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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA TRE Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica FORMULA DI TAYLOR ed applicazioni per il corso di Analisi Matematica B. Palumbo, gennaio 2010 ~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~ 1. Polinomi di Taylor Sia f una funzione definita in un intorno I del punto a, e supponiamo che f sia derivabile n volte in I (1) . Definiamo allora polinomio di Taylor di ordine n generato da f nel punto a il polinomio P n (x) che verifica le seguenti condizioni: = = = = ). ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( a f a P a f a P a f a P a f a P n n n n n n L (1) Si richiede quindi che il polinomio coincida con f per x = a, e lo stesso valga per tutte le derivate del polinomio fino all'ordine n. Volendo, le (1) si possono scrivere in modo più compatto nella forma ) ( ) ( ) ( ) ( a f a P k k n = per k = 0, 1, ..., n, (2) dove per convenzione si è posto f (0) (x) = f(x) (cioè, la derivata "di ordine 0" di una funzione coincide con la funzione stessa). Si osservi quanto segue: La (1), ovvero la (2), è un'uguaglianza tra numeri e non tra funzioni: si richiede quindi che le condizioni indicate valgano per x = a, ma non necessariamente per altri x di I distinti da a; Dovendo imporre sul polinomio P n le n + 1 condizioni (1), occorre partire da un polinomio che presenti n + 1 coefficienti indeterminati; perciò cercheremo un polinomio di grado n. È 1 In realtà, per definire il polinomio di Taylor sarebbe sufficiente richiedere l'esistenza delle prime n derivate di f nel punto a; siccome però non è possibile derivare una funzione definita in un punto isolato, è evidente che l'esistenza della derivata n-esima in a implica l'esistenza della derivata di ordine n - 1 in un intorno di a (perciò l'ipotesi che f sia derivabile n volte in I non è particolarmente restrittiva).

per il corso di Analisi Matematica B. Palumbo, gennaio 2010dispense/palumbo/Formula_Taylor_2010.pdf · 2 possibile però che il grado effettivo del polinomio P n sia inferiore ad

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA TRE Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica

FORMULA DI TAYLOR

ed applicazioni

per il corso di Analisi Matematica

B. Palumbo, gennaio 2010

~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

1. Polinomi di Taylor Sia f una funzione definita in un intorno I del punto a, e supponiamo che f sia derivabile n

volte in I

(1). Definiamo allora polinomio di Taylor di ordine n generato da f nel punto a il polinomio Pn(x) che verifica le seguenti condizioni:

=

′′=′′

′=′

=

).()(

)()(

)()(

)()(

)()(afaP

afaP

afaP

afaP

nn

n

n

n

n

L

(1)

Si richiede quindi che il polinomio coincida con f per x = a, e lo stesso valga per tutte le

derivate del polinomio fino all'ordine n. Volendo, le (1) si possono scrivere in modo più compatto nella forma

)()( )()(

afaPkk

n = per k = 0, 1, ..., n, (2)

dove per convenzione si è posto f

(0)(x) = f(x) (cioè, la derivata "di ordine 0" di una funzione coincide con la funzione stessa).

Si osservi quanto segue: • La (1), ovvero la (2), è un'uguaglianza tra numeri e non tra funzioni: si richiede quindi che

le condizioni indicate valgano per x = a, ma non necessariamente per altri x di I distinti da a;

• Dovendo imporre sul polinomio Pn le n + 1 condizioni (1), occorre partire da un polinomio che presenti n + 1 coefficienti indeterminati; perciò cercheremo un polinomio di grado n. È

1 In realtà, per definire il polinomio di Taylor sarebbe sufficiente richiedere l'esistenza delle prime n derivate di f nel punto a; siccome però non è possibile derivare una funzione definita in un punto isolato, è evidente che l'esistenza della derivata n-esima in a implica l'esistenza della derivata di ordine n − 1 in un intorno di a (perciò l'ipotesi che f sia derivabile n volte in I non è particolarmente restrittiva).

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possibile però che il grado effettivo del polinomio Pn sia inferiore ad n, perché ad esempio il termine di grado più elevato potrebbe avere coefficiente nullo.

Il calcolo effettivo di Pn si potrebbe effettuare scrivendo un polinomio di grado n con

coefficienti indeterminati, diciamo

Pn(x) = c0 + c1x + ... + cn-1xn-1 + cnx

n, (3) e calcolandone le derivate, per poi imporre le condizioni (1): si otterrebbe così un sistema lineare di n + 1 equazioni nelle incognite c0, c1, ..., cn. Questo procedimento però può essere molto lungo e scomodo. Vediamo invece che è possibile dare una formula esplicita per il polinomio Pn(x), che non richieda calcoli complicati (quando siano note le derivate della funzione calcolate nel punto a).

Invece di utilizzare la forma (3), scriviamo il polinomio Pn come segue:

Pn(x) = c0 + c1(x − a) + c2(x − a)2 + ... + cn-1(x − a)n-1 + cn(x − a)n =∑=

−n

k

k

k axc0

)( , (4)

dove naturalmente intendiamo il termine (x − a)0 comunque uguale ad 1(2).

Ora, se imponiamo la condizione Pn(a) = f(a), otteniamo c0 = f(a), visto che tutti i termini contenenti il fattore (x − a) (elevato ad un esponente positivo) si annullano. Per determinare il coefficiente c1 deriviamo la (4), ottenendo

12

321 )()(3)(2)( −−++−+−+=′ n

nn axncaxcaxccxP L .

Sostituendo x = a, osserviamo che anche in questo caso tutti i termini successivi al primo si

annullano, per cui la condizione )()( afaPn′=′ dà c1 = f ' (a).

Derivando ancora si trova

232 )()1()(62)( −−−++−+=′′ n

nn axcnnaxccxP L ,

uguaglianza che per x = a dà 2

)(2

afc

′′= . Lo stesso procedimento dà

6)(

3

afc

′′′= ,

24)()4(

4

afc = , e in

generale !

)()(

k

afc

k

k = . Grazie a quanto abbiamo detto prima sul simbolo f (0)(x), e grazie alle note

convenzioni sul fattoriale, possiamo dire che questa formula vale per ogni k compreso tra 0 ed n. Il ragionamento fatto non solo ci consente di scrivere esplicitamente il polinomio di Taylor di

ordine n generato da f nel punto a, ma ci dice anche che tale polinomio è unico. Possiamo riassumere i risultati ottenuti con il seguente teorema.

TEOREMA 1. Sia f una funzione derivabile n volte in un intorno I del punto a. Esiste allora

un unico polinomio Pn(x), di grado non maggiore di n, per il quale risulta )()( )()(afaP

kk

n = per

ogni k = 0, 1, ..., n. Esso è dato esplicitamente dalla formula

2 Il primo termine della sommatoria è uguale a (x − a)0; ora, a rigore, questo termine non avrebbe senso per x = a, perché dà luogo all'espressione 00, che è un'operazione priva di significato (si sa che il limite per x → a di una funzione f(x)g(x) dà luogo ad una forma indeterminata se le due funzioni f e g tendono contemporaneamente a 0). Però, in questo caso particolare, considerando che (x − a)0 assume il valore 1 per ogni x ≠ a, poniamo per convenzione (x − a)0 = 1 per qualunque x in I, anche per x = a.

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=−=∑=

n

k

kk

n axk

afxP

0

)(

)(!

)()(

nn

axn

afax

afax

afaxafaf )(

!)(

)(!3

)()(

!2)(

))(()()(

32 −++−′′′

+−′′

+−′+= L . (5)

ESEMPIO 1.1. Determinare il polinomio di Taylor nei seguenti casi: (a) f(x) = ex, a = 0, per n = 3 e poi per un generico n; (b) f(x) = log x, a = 1, per n = 2 e poi per un generico n; (c) f(x) = sen x, a = 0, per un generico ordine dispari e poi per un generico ordine pari; (d) f(x) = 4 x , a = 1 ed n = 3, poi a = 16 ed n = 3. Soluzione. Nel caso (a), osserviamo che se f(x) = ex, allora tutte le derivate f

(k)(x) sono uguali ad ex per ogni x reale, per cui è f

(k)(0) = 1 per ogni k. Sostituendo nella (5) a = 0 ed f

(k)(a) = 1, troviamo facilmente per n = 3 il polinomio

62

1)(22

3

xxxxP +++= ,

e per un generico n

!!3!2

1!

1)(

32

0 n

xxxxx

kxP

nn

k

k

n +++++==∑=

L .

Per quanto riguarda il caso (b), osserviamo che da f(x) = log x otteniamo facilmente x

xf1

)( =′

ed 2

1)(

xxf −=′′ , da cui 1)1( =′f ed 1)( −=′′ xf . Considerando poi che log 1 = 0, l'applicazione

della (5) dà:

2

)1()1()(

2

2

−−−=

xxxP .

Per determinare il polinomio di Taylor di un generico ordine n, dobbiamo conoscere tutte le

derivate di log x. Osserviamo a tale proposito che le formule dette sopra sono facilmente

generalizzabili, in quanto risulta 3

2)(

xxf =′′′ ,

4)4( 6

)(x

xf −= , e in generale k

kk

x

kxf

)!1()1()( 1)( −

−= +

per ogni k ≥ 1(3). Si ha allora

∑∑∑=

+

=

+

=

=−

−=−−−

=−=n

k

kk

n

k

kkn

k

kk

n k

xx

k

kx

k

fxP

1

1

1

1

1

)( )1()1()1(

!)!1()1(

)1(!

)1()(

3 La presenza del termine (−1)k+1 è giustificata dal fatto che se l'ordine di derivazione è pari si ha nella derivata un segno negativo, mentre si ha il segno positivo se l'ordine è dispari (si può scrivere indifferentemente (−1)k−1, che dà ovviamente lo stesso risultato). Si osservi inoltre che la formula trovata ha un senso solo per k ≥ 1, mentre per k = 0 la funzione ha una diversa espressione (questo non provoca alcun problema nella scrittura del polinomio di Taylor, essendo log 1 = 0). A rigore, queste formule di derivazione "per un k generico" andrebbero dimostrate (per induzione), anche se nei casi più semplici di solito se ne fa a meno.

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n

xxxx

nn )1(

)1(3

)1(2

)1()1( 1

32 −−+−

−+

−−−= +

L .

Si osservi che si sarebbe potuto anche considerare la funzione f(x) = log(1 + x); con calcoli del

tutto analoghi a quelli visti sopra, si trova k

kk

x

kxf

)1(

)!1()1()( 1)(

+

−−= + per k ≥ 1, e da ciò il polinomio

di Taylor n

xxxx

k

xxP

nn

n

k

kk

n

132

1

1 )1(32

)1()( +

=

+ −+−+−=−=∑ L : in effetti, lo stesso polinomio scritto

prima, ma con una traslazione (dato che x è stato sostituito con 1 + x). Per risolvere il caso (c), si consideri che le derivate successive di f(x) = sen x danno

f (x) = sen x; f '(x) = cos x; f ''(x) = −sen x; f '''(x) = cos x; f

(4)(x) = sen x; f (5)(x) = cos x; f

(6)(x) = −sen x; f (7)(x) = cos x,

e così via. Di conseguenza, in a = 0 le derivate di ordine pari si annullano, mentre quelle di ordine dispari danno alternativamente 1 e − 1 (più esattamente, se l'ordine di derivazione è 2k + 1 la derivata di tale ordine calcolata in 0 vale (−1)k).

Perciò, il polinomio di Taylor di ordine 2n + 1 generato dalla funzione sen x in a = 0 comincia

con il termine x, poi contiene i termini !3

3x

− , !5

5x

, ecc., e finisce con il termine )!12(

)1(12

+−

+

n

xn

n ;

quindi si può scrivere

)!12(

)1(!5!3)!12(

)1()(1253

0

12

12 +−+−+−=

+−=

+

=

+

+ ∑ n

xxxx

k

xxP

nn

n

k

kk

n L .

Osserviamo ora che per scrivere il polinomio di ordine pari immediatamente seguente, cioè

P2n+2(x), dovremmo aggiungere a P2n+1(x) il termine 22)22(

)!22()0( +

+

+n

n

xn

f; ma siccome le derivate di

ordine pari di sen x sono nulle in 0, tale termine aggiunto è nullo. Dunque il polinomio P2n+2(x) coincide con P2n+1(x).

Infine, per il caso (d), conviene scrivere 41

)( xxf = , da cui otteniamo facilmente

43

41

)(−

=′ xxf , 47

163

)(−

−=′′ xxf e 411

6421

)(−

=′′′ xxf . Il calcolo in a = 1 dà 1)1( =f , 41

)( =′ xf ,

163

)( −=′′ xf e 6421

)( =′′′ xf , da cui possiamo scrivere il polinomio di Taylor

323 )1(

1287

)1(323

41

1)( −+−−−

+= xxx

xP .

Se effettuiamo un analogo calcolo in a = 16, troviamo 2)1( =f , 321

)( =′ xf , 2048

3)( −=′′ xf

e 131072

21)( =′′′ xf , da cui il polinomio di Taylor

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32

3 )16(262144

74096

)16(32

162)( −+

−−

−+= x

xxxP .

Anche negli ultimi due casi visti, è possibile scrivere il polinomio di Taylor come

combinazione di potenze di x, semplicemente traslando la variabile x e poi scegliendo a = 0 (nei casi appena risolti si avrebbero rispettivamente le funzioni 4 1+x e 4 16+x ).

Osserviamo che per il polinomio di Taylor vale un'ovvia proprietà di linearità, che discende

dalla linearità della derivata. Se f e g sono entrambe derivabili n volte in un intorno di a, la derivata k-esima della funzione f + g è data da f

(k)(x) + g

(k)(x); calcolando tali derivate in a, si ottiene per la

funzione somma il polinomio di Taylor di ordine n ∑=

−+n

k

kkk

axk

agaf

0

)()(

)(!

)()(, che è uguale alla

somma dei due polinomi di Taylor di ordine n generati rispettivamente da f e da g nello stesso punto. Più in generale, se si considera una qualsiasi combinazione lineare delle due funzioni f e g, il polinomio di Taylor relativo a tale funzione è la combinazione lineare (con gli stessi coefficienti) dei due polinomi relativi ad f e a g.

Inoltre, noto il polinomio di Taylor di ordine n generato da una funzione f in un punto a è possibile ricavare altri polinomi di Taylor di funzioni in qualche modo collegate alla f tramite alcune manipolazioni. Le operazioni possibili sono raccolte nell'enunciato del seguente teorema.

TEOREMA 2. Sia f derivabile n volte in un intorno I del punto a, e sia Pn(x) il polinomio di

Taylor di ordine n generato da f nel punto a, come definito sopra. Allora:

1) La derivata di Pn(x) coincide con il polinomio di Taylor di ordine n − 1 generato dalla

funzione f '(x) nel punto a; 2) Il polinomio che si ottiene integrando Pn(t) tra a ed x coincide con il polinomio di Taylor

generato dalla funzione ∫=x

a

dttfxA )()( nel punto a;

3) Fissata una costante reale c, si definisca g(x) = f(cx), naturalmente con l'ipotesi che cx appartenga all'intorno I; allora il polinomio di Taylor di ordine n generato da g nel punto a

coincide con il polinomio di Taylor generato da f nel punto ca, nel quale occorre sostituire x

con cx; in particolare, se a = 0, allora il polinomio di Taylor di ordine n di f(cx) si ottiene

sostituendo x con cx nel polinomio Pn(x).

Dimostrazione. La parte 1) è molto semplice, in quanto, posto g(x) = f'(x), si ha per ogni k

g

(k)(x) = f

(k+1)(x); allora il polinomio di Taylor di ordine n − 1 generato da g nel punto a è uguale a

∑∑−

=

+−

=

−=−1

0

)1(1

0

)(

)(!

)()(

!)( n

k

kkn

k

kk

axk

afax

k

ag. Traslando l'indice, questo polinomio diventa

∑=

−−−

n

k

kk

axk

af

1

1)(

)()!1()(

, che è proprio la derivata del polinomio Pn(x) definito nella (5).

La parte 2) si può dimostrare in modo del tutto analogo, scrivendo esplicitamente le prime n + 1 derivate della funzione A; possiamo però anche procedere applicando la parte 1), con A al posto di f e quindi f al posto di g (dato che la derivata di A coincide con f). Supponendo di conoscere il polinomio di Taylor di ordine n + 1 generato dalla funzione A nel punto a, grazie alla parte 1) la sua derivata coincide col polinomio di ordine n generato da f nello stesso punto, il che è come dire che il primo polinomio è una primitiva del secondo. In realtà, esso non è una primitiva qualsiasi, bensì è univocamente determinato dalla condizione A(a) = 0.

Infine, per dimostrare la parte 3), si consideri che g'(x) è uguale a c⋅f '(cx), g''(x) è c2⋅f ''(cx), e in generale g

(k)(x) = ck⋅f

(k)(cx). Pertanto, si ha g(k)(a) = c

k⋅f (k)(ca), allora, il polinomio di Taylor

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generato da g nel punto a è dato dalla formula =−=− ∑∑==

n

k

kkkn

k

kkk

axck

cafax

k

cafc

0

)(

0

)(

)(!

)()(

!)(

∑=

−=n

k

kk

cacxk

caf

0

)(

)(!

)(. Ma questo è esattamente Pn, generato da f nel punto ca, dove x è sostituito

da cx. Il caso particolare a = 0 segue immediatamente. � Come esempi di applicazione del teorema appena dimostrato, osserviamo quanto segue. Il

polinomio di Taylor di ordine 2n generato dalla funzione cos x in a = 0 può essere trovato scrivendo esplicitamente le derivate, in modo simile a quanto fatto nell'esempio 1 per il seno, oppure anche derivando il polinomio di ordine 2n + 1 relativo a sen x. Si ha allora

∑∑∑===

+

=−=+

+−=

+−

n

k

kk

n

k

kk

n

k

kk

k

x

k

xk

k

x

dx

d

0

2

0

2

0

12

)!2()1(

)!12()12(

)1()!12(

)1(

)!2(

)1(!4!2

1242

n

xxxn

n−+−+−= L .

Anche per quanto riguarda le funzioni seno iperbolico e coseno iperbolico è possibile

determinare il polinomio di Taylor di un generico ordine n scrivendo esplicitamente le derivate; in alternativa, si consideri che, come visto nell'esempio 1.1, il polinomio di ordine 2n generato da ex in

a = 0 è )!2()!12(!3!2

121232

n

x

n

xxxx

nn

+−

+++++−

L . Grazie alla parte 3) del teor. 2, vediamo subito che

l'analogo polinomio generato da e−x nello stesso punto è

)!2()!12(!3!21

21232

n

x

n

xxxx

nn

+−

−+−+−−

L .

Sommando questi polinomi e dividendo per 2, vediamo che il polinomio di Taylor di ordine 2n

generato dalla funzione cosh x in a = 0 è )!2(!4!2

1242

n

xxxn

++++ L ; visto che questo polinomio

contiene solo le potenze pari di x, è chiaro che esso coincide con P2n+1(x). Per il seno iperbolico si può fare un ragionamento analogo, ma è conveniente prima riscrivere i polinomi già visti sopra per e

x e per e−x, arrivando stavolta al termine x2n+1; sottraendo i due polinomi e dividendo per 2, si trova che il polinomio di Taylor di ordine 2n + 1 generato dalla funzione senh x nel punto 0 è

)!12(!5!3

1253

+++++

+

n

xxxx

n

L .

In alcuni casi è possibile determinare facilmente i polinomi di Taylor relativi a funzioni integrali non elementarmente calcolabili. Ad esempio, dal fatto che il polinomio di Taylor di ordine

n generato da e−x in a = 0 è !

)1(!3!2

132

n

xxxx

nn−++−+− L , si può vedere che il polinomio di ordine

2n relativo ad 2

xe− è !

)1(!3!2

1264

2

n

xxxx

nn−++−+− L

(4); Integrando, si trova che il polinomio di

ordine 2n + 1 generato in a = 0 dalla funzione ∫−=

xt

dtexG0

2

)( è dato dalla formula +⋅

+⋅

−!25!13

53 xxx

∑=

++

+−=

+−++

⋅−

n

k

kk

nn

nk

x

nn

xx

0

12127

!)12()1(

!)12()1(

!37L .

4 Questa operazione, cioè la sostituzione di x con una potenza di x, non è un caso considerato nel teor. 2, ma in seguito si vedrà come si giustifica.

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2. Resto nella formula di Taylor Se si confronta una funzione con un suo polinomio di Taylor di un certo ordine n, si può

osservare che almeno per valori di x "abbastanza vicini" ad a, i valori del polinomio sembrano approssimare bene i valori della funzione, tanto che i due grafici diventano indistinguibili. Si osservi ad esempio la figura seguente, nella quale viene riportata la funzione sen x insieme con i suoi polinomi di Taylor (con a = 0) rispettivamente di ordini 3 e 5:

Un'ulteriore esempio è dato dalla seguente figura, in cui sono riportati i grafici della funzione log(1 + x) e dei polinomi di Taylor P2(x) e P3(x) (generati dalla funzione nel punto a = 0). Anche qui si osserva che per x sufficientemente vicino a 0 i polinomi approssimano abbastanza bene la funzione, mentre questo "scostamento" cresce per x che si allontana da 0.

Ora, se desideriamo in un calcolo pratico approssimare una funzione con un suo polinomio di

Taylor, abbiamo bisogno di "quantificare" questo scostamento, cioè dobbiamo conoscere una valutazione dell'errore commesso. Per meglio dire, non è possibile conoscere in maniera esatta l'errore (se sapessimo esattamente quanto vale l'errore allora conosceremmo anche il valore esatto

In rosso: sen x; in verde P3(x); in blu P5(x).

In rosso log(1 + x), in verde P2(x), in blu P3(x). Si osservi che per x < 0 i polinomi di Taylor danno sempre un'approssimazione per eccesso della f, mentre per x > 0 i polinomi di grado pari danno un'approssimazione per difetto, quelli di grado dispari per eccesso.

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della funzione); l'obiettivo in realtà è dare una maggiorazione dell'errore, cioè sapere "al massimo" di quanto si può sbagliare sostituendo f(x) con Pn(x).

Diamo allora la seguente definizione: si definisce resto (o errore) di ordine n la differenza tra

f(x) e Pn(x), cioè:

Rn(x) = f(x) − Pn(x). (6)

Dalla (6) segue che possiamo scrivere f(x) = Pn(x) + Rn(x) (5). Abbiamo pertanto l'identità

f(x) = Pn(x) + Rn(x) = )()(!

)(

0

)(

xRaxk

afn

n

k

kk

+−∑=

, (7)

che è appunto la formula di Taylor di ordine n per la funzione f nel punto x = a.

Ovviamente la (7) non ci è utile finché non abbiamo un'espressione esplicita del resto. I prossimi teoremi ci forniscono una possibile espressione del resto, purché aggiungiamo un'ipotesi. Abbiamo visto che per scrivere il polinomio Pn(x) è sufficiente che f sia derivabile n volte in a; ma, per poter esprimere Rn(x) occorre che esista anche la derivata di ordine n + 1 della f, e che tale derivata sia continua in I.

TEOREMA 3 (espressione integrale del resto nella formula di Taylor nel caso n = 1). Sia

f derivabile due volte con continuità un intorno I del punto a, e sia P1(x) il polinomio di Taylor di

ordine 1 generato da f nel punto a, cioè P1(x) = f(a) + f'(a)(x − a). Allora il resto di ordine 1, cioè

l'errore che si commette sostituendo f(x) con P1(x), si può esprimere come segue:

∫ −′′=x

a

dttxtfxR ))(()(1 . (8)

Dimostrazione. Dalla (6) sappiamo che R1(x) è uguale a f(x) − P1(x), cioè

R1(x) = f(x) − f(a) − f'(a)(x − a). (9)

Possiamo trasformare la (9) osservando che x − a si scrive come ∫x

a

dt , mentre f(x) − f(a) è

uguale a ∫ ′x

a

dttf )( . Di conseguenza la (9) si può scrivere

( )∫∫∫ ′−′=′−′=x

a

x

a

x

a

dtaftfdtafdttfxR )()()()()(1 . (10)

Ora, l'integrale nella (10) si può calcolare per parti come segue: si scelga come primo fattore

f '(t) − f'(a), la cui derivata è f ''(t) (il che è lecito appunto per l'ipotesi di esistenza e continuità di f ''(t)), e come secondo fattore 1; però, invece di scrivere come primitiva semplicemente t, scegliamo invece t − x. Allora, la formula di integrazione per parti, applicata all'integrale definito che appare nella (10), dà:

5 Questa è la notazione più comune per il resto nella formula di Taylor; occorre però osservare che alcuni autori preferiscono indicare con Rn(x) il resto relativo al polinomio Pn−1(x).

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9

( )[ ] ∫ −′′+−′−′=x

a

x

a dttxtftxaftfxR ))(()()()()(1 . (11)

Poiché il primo addendo vale 0 (in quanto per t = x si annulla il secondo fattore, mentre per

t = a si annulla il primo), rimane soltanto l'integrale, da cui la (8). � Prima di proseguire con la generalizzazione del teorema 3 al caso di un generico ordine n,

osserviamo la particolare forma dell'integrale che esprime il resto di ordine 1. Apparentemente,

l'integrale ∫ −′′x

a

dttxtf ))(( si potrebbe intendere come una comune funzione integrale, visto che una

certa funzione viene integrata rispetto alla variabile t in un intervallo avente primo estremo fisso e secondo estremo dipendente da x. In realtà, l'integrale che stiamo considerando non è esattamente una funzione integrale, perché la funzione integranda dipende non solo da t ma anche da x. Ovviamente questo non costituirebbe un problema qualora si dovesse calcolare l'integrale per un

fissato x, perché in tal caso si avrebbe un ordinario integrale di una funzione di t da calcolare su un certo intervallo fissato.

TEOREMA 4 (espressione integrale del resto nella formula di Taylor per un generico

ordine n). Sia f derivabile n + 1 volte con continuità un intorno I del punto a, e sia Pn(x) il

polinomio di Taylor di ordine n generato da f nel punto a, come definito dalla (5). Allora il resto di

ordine n, cioè l'errore che si commette sostituendo f(x) con Pn(x), si può esprimere come segue:

∫ −= +x

a

nn

n dttxtfn

xR ))((!

1)( )1( . (12)

Dimostrazione. Si può ottenere la (12) procedendo per induzione. Il caso iniziale n = 1 è già

stato dimostrato nel teorema 3, perciò manca solo il passaggio induttivo. Supponiamo allora per ipotesi induttiva che se f

(n+1)(x) è continua in I il resto Rn(x) si esprima con la formula (12), e facciamo vedere che, supponendo f

(n+2)(x) continua in I, il resto Rn+1(x) è dato dalla stessa formula con n + 1 al posto di n.

Osserviamo in primo luogo che la (7), applicata dapprima al caso n + 1 e poi al caso n, dà luogo alle formule

f(x) = Pn+1(x) + Rn+1(x) = )()(!

)(1

1

0

)(

xRaxk

afn

n

k

kk

+

+

=

+−∑ ;

f(x) = Pn(x) + Rn(x) = )()(!

)(

0

)(

xRaxk

afn

n

k

kk

+−∑=

.

Sottraendo membro a membro, troviamo 0 = Pn+1(x) − Pn(x) + Rn+1(x) − Rn(x), cioè

)()()(!

)()(

!)(

0 10

)(1

0

)(

xRxRaxk

afax

k

afnn

n

k

kkn

k

kk

−+−−−= +

=

+

=

∑∑ . Poiché la differenza tra le due

sommatorie è 1)1(

)()!1(

)( ++

−+

nn

axn

af, possiamo esprimere Rn+1(x) come segue:

1)1(

1 )()!1(

)()()( +

+

+ −+

−= nn

nn axn

afxRxR . (13)

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10

A questo punto il ragionamento è simile a quello del teor. 3, nel senso che si procede trasformando opportunamente la (13) per poi integrare per parti. Per l'ipotesi induttiva, Rn(x) è

uguale a ∫ −+x

a

nndttxtf

n))((

!1 )1( . Si osservi inoltre che ∫ −

x

a

ndttx )( è uguale a

x

a

n

n

tx

+

−−

+

1)( 1

=

= 1)( 1

+

− +

n

axn

; grazie a queste osservazioni, la (13) si può scrivere nella forma

( )∫∫∫ −−=−−−= +++

+

+

x

a

nnn

x

a

nnx

a

nn

n dttxaftfn

dttxn

afdttxtf

nxR )()()(

!1

)(!

)())((

!1

)( )1()1()1(

)1(1 . (14)

Ora integriamo per parti, analogamente a quanto fatto nella dimostrazione precedente.

Scegliamo come primo fattore )()( )1()1(aftf

nn ++ − , la cui derivata è f (n+2)(t) (si ricordi che tale

derivata è stata supposta continua in I), e come secondo fattore (x − t)n, una primitiva del quale è

1)( 1

+

−−

+

n

tx n

. Allora la (14) diventa:

( ) =

+

−+

+

−−−= ∫

++

+++

+

x

a

nn

x

a

nnn

n dtn

txtf

n

txaftf

nxR

1)(

)(1)(

)()(!

1)(

1)2(

1)1()1(

1

∫++ −

+=

x

a

nndttxtf

n1)2( ))((

)!1(1

, (15)

in quanto la parentesi quadra dà un contributo nullo (visto che, come nel teor. precedente, il primo fattore si annulla per t = a ed il secondo per t = x). Ciò dimostra il passaggio induttivo, e di conseguenza vale la (12) per un qualsiasi n. �

Ora, si può osservare che la rappresentazione integrale dell'errore Rn(x) non è molto utile "a

livello pratico", cioè non ci consente di avere una maggiorazione dell'errore stesso. In effetti, se ad

esempio desideriamo calcolare un valore approssimato di 21

ee = tramite un polinomio di Taylor, possiamo fissare n = 2 (oltre che ovviamente a = 0) e scrivere per la funzione e

x il polinomio

P2(x) = 2

12

xx ++ , che calcolato per

21

=x dà 625,18

13221

21

1

2

==

++ . Applicando la (12),

abbiamo ∫

−′′′=

21

0

2

2 21

)(!2

121

dtttfR , che è uguale a ∫ +−21

0

2 )441(81

dtttet , essendo uguali ad e

t

tutte le derivate della funzione. Se però calcoliamo esplicitamente questo integrale, otteniamo

∫∫∫ +−21

0

221

0

21

021

21

81

dtetdttedtettt = [ ] [ ] [ ] 2/1

022/1

0

2/1

0 )22(21

)1(21

81 ttt ettete +−+−− =

813

−e . Questo

conferma il fatto che la (12) fornisce il resto, ma non ci dà un modo per valutare il resto stesso. È necessario quindi determinare altre formule più utili in questo senso. In effetti, la formula integrale del resto è utile proprio perché da essa è possibile ricavare altre formule più "maneggevoli" a scopo numerico. Vediamo nel prossimo teorema una di queste formule.

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11

TEOREMA 5 (formula di Lagrange per il resto nella formula di Taylor). Sia f derivabile

n + 1 volte con continuità un intorno I del punto a, sia Pn(x) il polinomio di Taylor di ordine n

generato da f nel punto a, e sia Rn(x) l'errore. Allora vale per Rn(x) la formula

1)1(

)()!1(

)()( +

+

−+

= nn

n axn

cfxR , (16)

dove c appartiene all'intervallo chiuso di estremi a ed x(6).

Dimostrazione. Per ottenere la formula (16), è sufficiente partire dalla (12) ed applicare il

teorema della media pesata all'integrale ∫ −+x

a

nndttxtf ))(()1( . Si osservi che le due funzioni che

appaiono nell'integrale sono entrambe continue; per quanto riguarda il segno, mentre non abbiamo informazioni sul segno di f

(n+1)(x), possiamo dire che l'altro fattore ha un segno costante tra a ed x. Infatti, se supponiamo dapprima x > a, risulta a ≤ t ≤ x, e di conseguenza (x − t) è sempre non negativo, e lo stesso vale per (x − t)n; se invece è a < x, allora risulta x ≤ t ≤ a, per cui x − t è minore o uguale a 0: di conseguenza (x − t)n è sempre non negativo se n è pari, e non positivo se n è dispari, e in ogni caso il suo segno è costante. Applicando allora il teorema della media pesata, possiamo scrivere

1)1(1)1(

)1( )()!1(

)(1)(

!)(

)()(!

1)( +

++++ −

+=

+

−−=−= ∫

nnx

a

nnx

a

nn

n axn

cf

n

tx

n

cfdttxcf

nxR , (17)

dove c appartiene all'intervallo [a , x] (se x > a) ovvero all'intervallo [x , a] (se x < a). �

Grazie a questo teorema, la formula di Taylor con il resto può essere scritta nella forma

=+−=+= ∑=

)()(!

)()()()(

0

)(

xRaxk

afxRxPxf n

n

k

kk

nn

1)1()(

32 )()!1(

)()(

!)(

)(!3

)()(

!2)(

))(()( ++

−+

+−++−′′′

+−′′

+−′+= nn

nn

axn

cfax

n

afax

afax

afaxafaf L .(18)

Come si vede, il resto si può scrivere in una forma molto simile a quella degli altri termini,

con la differenza che la derivata di ordine n + 1 è calcolata in un punto c incognito anziché in a. Ora, possiamo ottenere un'utile maggiorazione dell'errore ragionando come segue: se tra a ed

x vale per la derivata di ordine n + 1 la maggiorazione |f (n+1)(t)| ≤ M, allora possiamo scrivere

11)1(

||)!1(

)()!1(

)()( ++

+

−+

≤−+

= nnn

n axn

Max

n

cfxR . (19)

Come vedremo tra poco, questa formula consente in molti casi di ottenere ottime

approssimazioni di particolari valori di funzioni altrimenti non calcolabili. Di solito una limitazione come la (19) va benissimo a scopo pratico, nel senso che consente di

determinare un intorno circolare di Pn(x) (avente come raggio il valore trovato che maggiora

6 È conveniente dire "intervallo chiuso di estremi a ed x" perché potrebbe essere indifferentemente x > a oppure x < a.

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12

l'errore), in cui deve giacere f(x). È possibile però ricavare dalla (16) anche altre limitazioni per l'errore, che possono essere utili in casi particolari. Ad esempio, si supponga x > a, e siano M ed m un maggiorante ed un minorante di f

(n+1)(t)(7); in tal caso possiamo dare per l'errore la doppia limitazione

11 )()!1(

)()()!1(

++ −+

≤≤−+

n

n

n axn

MxRax

n

m. (20)

ESEMPIO 2.1. Calcolare un valore approssimato di 3 e , utilizzando il polinomio di Taylor

del 4° ordine, e maggiorare l'errore commesso.

Soluzione. Il polinomio P4(x) in questo caso è 2462

1!

4324

0

xxxx

k

x

k

k

++++=∑=

, che per 31

=x

assume il valore 19442713

19441

1621

181

31

1 =++++ . Ora, dalla (17) sappiamo che il resto R4(x) si

esprime nella forma 55)5(

120!5)(

xe

xcf

c

= ; per 31

=x abbiamo 291603

11203

1 5

4

cc eeR =

=

, dove c è

un numero compreso tra 0 e 31

.

Poiché la funzione esponenziale è crescente, da 31

0 << c deduciamo 3/11 eec << , per cui

l'errore si maggiora con 29160

3 e; ciò significa che per maggiorare l'errore dovremmo conoscere 3 e ,

che è proprio il numero per il quale stiamo cercando un valore approssimato. In simili casi (per altro abbastanza frequenti nelle applicazioni), è sufficiente conoscere un'approssimazione per eccesso (anche non particolarmente "precisa") del numero in questione. Nel nostro caso possiamo tranquillamente scrivere 23 <e (il che è senz'altro vero, visto che equivale ad e < 8), e di

conseguenza otteniamo per l'errore la maggiorazione 14580

131

4 <

R .

Dai calcoli effettuati deduciamo che vale per 3 e la doppia disuguaglianza

145801

19442713

145801

19442713 3 +<<− e , cioè

2916040697

2916040693 3 << e .

Se ora determiniamo con la calcolatrice i valori approssimati di queste due frazioni, troviamo

per la prima di esse 1,395507545, e per l'altra 1,395644719. La conclusione è che le cifre 1,395 sono esatte, mentre sulla quarta cifra c'è un'incertezza (essa può essere 5 oppure 6).

ESEMPIO 2.2. Calcolare un valore approssimato di 51

sen con errore minore di 10−5.

7 I due numeri m ed M possono essere indifferentemente positivi o negativi. Se si intende l'intorno I chiuso e limitato, si possono scegliere come maggiorante e minorante rispettivamente il massimo e il minimo di f(n+1)(x), la cui esistenza è garantita dal teorema di Weierstrass.

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13

Soluzione. In questo caso non è noto a priori l'ordine del polinomio di Taylor da utilizzare: esso va determinato tenendo conto della limitazione per l'errore (limitazione che va intesa per il valore assoluto dell'errore).

Procediamo allora come segue. Abbiamo osservato prima che per la funzione sen x conviene direttamente considerare il polinomio di Taylor di un ordine dispari, diciamo P2n+1(x); esso è dato

dalla formula ∑=

+

+ =+

−=n

k

kk

n k

xxP

0

12

12 )!12()1()( . Ora, il resto di ordine 2n + 1 si scrive nella forma

22)22(

12 )!22()(

)( ++

+ += n

n

n xn

cfxR ; la derivata di ordine 2n + 2 è uguale a sen x oppure a −sen x, a seconda

della parità di n. Ne segue che il resto

+ 5

112nR può essere

22

51

)!22(sen

+

+

n

n

c oppure

22

51

)!22(sen

+

+

n

n

c, dove c è in ogni caso un numero compreso tra 0 e

51

. Siccome però ci interessa

maggiorare l'errore in modulo, possiamo senz'altro scrivere )!22(5

sen51

2212+

=

++

n

cR

nn . Per

maggiorare questo errore, possiamo scegliere la strada più semplice, che consiste nel maggiorare |sen c| con 1, oppure considerare che per ogni c reale vale sempre la maggiorazione | sen c | ≤ | c |

(disuguaglianza utile soprattutto per | c | piccolo), il che nel nostro caso implica 51

sen ≤c . Se ci

accontentiamo della disuguaglianza più semplice, troviamo

)!22(5

151

2212+

++

nR

nn , (21)

mentre con l'altra disuguaglianza otteniamo la maggiorazione più precisa

)!22(5

1

)!22(551

51

322212+

=+

+++

nnR

nnn . (22)

Ora, per risolvere il problema dobbiamo determinare il più piccolo n per il quale il resto è

sicuramente più piccolo di 10−5; ammettendo per semplicità di aver ottenuto la maggiorazione (21),

si tratta di determinare un n per il quale sia 522 10

1

)!22(5

1<

++n

n, cioè 52n+2(2n + 2)! > 100000.

Simili disequazioni contenenti contemporaneamente esponenziali e fattoriali non sono elementarmente risolubili; siccome però si tratta di determinare il minimo n che soddisfa la disequazione in questione, è sufficiente procedere per tentativi.

Per n = 1 il primo membro della disequazione è 54 ⋅ 4! = 15000, mentre per n = 2 esso diventa

56 ⋅ 6! = 11250000, che è abbondantemente al disopra di 100000. Perciò, per ottenere un errore

minore del limite stabilito, basta calcolare

51

5P . Essendo ( )!5!3

53

5

xxxxP +−= , si trova

37500074501

12051

651

51

51

53

5 =

+

−=

P . Per quanto osservato sopra, l'errore è certamente minore di

1000001

: perciò, considerando che la frazione 37500074501

vale 3198669,0 , possiamo affermare che

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14

51

sen è compreso tra 3198659,0 e 3198679,0 (come dire che le cifre 0,1986 sono esatte, mentre la

quinta cifra decimale può essere 5, 6 oppure 7). Con questo il problema è risolto; volendo, possiamo ottenere una valutazione più precisa osservando che in realtà il limite superiore trovato per R5(x) è

molto minore di 510

1, precisamente esso è minore di

112500001

. Sottraendo e sommando questo

valore a 37500074501

, troviamo 112500002235031

51

sen112500002235029

<< . I valori di queste due frazioni sono

rispettivamente 41986692,0 e 21986694,0 ; in conclusione, le cifre 0,198669 sono esatte, mentre l'incertezza è sulla settima cifra decimale (che può essere 2, 3 oppure 4).

ESEMPIO 2.3. Calcolare 41

arctg con errore minore di 2⋅10−4.

Soluzione. Si può pensare di procedere come nell'esempio 2.3, determinando il resto per un

generico n e poi imporre che esso sia minore di 2⋅10−4 = 5000

1 c'è però una difficoltà: non è facile

determinare una formula generale per la derivata k-esima della funzione arctg x, il che rende difficoltoso determinare una maggiorazione dell'errore.

Si può risolvere ugualmente la questione procedendo per tentativi. Ad esempio, calcoliamo le prime quattro derivate di f(x) = arctg x, allo scopo di scrivere il polinomio di Taylor di ordine 3 e di utilizzare poi la derivata quarta per maggiorare l'errore. Abbiamo successivamente i risultati:

21

1)(

xxf

+=′ ;

( )( ) 22

2212

1

2)(

−+−=

+−=′′ xx

x

xxf ;

( ) ( ) ( )( ) 3223222 12612)2(212)(−−−

+−=+⋅−−+−=′′′ xxxxxxxf ;

( ) ( ) ( ) ( )( ) 42342232)4( 1242412)3(26112)(−−−

+−=+⋅−−++= xxxxxxxxxf . Essendo f(0) = 0, f'(0) = 1, f''(0) = 0 ed f'''(0) = −2, possiamo scrivere facilmente il polinomio

di Taylor 3

)(3

3

xxxP −= , che calcolato per

41

=x dà 19247

341

41

3

=

− . Ora, il resto di ordine 3 è

4)4(

3 !4)(

)( xcf

xR = , per cui si ha 6144

)(41

!4)(

41 )4(4)4(

3

cfcfR =

=

, dove c è un numero compreso tra

0 e 41

.

Rimane allora il problema di maggiorare il modulo di ( )42

3)4(

124)(

c

cccf

+

−= per

41

0 << c ; in

questi casi si potrebbe considerare una simile espressione come funzione di c per poi determinare il massimo (o l'estremo superiore) del suo modulo nell'intervallo indicato, eventualmente anche aiutandosi con la derivata. Di solito però si preferisce maggiorare l'espressione in questione "a pezzi", cioè scomporla in fattori più semplici da trattare, per poi ottenere una maggiorazione con

metodi algebrici. Ad esempio, nel nostro caso da 41

0 << c abbiamo 161

0 2 << c , da cui

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15

(cambiando i segni e poi sommando 1) 111615 2 <−< c . Moltiplicando membro a membro le due

doppie disuguaglianze 41

0 << c e 111615 2 <−< c (il che è lecito in quanto tutti i numeri considerati

sono non negativi), troviamo 41

0 3 <−< cc . Inoltre, da 161

0 2 << c si ha 1617

11 2 <+< c , da cui

11

11716

2<

+<

c, e quindi anche

( )1

1

142

<+ c

. In conclusione, abbiamo ( ) 4

1

142

3

<+

c

cc, e pertanto

6)()4( <cf . Da ciò segue la maggiorazione 1024

16144

641

3 =<

R , che purtroppo non è sufficiente

per i nostri scopi, essendo quest'ultimo numero maggiore di 5000

1.

Possiamo pensare allora di considerare un polinomio di Taylor di ordine superiore, allo scopo

di ridurre l'errore. A tale scopo calcoliamo )()5( xf , che risulta uguale a ( )52

24

1

)1105(24

x

xx

+

+−.

Osserviamo poi che f(4)(0) è nulla, il che significa che P4(x) è uguale a P3(x), e quindi è ancora

19247

41

4 =

P . Però questa volta la valutazione del resto dà il risultato

122880)(

41

!5)(

41 )5(5)5(

4

cfcfR =

=

, da cui ( )52

245)5(

415120

1105

41

!5

)(

41

c

cccfR

+

+−=

=

. Per quanto

riguarda il denominatore abbiamo, come prima, ( )

11

152

<+ c

; per quanto riguarda invece il

numeratore, osserviamo che la derivata di g(c) = 5c4 − 10c

2 + 1 è 20(c3 − c), che è negativa in

particolare tra 0 e 41

: perciò il massimo di g è 1. In conclusione, otteniamo 5120

141

4 <

R , minore

di quanto richiesto; pertanto si ha la doppia disuguaglianza 5120

119247

41

arctg5120

119247

+<

<− ,

cioè 153603763

41

arctg153603757

<

< : in termini numerici 0,244596... <

41

arctg < 0,244986..., da cui

l'esattezza delle prime tre cifre decimali.

3. I simboli di Bachmann-Landau

Vediamo ora il significato di alcuni simboli di uso molto comune in Analisi, e vediamo come essi si possono collegare con la formula di Taylor, soprattutto in relazione al calcolo di alcuni limiti.

Consideriamo due funzioni f(x) e g(x), entrambe definite in un intorno bucato di un punto a, e

supponiamo che esse tendano entrambe a 0 per x → a. Se consideriamo )()(

limxg

xf

ax→, abbiamo come è

noto una forma indeterminata, nel senso che non è noto a priori il risultato del limite. Se il limite considerato esiste (indichiamolo con L), abbiamo tre possibilità: 1) L è ±∞, il che

indica che lo zero al denominatore è "più forte" di quello al numeratore; 2) L è un numero finito e diverso da 0, il che significa che f e g tendono a 0 "alla stessa velocità"; 3) L è 0, il che indica che

prevale lo zero al numeratore rispetto all'altro. Ad esempio, xx e

x−→ −

1

cos1lim

0 è uguale a 0, il che vuol

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16

dire che la funzione al numeratore è un infinitesimo di ordine superiore rispetto alla funzione al denominatore per x → 0.

Se f(x) è una generica funzione che tende a 0 per x → a, possiamo naturalmente definire l'ordine di infinitesimo di una funzione f(x) per x → a confrontando la f con il cosiddetto "infinitesimo campione", che è la funzione | x − a |α

(8); se esiste un numero positivo α (che è

necessariamente unico) per il quale α→ − ||

)(lim

ax

xf

ax è finito e non nullo, tale numero α è l'ordine di

infinitesimo di f per x → a. Ad esempio, l'ordine di infinitesimo di sen x per x→ 0 è 1, dato che

1sen

lim0

=→ x

x

x, mentre l'ordine di infinitesimo di 1 − cos x (sempre per x→ 0) è 2.

Quando si ha 0)()(

lim =→ xg

xf

ax, possiamo indicare brevemente questo fatto con un particolare

simbolo, che non "quantifica" l'ordine di infinito, ma si limita semplicemente ad indicare che f è un infinitesimo di ordine superiore rispetto a g. Diamo allora la seguente definizione:

Definizione del simbolo "o piccolo". Siano f e g due funzioni definite in un intorno bucato

del punto a, e sia 0)(lim)(lim ==→→

xgxfaxax

. Diciamo che f(x) è un "o piccolo" di g(x) per x → a se si

ha 0)()(

lim =→ xg

xf

ax, cioè se f è un infinitesimo di ordine superiore a g per x → a.

Quanto contenuto nella definizione precedente si esprime in simboli scrivendo "f(x) = o(g(x))

per x → a"; si osservi che a rigore bisognerebbe sempre precisare "per x → a", ma quando ciò è chiaro dal contesto se ne può fare a meno.

Qualche volta scriveremo anche un'espressione del tipo "f(x) = o(1)" (ad esempio per x → 0);

questa è una situazione eccezionale rispetto alla definizione data sopra (visto che in questo caso la funzione g(x) è costantemente uguale ad 1 e quindi non ha limite nullo), e sta semplicemente ad indicare il fatto che f(x) è un infinitesimo, cioè una funzione che tende a zero, ma non abbiamo alcuna informazione sull'ordine di tale infinitesimo.

Accanto all'o piccolo esistono altri simboli di Bachmann-Landau, altrettanto importanti (tra

cui ad esempio il simbolo "O grande"); siccome però non ne faremo uso qui, li tralasciamo. Prima di vedere la relazione tra il simbolo "o" e la formula di Taylor, vediamo alcune regole

algebriche che ci consentono di manipolare questo simbolo. Le regole che diamo di seguito sono valide per lo più quando x tende ad un a qualsiasi, ma come vedremo in seguito l'interesse principale nell'applicazione di formule contenenti "o" è per trattare limiti in cui x tende a 0.

Per prima cosa, osserviamo che ha senso scrivere espressioni del tipo o(f(x)) + o(f(x)), oppure

o(cf(x)) (dove c è una costante). Sebbene fino a questo punto abbiamo utilizzato "o" solo per confrontare infinitesimi di ordini diversi, possiamo benissimo scrivere "o(f(x))" (sempre precisando "per x → a", se occorre, per indicare una generica funzione h(x) che sia un o piccolo di f(x), cioè

tale che 0)()(

lim =→ xf

xh

ax. Perciò, l'espressione o(f(x)) + o(f(x)) sta ad indicare la somma di due diverse

funzioni h e k, ciascuna delle quali è, per x → a, un infinitesimo di ordine superiore ad f(x). Ora, non è difficile rendersi conto che vale la relazione

8 Il modulo serve a garantire la possibilità di calcolare la potenza con esponente α di (x − a) anche per x < a; se α è un numero naturale, si può fare a meno di utilizzare il simbolo di modulo.

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o(f(x)) + o(f(x)) = o(f(x)). (23)

Infatti, come detto sopra, l'espressione o(f(x)) + o(f(x)) indica la somma di due funzioni g(x)

ed h(x) tali che 0)()(

lim =→ xf

xg

ax e 0

)()(

lim =→ xf

xh

ax. Ma allora risulta anche 0

)()()(

lim =+

→ xf

xhxg

ax, per cui

anche la somma g + h è un o piccolo di f(x). È evidente che la (23) vale anche nel caso della differenza di due termini o(f(x)).

Allo stesso modo, si verifica facilmente la formula

o(cf(x)) = o(f(x)). (24)

Infatti, se g(x) è tale che 0)()(

lim =→ xcf

xg

ax, risulta anche 0

)()(

lim =→ xf

xg

ax, per cui g(x) = o(f(x)).

Conseguenza della (24) è che ad esempio per x → 0 è inutile scrivere o(3x

4), visto che tale espressione può essere sostituita da o(x4).

Un altra interessante proprietà è la seguente:

g(x)⋅o(f(x)) = o(f(x)g(x)). (25)

Qui la g è una qualsiasi funzione definita in un intorno bucato di a: si osservi che in questo caso non si richiede che essa tenda a 0 per x → a. Per dimostrare questa formula, si consideri che il

fattore o(f(x)) indica una qualsiasi funzione h(x) tale che 0)()(

lim =→ xf

xh

ax; ma allora risulta anche

0)()()()(

lim =→ xgxf

xhxg

ax, cioè g(x)h(x) è un o piccolo di f(x)g(x).

In particolare, se nella (25) scriviamo o(g(x)) al posto di g(x), abbiamo la formula

o(g(x))⋅o(f(x)) = o(f(x)g(x)), (26) che nel caso particolare in cui a è uguale a 0, e le funzioni f e g sono due diverse potenze di x, diciamo xa ed xb, diventa o(xa)⋅o(xb) = o(xa+b). (27)

A volte succede di dover sommare espressioni del tipo o(u(x)) + o(v(x)), dove u e v sono due funzioni che hanno diversi ordini di infinitesimo per x → a. Limitandoci per semplicità al caso a = 0, e supponendo come sopra che u(x) e v(x) siano le funzioni xa ed xb, si ha la formula

o(xa) + o(xb) = o(xmin(a , b)), (28) per cui prevale il più piccolo tra i due esponenti a e b. Anche questa proprietà si dimostra

facilmente osservando che o(xa) indica una funzione f(x) tale che 0)(

lim0

=→ ax x

xf, mentre o(xb) indica

una funzione g(x) tale che 0)(

lim0

=→ bx x

xg. Ora supponiamo che sia a < b, e consideriamo

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18

ax x

xgxf )()(lim

0

+

→. Questo limite può essere calcolato scrivendolo come

+

→ bax x

xg

x

xf )()(lim

0 =

= b

ab

xaxaxax x

xgx

x

xf

x

xg

x

xf )(lim

)(lim

)(lim

)(lim

0000

→→→→+=+ . Il primo limite è nullo per ipotesi, mentre il

secondo presenta il prodotto di due funzioni ciascuna delle quali tende a 0, per cui f + g è un o piccolo di xa, come volevamo dimostrare. Si osservi che, sempre nell'ipotesi a < b, non possiamo

ottenere lo stesso risultato calcolando bx x

xgxf )()(lim

0

+

→, perché in tal caso si ottiene

a

ba

x x

xfx

)(lim

0

→ +

+ bx x

xg )(lim

0→: mentre il secondo limite vale 0, il primo dà luogo alla forma indeterminata ∞ ⋅ 0.

Come ulteriore osservazione a quanto appena dimostrato, notiamo che nello scrivere o(f(x)) =

= o(g(x)) (sempre per x che tende ad un certo a), in un certo senso si utilizza in modo improprio il simbolo di uguaglianza. Per spiegare meglio la questione, si consideri il seguente esempio. Sia k(x) una funzione che per x → 0 ha un ordine di infinitesimo maggiore di 3, per cui possiamo scrivere k(x) = o(x3). Se partiamo da questa ipotesi, allora possiamo anche dire che, a maggior ragione, k(x) è

anche un o piccolo di x2, perché 20

)(lim

x

xk

x→ si può scrivere come

30

)(lim

x

xkx

x→, che vale ancora 0. Perciò

possiamo brevemente scrivere

o(x3) = o(x2), (29) ed ovviamente lo stesso sarebbe vero sostituendo 2 con un qualsiasi esponente reale positivo minore di 3. Non si può però fare il ragionamento inverso: se sappiamo che una certa funzione è o(x2), non possiamo dedurre che essa è anche o(x3), o in generale o(xa) per un generico a > 2; ne segue che la (29), che "formalmente" abbiamo scritto come un'uguaglianza, in realtà non è invertibile. Essa in effetti non è "veramente" un'uguaglianza, ma semmai un'implicazione (se sappiamo che k è o piccolo di x3, allora concludiamo che k è o piccolo di x2), ma è un'implicazione in generale non invertibile.

Altre proprietà molto utili nelle applicazioni riguardano espressioni contenenti simboli o

"nidificati", cioè uno dentro l'altro. Abbiamo precisamente le seguenti formule:

o(o(f(x))) = o(f(x)); (30) o(f(x) + o(f(x))) = o(f(x)). (31)

La dimostrazione della formula (30) è molto semplice: se o(f(x)) indica una funzione g(x) tale

che 0)()(

lim =→ xf

xg

ax, allora o(o(f(x))) indica una funzione h(x) tale che 0

)()(

lim =→ xg

xh

ax. Confrontando h

con f, abbiamo 0)()(

)()(

lim)()(

lim ==→→ xf

xg

xg

xh

xf

xh

axax, da cui la tesi. Per quanto riguarda invece la (31), il

termine o(f(x)) più interno indica una funzione g(x) tale che 0)()(

lim =→ xf

xg

ax, per cui o(f(x) + o(f(x)))

indica una funzione h(x) tale che 0)()(

)(lim =

+→ xgxf

xh

ax. Confrontando h con f, abbiamo

+

+=

+

+=

→→→ )()(

1)()(

)(lim

)()()(

)()()(

lim)()(

limxf

xg

xgxf

xh

xf

xgxf

xgxf

xh

xf

xh

axaxax; la prima frazione tende a 0 per

ipotesi, mentre l'altra ha limite 1, e da ciò la tesi.

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Infine, vediamo una formula che è molto utile nel caso che occorra "linearizzare" un espressione, cioè scrivere come somma un'espressione fratta contenente "o piccolo". Sia f(x) → 0

per x → a; allora per l'espressione )(1

1xf+

vale la seguente formula di linearizzazione:

))(()(1)(1

1xfoxf

xf+−=

+. (32)

Per dimostrare questa formula, si consideri che la frazione u+1

1 si può trasformare scrivendo

u

uu

u

uuuu

++−=

+

+−−+

11

11 222

. Con f(x) al posto di u, abbiamo )(1

)()(1

)(11 2

xf

xfxf

xf ++−=

+. Ma

quest'ultimo termine è o(f(x)), dato che, confrontandolo con f(x), abbiamo

)(1)(

lim)(

)(1)(

lim

2

xf

xf

xf

xf

xf

axax +=

+

→→, che per ipotesi è 0 (si osservi che la (30) non vale se si toglie l'ipotesi

f(x) → 0). In alcuni casi è necessario utilizzare altre formule di linearizzazione, che generalizzano la

(32). Se, nelle stesse ipotesi dette sopra, scriviamo =+

−++−−+=

+ u

uuuuuu

u 11

11 3322

u

uuu

+−+−=

11

32 , abbiamo

)(1)(

)()(1)(1

1 32

xf

xfxfxf

xf +−+−=

+, da cui deduciamo la formula

))(()()(1)(1

1 22xfoxfxf

xf++−=

+, (33)

dato che l'ultimo termine della formula scritta prima è un o piccolo di f

2(x). Con lo stesso procedimento è possibile "allungare" ulteriormente la formula, scrivendo

))(()()()(1)(1

1 332xfoxfxfxf

xf+−+−=

+; (34)

))(()()()()(1)(1

1 4432xfoxfxfxfxf

xf++−+−=

+, (35)

e così via, sempre alternando i segni.

4. Resto della formula di Taylor in termini di "o piccolo" Come abbiamo visto nel par. 2, se una funzione è derivabile n + 1 volte con continuità in un

intorno di a, si può dare per il resto della formula di Taylor la maggiorazione

11)1(

||)!1(

)()!1(

)()( ++

+

−+

≤−+

= nnn

n axn

Max

n

cfxR

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(cfr. formula (19)). Ora, se dividiamo questa uguaglianza per | x − a |n, otteniamo

)!1(||

||

)(0

+

−≤

−≤

n

axM

ax

xRn

n . Per x → a quest'ultima frazione tende a 0, perciò è anche 0||

)(lim =

−→ n

n

ax ax

xR.

Per quanto detto nel paragrafo precedente, possiamo allora scrivere Rn(x) = o((x − a)n). (36)

La (36) esprime il fatto che non solo il resto Rn tende a zero per x → a, ma per di più ciò accade "con una certa rapidità", nel senso che il resto tende a 0 più rapidamente della potenza n-esima di (x − a). Grazie a questa osservazione, possiamo scrivere la formula di Taylor in un modo diverso rispetto alla (18); precisamente, si può scrivere:

( )nnn

axoaxn

afax

afaxafafxf )()(

!)(

)(!2

)())(()()(

)(2 −+−++−

′′+−′+= L , (37)

dove naturalmente "o piccolo" va inteso per x→ a. Scriviamo anche esplicitamente la formula di Taylor con questa particolare espressione del resto nel caso a = 0, visto che ne faremo largo uso nel seguito:

( )nnn

xoxn

fx

fxffxf +++

′′+′+=

!)0(

!2)0(

)0()0()()(

2L , (38)

dove o(xn) si intende per x→ 0. Occorre osservare che le formule (37) e (38) non sono particolarmente utili da un punto di vista "numerico" (se ci interessa un'approssimazione di f(x) è molto meglio utilizzare la (18), come visto in precedenza); esse sono invece "formule asintotiche", che indicano il comportamento della funzione per x prossimo ad a: l'informazione che abbiamo è che per x vicino ad a (in particolare nel caso a =0) la f(x) si avvicina al suo polinomio di Taylor di ordine n, nel senso che l'errore tende rapidamente a 0.

Vediamo ora nel prossimo teorema che il polinomio di Taylor è l'unico polinomio per il quale

vale la proprietà appena detta. Come si vedrà tra poco, questa osservazione è particolarmente importante, in quanto ricca di conseguenze anche operative. Per semplicità, enunciamo questo teorema solo nel caso a = 0, cioè in relazione alla formula (38).

TEOREMA 5. Sia f(x) una funzione derivabile n volte in un intorno di 0, e supponiamo che

esista un polinomio Q(x) tale che si abbia f(x) = Q(x) + o(xn) per x→ 0. Allora Q(x) coincide con

Pn(x), polinomio di Taylor di ordine n generato da f in a = 0. Dimostrazione. Dire che l'ultimo termine della formula scritta sopra è o(xn) per x → 0

equivale a dire che esso può essere scritto nella forma xng(x), dove g(x) è una funzione che a sua

volta tende a 0 per x → 0. Possiamo anzi supporre g(0) = 0, visto che per ipotesi f è definita in un intorno completo di 0; perciò abbiamo f(x) = Q(x) + xn

g(x), con g(0) = 0, il che implica f(0) = Q(0).

Dalla formula appena vista abbiamo n

x

xQxfxg

)()()(

−= . Se scriviamo =

→)(lim

0xg

x

nx x

xQxf )()(lim

0

−=

→, abbiamo ovviamente una forma indeterminata, visto che f(0) e Q(0) coincidono.

Siccome numeratore e denominatore sono derivabili, possiamo applicare la regola di De L'Hôpital e

scrivere 100

)()(lim)(lim

−→→

′−′=

nxx nx

xQxfxg . Ma siccome g è nulla in zero, deve essere necessariamente

f'(0) = Q'(0) (se così non fosse, il limite non potrebbe essere 0). Siccome il limite dà ancora una

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21

forma indeterminata, deriviamo ancora e troviamo 20 )1(

)()(lim0

−→ −

′′−′′=

nx xnn

xQxf, da cui necessariamente

f''(0) = Q''(0). Proseguiamo allo stesso modo, finché dopo n derivazioni troviamo

!)()(

lim0)()(

0 n

xQxfnn

x

−=

→, da cui f(n)(0) = Q(n)(0). Si ha allora f(k)(0) = Q(k)(0) per ogni k = 0, 1, ..., n,

pertanto Q(x) coincide con il polinomio di Taylor di ordine n generato da f in a = 0. � Vediamo ora una interessante conseguenza del teor. 5. Per calcolare il polinomio di Taylor di

ordine n generato dalla funzione x

xf−

=1

1)( nel punto a = 0, possiamo ovviamente calcolare le

derivate successive, ma possiamo anche ragionare in modo indiretto, scrivendo

=−

+−−+−+−+−=

++

x

xxxxxxxx

x

nn

11

11 113322

L

x

xxxxxx

x

xxxxx

nnn

n

−++++++=

−++++++=

+

11

11 32

132

LL . (39)

Poiché la funzione x

xxg

−=

1)( è nulla per x = 0, possiamo anche scrivere

)(11

1 32 nnxoxxxx

x++++++=

−L ; dal teor. 5 deduciamo che il polinomio 1 + x + x2 + ... + xn è

necessariamente il polinomio di Taylor di ordine n generato da x

xf−

=1

1)( nel punto a = 0.

A questo punto possiamo anche giustificare il fatto che in alcuni casi si calcola il polinomio di Taylor di una funzione sostituendo in un altro polinomio già noto x con x

m, caso che non è compreso nel teor. 2. Ad esempio, sapendo che per la funzione e

x vale la formula

)(!!32

132

nn

xxo

n

xxxxe ++++++= L , possiamo sostituire x con x

2 ed ottenere

)(!!32

1 2264

22n

nx

xon

xxxxe ++++++= L . Poiché sono verificate le ipotesi del teor. 5, concludiamo

che !!32

1264

2

n

xxxx

n

+++++ L è il polinomio di Taylor di ordine 2n della funzione 2

)( xexf =

(sempre con a = 0). Per inciso, si noti che questo è anche il polinomio di Taylor di ordine 2n + 1, visto che f è una funzione pari.

Il procedimento appena visto è applicabile più in generale: si può sostituire x con xm per un qualsiasi m intero(9), oppure si può anche, sotto un'opportuna ipotesi che vedremo tra poco, sostituire x con una funzione di x, così da ottenere facilmente polinomi di Taylor di funzioni composte.

La formula di Taylor (38) risulta molto utile per ricavare polinomi di Taylor di funzioni "complicate" partendo da altre funzioni più semplici, evitando così il calcolo di numerose derivate. Illustriamo questo procedimento con alcuni esempi.

9 In realtà, il procedimento è lecito anche per m positivo non intero: in tal caso si ottengono altre utili formule asintotiche, che ovviamente non rientrano nella formula di Taylor, visto che contengono in generale potenze di x ad esponente non intero.

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22

ESEMPIO 4.1. Determinare il polinomio di Taylor di ordine 4 generato dalla funzione

x

exf

x

−=

1)( nel punto a = 0.

Soluzione. Per applicare direttamente la definizione dovremmo calcolare esplicitamente le

prime quattro derivate di f: un calcolo non impossibile, ma che in alcuni casi può essere molto

gravoso. Possiamo allora ragionare come segue: posto g(x) = ex ed

xxh

−=

11

)( , scriviamo per

ciascuna delle due funzioni la formula (38) con n = 4:

)(2462

1 4432

xoxxx

xex +++++= ;

)(11

1 4432xoxxxx

x+++++=

−.

Ora moltiplichiamo membro a membro le due uguaglianze. In questo primo esempio

svolgiamo esplicitamente tutti i calcoli, ma subito dopo vedremo che in realtà nel manipolare queste espressioni possiamo abbreviare di molto i calcoli, in quanto non tutti i termini vengono scritti per esteso:

f(x) = g(x)⋅h(x) = x

ex

−⋅1

1= ( )=+++++⋅

+++++ )(1)(

24621 44324

432

xoxxxxxoxxx

x

= 1 + x + x2 + x3 + x4 + o(x4) + x + x2 + x3 + x4 + x5 + x ⋅ o(x4)

2

2x+

2

3x+

2

4x+

2

5x+

2

6x+ )(

24

2

xox

⋅+

6

3x+

6

4x+

6

5x+

6

6x+

6

7x+ )(

64

3

xox

⋅+

24

4x+

24

5x+

24

6x+

24

7x+

24

8x+ )(

244

4

xox

⋅+

+ o(x4) + x ⋅ o(x4) + x2 ⋅ o(x4) + x3

⋅ o(x4) + x4 ⋅ o(x4) + o(x4) o(x4)

La somma dei termini contenuti nelle prime 5 colonne (cioè fino ai termini di grado 4) dà

432

2465

38

25

21 xxxx ++++ ; ora osserviamo che i termini in x5 danno un infinitesimo di ordine

superiore a 4, perciò tutti i termini della colonna successiva si possono scrivere come o(x4); lo stesso accade per la colonna seguente: x ⋅ o(x4) è o(x5), ma anche tutti i termini in x6 sono o(x5), perciò a maggior ragione anche o(x4), e così via. In conclusione, tutti i termini successivi alla quinta colonna si possono inglobare in un unico termine o(x4), cioè si ha:

)(2465

38

25

211

)( 4432xoxxxx

x

exf

x

+++++=−

= .

Grazie al teorema 5, concludiamo che il polinomio di Taylor cercato è

4324 24

6538

25

21)( xxxxxP ++++= .

Concludiamo l'esempio osservando che la semplificazione operata dopo il prodotto delle due formule in realtà può essere fatta direttamente nell'effettuare il prodotto suddetto. Se ad esempio dobbiamo determinare una formula che si fermi al termine x

4, e che quindi termini con o(x4),

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possiamo benissimo eliminare già nello svolgimento del calcolo tutti i termini dal quinto grado in su: in effetti essi non vengono "eliminati", semplicemente vengono "inglobati" nel termine o(x4) che viene scritto alla fine.

ESEMPIO 4.2. Determinare il polinomio di Taylor di ordine 8 generato dalla funzione f(x) =

= cos2 x nel punto a = 0. Soluzione. Possiamo evitare di derivare 8 volte la funzione f, semplicemente scrivendo

un'opportuna formula di Taylor per la funzione cos x e poi elevando al quadrato. A tale scopo, occorre mettere in guardia il lettore contro un errore molto frequente: dovendo ottenere un polinomio di Taylor di ordine 8, si potrebbe pensare di partire dal polinomio di Taylor di ordine 4 per il coseno, ma ciò è errato, perché alla fine si otterrebbe per la f il polinomio di ordine 4 e non 8.

Scriviamo allora la formula di Taylor di ordine 8 (ovviamente sempre con a = 0) per la funzione cos x:

)(40320720242

1cos 88642

xoxxxx

x ++−+−= , (38)

ed eleviamo questa uguaglianza al quadrato. Come osservato prima, lo svolgimento del quadrato del secondo membro darebbe luogo a 21 termini (6 quadrati e 15 doppi prodotti), ma in realtà ogni volta che otteniamo un termine che per x → 0 è un infinitesimo di ordine superiore ad 8, evitiamo di scriverlo esplicitamente: tutti questi termini trascurati saranno poi inglobati nel termine finale o(x8). Perciò, cominciamo scrivendo solo i quadrati dei primi tre termini, poi scriviamo tutti i doppi

prodotti tra 1 e i termini successivi, quindi scriviamo i doppi prodotti tra 2

2x

e i termini successivi,

ma senza scrivere il doppio prodotto con l'ultimo di essi, e così via (a mano a mano che andiamo avanti sono sempre meno i termini da scrivere esplicitamente: in effetti l'ultimo doppio prodotto da

scrivere sarà quello tra 2

2x

e 720

6x

, perché tutti gli altri sono infinitesimi di ordine maggiore di 8),

completando infine il risultato con o(x8). Abbiamo allora:

+++=5764

1cos84

2 xxx

=++−+−+− )(720242016036012

886864

2xo

xxxxxx

)(31545

23

1 88

64

2xo

xx

xx ++−+−= ,

per cui il polinomio P8(x) è uguale a 31545

23

18

64

2 xx

xx +−+− .

Si osservi che in questo caso particolare avremmo potuto ricavare il risultato anche

applicando opportune formule di trigonometria: infatti è 2

2cos1cos2 x

x+

= ; dalla (40) abbiamo,

applicando la parte 3) del teor. 2, )(3152

454

32

212cos 88642xoxxxxx +++++= . Aggiungendo 1 e

dividendo per 2, troviamo immediatamente lo stesso polinomio di prima.

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24

ESEMPIO 4.3. Calcolare f(6)(0), dove f(x) = esen x .

Soluzione. Ovviamente cerchiamo un procedimento alternativo per evitare di calcolare sei

derivate di una funzione composta, che sarebbe un calcolo molto laborioso. Data la relazione tra i coefficienti del polinomio di Taylor con le derivate della funzione calcolate in a, possiamo pensare di scrivere il polinomio di Taylor di ordine 6 della funzione data.

Procediamo allora come segue. In primo luogo, ricordiamo che per la funzione eu vale la

formula di Taylor

)(7201202462

1 665432

uouuuuu

ueu +++++++= (per u → 0), (41)

dove volutamente abbiamo evidenziato il fatto che tale formula va intesa sempre per u che tende a 0: questa è un'osservazione particolarmente importante in questo caso, perché al posto di u non si può mettere una funzione che tenda ad un limite diverso da 0.

Nel nostro caso abbiamo u = sen x, che si può scrivere nella forma

)(1206

653

xoxx

xu ++−= , (42)

dove abbiamo sfruttato il fatto che il polinomio indicato qui sopra è quello di ordine 5, ma indifferentemente è anche quello di ordine 6. Ora, per sostituire u nella (41), dobbiamo calcolare le potenze u

2, u3,..., u

6; questo può sembrare complicato, ma in realtà nell'eseguire le potenze ci regoliamo come nei casi precedenti, cosicché all'aumentare dell'esponente scriviamo sempre meno termini. Abbiamo infatti in primo luogo:

)(452

3)(

6033666

426

64622

xoxx

xxoxxx

xu ++−=++−+= .

Per calcolare u

3 non eseguiamo il cubo del polinomio (42), ma più semplicemente moltiplichiamo u2 per u:

=+−−=

++−

++−= )(

36)(

1206)(

452

36

5536

5366

423

xoxx

xxoxx

xxoxx

xu

)(2

65

3xo

xx +−= .

Poi otteniamo u4 come quadrato di u2:

)(32

)(452

3664

2

664

24xoxxxox

xxu +−=

++−= ,

quindi moltiplichiamo u3 per u2 allo scopo di ottenere u5:

)()(452

3)(

26566

426

535

xoxxoxx

xxox

xu +=

++−

+−= ,

e infine troviamo u6 elevando al quadrato u3:

Page 25: per il corso di Analisi Matematica B. Palumbo, gennaio 2010dispense/palumbo/Formula_Taylor_2010.pdf · 2 possibile però che il grado effettivo del polinomio P n sia inferiore ad

25

)()(2

66

2

65

36 xoxxox

xu +=

+−= .

Sostituendo nella (41) le espressioni così trovate, abbiamo:

+

+−+

++−+

++−+== )(

261

)(452

321

)(1206

1 65

3664

2653

senxo

xxxox

xxxo

xxxee

ux

( ) ( ) =+++++

+−+ )()(

7201

)(120

1)(

32

241 66665664

xoxoxxoxxoxx

)(2401582

1 66542

xoxxxx

x +−−−++= .

Questo calcolo dimostra che il polinomio di Taylor generato dalla funzione f(x) = e

sen x in

a = 0 è 2401582

1)(6542

6

xxxxxxP −−−++= . Ora, sappiamo che in Pn(x) il coefficiente ak di x

k è

!)0()(

k

fk

, da cui f (k)(0) = k!⋅ak; in questo caso particolare, si ha f

(6)(0) = 6!⋅a6 =

2401

!6 = −3.

Si osservi che questo procedimento è utile per determinare f (k)(0) (o comunque f

(k) calcolata in un particolare punto a), ma non per determinare la derivata generica f

(k)(x). ESEMPIO 4.4. Determinare il polinomio di Taylor di ordine 4 generato dalla funzione f(x) =

= ecos x in a = 0. Soluzione. Apparentemente, il procedimento da seguire è simile a quello visto nell'esempio

precedente. Occorre però tenere conto di un particolare importante: scritta una formula simile alla (41), cioè

)(2462

1 4432

uouuu

ueu +++++= (per u → 0), (43)

osserviamo che in questo caso non è lecito sostituire u direttamente con cos x, visto che questa funzione tende ad 1 per x → 0. Possiamo tuttavia scrivere l'esponente cos x come somma di due diversi esponenti, allo scopo di sfruttare le proprietà dell'esponenziale. Basta scrivere: e

cos x = e1 + cos x − 1 = e ⋅ ecos x − 1,

ed applicare la (41) con cos x − 1 al posto di u. Osserviamo allora che da )(242

442

xoxx

u ++−= si

trova )(4

44

2xo

xu += , )( 43

xou = , ed anche )( 44xou = . Sostituendo nella (41), troviamo:

)(62

1)(42

1242

1 442

4442

1cosxo

xxxo

xxxe

x ++−=+⋅++−=− .

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26

Infine, moltiplicando per e, troviamo

++−= )(

621 4

42cos

xoxx

eex , per cui il polinomio di

Taylor cercato è 424 62

)( xe

xe

exP +−= .

ESEMPIO 4.5. Data la funzione x

xgcos

1)( = , determinare le formule di Taylor di ordini 2 e

4 relative a g(x) in a = 0; utilizzare questi risultati per determinare le formule di Taylor di ordini 3 e 5 relative alla funzione tg x in a = 0.

Soluzione. Per determinare P2(x) relativo alla funzione f(x), scriviamo )(2

1cos 22

xox

x +−= ,

da cui

)(2

1

1)(

22

xox

xg

+−

= . Applichiamo quindi la formula di linearizzazione (32), con

)(2

)( 22

xox

xf +−= ; ricordando che

+− )(

22

2

xox

o è a sua volta o(x2), abbiamo:

)(2

1cos

1 22

xox

x++= . (44)

Ora, per determinare l'analoga formula di ordine 4, si potrebbe pensare di partire dalla

formula )(242

1cos 442

xoxx

x ++−= , per poi applicare la stessa formula di linearizzazione a

)(242

1

1

242

xoxx

++−

, cioè ponendo questa volta )(242

)( 442

xoxx

xf ++−= . Purtroppo questo

procedimento non funziona, nel senso che, pur partendo da una formula con un termine in più, alla

fine troviamo lo stesso risultato. Infatti, tenendo conto del fatto che

++− )(

2424

42

xoxx

o è ancora

o(x2), abbiamo )(242

1)(242242

1

)(242

1

1 242

44242

442

xoxx

xoxx

oxx

xoxx

+−+=

++−+−+=

++−

;

siccome però )(24

24

xox

=− , il termine 24

4x

− si ingloba in o(x2), e in conclusione troviamo ancora la

(44). Per ottenere la formula desiderata, non basta quindi aggiungere un termine alla formula relativa a cos x, ma bisogna anche utilizzare una diversa formula di linearizzazione, in questo caso la (33). Infatti, ripetendo il procedimento con l'applicazione di questa formula, e tenendo conto del

fatto che f 2(x) è uguale a )(

44

4

xox

+ , troviamo:

)(245

21)(

42421

)(242

1

1cos

1 442

4442

242

xoxx

xoxxx

xoxxx

+++=++−+=

++−

= . (45)

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27

Per determinare allora la formula di Taylor di ordine 3 relativa a tg x, basta ricordare che sen x

si può scrivere come )(6

33

xox

x +− e moltiplicare questo per il secondo membro della (44) (si

osservi che, in linea con gli esempi precedenti, dovremmo prima scrivere la formula di Taylor del

3° ordine, il che non sarebbe un problema, perché essendo xcos

1 una funzione pari, basterebbe

scrivere )(2

1 32

xox

++ ; tuttavia non c'è neanche bisogno di fare ciò: anche utilizzando la (44), basta

osservare che l'altro polinomio comincia con un termine x: esso, moltiplicato per o(x2), dà o(x3), perciò si ha un resto dell'ordine desiderato). In conclusione, si ha:

tg x = =

++

+− )(

21)(

62

23

3

xox

xox

x

)(3

33

xox

x ++= .

Allo stesso modo, moltiplicando la (45) per la formula di Taylor del 5° ordine relativa a sen x,

troviamo:

tg x = =

+++

++− )(

245

21)(

120644

25

53

xoxx

xoxx

x

)(152

3)(

120126245

255

35

5535

3

xoxx

xxoxxx

xx

x +++=++−−++= .

5. Risoluzione di forme indeterminate tramite la formula di Taylor Vediamo ora come l'uso della formula di Taylor consente in alcuni casi di risolvere

abbastanza rapidamente certe forme indeterminate. Si tratta di un procedimento alternativo alla regola di De L'Hôpital, anzi si potrebbe dire che per certi aspetti tale regola è un caso particolare del procedimento che descriviamo di seguito.

ESEMPIO 5.1. Calcolare 30

sensenhlim

x

xx

x

→ (10).

Soluzione. Ovviamente il problema può essere risolto tramite la regola di De L'Hôpital,

derivando tre volte oppure anche derivando solo una volta e poi riconducendosi a limiti notevoli. Vediamo invece come il problema possa essere risolto scrivendo per le funzioni considerate un'opportuna formula di Taylor con il resto espresso in termini di "o piccolo".

Per le funzioni senh x e sen x valgono rispettivamente le formule

)(6

senh 33

xox

xx ++= ;

)(6

sen 33

xox

xx +−= .

10 In tutti gli esempi che faremo, i limiti saranno sempre calcolati per x → 0, perché questo è il caso più semplice. Se x tende ad un a finito, conviene ricondursi al caso precedente tramite una semplice traslazione (x = t + a).

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28

Da ciò otteniamo )(3

)(66

sensenh 33

333

xox

xox

xx

xxx +=++−+=− , e di conseguenza

)1(31)(

3sensenh3

33

3o

x

xox

x

xx+=

+=

−. Al tendere di x a 0, vediamo che il limite vale

31

.

ESEMPIO 5.2. Posto ∫=x

dttxA0

2sen)( , calcolare 5

3

0

)(3lim

x

xxA

x

→.

Soluzione. Si noti in primo luogo che sarebbe un grave errore spezzare il limite proposto in

5

3

050lim

)(lim

x

x

x

xA

xx →→− , perché si avrebbe una forma indeterminata +∞ −∞. Vediamo invece come si può

procedere utilizzando la formula di Taylor. Un problema che si pone nell'uso della formula di Taylor è a quale ordine occorre fermarsi

nello scrivere i polinomi di Taylor delle varie funzioni coinvolte nel limite. A questa domanda non si può dare una risposta univoca, perché bisogna regolarsi caso per caso, eventualmente anche procedendo per tentativi. Ad esempio, supponiamo di partire dalla formula sen z = z + o(z); con la sostituzione z = t2 essa diventa sen t2

= t2 + o(t2), e integrando da 0 ad x troviamo la formula

)(3

sen)( 33

0

2xo

xdttxA

x

+== ∫ .

Da ciò segue 3A(x) − x3 = o(x3). Questo risultato è senz'altro corretto, ma è del tutto inutile ai

fini del calcolo del limite, perché se scriviamo 5

3

0

)(lim

x

xo

x→ non possiamo trarre alcuna conclusione:

infatti il termine o(x3) indica che il numeratore ha un ordine di infinitesimo superiore a 3, ma non abbiamo alcuna informazione su quale sia l'effettivo ordine di infinitesimo, per cui il risultato potrebbe essere indifferentemente 0, oppure un numero finito e non nullo, oppure ancora ±∞.

Questo tentativo fallito ci dice che dovremmo ripetere il procedimento, ma partendo dalla

formula di Taylor per il seno con un termine in più. Se partiamo da )(6

sen 33

zoz

zz +−= , troviamo

)(6

sen 66

22zo

ttt +−= , da cui )(

423)( 7

73

xoxx

xA +−= . Perciò )(14

)(3 77

3xo

xxxA +=− , ed infine

)(14

)(3 22

5

3

xox

x

xxA+=

−, da cui concludiamo che il limite è 0.

ESEMPIO 5.3. Posto ∫+

=x

t

dtxA

04 1

)( , calcolare

→1

)(1

lim 40 xA

x

xx.

Soluzione. Notiamo intanto che le prime due derivate della funzione 21

)1(−

+ z sono

rispettivamente 23

)1(21 −

+− z e 25

)1(43 −

+ z . Da ciò deduciamo per la funzione 21

)1(−

+ z la formula di

Taylor )(2

1 zoz

+− (se basta fermarsi al primo ordine) oppure )(83

21 22

zozz

++− (se abbiamo

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29

bisogno di un termine in più). Utilizzando la formula più semplice, abbiamo )(2

11

1 44

4to

t

t+−=

+,

da cui )(10

)( 55

xox

xxA +−= , e di conseguenza =

+−

=

+−

=

)(10

1

1

)(10

)( 44

55

xox

xox

x

x

xA

x

)(10

1 44

xox

++= . Allora, la funzione

−1

)(1

4 xA

x

x si può scrivere come

)1(101

1)(10

11 4

4

4oxo

x

x+=

−++ , per cui il limite richiesto vale

101

.

Il lettore è invitato a confrontare questa soluzione con quella ottenuta tramite la regola di De L'Hôpital, che in questo caso risulta ben più laboriosa.

ESEMPIO 5.4. Calcolare

→ xxxx senh1

sen11

lim0

.

Soluzione. Vediamo con questo esempio come l'uso di formule contenenti termini "o piccolo"

può essere molto conveniente per risolvere certe forme indeterminate del tipo +∞ − ∞. Osserviamo in primo luogo che anche in questo caso il problema si potrebbe risolvere

applicando la regola di De L'Hôpital; una volta scritto xxx

xx

x senhsensensenh

lim0

→, occorre però derivare tre

volte per eliminare l'indeterminazione (in alternativa è anche possibile derivare una sola volta e poi

utilizzare i limiti notevoli 1sen

lim0

=→ x

x

x, 1

senhlim

0=

→ x

x

x,

21cos1

lim20

=−

→ x

x

x e

211cosh

lim20

=−

→ x

x

x).

Partiamo dalla formula di Taylor del 3° ordine per sen x, cioè:

)(6

sen 33

xox

xx +−= .

Da questa ricaviamo

)(6

1sen

1

33

xox

xx

+−

= ; possiamo ora applicare una formula di

linearizzazione, allo scopo di eliminare l'espressione fratta. Occorre fare però molta attenzione al fatto che la formula (32) e le sue generalizzazioni sono valide solo per un'espressione del tipo

)(11

xf+. SAREBBE UN GRAVISSIMO ERRORE pensare di scrivere =

+− )(6

1

33

xox

x

)(6

11

1

33

xox

x +−+−

= con l'idea di applicare poi la (32) (o altre formule simili), perché in tal caso

si avrebbe )(6

1)( 33

xox

xxf +−+−= , che NON tende a 0 per x → 0. Il problema si risolve invece

raccogliendo a fattor comune il termine x, così da ottenere

)(6

1)(

61

1

)(6

1

11

)(6

1sen

1 22

22

33

xox

xxo

x

xxo

xxxo

xx

x++=

++=

+−

⋅=

+−

= . (46)

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30

La (46) è ancora una formula asintotica, del tipo di quelle viste in precedenza, perciò

possiamo dire che essa descrive il comportamento della funzione xsen

1 per x → 0; però non può

essere considerata una formula di Taylor, per il semplice fatto che la funzione non è definita in 0.

Dalla (46) vediamo che per x prossimo a 0 la funzione xsen

1 "assomiglia molto" all'iperbole di

equazione 6

1 x

xy += (la differenza tra questa e la funzione data non solo tende a 0, ma lo fa con

ordine di infinitesimo maggiore di 1).

Con lo stesso procedimento, partendo da )(6

senh 33

xox

xx ++= otteniamo la formula

)(6

1)(

61

1

)(6

1

11

)(6

1senh

1 22

22

33

xox

xxo

x

xxo

xxxo

xx

x+−=

+−=

++

⋅=

++

= . (47)

Dalle formule (46) e (47) otteniamo )(3

)(6

16

1senh

1sen

1xo

xxo

x

x

x

xxx+=++−+=− , e quindi

)1(31

senh1

sen11

oxxx

+=

− ; da ciò troviamo il limite

31

.

Si osservi che la forma indeterminata ha dato un limite finito grazie al fatto che i due termini infiniti erano gli stessi per i due addendi, perciò si sono semplificati. Se avessimo avuto ad esempio

nel primo addendo un termine 2

2

x e nel secondo un termine

2

1

x− , nella somma sarebbe rimasto

2

1

x, e di conseguenza il limite sarebbe stato +∞.

ESEMPIO 5.4. Posto ∫=

x

dtt

txF

0

sen)( , verificare che esiste un numero reale k per il quale

vale la formula )(18

1)(

1 33xokx

x

xxF+++= . Utilizzare quindi tale formula per calcolare

−−

→ 18

1

)(

11lim

30

x

xxFxx.

Soluzione. Occorre ovviamente partire dalla formula di Taylor per la funzione seno.

Facciamo un primo tentativo scrivendo )(6

sen 33

tot

tt +−= (per t →0), da cui )(6

1sen 2

2

tot

t

t+−= .

L'integrazione dà )(18

sen)( 3

3

0

xox

xdtt

txF

x

+−== ∫ , e da questa abbiamo =

+−

⋅=

)(18

1

11)(

1

22

xoxxxF

)(18

1)(

181

1 22

xox

xxo

x

x++=

++= . Purtroppo questa formula non consente di risolvere il

problema, perché è richiesto di trovare anche il termine in x3. Occorre perciò ripetere il

procedimento partendo dalla formula di Taylor )(1206

sen 553

tott

tt ++−= , da cui

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31

)(1206

1sen 4

42

tott

t

t++−= , e quindi )(

60018sen

)( 553

0

xoxx

xdtt

txF

x

++−== ∫ . Perciò abbiamo

)(60018

1

11)(

1

442

xoxxxxF

++−

⋅= . Si ricordi ora l'esempio 4.5: per ottenere la formula richiesta non

basta disporre di un termine in più, ma occorre anche applicare un'adeguata formula di linearizzazione. Se applichiamo la (32) non otteniamo nulla di più rispetto a quanto trovato prima, ma se invece utilizziamo la (33), troviamo:

)(16200

2318

1)(

324600181

1)( 334

442

xoxx

xxo

xxx

xxF +++=

++−+= ,

cosicché abbiamo la formula richiesta, dove 16200

23=k . Da questa si trova facilmente

)1(16200

23)(

181

1620023

1811

181

)(11 33

33oxo

x

xx

x

xx

x

xxFx+=

+−−++=

−− , per cui il limite

richiesto vale 16200

23.

6. Calcolo della somma di una serie numerica È ben noto che, anche quando si sa che una serie numerica è convergente, solo in alcuni casi

particolari è possibile determinarne esattamente la somma (gli unici casi facilmente risolubili sono la serie geometrica e le serie telescopiche). In questo paragrafo, mostriamo che tramite la formula di Taylor è possibile in alcuni casi calcolare la somma di una serie. Deve trattarsi però di serie numeriche molto particolari, in cui la ridotta n-esima sia il polinomio di Taylor di una funzione nota.

In realtà si tratta di un argomento che si può trattare in modo molto più generale tramite la teoria delle serie di potenze; tuttavia vogliamo dimostrare che questo metodo è applicabile a casi particolari anche senza conoscere le serie di potenze.

ESEMPIO 6.1. Verificare che la somma della serie ∑∞

=0 !1

kk

è uguale ad e.

Soluzione. Per dimostrare quanto richiesto, partiamo dal fatto che il polinomio di Taylor di

ordine n per la funzione ex è ∑∞

=

=0 !

)(k

k

n k

xxP ; pertanto abbiamo la formula di Taylor

e

x = Pn(x) + Rn(x). (48)

In particolare, per n = 1, la (48) diventa

e = Pn(1) + Rn(1) = )1(!

1

0n

n

k

Rk

+∑=

. (49)

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32

Al tendere di n ad ∞, la sommatoria finita ∑=

n

kk0 !1

tende alla serie ∑∞

=0 !1

kk

. Perciò, per ottenere la

tesi, resta solo da far vedere che il resto Rn(1) tende a 0 per n → ∞.

Poiché Rn(x) si esprime nella forma )!1()!1(

)()1(

+=

+

+

n

e

n

cf cn

(dove 0 < c < 1), ricordando che e è

minore di 3, abbiamo )!1(

3)1(

)!1(1

+<<

+ nR

n n . Siccome )!1(

1+n

e )!1(

3+n

tendono a 0 per n → ∞,

dal teorema del confronto abbiamo che anche Rn(1) tende a 0, e con questo la dimostrazione è conclusa.

ESEMPIO 6.2. Calcolare la somma della serie ∑∞

= +0 )!12(5

1

kk k

.

Soluzione. In simili casi, è necessario determinare una funzione tale che il suo polinomio di

Taylor (per semplicità supponiamo sempre a = 0), calcolato per un opportuno x, dia la ridotta n-esima della serie considerata. In questo caso, la presenza del termine (2k + 1)! al denominatore ci suggerisce di considerare la funzione f(x) = senh x. Per tale funzione vale la formula di Taylor di ordine 2n + 1

)()!12(

senh 120

12

xRk

xx n

n

k

k

+

=

+

++

=∑ . (50)

Per far sì che la somma che appare nella (50) dia la ridotta n-esima della serie considerata,

osserviamo che per 5

1=x essa diventa ∑∑

==

+

+=

+

n

kk

n

k

k

kk 00

12

)!12(5

1

5

1)!12(

5

1

. Perciò, con questa scelta

di x, possiamo scrivere

+

+= +

=

∑ 5

15

)!12(5

1

5

1senh5 12

0n

n

kk

Rk

.

Ora dimostriamo che il resto

+ 5

112nR tende a 0 per n → ∞. A tale scopo, ricordiamo che

tale resto si può scrivere come )!1(

senh)!22()()22(

+=

+

+

n

c

n

cf n

, dove 5

10 << c . Possiamo ora procedere

anche in modo più semplice rispetto a quanto fatto nell'esempio precedente. Il resto si maggiora con

)!1(5

1senh

+n; anche se non conosciamo una maggiorazione per

5

1senh , in ogni caso abbiamo

0)!1(5

1senh

lim =+∞→ nn

, e questo basta per dire che

+ 5

112nR tende a 0. In conclusione, la somma della

serie è )(25

5

1senh5 5

1

5

1−

−= ee .

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33

ESEMPIO 6.3. Calcolare la somma della serie

L+⋅

+⋅

+⋅

+432 104

1

103

1

102

1101

Soluzione. Osserviamo per cominciare che la serie proposta si può scrivere nella forma

∑∞

=

=+

+

+1

32

101

3101

2101

1101

k

k

kL . Possiamo perciò considerare la funzione il cui polinomio di

Taylor di ordine n è ∑=

n

k

k

k

x

1

. Tale funzione è f(x) = −log(1 − x), come si vede facilmente sostituendo

x con −x nella formula di Taylor per log(1 + x). Per questa funzione possiamo scrivere

)()1log(1

xRk

xx n

n

k

k

+=−− ∑=

,

formula che con 101

=x diventa

+

⋅=− ∑

=101

10

1109

log1

n

n

kk

Rk

.

Ora dimostriamo che il resto

101

nR tende a 0 per n → ∞. A tale scopo, ricordiamo che la

derivata di ordine n + 1 di f(x) = −log(1 − x) è 1)1(

!+− n

x

n, per cui il resto Rn(x) è 1

1

)!1()1(

!

++

+

− nn

xn

c

n

=

1

1

)1)(1( +

+

−+=

n

n

cn

x. In particolare, si ha

1)1(10)1(

1101

+−+=

nnn

cnR , dove

101

0 << c . Da

quest'ultima disuguaglianza abbiamo 11109

<−< c , da cui 1

1 910

)1(

11

+

+

<

−<

n

nc

, e di conseguenza

nnn nR

n 9)1(

10101

10)1(

1

+<

<

+. Questo dimostra che al tendere di n ad ∞ il resto tende a 0, e da ciò

possiamo concludere che la somma della serie è uguale a 9

10log

109

log =− .

7. Dimostrazioni di irrazionalità Per concludere, vediamo alcuni esempi in cui si dimostra l'irrazionalità di particolari numeri;

anche in queste dimostrazioni è coinvolta, in modo più o meno esplicito, la formula di Taylor. Come è ben noto, si definisce irrazionale un qualunque numero reale che non si possa

scrivere come rapporto tra due numeri interi; perciò ogni numero intero è anche razionale. Inoltre, mentre un numero razionale (se non è intero) ha una rappresentazione decimale finita oppure periodica, la scrittura in forma decimale di un numero irrazionale presenta un allineamento di infinite cifre senza alcuna periodicità.

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Queste considerazioni di solito non sono molto utili per dimostrare che alcuni particolari numeri, magari di uso comune in molte questioni di Analisi, sono razionali o irrazionali: infatti, anche se di un particolare numero si conoscono migliaia di cifre decimali, tra le quali non si ravvisa una periodicità, non si può escludere che ciò sia vero, con un periodo molto lungo.

Alcune semplici dimostrazioni di irrazionalità si possono ottenere facilmente per assurdo, utilizzando il teorema della fattorizzazione unica(11). Ad esempio, per dimostrare che il numero 2

è irrazionale, basta supporre per assurdo che sia q

p=2 con p e q interi positivi, numeri che

possiamo supporre primi tra loro, cioè privi di fattori comuni (è ovvio che ci si può sempre ricondurre a questa ipotesi, perché se p e q avessero un fattore in comune, tale fattore si potrebbe semplificare e si otterrebbe così una frazione ridotta ai minimi termini). Dall'uguaglianza appena scritta si ricaverebbe

p

2 = 2q2. (51)

Ora, si vede facilmente che la (51) non può essere soddisfatta con p e q interi. Infatti, se tra i

fattori di p c'è 2, esso appare in p2 elevato a potenza pari, e se il fattore 2 non c'è in p esso non appare neanche in p2. La stessa cosa accade per q2, il che significa che nel secondo membro della (51) il fattore 2 appare elevato a potenza dispari. Se dunque esistessero p e q interi che soddisfano la (51), lo stesso numero sarebbe scomposto in fattori primi in due modi diversi, e questo è impossibile.

Lo stesso ragionamento funziona in tutti i casi in cui si consideri un radicale del tipo n M ,

dove M ed n sono due numeri interi positivi maggiori di 1. Se tale radicale non dà un numero intero (cioè se M non è la potenza n-esima di un altro intero), allora tale numero non può essere razionale.

Ad esempio, per dimostrare che 3 20 è irrazionale, basta supporre q

p=3 20 , sempre con p e q

interi positivi privi di fattori in comune. Si avrebbe allora p3 = 20q3 = 22

⋅5q3, il che porta allo stesso

assurdo di prima: il fattore 2 appare al primo membro ad un esponente multiplo di 3, mentre al secondo membro è elevato ad un esponente 3k + 2, ed analogamente il fattore 5 appare con esponenti diversi ai due membri, e questo contraddice il teorema della fattorizzazione unica.

Un altro caso che può essere trattato in modo simile è quello del logaritmo in base n di un

numero M (stiamo considerando, come nel caso precedente, n ed M entrambi interi maggiori di 1).

Ad esempio, log2 10 è senz'altro irrazionale, perché se supponiamo per assurdo q

p=10log2 con p e

q interi positivi abbiamo 102 =q

p

, da cui 2p = 10q. Questa uguaglianza è impossibile, perché in essa al secondo membro apparirebbe il fattore 5, elevato ad un certo esponente positivo, mentre lo stesso fattore non si troverebbe nel primo membro. Più in generale, si può affermare che condizione sufficiente affinché logn M sia irrazionale è che n contenga un fattore primo che non appare in M, oppure viceversa.

Purtroppo, non è sempre possibile applicare questo metodo, quanto meno non in modo così

"diretto". Vediamo ora come è possibile dimostrare in modo semplice l'irrazionalità del numero e, utilizzando anche quanto detto prima sulla formula di Taylor.

11 Ogni numero intero positivo si scrive in modo unico come prodotto di fattori primi, ciascuno elevato ad un opportuno esponente.

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TEOREMA 6. Il numero e è irrazionale. Dimostrazione. Come già osservato in occasione dell'esempio 6.1, il numero e può essere

approssimato con ∑=

n

kk0 !1

: l'errore commesso è compreso tra )!1(

1+n

e )!1(

3+n

, per cui vale la doppia

disuguaglianza )!1(

3!

1)!1(

1!

1

00 ++<<

++ ∑∑

==nk

enk

n

k

n

k

, che si può anche scrivere nella forma

)!1(

3!

1)!1(

1

0 +<−<

+ ∑=

nke

n

n

k

. (52)

Ora supponiamo per assurdo che sia b

ae = , con a e b naturali. Scriviamo la (52) per un

opportuno n che sia maggiore di b, e che scegliamo anche maggiore di 3, e moltiplichiamo il tutto

per n!, così da ottenere )!1(

!3!!

!)!1(

!

0 +<−<

+ ∑=

n

n

k

nen

n

n n

k

, cioè

1

3!!

!1

1

0 +<−<

+ ∑=

nk

nen

n

n

k

. (53)

Siccome abbiamo scelto n > b, nel prodotto b

anen !! = si ha una semplificazione tra n! e il

denominatore b, per cui tale prodotto dà un numero intero. Inoltre gli addendi della sommatoria

sono !!0!

nn

= , !!1!

nn

= , 2)1(!2!

L−= nnn

,... 1!!

=n

n, per cui ciascuno di essi è un intero. Ne segue che

l'espressione che appare al secondo membro della (53) è un numero intero. Osserviamo però che

11+n

è maggiore di 0, e che inoltre 1

3+n

è minore di 43

, visto che abbiamo supposto n > 3. Perciò

la (53) diventa

43

13

!!

!1

10

0

<+

<−<+

< ∑=

nk

nen

n

n

k

, (54)

che dà un assurdo, perché allora esisterebbe un numero intero compreso tra 0 e 43

. �

La dimostrazione di irrazionalità di π è un po' più complessa, perché non si parte

direttamente dalla formula di Taylor; tuttavia, anche in questo caso si ragiona per assurdo, cercando di ottenere una contraddizione simile alla (54), cioè un numero intero compreso strettamente tra 0 ed 1: ciò viene fatto dando delle opportune disuguaglianze su un integrale. Prima di dimostrare questo, facciamo vedere un altro teorema dalla dimostrazione molto simile, che si può considerare una generalizzazione del teor. 6.

Occorre premettere alcune considerazioni su un tipo di polinomi molto usati in queste

dimostrazioni. Fissato un numero n naturale, definiamo il polinomio

!

)1()(

n

xxxp

nn −= . (55)

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36

Ad esempio, per n = 3 si ha 6226!3

)1()(

654333xxxxxx

xp −+−=−

= , mentre se si fissa n = 4 si

trova 2464624!3

)1()(

8765444xxxxxxx

xp +−+−=−

= . È ovvio che p(x) è sempre un polinomio di grado

2n: precisamente, siccome nello sviluppo di (1 − x)n appaiono tutte le potenze di x di grado compreso tra 0 ed n, p(x) ha solo termini di grado compreso tra n e 2n, per cui si può scrivere

∑=

=n

nm

mm xn

cxp

2

!)( , (56)

dove tutti i cm sono interi.

Ad essere precisi, dovremmo indicare il polinomio (55) con pn(x), visto che in effetti stiamo definendo infiniti polinomi diversi, uno per ogni n naturale. Per semplificare la scrittura, non indicheremo la dipendenza di p da n, ma resta inteso che il polinomio p viene sempre definito in termini di un certo n fissato.

Osserviamo ora un paio di importanti proprietà del polinomio p(x) definito dalla (55). In

primo luogo, vediamo che, se x varia nell'intervallo [0 , 1], allora sia il fattore x che il fattore 1 − x sono compresi tra 0 e 1, per cui vale la doppia disuguaglianza

!

1)(0

nxp ≤≤ . (57)

Se poi deriviamo p(x), troviamo un polinomio p'(x), di grado 2n − 1, che contiene sia il fattore

x sia il fattore (1 − x) con esponente n − 1. Perciò, non solo p(x) si annulla in x = 0 e in x = 1, ma è anche p'(0) = p'(1) = 0. Continuando a derivare, vediamo che p''(x) contiene i fattori x

n−2 ed (1 − x)n−2, per cui è ancora p''(0) = p''(1) = 0, e così via fino alla derivata di ordine n − 1. Inoltre, essendo p di grado 2n, ogni derivata di ordine maggiore di 2n è identicamente nulla. Rimangono allora da considerare le derivate di p(x) di ordine m tale che n ≤ m ≤ 2n. Osserviamo allora che il polinomio di Taylor di ordine 2n generato da p(x) nel punto 0 coincide con p stesso(12), per cui è:

∑=

=n

m

mm

xm

pxp

2

0

)(

!

)0()( . (58)

Il confronto tra la (56) e la (58) non solo conferma che è p(0) = p'(0) = ... = p(n−1)(0) = 0, ma

per n ≤ m ≤ 2n dà l'uguaglianza !

)0(

!

)(

m

p

n

c mm = , da cui m

mc

n

mp

!

!)0()( = . Essendo cm intero, ed

essendo anche !

!

n

m intero, concludiamo che tutte le derivate p(n)(x), p(n+1)(x), ..., p(2n)(x) assumono

valori interi in x = 0, e a causa della simmetria di p(x) la stessa cosa vale anche in x = 1. Per verificare quanto detto in un caso particolare, consideriamo p(x) nel caso n = 4:

12 Questo accade ovviamente per qualunque polinomio. Sia infatti A(x) un polinomio assegnato di grado n: se poniamo che per un polinomio P di grado n si abbia P(0) = A(0), P'(0) = A'(0), ..., P(n)(0) = A(n)(0), è chiaro che il polinomio A soddisfa queste condizioni; allora, per l'unicità del polinomio di Taylor, concludiamo che P(x) coincide con A(x).

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37

2464624)(

87654xxxxx

xp +−+−= .

Le derivate successive sono:

36

7

2

3

6

5

6)(

76543xxxxx

xp +−+−=′ ;

3

77

2

15

3

10

2)(

65

432x

xxxx

xp +−+−=′′ ;

5432 14353010)( xxxxxxp +−+−=′′′ ; 432)4( 7014090201)( xxxxxp +−+−= ;

32)5( 28042018020)( xxxxp +−+−= ; 2)6( 840840180)( xxxp +−= ;

xxp 1680840)()7( +−= ;

1680)()8( =xp ;

0)()( )10()9( === Lxpxp . Un calcolo diretto mostra che p(0) = p(1) = 0, p'(0) = p'(1) = 0, p''(0) = p''(1) = 0 e p'''(0) =

= p'''(1) = 0. Inoltre si ha: p

(4)(0) = 1, p(4)(1) = 1;

p(5)(0) = −20, p

(5)(1) = 20; p

(6)(0) = 180, p(6)(1) = 180;

p(7)(0) = −840, p

(7)(1) = 840; p

(8)(0) = 1680, p(8)(1) = 1680.

Come si vede, in alcuni casi è p(m)(0) = p(m)(1), mentre in altri casi questi numeri sono opposti;

in realtà, questo è irrilevante nei ragionamenti che seguono, perché l'unica proprietà che conta è che p

(m)(0) e p(m)(1) siano sempre numeri interi. TEOREMA 7. Comunque si consideri un numero razionale r diverso da 0, il numero e

r è

irrazionale. Dimostrazione. Prima di tutto, osserviamo che non è necessario considerare un qualsiasi

razionale r non nullo; possiamo restringere la scelta di r ai soli razionali positivi, visto che se er è

irrazionale, lo è anche r

r

ee

1=− . Inoltre, possiamo considerare solo gli esponenti interi positivi,

perché se k

hr = , e se dimostriamo che eh è irrazionale, allora anche k hk

hr

eee == è irrazionale (la

radice ad indice k di un numero irrazionale non può essere razionale, perché la potenza k-esima di un numero razionale è sempre razionale).

Sia allora h un numero naturale, e sia per assurdo b

ae

h = , con a e b interi positivi. Scegliamo

un n naturale, definiamo il polinomio p(x) come nella (56), e consideriamo la funzione F(x) = h2n

p(x) − h2n−1p'(x) + ... − h⋅p

(2n−1)(x) + p(2n)(x). (59)

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Per quanto osservato prima, la funzione F assume valori interi sia in x = 0 sia in x = 1. Ora calcoliamo la derivata di e

hxF(x); essa risulta uguale ad e

hx(hF(x) + F'(x)), cioè, scrivendo esplicitamente F e la sua derivata:

D(ehx

F(x)) = ehx{h(h2np(x) − h2n−1

p'(x) + ... − h⋅p(2n−1)(x) + p(2n)(x)) +

+ h2np'(x) − h2n−1

p''(x) + ... − h⋅p(2n)(x) + p(2n+1)(x)} =

= eh(x){h2n+1

p(x) + p(2n+1)(x)}, che si riduce ad h

2n+1e

h(x)p(x), dato che tutte le derivate di p(x) di ordine superiore a 2n sono

identicamente nulle. Visto che conosciamo una primitiva di quest'ultima funzione, possiamo scrivere

[ ] ),0()1()0()1()()(1

0

1

0

12 bFaFbFFbexFebdxxpehb hhxhxn −=−==∫+ (60)

che per quanto detto sopra è un numero intero. D'altra parte, ricordando la (57), abbiamo le disuguaglianze

!!

1)(0

1212

1

0

12

n

ha

nebhdxxpehb

nhnhxn

+++ =<< ∫ , (61)

che danno un assurdo: infatti, fissati a ed h, le disuguaglianze (61) dovrebbero essere valide per ogni n naturale. Ma siccome per n → ∞ il termine n! cresce più rapidamente della potenza h2n+1, per n sufficientemente grande l'ultimo membro della (61) è minore di 1. �

Dunque l'idea di fondo della dimostrazione consiste nel manipolare opportunamente l'integrale che appare nella (59): da una parte si dimostra che esso è un numero intero (grazie alle particolari proprietà del polinomio p), dall'altra parte esso però diventa molto piccolo per n grande, e da ciò si ottiene la contraddizione. Si osservi che la funzione ehx

F(x) è stata così scelta proprio per avere molte semplificazioni nel calcolo della derivata.

Con un procedimento simile si può dimostrare il seguente TEOREMA 8. π2

è un numero irrazionale. Dimostrazione. È chiaro che se dimostriamo l'irrazionalità di π

2, segue immediatamente l'irrazionalità di π, dato che il quadrato di un numero razionale non può essere irrazionale.

Sia allora per assurdo b

a=π2 , con a e b numeri naturali. Definiamo come sopra p(x), quindi

introduciamo la funzione

{ })()1()()()()( )2()4(42222 xpxpxpxpbxG nnnnnn −+−π+′′π−π= −−L , (62)

che è anch'esso un polinomio di grado 2n. Essendo b

a=π2 ,

2

24

b

a=π , ...,

n

nn

b

a=π2 , la (62) si può

anche scrivere

)()1()()()()( )2()4(211 xpbxpbaxpbaxpaxG nnnnnn −+−+′′−= −−L . (63)

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Poiché, per quanto osservato prima, tutte le derivate di p assumono valori interi in 0 e in 1, G(0) e G(1) sono numeri interi.

Consideriamo ora la funzione xxGxxGxH ππ−π′= cos)(sen)()( , e calcoliamone la derivata:

( ) xxGxGxxGxxGxxGxxGxH ππ+′′=ππ+π′π−π′π+π′′=′ sen)()(sen)(cos)(cos)(sen)()( 22 .

Calcolando esplicitamente l'espressione )()( 2 xGxG π+′′ , troviamo:

{ }+−+−π+π−′′π=π+′′ +−− )()1()()()()()( )22()6(42)4(2222 xpxpxpxpbxGxG nnnnnnL

{ }=−+−π+′′π−ππ+ −− )()1()()()( )2()4(422222 xpxpxpxpb nnnnnnL

{ +−+−π+π−′′π= +−− )()1()()()( )22()6(42)4(222 xpxpxpxpb nnnnnnL

})()1()()()( )2(2)4(22222 xpxpxpxp nnnnn π−+−π+′′π−π+ −+L ,

che si riduce al solo termine )(22 xpb nn +π , in quanto tutti i termini intermedi si semplificano, ed

inoltre p(2n+2)(x) è identicamente nulla. Considerando poi che n2π è uguale ad n

n

b

a, concludiamo che

la derivata di xxGxxGxH ππ−π′= cos)(sen)()( è uguale a xxpan ππ sen)(2 .

Perciò, dovendo calcolare dxxxpan

∫ ππ

1

0

sen)( , possiamo prendere come primitiva la funzione

xxGxxG

xH π−π

π′=

πcos)(

sen)()(

1, così da ottenere:

)1()0(cos)(sen)(

sen)(1

0

1

0

GGxxGxxG

dxxxpan +=

π−

π

π′=ππ∫ , (64)

che per quanto detto prima è un intero. Ora, al variare di x tra 0 ed 1, il termine sen πx è compreso

tra 0 e 1; ricordando poi la (57), si ha !

1sen)(0

nxxp ≤π≤ , e di conseguenza per l'integrale a primo

membro della (64) vale la doppia disuguaglianza !

sen)(01

0n

adxxxpa

nn π

<ππ< ∫ . Si ottiene così una

contraddizione analoga a quella del teorema precedente, in quanto per n sufficientemente grande il

termine !n

anπ è minore di 1. �

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40

ESERCIZI

1. Calcolare un valore approssimato di 8 3e con errore minore di 10−2.

2. Calcolare un valore approssimato di 7 4e con errore minore di

501

.

3. Calcolare un valore approssimato di

e

2021

log con un errore minore di 104.

(Suggerimento: log(ab) = log a + log b)

4. Calcolare un valore approssimato di

2

1013

log e con un errore minore di 10−2.

5. Calcolare 7

2senh con errore minore di

610

1.

{Suggerimento: per maggiorare l'errore, utilizzare la disuguaglianza 27/2 <e .}

6. Calcolare 8

1cosh con errore minore di

610

1.

{Suggerimento: per maggiorare l'errore, utilizzare la disuguaglianza 28/1 <e .}

7. Calcolare 5 e , con un errore minore di 510

1.

{Suggerimento: per maggiorare l'errore, utilizzare la disuguaglianza 25/1 <e .}

8. Calcolare 9 2e , con un errore minore di

510

1.

{Suggerimento: per maggiorare l'errore, utilizzare la disuguaglianza 29/2 <e .}

9. Calcolare 12

1sen , con un errore minore di

610

1.

10. Calcolare 7 131 , utilizzando un opportuno polinomio di Taylor del secondo ordine, e

maggiorare l'errore commesso.

11. Calcolare 81

sen , utilizzando un opportuno polinomio di Taylor del quinto ordine, e maggiorare

l'errore commesso. 12. Posto ( )21log2sen)( xxxf +⋅= , determinare f (8)(0), senza calcolare esplicitamente le derivate

successive.

13. Sia x

xxf

−=

1

sen)( per x ≠ 1. Senza calcolare esplicitamente le derivate successive, determinare

f (5)(0).

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41

14. Sia f(x) = cos x log(1 + x) per x > −1. Senza calcolare esplicitamente le derivate successive, determinare f

(6)(x) per x = 0. Utilizzando la formula di Taylor, calcolare i seguenti limiti:

15.

+→

2

0 )1log(1

limx

xe

x

x

x 16.

220

2

sen1

limx

xe

x

x

x

17.

−−

++→ 1cosh

1

)1log(

2lim

0 xxx 18.

20

senh senlim

2log(1 ) 2x

x x

x x x→

+ + −

19.

−→ xxxx senh2

1cosh1

lim0

20. )1log(

senlim

20 xx

xx

x +

21. Posto ∫ −=

x

dttt

txF

0

3

sen)( , determinare le tre costanti a, b, c per le quali vale la formula

)()( 553 xocxbxaxxF +++= (per x → 0).

22. Posto ∫−

=

x

dtt

txG

02

1cosh)( , dimostrare che vale la formula )(

16200

7

18

2

)(

1 33 xoxx

xxG+−−= .

Utilizzare quindi tale formula per calcolare

+−

→ 18

2

)(

11lim

30

x

xxGxx.

23. Determinare il valore del parametro reale positivo α affinché

∫α

+ x

x

x

dtt

dtt

0

3

0

2

0sen

sen

lim sia finito e

diverso da zero, e calcolare il limite per tale α.

24. Determinare il valore del parametro reale positivo α affinché

( )

( )α

∫+ x

xt

x

dtt

dte

0

2

0

0

cos1

1

lim

4

sia finito e

diverso da zero, e calcolare il limite per tale α.

{Nota: Negli esercizi che seguono, potrebbe essere più conveniente utilizzare la regola di De

L'Hopital; se si desidera applicare la formula di Taylor in un caso in cui x non tende a 0, è necessario operare una traslazione, il che richiede una particolare attenzione nel caso di funzioni integrali.}

25. Posto ∫−−

=

x t

dtt

exA

0

1)( , calcolare

→ xxAx

1

)(

1lim

0.

26. Posto ∫ −−=

x

tdt

e

txA

0 1)( , calcolare

20

)1log()(lim

x

xxA

x

+−

→.

27. Posto ∫π=

xtdtexA

2

cos)( , calcolare ( )x

xAx

x π

→ 22 sen

)2(lim .

Page 42: per il corso di Analisi Matematica B. Palumbo, gennaio 2010dispense/palumbo/Formula_Taylor_2010.pdf · 2 possibile però che il grado effettivo del polinomio P n sia inferiore ad

42

28. Posto ∫ +=

x

dttxB

1

3 8)( , calcolare ( )

x

xxB

x π→ 21 sen

loglim .

29. Posto ∫ −−=

x

tdt

e

txF

0 1)( , calcolare

x

xxF

x cos1)(

lim0 −→

.

30. Posto ∫=x

dttxA0

2sen)( , calcolare )1(

)(lim

20 −→ xx ex

xA.

Risolvere i seguenti esercizi sulle serie, utilizzando opportunamente la formula di Taylor.

31. Dimostrare che la somma della serie ∑∞

=0

2

!2

k

k

k è uguale a e4.

32. Dimostrare che la somma della serie ∑∞

=

0 !5

)1(

kk

k

k è uguale a

5

1

e.

33. Dimostrare che la serie ∑∞

=+

+

+

π−

012

12

6)!12(

)1(

nn

nn

n converge alla somma

2

1.

34. Dimostrare che la somma della serie

L+⋅

−⋅

+⋅

−=⋅

−∑

=

+

4321

1

94

1

93

1

92

1

9

1

9

)1(

kk

k

k

è uguale a 9

10log .

35. Dimostrare che la somma della serie ∑∞

=0 )!2(9

k

k

k è uguale a

3

6

2

1

e

e +.

36. Dimostrare che la somma della serie ∑∞

=

+

+0

12

)!12()3(log

k

k

k è uguale a

34

.