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“E chinato il capo emise lo Spirito” “E chinato il capo emise lo Spirito” MARIA NELLA PENTECOSTE GIOVANNEA PERIODICO UFFICIALE DEL RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO SANTO AL SERVIZIO DELLE COMUNITÀ DEL RNS A CURA DELLA COMUNITÀ MAGNIFICAT “E chinato il capo emise lo Spirito” MARIA NELLA PENTECOSTE GIOVANNEA 93 III 2007 PERIODICO UFFICIALE DEL RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO SANTO AL SERVIZIO DELLE COMUNITÀ DEL RNS A CURA DELLA COMUNITÀ MAGNIFICAT In caso di mancato recapito, restituire a “Venite e Vedrete” c/o Adria Maffei Nazzaro, Via Antonio Cesare Carelli, 15/i - 71100 Foggia - una copia 4,50 Euro. Periodico - Poste Italiane Sped. in Abb. Post. art. 2 comma 20/c legge 662/96 Foggia CPO

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“E chinato il capo emise lo Spirito”

“E chinato il capo emise lo Spirito”

MARIA NELLA PENTECOSTE GIOVANNEA

PERIODICO UFFICIALE DELRINNOVAMENTO NELLO SPIRITO SANTOAL SERVIZIO DELLE COMUNITÀ DEL RNSA CURA DELLA COMUNITÀ MAGNIFICAT

“E chinato il capo emise lo Spirito”

MARIA NELLA PENTECOSTE GIOVANNEA

93•III •2007

PERIODICO UFFICIALE DELRINNOVAMENTO NELLO SPIRITO SANTOAL SERVIZIO DELLE COMUNITÀ DEL RNSA CURA DELLA COMUNITÀ MAGNIFICAT

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PERIODICO UFFICIALE DEL RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO SANTOAL SERVIZIO DELLE COMUNITÀ DEL RNS A CURA DELLA COMUNITÀ MAGNIFICAT

Periodico ufficiale del Rinnovamento nello Spirito Santoal servizio delle Comunità,non vuol essere una rivista riservataad una cerchia ristretta di lettori,ma si propone di essere:

una voce profetica per annunciare ciò che il Signoresuggerisce alle Comunità del RnS,che ha suscitato all’interno della sua Chiesa;

un servo fedele della specifica vocazionecomunitaria carismatica,attento ad approfondire i contenutispecifici del RnS;

un ricercatore scrupoloso delle ricchezzedella spiritualità della Chiesa:dai Padri al recente Magistero;

un agile mezzo spirituale di collegamentoed uno strumento di unità per presentarevita, fatti, testimonianze delle varie Comunità del RnSal fine di accrescere la conoscenza e la reciproca stima;

una finestra perennemente apertasulle realtà comunitarie carismatichedi tutto il mondo per ammiraree far conoscere le meraviglie che il Signorecontinua a compiere in mezzo al suo popolo.

Direttore responsabileOreste Pesare

CaporedattoreDon Davide Maloberti

Collaboratori di redazioneGiuseppe BentivegnaAlessandro Cesareo

Tarcisio MezzettiAntonio MontagnaGiuseppe Piegai

Comunità CorrispondentiLe Comunità

del Rinnovamento nello Spirito Santo

Direzione Via Londra, 50 - 00142 Roma

Tel. e Fax 06.5042847

RedazioneVia Vescovado, 5 - 29100 Piacenza

Tel. 0523.325995 - Fax 0523.384567email: [email protected]

Segreteria e servizio diffusionec/o Adria Maffei e Giuseppe A. Nazzaro

Via Antonio Cesare Carelli, 15/i - 71100 Foggiatel. 0881.613713 - Fax 0881.653309

Resp. AmministrativoFederica De Angelis

IconografiaArchivio Venite e VedreteArchivio Il Nuovo Giornale

Progetto grafico e StampaGrafiche Grilli

ProprietàRivista trimestrale di proprietà

dell’Associazione Venite e VedreteAut. Trib. di Foggia n. 435 del 5/10/1998

QUOTE ABBONAMENTO 2006(diritto a quattro numeri)

Ordinario 15,00Straordinario 30,00Sostenitore 60,00Estero (Europa) 20,00Estero (altri Paesi) 28,00

Vanno inviate a:

C/C postale 16925711 intestato a:Associazione “Venite e Vedrete”c.p. - 71016 San Severo - Foggia

In copertina: “Santa Maria alla Croce”, mosaico dell’abbazia di Santa Maria alla Croce di Tiglieto (GE), copia della “Crocifissione”di M.I. Rupnik (Città del Vaticano, Palazzo Apostolico, cappella Redemptoris Mater)

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EDITORIALE

L’ALBERO DELLA VITAOreste Pesare

“E CHINATO IL CAPO EMISE LO SPIRITO”UN DONO SENZA MISURAPadre Raniero Cantalamessa

“FATE QUELLO CHE VI DIRÀ”. LA MADRE ALLE NOZZE DI CANADon Luca Bartoccini

COME MARIA, PORTARE CRISTO NELLA NOSTRA VITA QUOTIDIANAPadre Victor-Emilian Dumitrescu

PERMETTERE A DIO DI OPERARE UN PRODIGIOGiuseppe Piegai

NATI NEL SANGUE DEI MARTIRIa cura di don Davide Maloberti

“NIENTE ANTEPORRE ALL’AMORE DI CRISTO”Tarcisio Mezzetti

“ASSETATI DELL’AMORE DI DIO”Intervista a Padre Alberto Ibáñez Padilla s.j.

a cura di Antonio Montagna

FILOCALIA CARISMATICA

GLI ESERCIZI SPIRITUALI IGNAZIANI, PALESTRA DI SPIRITUALITÀ CARISMATICA

Giuseppe Bentivegna S.J.

TESTIMONIANZE

IL «SEMINARIO» CON I GIOVANI A PERUGIAdi Maria Grazia e Daniele

IL BAMBINO HA DIRITTO ALLA TENEREZZAdi Annalisa Gobbi

SOMMARIO

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Atto di consacrazione allo Spirito Santo

O divino Spirito,che sei disceso con l’abbondanza

dei Tuoi lumi e dei Tuoi donisulla prima comunità riunita il giorno di Pentecoste fra le mura del Cenacolo,

ecco dinanzi a Te questa comunitàche Ti supplica di rinnovare su di essa

quanto compisti in quel giorno memorando.

E affinché questo avvenga,noi ci consacriamo a Te

offrendoTi la nostra mente, la nostra volontà, il nostro cuore.L’opera redentrice che Cristo, il Verbo incarnato,

ebbe a realizzare soprattutto con la Sua passione e mortee volle affidare alla Sua Chiesa,

fu da Te completata con la Pentecoste e mai è venuta meno.Ma affinché in noi sia più intensa e fruttuosa

e questa porzione della Chiesa viva un continuo progresso spirituale,noi ci affidiamo senza riserve a Te.

La Tua luce illumini le nostre menti,onde cerchiamo sempre la verità

e non ci lasciamo traviare da falsi profeti;la Tua grazia ringiovanisca le nostre volontà

e le renda capaci di resistere alle insidie del demonio e della corruzione;i Tuoi doni ci trasformino in apostoli con la parola e con l’esempio.

O Divino Spirito,ripeti in noi i prodigi della grazia che si verificarono

nella prima comunità cristiana alla Tua discesa;fa’ che vivendo in Te, portiamo alla Chiesa e a Cristo redentore

quanti ci circondano, contribuendo così a quel piano meravigliosodi salvezza del genere umano che, nella Pentecoste, ha dato i primi meravigliosi frutti.

Amen.

(Beata Elena Guerra)

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“E chinato il capo emise lo Spirito”

PREGHIAMO

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L’alberoDELLA VITA

Voglio iniziare le mie riflessioni sul tema di questo nu-mero di Venite e Vedrete con l’affidare me e voi alla CRO-CE di CRISTO, albero della vita. Solo attraverso di essa, ac-cettando i legami della morte, Gesù ha partorito, attraver-so il suo costato squarciato, la Chiesa: ci ha trasmesso la vi-ta. Ed è attaccati a lui che anche oggi noi vogliamo risco-prire il dono prezioso di questa fonte che è la sua croce,dalla quale ... “noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su gra-zia” (Gv 1,16). Si, è la croce - quale trono di Gesù glorio-so - la fonte dello Spirito Santo che ci dà la vita. Quantoprezioso, dunque, è il dono dello Spirito che hai ricevuto!

Nella sua prima lettera ai Corinzi (vv. 6,20 e 7,23), S.Paolo ci ricorderà: “Siete stati comprati a caro prezzo”.

Il grande Paolo era cosciente che lo Spirito Santo in noirimane potente ed operoso solo quando noi non perdiamodi vista cosa ha fatto Cristo per «riscattarci» dalle grinfie disatana e per darci una nuova vita, e consideriamo un teso-ro preziosissimo il dono che ci viene offerto gratuitamente,senza alcun merito. Spesso succede, invece - e noi non nesiamo esenti - che chi non paga di persona un bene di qual-sivoglia genere, chi conquista tutto con troppa facilità nonriconosca il valore del bene ottenuto e si comporti come imaiali, di evangelica memoria, con le perle ... calpestando-le con le loro zampe (Mt 7,6). In ogni tempo c’è semprequalcuno che smercia «a buon prezzo» la salvezza ed il do-no dello Spirito che Gesù ha pagato “a caro prezzo”.

E per noi - fratelli e sorelle - che valore ha assunto,dunque, la vita nuova che Gesù ha pagato sul legno del-la croce?

Siamo forse di quelli invitati (cf Lc 14,16-24) che, purconoscendo chi ci ha invitato, ci sentiamo giustificati per i«molti affari» che ci attanagliano e/o ci affliggono o per gli

«affetti» che ci prendono, spegnendo il dono dello Spiritoche è in noi? O possiamo dire con S. Paolo, conquistato daGesù, che non rendiamo vana la croce di Cristo (cf 1 Cor1,17) e sperimentiamo la novità di una vita piena della fre-schezza dello Spirito di Dio?

Ai piedi della croce Maria e Giovanni, superato ogni ti-more verso gli uccisori di Gesù che potevano realmentefare del male anche a loro, hanno bevuto per primi l’ac-qua della vita sgorgata dal suo costato. Ed insieme agli al-tri undici e poche altre donne hanno rivoluzionato il mon-do, portando gioia e consolazione a chi aveva sete dellavita vera.

Sul loro esempio, anche noi aggrappiamoci alla croce,fratelli, poiché “...da lui la nostra salvezza”... ogni giornodella vita... e di nuovo, anche oggi!

Solo da lui possiamo ancora ricevere il dono dello Spi-rito che fa la Chiesa, il dono di una vita piena di speranzae di gioia anche in mezzo alle difficoltà, il dono di una ve-ra vita comunitaria. Solo abbeverandoci al suo costato pos-siamo scoprire e riscoprire il valore della nostra vocazionealla Comunità Magnificat (o alle nostre proprie comunità),minuscolo ma pur meraviglioso membro del corpo di Cri-sto che è la santa Chiesa, rappresentata proprio da Mariaai piedi della croce nell’icona pentecostale giovannea.

Prostriamoci, dunque, come Giovanni insieme con lanostra mamma Maria sotto la croce per ricevere... la vita.Chiediamogliela a Gesù senza interruzione. Non dubita-re... non riuscirai a tenere solo per te ciò che avrai ricevu-to. ... Sarai un ramo dell’albero della vita... e porterai la vi-ta nuova nel mondo.

Oreste Pesare

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EDITORIALE

Venite e Vedrete 93 - III - 07

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Un donoNel Nuovo Testamento non c’è il

racconto di una sola Pentecoste, madi due. Esiste una Pentecoste lucanache è quella descritta negli Atti degliapostoli ed esiste una Pentecostegiovannea che è quella descritta inGiovanni 20, 22, quando Gesù alitòsu di loro e disse: “Ricevete lo Spiri-to Santo”. Questa Pentecoste gio-vannea si svolge nello stesso luogodi quella lucana, nel Cenacolo, manon nello stesso tempo. Avviene in-fatti la sera stessa di Pasqua, e noncinquanta giorni dopo la Pasqua. Inquesta nona tappa del nostro cam-mino sulle orme della Madre di Dio,vogliamo cercare di scoprire il postoche Maria ha avuto anche in questaPentecoste giovannea e che cosa el-la ha da dire con ciò alla Chiesa. [...]

Il progresso degli studi biblicipermette di dare oggi una rispostapiù semplice al problema dell’esi-stenza di una duplice Pentecoste. Ledue Pentecoste corrispondono a duemodi diversi di concepire e presen-tare il dono dello Spirito che non siescludono a vicenda, anzi si integra-no, ma che non bisogna necessaria-mente armonizzare tra di loro. Lucae Giovanni descrivono, da due an-golature diverse e con due preoccu-pazioni teologiche diverse, lo stessofondamentale evento della storiadella salvezza e cioè l’effusione del-

lo Spirito Santo resa possibile dal sa-crificio pasquale di Cristo.

Questa effusione si manifestò indiversi momenti e modi. Luca, chevede lo Spirito essenzialmente comedono fatto alla Chiesa per la suamissione, accentua uno di questimomenti, avvenuto cinquanta giornidopo la Pasqua, il giorno in cui gliEbrei celebravano la festa di Pente-coste. Un momento che dovette ave-re particolare risonanza e importan-za agli inizi della missione dellaChiesa. Giovanni, che vede lo Spiri-to essenzialmente come il dono pa-squale fatto da Cristo ai discepoli,

accentua le primissime manifesta-zioni di questa presenza nuova del-lo Spirito, che si ebbero già il giornodi Pasqua. Del resto, Luca stessonon intese fare della venuta delloSpirito, narrata in Atti 2, l’unica ma-nifestazione di esso, perché nel se-guito del libro riferisce di altre di-scese dello Spirito Santo assai similialla prima (cf At 4, 31; 10, 44 ss).

Luca interpreta il dono dello Spi-rito promesso per gli ultimi tempi al-la luce della profezia di Gioele e al-la luce di Genesi 11, 1-9: cioè comedefinitiva effusione dello spirito pro-fetico e come restaurazione dell’u-

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“”E chinato il capo emise lo Spirito””

SENZA MISURA

> Padre Raniero Cantalamessa

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FOCUS TEOLOGICO

nità del linguaggio umano distrutta aBabele. Giovanni lo interpreta allaluce di Genesi 2, 7 (Dio che alita unsoffio di vita su Adamo) e di Eze-chiele 37, 9 (il soffio dello Spiritoche fa rivivere le ossa aride); lo in-terpreta cioè come inizio di una nuo-va vita e come nuova creazione.

Fin dall’inizio del Vangelo di Gio-vanni, viene fatta una promessa: checi sarà un battesimo di Spirito Santo(cf Gv 1, 33). Questa promessa siconferma e si precisa nel discorsofatto alla samaritana sull’acqua viva(cf Gv 4, 14). Viene, in seguito, mes-sa in relazione stretta con la sua glo-rificazione (cf Gv 7, 39) che peròsappiamo non indica, per Giovanni,solo l’ascensione al cielo di Gesù eneppure solo la risurrezione, ma an-che la sua esaltazione sulla croce,cioè la sua morte gloriosa. È impen-sabile che Giovanni possa terminareil suo Vangelo, senza aver mostratoil compimento di questa promessa,o rinviando, per il suo compimento,a un altro libro - gli Atti degli apo-stoli - che egli forse neppure cono-sceva.

Esiste dunque una Pentecoste,cioè un racconto della venuta delloSpirito Santo, anche nel Vangelo diGiovanni. Abbiamo anche qui - co-me per la Pasqua - una chiara con-ferma dalla storia e dalla liturgia del-la Chiesa. Si sa che sono esistite, neiprimi secoli della Chiesa, due fonda-mentali modi di intendere la festa diPentecoste. Secondo uno di essi, poi

affermatesi e divenuto universale fi-no ai giorni nostri, la Pentecoste erala festa della discesa dello SpiritoSanto avvenuta nel cinquantesimogiorno dopo la Pasqua.

Secondo l’altro modo, che è ilpiù antico, Pentecoste era la festadei cinquanta giorni successivi allaPasqua e commemorava la presenzaspirituale, o «secondo lo Spirito», diGesù tra i suoi, a partire dalla Risur-rezione, vista, questa presenza, co-me primizia della vita nuova e anti-cipo della vita eterna. Per Tertullia-no, per esempio, la Pentecoste èquel tempo in cui la Risurrezione delSignore ricevette numerose confer-me presso i discepoli, fu inauguratala grazia dello Spirito Santo e si ma-nifestò la speranza della venuta delSignore. Sant’Atanasio dice, nellostesso senso: Alla festa di Pasqua se-gue la festa di Pentecoste alla qualeci affretteremo, come di festa in fe-sta, per celebrare lo Spirito che è giàpresso di noi nel Cristo Gesù.

In questa visuale antichissima, laPentecoste iniziava con la fine dellaveglia pasquale ed era come un uni-co lungo giorno di festa, come un’u-nica ininterrotta domenica. Secondola concezione giovannea, il donodello Spirito inaugurava la Penteco-ste, mentre secondo la concezionelucana, esso la concludeva.

«Subito ne uscì sangue ed acqua»

Fin dall’antichità dunque coglia-mo nella Chiesa la coscienza dell’e-sistenza di una duplice Pentecoste, odi un duplice modo di presentarel’avvenuta effusione escatologicadello Spirito. Ma l’esegesi modernasi è spinta ancora più avanti. Nonsolo ha riconosciuto una Pentecostegiovannea, ma ha visto inauguratatale Pentecoste già sul Calvario, almomento stesso della morte di Cri-sto, che è l’inizio della sua glorifica-zione. Si può dire che la cosa è oggipacifica, anche se non tutti gli ese-geti ne traggono le dovute conse-guenze.

Quando l’evangelista Giovannidice che Gesù, “chinato il capo, emi-se lo Spirito” (Gv 19, 30), intende,come fa spesso, dire due cose, unanaturale e storica e un’altra mistica:che spirò, e che effuse lo Spirito.L’acqua che esce dal costato trafittodi Gesù è vista da Giovanni come ilcompimento della promessa sui fiu-mi d’acqua viva che sarebbero sgor-gati dal suo seno e come segno del-lo Spirito che avrebbero ricevuto icredenti in lui (cf Gv 7, 39). Quelloche fu la colomba nel battesimo diGesù (cf Gv 1, 32) è ora l’acqua, inquesto battesimo della Chiesa: cioèun simbolo visibile della realtà invi-sibile dello Spirito.

Abbiamo una conferma esplicitadi ciò dallo stesso evangelista, quan-do, riferendosi certamente a questomomento, parla delle tre cose cherendono testimonianza a Gesù: loSpirito, l’acqua e il sangue (1 Gv 5,8). L’acqua e il sangue sono i veico-li sacramentali, attraverso i quali loSpirito agirà nella Chiesa, o, sempli-cemente, i simboli della sua avvenu-ta effusione sulla Chiesa. Anche inuna versione ecumenica della Bibbiatroviamo accolta questa lettura sim-bolica di Giovanni 19, che del resto -tenuto conto del contesto e del tono

Pentecoste era anche la festa che commemorava

la presenza di Gesù tra i suoi dopo la Pasqua

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solennissimo del brano - si imponeda sola.

Questa prima effusione dello Spi-rito dal Cristo morente intesa da Gio-vanni non passò inosservata, neppu-re essa, agli antichi Padri che ne par-lano in connessione con il tema nu-ziale della nascita della Chiesa, nuo-va Eva, dal fianco di Cristo, nuovoAdamo addormentato nel sonno del-la morte: Volendo distruggere - si leg-ge in un’omelia pasquale della finedel secondo secolo o dell’inizio delterzo - le opere della donna (Eva) econtrapporsi a colei che era uscita al-l’inizio dal costato di Adamo qualeportatrice di morte, ecco che egli aprein sé il suo sacro costato dal qualesgorgarono il sacro sangue e l’acqua,iniziazioni alle spirituali e mistichenozze, segni dell’adozione e della ri-generazione.

Egli, infatti, vi battezzerà in Spi-rito Santo e fuoco (Mt 3, 11): l’acquaindica il battesimo in Spirito, il san-gue nel fuoco. L’anonimo autore ve-de un’allusione a questa effusionedello Spirito anche in Luca 23, 46 ece la presenta in una dimensione co-

smica: L’universo intero era sul pun-to di ricadere nel caos e di dissolver-si per lo sgomento di fronte alla pas-sione, se il grande Gesù non avesseemesso il suo Spirito divino escla-mando: “Padre, nelle tue mani con-segno il mio Spirito” (Lc 23, 46). Edecco che nel momento in cui tutte lecose erano scosse da un fremito esconvolte per la paura, subito, al ri-salire dello Spirito divino, come ria-nimato, vivificato e consolidato, l’u-niverso ritrovò la sua stabilità. LoSpirito che Gesù emette dalla croceè visto qui in corrispondenza alloSpirito di Dio che all’inizio aleggiavasulle acque (cf Gn 1, 2) e perciò lamorte di Cristo è vista come la nuo-va creazione.

Ed ecco che arriviamo ora al pun-to che ci interessa più direttamente:chi c’era sotto la croce ad accoglierequesto soffio e queste primizie delloSpirito? C’era Maria, con alcune don-ne e Giovanni. Sono essi «i credentiin lui» che assistono al compimentodella promessa e ricevono lo Spirito.Non dobbiamo forzare questo dato,o utilizzarlo in modo semplicistico e

trionfalistico, come chi ha trovatouna combinazione vincente; ma nonpossiamo neppure omettere di rac-cogliere un dato che l’evangelistastesso ha inteso - secondo ogni pro-babilità - comunicare alla Chiesa nel-lo scrivere.

Rimettiamoci in contemplazionedavanti all’icona della crocifissioneche abbiamo imparato a guardare,parlando del Mistero pasquale. Tuttii vari momenti ed episodi che Gio-vanni ha ricordato in connessionecon quella scena sono legati stretta-mente tra di loro; tutti fanno partedel compimento e della definitivarealizzazione delle Scritture. Dopoavere affidato Maria a Giovanni eGiovanni a Maria, Gesù - nota l’e-vangelista - vide che “ogni cosa erastata compiuta” (cf Gv 19, 28).

Questo compimento di tutta lasua opera è la nascita della Chiesa,rappresentata da Maria nella veste diMadre e da Giovanni nella veste deicredenti. La scena descritta in Gio-vanni 19, 25-27 si può dire è quelladella nascita della Chiesa nella per-sona di Maria e del discepolo ama-to... L’atto con il quale Gesù compiela sua opera è quello di indicare chesua madre è ormai la «Donna», la Fi-glia di Sion escatologica di cui parla-vano i profeti, che è anche perciò fi-gura della Chiesa... Gesù sulla croce,manifestò il suo amore supremo,quando nella persona di sua Madre edel discepolo amato, costituì il nuovopopolo di Dio e comunicò loro il do-no dello Spirito.

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“E chinato il capo emise lo Spirito”

Chinato il capoemise lo Spirito: la morte di Cristo

è vista come una nuova creazione

GIUSTO DE’ MENABUOI - Crocifissione, Battistero della Cattedrale di Padova.

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FOCUS TEOLOGICO

Dietro tutta questa pregnanza disignificati e di simboli c’è un fattoconcreto della cui storicità non c’èalcuna ragione di dubitare e cioè laremissione di un poco di acqua mistaa siero sanguigno, dal costato di Ge-sù trafìtto dalla lancia del soldato. Epoiché si tratta di un dettaglio real-mente accaduto, io credo che si pos-sa ragionevolmente pensare - anchese questa deduzione non ha lo stes-so valore delle precedenti - che siastata proprio la Madre presente adaccostarsi e asciugare con la mano ocon il lembo del vestito quel piccolorivolo che scendeva dal corpo del fi-glio appena morto.

Non riesco a pensare a una ma-dre presente che può finalmente ac-costarsi al corpo del figlio e cheomette di fare questo gesto o lasciache lo facciano altri senza muoversi.Se così avvenne, si deve dire che Ma-ria raccolse anche il segno tangibiledi quelle primizie dello Spirito. Chefu lei la prima ad essere «battezzatanello Spirito» sotto la croce, in rap-presentanza di tutta la Chiesa.

Lo Spirito che dà la vita

È chiaro che all’evangelista nonpreme tanto mettere in luce ciò che,in questo momento, riguarda i desti-natari immediati del dono - Maria,Giovanni, le donne -, quanto ciò cheriguarda il datore del dono, Gesù, eil dono stesso, lo Spirito Santo. Quel-lo è per lui il momento in cui il «do-no di Dio» è elargito definitivamente

al mondo, la promessa è compiuta,il vaso di alabastro è infranto e ilprofumo dell’unguento sparso riem-pie la casa (cf Gv 12, 3; Mt 26, 6).Con questa precauzione che ci invi-ta a dare ai testi un significato nondirettamente, ma solo indirettamentemariano, possiamo tuttavia cercaredi cogliere quello che essi ci diconodi nuovo del rapporto tra Maria e loSpirito Santo.

Abbiamo una sola via per esplo-rare il significato del legame tra Ma-ria e lo Spirito Santo nella Penteco-ste giovannea, senza cadere nell’ar-bitrario e questa via è la stessa cheabbiamo seguito per la Pentecostelucana: cercare di scoprire chi è eche cosa fa lo Spirito Santo nel Van-gelo di Giovanni, per poi applicaretutto ciò a Maria. In Giovanni, allostesso modo che in Paolo, viene por-tata a compimento l’altra linea di svi-luppo della rivelazione sullo Spirito,cui accennavo nel capitolo prece-dente: quella che vede lo SpiritoSanto non tanto come la forza divinache viene su alcune persone, in cer-te situazioni particolari, permetten-do loro di compiere azioni straordi-narie, quanto piuttosto il principio, oaddirittura la persona divina, cheprende stabile possesso nel cuore

dell’uomo, trasformandolo dall’inter-no in un uomo nuovo. Più che loSpirito operatore di prodigi, si trattadello Spirito santificatore.

Nell’Antico Testamento questavisione nuova e più profonda delloSpirito Santo fa la sua comparsa nelprofeta Ezechiele, nel momento incui si comincia a parlare in Israele diuna nuova alleanza: “Vi aspergeròcon acqua pura e sarete purificati;io vi purificherò da tutte le vostresozzure e da tutti i vostri idoli; vidarò un cuore nuovo, metterò den-tro di voi uno spirito nuovo, toglieròda voi il cuore di pietra e vi darò uncuore di carne. Porrò il mio Spiritodentro di voi e vi farò vivere secondoi miei statuti e vi farò osservare emettere in pratica le mie leggi” (Ez36, 25-27). Lo Spirito, legato anchequi all’acqua, appare come il princi-pio di un rinnovamento interioreche rende l’uomo capace finalmentedi osservare la legge di Dio e che,come acqua viva, fa germogliare unavita nuova.

Giovanni riprende questi temiparlando dell’acqua viva. Per lui loSpirito è fondamentalmente il princi-pio di una «nuova nascita» o di unanascita dall’alto (cf Gv 1, 12-13; 3,5), di una nuova vita che è appuntola vita dello Spirito: “È lo Spirito - di-ce Gesù - che dà la vita” (Gv 6, 63).

Al posto del «rinascere dallo Spi-rito», san Paolo parla dello Spiritoche fa “figli adottivi” di Dio (cf Rm8, 15-16; Gal 4, 6). Ma si tratta di unastessa visione fondamentale. AnchePaolo parla dello Spirito che dà la vi-ta in Cristo Gesù (Rm 8, 2) e checrea l’uomo nuovo, quello che“cammina secondo lo Spirito” (cfGal 5, 16). L’Apostolo Paolo fa an-che la sintesi tra le due visioni delloSpirito: quella dello Spirito che di-stribuisce i carismi e questa delloSpirito che infonde nel cuore l’amo-re. Tutti e due - dice - sono manife-stazioni dello stesso Spirito, ma laseconda è migliore della prima,

Maria fu la prima a essere battezzata

nello Spirito sotto la croce

a nome di tutta la Chiesa

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quanto la carità che resta per sempreè migliore dei carismi che sono de-stinati a scomparire (cf 1 Cor 12-13).

Questo è dunque lo Spirito che,secondo Giovanni, Gesù dona ai di-scepoli dalla croce e la sera di Pa-squa. Lo Spirito che è la vita stessadi Gesù, “Spirito di verità” che faconoscere Gesù (cf Gv 16, 13), cheassicura la sua permanenza in noi ela nostra in Lui (cf 1 Gv 4, 13), Spi-rito che prenderà dimora nel cuoredei discepoli (cf Gv 14, 17). Questoè lo Spirito di cui Maria ricevette leprimizie, stando presso la croce diCristo.

Maria l’amica di Dio

Ma Maria non possedeva già daprima questo Spirito santificante ches’identifica, in ultima analisi, con lagrazia stessa? Certo che lo possede-va, essendo «piena di grazia» a causadell’elezione divina. Ma la presenzadi Maria sotto la croce attesta, anchevisibilmente, da dove veniva quelloSpirito e quella grazia da cui anchelei era stata santificata in preceden-za: essa veniva dalla redenzione diCristo; era «grazia di Cristo» e «Spiritodi Cristo».

Sant’Agostino scrive: Senza loSpirito Santo noi non possiamo nèamare Cristo nè osservare i suoi co-mandamenti, e tanto meno possia-mo farlo quanto meno abbiamo diSpirito Santo, mentre tanto più pos-siamo farlo quanto maggiore è l’ab-bondanza che ne abbiamo. Non èquindi senza ragione che lo Spirito

Santo viene promesso, non solo a chinon lo ha, ma anche a chi già lo pos-siede: a chi non lo ha perché lo ab-bia, a chi già lo possiede perché lopossieda in misura più abbondante.Si può dunque possedere lo SpiritoSanto in misura più o meno abbon-dante. Se anche di Gesù, come uo-mo, è detto che “cresceva in grazia”(cf Lc 2, 52), che dire degli altri,compresa Maria? Ella era piena digrazia nell’Annunciazione, secondole possibilità e le necessità del mo-mento; lo era in senso relativo, nonassoluto.

La Scrittura dice che Dio dà loSpirito Santo “a coloro che obbedi-scono a lui” (cf At 5, 32). La grandeobbedienza che Maria ha fatto sottola croce ha dilatato il suo cuore el’ha reso capace di accogliere, in mi-sura ancora più abbondante, lo Spi-rito Santo. Nuove e successive effu-sioni dello Spirito Santo nella vita diuna persona, corrispondono, come aloro causa ed effetto insieme, a nuo-ve dilatazioni dell’anima, per mezzodelle quali essa diventa più capacedi accogliere e possedere Dio. Alladilatazione, o lacerazione, massima

della croce, corrispose, anche perMaria, una misura più grande di gra-zia, cioè di fede, di speranza e so-prattutto di carità.

Il testo del Concilio dice che Ma-ria fu quasi plasmata dallo SpiritoSanto e resa nuova creatura (Lumengentium 56). Questo non va riferitosolo al momento della Concezione diMaria, come se lì fosse finita ogniazione dello Spirito Santo su di lei,ma va esteso all’intera vita di lei e inparticolare alla sua partecipazione alMistero pasquale. Alla luce di ciò cheGiovanni e Paolo ci dicono circa l’a-zione dello Spirito Santo nei creden-ti, è proprio qui che Maria è stataplasmata definitivamente dallo Spiri-to e resa nuova creatura, capace diamare Dio con tutte le forze. Soffren-do col Figlio suo morente sotto la cro-ce, ella cooperò in modo tutto specia-le all’opera del Salvatore con l’obbe-dienza, la fede, la speranza e l’ar-dente carità (Lumen gentium 61). [...]

Amerai il Signore Dio tuo

II passaggio da Maria alla Chiesasarà brevissimo, perché è già tuttodetto; anzi, non ci sarebbe neppurebisogno di tracciare una linea tra Ma-ria e la Chiesa, perché per Giovanniella sta sotto la croce, a ricevere leprimizie dello Spirito, proprio comeinizio e immagine della Chiesa. Ri-chiamo solo alcuni punti in cui l’e-sempio di Maria e il suo rapportocon lo Spirito santificatore appareistruttivo per noi in questo momentodella storia.

Maria nella Pentecoste giovanneaci ricorda che il fatto di essere giàstati battezzati e di avere già ricevutola grazia e lo Spirito Santo non impe-disce che possiamo e dobbiamo pre-gare per una nuova effusione delloSpirito. Che anche nella nostra vita cidevono essere almeno due Penteco-ste. Che una di queste due Penteco-ste, di solito, avviene stando, comeMaria, con sottomissione e amore,

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“E chinato il capo emise lo Spirito”

Senza lo Spirito Santo

noi non possiamo né amare Cristo

né osservare i suoicomandamenti

Cristo entra a porte chiuse nel Cenacolo.Dipinto di Kiko Argüello.

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FOCUS TEOLOGICO

sotto la croce. Sant’Agostino ci hadetto che solo Gesù, avendo ricevu-to lo Spirito senza misura, non ha bi-sogno di riceverlo più volte, mentretutti noi dobbiamo riceverlo più vol-te per averlo in misura sempre piùabbondante. Non perché lo Spiritosia limitato nel darsi, ma perché noisiamo limitati nel riceverlo.

Del resto, anche Gesù che, in for-za della sua unione con il Verbo,possedeva lo Spirito Santo senza mi-sura, ricevette nuovamente lo Spiritonel Giordano per poter compiere ilsuo ufficio messianico. Ci occorre in-fatti una grazia corrispondente e unanuova visita dello Spirito Santo perogni nuova missione che ci viene af-fidata da Dio. Anche Maria, che erapiena di grazia fin dalla concezione,ricevette più volte lo Spirito Santo:nell’Annunciazione, sotto la Croce enel Cenacolo.

Ma più ancora mi preme metterein luce un altro insegnamento che civiene dalla contemplazione di Marianella Pentecoste giovannea. Maria ciricorda qual è il primo e più grandecomandamento: “Amerai il SignoreDio tuo con tutto il tuo cuore, contutta la tua anima, con tutta la tua

forza e con tutta la tua mente e ilprossimo tuo come tè stesso” (Lc 10,27). Ci ricorda che solo la carità “nonavrà mai fine” (1 Cor 13, 8). Tuttocesserà: virtù, carismi, fede, speran-za... Solo l’amore non passerà mai.Che l’uomo tanto vale quanto amaDio e il prossimo, e nulla più.

Maria, abbiamo detto fin dall’ini-zio, non è figura e modello dellaChiesa alla maniera dei modelli odelle modelle umane che stanno im-mobili davanti, per farsi ritrarre, e an-zi tanto più sanno stare immobili tan-to più sono ritenute brave. Maria èmodello attivo che ci aiuta a imitarla.Come la guida alpina, superato undifficile passo, aspetta che quelli chela seguono lo superino a loro volta e,se vede che non ne sono capaci, tor-na indietro a prenderli per mano eaiutarli, così fa Maria con noi.

Ella ci aiuta soprattutto in questo«passo» decisivo che consiste nell’u-scire dall’amore di sè per entrare nel-l’amore di Dio. Ci insegna la grandearte di amare Dio. Non per nulla ellaè stata invocata dalla Chiesa, con unaparola tratta dalla Bibbia, come «lamadre del bell’amore» (cf Sir 24, 24Volgata).

Noi siamo invitati dalla Bibbia adamare Dio con due amori diversi, an-che se provenienti dallo stesso Spiri-to: con amore filiale e con amoresponsale. L’amore filiale è un amorefatto di obbedienza e che si esprimein obbedienza. Consiste nell’osser-vare i comandamenti di Dio, comeGesù amava il Padre suo e perciò os-servava i suoi comandamenti (cf Gv15, 10). Vorresti amare Dio e non saicome fare? Non sei capace di sentirealcun trasporto o affetto per lui? Èsemplice: mettiti a osservare i suoicomandamenti e in particolare quel-lo che in questo momento ti vienedato attraverso la sua Parola, e sappicon certezza che lo stai amando! LoSpirito Santo - diceva già il profetaEzechiele - ci viene dato per poteremettere in pratica tutti i comanda-menti e le leggi di Dio (cf Ez 36, 27).

L’amore sponsale è un amore discelta. Non si sceglie il proprio pa-dre, ma si sceglie invece lo sposo ola sposa. Amare Dio di amore spon-sale significa scegliere Dio, risce-glierlo consapevolmente, ogni volta,come il proprio Dio, il proprio tutto,rinunciando, se necessario, anche ase stessi per possederlo. Amare in-fatti Dio significa spogliarsi per Diodi tutto ciò che non è Dio.

Questo capitolo utilizzato per la I e la II tappa è tratto dal libro

«Maria, uno specchio per la Chiesa»di RANIERO CANTALAMESSA O.F.M. CAP.,

Ed. Àncora, Milano 1997.

Maria ci aiuta nel passo decisivo,

di uscire dall’amore di sè

per entrarenell’amore di Dio

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“Fate quello che lui vi dirà”

Questo articolo riporta la pri-ma parte dell’intervento di don Lu-ca Bartoccini sul tema “Fate quelloche Lui vi dirà” al Convegno nazio-nale delle Comunità Magnificatsvoltosi a Montesilvano nel gen-naio 2007.

L’episodio di Cana porta anzituttoun messaggio cristologico, non unmessaggio mariologico: ci vuole cioèrivelare primariamente qualcosa diGesù. Tuttavia anche se il motivo do-minante a Cana è Gesù Cristo, la ma-dre di Gesù ha un ruolo importante.Per questo noi possiamo avvicinarciad esso per conoscere qualcosa di piùdi Maria. Per farlo però abbiamo biso-gno di entrare in questo brano guar-dando prima cosa ci dice di Gesù esolo in un secondo momento fermar-ci sulla figura di Maria.

Nella prima parte di questo artico-lo ci soffermeremo allora su alcuniaspetti fondamentali della figura e del-l’opera di Gesù, così come ci vengonopresentati da Giovanni. Nella secondaparte invece andremo a scoprire l’a-zione di Maria nella manifestazione diGesù per metterci ancora davanti a leicome davanti ad uno specchio.

Innanzitutto leggiamo il brano.1Tre giorni dopo, ci fu uno sposali-

zio a Cana di Galilea e c’era la madredi Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche

Gesù con i suoi discepoli. 3Nel frattem-po, venuto a mancare il vino, la ma-dre di Gesù gli disse: «Non hanno piùvino». 4E Gesù rispose: «Che ho da farecon te, o donna? Non è ancora giuntala mia ora». 5La madre dice ai servi:«Fate quello che vi dirà».

6Vi erano là sei giare di pietra perla purificazione dei Giudei, conte-nenti ciascuna due o tre barili. 7E Ge-sù disse loro: «Riempite d’acqua le gia-re» ; e le riempirono fino all’orlo. 8Dis-

se loro di nuovo: «Ora attingete e por-tatene al maestro di tavola». Ed essigliene portarono. 9E come ebbe assag-giato l’acqua diventata vino, il mae-stro di tavola, che non sapeva di dovevenisse (ma lo sapevano i servi cheavevano attinto l’acqua), chiamò losposo 10e gli disse: «Tutti servono daprincipio il vino buono e, quando so-no un po’ brilli, quello meno buono;tu invece hai conservato fino ad ora ilvino buono». 11Così Gesù diede inizioai suoi miracoli in Cana di Galilea,manifestò la sua gloria e i suoi disce-poli credettero in lui. 12Dopo questofatto, discese a Cafarnao insieme consua madre, i fratelli e i suoi discepoli esi fermarono colà solo pochi giorni.

La struttura letteraria del brano èsemplice. Ci sono due versetti all’ini-zio che ci dicono il tempo, il luogo ele circostanze del fatto: siamo a Canaad una festa di nozze (vv. 1-2); è poiriportato l’intervento della madre diGesù (vv. 3-5); segue quindi la descri-zione del miracolo di Gesù che cam-bia l’acqua in vino (vv. 6-10); c’è poiuna conclusione teologica dove Gio-vanni ci dice in profondità quello cheè successo: ci dice cioè che Gesù hamanifestato la sua gloria e che i suoidiscepoli lì hanno creduto in lui (v.11); il tutto si conclude con una anno-tazione redazionale che rimette anco-

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“E chinato il capo emise lo Spirito”

LA MADRE ALLE NOZZE DI CANA1ª parte - La manifestazione di Gesù

> Don Luca Bartoccini*

GIOTTO - Le nozze di Cana (particolare),Padova, Cappella degli Scrovegni.

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FOCUS BIBLICO

ra davanti agli occhi Maria, laMadre di Gesù (v. 12).

Come già detto, l’accentodi tutto il racconto cade sullapersona di Gesù: questi mani-festa per la prima volta la suaidentità messianica e inaugurail tempo della salvezza predet-to dai profeti. Ciò che interes-sa all’evangelista, è la manife-stazione di Gesù Messia, qualeinviato dal Padre a portare lasalvezza al mondo; ciò che ri-splende è la sua gloria; e l’uni-ca reazione che è sottolineataè la fede dei discepoli in Gesù.

Proviamo ora a evidenzia-re quelli che sono i temiemergenti di questa manife-stazione.

1. La settimana inauguraledella rivelazione di Gesù

Giovanni raggruppa i primi episo-di del ministero pubblico del Cristo inuna settimana. Egli fa un confronto tral’inizio dell’opera di Gesù e la crea-zione dicendoci che come la creazio-ne è avvenuta in sette giorni, così Ge-sù ha inaugurato il suo ministero inuna settimana. L’opera del Messia civiene così presentata come una ri-creazione dell’uomo: c’è una nuovaumanità che viene creata, l’uomo tro-va una nuova nascita in Gesù Cristo.

La scansione dei giorni della setti-mana è evidentissima nel vangelo: ilprimo giorno è riportata la testimo-nianza del Battista dinanzi all’amba-sceria inviata dai capi di Gerusalem-me (Gv 1,19-28); il secondo giorno èdescritta l’indicazione del Messia, l’A-gnello di Dio che toglie il peccato delmondo, l’eletto di Dio che battezzacon lo Spirito Santo (Gv 1,29-34); ilgiorno seguente è narrata la vocazio-ne dei primi discepoli (Gv 1,35-42); ilquarto giorno abbiamo la chiamata diFilippo e l’incontro di Natanaele conGesù (Gv 1,43-51); tre giorni dopo omeglio ancora, il terzo giorno avviene

il segno del vino durante la festa dinozze (Gv 2,1-12).

Ci sono alcune cose che vale lapena di sottolineare circa questo terzogiorno, quello appunto delle nozze.

Alcuni esegeti dicono che questaespressione significhi che sono tra-scorsi solo due giorni cronologici.Così come il terzo giorno Gesù è ri-sorto, ma di fatto ciò significa duegiorni (da venerdì a domenica), allostesso modo Giovanni passa dal quar-to giorno (la chiamata di Natanaele)al terzo giorno, cioè il sesto dopo l’i-nizio del suo ministero. Con questocomputo dei giorni avremmo allorache il miracolo a Cana avviene al se-sto giorno, quello in cui nella crea-zione fu creato l’uomo. Se accettiamoquesta interpretazione è ancora piùevidente che in questo segno che Ge-sù compie c’è dentro la ri-creazionedell’uomo, c’è qui un nuovo inizioper l’umanità.

Ma il terzo giorno può anche sot-tolineare altri aspetti rivelatori.

Sul Sinai, il terzo giorno, Yahvé ri-vela la sua gloria a Mosè e il popolocredette in Lui, proprio come a Cana ilterzo giorno Gesù rivelò la sua gloriae i suoi discepoli credettero in Lui. Si

ha così un riferimento, nonsolo alla nuova creazione, maanche alla teofania del Sinainella quale fu donata la Legge:c’è qui allora anche la nuovaalleanza che viene adombrata.

Per non dire poi che il ter-zo giorno è quello della glori-ficazione pasquale di Gesù, ilgiorno della Risurrezione, del-l’intervento definitivo di Dio.“Il terzo giorno ci farà rialzaree noi vivremo alla sua presen-za” (Os 6,2). È il giorno del-l’intervento definitivo di Dionella storia.

Tutto ciò, e molto di piùancora, è dentro il testo di Gio-vanni.

Dicendo allora che siamonella settimana inaugurale del-la manifestazione del Cristo,

Giovanni ci dice che c’è una secondacreazione, una nuova legge, una nuo-va alleanza, un intervento definitivo diDio nella storia. In questa settimanatutto tende verso il passo finale, nelquale l’evangelista dichiara solenne-mente che «Gesù diede inizio ai segniin Cana di Galilea e rivelò la sua glo-ria» (Gv 2,11). Il segno del vino costi-tuisce quindi la manifestazione inizia-le piena della persona divina di Gesù.Quella gloria propria del Figlio unige-nito del Padre (Gv 1,14), fu contem-plata per la prima volta dai discepoli aCana di Galilea (Gv 2,11).

2. Il primo segnoe la fede dei discepoli

Un secondo aspetto da cogliere èche il miracolo di Cana apre la seriedei sette segni. Giovanni narra soltan-to sette miracoli di Gesù, che denomi-na «segni», perché li considera comeun mezzo di rivelazione del Messia.Parla di segni e non di prodigi, comefanno i vangeli sinottici, perché in es-si si rivela Gesù Cristo Figlio di Dio.

“Questo fu l’inizio dei segni” (Gv2,11): non solo il primo dei segni in

DUCCIO DI BUONINSEGNA - Le nozze di Cana, Siena, Museodell’Opera del Duomo.

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senso cronologico, ma il modello ditutti, l’archetipo di tutti gli altri segni.Il gesto di Cana è un segno che nelsuo simbolismo racchiude tutti gli al-tri: rivela la gloria del Figlio e condu-ce i discepoli alla fede (Gv 2,11). Cre-dere significa entrare a far parte di co-loro che possono dire: “Abbiamo vistola sua gloria” (Gv 1,14). E i segni cheGesù pone rivelano la gloria affinchéi discepoli possano credere: “Così Ge-sù diede inizio ai suoi miracoli in Ca-na di Galilea, manifestò la sua gloriae i suoi discepoli credettero” (Gv 2,11).

I discepoli “credettero in Gesù”:questa costruzione grammaticale de-nota che la fede è uno slancio, è unatteggiamento dinamico; è quasi co-me se dicesse che i discepoli si slan-ciarono con tutto il loro cuore versoGesù. Non si crede in una cosa o inuna dottrina, ma in una persona. Il di-scepolo, ci viene detto, è chi si fida diGesù, il discepolo è chi si abbandonaa Gesù, e si lascia condurre da lui.

Già nel capitolo precedente i di-scepoli hanno riconosciuto Gesù co-me il Messia, ma allora Gesù aveva re-plicato a Natanaele: “Vedrai cose mag-giori di queste” (Gv 1,50). Ora per i di-scepoli quella promessa ha comincia-to a realizzarsi: la gloria manifestata aCana mediante il primo dei segni diGesù è la “gloria come di unigenitodal Padre” (Gv 1,14). Ritornando aquanto detto circa la settimana inau-gurale della Genesi rievocata dai settegiorni, la risposta di fede dei discepo-li rappresenta allora l’inizio della nuo-

va umanità. La nuova creazione è quiin questa fede che sboccia. La nuovaumanità la vediamo qui nella rispostadi fede dei discepoli. Per Giovanni l’u-manità è divisa in due gruppi: chi ac-coglie Gesù e chi non lo accoglie. Lanuova umanità sono quelli che vedo-no la sua gloria, credono in lui e lo ac-colgono. Il primo segno allora portaalla fede i discepoli e alla nascita diuna nuova umanità.

3. La gloria e l’ora

Ancora un altro elemento: la glo-ria. Dietro questo racconto apparen-temente molto semplice, c’è una rive-lazione cristologica profondissima,come è detto esplicitamente nella suaconclusione: “manifestò la sua gloria”(Gv 2,11).

Sbaglieremmo se ci fermassimosolo alla potenza, alla straordinarietàdel gesto che Gesù ha compiuto. Nonla potenza, ma la gloria, due cose mol-to diverse. L’uomo normalmente amapensare che il sigillo della divinità è lapotenza, ritenendo che più un miraco-lo è potente e più è divino. Invece nelVerbo fatto carne il cristiano deve sco-prire “la gloria”, la cui prima caratteri-stica non è la straordinarietà, ma lagrazia e la verità come dice Giovanninel prologo: “e noi vedemmo la sua

gloria, gloria come di unigenito dalPadre, pieno di grazia e di verità” (Gv1,14). In una traduzione diversa, piùcorretta, si potrebbe dire «l’amore e lafedeltà» che sono i due attributi di Dionell’Antico Testamento. La grazia e laverità cioè l’amore e la fedeltà: eccodov’è la gloria di Dio che si rivela.

Gesù rivela poi, quasi per inciso,di essere tutto proteso verso l’ora (Gv2,4) e noi sappiamo che l’ora a cuiGiovanni allude è l’ora della Croce eRisurrezione. L’ora verso cui tendetutta la vita di Gesù è quella della cro-cifissione, attraverso la quale giungeràalla glorificazione alla destra del Pa-dre. Quindi il segno di Cana prefiguraed anticipa quest’ora. Ma è proprio al-la luce di questo momento finale, l’e-saltazione della Croce, che si com-prende la natura profonda della gloriache a Cana per la prima volta si è fat-ta manifesta davanti agli uomini.

Lo splendore glorioso di Dio è losplendore dell’amore; lo splendoreglorioso di Dio è l’inaudita potenzadell’amore che resta fedele fino alcompleto dono di sé. La lavanda deipiedi è la messa in pratica di questagloria. Giovanni non ci racconta l’Eu-caristia (che anticipa sacramentalmen-te il sacrificio della croce), ma ci rac-conta la lavanda dei piedi per dirciche questa è l’anticipazione della glo-ria che si manifesterà sulla croce: eccodove noi possiamo incontrare la glo-ria di Dio.

Cana quindi anticipa l’ora dove simanifesta la gloria, gloria che è amoree fedeltà, gloria che si manifesta pie-namente nel servizio dei fratelli.

4. Centralità e novità di Gesù come Messia divino

Il racconto delle nozze di Canamette in risalto la centralità e la novitàdella figura di Gesù come Messia.

Nelle nozze di Cana l’attore princi-pale è Gesù, tutti gli altri scompaiono.Gli sposi non compaiono quasi pernulla sulla scena: la sposa non è mai

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“E chinato il capo emise lo Spirito”

Lo splendoreglorioso di Dio è lo splendore

dell’amore che resta fedele fino al completo

dono di sé

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FOCUS BIBLICO

menzionata (più avanti vedremo per-ché) e lo sposo è citato solo una vol-ta al v. 9, quando il maestro di tavolalo chiama per dirgli che aveva conser-vato il vino buono, ma l’evangelistaimplicitamente lo identifica con Gesù,è stato questi infatti a conservare il vi-no buono, anche se il maestro di ta-vola erroneamente pensa di-versamente. La madre di Gesù occu-pa un posto molto importante sullascena, ma solo nel passo iniziale, poiscende nell’ombra, facendo agire il fi-glio, per ricomparire alla fine: “Dopoquesto fatto, discese a Cafarnao insie-me con sua madre” (Gv 2,12). Si notiche anche in questi passi Maria non èmai chiamata per nome, ma è chia-mata sempre «madre di Gesù», quindila sua importanza e grandezza dipen-dono da Gesù, dal figlio suo. I servipoi che compaiono nel brano sonoesecutori docili degli ordini di Gesù ei discepoli sono spettatori passivi. Inquesto episodio allora in primo pianoc’è solo Gesù: è lui che comanda, èlui che opera tale segno straordinario;lui e basta.

Alle nozze di Cana Gesù si mani-festa come il Messia atteso, il MessiaDivino, un Messia che supera tutte leattese. Il segno del vino mette in pie-na luce questa dignità messianica diGesù. Giustamente la narrazione è at-tenta ad alcuni particolari, come l’ab-bondanza del vino, il fatto che essosostituisca l’acqua preparata per leabluzioni rituali (segno dell’antica leg-ge), il contesto di banchetto nuziale incui avviene il segno. Sono, questi, tut-

ti tratti messianici: Gesù è il Messiadella nuova Alleanza, delle nuova leg-ge, Gesù è lo sposo messianico. I di-scepoli potevano percepire facilmenteil significato messianico del segno:l’abbondanza e la squisitezza del vinonon potevano non evocare sponta-neamente dentro di loro la felicità deitempi messianici, caratterizzata daogni dono e benedizione divina. Ma sinoti subito un particolare importante:nella messianicità di Gesù è contenu-ta l’idea di un cambiamento: c’è qual-cosa di vecchio (l’acqua) che deve ve-nir meno per lasciare posto a qualco-sa di nuovo (il vino).

5. Un vino nuovo e abbondante

L’acqua destinata ai riti di purifica-zione giudaici è stata sostituita da unvino che è migliore di ogni altro offer-to fino a quel momento: ma non solofino a quel momento delle nozze ce-lebrate a Cana, ma fino a quel mo-mento in assoluto. Un vino che con lasua qualità e con la sua abbondanzarivela ai discepoli di Gesù, in uno sce-nario nuziale, la gloria di Gesù.

Il cambiamento dell’acqua in vinoesprimeva per i discepoli l’idea dellasostituzione della rivelazione di Mosè,della legge antica, dell’antica alleanza,con una realtà, quella che doveva ar-rivare con i tempi messianici. Questolo dicono anche i vangeli sinottici,quando paragonano l’insegnamentodi Gesù ad un vino nuovo, incompa-tibile con gli otri vecchi. Il vino nuovonon può essere messo negli otri vec-chi perché spaccherebbe tutto, ci de-ve essere una novità totale: adesso c’èquesta novità con la presenza di Ge-sù. Ora con la presenza di Gesù, l’ac-qua dell’antica alleanza viene trasfor-mata nel vino della verità evangelica,acquistando il suo pieno significato.

Il vino che manca è l’Alleanza:l’antica legge non ha più forza di sal-vare; le giare per la purificazione sonovuote. Gesù, compiendo questo gestodice che l’economia antica è finita,che c’è una novità che sta entrandonella storia, che con la sua persona staoperando un rinnovamento totale.Tutta questa sezione del vangelo diGiovanni è sotto il segno della novità:non c’è più l’acqua della purificazionema c’è il vino nuovo, non c’è più ilvecchio tempio ma c’è il corpo risortodi Cristo, non c’è più l’acqua del poz-zo di Giacobbe ma c’è l’acqua dellavita, non c’è più il culto in Gerusa-lemme o sul Garizim ma c’è un cultoin spirito e verità.

Siamo davanti all’irruzione dellanovità nella storia dell’uomo, una no-vità radicale. Il vino nuovo è il segnodell’Alleanza nuova. Quello che man-cava ora in Gesù Cristo viene donato.

E questo vino è abbondante,straordinariamente abbondante, anzibisogna dire esageratamente abbon-dante. 600 o 700 litri di vino sonotroppi per la festa di un villaggio, maquesto ci dice che si è inaugurato iltempo messianico dove i beni dellasalvezza abbondano. È la nuova eco-nomia in cui il credente è introdottomediante la fede in Cristo. Questo è ilvero risultato del segno che Gesù

Alle nozze di CanaGesù mostra che con Lui

c’è una novità che sta entrando

nella storia

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compie: i discepoli credono e perquesto entrano nella novità. L’anticoTestamento in merito è molto esplici-to: al tempo del Messia abbonderan-no il vino, il grano e l’olio (Amos 9,13:“Verranno giorni, dice il Signore incui chi ara s’incontrerà con chi mietee chi pigia l’uva con chi getta il seme;dai monti stillerà il vino nuovo e co-lerà giù per le colline”; Gioele 2,24:“Le aie si riempiranno di grano e i tinitraboccheranno di mosto e d’olio”;Gioele 4,18: “In quel giorno le monta-gne stilleranno vino nuovo e latte scor-rerà per le colline”).

Ecco cosa c’è dietro questo segnodel vino nuovo, del vino abbondante:c’è la nuova Alleanza, il vino che man-ca e che Gesù viene a portare è l’Al-leanza nuova. Dunque, il dono del vi-no abbondante, durante la festa nu-ziale a Cana, inaugura i tempi messia-nici, rivelando Gesù come il Cristo e ilFiglio di Dio, ma questo implica chec’è qualcosa di vecchio che deve ve-nire meno per lasciare posto alla suanovità.

6. Il contesto nuziale: Gesù sposo divino

L’ultimo aspetto da esaminare,prima di passare a guardare la figuradi Maria, è il fatto che noi siamo in uncontesto nuziale. Le nozze nella Bib-bia sono l’immagine più bella dell’Al-leanza tra Dio e il suo popolo, un’al-leanza che si esprime in un amore

più forte di ogni infedeltà e dellastessa morte.

Il segno di Cana è stato operato inoccasione di una festa nuziale, ora, sesi tiene conto dello sfondo profetico,secondo il quale l’era messianica èpresentata come una celebrazione nu-ziale, nella quale i beni messianici sa-rebbero stati donati con abbondanza,appare evidente che Giovanni abbiavoluto presentare Gesù come lo Spo-so-Messia, che realizza le attese del-l’antica alleanza.

Il passo di Gv 2,10 (“Tutti servonoda principio il vino buono...”) insinuaquesta tematica; qui infatti il Cristo im-plicitamente è descritto come lo spo-so, con l’accorgimento dell’equivocitàvoluta, perché l’autore del vino buo-no conservato per la fine è proprioGesù. La liturgia già da molti secoli hainterpretato in questo senso il segnodi Cana, allorché proprio nel giornodell’Epifania fa cantare l’antifona: Og-gi la Chiesa, lavata dalla colpa nel fiu-me Giordano, si unisce a Cristo, suoSposo, accorrono i magi con doni allenozze regali e l’acqua cambiata in vi-no rallegra la mensa (Epifania del Si-gnore, antifona al «Benedictus»).

Nella Bibbia infatti l’era messianicaè descritta come una festa nuziale, os-sia come un’epoca felice nella qualeabbondano la gioia e la salvezza (Isaia54,4-8: “Tuo sposo è il tuo creatore...”;Is 62,4-5: “Nessuno ti chiamerà piùAbbandonata, né la tua terra sarà piùdetta Devastata, ma tu sarai chiama-ta Mio compiacimento e la tua terra,Sposata, perché il Signore si compia-cerà di te e la tua terra avrà uno spo-so. Sì, come un giovane sposa una ver-gine, così ti sposerà il tuo architetto;come gioisce lo sposo per la sposa, cosìil tuo Dio gioirà per te”). Anzi nel NTGesù è chiamato lo sposo (Matteo9,15: “Possono forse gli invitati a noz-ze essere in lutto mentre lo sposo è conloro?”). Giovanni riecheggia questoelemento della tradizione antica,quando dal Battista fa presentare Ge-sù come lo sposo che ha la sposa

(“Chi possiede la sposa è lo sposo; mal’amico dello sposo, che è presente el’ascolta, esulta di gioia alla voce dellosposo. Ora questa mia gioia è compiu-ta”, Gv 3,29).

Queste nozze anonime, in cui nélo sposo né la sposa hanno volto ovoce, sono figura dell’antica Alleanza:Gesù, il nuovo sposo, è presente nel-le antiche nozze. In esse annuncia ilcambiamento dell’Alleanza, che avràluogo nella “sua ora”.

E la sposa? Dov’è la sposa? Maria ei discepoli, uniti a Gesù per la fede,sono la sposa. La sposa dunque è laChiesa, siamo noi la sposa. In questoracconto la sposa c’è ed ha anche unvolto: il nostro. Sotto la croce ritrove-remo questa sposa: c’è Maria, c’è il di-scepolo che Gesù ama (cioè tutti i di-scepoli rappresentati in Giovanni) ec’è Gesù. Ecco la Chiesa, la sposa chesi unisce allo sposo in questa nuovaalleanza per poi trasmettere quelloche ha visto, quello che ha udito, ciòche ha creduto.

7. Conclusione

Riassumendo quanto detto, nelsegno di Cana ci viene mostrato: chel’uomo è ricreato nella fede in Gesù;che in Lui ci viene donata la nuovaAlleanza; che si anticipa l’ora dellagloria di Gesù, gloria che è amore efedeltà e che si esprime nel servizio;che per accogliere questa novitàqualcosa di vecchio deve venir me-no; che i tempi messianici, le nuovenozze, sono giunte e che la sposasiamo noi se per la fede aderiamocon Maria a Gesù.

È partendo da questo contesto cheora noi, nella seconda parte di questariflessione, proveremo a guardare Ma-ria: come agisce, come accoglie lamanifestazione di Gesù e cosa ha dadire a ciascuno di noi.

* Sacerdote, membro «anziano» della Comunità Magnificat

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“E chinato il capo emise lo Spirito”

L’acqua cambiata in vino rivela

che c’è qualcosa di vecchio che deve

venire meno per lasciare posto

alla novità

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Come Maria, portare Cristo

Il primo significato dell’essere cri-stiano non è orientato verso il «fare».L’autenticità della chiamata cristiananon consiste nel «fare» qualcosa chelo definisca, nemmeno moralmente,come cristiano. Nella Lettera a Dio-gneto si dice dei primi cristiani chené per regione, né per voce, né per co-stumi sono da distinguere dagli altriuomini. Infatti, non abitano cittàproprie, né usano un gergo che si dif-ferenzia, né conducono un genere divita speciale. La loro dottrina non ènella scoperta del pensiero di uominimultiformi, né essi aderiscono aduna corrente filosofica umana, comefanno gli altri. Vivendo in città gre-che e barbare, come a ciascuno è ca-pitato, e adeguandosi ai costumi delluogo nel vestito, nel cibo e nel resto,testimoniano un metodo di vita so-ciale mirabile e indubbiamente pa-radossale («Lettera a Diogneto», V, acura di Manlio Simonetti, «Letteratura

cristiana antica», Vol. I, Piemme, Ca-sale Monferrato, 1996, p. 171). Il «fa-re», dunque, non è il punto di par-tenza nella vita cristiana, ma è unaconseguenza dell’essere qualcosa. Ese il primato è dell’essere, allora chisono i cristiani?

I cristiani della prima ora

Nei primi secoli le prime genera-zioni di cristiani pensavano di sé e an-che gli altri pensavano così di loro:

portatori di Cristo, portatori di Dio,«christoforoi», nella lingua greca,«theoforoi». Questo vuol dire che nonun certo comportamento e, in un cer-to senso, nemmeno una certa dottrinaqualifica come prima istanza i cristia-ni, ma il loro essere «Cristo», cioè cor-po di Cristo. È molto importante pren-dere coscienza di questo fatto, in mo-do che il nostro comportamento sifondi su questa fede, in modo che vi-ta e annuncio scaturiscano da qui.

Se il primo significato dell’essere

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FOCUS PASTORALE

NELLA NOSTRA VITA QUOTIDIANA

> Padre Victor-Emilian Dumitrescu*

L’autenticità dellachiamata cristiana

non consisteprincipalmente

nel fare qualcosa ma nell’essere

Venite e Vedrete 93 - III - 07

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cristiani è quello di essere “portato-ri”, il secondo è quello di essere“portati” o essere “condotti”. In chesenso? Nello stesso senso in cui ilVangelo testimonia su Gesù che, do-po aver ricevuto il battesimo “fucondotto dallo Spirito nel deserto”(Mt 4,1). Una volta che siamo statiincorporati in Gesù e avendo ricevu-to lo Spirito Santo, dovremmo esse-re sotto la sua guida: “Voi, però, nonsiete sotto il dominio della carne, madello Spirito, dal momento che lo Spi-rito di Dio abita in voi” (Rm 8,9). Chisono i figli di Dio? Sono “tutti quelliche sono guidati dallo Spirito di Dio”(Rm 8,14).

Essere “portatori di Cristo” e “gui-dati dallo Spirito”, sono le due carat-teristiche che qualificano l’essere cri-stiano.

In cammino con Maria

Maria, come sempre, è modellodel cristiano autentico, e come Leianche noi possiamo imparare a vive-re concretamente questa nostra iden-tità. Anche Lei, ad un certo momen-to, «nella pienezza dei tempi», è di-ventata portatrice di Cristo per operadello Spirito Santo. Analogamente,anche per noi, arriva il momento diquesto “concepimento” della Parolafatta carne in noi per opera dello Spi-rito Santo. Questo momento per noiè il sacramento del Battesimo. È que-sto il momento in cui siamo diventa-ti portatori di Cristo. Si verifica, in uncerto senso, come una gravidanzache ha come obiettivo di far crescere

Cristo in noi, portarlo per il mondo eoffrire il mondo a Dio “in sacrificiodi soave odore” (Ef 5,2).

C’è però una differenza tra Mariae noi, per quanto riguarda il consen-so e la coscientizzazione di questomistero. Il consenso di Maria, il suo“sì”, è stato dato prima del concepi-mento di Cristo in Lei, anche se poianche Maria visse il suo cammino difede nel far crescere Gesù, nel porta-re Gesù, nell’offrire Gesù. Il consen-so di Maria è stato dato a nome del-l’intera umanità e non solo a nomesuo. Con Lei l’incarnazione del Verboin noi è diventata possibile per ognu-no di noi. Ma noi abbiamo bisognodi renderci conto del Battesimo cheabbiamo ricevuto, cioè del fatto cheCristo abita in noi, che c’è questagravidanza in atto, da portare a ter-mine e poter dire con Paolo “Non so-no più io che vivo, ma Cristo vive inme” (Gal 2,20).

Questa riscoperta del Battesimo,questa convinzione paolina, l’abbia-mo avuta quando il Signore ci ha fat-to fare l’esperienza dell’amore di Dioper mezzo di una rinnovata effusio-ne dello Spirito Santo.

Abbiamo scoperto in quel giornoche siamo «incinti» e che dobbiamofar nascere Cristo. In una omelia,

Giovanni Paolo II spiegava: Avendoricevuto il Consolatore che è lo Spiri-to di verità gli Apostoli hanno cono-sciuto di non essere orfani; hannoconosciuto che Cristo è venuto in lo-ro: Egli è nel Padre ed essi in Lui poi-ché Egli è in loro. Ecco, lui, Cristo, vi-ve, ed essi vivono in Lui (GiovanniPaolo II, Omelia durante la celebra-zione eucaristica coi vescovi dellaPuglia, il 24 maggio 1987).

Da Nazaret ad Ain-Karim

Quale è il nostro compito, unavolta che abbiamo scoperto che Cri-sto abita in noi? Custodirlo. Farlo cre-scere. Entrare in una relazione intimacon Gesù in noi. Pensiamo alla rela-zione di Gesù con Maria, dopo l’An-nunciazione. Non è difficile immagi-narci quanto fosse straordinaria e in-tima: Gesù alimenta la fede di Mariae, nello stesso tempo, si nutre delsangue di Lei. Quanto profondo èstato questo scambio!

Gesù, nel seno di Maria, non èstato inattivo: “Il Padre mio operasempre e anch’io opero” (Gv 5,17).Per un verso il suo operato e la suarelazione erano con Maria, sua Ma-dre; questa possiamo chiamarla ope-ra e relazione «ad intra». Per un altro

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“E chinato il capo emise lo Spirito”

Quando si scopreche Cristo abita in noi, la primapreoccupazione

da avere è quella di farlo crescere

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verso, Gesù si è relazionato e haoperato anche al di fuori di Lei, purrimanendo in Lei; possiamo chiama-re questa relazione «ad extra». Infatti,il Vangelo ci parla anche di una rela-zione misteriosa di Gesù - nel senodi Maria - con Elisabetta e Giovanniil Battista nel seno di Elisabetta: “Ap-pena Elisabetta ebbe udito il saluto diMaria, il bambino le sussultò nelgrembo. Elisabetta fu piena di SpiritoSanto” (Lc 1,41). Gesù, portato daMaria nel suo seno, cioè nel suo cor-po, fa crescere in Lei la fede e la ca-rità, perché “se anche possiedo tuttala fede, sì da trasportare le monta-gne, ma non ho la carità, non sononiente” (1Cor 13,2).

Per percorrere in quei tempi 150km, quanto dista Ain-Karim - doveabitava Elisabetta - da Nazaret, inuno stato di gravidanza, ci volevanoda parte di Maria fede e carità. Magrazie a questa fede messa in praticanella carità, lo stesso Gesù opera l’ef-fusione dello Spirito Santo su Elisa-betta e Giovanni il Battista. E questoin seguito a che cosa? In seguito adun incontro e ad un semplice saluto.Che cosa ha fatto scaturire questa

meravigliosa effusione? La fede diMaria di portare Gesù dentro di Lei ela sua carità che l’ha fatta venire aservire sua cugina in stato di neces-sità. La fede e la carità trasformano ilmondo, fanno riversare lo Spirito sudi esso.

Nella spiritualità della nostra Co-munità Magnificat, Maria è un model-lo di cristiana, la quale, prima di tuttoconcepisce Gesù per opera dello Spi-rito in Lei, per portarlo poi per le viedel mondo. Questa è la vita cristiana:la consapevolezza che Cristo è den-tro di noi e l’Amore che ci porta adoffrirlo a coloro che hanno bisognodi Lui come Salvatore. Essere portato-ri di Cristo, guidati dallo Spirito; eccoche cosa ci insegna Maria, nella sem-plicità di un viaggio di 150 km.

Che meraviglie dovrebbero suc-cedere intorno a noi se vivessimocon la consapevolezza che Cristo èin noi! Che bello vederti come un ta-bernacolo itinerante, continuandol’opera di Gesù per le vie del mondo!Quando sali su un mezzo di traspor-to, è Gesù che prende il bus, o lametropolitana o il treno. E Lui operaa favore della gente che incontri in

quel tratto di strada. E quando entrinell’ufficio dove lavori, con la fedeche porti Cristo in te, l’azienda avràin quel giorno un impiegato in piùche lavorerà in quel giorno per quelpopolo. E quando vorrai unire la fe-de che Gesù è in te con la carità delservizio, che cosa risulterà? Lo stessomiracolo di Ain-Karim: l’effusione

dello Spirito Santo.Mi ha sempre colpito una doman-

da retorica che Gesù aveva pronun-ciato e lasciato senza una risposta:“Ma, il Figlio dell’uomo, quandoverrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc18,8). A quale fede si riferisce Gesù,considerando che fino a quando Egliritornerà, il Vangelo sarà annunciatofino all’estremità della Terra e tuttisapranno di Lui e del suo messaggiouniversale? La risposta è chiamato adarla ognuno di noi per sé. ForseSan Paolo ci potrebbe dare una ma-no, sempre per mezzo di una do-manda: “Esaminate voi stessi se sietenella fede, mettetevi alla prova. Onon riconoscete che Cristo abita invoi?” (2 Cor 13,5).

E se noi abbiamo ancora poca fe-de per «riconoscere che Cristo abitain noi», guardiamo a Maria e imparia-mo da Lei questa fede guidata dall’a-more e chiediamoLe che intercedaper noi, in modo che pure noi pos-siamo diventare portatori di Cristoguidati dallo Spirito d’amore.

* Assistente spirituale della Comunità Magnificat in Romania

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FOCUS PASTORALE

Se Cristo vive in te,egli ti rende

un tabernacoloitinerante: continui

la sua opera nel mondo

La Visitazione di Maria a Elisabetta.

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Permettere a DioGli Atti degli Apostoli, in un certo

senso, sono un po’ ripetitivi. Mi spie-go. Ad ogni effusione dello SpiritoSanto, come in uno schema, segue ladescrizione della vita comunitaria(cfr. 2,42-48; 4,32-35; 9,31; 10,44-48;11,19-26). Dire quindi, come nel tito-lo che mi è stato affidato, che la Co-munità Magnificat è frutto dello Spi-rito, è dire un’ovvietà.

Lo Spirito Santo chiede la parola

Potrei finire qui il mio scritto, maquesto scontenterebbe il signor di-rettore, nonché quei pochi che, do-po aver visto il titolo, l’immagine e lefrasi evidenziate, hanno vinto la ten-tazione di voltare pagina e si sonomessi a leggere queste righe. Perciòcontinuerò a scrivere qualcosa sulfatto (perché di un fatto si tratta) cheha reso possibile quest’opera di Dioche da trent’anni continua a svilup-parsi e lo farò partendo da una opi-nione che mi pare piuttosto impor-tante e pienamente centrata sul no-stro tema.

Tale parere, qui riportato dal te-sto di una catechesi che citerò ab-bondantemente più avanti, fu espres-so nel 1998 da un tal cardinale, cheoggi gode di una certa notorietà: lacomunità è nata perché lo Spirito

Santo, per così dire, aveva chiesto dinuovo la parola. E in giovani uominie in giovani donne risbocciava la fe-de, senza «se» né «ma», senza sotterfu-gi né scappatoie, vissuta nella sua in-tegrità come dono, come un regaloprezioso che fa vivere (Card. JosephRatzinger, Discorso al Congresso deiMovimenti Ecclesiali).

Sì, quel giorno il futuro Papa Be-nedetto XVI, parlava anche alla Co-

munità Magnificat, dicendole la pro-pria origine. Se qualche scettico blupotrebbe obiettare che stava parlan-do a tutti i Movimenti, beh, sappiaquel signore che la Chiesa aveva giàconfermato, con l’approvazione ca-nonica, la Comunità Magnificat, giu-dicando la sua origine nella volontàdivina…

Qualche tempo fa ho sentito Tar-cisio Mezzetti affermare che della

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“E chinato il capo emise lo Spirito”

DI OPERARE UN PRODIGIO

> Giuseppe Piegai*

Papa Benedetto XVI all’incontro con i rappresentanti di Movimenti ecclesiali e Nuo-ve Comunità in piazza San Pietro nel giugno 2006.

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Comunità Magnificat, nella storia del-la Chiesa, in futuro, si parlerà comedi un grande evento di grazia. Lì perlì, onestamente, ho pensato che for-se si trattava di una visione eccessi-vamente entusiastica. Poi, pensando-ci su, ho cambiato parere. QuestaComunità, oggi piccola e dotata diuna buona dose di problemi, ha dav-vero davanti una grande prospettiva.Ma partiamo dall’inizio.

Gli inizi negli anni ’70

In principio, a metà degli anni’70, in seguito ad una travolgenteesperienza carismatica, i primi fratel-li e sorelle di Perugia, per lo più mol-to giovani, cominciarono spontanea-mente a stringere relazioni fraterneintense, a condividere ogni giorno lavita spicciola, alla luce della Bibbia,sotto la continua invocazione delloSpirito Santo.

Chi ha avuto la grazia di ascoltarela catechesi di Susanna Bettelli nel-l’ultima mattina del Convegno gene-rale del gennaio 2007, ricorderà itanti volti rigati di lacrime di commo-zione che contraddistinguevano l’as-semblea al termine delle sue parole.Susanna raccontò quanto spontanea-mente quei privilegiati, tra i quali leistessa, sentissero il bisogno di incon-

trarsi ogni giorno, magari dopo lascuola, per pregare insieme, anche alungo. Sentite un po’.

Guardando alla fine degli anniSettanta vedo ciò che eravamo: ungruppo di giovani adolescenti conqualche papà e mamma che, rinno-vati dal fuoco dello Spirito, senza «se»né «ma», si incontravano per condivi-dere la gioia di aver scoperto Gesù vi-vo e presente in mezzo a noi. Ci riu-nivamo per pregare e pregavamosempre. Quasi ogni giorno vivevamotutti insieme, ma in posti diversi, l’in-contro di preghiera comunitaria: inquei momenti, fortemente carismati-ci, Dio parlava alla nostra vita e mol-ti fratelli, entrando nel luogo doveeravamo riuniti in preghiera, cade-vano in ginocchio, scoppiavano inpianto, riscoprivano dopo anni dilontananza l’amore del Padre, rice-vevano spontaneamente l’effusionedello Spirito.

L’esigenza di stare insieme cresce-va ogni giorno di più e, per anni, ilmercoledì sera, dopo l’incontro di pre-ghiera e la celebrazione eucaristica,scendevamo nelle sale parrocchialiper cenare insieme: erano momenti divera gioia e occasioni preziose percondividere il dono della fede con co-loro che erano arrivati «per caso»,quella sera, all’incontro di preghiera!

In questo semplice racconto c’èmolto di quello che la Comunità,ovunque abbia messo radici, ha mo-strato di realizzare nella vita dei fra-telli e delle sorelle che l’hanno incon-trata prima e scelta poi. Personalmen-te ho vissuto, qualche anno più tardi,qualcosa di simile, qui dove vivo.

Nella nostra Fraternità di Cortonanon avevamo il privilegio di incon-trarci in una chiesa e ci eravamoadattati – senza nemmeno tanta fati-ca – nella sala di un ristorante gestitoda una famiglia di fratelli. Certo, ilcondividere “i pasti con letizia e sem-plicità di cuore” (cfr At 2,46) erapiuttosto facilitato, come s’intuisce,ma un vero clima di unione e vitafraterna quotidiana era davvero evi-dente.

Dal condividere la preghiera e ilcibo però, nell’esperienza che lo Spi-rito stava suscitando, pian piano,senza nemmeno che ci fosse chissàquale consapevolezza, nacque il re-sto. Ecco, di nuovo il racconto di Su-sanna.

L’incontro di preghiera non ci ba-stava, sentivamo il bisogno di condi-videre più in profondità la nostra vi-ta. Abbiamo iniziato, in modo deltutto spontaneo a riunirci nelle casein piccoli gruppi; nella mia casa siriunivano due gruppi, uno il giovedìpomeriggio, uno il venerdì sera, face-vamo revisione di vita senza che nes-suno ce ne avesse parlato: così sononati i «cenacoli»!

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FOCUS PROFETICO-ESPERIENZIALE

“L’esigenza di stareinsieme crescevaogni giorno di più.

Pregavamo, si celebraval’Eucaristia

e si cenava insieme”

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Tutto avveniva per attrazione,nulla per costrizione! Il Signore cichiamava a vivere momenti comunimettendo nei nostri cuori il bisognodi stare insieme: era una esigenzaprofonda incontrarsi, per gioire in-sieme e per portare il fuoco che arde-va dentro di noi ai nostri fratelli!

Tutto ciò che vivevamo nascevadall’esperienza di aver ascoltato inmodo nuovo la Parola di Dio, averlascoperta viva, concreta, aver credutoin essa.

La revisione di vita, l’aiuto reci-proco fatto per amore, l’impicciarsidei fratelli e delle sorelle per andareinsieme – lungo la strada della con-versione – verso Gesù, nascevanospontaneamente, senza che esistes-se un piano stabilito «a tavolino». Omeglio, un piano c’era (e continua,ne sono testimone!, ad esserci), manon a livello umano. Il Signore rive-lava, codificava e illuminava la stra-da percorsa e indicava il prossimopasso. Non attraverso eventi perso-nali soltanto, ma sempre comunitari,come continua a testimoniarci Su-sanna: Dio ha usato dei fratelli e del-le sorelle ben precisi per profetare oper ricevere indicazioni da parteSua, ma è stata la Comunità nel suoinsieme che ne ha confermato l’au-

tenticità, che ha creduto e ritenutovere le indicazioni ricevute. Tuttoquello che siamo è nato da una pa-rola profetica!.

Un dono e un impegno

La Comunità non è solo fruttodello Spirito, ma è anche – e qui na-sce l’impegno per ogni fratello e so-rella a porsi in suo ascolto – stru-mento nelle sue mani per realizzarsie realizzare quanto Dio ha in mente.

Lo Spirito Santo vuole essere l’ani-matore e il santificatore della Comu-nità, il vento delle sue vele, la sua sor-gente interiore di luce, di forza, dicarismi. Sant’Agostino scrive: Senzalo Spirito noi non possiamo né ama-re Cristo né osservare i suoi coman-damenti, e tanto meno possiamo far-lo quanto meno abbiamo di SpiritoSanto, mentre tanto più possiamofarlo quanto maggiore è l’abbondan-za che ne abbiamo. Non è quindisenza ragione che lo Spirito Santoviene promesso, non solo a chi nonlo ha, ma anche a chi già lo possie-de. A chi non lo ha perché lo abbia,a chi già lo possiede perché lo pos-sieda in misura più abbondante.

Si può dunque possedere lo Spiri-to in misura più o meno abbondan-

te: ogni nuova e successiva effusionedello Spirito nella nostra vita corri-sponde a una nuova dilatazione delnostro cuore, per mezzo del quale es-so diventa più capace di accogliereDio e il suo progetto su di noi, singo-larmente, e sulla Comunità. Tuttoquello che ci è donato, la vita stessadella Comunità, è un canale per esse-re continuamente riempiti dallo Spi-rito Santo.

“Sono venuto ad accendere unfuoco sulla terra” (Lc 12,49) ci diceGesù. Egli parla del fuoco dello Spiri-to, un fuoco che non si consuma, unfuoco che illumina, un fuoco che vi-vifica, un fuoco che arde, un fuocoche scalda, un fuoco che divampa…un fuoco che è stato riacceso questigiorni dentro di noi e che dobbiamoportare nelle nostre fraternità, nellenostre famiglie, nel nostro posto dilavoro, in tutti i luoghi dove il Signo-re ci manda.

Le nostre fraternità devono diven-tare fermento di vita nuova, devonomettersi al servizio, secondo i propricarismi, delle realtà dove vivono; se sichiudono in se stesse, prima o poi, di-ventano sterili, incapaci di comuni-care agli altri la vita di Dio. Non dob-biamo inventare niente di nuovo,ma scoprire i nuovi modi che lo Spi-rito suggerisce per far sì che la nostravocazione sia sempre più realizzatae si espanda secondo il progetto diDio, un progetto che va ben oltrequello che possiamo pensare o imma-ginare.

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“E chinato il capo emise lo Spirito”

La comunità è fruttodello Spiritoe strumento

nelle mani di Dio per realizzarequanto Lui ha in mente

Un momento di preghiera alla Conferenza dell’ICCRS per la Pentecoste 2006.

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Mai senza l’altro

Il fuoco che Gesù è venuto a por-tare sulla terra è esattamente la fiam-ma dell’amore divino che lo SpiritoSanto è e manifesta al mondo. Esser-ne toccati, per ciascun membro diComunità, non è e non può che es-serne l’inizio. Jean Vanier – come or-mai molti fratelli e sorelle possonocitare a memoria – dice argutamentee con verità che quando si entra inuna Comunità lo si fa per trovare lapropria felicità, ma vi si rimane perfar felici gli altri. Tutto qui il segretodi una Comunità nata dallo Spirito.Dopo aver sperimentato l’amore diDio, cercarne ancora e ancora fino aquando quell’amore trabocca da noie si riversa sul nostro «prossimo».

Già, il «prossimo»… Perdonate ladigressione, ma ci ho riflettuto unpo’ e poi ho fatto questa banalissimascoperta: Gesù parla del «prossimo»perché sa di che pasta siamo fatti, diquante buone intenzioni ci amman-tiamo con noi stessi e con gli altri,quando diciamo che ameremo i fra-telli più bisognosi che incontreremo,che aiuteremo quelli in difficoltà cheil Signore ci mostrerà… quante bellechiacchiere…

Gesù arriva, sposta il dito dietroil quale ci eravamo nascosti e tran-quillamente ci spiega che, certo, do-vremo amare e aiutare quelli che in-contreremo e che lui ci metterà da-vanti, ma intanto, sarà il caso che ciimpegniamo ad amare il nostro«prossimo», proprio quello che ab-

biamo accanto, proprio «il più vici-no». Non domani, ora.

Questo, ripeto, è il segreto: im-plorare il dono dello Spirito, dell’a-more di Dio, per amare qui, ora, lapersona che sta nel nostro raggiod’azione. Fate la prova, coriacei let-tori di questo articolo. Posate un at-timo la rivista e guardatevi intornofinché non scorgete la persona piùvicina. Appena l’avete inquadrata(oh, forse si tratta di vostra moglie,di vostro marito, di vostro figlio, divostra figlia, di vostro padre, di vo-stra madre…) chiudete gli occhi echiedete al Signore di riempirvi d’a-more per lui o per lei. Alzatevi dallapoltrona e datevi da fare. Non dove-te amare nessun altro ora, solo il piùvicino! Fate nascere in casa vostra laComunità, permettendo a Dio, alsuo Spirito, al suo amore, di operareun prodigio.

Spesso mi chiedono come nasceuna Comunità. Non c’è molto da di-re… dallo Spirito di Dio che scendee prende possesso della nostra vitarendendoci capaci di amare il nostroprossimo, di amarlo davvero.

Così infatti ci dice la parola diDio: “camminate secondo lo Spiritoe non sarete portati a soddisfare i de-

sideri della carne; la carne infattiha desideri contrari allo Spirito e loSpirito ha desideri contrari alla car-ne; queste cose si oppongono a vicen-da, sicché voi non fate quello chevorreste. Ma se vi lasciate guidaredallo Spirito, non siete più sotto lalegge. Del resto le opere della carnesono ben note: fornicazione, impu-rità, libertinaggio, idolatria, strego-nerie, inimicizie, discordia, gelosia,dissensi, divisioni, fazioni, invidie,ubriachezze, orge e cose del genere;circa queste cose vi preavviso, comegià ho detto, che chi le compie nonerediterà il regno di Dio. Il frutto del-lo Spirito invece è amore, gioia, pa-ce, pazienza, benevolenza, bontà,fedeltà, mitezza, dominio di sé; con-tro queste cose non c’è legge” (Gal5,13-23).

Questo è il prodigio che dobbia-mo divenir curiosi di vedere: la so-stituzione, nel nostro cuore e nellanostra vita, di tutti quei pessimi sen-timenti ed azioni conseguenti elen-cate da san Paolo, con l’amore, lagioia, la pace, la pazienza, la bene-volenza, la bontà, la fedeltà, la mi-tezza e il dominio di sé. Tutta robabuona, genuina, direttamente prove-niente dalla fabbrica dell’amore, chesi può richiedere a titolo gratuito,continuamente e in abbondanza.Quando tutta questa merce arriva, ilrisultato di una nuova comunità èassicurato!

* * *

Sei arrivato a leggere fino in fon-do queste righe. Grazie. Adesso, perfar contento me e chi mi ha permes-so di scrivere queste righe, fai unabella cosa: invoca la potenza d’amo-re dello Spirito Santo e vedrai intor-no a te, così come a Gerusalemme ein infinite altre parti del mondo, na-scere la Comunità. Amen.

* Membro anziano Fraternità di Cortona

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FOCUS PROFETICO-ESPERIENZIALE

Quando si entra in una comunità

lo si fa per trovarela propria felicità,ma vi si rimane

per far felici gli altri

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Nati nel sangue Sono momenti non facili per i cri-

stiani nel mondo. Senza voler creareun complesso d’assedio, è vero che ilconfronto tra le religioni e le culturenel contesto attuale non risparmia isuoi martiri. Il caso dell’Iraq è emble-matico: qui i cristiani sono in fuga persalvarsi la vita. Le stesse tensioni si ri-petono in forme diverse in Terra San-ta e in tanti altri luoghi. Come forsefra non molto potranno verificarsi inOccidente, non molto lontano da ca-sa nostra.

Non è perciò fuori luogo rifletteresul significato del martirio nel Magi-stero del Papa in questa edizione di«Venite e Vedrete» dedicata al tema deldono della vita di Cristo: “E chinato ilcapo emise lo Spirito”.

La riflessione di Benedetto XVI sulmartirio va inserita all’interno di quel-la visione che egli ha della storia eche trova le sue radici nel pensiero enell’insegnamento di Giovanni PaoloII esposti soprattutto nel suo ultimo li-bro «Memoria e identità».

Al dilagare del male nel mondo illimite posto da Dio è la misericordia,che è il potere totalmente divino e di-verso che si oppone alla potenza del-le tenebre. Più volte il Santo Padre haripreso e approfondito in questi dueanni di pontificato questa intuizionedel suo predecessore.

Lo scorso anno, durante le vacan-

ze estive in Val d’Aosta, in occasionedi un momento di preghiera nellachiesa parrocchiale di Rhemes-SaintGeorges il Papa ha commentato ilbrano della lettera agli Efesini in cui S.Paolo afferma che “Cristo è la nostrapace” avendo abbattuto il muro dell’i-nimicizia per riconciliare gli uomini.

Se guardiamo alla storia - ha affer-mato - possiamo vedere i grandi santidella carità che hanno creato ‘oasi’ diquesta pace di Dio nel mondo, chehanno sempre di nuovo acceso la sualuce, ed erano sempre di nuovo an-che capaci di riconciliare e di crearela pace. Ci sono i martiri che hanno

sofferto con Cristo, hanno dato questatestimonianza della pace, dell’amoreche mette un limite alla violenza.

La testimonianza dei martiri è dun-que segno visibile del modo di vince-re di Dio, così lontano dai criteri delmondo: Il Signore ha vinto sulla Cro-ce. Non ha vinto con un nuovo impe-ro, con una forza più potente delle al-tre e capace di distruggerle; ha vintonon in modo umano, come noi im-maginiamo, con un impero più fortedell’altro. Ha vinto con un amore ca-pace di giungere fino alla morte. Que-sto è il nuovo modo di vincere di Dio:alla violenza non oppone una violen-

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“E chinato il capo emise lo Spirito”

DEI MARTIRI

IL MAGISTERO CI TRASMETTE LA FEDE

> a cura di don Davide Maloberti

Il Papa Benedetto XVI durante la messa di canonizzazione di Antônio de Sant’AnaGalvão a San Paolo del Brasile, l’11 maggio scorso.

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za più forte. Alla violenza opponeproprio il contrario: l’amore fino allafine, la sua Croce.

Si può dunque dire che i martirisono speranza per il mondo perchétestimoniano che l’amore di Cristo èpiù forte della violenza e dell’odio.

La testimonianza cristiana

Il martirio è dunque la forma piùalta di testimonianza cristiana e il cul-mine del culto spirituale. BenedettoXVI ha parlato di questa missione,che scaturisce dall’incontro con Cri-sto, soprattutto nella esortazione apo-stolica post-sinodale SacramentumCaritatis sull’Eucaristia. L’Eucaristia èinfatti l’alimento da cui veniamo mi-steriosamente cambiati: essa trasfor-ma tutta la nostra vita in culto spiri-tuale gradito a Dio: il nuovo cultospirituale è proprio l’offerta totaledella propria persona in comunionecon tutta la Chiesa.

Per questo motivo la testimonian-za fino al dono di noi stessi, fino almartirio, è sempre stata consideratanella storia della Chiesa come il cul-mine del nuovo culto spirituale. Taleesperienza riguarda ogni cristiano an-che quando non ci viene chiesta laprova del martirio, tuttavia, sappiamoche il culto gradito a Dio postula inti-mamente questa disponibilità e trovala sua realizzazione nella lieta e con-vinta testimonianza, di fronte al mon-do, di una vita cristiana coerente ne-gli ambiti dove il Signore ci chiamaad annunciarlo.

A tale proposito, in occasione del-la visita a Bari per la conclusione delCongresso Eucaristico, il Santo Padreha parlato della vicenda di un gruppodi martiri del quarto secolo come diuna esperienza valida anche per i cri-stiani del ventunesimo secolo. AdAbitene, una piccola città dell’attualeTunisia, 49 cristiani furono sorpresi inuna casa mentre celebravano l’Euca-ristia, nonostante il divieto dell’impe-

ratore Diocleziano: per questo moti-vo furono uccisi dopo atroci torture.

A coloro che l’interrogavano sulmotivo che li aveva spinti a trasgredi-re l’ordine dell’imperatore, uno di lo-ro rispose: senza domenica non pos-siamo vivere: con il loro martirio con-fermarono la loro fede. Neppure pernoi è facile vivere da cristiani - ha sot-tolineato il Papa -, anche se non cisono questi divieti dell’imperatore.Ma da un punto di vista spirituale, ilmondo in cui ci troviamo, segnatospesso dal consumismo sfrenato, dal-l’indifferenza religiosa, da un secola-rismo chiuso alla trascendenza sem-bra riproporre il clima duro e asprodei primi secoli della Chiesa. Anche ilsecolo ventesimo che abbiamo appe-na lasciato alle spalle, è stato un tem-po di martirio.

Seme di nuovi cristiani

Anche oggi dunque, come in ognitempo, seguire Cristo, camminare sul-le sue orme, comporta essere confor-mati alla passione di Gesù: come nonriconoscere che anche in questo no-stro tempo, in varie parti del mondo,professare la fede cristiana richiedel’eroismo dei martiri? Come non direpoi che dappertutto, anche là dovenon vi è persecuzione, vivere concoerenza il Vangelo comporta un altoprezzo da pagare?

In occasione della festa del proto-martire Santo Stefano il Papa ha fattonotare che nei primi quattro secoli delcristianesimo, tutti i santi venerati dal-la Chiesa erano martiri. Si tratta di unostuolo innumerevole, che la liturgiachiama «la candida schiera dei marti-ri». La loro morte non incuteva paurae tristezza, ma entusiasmo spiritualeche suscitava sempre nuovi cristiani.Per i credenti, il giorno della morte,ed ancor più il giorno del martirionon è la fine di tutto, bensì il «transito»verso la vita immortale, è il giornodella nascita definitiva .

La testimonianza dei martiri, l’ef-fusione del loro sangue, è «seme dinuovi cristiani»: per questo all’iniziodel terzo millennio è lecito attender-si una rinnovata fioritura della Chie-sa, specialmente là dove essa hamaggiormente sofferto per la fede eper la testimonianza del Vangelo.

Come ebbe a dire quando anco-ra era cardinale, in occasione delgiubileo del 2000, a proposito dellanuova evangelizzazione: Gesù nonha redento il mondo tramite parolebelle, ma con la sua sofferenza e lasua morte. Questa sua passione è lafonte inesauribile di vita per il mon-do; la passione dà forza alla sua pa-rola. Così anche fu per San Paolo; ilsuccesso della sua missione non fufrutto di una grande arte retorica odi prudenza pastorale; la feconditàfu legata alla sofferenza, alla comu-nione nella passione con Cristo.

L’evangelizzazione non è quindiquestione in primo luogo di metodoo di tecniche: la legge fondamentaledell’annuncio del vangelo è la leggedella fecondità del chicco di granoche, caduto in terra, muore per por-tare frutto: una madre non può darla vita a un bambino senza sofferen-za. Ogni parto esige sofferenza, èsofferenza, ed il divenire cristiano èun parto. Diciamolo ancora una vol-ta con parole del Signore: Il regno diDio esige violenza, ma la violenza diDio è la sofferenza, è la croce. Nonpossiamo dare vita ad altri, senzadare la nostra vita.

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IL MAGISTERO CI TRASMETTE LA FEDE

La testimonianza di pace

dei martiri è una testimonianza

di amore che mette un limite

alla violenza

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Niente anteporreUna sera all’Incontro di Preghiera

della mia Fraternità mi venne, quasiall’inizio, una profezia: “Nessuno dinoi, infatti, vive per se stesso e nessunomuore per se stesso, perché se noi vi-viamo, viviamo per il Signore, se noimoriamo, moriamo per il Signore. Siache viviamo, sia che moriamo, siamodunque del Signore. Per questo infattiCristo è morto ed è ritornato alla vita:per essere il Signore dei morti e dei vi-vi” (Rm 14, 7-9).

Questa Parola divenne poi il filoconduttore di tutta la preghiera equindi era proprio una profezia che ilSignore voleva darci.

Tornai a casa pieno di gioia per labella preghiera e per l’esperienza vivache il Signore era con noi ed in mez-zo a noi. Ma quella notte non riuscii adormire, anzi non riuscii neppure afare le normali preghiere della sera,perché ogni volta che dicevo “Padre

nostro…” un fiume di pensieri mi at-traversava la mente e non potevostaccare la mia quieta contemplazionedall’amore, che Dio continuamente ri-versa su di noi.

Ad un certo punto mi capitò di ri-flettere su ciò che san Gregorio Ma-gno racconta su san Benedetto: che

passava molte notti nella contempla-zione delle meraviglie di Dio e delsuo amore per noi, sue creature. Lavita di questo grande santo - narratada un altro grandissimo santo - l’ave-vo riletta per l’ennesima volta pochigiorni prima. Sono infatti stato fin dabambino affascinato da san Benedet-to ed anzi nel 1942 ero entrato tra ibenedettini di Assisi per farmi mona-co, ma poi, mancando il cibo, mi am-malai e fui costretto a tornarmene acasa. Alla fine della guerra non rien-trai più nel monastero, ma il miocuore è rimasto per sempre «bene-dettino».

Soprattutto una frase della Regolami rimase però impressa in mente,stampata a fuoco nel mio animo dibambino: Niente anteporre all’amoredi Cristo.1

“Quali sono gli strumentidelle buone opere”

Questo è il titolo del capo IV del-la «Regola» e di per sé è proprio affa-scinante. Mi piace trascriverlo, perchéè una guida molto seria alla riflessio-ne personale, per poter crescere nellavia della santità, e certamente permolti lettori potrebbe essere perfinouna scoperta:

Anzitutto amare il Signore Dio contutto il cuore, con tutta l’anima, con

ALL’AMORE DI CRISTO

I Padri ci insegnano a vivere la Comunità

> a cura di Tarcisio Mezzetti

“Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore

per se stesso perchése noi viviamo, viviamo

per il Signore”

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“E chinato il capo emise lo Spirito”

San Benedetto ci insegna come crescere verso la santità

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I PADRI CI INSEGNANO A VIVERE LA COMUNITÀ

Venite e Vedrete 93 - III - 07

tutte le forze: quindi il prossimo comese stesso.

Poi non uccidere. Non commettere adulterio. Non rubare. Non avere desideri impuri. Non dire falsa testimonianza.Onorare tutti gli uomini.E ciò che non si vuole fatto a sé,

non farlo ad altri.Rinunziare interamente a se stesso

per seguire Cristo.Mortificare il corpo.Non andare dietro ai piaceri.Amare il digiuno.Ristorare i poveri.Vestire l’ignudo.

Visitare l’infermo.Seppellire il morto.Soccorrere il tribolato.Consolare l’afflitto.Farsi estraneo ai costumi del

mondo.Niente anteporre all’amore di Cri-

sto.Non compiere quanto è suggerito

dall’ira.Non riserbare allo sdegno il tem-

po di sfogarsi.Non nutrire inganno nel cuore.Non dare pace falsa.Non abbandonare mai la carità.Non giurare, perché non avvenga

di spergiurare.Dire col cuore e con la bocca la

verità.Non render male per male.Non fare torti, e tollerare paziente-

mente quelli che ci vengono fatti.Amare i nemici.

A quelli che dicono male di noinon ricambiare l’offesa, ma piuttostodirne bene.

Sopportare la persecuzione per lagiustizia.

Non esser superbo.Non indulgere troppo al vino.Non al molto cibo.Non al soverchio sonno.Non essere pigro.Non mormoratore.Non maldicente.Riporre la propria speranza in Dio.Se uno scorge in sé qualcosa di

buono, lo riferisca a Dio, non a sestesso.

Il male invece sia convinto d’aver-lo commesso lui e ne ritenga se stes-so responsabile.

Temere il giorno del giudizio.Aver orrore dell’inferno.La vita eterna desiderarla con ar-

dente brama spirituale.La morte averla ogni giorno in so-

spetto dinanzi agli occhi.Vigilare in ogni momento gli atti

della propria vita. Tenere per certo d’esser veduto da

Dio in ogni luogo.I cattivi pensieri che si affacciano

alla mente, subito spezzarli su Cristo emanifestarli al padre spirituale.

Custodire la propria lingua da cat-tive e scorrette parole.

Non amare di parlare molto.Non pronunziare parole frivole o

eccitanti al riso.Non amare di ridere molto e smo-

datamente.Ascoltare volentieri le sante letture.Attendere spesso all’orazione.Le colpe passate confessarle ogni

giorno a Dio con lacrime e gemiti nel-la preghiera.

Delle medesime colpe poi emen-darsi per l’avvenire.

Non appagare le voglie della carne. Odiare la propria volontà.Obbedire in tutto ai voleri dell’a-

bate, anche se egli da parte sua - nonsia mai - operi diversamente, memoridi quel precetto del Signore: “Fatequello che dicono, ma non fate quelloche fanno”.

Non voler essere detto santo pri-ma di esserlo, ma prima esserlo, per-ché lo si possa dire con più verità.

Osservare ogni giorno con i fatti icomandamenti di Dio.

Amare la castità. Non odiare alcuno.Non nutrire gelosia.Non assecondare l’invidia.Non avere gusto di contendere.Fuggire l’alterigia.E rispettare i vecchi.Amare i giovani.Nell’amore di Cristo pregare per i

nemici.Con chi si è avuta una lite tornare

in pace prima che tramonti il sole.E nella misericordia di Dio non di-

sperare giammai.Ecco, son questi gli strumenti del-

l’arte spirituale. E se saranno stati danoi giorno e notte assiduamente ado-perati e nel dì del giudizio riconsegna-ti, ci verrà data in premio quella mer-cede che Egli stesso promise: “Né oc-chio ha mai visto, né orecchio ha maiudito, né mente d’uomo ha potutoconcepire ciò che Dio ha preparato perquelli che lo amano”. L’officina poi,dove usare con diligenza tutti questistrumenti, sono i recinti del cenobio ela stabilità nella famiglia monastica.2

I cattivi pensieri che si affacciano alla mente, subitospezzarli su Cristo

e manifestarli al padre spirituale

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Naturalmente queste raccomanda-zioni vengono tutte dalla Parola di Dioe in tal modo il santo abate, mio illu-stre corregionale, intendeva presenta-re la vita che sognava per i suoi disce-poli. Credo perciò che tutte questeraccomandazioni debbano essereidenticamente meditate e applicate,anche da noi che viviamo nella Co-munità Magnificat, perché, come i mo-naci di san Benedetto, siamo soggettiall’insidia e al peso delle miserie uma-ne. «La Regola» poi si conclude con ilcapo LXXII, che recita così: Come vi èun maligno zelo di amarezza che al-lontana da Dio e conduce all’inferno,così vi è uno zelo buono, che allonta-na dai vizi e conduce a Dio ed alla vi-ta eterna. Ed è dunque in questo zeloche i monaci devono esercitarsi conardentissimo amore: si prevenganocioè l’un l’altro nel rendersi onore;sopportino con somma pazienza a vi-cenda le loro infermità fisiche e mora-li; si prestino a gara obbedienza reci-proca; nessuno cerchi l’utilità propria,ma piuttosto l’altrui; si voglia bene atutti i fratelli con casta dilezione; tema-no Dio nell’amore; amino il loro abatecon sincera ed umile carità; nulla as-solutamente antepongano a Cristo, ilquale ci conduca tutti alla vita eterna”.3

“Dobbiamo dunque costituire una scuola

di servizio del Signore”

San Benedetto vede perciò la vitadel monaco come una scuola di servi-zio del Signore, ma ciò che va chiaritosubito è il senso vero che bisogna da-re alla parola «scuola». La «scuola» dicui parla san Benedetto, in realtà, nonha nulla da spartire con il nostro con-cetto di «scuola», ma forse avrebbe unsignificato più vicino al termine «ap-prendistato». Infatti si tratta di creareun ambiente adatto a far fermentarelo spirito, fino a condurlo alla santità.Il segreto non è quello di avere unprogramma da svolgere in un certo

periodo e poi, se non si fosse rag-giunto un traguardo prefissato, alloraall’allievo, o meglio allo «studente»(colui che impara studiando), vienefatto ripetere l’anno. Per san Benedet-to la «schola Christi» è quel camminoin cui si cerca di imitare Cristo, secon-do ciò che la meditazione della Paro-la di Dio presenta dinanzi alla menteed al cuore del monaco.

I santi infatti non si fanno con iprogrammi ministeriali, o con lo stu-dio e con i voti. Se pensiamo peresempio a Giovanni Maria Vianney,più noto come «il santo curato d’Ars»,bisogna rendersi conto che fu caccia-to dal seminario di Lione, per totaleinsufficienza negli studi. Era il più asi-no di tutta la classe ed a latino eraproprio un disastro. Con l’aiuto di d.Balley, suo grande sostenitore, riesceinfine a diventare sacerdote. Mandatogiovane prete ad Ars, un villaggio unatrentina di chilometri da Lione, tra-sforma tutto il paese. Si nutre solo dipatate fredde e di gallette, dorme perterra e sta ore dinanzi al tabernacolo.Quest’uomo che irradia dal voltoun’immensa bontà, un’umiltà infanti-le, una pazienza inesauribile, è unaperfetta trasparenza di Dio. Se avessedovuto essere misurato sui risultatiscolastici, avrebbe lavorato la terra eoggi noi non lo conosceremmo. Inve-

ce lui risana i malati, legge nei cuoried ha spirito di profezia.

La sua giornata cominciava all’unaed era spesa tutta nella preghiera, nelconfessionale, nella catechesi, nellavisita ai malati, si concludeva con unapreghiera della sera così toccante, chetutti i presenti piangevano. È la provaevidente dell’eroismo di una vita spe-sa tutta per gli altri, oltre il limite del-le forze umane. Bastava vederlo persentire Dio.

Volot, parlando di lui, scrive: Duecose non si può fare a meno di con-templare: il suo sguardo celeste, limpi-do, ma penetrante e il suo sorriso inal-terabile. Quest’uomo non ha l’aria diappartenere alla terra. Ci si inginoc-chia senza volerlo davanti a lui.

Tutto ciò è evidente che non si ot-tiene con una «scuola». San Benedettolo aveva compreso benissimo, tantoche S.E. Mons. Ottorino Pietro Alber-ti, vescovo di Norcia, scrive: Con ilsuo insegnamento, affidato prima chealla parola detta e scritta, all’esempiodella sua vita, san Benedetto pose le si-cure basi per la rinascita della societàdel suo tempo, avviata ad un processodi involuzione caotica, e aiutò i suoicontemporanei a riscoprire i valorifondanti una nuova civiltà: quelladell’amore annunciato e portato daCristo. Ma poiché i princìpi che ispira-no e sostanziano il messaggio bene-dettino sono quelli universali e immu-tabili del vangelo, è facile giustificarel’affermazione che san Benedetto puòessere preso come esempio, cui riferir-si per superare il disorientamento e la

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“E chinato il capo emise lo Spirito”

I santi non si fannocon programmi

ministeriali. Lo dimostral’esperienza

del curato d’Ars

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I PADRI CI INSEGNANO A VIVERE LA COMUNITÀ

confusione del momento storico chestiamo vivendo, e per ritrovare, con lasperanza, l’intelligenza e il coraggioper le scelte di civiltà che tutti oggi sia-mo chiamati a fare.4

Sono convinto che questa sia unadelle principali ragioni per cui il Si-gnore ha voluto l’esistenza della Co-munità Magnificat. In ultima analisisan Benedetto, in realtà, non si disco-sta punto da san Pietro che scrive:“Esorto gli anziani che sono tra voi,quale anziano come loro, testimonedelle sofferenze di Cristo e partecipedella gloria che deve manifestarsi: pa-scete il gregge di Dio che vi è affidato,sorvegliandolo non per forza ma vo-lentieri secondo Dio; non per vile inte-resse, ma di buon animo; non spadro-neggiando sulle persone a voi affida-te, ma facendovi modelli del gregge”(1 Pt 5, 1-3).

La scala dell’umiltà di san Benedetto

Ho notato tante somiglianze tra lachiamata di san Benedetto e la no-stra. Mi piacerebbe ora metterne inluce una parte.

«La scala dell’umiltà», secondo sanBenedetto, era fissata in dodici gradi-ni e partiva dall’interno per giungereall’esterno (san Tommaso, commen-tando la scala di san Benedetto,5 neinvertirà l’ordine). È la seguente: 1)Timore santo di Dio; 2) Amore per lavolontà di Dio; 3) Obbedienza allavolontà del superiore; 4) Obbedienzae sottomissione nelle ingiurie; 5) Con-fessione dei pensieri cattivi al supe-

riore; 6) Scelta delle cose più vili; 7)Scelta dell’ultimo posto nella stimadel cuore; 8) Conformità perfetta agliusi del monastero; 9) Silenzio abitua-le; 10) Moderazione del riso; 11) Bre-vità e saggezza nel parlare; 12) Atteg-giamento umile, come in presenzadel tribunale di Cristo.

A rifletterci, quanto c’è da impa-rare da san Benedetto! Mi piacerebbeperciò che anche la Comunità Ma-gnificat fosse in grado, imparando dalui, di proporre una sua «scala» per ilraggiungimento dell’umiltà, una «sca-la» che serva ad indicare un camminosicuro che conduca alla santità tutti isuoi membri. In considerazione dellenostre «Quattro Promesse», ben di-verse dai voti classici dei benedettini,tenterò perciò di tracciarne i vari gra-dini;1. Timore santo di Dio;2. Amore per la volontà di Dio;3. Amore alla volontà del superiore;4. Amore, sottomissione e perdono

anche nelle ingiurie e nelle situa-zioni sgradevoli;

5. Revisione di vita vera con il fra-tello/sorella di sostegno, rivelan-do anche i pensieri di non perdo-no o di scarsità d’amore verso imembri della Comunità, sia peressere aiutati personalmente, che

per riparare o restaurare eventua-li danni al tessuto comunitario;

6. Scelta gioiosa delle cose più umi-li;

7. Scelta dell’ultimo posto nella sti-ma del cuore, non ricercandomai posizioni di prestigio, premi-nenza o autorità;

8. Conformità perfetta agli usi dellaComunità in cui si vive;

9. Coltivare l’abitudine a momentidi silenzio per imparare a medi-tare la Parola, sempre in vista dicome far crescere l’amore nel-l’ambiente comunitario in cui siopera;

10. Moderazione nei momenti gioio-si, facendo attenzione a che nes-suno si senta escluso o emargina-to, e chi fosse nel dolore possasentire fortemente l’amore di tuttigli altri;

11. Gentilezza e saggezza nel parla-re, perché nessuno risulti feritodalle nostre parole. Nella Comu-nità “Corpo di Cristo”, ogni per-sona è Cristo e non sia mai che,con le parole o con l’insensibilità,non sia costruito l’amore e qual-cuno resti ferito;

12. Atteggiamento umile, come inpresenza del tribunale di Cristo.

Se così cominciassimo ad opera-re, credo che grandi benefici rica-drebbero su tutta la Comunità; alloranon solo il nostro cammino verso lasantità sarebbe più evidentementeindicato, ma anche la Comunità Ma-gnificat scoprirebbe meglio la sua ca-ratteristica vocazione.

NOTE

(1) SAN BENEDETTO, La Regola, capo IV, 21.(2) ibid., capo IV.(3) ibid., capo LXXII.(4) OTTORINO PIETRO ALBERTI, introd. a Be-

nedetto da Norcia di S. Gregorio Ma-gno, Ed. TI.E.S.S., a cura dei PP. Bene-dettini di Subiaco, nel XV centenariodella nascita di san Benedetto, 1980.

(5) S. TOMMASO D’AQUINO, Summ. Theol.,II-IIae, CLXI, 6.

E’ possibile rileggerele promesse

della Comunità alla luce della regola

di San Benedetto

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“Assetati dell’amore di Dio”Padre Alberto, gesuita argentino

e fondatore della «Comunidad deConvivencias con Dios» è uno deipionieri del Rinnovamento Carisma-tico Cattolico in Argentina e in Ame-rica.

Dopo aver fatto l’esperienza delBattesimo nello Spirito alla fine deglianni ’60, si è dedicato all’evangeliz-zazione e alla diffusione del Rinno-vamento in Argentina e in diversiPaesi dell’America Latina ed Europa,dapprima con la fondazione di oltrecento gruppi di preghiera e con la

predicazione delle Convivenze conDio, una serie di ritiri per la crescitadella spiritualità carismatica. Quindi,nel 1977, fonda la Comunidad deConvivencias con Dios, una scuoladi preghiera, di apostolato e di vitaoggi presente in 9 nazioni.

Evangelizzatore internazionale, P.Alberto ha anche scritto numerosi li-bri sulla preghiera carismatica, spe-cialmente sul dono del canto in lin-gue. Lo abbiamo incontrato a Roma,in occasione della sua visita in Italiaper tenere alcuni insegnamenti per un

seminario di formazione per respon-sabili carismatici cattolici organizzatodall’ICCRS. Gli abbiamo chiesto diparlarci della Pentecoste giovannea, ein particolare dell’azione dello SpiritoSanto che Gesù promise scaturire dalsuo Cuore come acqua viva.

— Gesù, morendo sulla croce, mi-sticamente “emise lo Spirito”(cfr. Gv 19,30) e dal suo costatotrafitto dalla lancia “ne uscì san-gue ed acqua” (Gv 19,34). MaGesù aveva già promesso questodono quando – come riferisce Gio-vanni – levatosi in piedi gridò agran voce: “Chi ha sete venga ame e beva chi crede in me, co-me dice la Scrittura: fiumi di ac-qua viva sgorgheranno dal suoseno” (Gv 7,37-38). Se Gesù fossequi oggi, nel 2007, e facesse que-sto annuncio agli uomini e alledonne del nostro tempo, quali sa-rebbero le reazioni?

Tutti hanno sete di Dio, ma la se-te di alcuni è molto diversa dalla se-te di altri. Molti oggi hanno sete so-prattutto di piaceri materiali. Maquando uno consuma droghe, fumoo sesso, avrà di nuovo sete, perchéqueste cose non riescono a soddisfa-re pienamente il cuore dell’uomo.Perciò molti sono sempre in ricerca,fino a provare una sorta di nausea,

INTERVISTA A PADRE ALBERTO IBÁÑEZ PADILLA S.J.> di Antonio Montagna

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“E chinato il capo emise lo Spirito”

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senza conoscere veramente il finedella propria vita.

Ma ci sono altri che hanno sete enostalgia di una felicità vera, e sonoalla ricerca di valori profondi. Alcunidi loro sono già cristiani cattolici, al-tri sono poveri di conoscenze spiri-tuali, ma hanno questo anelito, percui forse cadono nella new age o informe di spiritualità alternative. Que-sti sono più ricettivi all’annuncio diGesù e quando viene loro offerta larisposta di Cristo alle loro domande,sono più pronti a ricevere. Sono inmolti oggi coloro che possono rice-vere il dono che Gesù promette. Èpossibile una nuova Pentecoste peril mondo di oggi.

— Oggi questo annuncio di sal-vezza di Gesù è perpetuato dallaChiesa, ma talvolta si sente unoslogan venire da molti, anche traquelli che sono in ricerca, ovvero:«Dio sì, Chiesa no». Di cosa ha bi-sogno oggi la Chiesa, noi stessi, peressere canale efficace e credibiledi questa «acqua viva» promessada Cristo?

Per questo è necessaria una nuo-va Pentecoste per la Chiesa. Ci sonolaici, sacerdoti e religiosi, che hannobisogno di fare un’esperienzaprofonda del Dio Amore. La primaesperienza necessaria in un processodi conversione è proprio quella cheDio è Amore.

Karl Rahner diceva che il cristia-no del futuro o è un mistico o non è

un cristiano. Il cristiano per tradizio-ne o per discendenza, senza una fe-de forte, è una specie in via di estin-zione, perché viene inesorabilmentedivorato dal mondo; non c’è postoper queste specie «deboli». Ma ci so-no anche cristiani forti, pieni di Spiri-to Santo. Per esempio nelle comunitàcristiane o nei movimenti ecclesiali.Noi siamo cristiani felici, realizzatinei nostri ideali, come gli apostoli ilgiorno di Pentecoste. Nel nostro «ce-nacolo» siamo pieni di Spirito. Allostesso modo ci sono mille altri cena-coli, e in questi, persone piene diSpirito Santo.

Quando lo Spirito ordinerà lorodi uscire dai cenacoli e di inondare«Gerusalemme», ne vedremo moltitu-dini. Ora purtroppo non ci amiamoabbastanza, amiamo solo quelli delnostro Cenacolo, e forse ignoriamogli altri. Ma quando ci ameremo conl’amore che il mondo desidera e lagente dirà «guardate come si amano»,allora il mondo potrà credere che ilSignore è venuto a salvare. Questo èciò che manca: l’unità nell’amore contutti coloro che sono pieni di SpiritoSanto come noi.

Voglio dunque invitarvi all’ecume-nismo spirituale. C’è un ecumenismo«istituzionale», attento a che non ci sia-no scismi; c’è poi un ecumenismodottrinale, attento a che non ci siano

eresie. Rispetto e amo chi è impegna-to in questi campi, ma a me basta unecumenismo dell’amore e della gra-zia: per essere tutti uniti a Dio bastacredere che Lui è il Signore dell’amo-re. Molti di noi già amano così Dio e ifratelli. Se poi abbiamo molti punti incomune dal punto di vista dottrinale,meglio ancora, potremo anche prega-re e lavorare insieme per progetti diDio. Ma questa unità nel Corpo di Cri-sto si può operare anche con coloroche non hanno mai sentito parlare diCristo; persino con i musulmani, sesono sinceri nella coscienza e sonocapaci di dare la vita per Dio, possia-mo essere uniti nella grazia di Dio.Forse non conosci Cristo, ma l’amoreper Dio che tu hai dentro è la provache sei salvato e che sei nella graziadi Dio. Questo amore è frutto delloSpirito che Gesù ha donato alla Chie-sa per la sua morte redentrice. Lo Spi-rito Santo diffonde il suo amore nonsolo su noi cristiani ma su tutti coloroche sono capaci di riceverlo.

— Gesù sulla croce ha effuso tut-to il suo amore e ha compiuto finoin fondo la sua missione salvificaper l’uomo ferito dal peccato. Dioha avuto una profonda «compas-sione» per l’uomo. Cos’è la «com-passione» nel cuore di Dio e cosamuove Dio a compassione?

Occorre una nuovaPentecoste

per la Chiesa. Laici,sacerdoti e religiosi

hanno bisogno di un’esperienza del Dio Amore

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Il Santo Padre nella sua prima En-ciclica «Deus Caritas Est» ha fatto que-sta riflessione sull’amore viscerale diDio, la sua compassione e la sua sen-sibilità per la nostra miseria, ma perla verità Dio non può soffrire, perchéè infinitamente felice e immutabile,questo è un antropomorfismo, il lin-guaggio biblico si adegua alla nostradimensione di creature. Ma Dio hamostrato che ama le sue creature eha voluto scendere e svuotarsi perl’uomo. La misericordia di Dio operaquesta kenosi e così il Signore Gesùmanifesta in gesti umani quello chein Dio stesso è impossibile, ovverosoffrire. Assumendo l’umanità su disè può ora soffrire e persino morire.È questo il dono che ha fatto Maria aGesù a nome di tutta l’umanità – co-me ci dice anche Giovanni Paolo IInella sua enciclica Redemptoris Ma-ter – la possibilità di soffrire e morireper la redenzione del mondo. E an-che noi possiamo aggiungere le no-stre sofferenze e unirle alle sofferen-ze di Gesù.

— San Paolo scriveva ai Colossesi:“Sono lieto delle sofferenze chesopporto per voi e completonella mia carne quello che man-ca ai patimenti di Cristo, a favo-re del suo corpo che è la Chie-sa” (Col 1,24). Cosa significa con-cretamente per noi oggi, dopo qua-si duemila anni dalla morte di Ge-sù sulla croce, completare nella no-stra carne ciò che manca ai pati-menti di Cristo?

Noi non possiamo aggiungereniente all’opera di Gesù Dio, ma pos-siamo aggiungere e completare gliatti di Gesù uomo, che sono finiti elimitati, e perciò possono crescere,come crebbe il fanciullo Gesù. Adesempio, l’uomo Gesù non potevasoffrire i dolori del parto, come ledonne, o subire un incidente d’auto,come gli uomini del nostro tempo. EGesù non ha sofferto neanche le la-crime che io posso aver versato per

le sofferenze della mia vita. Perciò sesono membro del Corpo di Cristo, lecose che io faccio sono anche sue,perché tutto si integra e trova unitànel Corpo mistico di Cristo. Questecose umane poi, se sono anche diCristo, hanno una relazione anchecon la sua divinità, come le parole diGesù uomo sono anche le parole delFiglio di Dio. Perciò è meravigliosopoter divinizzare così tutta la nostraattività di cristiani. Questo è anche ilmistero di Maria che ha potuto esse-re collaboratrice e continuatrice del-l’azione di Gesù, dell’amore di Gesùnella Passione.

— Anche noi dunque, come Maria,possiamo essere collaboratori del-la missione redentrice di Gesù peropera dello Spirito Santo e eserci-tare la compassione di Maria e de-gli apostoli. Quali sono oggi le sof-ferenze che più gridano aiuto aquesto carisma di compassionenelle nostre comunità?

Noi membri delle comunità cari-smatiche abbiamo una sensibilità piùacuta per queste necessità profonde,per questo bisogno di Dio e di tra-scendenza. Forse molti altri cattolicisono più preoccupati per la fame nelmondo, per il bisogno di giustizia,tutte cose importanti, ma questo pa-

ne dell’anima, questa vita sopranna-turale che procede da una nuovaPentecoste, solo Dio può concederlie sta a noi annunciarli: “Chi ha setevenga a me e beva chi crede in me!”.Questa è la missione che dobbiamoavere sempre nel cuore, benché dif-ficile: comunicare e far sperimentareagli altri che Dio è amore ed è la ri-sposta alle domande profonde del-l’uomo di tutti i tempi.

— Vuoi condividere un messaggioche proviene dal carisma della tuacomunità, che quest’anno celebrail 30° anniversario della sua nasci-ta, con i fratelli della ComunitàMagnificat e delle comunità cari-smatiche italiane?

Il nostro ministero è aiutare lagente a vivere con Dio. Vivere le«convivenze» con Dio significa soloavere l’opportunità di fare l’esperien-za di lavorare, parlare, giocare, ama-re, vivere con Dio. Questa esperien-za ha diversi gradi di unione trasfor-mante – come le mansioni di S. Tere-sa d’Avila – fino al matrimonio spiri-tuale. Non è una formula valida soloper qualche Carmelitana o qualchemonaco di un convento, ma un idea-le possibile e desiderabile per tuttinoi cristiani; esso è certamente moltoalto e lontano, ma possiamo iniziaresemplicemente orientando il nostrocammino in questa direzione, senzadistrarci in interessi passeggeri e su-perficiali, ma ordinando i nostri pas-si a questo fine.

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“E chinato il capo emise lo Spirito”

Un nuovo incontrocon l’umanità

e la divinità di Cristoci aiuta a

“divinizzare” la nostra attività

di cristiani

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31Venite e Vedrete 90 - IV - 06

Gli esercizi spiritualiignaziani

1. Presentazione di Giovanni Paolo II

Apriamo questo primo saggio sulpensiero spirituale di Ignazio di Loyo-la con una presentazione sintetica del-la sua immagine ascetica redatta daGiovanni Paolo II in un messaggio in-viato al Generale dei Gesuiti P. Peter-Hans Kolvenbach il 31 luglio del 1990.

1. Sant’Ignazio, quale pellegrino,come amava definirsi, percorse, gui-dato dal suo Signore, padrone dellastoria e degli umani destini, divenen-do, da valoroso cavaliere di un sovra-no terreno, eroico cavaliere del Reeterno, Cristo Gesù. La ferita che ri-portò a Pamplona, la lunga convale-scenza a Loyola, le letture, le riflessio-ni e meditazioni sotto l’influsso dellagrazia, i diversi stati d’animo per iquali il suo spirito passava, operaro-no gradatamente in lui una radicaleconversione: dai sogni di una vitamondana a una piena consacrazio-ne a Cristo, che avvenne ai piedi del-la Madonna di Montserrat e maturònel ritiro di Manresa.

Il pellegrino si recò nella Terra delsuo Signore. Ma non era a Gerusa-lemme che il Re divino voleva tratte-nere Ignazio. Gli anni di studio aBarcellona, Alcalà, Salamanca e Pa-rigi gli fecero comprendere la neces-sità di una solida preparazione spiri-

tuale e intellettuale per un efficaceapostolato, la cui azione pensò di di-latare con la collaborazione di altri,animati dallo stesso spirito sopranna-turale e dalla medesima preparazio-ne dottrinale. Per questo raccolse in-torno a sé a Parigi i primi compagni(tra i quali primeggiava san France-sco Saverio). Con essi, il 15 agosto1534 nella cappella di Montmartre,pronunciò i voti di castità e povertàcon l’impegno di recarsi in Terra San-ta per esercitarvi l’apostolato.

Ma, in quel 1537, le navi non sal-parono da Venezia per la Terra Santaa causa di una guerra che non per-metteva di solcare le vie del mare.Ignazio obbedì così al Signore che lovoleva a Roma, con i suoi compagni,accanto al Papa. Questi li accolse alsuo servizio, così che la nascente Com-pagnia di Gesù si costituì sul precipuofondamento della fedeltà alla Chiesa.

Sant’Ignazio ha scritto che i mez-zi, che congiungono lo strumento diDio e lo dispongono a lasciarsi guida-re dalla sua mano divina, sono piùefficaci di quelli che lo dispongonoverso gli uomini . . . perché sono le do-ti interne che devono rendere efficaciquelle esterne in vista del fine che sipersegue.

Sant’Ignazio visse in se stesso que-sta verità fin dal tempo di Manresa,subito dopo la sua conversione. Lun-ghe ore di orazione occupavano lasua giornata e anche parte della not-te; in esse, sotto l’influsso della graziae con il favore di speciali doni misti-ci, si compì quella sua trasformazioneinteriore che si riflette nel mirabile li-bretto degli “Esercizi spirituali”, di cuiegli fu il primo esercitante così da di-venire un uomo veramente spirituale.

5. Sant’Ignazio non fu soltantouomo di orazione, ma maestro diorazione allo scopo di iniziare anche

PALESTRA DI SPIRITUALITÀ CARISMATICA> Giuseppe Bentivegna S.J.

PETER PAUL RUBENS - S. Ignazio di Loyola.

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gli altri ad “essere contemplativi nel-l’azione”. L’itinerario da percorrere èquello descritto nei suoi “Esercizi spi-rituali”, che riflettono la sua persona-le esperienza e di cui si serviva performare gli altri, cominciando daisuoi primi compagni [...].

Sant’Ignazio non prescrisse lun-ghe orazioni; piuttosto insisteva, co-me negli «Esercizi spirituali», sullamortificazione, che è doveroso cerca-re per quanto possibile in ogni circo-stanza, perché il dominio delle pro-prie passioni facilita l’unione con Dionell’orazione. Di qui proviene l’im-portanza che attribuiva all’esame dicoscienza, da farsi due volte al gior-no, per ottenere una sempre maggio-re purezza d’animo, la quale predi-spone all’unione con Dio.

Gli Esercizi ignaziani, e in genera-le la spiritualità ignaziana, hannosempre goduto grande stima nellaChiesa, come attestano vari docu-menti pontifici, dalla prima approva-zione degli Esercizi col breve «Pasto-ralis officii» di Paolo III (31 luglio1548) all’enciclica «Menti nostrae» diPio XI (20 dicembre 1929), e comeconfermano innumerevoli ecclesiasti-ci e laici, che devono a queste prati-che spirituali l’inizio o il rinnovatoslancio della loro vita spirituale.

2. Un libro di vita pratica

Gli Esercizi di sant’Ignazio non so-no un’opera letteraria, ma un libro divita pratica vivente per guidare e

controllare i tempi spirituali dell’esi-stenza di chi li fa. Non sono un libroda leggere ma una raccolta di armispirituali, che rimangono inutili, seun buon esperto, cioè un maestro ditali esercizi, non li fa usare (Monu-menta. Ignatiana II, Madrid 1919); so-no un metodo che si fonda sopra fi-nezze squisite di esperienze e di intui-ti meravigliosi, per non dire miracolo-si, dei più profondi e complicati pro-cessi psicologici (cf. «Enciclica Mensnostra», Pio XI, 20 dicembre 1929)

3. Descrizione ignaziana di «Esercizi spirituali»

Con questo termine, dice sant’I-gnazio, si intende ogni modo di esa-minare la coscienza, meditare, con-templare, pregare vocalmente e men-talmente, e altre attività spirituali, co-me si dirà più avanti. Come infatti ilpasseggiare, il camminare e il correresono esercizi corporali, così tutti i mo-di di preparare e disporre l’anima aliberarsi da tutti gli affetti disordina-ti, e, una volta che se ne è liberata, acercare e trovare la volontà divinanell’organizzare la propria vita per lasalvezza dell’anima, si chiamanoesercizi spirituali. (Esercizi Spirituali= ES 2-3).

4. Commento ascetico

Questa introduzione ha suscitatotanti commenti tra gli autori di spiri-tualità cristiana. I più importanti sipossono raccogliere nei seguentienunciati.

1) Gli esercizi spirituali sonocome l’intrapresa di un fortino daassediare e conquistare.

Questa intrapresa include comefine immediato un combattimentospirituale che, se accuratamente af-frontato, finirà col preparare e dispor-re l’anima a liberarsi da tutti gli af-fetti disordinati (ES 3). Si tratta quin-di di azioni a servizio della zona so-prannaturale che per misericordia delSignore adorna il nostro essere sullaterra della grazia che ci fa figli di Dioed eredi del paradiso: la grazia che cisalva. Questa grazia si trova ospitatain una natura decaduta; da qui la ine-vitabilità di una lotta spirituale nellaquale occorre usare le armi e i rego-lamenti di lotta necessari per farescomparire questa decadenza. Lo sco-po finale, al quale così si aspira, siraggiunge quando l’anima, una voltaliberata da ogni affezione disordina-ta, si dà ad una ricerca che si conclu-de, come dice sant’Ignazio, con il

Sant’Ignaziochiedeva di fare

l’esame di coscienzadue volte al giorno per una maggiorepurezza d’animo

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Filocalia carismatica

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trovare la volontà divina nell’orga-nizzare la propria vita per la salvez-za dell’anima (ES 4).

In questa ricerca sono incluse: a)iniziative spirituali che ci aiutano aconoscere la volontà di Dio sulla no-stra esistenza su questa terra; b) scel-te da praticare lungo il tempo di que-sta nostra vita. Iniziative e scelte cheporteranno al raggiungimento di tut-te le certezze che il Signore ci vuolconcedere per la salvezza eterna del-la propria anima.

2) La Sacra Scrittura ci offredei passi utilissimi per una mi-gliore e più approfondita rifles-sione spirituale su queste pre-messe ignaziane.

Gb 7,1 (Volgata): La vita dell’uo-mo sulla terra è una milizia (peirate-rion), i suoi giorni sulla terra sonocome quelli di un operaio.

Il termine greco «peiraterion» fapensare a un luogo infestato da pira-ti che disturbano la nostra rotta versoil cielo. Il mondo nel quale viviamo èun luogo pieno di scontri con il nemi-co delle nostre anime (S. Ambrogio).Non c’è età che ne rimanga libera. Levoluttà sono i primi nemici da debel-lare. Con questi nemici non si scendea patti, non esistono tregue (S. Gio-vanni Crisostomo).

Sir 9,20: “Sappi che cammini inmezzo ai lacci e ti muovi sull’orlo del-le mura cittadine”. Si tratta di insidienascoste agli occhi di chi non vigilacon accuratezza. La maggior partedelle nostre debolezze e dei nostri ri-

schi derivano dalle infermità del no-stro corpo: timori, cupidigie, dolori,godimenti (cf Clem. Aless. Stromatilib. 2). La battaglia è atroce e su in-numerevoli frontiere: invidia, rivalità,maldicenza, angoscia, lutto, tristezza,sventura, dolore, lamento, inquietu-dine, molestia, afflizione, disperazio-ne, odio, escandescenza, discordia,caparbietà, ecc. Siamo dei mercenariche portano il peso della giornata e ilcaldo (Mt 20,12).

Ef 6,11: Rivestitevi dell’armatura(«panoplian» = «universam armatu-ram») di Dio, per potere resistere alleinsidie del diavolo («pro to dynasthaiymàs stenai pro tas methodeias toudiabolou» = per potere voi stare con-tro le ingegnose macchinazioni deldiavolo). Bisogna che un vero cre-dente si rivesta di tutto l’apparato ca-rismatico di difesa che Dio elargisceai suoi soldati. Abbiamo da combat-tere con un avversario astutissimo, e

pertanto dobbiamo avere a nostraprotezione una copertura di armi chenon lasci angolo nel quale potremmovenire feriti.

1Tm 6,12: Combatti la buona bat-taglia («ton kalòn agona») della fede,cerca di raggiungere la vita eternaper la quale sei stato chiamato e haiprofessato (omologesas) la bella pro-fessione (omologian) davanti a moltitestimoni.

Combatti la buona battaglia.San Paolo fa pensare ad una battagliapiena di belle affermazioni, che comenelle palestre vanno anche festeggia-te. Meglio morire che fuggire. Si trat-ta di una morte che sbocca nella vitaeterna.

Bisogna difendere con accanimen-to l’esperienza della fede che ci salva:Questa è la vittoria che ha sconfitto ilmondo: la nostra fede (1Gv 5,4).

Hai professato (omologesas) labella professione (omologian).Anzitutto quando hai fatto pubblicaprofessione della fede ricevuta nelBattesimo. In secondo luogo nei casinei quali rischiavi di vivere da perso-na senza fede.

In terzo luogo quando hai ricevu-to con piena coscienza l’effusionepentecostale dello Spirito Santo.

3) Commenti illuminanti deiPadri su questo combattimentospirituale,

San Girolamo: Gli angoli piùesposti alle insidie del maligno dellaChiesa sono anzitutto i nostri sensipiù usati. Occhi, orecchie, lingua sipossono prestare facilmente ad insi-nuazioni escogitate dal maligno. Senon li custodiamo con la dovuta at-tenzione, possono offrire ai demonidelle vie per inerpicarsi sino alle vet-te della nostra anima.

San Giovanni Crisostomo: ll dia-volo usa anche abilissimi sotterfugi.Infatti non irrompe subito, ma si insi-nua lentamente fino a farci familiariz-zare con difetti mediante i quali fini-

“Il mondo nel qualeviviamo è un luogopieno di scontri con il nemico

delle nostre anime”(S. Ambrogio)

GIUSEPPE OBICI- San Paolo, Roma, Basili-ca di San Paolo fuori le mura.

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sce per immergerci nel male. Spingetalvolta a non dormire per pregare,ma ha come scopo di indebolirci nel-l’adempimento dei nostri doveri; su-scita un ricordo tormentoso dei pec-cati commessi e assolti, ma la sua mi-ra è toglierci il godimento della paceche il Signore ci aveva concessa.

Sant’Atanasio. Contro queste e si-mili insidie del maligno il Signore cisuggerisce di assumere l’atteggiamen-to dei vincitori (cf Mt 4,10). Satana vaderiso, non temuto. Sono nostre armiinvincibili: una vita sincera, e una fe-de intemerata nel Signore, che si tra-duce in preghiera, mansuetudine, ri-fiuto di ogni vanagloria, umiltà, mise-ricordia, e soprattutto un cuore caricodi un amore suscitato dallo Spirito diDio. Le caratteristiche dell’armatura dicui ogni cristiano si deve rivestire sitrovano ben descritte con termini mi-litari nella lettera di san Paolo agliEfesini: avere ai fianchi la cinturadella verità; indosso la corazza dellagiustizia; ai piedi calzature per esserepronti a diffondere il Vangelo dellapace. Tenete sempre in mano lo scudodella fede, con il quale potrete spegne-re tutti i dardi infuocati del maligno(cf Ef 6,14-16). Prendete anche l’elmodella salvezza e la spada dello Spirito,cioè la parola di Dio (Ef 6,17).

La giustizia cristiana di cui parlaqui l’apostolo ha due fronti. Il primoconsiste nel fuggire, aggredire e su-perare i vizi; il secondo consiste nelseguire, tenere in esercizio e secon-dare le virtù che ci congiungono conDio. In ambedue i fronti c’è sempreda combattere. Il linguaggio paolinosi rifà ai termini che si adibivano aisuoi tempi per descrivere gli abiti chesi usavano dai soldati nei combatti-menti e dagli atleti nelle palestre deigiochi.

Il cristiano ben ordinato è un atle-ta di Cristo tutto dedito al combatti-mento della fede: lotta, si scontra, siastiene, si mantiene saldo, aggredi-sce. Ma soprattutto VINCE.

5. Disposizioni per fare bene gli esercizi

a) Desiderio di scoprire il pia-no di Dio sulla mia vita.

Devo salvarmi l’anima: questo è ilfine supremo della mia esistenza sul-la terra. Per salvare l’anima devo da-re il giusto ordinamento alla mia vita,devo scoprire e conoscere sempremeglio i piani di Dio.

Il disegno di Dio sulla mia esi-stenza deve essere l’oggetto di ognimia ricerca. Ogni volta che se ne sco-

pre un dettaglio, si esegue, costi quelche costi.

b) Essere al corrente delle miecolpe e negligenze attuali.

Devo prendere conoscenza peremendarli di tutti gli aspetti difettosidel modo in cui pratico quello che lamia coscienza in questo momento misuggerisce di fare. Quante dimenti-canze, quante inesattezze!

c) Rendermi conto di qualchesacrificio speciale che mi viene ri-chiesto.

Perché questo avvenga bisognaevitare tre difetti: - la noncuranza, propria di chi evita

di occuparsene;- l’infedeltà positiva propria di chi ne

distoglie lo sguardo rattristato, co-me fece il giovane del Vangelo.Maestro, cosa devo fare per avere lavita eterna?... Gesù gli disse: «Va’,vendi quello che hai e dallo ai pove-ri e avrai un tesoro in cielo; poi vie-ni e seguimi». Ma egli, rattristatosiper quelle parole, se ne andò afflit-to, perché aveva molti beni (Mc10,20-22);

- la pusillanimità di chi intraveden-done le esigenze preferisce nonapprofondirle.

d) Decidermi con rettitudine ecoraggio.

Quando so ciò che piace a Diodevo risolvermi a compierlo intera-mente e lealmente. Signore, che ioriabbia la vista (Lc 18,41); Parla, Si-gnore, perché il tuo servo ti ascolta(1Sam 3,9).

Il cristiano ben ordinato

è un atleta di Cristotutto dedito

al combattimentodella fede

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Filocalia carismatica

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Il «seminario»con i giovani a Perugia

Non sono pochi nella ComunitàMagnificat i momenti di formazionededicati in particolare ai giovani. E’accaduto di recente a Cortona e a Pe-rugia. Proprio nella zona di Perugia afebbraio 2007 è cominciato il semi-nario di effusione dello Spirito Santoper i giovani della Comunità. È stata,per chi vi ha preso parte, una venta-ta di Spirito Santo, un’esperienza in-dimenticabile, in cui il Signore haguidato i giovani alla scoperta dellabellezza del suo amore. Più di 60 so-no arrivati a vivere il weekend finale.

Nel numero scorso abbiamo pub-blicato l’esperienza di Giorgia. Ora èla volta di Maria Grazia e Daniele.

Il 25 marzo 2007, a Foligno, il Si-gnore ha fatto una grande opera nelcuore di molti giovani, compreso ilmio!

Mi chiamo Maria Grazia, ho 20anni e da circa un mese ho ricevutol’effusione: che dire?! È stata l’espe-rienza più bella della mia vita!

Era da tanto che cercavo delle ri-sposte, sentivo il bisogno di un’espe-rienza forte e il desiderio di incontra-re Dio.

Avevo sentito parlare tante voltedell’amore di Gesù, ma non ero mairiuscita a sperimentarlo e per questo,in un periodo di difficoltà, circa treanni fa, avevo completamente ab-bandonato la preghiera, la Chiesa etutto quello che riguardava la fedeperché m’infastidiva.

Ultimamente ho capito che nonera allontanandomi dalla vita catto-lica che avrei risolto i miei problemi emi sarei data delle risposte: in prati-ca il desiderio di incontrare Gesù erapiù forte di quello di vivere una vitaspensierata senza di Lui!

Già da dicembre pensavo, mi fa-cevo domande, sentivo qualcosa den-tro come un bisogno da soddisfare equando, verso inizio febbraio, mi ècapitato tra le mani un volantino do-ve si invitavano tutti i giovani a par-tecipare ad un seminario di preghie-ra ho pensato: quasi quasi ci vado!

Nel frattempo ho avuto una brut-ta delusione personale e ho passatodei giorni che mi hanno fatto davve-ro demoralizzare, ma poi Gloria eSara, due messaggere di Gesù, mihanno portato l’invito al seminarioaddirittura a casa e in quel momen-to ho capito che quello poteva essere ilmodo giusto per superare i miei pro-blemi e guarire tante ferite.

Così il 24 febbraio, tra paura ecuriosità, sono andata a San Mannoper il primo incontro: lì ho rivisto per-sone ed amici d’infanzia che non ve-devo da tantissimo tempo, ma che mihanno accolto come se ci fossimo la-sciati solo il giorno prima!

All’inizio un po’ di smarrimentoc’è stato, anche perché lo stile delRinnovamento è abbastanza partico-lare e può lasciare un po’ sconvolti,ma ogni giorno che passava sentivo

che non potevo fare a meno di quel-l’incontro e che attendevo il sabatocon ansia!

Ogni volta che tornavo a casadopo l’insegnamento raccontavo aimiei genitori di cosa avevamo parla-to e delle mie impressioni, poi li riem-pivo di domande e chiedevo loroconsigli.

Senza che neanche me ne accor-gessi era arrivata la fine del semina-rio, erano già i due giorni a Folignoa «Villa la Quiete» e l’ansia iniziavaa salire… era il momento della ve-rità, il mio momento di incontro conil Signore era sempre più vicino ediniziavo ad avere paura di non sen-tire niente, perché forse avevo troppeaspettative, mi chiedevo cosa sareb-be successo, mi immaginavo cosaavrei sentito.

Durante la cena di sabato, cioè il24 marzo, ho ricevuto una telefonatae tante brutte notizie, che mi hannofatto completamente perdere la con-centrazione e la voglia di vivere que-sta esperienza: una bambina di 7mesi a cui sono tanto legata, Beatri-ce, era appena stata ricoverata inospedale e stava tanto male.

Nelle foto di queste pagine, alcuni momenti del Seminario di effusione dello SpiritoSanto per i giovani della comunità per la zona di Perugia.

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Io non sapevo che fare né cosapensare, non riuscivo più a capire ilsenso di stare lì, a pregare tutti gioio-si, quando una bambina che nonaveva fatto niente stava così male.

Durante l’adorazione del Santis-simo, dopo la cena, mi sono sentitaper la prima volta fuori posto e nonsono proprio riuscita ad entrare inpreghiera.

Mi è dispiaciuto tanto, perché iovolevo davvero vivere questa espe-rienza, che tutti mi avevano descrittocome indimenticabile, ma la mia te-sta era altrove.

Non sapendo cosa fare ho parlatocon i miei animatori del gruppo, del-le persone davvero adorabili e dispo-nibili, che hanno cercato di tranquil-lizzarmi e di confortarmi, facendo-mi capire che io non potevo fare nul-la, se non pregare per questa bambi-na, ma per farlo dovevo cercare distare tranquilla, quindi, per quantofosse difficile, ho cercato di seguire iloro consigli.

La notte non sono riuscita a chiu-dere occhio ed il giorno dopo non hofatto altro che piangere, non so se pertensione o per preoccupazione, pian-gevo e basta!

La domenica, durante il pranzo,mi sentivo proprio male e mentre tut-ti mangiavano mi sono rifugiata inChiesa: appena entrata mi sono sen-tita meglio, con il cuore più leggero.

Subito dopo pranzo ci siamo ri-trovati tutti in Chiesa per pregare ericevere, un po’ alla volta, questa fa-mosa effusione; c’erano anche i mieigenitori ed io sono stata troppo con-tenta di vederli!

La preghiera è iniziata verso le14.30, il tempo passava e non eramai il mio turno, vedevo che la genteusciva e tornava in condizioni scon-volte, ma nessuno chiamava mai me!Per tre ore sono stata ad aspettare,tra momenti d’ansia e di sconfortototale: da un lato non vedevo l’ora,dall’altro ero terrorizzata, ad un cer-to punto non riuscivo più neanche a

pregare, ma solo a piangere, e mi eravenuto il pensiero che se non riuscivoad entrare in preghiera, come erasuccesso il sabato, non avrei sentitonulla durante l’effusione.

Alla fine mi hanno chiamato.Accompagnata da una dei miei

animatori sono andata nella stan-zetta dove avrebbero pregato su dime: ero in preda ad un’ansia maivissuta, neanche agli esami di matu-rità!

Sono entrata e c’erano altre quat-

tro persone, che hanno subito cerca-to di mettermi a mio agio, ma nonera facile! Io volevo solo che quel mo-mento passasse in fretta perché erotroppo agitata!

Hanno iniziato a pregare su dime, a ringraziare il Signore, a lodar-Lo, ma io non sentivo niente e conti-nuavo ad avere la testa piena di pen-sieri.

Ad un certo punto mi sono detta:se non riesci a levarti i tuoi pensieridalla testa non sentirai mai niente!

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Testimonianze e News

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Testimonianze e News

Venite e Vedrete 93 - III - 07

In quel momento c’è stata unaprofezia: Ti darò un nome nuovo: tichiamerò Amata, mia Amata.

Io non so spiegare con precisionecosa sia successo dopo quell’attimo:ho sentito tanto caldo e mi sono sen-tita quasi svenire, mi sono accascia-ta in avanti come se dormissi o nonavessi avuto la spina dorsale, e nonsono riuscita ad impedire questa «ca-duta»; dopo ho iniziato a piangereininterrottamente, a singhiozzi, enon riuscivo a fermarmi! Ma piùpiangevo più mi sentivo tranquilla eserena! Il Signore ha mandato delleparole bellissime, il pianto è finito eio mi sono sentita leggera, perdonatae vicina a lui come non ero mai sta-ta! Tornata in Chiesa sorridevo e nonriuscivo a smettere!

Quando è iniziata la messa, horipensato a Beatrice e parlando conun mio animatore mi ha consigliatodi offrirgliela durante la Comunio-ne, così nel momento dell’Eucarestiaho pensato con tutto il mio cuore: Si-gnore, io ora so che posso fidarmi diTe, prendi Beatrice tra le tue braccia!e in quel momento ho visto, propriodavanti a me, Gesù che rideva e lacullava. Dopo quell’attimo non sonopiù riuscita ad avere paura, perchéanche se ero molto preoccupata sape-

vo che era in ottime mani!Dopo qualche giorno hanno di-

messo Beatrice dall’ospedale scartan-do l’ipotesi che avesse la leucemia,come si era pensato all’inizio; le pos-sibilità di guarigione ora sono un po’più alte ma sta ancora male, quindic’è ancora tanto bisogno di pregareper lei. Io non smetterò mai di rin-graziare il Signore per aver stravoltola mia vita in questo modo così me-raviglioso e spero di non perdere maiquell’entusiasmo che da un mese hosempre nel cuore!

Maria Grazia

Mi chiamo Daniele, ho 20 annied ho sempre creduto nell’esistenzadi Dio ma questa mia convinzione,fino ad un mese fa, non si poggiavasu solide basi ma soltanto in quelloche mi era stato trasmesso dai mieigenitori… non avevo toccato conmano! Un mese fa ho fatto un’espe-rienza dell’amore di Dio veramenteforte ricevendo l’effusione.

Premetto che questa esperienzanon può essere raccontata a paroleperché non ne esistono che descriva-no la sensazione di pienezza, felicitàe gioia che ti dona l’entrata dello Spi-rito Santo nel cuore. Io vorrei riusci-

re a testimoniare soltanto una cosa:il Signore è la Felicità vera, vuole ilnostro bene e ci lascia liberi di deci-dere se accettarlo nella nostra vita omeno; questa è la più grande formadi libertà che Dio avrebbe potuto do-narci. Io sono un ragazzo molto insi-curo e per questo, fino a 6 giorni pri-ma della mia effusione, non avevoancora deciso se fare questa espe-rienza o meno.

La domenica precedente al ritiroDio mi ha chiaramente fatto capireche mi voleva tra i suoi discepoli eche mi voleva far sentire il suo amo-re. Io posso soltanto testimoniare chebasta abbandonarsi al Signore e far-gli vedere che abbiamo scelto di in-contrarlo perché Egli ti riempia delsuo Amore.

I primi minuti della mia effusionesono stati traumatici perché non riu-scivo ad abbandonarmi al Signoreed avevo paura che non riuscissi adaccogliere veramente lo Spirito San-to: preso dal timore, ho cominciato achiedere, in silenzio, al Signore chemi donasse un cuore di carne perchéio avevo un cuore di pietra che nonriuscivo ad aprire. Qui c’è stata lasvolta perché il Signore ha mandatoad un mio fratello che pregava su mequesta parola: “[…] vi darò un cuorenuovo, metterò dentro di voi unoSpirito nuovo, toglierò da voi il cuo-re di pietra e vi darò un cuore di car-ne.[…]” (Ezechiele 36,26). A questopunto ho capito che il Signore erapresente alla mia effusione, ho co-minciato a piangere di felicità ma al-lo stesso tempo ero arrabbiato con mestesso perché avevo dubitato di Lui. EDio ha parlato di nuovo: “[…] non miricorderò più dei loro peccati e delleloro iniquità […]” (Lettera agli Ebrei10,17). Grazie Signore perché ci per-doni sempre!

Infine il Signore mi ha chiamato,con una bellissima parola del vange-lo di Matteo, mi ha invitato ad evan-gelizzare che Egli è l’Onnipotente.

Daniele

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Testimonianze e News

Ogni bambinoha diritto alla tenerezza

Il bambino è uno scrigno di tene-rezza, un tesoro che ha diritto fin dalconcepimento all’accoglienza e all’a-more. E’ il punto di partenza del libro«Il diritto del bambino alla tenerezza»,pubblicato in aprile dalle Dehonianee opera di Maria Rita Castellani, re-sponsabile della Fraternità San Barna-ba della Comunità Magnificat a Peru-gia. Autrice di alcuni “Quaderni” perla nostra rivista, Maria Rita collaboracon il Centro familiare «Casa della Te-nerezza» avviato nel capoluogo um-bro da mons. Carlo Rocchetta.

— Perché c’è bisogno di parlare ditenerezza alle famiglie di oggi?

E’ un tema di grande attualità, se èvero che sempre più bambini devonoricorrere alle cure dello psicologo. Al-la base di tanti disturbi comportamen-tali c’è la difficoltà dei genitori nel tra-smettere affetto. Per conquistare unagiusta educazione all’affettività biso-gna interrogare la coppia: più i geni-tori si vogliono bene più i bambini so-no sereni e hanno una giusta consa-pevolezza dell’amore.

— La tenerezza che racconti èben lontana da smancerie e sdolci-natezze da soap opera...

La tenerezza è una cosa seria eprofonda. E’ fatta di contatto, di sguar-di, di abbracci e di parole che costrui-scono l’uomo. La tenerezza è calore,il calore di una famiglia che ti ama, èfiducia intesa come sguardo positivosulla persona che sarai domani, è sta-bilità che tradotta è sicurezza di unrapporto affettivo maturo.

— E’davvero in crisi il ruolo del pa-dre?

Purtroppo in tante famiglie il papànon sembra più essere quel punto di

riferimento morale che diventa faroper i figli. Ci sono tante ragioni socio-logiche, prima fra tutte la crescita delruolo sociale della donna; la figura pa-terna è passata dall’autorità di ieri alladiffusa immaturità di oggi. Un buonpadre non deve dare solo sicurezzaeconomica ai figli, deve insegnare lorol’obbedienza, trasmettere un patrimo-nio di valori e uno scopo per vivere.

— Nel libro grande spazio è dedi-cato al confronto di coppia.

In una società che invita i giovani acercare emozioni facili e immediate èdura mantenere vivo un rapporto ma-trimoniale. L’innamoramento è a unpasso dall’ideale, è una sensazionestupenda che però si consuma presto,l’amore quello vero è un atto di vo-lontà, non perde la sua poesia ma co-sta fatica e sudore ogni giorno. Impa-rare a mettersi autenticamente in rela-zione e ad accettarsi come genitori ciaiuta a costruire il bene dei figli.

— Nella tua carta dei diritti è scrit-to che la presenza materna deveessere costante e amorevole. Unasfida troppo difficile per la donnache lavora?

La donna ha in sé una marcia inpiù. Il cammino faticoso e preziosodella gravidanza le insegna a ‘far po-sto’, ad accogliere la vita. Il suo ruolodi madre è sempre e comunque cen-trale, anche di fronte al più importan-te dei lavori e a una brillante carriera,perché lei plasma il futuro dei figli. Ledonne si sono dovute adeguare a rit-mi prettamente maschili, ora è tempodi ridisegnare il proprio impegno den-tro casa, vivendolo in modo più ar-monioso. La sfida è trovare un lavoroche non assorba tutte le ore e le ener-gie... per questo anche la politica de-ve attivarsi a favore delle donne e del-le famiglie.

— Molte pagine le hai dedicate al-l’esperienza cristiana, sostenendoche il bambino deve poter ancheconoscere Dio come padre e laChiesa come Madre.

La fede è quella dimensione cheillumina tutto il resto, se al bambinotogliamo il dono della fede è come selo lasciassimo orfano. Il bisogno diassoluto, la sete di eternità è inscrittanel cuore di ogni persona, anche deipiccoli.

Annalisa Gobbi

Maria Rita Castellani e la copertina del libro “Il diritto del bambino alla tenerezza”.

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n. 92 - II - 2007“LO SPIRITO SANTO SCENDERÀ SU DI TE”Servire con Maria nell’umiltà

n. 93 - III - 2007“E CHINATO IL CAPO EMISE LO SPIRITO”Maria nella Pentecoste giovannea

n. 94 - IV - 2007“L’ANIMA MIA MAGNIFICA IL SIGNORE”Il Magnificat, cantico di Maria e della Chiesa