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CORRIERE DELLA SERA Sabato 29 giugno 1957 PIETRO E PAOLO Ho ritrovato alcuni fogli di appunti presi nel mio viaggio in Palestina, lontano nel tem po. Con mio compiacimento non hanno alcun segno che ri- veli intenzioni letterarie: non descrizioni di paese, non palme non colori e vele del lago di Tiberiade, o sentimentalità poe- tiche. Solo molte citazioni e poche parole di commento: nu- do, arido... Non era, il mio, il viaggio di un intellettuale o di un esteta, nè di un dotto o di un teologo docente: ero sempli- cemente un pellegrino su le grandi vie della storia, che pur doveva risolvere qualcosa di se- greto in sè e porsi un aut-aut. Cafarnao. Per la prima volta, in quelle notti afose di giugno, rileggendo i Vangeli e ponen- domi di fronte alla figura del Cristo risuscitato, ritrovavo luci ombre, che in letture più di- stratte non avevo scoperto. Ve- nivo dall'Egitto con la soffo- cante impressione di grandezza delle piramidi e della Sfinge. Andavo verso la Grecia col suo Olimpo, i suoi dei e le sue dee splendenti di giovinezza nel so- le. E sul cammino mi trovavo sorpreso da una rivelazione che non ha precedenti: uno scanda- lo della ragionante saggezza — un capovolgimento del senso co- mune — l'antitesi radicale del mondo antico. Perchè nessuno dei grandi pensatori del passa- to sarebbe mai giunto a con- cepire un vero Dio che muore e che risorgendo non si ma- nifesti in una abbagliante luce di gloria dominatrice, mentre il Cristo rimane per quaranta giorni velato e confuso con gli uomini comuni (il viandante di Emmaus) perchè lo si ricerchi lo si ritrovi. Anzi egli sopporta il dubbio da parte di quelli che più lo a- vevano seguito e amato e nul- la fa per imporre ad essi le pro- ve del suo ritorno corporeo. Egli si manifesta a Maria Maddale- na ed essa corre ad annunziare la risurrezione ai discepoli « af- flitti e piangenti »; ma il Van- gelo di Marco non ci nasconde che « non le credettero ». E anche quando si svela e a due di loro che erano in cam- mino per andare ai campi», essi si affrettano, turbati e commossi, ad annunciano agli altri e i qua- li non credettero neppure loro». Più tardi appare agli Undici men- tre erano a tavola e li rimprovera « per la loro incredulità e du- rezza di cuore perchè non ave- vano creduto ». E la sera in cui appare in mezzo ad essi, nella camera chiusa, e li saluta (« la pace sia con voi »), dice Gio- vanni che « essi gioirono », ma Tommaso, che non era presen- te, continuò a dubitare finché per credere non mise il suo di- to e nel posto dei chiodi ». E' il dubbio, è l'incredulità che ac- compagneranno il Cristo attra- verso i millenni. Eppure per far- si riconoscere gli basterà il ge- sto dello spezzare il pane, o il richiamo, per gli incerti, ai se- gni della sua vera, alle ferite rimaste nel suo corpo glo- rioso, come la cosa più sua nella partecipazione ininterrotta al do- lore degli uomini. Solo Pietro si distacca su quel- lo sfondo di esitazioni, di incer- tezze, di dubbi, su cui la Pente- coste farà luce piena. Pietro cre- de, semplicemente, fortemente, senza complicazioni di intellet- to, con umiltà di cuore, con lim- pidità di spirito. Quando gli di- cono: « Cristo è risorto ›, cor- re al sepolcro e se anche lo trova vuoto e non vede che i li- ni sparsi, serba intatta la speran- za di ritrovare il suo Signore in Galilea. E però è uomo ancor rustico, dalle mani callose — un pescatore autentico — con le sue paure e le fragilità della carne che trema di sgomento. Nell'am- biente dei discepoli tutti ricorda- no la scena pietosa della notte di passione. Nel cortile, accanto al fuoco, intorno a cui soldati curiosi si son fatti appresso per riscaldarsi, mentre Gesù è di fronte al giudizio del Sommo Sacerdote, Pietro si è confuso, quasi nascondendosi, tra gli al- tri. Quando gli si avvicina una servetta — la portinaia — e «lo squadra ben bene » e dice: «An- che quest'uomo era con lui a, al- lora egli nega: «Donna, io non lo conosco ». Ed ecco passa Ge- sù: e e si volge a guardar Pie- tro ». Lo scrúta, in silenzio, in profondità. Pietro comprende e « uscito fuori.., piange amara- mente ». Nient'altro dice il Van- gelo. Ma l'episodio dell'umiliazione si ricollega all'ultimo, dell'esal- tazione di Pietro, in cui i rap- porti tra il discepolo che lo ha rinnegato e Gesù assurgono a una grandiosità patetica. Però la consacrazione del pescatore, uo- mo di carne e d'ossa con tutte le sue debolezze, a erede del sa- cerdozio eterno di Cristo, si svol- ge in un quadro di impressio- nante semplicità, di realismo an- zi, in cui a dispetto della cri- tica, noi sentiamo l'eco di cosa vissuta. Sulle rive del lago di Tibe- riade Cristo si manifesta « in questo modo ». Pietro, la sera innanzi aveva detto ai suoi com- pagni e Vado a pescare ». Gli altri avevano soggiunto e Venia- mo anche noi ». Saliti su la bar- ca avevano pescato l'intera not- te, inutilmente. Sul far del gior- no, sbarcati a terra, Gesù stava su la riva, ma essi non l'aveva- no riconosciuto. Dice loro Gesù: e Figlioli non avete qualcosa da mangiare? » ed essi: « No a. E- gli allora soggiunge: e Gettate le reti a destra della barca e ne troverete». Essi le gettarono e non potevano più tirarle su per la gran quantità di pesce. Allo- ra il discepolo prediletto — Gio- vanni — dice a Pietro: « E' il Signore ». Simon Pietro « aven- do sentito che era il Signore si cinse la tunica perchè era nu- do e si gettò in mare». E gli altri discepoli vennero con la barca e trascinarono la rete con i pesci... e Poi scesi a terra, tro- varono un fuoco acceso, con del pesce preparato sopra e del pa- ne ». Gesù dice loro: « Portate qui dei pesci presi or ora a. Ciò è fatto. E Gesù dice: « Venite mangiate a. Ma ancora tra es- si vi è dell'incertezza. Sapeva- no che era il Signore, « però nes- suno tra quelli che erano assisi osava domandare: 'Tu chi sei?'. Allora Gesù si avvicinò, prese fece col pesce». E il rustico convivio assume subito una so- lennità mistica di rito. Dopo che ebbero mangiato, chiede Gesù a Simon Pietro: « Simone di Giovanni, mi ami tu più di questi? ». Risponde Pietro: « Signore sì, lo sai che ti amo a. Gli dice Gesù: « Pasci i miei agnelli a. Chiede Gesù a lui di nuovo, per la seconda vol- ta: « Simone di Giovanni mi a- mi tu? a. E Pietro a lui: « Sì, Signore, tu lo sai che ti amo a. Gli dice Gesù: « Pasci le mie pecore ›. Per la terza volta gli chiede: « Simone di Giovanni, mi ami tu? a. A quella terza doman- da « si rattristò Pietro » (perchè nella triplice interrogazione, e accorata, del Signore risentì l'e- co del canto del gallo e delle tre abiure nell'ora delle tene- bre). « Signore tu conosci ogni cosa, tu sai che ti amo ». Dice Gesù: « Pasci le mie pecore a. Così su quella spiaggia, tra barche e reti, accanto a un fo- cherello sulle cui bragie arro- stivano i pesci, tra testimoni as- sonnati in un dialogo di cui Pietro comprenderà solo più tar- di il significato, s'apre la storia e il destino immenso della Chie- sa di Cristo. ffP Sulla via di Damasco. Sono in cammino anch'io. Il giorno in cui Saulo di Tarso (Paolo) per la stessa strada, sul mezzo- dì, si avvicinava alla città, si te- neva ben strette al petto le let- tere del Sommo Sacerdote di Ge- rusalemme per le Sinagoghe di Damasco, raccomandando che se egli trovasse in quelle uomi- ni o donne che volgessero verso la nuova dottrina, gli fossero consegnati onde li potesse ri- condurre «incatenati ». Saulo e- ra un fariseo fanatico. In quei giorni il suo spirito era in una furia di minaccia e di strage. « Perseguitavo accanitamente la Chiesa di Dio e la devastavo — scrive nelle Epistole che sono la sua confessione. — Ero un bestemmiatore, un persecutore violento a. Quando « avvicinandosi a Da- masco, di subito una luce del cielo lo avvolse folgorandolo e gittandolo a terra udì una voce che gli diceva: 'Saulo, Saulo, perche mi perseguiti?' Ed egli disse: 'Chi sei tu, Signore?' E la voce: 'Io sono Gesù che tu per- seguiti, ma è duro per te recai- citrare al pungolo'. E treman- te e stupito domandò: 'Signore, che cosa vuoi che io faccia?'». Non era che il prologo di un appassionato dialogo, che si sa- rebbe svolto per tutta la vita del grande Apostolo, tra perse- cutore e perseguitato. Ma alzan- dosi da terra, aperti gli occhi, Paolo si accorse che non vede- va più nulla. La luce della Re- surrezione lo aveva accecato. E per tre giorni, accolto nella ca- sa di Anania, non vide, non mangiò e non bevve. In quella oscurità profonda, in quella not- te di Dio, in quel silenzio di Dio, egli fu dominato da quella voce sola, che gli aveva troncato la via verso l'odio e dato in un attimo — non misurabile nel tempo — la coscienza di una realtà diversa, di uno stato di- verso da quello della vita mor- tale. In quel lampo aveva pe- netrato il mistero del vivente Gesù, che aveva parlato a Pie- tro lungo il lago di Tiberiade, ma in un modo più velato e vi- cino alla nostra fragilità e alle nostre esitazioni. Ora, da Paolo, la Voce pre- tendeva altra cosa: una fede ca- pace di conquistare il mondo, di spezzare il cerchio chiuso delle avite tradizioni giudaiche, che gli erano state gelosamente ca- re; di essere l'Apostolo delle d genti, che avrebbe asceso l'A- n cropoli per predicare ai sofisti i misteri del Dio Ignoto e mes- so le sue tende nel centro stes- so dell'Impero di Roma. Ed q è per prepararsi interiormen- te a questa straordinaria mis- sione, che, subito dopo il bat- tesimo, Paolo si allontana, si perde nelle solitudini, nei de- serti di Arabia « senza consul- tare nè carne nè sangue », nè quelli che prima di lui erano Apostoli. E' il periodo più mi- sterioso della sua vita. Quando ne esce, forse dopo tre anni, e- gli ha la certezza di avere un 8 messaggio per cui era stato « messo da parte fin dal seno della madre » e di portare nel mondo, in nome di Cristo, il più grande rivolgimento spiri- tuale che la storia ricordi: una rivoluzione dei valori, del giudi- zio, della moralità e del pen- siero, a cui nessuno si sottrae, anche gli oppositori più fieri, perchè è affermazione che im- pegna l'umanità intera e ogni singola coscienza. Ma nemmeno i suoi più pros- t simi — i fratelli — riuscivano a comprendere sempre il linguag- gio potente e originale fino al paradosso, di questo Testimonio, che tutto afferma doversi rin- novare nella luce della Rivela- zione (« ecco che tutte le cose son fatte nuove a) e che nello scrivere par non curarsi dei de- voti un po' chiusi, che a certe ventate di alta cima non sono assuefatti. Nè so se tra i Corinti, cui era rivolta la prima Episto- la, non ve ne siano stati dei per- plessi leggendo l'esaltazione del- la Canta, che passa come un soffio rinnovatore sull'aridità del mondo: « S'io anche parlas- si tutte le lingue degli uomini e degli Angeli ma non avessi la carità, non sarei che un (vuoto) bronzo sonante o un cimbalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e penetrassi tutti i misteri e ogni scienza e avessi tal fede da trasportare le mon- tagne — ma la carità non aves- si — nulla sarei. E se distri- buissi l'intera mia ricchezza per darla in cibo ai poveri, e do- nassi lo stesso mio corpo per arderlo, ma non avessi l'amore, a me non gioverebbe. La canta è paziente, benigna, non ha in- vidia, non si gonfia, non ha am- bizioni, non desidera il bene de- gli altri, non si irrita, non pensa il male, non gode dell'iniquità, gode in communione nella veri- tà, soffre ogni cosa, tutto cre- de, tutto spera, tutto sopporta. E la carità non verrà mai meno, sia che non abbian più ragion di essere le profezie, sia che ces- sino le lingue, sia che la scienza sia distrutta a. E senza di essa, per un cri- stiano, come lo intendeva San Paolo, tutto è nulla. dei pane e lo distribuì, e così T. Gallarati Scotti det col ed sor len che vo clan mo stai to. dal nor che a ff e spo sim abt tan sco con del los an la le no at: un su ce l'u sti da in do m

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  • CORRIERE DELLA SERA

    Sabato 29 giugno 1957

    PIETRO E PAOLO Ho ritrovato alcuni fogli di

    appunti presi nel mio viaggio in Palestina, lontano nel tem po. Con mio compiacimento non hanno alcun segno che ri-veli intenzioni letterarie: non descrizioni di paese, non palme non colori e vele del lago di Tiberiade, o sentimentalità poe-tiche. Solo molte citazioni e poche parole di commento: nu-do, arido... Non era, il mio, il viaggio di un intellettuale o di un esteta, nè di un dotto o di un teologo docente: ero sempli-cemente un pellegrino su le grandi vie della storia, che pur doveva risolvere qualcosa di se-greto in sè e porsi un aut-aut.

    Cafarnao. Per la prima volta, in quelle notti afose di giugno, rileggendo i Vangeli e ponen-domi di fronte alla figura del Cristo risuscitato, ritrovavo luci

    ombre, che in letture più di-stratte non avevo scoperto. Ve-nivo dall'Egitto con la soffo-cante impressione di grandezza delle piramidi e della Sfinge. Andavo verso la Grecia col suo Olimpo, i suoi dei e le sue dee splendenti di giovinezza nel so-le. E sul cammino mi trovavo sorpreso da una rivelazione che non ha precedenti: uno scanda-lo della ragionante saggezza — un capovolgimento del senso co-mune — l'antitesi radicale del mondo antico. Perchè nessuno dei grandi pensatori del passa-to sarebbe mai giunto a con-cepire un vero Dio che muore e che risorgendo non si ma-nifesti in una abbagliante luce di gloria dominatrice, mentre il Cristo rimane per quaranta giorni velato e confuso con gli uomini comuni (il viandante di Emmaus) perchè lo si ricerchi

    lo si ritrovi. Anzi egli sopporta il dubbio

    da parte di quelli che più lo a-vevano seguito e amato e nul-la fa per imporre ad essi le pro-ve del suo ritorno corporeo. Egli si manifesta a Maria Maddale-na ed essa corre ad annunziare la risurrezione ai discepoli « af-flitti e piangenti »; ma il Van-gelo di Marco non ci nasconde che « non le credettero ».

    E anche quando si svela e a due di loro che erano in cam-mino per andare ai campi», essi si affrettano, turbati e commossi, ad annunciano agli altri e i qua-li non credettero neppure loro». Più tardi appare agli Undici men-tre erano a tavola e li rimprovera « per la loro incredulità e du-rezza di cuore perchè non ave-vano creduto ». E la sera in cui appare in mezzo ad essi, nella camera chiusa, e li saluta (« la pace sia con voi »), dice Gio- vanni che « essi gioirono », ma Tommaso, che non era presen-te, continuò a dubitare finché per credere non mise il suo di- to e nel posto dei chiodi ». E' il dubbio, è l'incredulità che ac- compagneranno il Cristo attra- verso i millenni. Eppure per far-si riconoscere gli basterà il ge- sto dello spezzare il pane, o il richiamo, per gli incerti, ai se- gni della sua vera, alle ferite rimaste nel suo corpo glo-rioso, come la cosa più sua nella partecipazione ininterrotta al do-lore degli uomini.

    Solo Pietro si distacca su quel-lo sfondo di esitazioni, di incer-tezze, di dubbi, su cui la Pente-coste farà luce piena. Pietro cre-de, semplicemente, fortemente, senza complicazioni di intellet-to, con umiltà di cuore, con lim-pidità di spirito. Quando gli di-cono: « Cristo è risorto ›, cor-re al sepolcro e se anche lo trova vuoto e non vede che i li-ni sparsi, serba intatta la speran-za di ritrovare il suo Signore in Galilea. E però è uomo ancor rustico, dalle mani callose — un pescatore autentico — con le sue paure e le fragilità della carne che trema di sgomento. Nell'am-biente dei discepoli tutti ricorda-no la scena pietosa della notte di passione. Nel cortile, accanto al fuoco, intorno a cui soldati

    curiosi si son fatti appresso per riscaldarsi, mentre Gesù è di fronte al giudizio del Sommo Sacerdote, Pietro si è confuso, quasi nascondendosi, tra gli al-tri. Quando gli si avvicina una servetta — la portinaia — e «lo squadra ben bene » e dice: «An-che quest'uomo era con lui a, al-lora egli nega: «Donna, io non lo conosco ». Ed ecco passa Ge-sù: e e si volge a guardar Pie-tro ». Lo scrúta, in silenzio, in profondità. Pietro comprende e « uscito fuori.., piange amara-mente ». Nient'altro dice il Van-gelo.

    Ma l'episodio dell'umiliazione si ricollega all'ultimo, dell'esal-tazione di Pietro, in cui i rap-porti tra il discepolo che lo ha rinnegato e Gesù assurgono a una grandiosità patetica. Però la consacrazione del pescatore, uo-mo di carne e d'ossa con tutte le sue debolezze, a erede del sa-cerdozio eterno di Cristo, si svol-ge in un quadro di impressio-nante semplicità, di realismo an-zi, in cui a dispetto della cri-tica, noi sentiamo l'eco di cosa vissuta.

    Sulle rive del lago di Tibe-riade Cristo si manifesta « in questo modo ». Pietro, la sera innanzi aveva detto ai suoi com-pagni e Vado a pescare ». Gli altri avevano soggiunto e Venia-mo anche noi ». Saliti su la bar-ca avevano pescato l'intera not-te, inutilmente. Sul far del gior-no, sbarcati a terra, Gesù stava su la riva, ma essi non l'aveva-no riconosciuto. Dice loro Gesù: e Figlioli non avete qualcosa da mangiare? » ed essi: « No a. E-gli allora soggiunge: e Gettate le reti a destra della barca e ne troverete». Essi le gettarono e non potevano più tirarle su per la gran quantità di pesce. Allo-ra il discepolo prediletto — Gio-vanni — dice a Pietro: « E' il Signore ». Simon Pietro « aven-do sentito che era il Signore si cinse la tunica perchè era nu-do e si gettò in mare». E gli altri discepoli vennero con la barca e trascinarono la rete con i pesci... e Poi scesi a terra, tro-varono un fuoco acceso, con del pesce preparato sopra e del pa-ne ». Gesù dice loro: « Portate qui dei pesci presi or ora a. Ciò è fatto. E Gesù dice: « Venite

    mangiate a. Ma ancora tra es-si vi è dell'incertezza. Sapeva-no che era il Signore, « però nes-suno tra quelli che erano assisi osava domandare: 'Tu chi sei?'. Allora Gesù si avvicinò, prese

    fece col pesce». E il rustico convivio assume subito una so-lennità mistica di rito.

    Dopo che ebbero mangiato, chiede Gesù a Simon Pietro: « Simone di Giovanni, mi ami tu più di questi? ». Risponde Pietro: « Signore sì, lo sai che ti amo a. Gli dice Gesù: « Pasci i miei agnelli a. Chiede Gesù a lui di nuovo, per la seconda vol-ta: « Simone di Giovanni mi a-mi tu? a. E Pietro a lui: « Sì, Signore, tu lo sai che ti amo a. Gli dice Gesù: « Pasci le mie pecore ›. Per la terza volta gli chiede: « Simone di Giovanni, mi ami tu? a. A quella terza doman-da « si rattristò Pietro » (perchè nella triplice interrogazione, e accorata, del Signore risentì l'e-co del canto del gallo e delle tre abiure nell'ora delle tene-bre). « Signore tu conosci ogni cosa, tu sai che ti amo ». Dice Gesù: « Pasci le mie pecore a.

    Così su quella spiaggia, tra barche e reti, accanto a un fo-cherello sulle cui bragie arro-stivano i pesci, tra testimoni as-sonnati in un dialogo di cui Pietro comprenderà solo più tar-di il significato, s'apre la storia e il destino immenso della Chie-sa di Cristo.

    ffP

    Sulla via di Damasco. Sono in cammino anch'io. Il giorno in cui Saulo di Tarso (Paolo) per la stessa strada, sul mezzo-dì, si avvicinava alla città, si te- neva ben strette al petto le let- tere del Sommo Sacerdote di Ge-rusalemme per le Sinagoghe di Damasco, raccomandando che se egli trovasse in quelle uomi-ni o donne che volgessero verso la nuova dottrina, gli fossero consegnati onde li potesse ri-condurre «incatenati ». Saulo e-ra un fariseo fanatico. In quei giorni il suo spirito era in una furia di minaccia e di strage. « Perseguitavo accanitamente la Chiesa di Dio e la devastavo — scrive nelle Epistole che sono la sua confessione. — Ero un bestemmiatore, un persecutore violento a.

    Quando « avvicinandosi a Da-masco, di subito una luce del cielo lo avvolse folgorandolo e gittandolo a terra udì una voce che gli diceva: 'Saulo, Saulo, perche mi perseguiti?' Ed egli disse: 'Chi sei tu, Signore?' E la voce: 'Io sono Gesù che tu per-seguiti, ma è duro per te recai-citrare al pungolo'. E treman-te e stupito domandò: 'Signore, che cosa vuoi che io faccia?'».

    Non era che il prologo di un appassionato dialogo, che si sa-rebbe svolto per tutta la vita del grande Apostolo, tra perse-cutore e perseguitato. Ma alzan-dosi da terra, aperti gli occhi, Paolo si accorse che non vede-va più nulla. La luce della Re-surrezione lo aveva accecato. E per tre giorni, accolto nella ca-sa di Anania, non vide, non mangiò e non bevve. In quella oscurità profonda, in quella not-te di Dio, in quel silenzio di Dio, egli fu dominato da quella voce sola, che gli aveva troncato la via verso l'odio e dato in un attimo — non misurabile nel tempo — la coscienza di una realtà diversa, di uno stato di-verso da quello della vita mor-tale. In quel lampo aveva pe-netrato il mistero del vivente Gesù, che aveva parlato a Pie-tro lungo il lago di Tiberiade, ma in un modo più velato e vi-cino alla nostra fragilità e alle nostre esitazioni.

    Ora, da Paolo, la Voce pre-tendeva altra cosa: una fede ca-pace di conquistare il mondo, di spezzare il cerchio chiuso delle avite tradizioni giudaiche, che gli erano state gelosamente ca-re; di essere l'Apostolo delle d genti, che avrebbe asceso l'A- n cropoli per predicare ai sofisti i misteri del Dio Ignoto e mes-so le sue tende nel centro stes-so dell'Impero di Roma. Ed q è per prepararsi interiormen-te a questa straordinaria mis-sione, che, subito dopo il bat-tesimo, Paolo si allontana, si perde nelle solitudini, nei de-serti di Arabia « senza consul-tare nè carne nè sangue », nè quelli che prima di lui erano Apostoli. E' il periodo più mi-sterioso della sua vita. Quando ne esce, forse dopo tre anni, e-gli ha la certezza di avere un 8 messaggio per cui era stato « messo da parte fin dal seno della madre » e di portare nel mondo, in nome di Cristo, il più grande rivolgimento spiri-tuale che la storia ricordi: una rivoluzione dei valori, del giudi-zio, della moralità e del pen-siero, a cui nessuno si sottrae, anche gli oppositori più fieri, perchè è affermazione che im-pegna l'umanità intera e ogni singola coscienza.

    Ma nemmeno i suoi più pros- t simi — i fratelli — riuscivano a comprendere sempre il linguag-gio potente e originale fino al paradosso, di questo Testimonio, che tutto afferma doversi rin-novare nella luce della Rivela-zione (« ecco che tutte le cose son fatte nuove a) e che nello scrivere par non curarsi dei de-voti un po' chiusi, che a certe ventate di alta cima non sono assuefatti. Nè so se tra i Corinti, cui era rivolta la prima Episto-la, non ve ne siano stati dei per-plessi leggendo l'esaltazione del-la Canta, che passa come un soffio rinnovatore sull'aridità del mondo: « S'io anche parlas-si tutte le lingue degli uomini e degli Angeli ma non avessi la carità, non sarei che un (vuoto) bronzo sonante o un cimbalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e penetrassi tutti i misteri e ogni scienza e avessi tal fede da trasportare le mon-tagne — ma la carità non aves-si — nulla sarei. E se distri-buissi l'intera mia ricchezza per darla in cibo ai poveri, e do-nassi lo stesso mio corpo per arderlo, ma non avessi l'amore, a me non gioverebbe. La canta è paziente, benigna, non ha in-vidia, non si gonfia, non ha am-bizioni, non desidera il bene de-gli altri, non si irrita, non pensa il male, non gode dell'iniquità, gode in communione nella veri-tà, soffre ogni cosa, tutto cre-de, tutto spera, tutto sopporta. E la carità non verrà mai meno, sia che non abbian più ragion di essere le profezie, sia che ces-sino le lingue, sia che la scienza sia distrutta a.

    E senza di essa, per un cri-stiano, come lo intendeva San Paolo, tutto è nulla.

    dei pane e lo distribuì, e così T. Gallarati Scotti

    det col tà

    edsor

    len che vo clan mo stai to. dal nor che a ff e spo sim abt tan sco con

    del los an la le no at: un su ce l'u sti da in do m