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Pastiche versicontroversi n. 42 | 04/2015 mensile gratuito

Pastiche 42 aprile 2015

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La poesia è rock & roll!!! Tutto quello che pubblichiamo sulle pagine di Pastiche è rock & roll. Tutti noi lo siamo; morire per la poesia è la cosa più bella che possa capitarti! Augurati un giorno di morire per qualcosa di puro come la Poesia, e tutta la tua misera vita avrà avuto un senso!

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Pasticheversicontroversi n. 42 | 04/2015

mensile gratuito

La poesia è rock & roll!!! Tutto quello che pubblichiamo sulle pagine di Pastiche è rock & roll.

Tutti noi lo siamo; morire per la poesia è la cosa più bella che possa capitarti! Augurati un giorno di morire per qualcosa di puro come la Poesia, e tutta la tua misera vita avrà avuto un senso!

Pensata e redatta da Paolo Battista

www.facebook.com/pasticherivista http://issuu.com/pasticherivista

Grafica e impaginazione a cura di Eugenio Pozzilli

www.eugeniopozzilli.it www.behance.net/pozzilli www.linkedin.com/in/pozzilli

CollaboratoriChiara Fornesi

I e IV di copertinadi Fabiano Leone

Chi collabora con Pastiche lo fa senza ricevere compensi. La proprietà intellettuale resta agli autori.

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Per inviare il vostro materiale (poesie, disegni, fotografie in b/n, racconti con lunghezza da concordare, racconti per immagini) scrivete a [email protected], oppure a Paolo Battista, via Carducci 77, 83100 Avellino.

Pastiche

02

CORNO D'AFRICA di Luca Ispani

Gronda il corno riverso a terra perde sangue, linfa, vita.È ancora troppo crudo deve cuocersi bene i grandi sono pronti per la fetta migliore.

Africa mi senti? dove sono le urla di Biko?Le parole di Mandela? Soffocano forse anche loro per il sangue a fiotti?Africa urla, scalpita, in nome di un Dio qualsiasi, svegliati!

Boko Haram rapisce i bambini dai giochili riempie di esplosivo saltano in aria nei mercati, nelle piazze, nelle feste ovunque lacrime, ovunque follia omicida.

I palazzi del potere tacciono portano una pace provvisoria, dicono, ma non urlano.

L'Europa dormiente non urla L'America potente non urla Non urla L'Asia né l'Islam solo qualcuno si incazza e diventa incandescente se si parla di Allahnon si può sfottere, a malapena nominare.Con Krishna non succede con Gesù neppure

niente soldati, niente guerra per difendere i negri senza colpaniente arabeschi nelle belle capanne orlate dal nero del fumo niente di niente solo morte e fuoco.

Chissà quanti ancora taceranno, lamentandosi del superfluo i bimbi con la pancia che scoppia non possono il nemico è forte troppo troppo forte li elimina ad uno ad uno nel nome del padreindifferente assente inesistente a morte, vita e pace.

Piscia un ragazzo nero al limite della strada deserta scende una lacrima, una preghiera.

03

A love supreme di Paolo Battista

Come ti amo.Silenzio. Occhi chiusi per evitare il suo sguardo.John Coltrane in sottofondo.

Ti amo, ti amo, ti amo, mi dice.

Ma sei sicura? E chi te lo fa fare?Sei uno stronzo.

Sì, spesso, ma l’amore è anche questo: sopportare gli stronzi come me.Sei un superstronzo.

Hai ragione piccola, scusa… sono un superstronzo, più o meno come sempre!Risate. Occhi lucidi dove concentrata l’ironia spezza una lancia a mio favore.

Se mi lasci ti ammazzo, tirandomi i capelli pieni di cera lucida.

No piccola, cosa te lo fa pensare?Non lo so, ti conosco. Lo so che prima o poi ti stancherai di me.

Maa… maaa… maaa per chi mi hai preso?Per lo stronzo che amo purtroppo.

Maa… maaa… maaa magari sarai tu a lasciare me per un cantante rock biondo pieno di soldi.A me quelli biondi non sono mai piaciuti.

Però i cantanti rock si eh?Magari cantanti ma non biondi.

A me invece le bionde mi piacciono eccome.Sei un superstronzo, mordendomi il naso con il suo sorriso sconnesso.

Cazzo dovevo darmi alla musica, alzando col telecomando A Love supreme di Coltrane.

Se avessi fatto il cantante rock, mi dice, saresti stato ancora più stronzo di quello che sei.

Ho capito, va bene… sono uno stronzo!Ma sei il mio stronzo, e ti amo da morire. Vedi di non restarci, eheheheh!Risate. Labbra che si avvicinano e si mordono ancora e ancora e ancora. Il sassofono che geme.

Vieni qui piccola, dammi tutto il tuo amore.Uhhh, ahhhh, uhhhh, ahhhhh!

Ti amo anch’io piccola.………………………………………….Silenzio. Corpi appiccicati e lingue svolazzanti. L’amore è anche questo: sopportare gli stronzi come me sul divano ascoltando A Love Supreme appiccicati l’uno all’altro.

04

È tutta colpa di Saviano

“Mi voglio fa brò, è che non tocco situazione da mesi ma porcoddio oggi me ne fotto, tengo pure i sordi, partimmo…ia’…“Io guardo Mario stranito, sono mesi che non mi faccio, precisamente quindici mesi e tre giorni, ma appena lui solo accenna ai soldi e alla base lo carico in macchina e partiamo per Secondigliano.“L’ultima vota che so’ venuto era ‘no casino e pazzi“ mi dice contando banconote come un benzinaio, “ci stevino ‘uardie dappertutto, l’esercito coi mitra appostato davanti alle basi e ‘na puzza e mmerda che non se ne poteva proprio.”Dopo venti minuti siamo al casello Napoli sud, pago la tipina bionda, secca come un manico di scopa, e mi dirigo verso Scampia: direzione Forno.“‘E cose so’ cagnate qua, tenimmo l’uocchi apierti!”“Vabbuono” gli dico, e dopo aver trovato parcheggio scendiamo entrambi dall’auto e ci dirigiamo verso i portici.“È meglio che vieni pure tu, in macchina non è cosa che se passa la madama e ti vede, finisce che ti ferma! Ramm’ o telefono che chiamo o tipo…”“Marò, so’ proprio cambiate le cose qua, eh? Fino a pochi mesi fa si faceva tutto alla luce del sole, e mmò non si vere n’anima viva, manco cchiù i tuossici ci stanno.““È che ormai tenino paura, passa ‘na volante ogni poco e hann’arrestato no sacco e gente!““È tutta colpa di Saviano“ sbotto io guardandomi intorno preoccupato.Poi Mario chiama, il tipo ci dice di salire all’ultimo piano della palazzina di mezzo, scala G, che ci raggiunge subito; ma una volta dentro si fa avanti un soggetto minaccioso, con la faccia incarognita e i capelli imbrillantinati tirati all’indietro.“Chi cercat’?”“Ehhmmm veramente ammà pijà ri piezzi…”“Ehhh?“ grugnisce il tipo, “ma chi t’ha ‘itto che ccà ce sta a robba?““Linuccio… l’abbiamo chiamato e dice che dobbiamo salire“ farfuglia Marco cercando di non mostrarsi troppo indeciso.“Ahhhh…vabbuò…tutt’apposto…saji sa’…”, ma mentre c’intrufoliamo da dietro blocca prima Marco e poi me per una sorta di perquisa, “ arapr’ sta giacca compà…”“Tutt’apposto frat’mo, amma sulo pijà ‘a robba “ gli dico, “ mica simmo ‘uardie.““Vabbuò vabbuò, però saji sulo tu“ mi fa, “l’amico tuo aspetta qua.“Così mi ficco nell’ascensore e salgo all’ultimo piano. Nelle scale si sente movimento, madri che urlano, creature che frignano, porte che sbattono. Mi affaccio dalla grande finestra nelle scale e, come un mare di cemento, Scampia è tutta lì, come un museo a cielo aperto dove Le vele sono l’attrazione principale. Dopo dieci minuti arriva Linuccio, un ragazzino di sedic’anni con la barba e il cappellino da rapper.Cazzo sono proprio cambiate le cose, mi dico.“Ueeee bello tutt’apposto “ mi fa, “ l’amico tuo nun ce sta?““M’aspetta abbasci’ che c’hanno fatto storie.““Vabbuò vabbuò… ch’avè?““Rammi ri piezzi che ce ne ammo“ gli dico, e una volta ricevuto il materiale mi rificco in ascensore e torno al piano terra dove Mario se ne sta ansioso poggiato ad uno del pilastri del Forno aspettando di spalmare due belle strisce di polvere marroncina sul cd dei Verdena che stavamo ascoltando in macchina prima di venire. È tutta colpa di Saviano, mi ripeto guardandomi intorno nel parcheggio; poi saliamo in auto e schizziamo via verso l’autostrada. Per oggi ci è andata bene; niente polizia a romperci le palle; per oggi non ci possiamo lamentare!

05

- NebulosaVivo nel futurobaciata dalla spleenetica esfoliazionedi ferro e sconforto,dalle biancastre medusedi psiche e coscienzache ingoiano pensieri trasparentisempre più invisibili.Vivo nell’interstizio eternoed invalicabiletra il detto e non udito,in un affollato bistrotdi voci unilateraliche si scindononella molteplicità del silenzioe si scontranoin ingorghi di assiomi e locuste.Vivo nella verosimile possibilitàdi una combinazione di arsenicoe caffè latte al bar anonimosu Oxford High Streeteretto dai pilastri dell’alta scienza,stesa su brodaglie di liquido amnioticoregalato al fido cliente della paranoia e ai devoti del delirio.Vivo in eclissi frequentie bellezze provvisoriesfiorate da baci affilaticome lame da macello,in un cielo spiovente dove ogni stella è l’ennesima bombache esplode. Vivo sulle sponde di una sostanza vorticantee surrealee in disseminate paludi ontologichedove non sono altro chevedova di una percezione;nomade in un singhiozzo sincronizzatoche sparge cancri ed indifferenzasulla nebulosa in(de)finitadi chi ha rotto il cazzoall’esistenza.

- Profeta.Ti ho vistaincastrare aliti inappagatiin latitudini di cartilaginei aspetti,sostare sullegrottesche vanità del rimpiantoe incastonarele calve argilledei tuoi seni ammaccatinel madido cristallo delle paludiscabre e disgi(unte).Il caso straripanell’innato assedio della pulcesbaragliato da chilidi fuochi premeditati,lustri e detersigiusto per non durare.Ti ho vista allestirele tue croste apotropaiche,le tue euritmiche corti di spaventie le tue lucerne di noiagratificatadall’equinozio dei marmi;ma non preoccuparti,questa è solola moina instabilerivestita di gessodi una luna smorzata,il castello estemporaneodi un re sconfitto dall’assurdo,l’improvvisazionerugginosa e meschinadi un profeta abbozzato.

Dulcamara K. R.

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- L’aritmia della crisalide.

L’aritmia della crisalide ci avvolgein titaniche emulsioni di vuoto;s’increspano deliri stropicciatitra i calvi pensieri dell’irreparabile,annegatiin cartilaginei rancori che s’allunganocome lucidi allori sfoggiatiai funerali di un eroismo ubriaco. Una noia rapace si svestedi polverose paludi inappagatedall’entropia della coscienza;la sentenza è la rassicurantedanza dell’inutile,la bomba dolciastradel meteorico olocausto di Nessuno,la discrepanza di una mantideche ci saluta nella culla.

- Ruggine e cobalto.

Sono all’angolotra ruggini e cobalto;il salto ergonomico vezzeggia su fessuredi fanatiche dimestichezzeche guerreggiano in poitìnimbevuti di alcoliche credenze,[crack, lembi di sintomatici silenzi,e stà zitto, non ascoltare;pungola la sbornia irregolaredegli amori epilettici]escrescenze di temporali fatali, e i lamenti che graffiano immaginazione,la palude sterile della sensazionee la marmorea briciola della nostra scienzache scivola via.L’angolo si è smussatoe l’oroscopo della «retta via»si ingoia tra pillole di insicurezzasotto la coltre immobiledi sincopate ed artificialicoscienze.

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“Hands II” di Ivana Pistorozzi

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Il fast food indianodove mangio la seraè frequentatosoprattutto da poveri.

alcolizzati. contrabbandieri. venditori di souvenir assurdi.gente in fuga.

l'agnello al curry di solito me lo serve Yami.

Yami ha sedici anni.Yami è un fiore affilato dall'inferno.

Yami ha due occhi che quandoli incroci vanno subito a cercare qualcosa di grandioso eirripetibile dietro di te.

dovresti vederli gli occhi di Yami

ti smerdano sempre

sono stupefacenti

sono SPERANZA

sono il Gange a Varanasi

sono la vitaquando ancora è incontaminata.l'altra sera Yami impazziva.impazziva perché il suo ragazzo èvolato via.con un messaggio sul telefono.così.semplice.

una storia come tante altre.una storia da adolescenti.così.si dice.

intantoperò lei

Yami

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impazziva

lanciava forchette ediceva che il suo amore era nulla.

a un certo puntoquando ho finitodi mangiare mi ha chiesto dell'hashish.

le ho regalato due grammie una poesia di Ricardo Reis.

non potevo fare altroper lei.di certonon potevo darle deiconsigli.che ne so iodell'amore?

io dell'amoreconosco solo la vocedi Claudiaconficcata in mezzoalle miecostole.

di Dietrich Lassalle

quindisono andato via.

sono andato a fare quelle cosette stupidedel cazzoche tutti facciamo ogni giorno.

i clienti del fast food sembravano MORTI.lo erano.

e Yamiimpazziva.non riusciva a spiegarsigli squarci chela liturgia del doloreposavasulla sua pelle.

impazziva

ediceva che il suo amore era nulla.di nulla.così.

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“Giovanna D’arco” F. De Gregori`

La devota di Andrea Fabiani

E’ bellissima, ritta davanti a me, forte, sicura. Mi ipnotizza l’eleganza dei suoi gesti, l’armonia con cui, mentre mi parla, le sue mani disegnano dei semicerchi nell’aria; la profondità invitante dei suoi occhi neri mi rapisce, ma più di ogni altra cosa mi incantano le sue orecchie, dietro le quali ogni tanto si sistema una ciocca dei capelli neri che poi disubbidiente rifugge in avanti.Si, più di ogni altra cosa mi piacciono le sue orecchie, piccole, delicate, piene di linee ricurve, di ombre: sembrano due conchiglie. Mi piacciono così tanto che ad ogni frenata che mi proietta leggermente verso di lei devo trattenermi dall’allungare una mano e toccarle. Avrei voglia di far scivolare le dita lungo il loro profilo dedicato, sentirne la consistenza, percorrerne il contorno, davanti e dietro. Avrei voglia di tenermi alle sue orecchie, stringerne un lobo tra l’indice e il pollice, fino a sentirlo allargarsi tra i miei polpastrelli.Ma ancor più d’ogni particolare fisico, mi affascinano le sue parole, così intelligenti, precise e aderenti alle mie.Non è la solita conversazione spenta e inutile da autobus, la nostra. Nessun accenno al troppo caldo, al troppo traffico, alla troppa corruzione della classe politica, questa ragazza dalla bellezza splendente che ho appena conosciuto, Veronica, così ha detto di chiamarsi, mi parla di tutt’altro, delle contraddizioni insite nei fondamenti stessi della società capitalistica, dell’ingiustizia d’una felicità costruita sulla sofferenza altrui, della sua difficoltà di trovare un equilibrio tra la propria coscienza e la propria insopprimibile necessità di vivere ed essere giovane e felice.E di tutte queste cose Veronica mi parla senza nessuna paura. E non perché abbia capito chissà come che io la penso esattamente come lei (cosa per altro vera), ma perché, fenomeno sempre più raro, non ha nessun timore di esporre le sue idee, nessun timore che qualcuno possa giudicarla.Così mi offre esattamente quello che pensa, quello che è, senza nessuna dissimulazione. E, mentre lo fa, io mi innamoro di lei.E non centra niente il suo aspetto fisico, che pure, come ho detto, è notevolmente piacevole, se mi innamoro di lei è per la sua forza, per il senso di protezione che nonostante l’abbia conosciuta da pochi minuti riesce a farmi provare, per come starle vicino, guardarla negli occhi mentre mi guarda negli occhi, faccia sì che tutte le persone intorno a noi sembrino improvvisamente distanti.Sto assaporando tutta la pienezza di questo raro momento quando improvvisamente i suoi occhi sgusciano di lato, sul paesaggio che ci

Vorrei poterlo dire di me stesso, mi dico, che sono devoto alle mie idee, a quello in cui credo. E vorrei poterlo dire senza dubbio della persona che ho accanto.Mentre elaboro le mie conclusioni Veronica lo fa un’altra volta.STUM-STUM-STUMIl braccio meccanico scatta all’improvviso, mentre un campanile ci sfila accanto e si perde poi all’orizzonte, oltre il finestrone posteriore del mezzo pubblico.Questa volta però seguo passo passo il percorso disegnato dalla sua mano e ne apprezzo la precisione quasi chirurgica. Questa volta mi abbandono all’ammirazione del senso di sicurezza e al tempo stesso della naturalezza di un gesto che fa parte della sua stessa identità, che le appartiene così tanto che può farlo indipendentemente da qualunque altra attività stia compiendo.Benedetto sia il giorno in cui potrò dire anche io di aver fatto mia in maniera così totale un’idea. Qualunque essa sia. Probabilmente non questa, un’altra, magari su argomenti e posizioni completamente differenti, ma che importa? La capacità di farlo è quello che conta. Essere le proprie idee, questo conta.Sì, ecco che cosa vorrei, vorrei vivere con una donna che abbia il dono della devozione, non importa a cosa. Possibilmente a me, ma non è fondamentale.Sì, mi piace quello che ho visto fare a Veronica, questa meravigliosa ragazza. Mi piace chi crede in qualcosa.Mi piace la devozione.Mi avvicino di un passo, ristabilisco la distanza che avevamo all’inizio, e le sorrido. E anche lei mi sorride, smette di parlare e mi sorride, guardandomi.Sono quasi del tutto convinto di volerla sposare, quando Veronica volta leggermente la testa verso destra, offrendomi la visione celestiale della geometria del suo delizioso orecchio. Pronuncio il suo nome, facendo in modo che il suono esca dalla mia bocca e voli dritto verso di lei.Veronica ha un brivido, i muscoli del suo collo hanno un fremito, lei si volta di nuovo, mi fissa. Io voglio baciarla, qui, ora.Poi passiamo accanto a un’altra chiesa e il suo braccio scatta di nuovo – STUM, STUM, STUM – in automatico, mentre siamo occhi negli occhi.Allora faccio un altro passo indietro e mi ritrovo alla giusta distanza per capire. Capisco e faccio ancora un altro passo all’indietro e precipito nello sconforto. E smetto di guardare Veronica, perché, ora lo vedo chiaramente, mi stavo completamente sbagliando, ho commesso un terribile errore, un errore di definizione.Quella che ho appena visto non è devozione.È telepass.

scorre veloce accanto, sfocato oltre il finestrino, un paesaggio di cui io, mi rendo conto in quel momento, avevo dimenticato perfino l’esistenza. Poi il suo braccio destro ha uno scatto: inesorabile come il componente meccanico di un orologio; compie tre precisi movimenti e torna al suo posto. Mi sembra quasi di sentirne il rumore.STUM, STUM, STUM.Padre, figlio e Spirito Santo.Compie quel gesto senza smettere di parlare, come se neppure lei se ne accorgesse, come fosse un riflesso pavloviano. Io davanti a quell’azione repentina mi ritraggo. La osservo da più lontano, diffidente, capace ancora di afferrare il suono, ma non più il senso delle parole che sta pronunciando.Più della sua ormai conclamata fede cattolica, cose verso la quale, in conseguenza di un’ educazione fieramente laica, per non dire apertamente anticlericale, nutro da sempre istintiva diffidenza, quello che mi sconvolge e mi fa fare un passo indietro è l’inaspettata crepa nella cupola di perfezione che le avevo calato addosso.Qualunque altro particolare stonato (stonato dal mio punto di vista, s’intende) avrebbe probabilmente sortito lo stesso effetto.Non siamo più solo io e lei, siamo di nuovo in mezzo a tutti gli altri passeggeri del Quarantadue, siamo di nuovo parte di un mondo difettoso.Osservo ancora Veronica, come se dovessi rimetterla a fuoco, ma anche dalla nuova distanza che questo inconveniente ha messo tra noi i suoi occhi restano ipnotici, le sue mani restano perfette, le sue orecchie continuano ad essere la più dolci tra le tentazioni a cui io mi sia mai ritrovato esposto.Allora mi dico che forse è il momento di fare un passo avanti come persona e accantonare tutti i miei pregiudizi nei confronti dell’altrui spiritualità, di smetterla di farmi condizionare dagli insegnamenti dei miei genitori e iniziare finalmente a decidere da me cosa mi piace e cosa no, cosa sia bene e cosa no.In fondo, mi dico, cosa ho pensato solo pochi minuti fa? Che questa ragazza non si vergogna di mostrare le proprie idee. L’ho detto e ho detto anche che questo atteggiamento mi ha fatto innamorare di lei.Ed è così, non importa quali siano queste idee.Sono sue, le appartengono e lei non le nasconde, le mostra con naturalezza, quasi a dire: ecco, questa sono io.Questa, mi dico ancora, è devozione. Si, ecco cos’è: devozione. E non è per niente una brutta cosa, non è un difetto, anzi tutt’altro, è una qualità.

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Millworker di J. Taylor`

La devota di Andrea Fabiani

E’ bellissima, ritta davanti a me, forte, sicura. Mi ipnotizza l’eleganza dei suoi gesti, l’armonia con cui, mentre mi parla, le sue mani disegnano dei semicerchi nell’aria; la profondità invitante dei suoi occhi neri mi rapisce, ma più di ogni altra cosa mi incantano le sue orecchie, dietro le quali ogni tanto si sistema una ciocca dei capelli neri che poi disubbidiente rifugge in avanti.Si, più di ogni altra cosa mi piacciono le sue orecchie, piccole, delicate, piene di linee ricurve, di ombre: sembrano due conchiglie. Mi piacciono così tanto che ad ogni frenata che mi proietta leggermente verso di lei devo trattenermi dall’allungare una mano e toccarle. Avrei voglia di far scivolare le dita lungo il loro profilo dedicato, sentirne la consistenza, percorrerne il contorno, davanti e dietro. Avrei voglia di tenermi alle sue orecchie, stringerne un lobo tra l’indice e il pollice, fino a sentirlo allargarsi tra i miei polpastrelli.Ma ancor più d’ogni particolare fisico, mi affascinano le sue parole, così intelligenti, precise e aderenti alle mie.Non è la solita conversazione spenta e inutile da autobus, la nostra. Nessun accenno al troppo caldo, al troppo traffico, alla troppa corruzione della classe politica, questa ragazza dalla bellezza splendente che ho appena conosciuto, Veronica, così ha detto di chiamarsi, mi parla di tutt’altro, delle contraddizioni insite nei fondamenti stessi della società capitalistica, dell’ingiustizia d’una felicità costruita sulla sofferenza altrui, della sua difficoltà di trovare un equilibrio tra la propria coscienza e la propria insopprimibile necessità di vivere ed essere giovane e felice.E di tutte queste cose Veronica mi parla senza nessuna paura. E non perché abbia capito chissà come che io la penso esattamente come lei (cosa per altro vera), ma perché, fenomeno sempre più raro, non ha nessun timore di esporre le sue idee, nessun timore che qualcuno possa giudicarla.Così mi offre esattamente quello che pensa, quello che è, senza nessuna dissimulazione. E, mentre lo fa, io mi innamoro di lei.E non centra niente il suo aspetto fisico, che pure, come ho detto, è notevolmente piacevole, se mi innamoro di lei è per la sua forza, per il senso di protezione che nonostante l’abbia conosciuta da pochi minuti riesce a farmi provare, per come starle vicino, guardarla negli occhi mentre mi guarda negli occhi, faccia sì che tutte le persone intorno a noi sembrino improvvisamente distanti.Sto assaporando tutta la pienezza di questo raro momento quando improvvisamente i suoi occhi sgusciano di lato, sul paesaggio che ci

Vorrei poterlo dire di me stesso, mi dico, che sono devoto alle mie idee, a quello in cui credo. E vorrei poterlo dire senza dubbio della persona che ho accanto.Mentre elaboro le mie conclusioni Veronica lo fa un’altra volta.STUM-STUM-STUMIl braccio meccanico scatta all’improvviso, mentre un campanile ci sfila accanto e si perde poi all’orizzonte, oltre il finestrone posteriore del mezzo pubblico.Questa volta però seguo passo passo il percorso disegnato dalla sua mano e ne apprezzo la precisione quasi chirurgica. Questa volta mi abbandono all’ammirazione del senso di sicurezza e al tempo stesso della naturalezza di un gesto che fa parte della sua stessa identità, che le appartiene così tanto che può farlo indipendentemente da qualunque altra attività stia compiendo.Benedetto sia il giorno in cui potrò dire anche io di aver fatto mia in maniera così totale un’idea. Qualunque essa sia. Probabilmente non questa, un’altra, magari su argomenti e posizioni completamente differenti, ma che importa? La capacità di farlo è quello che conta. Essere le proprie idee, questo conta.Sì, ecco che cosa vorrei, vorrei vivere con una donna che abbia il dono della devozione, non importa a cosa. Possibilmente a me, ma non è fondamentale.Sì, mi piace quello che ho visto fare a Veronica, questa meravigliosa ragazza. Mi piace chi crede in qualcosa.Mi piace la devozione.Mi avvicino di un passo, ristabilisco la distanza che avevamo all’inizio, e le sorrido. E anche lei mi sorride, smette di parlare e mi sorride, guardandomi.Sono quasi del tutto convinto di volerla sposare, quando Veronica volta leggermente la testa verso destra, offrendomi la visione celestiale della geometria del suo delizioso orecchio. Pronuncio il suo nome, facendo in modo che il suono esca dalla mia bocca e voli dritto verso di lei.Veronica ha un brivido, i muscoli del suo collo hanno un fremito, lei si volta di nuovo, mi fissa. Io voglio baciarla, qui, ora.Poi passiamo accanto a un’altra chiesa e il suo braccio scatta di nuovo – STUM, STUM, STUM – in automatico, mentre siamo occhi negli occhi.Allora faccio un altro passo indietro e mi ritrovo alla giusta distanza per capire. Capisco e faccio ancora un altro passo all’indietro e precipito nello sconforto. E smetto di guardare Veronica, perché, ora lo vedo chiaramente, mi stavo completamente sbagliando, ho commesso un terribile errore, un errore di definizione.Quella che ho appena visto non è devozione.È telepass.

scorre veloce accanto, sfocato oltre il finestrino, un paesaggio di cui io, mi rendo conto in quel momento, avevo dimenticato perfino l’esistenza. Poi il suo braccio destro ha uno scatto: inesorabile come il componente meccanico di un orologio; compie tre precisi movimenti e torna al suo posto. Mi sembra quasi di sentirne il rumore.STUM, STUM, STUM.Padre, figlio e Spirito Santo.Compie quel gesto senza smettere di parlare, come se neppure lei se ne accorgesse, come fosse un riflesso pavloviano. Io davanti a quell’azione repentina mi ritraggo. La osservo da più lontano, diffidente, capace ancora di afferrare il suono, ma non più il senso delle parole che sta pronunciando.Più della sua ormai conclamata fede cattolica, cose verso la quale, in conseguenza di un’ educazione fieramente laica, per non dire apertamente anticlericale, nutro da sempre istintiva diffidenza, quello che mi sconvolge e mi fa fare un passo indietro è l’inaspettata crepa nella cupola di perfezione che le avevo calato addosso.Qualunque altro particolare stonato (stonato dal mio punto di vista, s’intende) avrebbe probabilmente sortito lo stesso effetto.Non siamo più solo io e lei, siamo di nuovo in mezzo a tutti gli altri passeggeri del Quarantadue, siamo di nuovo parte di un mondo difettoso.Osservo ancora Veronica, come se dovessi rimetterla a fuoco, ma anche dalla nuova distanza che questo inconveniente ha messo tra noi i suoi occhi restano ipnotici, le sue mani restano perfette, le sue orecchie continuano ad essere la più dolci tra le tentazioni a cui io mi sia mai ritrovato esposto.Allora mi dico che forse è il momento di fare un passo avanti come persona e accantonare tutti i miei pregiudizi nei confronti dell’altrui spiritualità, di smetterla di farmi condizionare dagli insegnamenti dei miei genitori e iniziare finalmente a decidere da me cosa mi piace e cosa no, cosa sia bene e cosa no.In fondo, mi dico, cosa ho pensato solo pochi minuti fa? Che questa ragazza non si vergogna di mostrare le proprie idee. L’ho detto e ho detto anche che questo atteggiamento mi ha fatto innamorare di lei.Ed è così, non importa quali siano queste idee.Sono sue, le appartengono e lei non le nasconde, le mostra con naturalezza, quasi a dire: ecco, questa sono io.Questa, mi dico ancora, è devozione. Si, ecco cos’è: devozione. E non è per niente una brutta cosa, non è un difetto, anzi tutt’altro, è una qualità.

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La devota di Andrea Fabiani

E’ bellissima, ritta davanti a me, forte, sicura. Mi ipnotizza l’eleganza dei suoi gesti, l’armonia con cui, mentre mi parla, le sue mani disegnano dei semicerchi nell’aria; la profondità invitante dei suoi occhi neri mi rapisce, ma più di ogni altra cosa mi incantano le sue orecchie, dietro le quali ogni tanto si sistema una ciocca dei capelli neri che poi disubbidiente rifugge in avanti.Si, più di ogni altra cosa mi piacciono le sue orecchie, piccole, delicate, piene di linee ricurve, di ombre: sembrano due conchiglie. Mi piacciono così tanto che ad ogni frenata che mi proietta leggermente verso di lei devo trattenermi dall’allungare una mano e toccarle. Avrei voglia di far scivolare le dita lungo il loro profilo dedicato, sentirne la consistenza, percorrerne il contorno, davanti e dietro. Avrei voglia di tenermi alle sue orecchie, stringerne un lobo tra l’indice e il pollice, fino a sentirlo allargarsi tra i miei polpastrelli.Ma ancor più d’ogni particolare fisico, mi affascinano le sue parole, così intelligenti, precise e aderenti alle mie.Non è la solita conversazione spenta e inutile da autobus, la nostra. Nessun accenno al troppo caldo, al troppo traffico, alla troppa corruzione della classe politica, questa ragazza dalla bellezza splendente che ho appena conosciuto, Veronica, così ha detto di chiamarsi, mi parla di tutt’altro, delle contraddizioni insite nei fondamenti stessi della società capitalistica, dell’ingiustizia d’una felicità costruita sulla sofferenza altrui, della sua difficoltà di trovare un equilibrio tra la propria coscienza e la propria insopprimibile necessità di vivere ed essere giovane e felice.E di tutte queste cose Veronica mi parla senza nessuna paura. E non perché abbia capito chissà come che io la penso esattamente come lei (cosa per altro vera), ma perché, fenomeno sempre più raro, non ha nessun timore di esporre le sue idee, nessun timore che qualcuno possa giudicarla.Così mi offre esattamente quello che pensa, quello che è, senza nessuna dissimulazione. E, mentre lo fa, io mi innamoro di lei.E non centra niente il suo aspetto fisico, che pure, come ho detto, è notevolmente piacevole, se mi innamoro di lei è per la sua forza, per il senso di protezione che nonostante l’abbia conosciuta da pochi minuti riesce a farmi provare, per come starle vicino, guardarla negli occhi mentre mi guarda negli occhi, faccia sì che tutte le persone intorno a noi sembrino improvvisamente distanti.Sto assaporando tutta la pienezza di questo raro momento quando improvvisamente i suoi occhi sgusciano di lato, sul paesaggio che ci

Vorrei poterlo dire di me stesso, mi dico, che sono devoto alle mie idee, a quello in cui credo. E vorrei poterlo dire senza dubbio della persona che ho accanto.Mentre elaboro le mie conclusioni Veronica lo fa un’altra volta.STUM-STUM-STUMIl braccio meccanico scatta all’improvviso, mentre un campanile ci sfila accanto e si perde poi all’orizzonte, oltre il finestrone posteriore del mezzo pubblico.Questa volta però seguo passo passo il percorso disegnato dalla sua mano e ne apprezzo la precisione quasi chirurgica. Questa volta mi abbandono all’ammirazione del senso di sicurezza e al tempo stesso della naturalezza di un gesto che fa parte della sua stessa identità, che le appartiene così tanto che può farlo indipendentemente da qualunque altra attività stia compiendo.Benedetto sia il giorno in cui potrò dire anche io di aver fatto mia in maniera così totale un’idea. Qualunque essa sia. Probabilmente non questa, un’altra, magari su argomenti e posizioni completamente differenti, ma che importa? La capacità di farlo è quello che conta. Essere le proprie idee, questo conta.Sì, ecco che cosa vorrei, vorrei vivere con una donna che abbia il dono della devozione, non importa a cosa. Possibilmente a me, ma non è fondamentale.Sì, mi piace quello che ho visto fare a Veronica, questa meravigliosa ragazza. Mi piace chi crede in qualcosa.Mi piace la devozione.Mi avvicino di un passo, ristabilisco la distanza che avevamo all’inizio, e le sorrido. E anche lei mi sorride, smette di parlare e mi sorride, guardandomi.Sono quasi del tutto convinto di volerla sposare, quando Veronica volta leggermente la testa verso destra, offrendomi la visione celestiale della geometria del suo delizioso orecchio. Pronuncio il suo nome, facendo in modo che il suono esca dalla mia bocca e voli dritto verso di lei.Veronica ha un brivido, i muscoli del suo collo hanno un fremito, lei si volta di nuovo, mi fissa. Io voglio baciarla, qui, ora.Poi passiamo accanto a un’altra chiesa e il suo braccio scatta di nuovo – STUM, STUM, STUM – in automatico, mentre siamo occhi negli occhi.Allora faccio un altro passo indietro e mi ritrovo alla giusta distanza per capire. Capisco e faccio ancora un altro passo all’indietro e precipito nello sconforto. E smetto di guardare Veronica, perché, ora lo vedo chiaramente, mi stavo completamente sbagliando, ho commesso un terribile errore, un errore di definizione.Quella che ho appena visto non è devozione.È telepass.

scorre veloce accanto, sfocato oltre il finestrino, un paesaggio di cui io, mi rendo conto in quel momento, avevo dimenticato perfino l’esistenza. Poi il suo braccio destro ha uno scatto: inesorabile come il componente meccanico di un orologio; compie tre precisi movimenti e torna al suo posto. Mi sembra quasi di sentirne il rumore.STUM, STUM, STUM.Padre, figlio e Spirito Santo.Compie quel gesto senza smettere di parlare, come se neppure lei se ne accorgesse, come fosse un riflesso pavloviano. Io davanti a quell’azione repentina mi ritraggo. La osservo da più lontano, diffidente, capace ancora di afferrare il suono, ma non più il senso delle parole che sta pronunciando.Più della sua ormai conclamata fede cattolica, cose verso la quale, in conseguenza di un’ educazione fieramente laica, per non dire apertamente anticlericale, nutro da sempre istintiva diffidenza, quello che mi sconvolge e mi fa fare un passo indietro è l’inaspettata crepa nella cupola di perfezione che le avevo calato addosso.Qualunque altro particolare stonato (stonato dal mio punto di vista, s’intende) avrebbe probabilmente sortito lo stesso effetto.Non siamo più solo io e lei, siamo di nuovo in mezzo a tutti gli altri passeggeri del Quarantadue, siamo di nuovo parte di un mondo difettoso.Osservo ancora Veronica, come se dovessi rimetterla a fuoco, ma anche dalla nuova distanza che questo inconveniente ha messo tra noi i suoi occhi restano ipnotici, le sue mani restano perfette, le sue orecchie continuano ad essere la più dolci tra le tentazioni a cui io mi sia mai ritrovato esposto.Allora mi dico che forse è il momento di fare un passo avanti come persona e accantonare tutti i miei pregiudizi nei confronti dell’altrui spiritualità, di smetterla di farmi condizionare dagli insegnamenti dei miei genitori e iniziare finalmente a decidere da me cosa mi piace e cosa no, cosa sia bene e cosa no.In fondo, mi dico, cosa ho pensato solo pochi minuti fa? Che questa ragazza non si vergogna di mostrare le proprie idee. L’ho detto e ho detto anche che questo atteggiamento mi ha fatto innamorare di lei.Ed è così, non importa quali siano queste idee.Sono sue, le appartengono e lei non le nasconde, le mostra con naturalezza, quasi a dire: ecco, questa sono io.Questa, mi dico ancora, è devozione. Si, ecco cos’è: devozione. E non è per niente una brutta cosa, non è un difetto, anzi tutt’altro, è una qualità.

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La devota di Andrea Fabiani

E’ bellissima, ritta davanti a me, forte, sicura. Mi ipnotizza l’eleganza dei suoi gesti, l’armonia con cui, mentre mi parla, le sue mani disegnano dei semicerchi nell’aria; la profondità invitante dei suoi occhi neri mi rapisce, ma più di ogni altra cosa mi incantano le sue orecchie, dietro le quali ogni tanto si sistema una ciocca dei capelli neri che poi disubbidiente rifugge in avanti.Si, più di ogni altra cosa mi piacciono le sue orecchie, piccole, delicate, piene di linee ricurve, di ombre: sembrano due conchiglie. Mi piacciono così tanto che ad ogni frenata che mi proietta leggermente verso di lei devo trattenermi dall’allungare una mano e toccarle. Avrei voglia di far scivolare le dita lungo il loro profilo dedicato, sentirne la consistenza, percorrerne il contorno, davanti e dietro. Avrei voglia di tenermi alle sue orecchie, stringerne un lobo tra l’indice e il pollice, fino a sentirlo allargarsi tra i miei polpastrelli.Ma ancor più d’ogni particolare fisico, mi affascinano le sue parole, così intelligenti, precise e aderenti alle mie.Non è la solita conversazione spenta e inutile da autobus, la nostra. Nessun accenno al troppo caldo, al troppo traffico, alla troppa corruzione della classe politica, questa ragazza dalla bellezza splendente che ho appena conosciuto, Veronica, così ha detto di chiamarsi, mi parla di tutt’altro, delle contraddizioni insite nei fondamenti stessi della società capitalistica, dell’ingiustizia d’una felicità costruita sulla sofferenza altrui, della sua difficoltà di trovare un equilibrio tra la propria coscienza e la propria insopprimibile necessità di vivere ed essere giovane e felice.E di tutte queste cose Veronica mi parla senza nessuna paura. E non perché abbia capito chissà come che io la penso esattamente come lei (cosa per altro vera), ma perché, fenomeno sempre più raro, non ha nessun timore di esporre le sue idee, nessun timore che qualcuno possa giudicarla.Così mi offre esattamente quello che pensa, quello che è, senza nessuna dissimulazione. E, mentre lo fa, io mi innamoro di lei.E non centra niente il suo aspetto fisico, che pure, come ho detto, è notevolmente piacevole, se mi innamoro di lei è per la sua forza, per il senso di protezione che nonostante l’abbia conosciuta da pochi minuti riesce a farmi provare, per come starle vicino, guardarla negli occhi mentre mi guarda negli occhi, faccia sì che tutte le persone intorno a noi sembrino improvvisamente distanti.Sto assaporando tutta la pienezza di questo raro momento quando improvvisamente i suoi occhi sgusciano di lato, sul paesaggio che ci

Vorrei poterlo dire di me stesso, mi dico, che sono devoto alle mie idee, a quello in cui credo. E vorrei poterlo dire senza dubbio della persona che ho accanto.Mentre elaboro le mie conclusioni Veronica lo fa un’altra volta.STUM-STUM-STUMIl braccio meccanico scatta all’improvviso, mentre un campanile ci sfila accanto e si perde poi all’orizzonte, oltre il finestrone posteriore del mezzo pubblico.Questa volta però seguo passo passo il percorso disegnato dalla sua mano e ne apprezzo la precisione quasi chirurgica. Questa volta mi abbandono all’ammirazione del senso di sicurezza e al tempo stesso della naturalezza di un gesto che fa parte della sua stessa identità, che le appartiene così tanto che può farlo indipendentemente da qualunque altra attività stia compiendo.Benedetto sia il giorno in cui potrò dire anche io di aver fatto mia in maniera così totale un’idea. Qualunque essa sia. Probabilmente non questa, un’altra, magari su argomenti e posizioni completamente differenti, ma che importa? La capacità di farlo è quello che conta. Essere le proprie idee, questo conta.Sì, ecco che cosa vorrei, vorrei vivere con una donna che abbia il dono della devozione, non importa a cosa. Possibilmente a me, ma non è fondamentale.Sì, mi piace quello che ho visto fare a Veronica, questa meravigliosa ragazza. Mi piace chi crede in qualcosa.Mi piace la devozione.Mi avvicino di un passo, ristabilisco la distanza che avevamo all’inizio, e le sorrido. E anche lei mi sorride, smette di parlare e mi sorride, guardandomi.Sono quasi del tutto convinto di volerla sposare, quando Veronica volta leggermente la testa verso destra, offrendomi la visione celestiale della geometria del suo delizioso orecchio. Pronuncio il suo nome, facendo in modo che il suono esca dalla mia bocca e voli dritto verso di lei.Veronica ha un brivido, i muscoli del suo collo hanno un fremito, lei si volta di nuovo, mi fissa. Io voglio baciarla, qui, ora.Poi passiamo accanto a un’altra chiesa e il suo braccio scatta di nuovo – STUM, STUM, STUM – in automatico, mentre siamo occhi negli occhi.Allora faccio un altro passo indietro e mi ritrovo alla giusta distanza per capire. Capisco e faccio ancora un altro passo all’indietro e precipito nello sconforto. E smetto di guardare Veronica, perché, ora lo vedo chiaramente, mi stavo completamente sbagliando, ho commesso un terribile errore, un errore di definizione.Quella che ho appena visto non è devozione.È telepass.

scorre veloce accanto, sfocato oltre il finestrino, un paesaggio di cui io, mi rendo conto in quel momento, avevo dimenticato perfino l’esistenza. Poi il suo braccio destro ha uno scatto: inesorabile come il componente meccanico di un orologio; compie tre precisi movimenti e torna al suo posto. Mi sembra quasi di sentirne il rumore.STUM, STUM, STUM.Padre, figlio e Spirito Santo.Compie quel gesto senza smettere di parlare, come se neppure lei se ne accorgesse, come fosse un riflesso pavloviano. Io davanti a quell’azione repentina mi ritraggo. La osservo da più lontano, diffidente, capace ancora di afferrare il suono, ma non più il senso delle parole che sta pronunciando.Più della sua ormai conclamata fede cattolica, cose verso la quale, in conseguenza di un’ educazione fieramente laica, per non dire apertamente anticlericale, nutro da sempre istintiva diffidenza, quello che mi sconvolge e mi fa fare un passo indietro è l’inaspettata crepa nella cupola di perfezione che le avevo calato addosso.Qualunque altro particolare stonato (stonato dal mio punto di vista, s’intende) avrebbe probabilmente sortito lo stesso effetto.Non siamo più solo io e lei, siamo di nuovo in mezzo a tutti gli altri passeggeri del Quarantadue, siamo di nuovo parte di un mondo difettoso.Osservo ancora Veronica, come se dovessi rimetterla a fuoco, ma anche dalla nuova distanza che questo inconveniente ha messo tra noi i suoi occhi restano ipnotici, le sue mani restano perfette, le sue orecchie continuano ad essere la più dolci tra le tentazioni a cui io mi sia mai ritrovato esposto.Allora mi dico che forse è il momento di fare un passo avanti come persona e accantonare tutti i miei pregiudizi nei confronti dell’altrui spiritualità, di smetterla di farmi condizionare dagli insegnamenti dei miei genitori e iniziare finalmente a decidere da me cosa mi piace e cosa no, cosa sia bene e cosa no.In fondo, mi dico, cosa ho pensato solo pochi minuti fa? Che questa ragazza non si vergogna di mostrare le proprie idee. L’ho detto e ho detto anche che questo atteggiamento mi ha fatto innamorare di lei.Ed è così, non importa quali siano queste idee.Sono sue, le appartengono e lei non le nasconde, le mostra con naturalezza, quasi a dire: ecco, questa sono io.Questa, mi dico ancora, è devozione. Si, ecco cos’è: devozione. E non è per niente una brutta cosa, non è un difetto, anzi tutt’altro, è una qualità.

Schiacciati:Schiacciatidalla pressa di un formatda una storia OGMdetta in serie tvda un'immobile mobilitàsantità dei governi fabbricabombealito fresco, mani sporchepettinano bambole di Dexterelisir di lunga vitasu scala industrialeproduzione di stimoli a comando vocalepromozione di stimoli al centro commercialeapparente morteapparentemente sorteindirettamente pilotata il più delle volte.Schiacciatidalle file di ombrellonile nevrosii condizionatorila tendinite da testierail cancro nei polmonilavoravo anche per 12 oree poi donne scomposteuna ogni tre giornisul tavolo del professore.Pasticche per la testae pasticche per lo stomacopasticche per la festae pasticche per il vomitopasticche per la siestae pasticche per il coito.Schiacciati come pasticche in laboratorio

Scariche:Sono scariche di gasmitragliatrici del nerosono stantuffi e imbottigliamentie sfiaticolori opachi sotto le lame rotantiin fila per il tuffoin fila per la risalitatutti stipaticodice e sottocodiceferraglia negli appartamentiruggine dagli occhi vitreisui divania riposo meritatooliati e ingrassatisecchi e mangiatipronti e sfinitiper il mattino dopo.

di valerio piga

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