore che ci fanno sognare, lasciando spazio ai nostri sensi e alla nostra fantasia. Taciturn Heart è il suo secondo libretto monografico pubblicato dalla giovane casa editri-ce americana Hassla Books. Dividendo il suo tempo tra New York e São Paulo si possono notare le influenze delle due diverse realtà sul suo lavoro, dagli scatti che esaltano la semplicità e i lenti ritmi della natura, agli immaginari sensuali, con corpi nudi, alla Mark Bor-thwick, con cui ha anche collaborato, in seguito alla sua esperienza presso Index magazine sotto la direzione di Peter Halley. Marcelo cattura l’essenza dei suoi soggetti, esaltandone le forme. www.hasslabooks.com
Tokyo Edit #1Se siete viaggiatori avventurosi, prima o poi un giro a Tokyo dovreste farlo, perdervi tra l'intreccio di viette secondarie, le galle-rie senza nome, i concept store dove non si capisce se vendano vestiti o gli stessi commessi, i baretti loschi con lo chef che vi servirà piatti a caso. Tutto questo in una città che pullula di personaggi interessanti, d'importazione o nativi non importa, Tokyo vi darà l'opportunità di interfacciarvi con una scena creativa brillante. Tokyo Edit #1
pubblicato da Rocket Gallery, realtà locale tra le più attive nell'ultimo decennio, capita-nata da CAP, art director per eccellenza tra i più famosi nel Sol Levante, ci porta in que-sto viaggio direttamente dal nostro salotto, con un volume, per fortuna scritto anche in Inglese, che presenta e cataloga la scena di Tokyo con brevi interviste e profili della crè-me de la crème Giapponese. Come il titolo fa intuire, un volume solo non basta, per questo non aspettatevi di scoprire tutto da
un libro, perché a Tokyo ci dovreste andare lo stesso, anche se ora sapete già chi conta.www.rocket-jp.com
Titolo: Tokyo Edit Autore: AAVVCasa editrice: Rocket CompanyAnno: 2009Dimensioni: 16 x 23 cmPrezzo: 17 €
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Come sei arrivata a studiare i cetacei?A 14 anni, durante una traversata a vela ab-biamo incrociato la rotta con la mia prima balenottera. L’animale era enorme, più lungo della nostra barca, bellissimo luminoso sotto l’acqua. E’ venuta nella nostra direzione si è immersa, è passata sotto la nostra chiglia e ha continuato per la sua strada. Era questo che volevo: cercare i “mostri marini”.
Che emozioni si provano?Vedere le balene ti cambia, lo leggi negli occhi delle persone che hai accanto e ne incontrano una per la prima volta. C’è chi piange, chi strilla di gioia come un bambino e cerca di farsi vedere dagli animali attirando la loro attenzione. Magari loro si girano di lato per guardarti meglio e capita di incrociare lo sguardo. Quando succede il cuore ti si
ferma... Come stanno nel Mar Mediterraneo? Il Mediterraneo è un mare semi chiuso, inqui-nato e fragile. I delfini presentano sostanze tossiche nel loro corpo 10 volte di più che nell’Atlantico, risultando quindi più vulne-rabili. E’ inoltre un mare trafficatissimo, con 220.000 navi sopra le 10 tonnelate che lo solcano ogni anno, e causano numerose col-lisioni soprattutto con le enormi balenottere comuni. E’ il secondo mare più rumoroso del pianeta a causa del traffico navale. Il rumore confonde gli animali, ne impedisce la comu-nicazione, li “acceca” per la navigazione e la caccia. L’Unione Europea ha dichiarato illegali dal 2002 le reti da pesca derivanti eppure da noi infestano ancora i mari. Lunghe 20 Km, uccidono intrappolati...3800 cetacei l’anno nel Mediterraneo.Noi esseri di città che possiamo fare per aiutarle?Inquinare meno, consumare in modo respon-sabile, scegliere come consumatori pesce che non è stato pescato con le reti derivanti. Non comprare beni che hanno fatto il giro del mondo. Scegliamo traghetti meno veloci e non assassini. Rifiutiamo i sacchetti di plastica che sono mangiati da molti organismi marini e li ucci-dono. Scegliamo prodotti che hanno immesso meno inquinanti e CO2 nell’atmosfera. Non incrementiamo il trasporto di petrolio via mare. Prendere i mezzi pubblici salva anche le balene (ed è più etico in generale) e con loro tutti gli organismi marini che godono di mino-re appeal sul pubblico.In che essere marino vorresti rinascere? Perché?Un capodoglio! Femmina però, per vivere in gruppo con le mie sorelle, zie, nonne e figlie per tutta la vita. I gruppi familiari mostrano una coesione e un affetto toccante.Trovo elettrizzante l’idea di saper nuotare nel buio, vedendo il mondo come una vibrante mappa di suoni che risponde alla mia voce. Sentire il mio corpo fasciato dalla pressione del mare in profondità, con i polmoni collas-sati, e scendere, scendere in cerca di veloci prede, la caccia nell’oscurità...i flash di luce dei calamari. Non mi dispiacerebbe essere il più grande predatore del mondo, eppure aggraziata e flessibile con la mia bella coda lucida. E i calamari sono deliziosi!
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Un mondo senza balene.
Whaleless A Cura di Giovanni Cervi. Contatti e info: [email protected]
Il 14 aprile ci sarà all’Acquario Civico di Milano la più grande mostra Whaleless mai fatta fino ad ora. Sarà sotto
il nome di Ketos 2.1 a ci saranno più di 50 artisti, musica, design e conferenze. Per questo mese abbiamo
deciso di dare voce non a un’artista ma a una cetologa dell’Istituto di Ricerca Tethys, Francesca Zardin.
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Pig Waves è un flusso di immagini e parole che segue una parola chiave: Underwater.Mondi blu e misteri abissali. Inconscio uterino.
PIG Waves A Cura di Giovanni Cervi. Contatti e info: [email protected]
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it.wikipedia.org/wiki/Capitano_Nemo - “Il lato oscuro dell’acqua”.
jlambusphoto.com - “Angeli degli abissi o fantasmi? Cosa c’è laggiù?”
it.wikipedia.org/wiki/Le_Grand_Bleu - “Il mare ha un segreto”.
www.coreyfishes.com - “Il sashimi non sarà più lo stesso”.
www.underwatersculpture.com - “Il mio sogno divenuto realtà”.
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PIG’s Most Played.War never looked so good!
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Battlefield Bad Company 2_Xbox 360Secondo gustoso capitolo per la variante ironica di Battlefield. Se cercate l’esperienza di guerra online qui ci avviciniamo alla perfe-zione. Alcuni dettagli restano da bilanciare: dopo 30 proiettili alcuni avversari sono ancora in piedi e non sempre i missili funzionano come dovrebbero, ma ci siamo. Vero godimento è poter distruggere interi edifici a colpi di cannone o granate. Palazzi o centrali nucleari, non ce n’è per nessuno. Se pensate che qualcosa possa darvi riparo vi sbagliate di grosso, in Bad Company ogni cosa dello scenario può essere demolita. Aspettiamo i bilanciamenti e la possibilità di creare compagnie da 6 anziché solo da 4 –troppo poco-!Heavy Rain_PS3Titolo super pubblicizzato. Spot, radio, giornali. Tutti ne parlano ma pochi forse sanno di cosa stanno parlando. Tre giorni di fatica per finirlo decentemente. Mezzo Seven e Mezzo L’Enigmista. Vuol’essere un film ma è solo un gioco e si trascina alcuni problemi dell’uno e dell’altro. Bel tentativo ma senza l’adrenalina di un Mass Effect 2. Poi alla fine scopri che sei stato fregato dal regista (del gioco) e allora ti incazzi. Si perché se capita con un bel film uno anche porta pazienza, ma se ci stai giocando e i personaggi li muovi tu, le cose cambiano.
Red Steel 2_Nintendo WiiGrafica fenomenale e ambientazione futur-western-hitech. Ninja e cowboy meccanici si massacrano a colpi di pistole laser e katana. Con il nuovo Wii Motion Plus il controllo della spada raggiunge la perfezione e i ragazzi di Ubisoft hanno fatto davvero un miracolo. Se il capitolo precedente vi aveva deluso, questa volta potete sbavare.Street Fighter IV – iPhoneTutti i personaggi, le location e le mosse del quarto capitolo, chiu-si in un iPhone. Certo, avere la pulsantiera in sovraimpressione sullo schermino del telefono non è comodissimo, spesso i coman-di si incasinano e le dita non vanno veloci come vogliamo, ma è un must-have. Perfetto per distruggere il touch screen dopo una combo di Ryu da 9 tasti!Street Fighter II – keychainDa mettere in tasca anche questo inutile portachiavi Bandai-Capcom che riproduce tutti i suoni e le frasi dei nostri personaggi preferiti. Da Chun-Li a Guile. A forma di pad è disponibile in mille colori, costruito apposta per disturbare la quiete pubblica. Com-prarlo non è peccato. Amen.
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big view. big fun!
Novità
PS3 ci porta a spasso nella metropoli della pioggia sporca. Come veri Yakuza.
Just hope they got a Nip in this building who speaks f*** English.Se non avete mai visto un film di Kitano o una pellicola di Takashi Miike questa è un’ottima occasione per prendere contatto con la peggio sub cultura nippo-samurai che il ventesimo secolo abbia mai generato. Onore, rispetto, violenza e obbedienza.
Mafiosi con un codice etico che si ispira –così dicono loro- agli antichi samurai. Sono tarchiati, indossano orribili occhiali neri e usano un chilo di gel su ciuffi alla Little Tony. Tatuati dalla testa ai piedi parlano sporco e picchiano donne e bambini. Sono
gli Yakuza, onorevoli membri della mafia giapponese. Dai creatori di Shemune il ter-zo capitolo della saga si annuncia come un grande evento. La storia riprende dal secon-do episodio della serie dove il nostro eroe Kazuma, come un uomo tigre moderno, si
Tra gli Yakuza vige la regola del tatuag-gio. Il significato è quello dell’accetta-zione del dolore ma si trasforma subito in emarginazione e paura. Ancora oggi, avere un braccio completamente tatuato –per un giapponese- vuol dire appar-tenere ad un clan. In molte occasioni sociali, come ad esempio le terme o i bagni pubblici, cartelli vietano espressa-mente l’ingresso alle persone tatuate.
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Videogames Di Janusz Daga ([email protected])
rifugia sull’isola di Okinawa per gestire il suo orfanatrofio privato. Richiamato dal sangue della “famiglia” e da un orribile ricatto, Kazuma torna a Tokyo per sistemare alcuni affari rimasti in sospeso ed è proprio qui che inizia la vita da gangster. Trama a parte, parliamo di cosa noi occidentali ci perde-remo. Si, perché SEGA ha deciso che parte del gioco non sarebbe stata idonea per il mercato d’oltreoceano e ha tagliato di brut-to trama e opportunità. Visto che la mafia giapponese campa su droga, armi e donne, cosa deve fare per prima cosa uno Yakuza che si rispetti? Trovare le donne! Abbordare giovani avvenenti ragazze fuori dalle stazioni della metropolitana e avviarle la lavoro più antico del mondo è pratica comune e diffu-sa. Naturalmente con una visione tutta giap-ponese, che non vuol dire sesso, ma con-versazione! Spedire le ragazze negli Hostess Club gestiti dalla famiglia, insegnare loro come spillare quattrini a vecchi signori, dare le dritte per ottenere mance più alte e fide-lizzare i clienti instaurando improbabili storie
d’amore. Questo per un giocatore europeo potrebbe sembrare noioso, lunghe prove di conversazione, dialoghi monotoni e lunghe sessioni di karaoke. Peccato che proprio in questi piccoli dettagli si celi il vero spirito del gioco. E’ più che altro un simulatore di vita Yakuza. Nel bene e nel male. C’è la parte dove si picchia, la parte dove si ricatta e quella dove si ruba, ma c’è anche la parte delle cerimonie. I lunghi dialoghi monotoni, gli inchini e la gestione del business. In un epoca che sempre più ghettizza questa sub-cultura, questo gioco potrebbe essere forse l’ultima finestra su un mondo che sta via via scomparendo. Niente più onore, niente più tatuaggi, niente più conversazioni. Per mettere il dito nella piaga vogliamo anche sottolineare che per i ruoli delle ragazze SEGA abbia addirittura ingaggiato famose pop-porno-star reali poi digitalizzate: volti e corpi prestati alla curiosità dei giocatori ma-schi. A loro il merito di tanto rumore intorno all’uscita del gioco. Tagliate anche molte sessioni di Pachinko e Shogi–tipici giochi
giapponesi- e i quiz sulla storia nipponica –tanto meglio-. Insomma, dal gioco sono state epurate numerose possibilità lascian-doci con un GTA ambientato in Giappone. Nonostante tutto, questo titolo mantiene il suo fascino. La città è totalmente esplora-bile e così le varie location limitrofe. Locali, golf club, karaoke, lap dance e sale giochi sono curate nei minimi particolari e per gli amanti del genere saranno un vero paradi-so. I filmati che tengono insieme la storia sono curati e la trama è complessa e avvin-cente. Anche se non all’altezza dei giochi di ultima generazione questo titolo entrerà certamente nell’olimpo dei capolavori su Playstation. Non a caso, mentre scriviamo, i gipponesi si potranno godere già il quarto capitolo tanto è stato il successo della serie. Se quella che cercate è una full immersion nella Tokyo urbana, tra prostitute, boss e bande ecco il gioco che fa per voi. E ora, scusate ma vado a procurarmi una copia del gioco in giapponese!
Prima di giocare vi consigliamo al-cuni movie sul genere. Giusto per non farci mancare nulla: Brutal Ta-les of Chivalry (Showa Zankyoden, 1965) - Street Mobster (Gendai Yakuza - Hito-kiri Yota, 1972) - The Tattooed Hit Man (Yamaguchi-gumi gaiden: Kyushu shinko-sakusen, 1976) – Brother (Takeshi Kitano, 2000) – Kikoku - Yakuza Demon (Takashi Miike, 2003).
Per il lancio del gioco Sony ha deciso di fare le cose in grande. Ryu ga Gotoku 3 (Yakuza 3) è già pronta una speciale ver-sione della console “Whi-te dragon Ryu ga Gotoku 3 bundle”. 10 mila candidi pezzi con super serigrafie. Prezzo? circa 400 euro, ma ne vale la pena!
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BARIRaphaelVia Principe Amedeo, 41Tel. +39.080.5210631
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MILANO • Libreria HoepliVia Hoepli, 5Tel. +39.02.86487208• Mode InformationVia G.G.Mora, 12Tel. +39.02.89423988• Frip StoreC.so di Porta Ticinese, 16Tel. +39.02.8321360• Purple ShopC.so di Porta Ticinese, 22Tel. +39.02.89424476• CarharttC.so di Porta Ticinese, 103Tel. +39.02.89421932• Les Chaussures Mon AmourVia Cherubini, 3 Tel. +39.02.48000535
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