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Periodico del Centro Ascolto e Accoglienza Caritas Zonale di Darfo

Periodico del Centro Ascolto e Accoglienza Caritas Zonale ...caritasdarfo.it/wp-content/uploads/Anchio-2002.pdf · Provvidenza che in questi 12 anni di vita del Centro Caritas di

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Periodico del Centro Ascolto e AccoglienzaCaritas Zonale di Darfo

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Il Centro di Ascolto e Accoglienza Caritas ringrazia tutti coloro che hanno offerto e stanno dando tempo, energie e denaro

Perché anch'io

anch'io sono soloanch'io ho bisogno di aiutoanch'io ho freddoanch'io ho bisogno di una casaanch'io non riesco a trovare un punto di riferimentoanch'io non ho più speranze

anch'io ho del tempo liberoanch'io ho due stanze libereanch'io posso dedicarmi a loroanch'io posso condividere

E tu…anch'io cosa?

Anch'io • dicembre 2002 - n. 14 • Periodico della Caritas - Vicaria di Darfo - Zona Terza - Bassa Valle Camonica • supplemento a "La Campana di Darfo" • Redattrice: Nadia Ghirardelli • impostazione grafica: Input - Boario T. (BS) • stampa: Tipolitografia Quetti - Artogne (BS)

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don Danilo

‘ERO FORESTIERO E MI AVETE OSPITATO’

Nella lettera di Mons. Giulio Sanguineti, inviata alla Zona Pastorale III al termine della Visita Pastorale, si legge “… personalmente mi impegno ad incorag-giare la realizzazione in zona di una ‘casa di prima accoglienza’…”. Neanche ad un anno di distanza, grazie al contributo della Caritas diocesana, dell’Ufficio Migranti e del coordinamento del Pro-Vivcario Generale Mons. Be-schi Francesco, grazie al finanziamento di parte del progetto dalla Regione Lombardia tramite la ASL e Comunità Montana Ca-mune, supportato anche da donazioni di privati, la Caritas Zonale di Darfo vede la realizzazione di un sogno da tempo vagheg-giato: una comunità di prima accoglienza. Un piano dell’intero edi-ficio della sede Caritas (in co–modato gratuito da parte dell’ente morale Casa del Fanciullo) sta per essere messo a norma e ospiterà per un periodo di 60-90 giorni al massimo dalle 12 alle 15 persone, italiani ed immigrati sen-za fissa dimora, per una prima accoglienza e solu-zione dei bisogni primari in attesa di una collocazione definitiva.Una piccola comunità di religiose si renderà disponibile per il sostegno spirituale, psicologico ed educativo degli ospiti. I circa 460 mq dei locali sistemati servi-ranno parte per la comunità religiosa e gran parte per far acquisire agli ospiti la propria autonomia e aiutarli nell’integrazione sociale.E’ un sogno ambizioso, ma tutti confidiamo nella Provvidenza che in questi 12 anni di vita del Centro

Caritas di Darfo non è mai venuta meno.L’accoglienza e l’ospitalità del vicino e del forestiero, lo sporcarsi le mani e il compromettersi per l’indi-gente, il saper passare dall’elemosina o assistenza alla condivisione col povero, sono dei capisaldi del nostro credo ed anche segni concreti che parlano da soli, che contagiano in positivo (non è solo il male che contagia) e suscitano interrogativi e domande di senso anche in chi è indifferente, tiepido o pigro di fronte alla proposta di fede. Mai come oggi, penso, la

Chiesa è chiamata a parlare con le opere. Le persone ancora si lasciano attrarre e sedurre dalla testimonian-za di gesti di solidarietà vera e vissuta. Giuseppe e Maria in cerca disperata di un alloggio sono gli stessi emarginati che nella nostra Valle, di antica tradizione cattolica, bussano ma non trovano posto e anche in queste notti fredde dormono all’aperto, in macchina, o in qualche tugurio di fortuna. Intanto noi, davanti ad una televisione che fa servizi a non finire per un turista italiano ferito e non dice una parola, ad esempio, per

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Centro ASCoLto e ACCogLienZA CAritAS DArfoviA SCurA 1 – 25047 DArfo BoArio terme

teLefoni e fAx: 0364 / 535777 – 535936 — e-mAiL: [email protected]

lunedì 14.00–18.00

da martedì a venerdì 09.00–12.00 14.00–18.00

sabato 09.00–12.00

La CAritAS è anche tuaC.C. Postale: 11389251

C.C. Bancari: 5328130 Cariplo / 15000 Banca valle Camonica / 13516 Banco di Brescia

il Centro di Ascolto e Accoglienza è aperto tutti i giorni nei seguenti orari:

martedì 10.00–12.00

giovedì 16.00–18.00

sabato 10.00–12.00

il Legale della Caritas – dott. mario vernetti – riceve nei seguenti giorni:

i tre milioni di persone morte negli ultimi tre anni del conflitto in Congo, ci gongoliamo, al massimo diciamo ‘poverini’ e, tra una pubblicità e l’altra a favore di cibi per cani e gatti, pensiamo che tocchi sempre agli altri risolvere i problemi o fare qualcosa di bene. Spesso il problema non è la mancanza di sensibilità verso il sofferente, ma la superficialità e la lentezza con cui ci poniamo di fronte alle situazioni di disagio.Terminiamo come Caritas zonale un anno molto movi-mentato di iniziative e proposte: da un lato i poveri che hanno bussato sono stati tanti – sono state superate le 3000 schedature di chi è passato almeno una volta in questi anni – e in aumento rispetto agli anni precedenti, di età tendenzialmente giovane, e parecchi italiani; la stessa tipologia di ‘povertà’ sta cambiando, parecchi hanno denotato non solo una povertà materiale, ma spesso uno squallore interiore. Da un altro lato, la stessa nuova legge sull’immigra-zione non facilita certo una mentalità di accoglienza o condivisione, anzi, riduce l’estraneo (immigrato in questo caso) a merce, a persona finalizzata a produrre e finché mi fa comodo lo uso, poi… lo si può pure rigettare e rimandare a casa propria; altro che cultura dell’integrazione, della tolleranza o della solidarietà! Quante belle parole e quanta ipocrisia! Da un altro lato, ancora di più abbiamo constatato una cultura ido-latra progressivamente avanzante; oggi, secondo me, il problema non è l’ateismo, ma l’idolatria: pertanto “i nuovi dei” sono il denaro, il successo, qualsiasi

divertimento, il guadagno, il culto del proprio corpo … e allora tanti non riescono più a distinguere il bene dal male. Da qui il passo per appoggiare, ad esempio, una guerra o con l’Iraq o chicchessia è molto breve: ciò che conta è la mia sicurezza, il mio benessere! Attenzione a non ridurre tutto e tutti a terrorismo!Attenzione a ritenere che la guerra è la soluzione dei problemi! Non ho mai capito come per “fare e avere la pace” serva una guerra! Si fa fatica a fare breccia in questa mentalità diffusa e i valori del rispetto dell’altro, la gioia dell’accoglienza, la gratuità, l’unità, il riferimento all’Assoluto, la convivenza pacifica sono notevolmente frustrati.Da un lato, infine, sono davvero incoraggianti tante risorse incontrate e sperimentate: sembrano, anzi an-nunciano sicuramente una nuova stagione. Esse ci han-no permesso di dare casa, indicazioni di lavoro, cibo, vestiario, mobili, compagnia, denaro, accoglienza… a tanti; ci hanno permesso di liberare diverse ragazze dalla schiavitù della strada e di farle sentire persone; ci hanno permesso di infondere speranza al detenuto, di far sentire l’immigrato “qualcuno” e l’emarginato valorizzato; ci hanno permesso di continuare a sognare! Il gusto della vita e il senso dell’esistenza dipendono dalla nostra capacità di dono che, per me, si motiva e si rafforza contemplando in questi giorni un Dio-Bambino che nasce in una mangiatoia.

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Don Renato Tononi

PIù MESSE O PIù cARITà?Anche se oggi la gente si confessa poco, è pur sempre vero che il tipo di ‘accusa’ dei peccati che si fa in confessione è indice di una certa mentalità. Ora per i confessori è abbastanza facile accorgersi che il tipo di ‘accusa’ dei giovani è alquanto diverso da quello degli adulti.

Gli adulti nella loro ‘accusa’, sono molto attenti, in genere, a confessare le mancanze nei confronti di Dio: le messe saltate, le bestemmie ‘scappate’, le preghiere dimenticate, ecc., mentre raramente si accusano dei peccati relativi al campo della so-lidarietà, della generosità e della carità. Può darsi che in questo campo gli adulti non pecchino, ma è molto più verosi-mile che qui si ri-veli una mentalità tipica degli adulti, che hanno ricevuto una certa educa-zione cristiana: per loro l’importante è andare a mes-sa, altrimenti si commette peccato grave, mentre non è sentita come rile-vante l’attenzione caritativa verso gli altri, soprattutto se bisognosi.

Al contrario, i giovani con estrema facilità si accusano di essere egoisti, di pensare solo a se stessi, di non essere attenti ai bisogni degli altri; in una parola, di essere poco caritatevoli. Anche se non vanno a messa, questo non è oggetto di ‘accusa’, a meno che sia il sacerdote stesso che pone la domanda esplicita sulla fedeltà alla messa domenicale.

A chi dare ragione? Bisogna dire onestamente che ambedue le mentalità

sono profondamente sbagliate. Anzi, nel sottofondo sta un medesimo errore: quello di aver separato Eucarestia e carità, la carità di Dio, manifestata nel sacrificio di Cristo, attualizzato nella celebrazione sacramentale. Lo scopo di tale incontro è far sì che tutti i partecipanti formino tra di loro un solo corpo e diventino capaci di amare tutti con la carità stessa di Dio, che hanno sperimentato e accolto. Non si può, quindi, partecipare all’Eucarestia e non sentire poi l’esigenza di amare i fratelli come Cristo ci ha amati.

D’altra parte, la carità cristiana, a cui tengono tanto i giovani, non è una semplice filantropia

che nasce da noi o per compassione o per simpatia o per pietà. Dice chia-ramente San Gio-vanni: noi amiamo perché Dio ci ha amati per primo; e ancora: l’amore è da Dio. Questo significa che la carità ca-ratteristica del cri-stiano non nasce da noi, ma nasce da Dio stesso, a cui siamo invitati

continuamente ad abbeverarci, per poter amare come Cristo. Senza attingere a questa fonte, non è possibile l’amore tipico del cristiano che è quello di amare anche il nemico. Per questo fanno bene i giovani a dare molta im-portanza alla carità, ma devono sapere che essa, in senso cristiano, è possibile solo attingendo a quella carità di Dio che ci è continuamente attualizzata nell’Eucarestia.

No, quindi, alla messa senza attenzione alla carità, ma no anche alla presunzione di esercitare la carità cristiana senza partecipare all’Eucarestia.

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Don Ovidio Vezzoli

GhI è Il MIO PROSSIMO?Gesù e la Legge

Un apologo buddhista tibetano racconta:‘camminavo nella foresta e vidi un’ombra, ed ebbi paura pensando che fosse una bestia feroce. L’ombra si avvicinò e mi accorsi che era un uomo. Quando si fece ancora più vicina, mi accorsi che era un fratello’.Tra i testi biblici che la tradizione cristiana offre relativamente al tema ‘amore indiviso a Dio e ai fratelli’, oltre ogni barriera legalistica, un posto certamente significativo è quello rappresentato dalla parabola del buon samaritano, che Luca riporta nel suo evangelo. Eppure, più ci si accosta alla lettura orante di questa pagina, più ci si rende conto che non è mai conosciuta in modo adeguato in quanto, non di una pagina da conoscere si tratta, ma di un racconto esemplare, che interpella direttamente la vita dei discepoli del Signore di ogni tempo.

1. In ascolto della ParolaLa parabola del buon samaritano si colloca nel con-testo di una serie di insegnamenti che Gesù offre alla comunità dei discepoli mentre è in cammino verso Gerusalemme, la meta del suo pellegrinaggio verso il compimento della volontà unica del Padre. In par-ticolare, il testo segue immediatamente il ritorno dei settantadue discepoli che Gesù aveva inviato per la missione di annuncio dell’evangelo. In quel momento egli rende gloria al Padre perché ha rivelato il senso della buona notizia ‘ai piccoli’, i quali hanno accolto senza dilazioni la parola annunciata dai missionari dell’evangelo.Tra quelli che sono presenti, vi è uno scriba, un esperto nell’arte dell’ascolto e dello studio della Parola; egli è un vero innamorato della Scrittura santa, un timo-rato di Dio, tutto teso alla ricerca della sapienza che rivela il senso autentico della vita. Costui, al sentire la testimonianza di Gesù, si alza di mezzo alla folla e pone al Maestro una questione che investe il senso del suo cammino esistenziale di credente: ‘Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?’. Luca annota che lo scriba pone tale interrogativo con l’intento di ‘mettere alla prova’ Gesù.

Gesù conclude quel dialogo con un invito ad agire in conformità alla parola rivelata da Dio nell’Antico Testamento: ‘hai risposto bene; fa questo e vivrai’. (‘Mosè, infatti, descrive la giustizia che viene dalla legge dicendo che l’uomo che la pratica vivrà per essa’). Nella Torah, infatti, si coglie la sostanziale unità dei due comandamenti per i quali il secondo ‘amerai il prossimo tuo come te stesso’ scaturisce dal primo ‘ascolta, Israele. Amerai il Signore Dio

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tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutto le tue forze’.

1.1 - ‘E chi è il mio prossimo?’Il dottore della Legge prosegue nel suo intento di porre un tranello a Gesù e richiede un approfondi-mento ulteriore, che in realtà maschera una posizione di sfida nei suoi confronti.La richiesta di quest’uomo devoto rivela tutta la sua grettezza religiosa dettata da un formalismo legali-stico. In sostanza egli domanda a Gesù di tracciare i confini che circoscrivono l’agire di un pio ebreo nei confronti dell’altro, il diverso, il forestiero, colui che non appartiene, a suo giudizio, al popolo delle alleanze e delle benedizioni.In realtà, secondo la testimonianza di Levitico 19,34 anche lo straniero, che abita come ospite in Israele, fa parte della cerchia del prossimo da soccorrere. Se pure si contempla una separazione di Israele dal resto delle popolazioni non israelitiche, questa non è mai di ordine razziale. Al contrario, la santità di Israele, quale segno delle benedizioni di YHWH su tutte le nazioni, si precisa come amore nei confronti dello straniero: ‘Quando li troverà a dimorare con te un gher nel vostro paese voi non vi approfitterete di lui: come un nativo del paese sarà per voi il gher che dimora con voi; tu l’amerai come te stesso, poiché foste gherim in terra d’Egitto. Io sono il Signore vostro Dio’. Il testo precisa un vero e proprio rap-porto di responsabilità di Israele nei confronti dello straniero. L’espressione ‘come te stesso’, in realtà, evidenzia la maturità dell’accoglienza e l’uguaglian-za dei diritti dello straniero residente in Israele. Il motivo esplicito trova il suo fondamento nel fatto che la terra è di Dio e Israele vi abita in essa come straniero-immigrato (gher) e ospite (toshav) del Si-

gnore unico. Pertanto, riconoscere la signoria assoluta di YHWH sulla terra significa aprirsi alla condivisione con tutti quelli che su di essa vi abitano (Deuteronomio 26,10-11). Tale con-divisione è dettata dall’amore verso lo straniero, che a sua volta si fonda sul fatto che Israele è popolo caro a YHWH. Pertanto, quando Israele non si approfitta dell’immigrato, della sua debolezza e della sua stranierità, ma gli riserva accoglienza e protezione perché persona bisognosa di aiuto e sostegno, solo allora realizza la propria vocazione e rivela la sua profonda identità.Solo in un’epoca più tarda si inizieran-no a porre chiare limitazioni fino ad

affermare che prossimo è colui che ha la stessa fede, che esplicita il credo dell’Alleanza mediante il culto e l’osservanza della legislazione dei padri. Da una dimensione di amore verso tutti e senza distinzioni, dunque, si passa a limitazioni ben precise.Lo scriba si inserisce pertanto lungo questo percorso di distinzione e chiede a Gesù una giustificazione. Ma Gesù, rispondendo con la parabola del buon samaritano, elimina ogni steccato di qualsiasi natura esso sia.

1.2 - ‘Un uomo scendeva da Gerusalemme a Geri-co…’

Partendo da un fatto legato alla vita, Gesù mette lo scriba nella condizione di verificare il suo atteggia-mento e giungere ad una decisione. Tutt’altro che un banale episodio di circostanza, la parabola di Gesù è una seria provocazione rivolta a quest’uomo perché prenda posizione.I tratti della parabola sono molto concisi, essenziali. Volutamente Gesù parla, in modo generico, di un uomo senza specificare se esso sia ebreo o no. Ciò lascia intendere fin dall’inizio la larghezza di orizzonte che il vero amore esige, ben oltre la nazionalità, la cultura, la religione.Quest’uomo incappato nei briganti e sul quale si concentra l’attenzione del narratore, al contrario, è pre-sentato nella sua miserevole e radicale condizione:- assalito all’improvviso- spogliato di tutto- colpito- abbandonato nella sua solitudine più radicale- lasciato mezzo mortoTutto tende a sottolineare l’incapacità di aiutarsi da solo e l’impossibilità a trovare salvezza nelle proprie

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forze. E’ un uomo nella condizione di radicale bisogno e di aiuto da parte di chiunque lo incontri.

1.3 – ‘Per caso un sacerdote scendeva (…). Anche un levita scendeva (…)’

Vengono, a questo punto, messi in scena due emi-nenti personaggi del culto ebraico: un sacerdote e un levita. Ambedue sono accomunati da uno stesso atteggiamento: scendere, vedere, passare oltre.Il contrasto emerge immediatamente: questi due uomi-ni ostentano l’esperienza di un culto cieco, formalisti-co, staccato dalla vita. In loro la purità rituale prevale sulla misericordia. E’ l’immagine di un culto ristretto nell’ambito della cerimonialità ornamentale fine a se stessa e che si rivela come estraneo alle vicende della storia dei più prossimi. Questi due reverendi esponenti insigni della cultualità ebraica danno reale testimonianza di una liturgia ipocrita, camuffata di totale e unificata dedizione a Dio, mentre si presenta come incontestabile chiusura su se stessi..E’ l’espressione di una palese cecità ridotta a paralisi, a tal punto che il loro apparente essere assorti nelle cose di Dio porta a misconoscere la verità della sua presenza provvidente tra gli uomini e la loro storia. Il loro atteggiamento rivela un Dio tutt’altro, disin-teressato, statico.E’ ben diversa, certamente, la realtà del Dio miseri-cordioso rivelataci nella storia dell’esodo, al tempo della schiavitù di Israele in Egitto. Gli stessi Profeti, servi della Parola, ci hanno raccontato un Dio com-passionevole che si china sul povero, sui derelitti di ogni tempo e soccorre l’orfano e la vedova. Infine, Gesù stesso, quando si fa compagno di viaggio con i peccatori e con gli esclusi dalla religiosità ebraica, di-venta narrazione di un Dio di amore che non disdegna di essere il loro Dio.

1.4 – ‘Invece un samarita-no (…)’

In diretto contrasto con quanto narrato fino a questo momento, viene introdotto un ‘samaritano’ come au-tentico testimone dell’amo-re verso il prossimo.La storia che accompagna il vissuto di quest’uomo e di quanto lui stesso rappre-senta nella sua condizione etnica, sociale e religiosa, costituisce veramente un

rimando paradigmatico:- verso i samaritani Israele nutre un odio feroce

per motivi religiosi, culturali e storici relativi alla ricostruzione del tempio dopo il ritorno dall’esilio babilonese;

- Gesù stesso in Luca 9,52-53 viene rifiutato dai samaritani, mentre fa sosta in un loro villaggio, perché era in viaggio verso Gerusalemme. I di-scepoli reagiscono chiedendo a Gesù se devono intercedere perché un fuoco scenda e li divori tutti; ma Gesù li rimprovera e li invita a proseguire il cammino verso Gerusalemme.

Risulta, pertanto, assai sconvolgente il rilevare da parte di Gesù, nella parabola, che proprio un samari-tano faccia misericordia nei confronti del malcapitato nelle mani dei briganti. Di fronte al comportamento sprezzante del sacerdote e del levita, l’atteggiamento di questo viandante suona come accusa esplicita verso una comunità di presunti giusti. Gli atteggiamenti che lo connotano sono inequivocabile testimonianza di accoglienza, di soccorso e di compassione grande:- gli passò accanto- lo vide- ebbe compassione La minuzia di particolari accompagna l’agire del sa-maritano nei confronti dell’abbandonato alla propria solitudine mortale. Tutti i segmenti, però, sottolineano la sua prossimità compassionevole. Siamo, propria-mente, nella prospettiva per la quale lo scriba aveva interrogato Gesù, chiedendo un esempio concreto circa l’identità del suo prossimo.L’agire del samaritano procede nella linea della compassione, come quella che è richiesta da Gesù ai discepoli del Regno. Il samaritano è colui che agendo

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nella gratuità, ritrascrive di fatto la prossimità stessa di Dio verso gli uomini con gesti concreti di amore. E’ solo l’amore, infatti, che fa uscire dalle strette frontiere della legge e del dovuto conducendo ad incontrare il fratello che invoca e attende soccorso nel silenzio. La sequenza dei movimenti sottolinea il cammino che caratterizza l’incontro dell’altro in tutta la sua drammaticità. Da un ‘farsi vicino’ scaturisce una serie di attenzioni, quelle stesse che il samaritano domanda all’albergatore che siano esercitate nei confronti di colui che è stato sorpreso dai briganti e lasciato mezzo morto. Tutto questo, però, deriva esplicitamente dal fatto che il samaritano ‘ebbe compassione’.

1.5 – ‘Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti (…). Va’ e anche tu fa lo stesso’

Lo scriba è invitato da Gesù a prendere posizione di fronte al fatto narrato; una posizione che, certamente, non lo può lasciare estraneo, ma lo coinvolge a tal punto da non potervisi sottrarre.Qui abbiamo un sottile ribaltamento della domanda iniziale (Chi è il mio prossimo?). Se all’inizio si tentava di circoscrivere l’ambito nel quale esercitare la carità verso i fratelli, ora si passa alla prospettiva che invita a ‘farsi prossimo’. Gesù, pertanto, chiede un passaggio: dall’io che de-finisce i confini del prossimo, al tu (ogni discepolo) che è chiamato a farsi prossimo. Nel fratello che grida aiuto, che chiede un parola di consolazione autentica e di speranza, il discepolo è chiamato a cogliere l’urgente appello a ‘farsi prossimo’.La provocazione di Gesù, dunque, rovescia ogni

schema predeterminato di definizione del ‘prossimo’ e invita ad agire nella carità operosa.Alla risposta che lo scriba offre, quale evidente conseguenza del racconto proposto da Gesù, fa da continuità provocatoria una chiamata, un appello ‘Va’

e anche tu fa lo stesso’. Chiaramente, quel ‘fare’ è espresso nel testo dalla compas-sione-misericordia; il ‘fare lo stesso’ equivale all’agire nella misericordia. Il comandamento dell’amore non è una realtà per la quale ci si può mettere a discutere teoricamente; è una esperienza da vivere che richiama un’azione concreta e che acquista i tratti descrittici da Gesù nell’esperienza del samaritano.

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I dati raccolti in questi anni su quanti hanno bussato alla porta della Caritas almeno una volta (ma spesso molte volte), ci dicono che oltre 3.000 persone hanno chiesto aiuto. Di seguito riportiamo l’esperienza di alcuni degli operatori che quotidianamente sono stati contattati.

cARITAS: cENTRO AScOlTO

Dopo un iter piuttosto tormentato, è stata varata dal Parlamento la nuova legge sull’immigrazione, meglio conosciuta come legge Bossi-Fini. In un certo senso modifica, in alcune parti importanti, la precedente normativa contenuta nel Decreto Legisla-tivo n. 286 del 1998 (legge Del Turco-Napolitano). E’ stata licenziata dal Parlamento il 30/7/2002 col n. 189, pubblicata sul supplemento n. 173/L alla Gazzetta Ufficiale del 26/8/2002 n. 199 ed è entrata in vigore il 10/9 u.s.In queste brevi note non si ha la pretesa di analiz-zare globalmente le modifiche apportate in materia di immigrazione dalla legge Bossi-Fini: è facile reperire il testo e leggere le varie interpretazioni ed i relativi commenti su riviste specializzate. Val la pena, però, evidenziare alcuni punti qualificanti ed innovativi che hanno fatto molto discutere.Un’accesa discussione si è avuta sul varo dell’art. 6, che ha sostituito al precedente contratto di lavoro il ‘contratto di soggiorno per lavoro subordinato’. E’ stato, quindi, evidenziato uno stretto collegamento (come commentato dalla Caritas romana) tra il titolo di soggiorno dello straniero e il contratto di lavoro, per cui lo straniero diventa ‘uno strumento utile finché produce ricchezza e, se perde il lavoro e non ne trova un altro in poco tempo, deve uscire dalla scena. Usa e getta?Altro motivo di diatriba è risultata l’introduzione, per lo straniero che richieda il permesso di soggior-no o il suo rinnovo, di essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici. Alcune voci hanno gridato allo scandalo, in quanto gli stranieri vengono paragonati a delinquenti abituali e quindi ‘schedati’. Ad onor del vero fra qualche anno tutti noi, nel richiedere la ‘nuova carta di identità’, rilasceremo anche le nostre impronte digitali come segno indelebile di

riconoscimento. Evidentemente nello spirito della norma è prevalsa la necessità di poter identificare con certezza quegli stranieri che dichiarano false generalità per motivi illeciti e che dichiarano, sempre per gli stessi motivi, di aver smarrito i documenti, oppure forniscono nomi di connazionali muniti di regolari permessi di soggiorno. I rilievi dattiloscopici agevolano anche le forze dell’ordine nel loro lavoro verso ogni tipo di delinquenza.Un ‘giro di vite’ è stato operato nella nuova legge per quanto attiene il ricongiungimento familiare (art. 23). Si cita testualmente: lo straniero può richiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari:- a) coniuge non legalmente separato;- b) figli minori a carico, anche del coniuge o

nati fuori del matrimonio, non coniugati ovvero legalmente separati, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso;

- b.bis) figli maggiorenni a carico, qualora non possano per ragioni oggettive provvedere al proprio sostentamento a causa del loro stato di salute che comporti invalidità totale;

- c) genitori a carico ‘qualora non abbiano altri fi-gli nel Paese di origine o di provenienza ovvero genitori ultrasessantacinquenni qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati gravi motivi di salute’.

E’ scomparsa nella nuova norma la dizione, sic et simpliciter, ‘genitori a carico’ e basta, come pure quella relativa ai parenti entro il terzo grado, a carico, inabili al lavoro, secondo la legislazione italiana. Oltre agli altri documenti da esibire, lo straniero che richieda il ricongiungimento familiare

Pianeta Immigrazione

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deve dimostrare la disponibilità di un alloggio che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica e di possedere un reddito annuo derivante da ‘fonti lecite’ non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, se si chiede il ricongiungi-mento di un solo familiare, al doppio o al triplo dell’assegno sociale annuo se si chiede il ricongiun-gimento rispettivamente di 2 o 3 familiari oppure di 4 o più familiari.Grande attesa e enorme interesse ha destato il varo dell’art. 33 riguardante la ‘dichiarazione di emer-sione di lavoro irregolare’. Si è trattato di una vera e propria ‘sanatoria’ che ha aperto al porta della regolarizzazione a migliaia di extra-comunitari che, nei 3 mesi antecedenti la data di entrata in vigore della legge Bossi-Fini (e cioè dal 10/6/2002) ‘hanno

prestato la loro opera di assistenza a componenti della famiglia affetti da patologia o handicap che ne limitano l’autosufficienza (badanti)’. La data di scadenza per la presentazione (con pagamento di contributo forfettario di 290 euro per contributi + 40 per spese) di emersione di lavoro irregolare da parte dei datori di lavoro è stata l’11/11/2002. Come corollario alla sanatoria di colf e badanti, con Decreto legge del 9/9/2002 n. 195, a seguito di altra accesa discussione parlamentare e frutto di un difficile compromesso, è stata varata un’al-tra sanatoria per ‘legalizzare il lavoro irregolare’ degli extra-comunitari lavoratori subordinati ‘in nero’, utilizzati dalle imprese. Poiché i tempi per la regolarizzazione erano fissati in 30 giorni, nel-la conversione in legge del suddetto Decreto (n. 222 del 9/10/2002), tali tempi sono stati portati

anch’essi all’11/11/2002, come per colf e badanti (con pagamento di 700 euro per contributi + 100 per spese).A breve sia i datori di lavoro che i lavora-tori saranno convocati presso la Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo (UTG) competente per provincia per procedere alla stipula del contratto di soggiorno con il quale colf e badanti riceveranno un permesso di soggiorno per 1 anno, rinnovabile, mentre i lavoratori subordinati delle imprese, riceveranno un permesso di soggiorno di 1 anno (contratto a tempo determinato) o di 2 anni (contratto a tempo indeterminato), entrambi rinnovabili. Più puntuali conoscenze sulla legge Bossi-Fini si potranno avere quando, entro 6 mesi dalla data della sua pubblicazione sulla G.U., sarà varato il Regolamento conte-nente norme di attuazione ed integrazione della legge. Con l’11/9 u.s. si è chiusa una sanatoria considerata ‘record’, in quanto da notizie ufficiose sembrerebbe siano state pre-sentate circa 700.000 domande, numero ben superiore ad ogni precedente regola-rizzazione. Ma effettivamente gli extra-comunitari oggetto della sanatoria sono stati tutti regolarizzati?

Mario Vernetti

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La bimba Marta, di 4 anni, ha ricevuto in dono dalla suora dell’asilo alcuni sassi colorati che chia-ma gioielli: su uno c’è scritto amicizia, sull’altro amore, sull’altro ancora bontà e sull’ultimo acco-glienza. La nonna chiede cosa significhi accoglienza e Marta risponde: ‘ Sai, quando ci sono per terra i giocattoli e bisogna raccoglierli…’ Mamma e nonna ridono, ma ripensandoci, questa risposta di bimba fa davvero pensare.Quante volte in questi 10 anni si sono presen-tate al centro persone di-sperate, completamente a terra nel corpo e nello spirito! E davvero qui, come meglio si poteva e si doveva, si è cercato di ‘raccoglierle’, di ridar loro, ‘poveri giocattoli gettati via’, la dignità di persone. Si sono ascoltate e si sono condivisi i problemi di più di 3000 persone (1/3 italia-ne e 2/3 straniere) cercando di risolvere innanzi tutto le esigenze primarie di cibo, indumenti, mobili e suppellettili, doccia e cambio della biancheria, tentando però di non farli diven-tare Caritas-dipendenti. Una delle gioie più grandi è stata vedere alcune di queste persone rivolgersi nuovamente al centro come amici, per donare il proprio aiuto con molta disponibilità e riconoscen-za: l’amicizia diventa allora reciproca, segno vero d’amore e fratellanza. Certo, a volte si è demoralizzati perché è molto difficile rispondere positivamente a richieste come quelle del lavoro, della casa… Ma soprattutto lo sconforto viene perché intorno, nei paesi, nella Valle, in Italia e nel mondo è presente e pressante un clima di paura del diverso, spesso sollecitata ed

Accoglienza: una pietra preziosa

cARITAS: cENTRO AScOlTO

esagerata di proposito. Che porta a comportamenti di vera intolleranza, a sfruttamenti, al rifiuto totale di una cultura diversa dalla nostra.Ci sono anche molti italiani soli, poveri, pieni di problemi; in una società che ci vuole tutti giovani, belli ed efficienti è molto difficile vivere da anzia-ni, poveri, disabili, malati. Al centro si tenta un contatto in cui l’importanza essenziale sia data ai valori umani, al di là di ogni apparenza o religione. L’aiuto viene richiesto il più possibile a persone e istituzioni, ottenendo spesso risposte positive.Periodicamente vengono promossi incontri di

formazione e informazione: abbiamo condiviso testimonianze importanti

come quelle di don Benzi, don Ciotti, monsignor Bettazzi,

Alex Zanotelli, Caponetto, Caselli e molti altri anco-ra, che hanno arricchito la comunità camuna con le loro convinzioni, le loro idee e il loro coraggio nell’azione sociale e re-

ligiosa.

Un ultimo consiglio: sarebbe utile per tutti leggere il recente libro di

Gian Antonio Stella: ‘l’ORDA, quANDO GlI AlbANESI ERAVAMO NOI’ per riappropriar-ci di una parte rimossa della nostra storia. Nella prefazione egli afferma che 27 milioni d’italiani migrarono nel secolo che va dal 1876 al 1976.

Purtroppo la storia spesso non ci è maestra e la nostra memoria a volte è corta.Cerchiamo di costruire insieme un mondo miglio-re.

Domenica Pellegrini e Erminia Beccagutti

anch'io • 13

Mensilmente il banco Alimentare ci fa per-venire un mezzo Tir di aiuti di prima necessi-tà che sono stati così distribuiti tra il mese di marzo e ottobre: 88 volte ad italiani e 187 volte a stranieri.

“Eravamo visti come la feccia del pianeta. Non potevamo mandare i figli alle scuole dei bianchi in Luisiana. Ci era vietato l’accesso alle sale di aspetto di terza classe alla stazione di Basilea. Veniva-mo martellati da campagne di stampa indecenti come maledetta razza di assassini. Cercavamo casa schiacciati dalla fama di essere sporchi come maiali. Dovevamo tenerci nascosti i bambini perché non ci era permesso di portarceli dietro. Eravamo emarginati dai preti dei paesi di adozione come cattolici primitivi e un po’ pagani…’ Noi ci ricordiamo soltanto di quegli italiani, e sono tanti, che ci hanno dato lustro; su pochi pezzi di storia ci siamo costruiti l’idea che noi eravamo i migliori. Non c’è stereotipo rinfacciato agli immigrati di oggi che non sia stato rinfacciato a noi fino a pochi anni fa. Loro sono clandestini? Lo siamo stati anche noi a milioni, tanto che i consolati ci raccomanda-vano di pattugliare meglio i valichi alpini e le coste per non lasciarci partire. Loro si accalcano in osceni tuguri in condizioni igieniche rivoltanti? L’abbiamo fatto anche noi. Loro vendono le donne? Ce le siamo vendute anche noi, perfino nei bordelli di porto Said e del Maghreb. Loro sfruttano i bambini?. Noi abbiamo trafficato per decenni con i nostri, cedendoli agli sfruttatori più infami o mettendoli all’asta nei mercati d’oltralpe. Loro rubano il lavoro ai nostri disoccupati? Noi siamo stati massacrati con l’accusa di rubare il lavoro agli altri. Importano criminalità? Noi ne abbiamo esportata dappertutto….La storia dell’emigrazione italiana è carica di verità e di bugie. Non sempre si può dire chi avesse ragione e chi torto. Eravamo sporchi? Certo, ma furono infami molti ritratti dipinti su di noi. Era vergognoso accusarci di essere tutti mafiosi? Certo, ma non possiamo negare d’aver importato noi negli Stati Uniti la mafia e la camorra. La verità è fatta di più facce, sfumature, ambiguità. E se andiamo a ricostruire la nostra storia si vedrà che l’unica vera e sostanziale differenza fra ‘noi’ allora e gli immigrati in Italia oggi è quasi sempre e solo lo stacco temporale: noi abbiamo vissuto l’esperienza prima, loro dopo. Detto questo, per carità: alla larga dal buonismo, dall’apertura totale delle frontiere, da scriteriati sentimentalismi, dal rispetto politicamente corretto ma a volte suicida di tutte le culture. Ma alla larga più ancora dal razzismo, dal fetore insopportabile di xenofobia che monta, monta, monta in una società che ha rimosso in parte il suo passato”.

anch'io • 14

cARITAS: cENTRO DI AScOlTO

non potranno spezzare le catene dell’indigenza. Dare ai bambini la possibilità di apprendere, vuol dire permettere loro di acquisire le capacità necessarie a progredire. Per attuare questo, nasce la figura del volontario

che si dedica gra-tuitamente alla cura, all’assisten-za ed al sostegno del prossimo. Il volontario, pro-mosso dalla Cari-tas di Darfo, per quanto riguarda il sostegno di alfabetizzazione dei ragazzi extra-comunitari, è un volontariato più individuale, non legato a grandi organizzazioni; è una forma, spesso nascosta, di servi-zio nel territorio, per situazioni di aiuto.S i p o t r e b b e prendere, come inno nazionale dell’impegno e dell’interesse a favore degli altri,

la seguente canzone il cui testo è molto significa-tivo

Dobbiamo ringraziare Angelo, An na Maria, Ermi-nia, Maddalena, Maria, Vanna e Vincenza per la loro disponibilità di tempo e soprattutto d’animo che parte dalla natura ragionevole di tutti gli uo-

La diffusione del razzismo e dell’intolleranza, in quasi tutti i paesi europei costituisce una pericolosa minaccia che non può essere ignorata o sottovalutata. Fra gli strumenti utili a combattere questo fenomeno assume una particolare importanza quello relativo al l’istru zione e all’educazione.Uno dei compiti fondamentali dei sistemi di istru-zione è quello di promuovere il rispetto di tutte le persone, in-dipendentemente dalle origini cul-turali. Ed è essen-ziale perseguire ed intensificare l ’ insegnamen-to di valori che favoriscano gli atteggiamenti di solidarietà e di intolleranza (in particolare verso persone e comu-nità aventi origi-ni etniche, cul-turali e religiose diverse) nonché il rispetto della democrazia e dei diritti dell’uomo.Nell’art. 28 dei Diritti del Fanciullo si contempla il diritto all’educazione, gratuita per tutti. L’igno-ranza, con la povertà, le malattie e la fame, che sono quattro tragedie che interagiscono tra loro, è forse il peggiore dei mali. Quando la povertà non permette ai bambini di leggere e di scrivere, questi

SI PUO’ DARE DI PIU’

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La carenza degli obiettori di coscienza è stata egregiamente supplita da tanti volontari che hanno messo a disposizione il loro tempo (un pomeriggio o una mattinata settimanale) e la loro energia come supporto al Centro Caritas e come pronto intervento alle numerose richieste di quanti durante l’anno hanno bussa-to. Il grazie più sentito viene allargato pure a quelli utenti (italiani e soprattutto immigrati) che, dopo aver ricevuto aiuto, a loro volta si sono resi disponibili alle tante necessità del Centro Caritas, Questo è molto significativo e fa riflettere. Un grazie particolare alle signore che settimanalmente tengono in ordine il magazzino dei vestiti e a quelle che puliscono con tanta cura gli ambienti del Centro.

Il supporto che la Fondazione Folonari di brescia anche quest’anno è stato grande e puntuale. Le erogazioni da loro date, su nostra indicazione, hanno permesso di alle-viare tanti problemi a famiglie in difficoltà con minori. Un altro grosso ringraziamento va al centro Aiuto alla Vita di Pisogne per la sensibilità dimostrata verso i più piccoli in stato di bisogno.

mini e dalla con-sapevolezza della comune apparte-nenza alla specie umana che porta a garantire a tutti dignità e soccor-

so nelle difficoltà.Queste persone seguono sei bambini extracomunitari alla scuola media ‘Ungaretti’ di Darfo: tre di II e tre di III, rispettivamente una tunisina, un egiziano, una marocchina, una peruviana, un macedone ed una lituana.Domandarsi se c’è bisogno di volontari potrebbe sembrare superfluo. Ognuno, infatti, può assumere un compito e dare

il proprio contributo al miglioramento della qualità della vita di questi ragazzi che, finite le ore sui banchi, tornano in famiglia

dove diventano piccoli maestri di italiano, di geografia o di abitudini del nostro paese.La facilità di comunicazione e l’uguaglianza partono non da accordi internazionali o da fattori politici, ma dal cuore dell’uomo, un cuore aperto alla generosità ed alla disponibilità, senza aspettarsi molto in

A PROPOSItO DI SCUOLA…Continua tutti i giorni presso la sede Caritas il corso di alfabetizzazione per adulti immigrati.Un grazie a tutti i volontari

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Il mondo della prostituzione coatta in Italia, in cre-scita costante, si presenta come un esercito di 70.000 persone, in strada per necessità, ma soprattutto per paura, quasi tutti migranti, spesso minorenni, il 94% sono donne, minacciate, sfruttate, vendute.Le migranti sono le più sfruttate. Molte di loro, soprattutto nigeriane, sono arrivate in Italia con la promessa di un lavoro regolare e si sono poi trovate sulla strada per pagare il debito del viaggio di trasferimento (ultimamente si parla di 50-60.000 euro).Cosa impedisce a queste ragazze di ribellarsi ai loro aguzzini? Un ricatto infame che unisce suggestioni reli-giose e minacce di ritorsioni fisiche. La paura del potere del rito vudù è così forte e terribile da non lasciare spazi ad idee di fuga. Alla minaccia di orribili malattie o di morte, si aggiungono ben più tan-gibili ritorsioni sui familiari lasciati a casa. In Valle la presenza più mas-siccia è costituita dalle nige-riane. Dall’inizio dell’anno abbiamo contattato circa 70 ragazze. Attualmente sulla strada ne incontriamo una trentina; le altre sono semplicemente scomparse. A volte arriva una chiamata: ‘Ciao, non ti preoccupare, sto bene … sono a Napoli, Milano, in Francia, …’ Questo fa pensare ad uno stretto controllo del territorio. Esiste un’organizzazione che gestisce il viaggio dall’Africa all’Europa e si preoccupa di studiare le zone miglio-ri e di distribuire le ragazze. Sono donne vendute, comprate, private della libertà, ridotte in schiavitù nella ricca Europa del terzo millennio. E’ molto difficile proporre delle soluzioni. L’articolo 18 del testo Unico sull’Immigrazione, che non ha subito modifiche con la legge Bossi/Fini, garanti-sce alle donne che coraggiosamente si oppongono

ai loro aguzzini un permesso di soggiorno dopo un percorso di reinserimento sociale. Sicuramente non è una strada semplice. Il presupposto è una corretta informazione. Come volontari ci siamo sempre impegnati a spiegare alle ragazze l’iter per usufruire dei vantaggi di questa legge. Abbia-mo anche organizzato delle serate specifiche sul tema avvalendoci della consulenza di avvocati. La sola informazione però non basta. Per compiere una scelta così difficile e rischiosa, occorre una

completa fiducia tra i volontari e le ragazze. E’ una condizione che si può creare solo con grandi sforzi di comprensione e accettazione reciproca, proponendosi come amici e compagni, offrendo sostegno morale e materiale. L’estrema povertà senza speranza del loro paese d’origine spinge queste giovani donne a lasciare la loro casa, il loro paese, la loro famiglia per inseguire il sogno di una vita dignitosa in Europa. Arrivano in Valle per trovare il denaro per far studiare i fratelli più piccoli o per mantenere le loro famiglie. Lasciano tutto perché pensano di aver ben poco da perdere; certo non possono immaginare quello a cui vanno incontro: la violenza, la vita di strada, il

Valeria Damioli

PROSTITuZIONE

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freddo, le minacce, i ricatti. Vite indegne di essere vissute, sofferenze umane che passano nell’indiffe-renza della stragrande maggioranza di noi.Siamo tutti corresponsabili della situazione vissuta da queste donne: il cliente che alimenta il com-mercio di esseri umani, l’indifferente che finge di

Questa nostra amica ha mandato la seguente lettera aperta a parecchi giornali fra cui ‘La Voce del Popolo’ e ‘Famiglia Cristiana’

Sono una ragazza che per 5 anni ho vissuto sulla strada, ho vissuto di essere umiliata, ho vissuto il soprannome di prostituta, ho dimenticato il mio nome, ho perduto la mia famiglia, ho perduto le mie figlie, la mia gioventù.

E’ terribile vivere in questo modo di prostituta e per questo ho deciso di scrivere questo mes-saggio per tutti gli italiani, per tutti quelli che sono interessati a sapere la vita che fa una prostituta, per chi corteggia le prostitute.

Uomini che andate sulle strade per fare 5 minuti di sesso che cosa ci trovate, che cosa sentite, quali sono i motivi che vi portano a frequentare le prostitute?

Fatevi una domanda: che cosa provate quando incontrate una di noi e cosa prova una di noi quando incontra un uomo, che cosa?

Dolori, vergogna, sofferenza, lacrime. Schiave di questi uomini senza pietà. O forse pensate che le fate contente con i vostri soldi? No non è vero, nessuna di noi è contenta di vedere e toccare questi soldi che puzzano di sporco se non fossimo costrette. Uomini di tutto questo paese cercate di aiutare queste donne perché anche loro sono figlie di una madre, sono figlie di Dio , aiutate queste donne perché hanno bisogno del vostro aiuto, hanno bisogno di essere contente e hanno bisogno di essere protette.

AIUTATE, AIUTATE, AIUTATE, lo chiedo in nome di Dio di aiutare. Se siete donne giovani e volete aiutare, se siete madri e volete aiutare, aiutateci allora, non aspettate perché il tempo passa e non torna indietro.

Aiutate tutti voi che sentite o leggete questo messaggio. Io continuo a pregare Dio per aiutare tutte le ragazze prostitute. Dio ascolta le mie preghiere,

ascolta il mio cuore, ascolta la mia voce che ti chiede aiuto per tutte le ragazze: AIUTO! AIUTO! AIUTO!

Queste povere creature hanno bisogno del tuo aiuto, hanno molto bisogno. E prima di chiudere questo messaggio voglio dire anche a tutte le ragazze prostitute che si trovano nei momenti difficili, non piangete, non rattristatevi perché la gioia del Signore è la vostra forza.

StoP!Fermiamo il traffico

non vedere il problema, il falso-virtuoso che si scandalizza del mercimonio praticato sulle strade e lo vorrebbe nascosto, anche se ugualmente de-gradante per la persona.

anch'io • 18

bruna e Gianni carancini

NON SOlO cARcEREIl Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, durante la sua recente visita ai detenuti nel carcere di Spoleto, ha detto una frase, fra le altre, che a noi è sembrata molto significativa. Infatti, parlando ai detenuti, Ciampi ha affermato che agli stessi è stata tolta la libertà, ma non è stata tolta la loro dignità.Questo dovrebbe essere un assunto senza necessità di sottolineature, ma che viene spesso disatteso col risultato di togliere ai detenuti, oltre alla libertà, an-che la digni-tà. Noi non d o b b i a m o mai dimen-ticare che la carcerazione, per quanto lunga, prima o poi termi-nerà e che il detenuto, scontata la sua condan-na, rientrerà nella società civile.Sarebbe per-ciò auspica-bile che il circuito ‘punizione-espiazione-ravvedimento’ diven-tasse un meccanismo quasi automatico che consen-tisse, attraverso l’incremento delle pene alternative, una diversa e più rieducativa pratica di espiazione della condanna. Restare chiuso in una cella per mesi e sovente per anni certamente non favorisce il recu-pero di un detenuto, perché non fornisce stimoli, né morali né professionali, per una possibile riabilita-

zione, Questa è una meta raggiungibile ben sapendo che non sono sufficienti le belle parole, ma occorre l’impegno e soprattutto la volontà per raggiungere tale obiettivo. Sono necessarie iniziative per aumentare e per formare professionalmente il personale, ampliare e creare nuove strutture, facilitare l’accesso allo studio e al lavoro inframurario ed extramurario, migliorare la sanità penitenziaria.Certo le cose da fare sono tante e tutte urgenti, ma

è necessario incominciare. Anche un pic-colo migliora-mento è sem-pre megl io di un’ottima progettazione che resti un freddo eserci-zio tecnico e stilistico.L’anno scorso, nel nostro tra-dizionale arti-colo su que-sto giornale, dicevamo del sovraffolla-

mento nelle carceri, auspicavamo che, a distanza di un anno, il problema non fosse più così drammatico. Purtroppo le nostre aspettative sono state deluse. L’unica cosa che è cambiata è il numero dei detenuti, che sono aumentati, mentre le strutture, le iniziative e le speranze sono rimaste quelle di sempre.Ci sembra interessante portare alla vostra attenzione testimonianze che provengono direttamente dall’in-

Non fiori, ma opere di bene: in occasione di funerali dei propri cari, in alternativa all’omaggio floreale al defunto, alcune famiglie hanno offerto il corrispondente per le attività della Caritas. Una buona idea e tanta riconoscenza.

anch'io • 19

Da un articolo di concetta:Si parla di reinserimento dei detenuti nella società, ma di fatto la voce dei detenuti reinseriti è così flebile da non infondere abbastanza speranza!

Da un articolo della IV A ITG ‘Tartaglia’ presso la casa cir-condariale:La scuola non serve solo per conse-guire un diploma, ma qui in carcere, ci aiuta ad evadere mentalmente, ad acculturarci e a distoglierci da una realtà che spesso induce l’individuo a riprogettare nuovi reati da commettere dopo il periodo detentivo. Evadere sì, ma studiando!

Da un articolo di Mara:E poi e poi e poi … Un’altra settimana di attesa nella speranza che qualcuno si ac-corga di noi!!! Un articolo sul giornale, il tal carcere è sovraffollato, il tal altro pure, troppi detenuti, ecc… Allora, un piccolo atto di clemenza a questo punto chi di dovere dovrebbe farlo. Noi non c’illudiamo, ma, in fondo in fondo speriamo. Chissà!!!

la poesia di concetta:

PICCOLO PASSEROPiccolo passero, che guardi con malinconia l’orizzonte, cosa aspetti? piccolo passero, in stasi sulle sbarre della mia finestra… Chi aspetti? Vola, vola via tu che puoi! piccolo passero, resti lì… in eterna attesa, chissà se è la voce del tuo cuore a conferirti quel tono malinconico. Forse anche tu vedi i tratti di un volto amato, nelle nuvole infuocate del tramonto. Piccolo passero, non essere triste se la tua compagna non vedi più.

Non lasciare che il freddo delle sbarresotto di te, diventi tutt’uno con l’animo tuo.Piccolo passero chi aspetti ancora?Anche tu come me aspetti invano un ritorno…Anime che volanonell’azzurro di un altro cielo.Fatti forza e spiega le tue ali verso l’alto…Porta con te il mio dolore…Donalo al vento, che lo disperdacome fosse cenere.Vola, piccolo passero… vola tu che puoi…Dimostrami che ancora lo vuoi!

Da ‘Zona 508’ periodico interno della Sezione Femminile del carcere di brescia

anch'io • 20

Ospitalità dei bambini bierlorussi malati di mucoviscidosiAnche quest’anno è continuata in 4 paesi (Anfurro, Bossico, Breno e Pisogne) l’ospitalità di piccoli bielorussi malati di fibrosi cistica (o mucoviscidosi) accompagnati dalle rispettive mamme. Ascoltiamo di ringraziamento degli ospiti e alcune esperienze degli ospitanti.

cARITAS: IMPEGNO INTERNAZIONA-

Il nostro gruppo e cioè Marina, Olga, Poma, Adina e Anna, ha passato un mese ad Anfurro. Questo mese non lo potremo dimenticare. Lascia-mo per sempre i nostri cuori per la gente che ci ha ospitato.

Questo piccolo paese ci è molto piaciuto. I bambini hanno fatto le cure a Angolo Terme e questo è molto necessario per la loro salute. Vogliamo ringraziare tutti per l’aria buona che abbiamo respirato e per il perfetto nutrimento che ci avete dato. Ci è molto piaciuto fare le gite in montagna e a Gardaland. Ci ricorderemo per tanti anni di questo soggiorno.

Ringraziamo di cuore la Caritas per aver organizzato questo soggiorno e ringraziamo il paese di Anfurro che ci ha ospitato e tutti i vo-lontari che hanno lavorato per noi. Ringraziamo per l’ospitalità.

Batrys e Raman, ambedue di 8 anni, con le loro mamme sono tornati nel loro paese e nella loro casa in Bielorussia. La loro presenza fra noi è stata positiva per la loro salute e siccome questa era la motivazione della loro presenza qui a Bossico, giudichiamo utile l’esperienza vissuta. Sapere che uno di loro doveva prendere circa 30 pastiglie al giorno e l’altro la metà per poter digerire il cibo, dovrebbe farci riflettere. Infatti, per noi ogni espe-rienza deve avere anche un valore educativo e farci comprendere la preziosità della carità, dell’andare incontro al bisognoso, con attenzione e con sag-gezza, farci apprezzare il valore della vita e della

collaborazione. Negli ‘Atti degli Apostoli’ è riportato che il Si-gnore Gesù disse: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”.

Operatori Caritas di Bossico

anch'io • 21

A settembre di quest’anno la Parrocchia di Breno ha accolto, nel Centro di Pronto Intervento ‘Casa Giona’, 4 bambini con mucoviscidosi e 3 mamme accompagnatrici provenienti dalla Bielorussia. Da 2 anni, infatti, questa ‘casa’ aderisce al progetto, sostenuto dalla Caritas di Darfo, di aiuto a bambini malati che si fermano in Italia un mese per ricevere cure mediche, una migliore alimentazione e aria più pulita. In questo modo i loro genitori sperano di poter dare una maggiore speranza di vita, ben consapevoli della triste realtà che si trovano a dover accettare. La mucoviscidosi, infatti, è una malattia genetica che ancora oggi non trova rimedio in nessuna parte del mondo. Penso che sia siano trovati tutti bene da noi anche perché essere in un Centro di Accoglienza li ha aiutati a capire che oltre a loro ci sono tante persone che portano con sé dei problemi a volte insormontabili e ciò le ha spinte ad aprirsi ad un’esperienza familiare di vicinanza. Sentimenti di rabbia, rassegnazione, tristezza, amarezza, confusione, e nello stesso tempo di speranza e forza hanno fatto da cornice a fram-menti di vita. Tanti interrogativi e dubbi mi hanno accompagnato in questi trenta giorni che hanno però trovato risposta nelle loro storie familiari, di paese, nei loro occhi, in quelli dei bambini con le loro assurde 30 pastiglie giornaliere da ingoiare come fossero caramelle. La maggior parte di queste mamme ha vissuto almeno un’esperienza di abbandono o di solitudine, tante vivono nella povertà e vengono in Italia sperando di trovare tutto quello che serve loro, come appare dai mass-media. Come non crearsi illu-sioni o attese? Anch’io, se fossi nelle loro condizioni e con un figlio ammalato di mucoviscidosi girerei il mondo in cerca di cure, di cibo migliore, di soldi per poterlo far vivere al meglio. Non è facile accettare la morte di un anziano, immaginatevi quella di un bambino!Pochi giorni fa ho partecipato a Bienno ad un incontro di spiritualità durante il quale mi veniva chiesto di trovare dei segni di vita nella mia esperienza. Non so perché ma ho pensato subito a quei giorni. Forse è assurdo, ma nelle lacrime di questi bambini ho visto

la contraddizione di una vita che voleva uscire, scop-piare e la paura di un destino troppo grande da dover affrontare. Sembrano storie raccontate su un libro, ma vi assicuro che è una realtà che fa male, alla quale si cerca di sfuggire, ma che aiuta a riflettere.Invito quindi ogni paese a vivere questa pagina di libro con il consiglio di non fermarsi alla superficia-lità dell’apparenza, ma di aprirsi alle emozioni che ‘i segni di vita’ possono suscitare.

Rossella Angeloni

A settembre sono stati accolti 2 bambini ammalati di mucoviscidosi, accompagnati dalle loro mamme, che così hanno potuto curarsi presso le Terme di Ango-lo. Grazie anche alla generosità di chi ha messo a disposizione un appartamento dove poterli collocare, hanno avuto l’opportunità di soggiornare a Pisogne con le loro mamme.Questa iniziativa è stata sostenuta, già da alcuni anni, dalla Caritas di Darfo e da quest’anno anche la nostra comunità ha avuto la possibilità di partecipare a questo lodevole progetto.I bambini sono stati sottoposti ad una serie di cure termali che hanno permesso loro di ristabilire un certo benessere fisico, in quanto la terapia inalatoria ha ottenuto il distacco del muco denso e ristagnante dagli organi interessati. Questo trattamento è stato offerto dalle Terme di Angolo che hanno messo a disposizione un ciclo di terapia inalatoria e fisiote-rapia respiratoria con drenaggi posturali, in modo da favorire l’espettorazione e la prevenzione di eventuali infezioni.Gli operatori Caritas sono entusiasti della buona riuscita di questo progetto e ringraziano vivamente tutti coloro che hanno generosamente offerto un po’ del loro tempo e sono fieri del senso di solidarietà dimostrato nei confronti di questi bambini.Visto l’esito positivo, si spera che questa esperienza si rinnovi anche l’anno prossimo.

Operatori Caritas di Pisogne

cARITAS: IMPEGNO INTERNAZIONA-

anch'io • 22

I rapporti con Buruienesti, in Romania, sono sempre molto stretti: con suor Maria Cristina ci sentiamo telefonicamente ogni 15 giorni e in questa occasione ci ragguaglia sul lavoro fatto e sui fatti che accado-no. Ogni volta l’impressione è che questa suora sia assolutamente determinante per la cura dei bambini adottati, ma anche di tutti i numerosi bisognosi e fra questi in prima fila ci sono gli anziani costretti a vivere con un miserevole sussidio statale. Nell’’Anch’io’ dell’anno scorso avevamo ipotizzato 2 proposte concrete ed entrambe sono diventate realtà:- con l’aiuto anche delle parrocchie e degli

oratori di Angolo, Angone, Artogne e Piazze, Bessimo e Monti, Boario, Corti, Darfo, Fucine, Gorzone, Mazzunno e terzano, ma soprattutto dei volontari che sono andati a lavorare, il pozzo di acqua pulita è stato realizzato. Questo permette a tutte le persone del paese di venire alla fontana a prendere l’acqua da usare almeno per bere e cucinare, evitando molte infezioni intestinali a grandi e piccoli e alle suore di non dover più far bollire l’acqua, raccolta a chilometri di distanza, prima di usarla.

- L’Istituto Pastori di Brescia ha preparato un progetto agricolo per piccole proprietà con tutti i suggerimenti per ottenere un prodotto più ricco atto a sfamare questi piccolissimi proprietari terrieri. Ora resta un ultimo ‘in-significante problema’: reperire i soldi per attuarlo. La suora è fiduciosa e sta sollecitando in-terventi a varie organizzazioni.

Suor Maria Cristina, facendo riferi-

cARITAS: IMPEGNO INTERNAZIONA-

mento alle 80 adozioni a distanza di bambini portate avanti durante il 2002, in una lettera ci dice:facendo un veloce riassunto delle attività che si sono potute fare grazie al vostro aiuto, posso dire che:- ho comperato tanto riso, zucchero, olio, farina,

carne, scarpe, vestiti e medicine;- ho pagato il materiale per riparare diversi tet-

ti;- ho comperato tante sementi per i campi;- ho pagato alcune operazioni ospedaliere;- ho pagato la sepoltura ad alcuni morti;- ho pagato viaggi per la ricerca di lavoro;- ho pagato debiti ad alcune famiglie;- ho fatto mettere la luce elettrica in alcune

case;- ho dato aiuto in denaro a mamme che sappiamo

non bevono alcolici;

insomma, spero siate contenti di sapere che i vostri sacrifici offerti con amore, con altro amore vengono suddivisi, come dicevo, ai vostri figli adottivi e

ROMANIA: il rapporto continua

anch'io • 23

Siamo partiti in 5, mio padre Bepi, Alfredo, Armando, Lorenzo ed io a bordo di un pulmino, una mattina di luglio, alla volta della Romania. Dopo un piccolo incidente di percorso dovuto alla mia sbadataggine (avevo dimenticato il passaporto a casa e mia madre e mio fratello si sono lanciati al nostro inseguimento senza poterci avvisare per i telefonini tutti spenti) il viaggio si è svolto piacevolmente, nonostante alla fine si sia rivelato faticoso per la sua lunghezza. Abbiamo attraversato il laborioso Nord-Est con il suo traffico permanentemente convulso, l’efficientissima Austria con ogni cosa al suo posto, l’emergente Ungheria e siamo entrati in Romania che era notte fonda. Che la Romania sia un paese particolare lo si capisce già al superamento della dogana che presenta i controlli fron-talieri a cui con l’Europa unita non siamo più abituati e poi, nonostante fossero le 3 di notte, incontriamo i venditori di oggetti in legno di artigianato locale che cercano di raggranellare qualche soldo con i pochi stranieri che passano a quell’ora. Non si vedono ancora i primi raggi di sole, che per strada si incontrano i contadini diretti nei loro campicelli con la falce o la zappa in spalla, i più fortunati sono in bicicletta o col carro trainato dal cavallo, gli altri a piedi. Le case che vediamo sono tutte molto simili, ad un solo piano, con un piccolo terreno attorno, una recinzione semplice di legno e qualche decorazione nella facciata o nelle grondaie del tetto, ma comunque danno l’idea della povertà a cui si pensa riferendosi alla Romania. Alle 6 del mattino, ancora tutti assonnati, ci fermiamo per il cappuccino in una piccola locanda isolata nei pressi di Sebes; sullo scaffale del bancone ci sono poche povere cose. La coppia che ci serve probabilmente ha questo locale come seconda attività, i loro vestiti e le loro mani tradiscono la fatica dei campi e i magri guadagni. Dopo essere transitati da Sibiu, Brasov e Bacau, giun-giamo a destinazione. Siamo molto stanchi soprattutto per lo stato delle strade rumene, dissestate oltre ogni immaginazione e prive di indicazioni segnaletiche. Il paese che ci sopita è Buruienesti nella provincia moldava di Piatra Neamt. Alloggiamo nella casa delle suore dove ci apprestiamo a realizzare il pozzo che è poi il motivo del nostro viaggio e ad accoglierci ci sono suor Maria Cristina, suor Lucia, suor Maricika e suor Nicoletta. La prima immagine che mi rimane impressa di questo luogo sono i bimbi che giocano con l’acqua del pozzo in costruzione, fradici e infangati, ma felici soprattutto per la novità che questo lavoro e

noi italiani portiamo in questo paese che per il resto deve essere piuttosto monotono, con la vita scandita solo dal ritmo delle stagioni. Quella sera, dopo esserci rinfrescati e riposati un poco, ceniamo con le suore e con un fratello di suor Maria Cristina, sacerdote, con i quali la serata passa piacevolmente, discorrendo di vari argomenti, tra cui il lavoro che l’indomani ci aspetta. Ci corichiamo presto e non deve essere stato difficile per nessuno di noi addormentarsi. Il mattino seguente, di buonora, si cominciano a sentire le campane e i passi dei parrocchiani che giungono in chiesa passando sulla ghiaia del piazzale antistante, essendo la chiesa a fianco del nostro alloggio. In Romania la religiosità è molto viva e fa effetto comparare la loro partecipazione al nostro distacco. Dopo aver fatto colazione cominciano il lavoro, prima eseguendo lo scavo che ci impegna per un paio di giorni, per poi posare il tubo, collega-re la pompa manuale esterna e la pompa sommersa alle tubazioni esistenti della casa. Nelle nostre fatiche siamo seguiti passo passo dai bambini del paese tra cui Catalin e Micaela (quelli che mi sono rimasti nel cuore) i quali si prodigano per aiutarci per quanto possibile, e per rinfrescarci, visto il caldo incredibile. Alfredo un pomeriggio ha organizzato una gita a Ro-man, la cittadina più vicina, per tutti questi bambini e ha offerto loro un gelato: già salire sul pulmino per loro è stata una festa, figuriamoci che gioia ha donato loro questa giornata. Nei giorni seguenti ultimiamo il lavoro del pozzo, collegandolo all’impianto della casa; in questo modo le suore non devono più bollire l’acqua e i bimbi di Buruienesti possono berla tranquillamente anche alla fontana esterna senza pericolo di contrarre qualche malattia. Nelle serate trascorse in Romania, passeggiando lungo il paese, abbiamo visto i vari aspetti della vita lì. Sono molti che la sera annegano nell’alcool i problemi della loro esistenza, uomini e donne, ma la speranza deve venire dai giovani. Tutti sperano di venire a lavorare nell’Europa Occidentale, ma, secondo me, devono riuscire a trovare entusiasmo per lavorare e impegnarsi nel loro paese, visto che fra qualche anno in Europa ci entreranno ugualmente con l’allargamento a est della Comunità Europea. Questa settimana così intensa è passata in fretta e ci apprestiamo a tornare in Italia più ricchi dentro: probabilmente abbiamo ricevuto di più di quanto abbiamo dato.

Domenico Mondini

Cronaca di un viaggio in Romania

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Non sono tanti 11 anni se penso a missionari/e che si trovano da 30 anni o più in Congo! Dopo 7 anni vissuti in un quartiere popolare di Kinshasa, mi trovo da 4 anni a Isiro, nella pro-vincia orientale di questo grande e ricco paese che è il Congo. Purtroppo il mio paese è ancora in guerra! Dopo più di 30 anni di dittatura di Mobutu, nel 1997 si sperava in un vero cambio politico, visto che da anni ci si preparava e si lavorava per la democrazia. Invece dall’agosto 1998 siamo ancora in guerra: una guerra definita la I guerra mondiale d’Africa, visto che sono entrati nel gioco bellico diversi paesi: alcuni direttamente come Uganda, Ruanda, Burundi, Angola, Zimbabwe…, alcuni indirettamente come i costruttori e venditori di armi! Dopo diversi contatti si è arrivati in aprile 2002 ad un accordo di pace fra 2 gruppi di ribelli ed il governo di Kinshasa. Purtroppo questa Pace che doveva portare ad un governo provvisorio è ancora lontana!Rocordiamo poi le parole di Kofi Annan dei giorni scorsi, non c’è alcun interesse per la Pace, ma la volontà di approfittare di questa guerra!Più di 2 milioni e mezzo di morti, in più di 4 anni di guerra e i nostri mezzi di comunicazione non ne par-lano! La grande maggioranza delle vittime è di civili, morti per violenze, saccheggi, sequestri, uccisioni,… La violenza, l’insicurezza, la presenza di ribelli e di eserciti stranieri, gli abusi dei militari, il malgoverno del paese, il costo della vita sempre più caro hanno messo il nostro popolo in ginocchio e l’hanno sottomesso a situazioni di estrema povertà e di disperazione. In questa situazione, come missionario insieme

ai miei confratelli cerchiamo di CONSOLARE e ANIMARE la nostra gente, credendo sempre in un futuro migliore. In questi anni, diversi progetti di sviluppo sono stati messi da parte, viste le difficoltà socio-economiche del momento. Ho visto però che la nostra presenza in mezzo alla nostra gente è sempre molto apprez-zata. Questo è un segno di consolazione per le nostre comunità che trovano nella chiesa l’unico punto di appoggio e di condivisione. Quante volte ho sentito dire ‘grazie padre per non averci abban-donato, grazie per essere rimasti!’L’Annuncio di Gesù Cristo, del suo Vangelo, del suo Regno di fraternità è ancora valido e urgente non solo per noi in Africa, ma anche per voi in Europa. Quanto è difficile per voi oggi andare contro cor-

rente con una vita più semplice, più sobria, senza tanto consumismo e spreco.In voi amici e amiche della Caritas ho sempre trovato appoggio, affetto, aiuto e stima. Siete per me e anche per la mia gente un SEGNO che non

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CONGO: dove la guerra distrugge, la speranza costrui-

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ALBANIASono continuate le adozioni a distanza col centro diurno di riabilitazione di portatori di handicap a Scutari (città a nord dell’Albania) dove, in colla-borazione con la Missione Arcobaleno, abbiamo realizzato il Villaggio Brescia che continua nella sua opera sociale.Prima di Natale faremo pervenire al Centro (ora allargatosi a 150 gravi, sempre portatori di handi-cap) materiali di prima necessità.Anche se l'Albania ha intrapreso un cammino di progresso e legalità, continua a necessitare di in-terventi umanitari.

MESSICOSuor Olga Domenighini, missionaria in Mes-sico, anche questa volta è venuta a raggua-gliarci sulla realtà di Puebla, dove opera. Si è dato a lei un aiuto-segno. Prima di tornare al suo lavoro ha chiesto di poter portare con lei dei viveri, preziosissimi nella situazione di bisogno in cui si trova. Siccome scherza-vamo sul fatto che sarebbe stato umanamente impossibile portarsi tutto in aereo, lei ha voluto, molto spiritosamente, mandarci una prova fotografica di come sia partita carica e di come sia riuscita a superare indenne la dogana. Sopra le numerose valigie ha posto il cartello di ringraziamento alla Caritas, ma che è ringraziamento per tutti coloro che offrono, usandoci come tramite.

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tutti i ‘bianchi’ sono egoisti, approfittatori dei paesi più poveri, venditori di guerre! Di tutto cuore vi auguro che possiate continuare nella vostra missione di CARITAS così attuale e importante sia qui in zona che nel mondo intero. Tutto quello che siete e fate soprattutto nell’accoglienza allo straniero è per me motivo di spinta ad andare avanti.Dopo 2 mesi in Italia, torno ancora in Congo con più entusiasmo sapendo che nelle ‘quinte’ c’è molta gente che si sente unita a me nello sperare e costruire un mondo più giusto e fraterno.Se la guerra in Congo e nel mondo continua a distruggere, voi e noi missionari crediamo in un domani nuovo, un futuro ricco di PACE e di FRATERNITA’.Che il Signore benedica tutti gli sforzi per un mondo più umano.

Padre Rinaldo Do

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DUGA – BOSNIAUna leggenda nordica vuole che all’origine di ogni arco-baleno vi sia una pentola piena d’oro: in croato arcobaleno si traduce con la parola Duga; sicuramente noi ragazzi di Corti in Costa Volpino sappiamo che l’iride visto da noi quest’estate legava idealmente la Valle Camonica con la città di Mostar, la Caritas di Darfo con la parrocchia di San Giovanni Battista di don Krescio.Abbiamo constatato che la leggenda nordica è vera. All’al-tro capo dell’arco c’è un mondo pieno di amici, una ricca umanità da non dimenticare poiché lei per prima non ha dimenticato quello che di bene la Valle ha fatto durante la guerra. Da Costa Volpino siamo partiti in 14 per andare a Mostar. Con l’aiuto ed il suggerimento di don Danilo, abbiamo voluto portare la nostra esperienza estiva di animatori GREST in una realtà che di sicuro non è a misura di bambino e dove non esiste la tradizione oratoriana tipica della diocesi di Brescia.Il duga-arcobaleno nella Bibbia è anche segno di un patto tra Dio e l’uomo. Don Krescio ha pensato di tradurre la sigla GREST nell’acrostico DUGA, cioè: ‘Attività di animazione estiva e apostolato della gioventù’.La nostra permanenza di 15 giorni è stata ‘full immertion’ perché siamo stati ospiti delle famiglie. Ci siamo sentiti parte integrante della comunità parrocchiale di don Kre-scio: percorrevamo i loro stessi cortili segnati dal tempo e dalle lotte e salivamo le medesime scale fatiscenti e mal tenute, che contrastavano vivamente con la pulizia ed il calore dei loro appartamenti.Il tema del GREST era la pace e la costruzione della riconciliazione in città. Si doveva quindi favorire il su-peramento dell’odio latente in molti ragazzi nati dopo la guerra. Il segno degli obici e delle mitragliate merletta tutti i palazzi della città, scenografia ideale per mostrare quanto i Balcani non siano il fronte di una guerra finita, ma solo caduta nell’oblio, rimasta subdola e annidata sotto le durature macerie.Ci ha colpito molto la voglia di sorridere e di cantare che i nostri coetanei, facenti parte del gruppo che gravita attorno a da don Krescio, hanno ancora. Anche là infatti abbiamo visto come i segni del consumismo e dei suoi miti stiano prendendo piede. In città, infatti, non mancano centri commerciali, american bar, discoteche ed altri locali di divertimento, in molti casi in una città ancora mutilata questi luoghi sembrano delle caricature dove gli unici a

sentirsi veramente a loro agio sono i soldati della forza multinazionale e gli inviati ONU.I ragazzi che noi abbiano conosciuto, per lo più cristiani, guardano a questi miraggi occidentali solo per illudersi di vivere in una situazione normale, comune a tutti i giovani europei, agiata e ‘satellitare’. Realmente moltissimi trovano il riferimento principale per dare significato alla loro vita in quello che don Krescio annuncia e testimonia dando loro tutto il suo tempo e le sue risorse. Ci ha molto colpito vedere come la sua parrocchia sia una casa aperta a tutti, in cui tutti possano sentirsi a casa propria. L’esperienza di DUGA è piaciuta a tutti i ragazzi perché ogni giorno potevano imparare giochi e canzoni nuovi. Per tutti c’era la possibilità di sviluppare la propria fantasia e manualità nei vari atelier di decorazione e di creazione di braccialetti, tovagliette, …Noi dobbiamo ringraziare don Krescio perché nei momenti liberi ci ha fatto conoscere la realtà dei villaggi attorno a Mostar dove i segni della guerra sono rimasti insieme a milioni di mine antiuomo, molte delle quali fabbricate in Italia.Tra chi ha vissuto quest’esperienza è rimasto un segno di amicizia e una promessa: non li dimenticheremo e l’anno prossimo torneremo da loro.

I ragazzi dell’Oratorio di Corti

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