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Origini della lingua italiana Istituto Comprensivo di Ronco Scrivia Scuola secondaria di 1°grado “G.Pascoli” a. s. 2010/11 Classe 2B Docente: Perla Ferrari Diapositiv a

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Origini della lingua italiana

Istituto Comprensivo di Ronco Scrivia Scuola secondaria di 1°grado

“G.Pascoli”

a. s. 2010/11

Classe 2B

Docente: Perla FerrariDiapositiva

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Lingua ed evoluzione La lingua parlata da un popolo è un sistema dinamico che muta in continuazione.

La lingua che si parla in un determinato momento storico è il risultato di un insieme di componenti aventi origine diversa, e tra

queste componenti ha una notevole importanza le migrazioni dei popoli che spostandosi da un territorio ad un altro portano nel luogo in cui si insediano una nuova lingua.

In Italia già dal III millennio a. C possiamo notare la presenza di Etruschi,liguri e Piceni, queste popolazioni sono originarie della famiglia linguistica mediterranea;

dal 1500 a.C. avviene che anche l’Italia è interessata dal movimento migratorio dei popoli INDOEUROPEI e ciò influenzerà l’origine della lingua italiana.

Questa ondata migratoria vede come protagonisti i Veneti, i Latini, gli Illiri, i Celti e gli Osco – Umbri.

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Popoli presenti in Italia

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Il nome italia Il nome Italia indicava nel 600 a.C. solo il territorio dell’odierna Calabria (deriva dal nome di una tribù di Oschi, gli Itali), furono i Greci per primi, dato che ebbero contatti con quel popolo, a chiamare Italia quel territorio, e poi, per estensione, venne chiamata Italia tutta la penisola.

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Formazione della lingua latina

La lingua italiana deriva alcuni vocaboli dalla famiglia linguistica originaria dei Mediterranei, e altri vocaboli dalla famiglia indoeuropea.

La presenza di alcuni vocaboli derivanti dalla famiglia linguistica presente nei territori, e di altri derivanti dalla famiglia linguistica portata dai nuovi arrivati non è casuale, gli studiosi infatti, hanno scoperto che quando due popolazioni vengono in contatto, e quindi vi è mescolanza delle lingue, nella formazione linguistica che ne deriva i vocaboli hanno solitamente questa diversa origine:

dal popolo residente derivano i vocaboli che fanno riferimento al territorio e agli elementi del territorio (ad esempio alla nozione di riparo, ai rilievi del terreno, alle varietà di piante e di frutti, agli animali);

dal popolo nuovo arrivato derivano quei vocaboli che fanno riferimento a nozioni elementari (ad esempio i numeri, le quantità, le misure), essendo concetti astratti, e quindi diffusi presso tutti i popoli, non vengono modificati dai popoli nuovi arrivati.

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Stirpi Proprio da una delle tribù indoeuropee meno numerose, quella che occupava inizialmente solo la pianura a sud del fiume Tevere, ebbe origine il popolo dei Latini5, popolo destinato a dar forma al più grande regno dell’antichità.

Nel periodo in cui il popolo dei latini fondava la città di Roma (Roma per tradizione è stata fondata il 753 a.C.) in Italia erano presenti popoli di tre stirpi:

gli antichi Mediterranei (Reti, Liguri, Piceni, Etruschi, Sardi, Sicani) gli Indoeuropei (Celti, Veneti, Osco-Umbri, Latini, Musoni, Siculi, Jàpigi,

Messapi) I Semiti (Punici provenienti da Cartagine)

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La lingua latina Per il formarsi della lingua latina dobbiamo pensare che la lingua dei primi abitanti di Roma era una lingua già molto modificata dai contatti con le altre lingue, man mano che i Romani estendevano il loro dominio su territori limitrofi se da un lato imponevano la loro lingua dall’altro subivano un’influenza culturale dai popoli conquistati.

Le parole ricevute da altre popolazioni e passate nella lingua latina hanno avuto la possibilità, grazie alla estensione dell’impero romano, di diffondersi in tutto il mondo.

Per comprendere il successo, inteso come diffusione, che ebbe la lingua latina nell’antichità dobbiamo ricordare che i Romani in soli cinque secoli, dal 390 a.C. al 117 d.C., conquistarono un territorio immenso che si estendeva dal Mare del Nord ai confini del Sahara, dall’Oceano Atlantico alla Mesopotamia, fu il più vasto, il più ricco e più popolato impero dell’antichità, 80 milioni di abitanti. Ebbene la lingua usata per comunicare tra popoli così diversi era il latino,metà della popolazione che si trovava all’interno dell’impero romano (quindi circa 40 milioni di persone) parlava latino, nessuna lingua nell’antichità aveva mai avuto tanta diffusione.

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Espansione dei romani

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Il latino degli scrittori e il latino del popolo

A quel punto il latino assunse due vesti distinte:1- il latino classico, quello degli scrittori che si studiano ancora a scuola;2 - il latino parlato usato dal popolo;

Il latino classico aveva delle regole rigide, non modificabili, mentre il latino parlato o “volgare” (vulgus = popolo) subendo le influenze delle varie popolazioni si trasformava in continuazione e proprio questo tipo di latino fu quello che diede origine alle lingue neolatine e quindi alla lingua italiana.

Dobbiamo ricordare che le popolazioni ed i soldati romani avevano una scarsissima istruzione e ben difficilmente conoscevano la lingua degli scrittori; in genere la loro era una cultura essenzialmente orale.

Nell’immenso impero romano ben raramente si parlava il latino classico, perché generalmente le popolazioni utilizzavano gli idiomi locali.

Per diffondere il Cristianesimo era più semplice usare la lingua volgare, il latino parlato, che non il latino classico se si voleva arrivare alla gente.

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Le lingue neolatine Con la deposizione dell’imperatore Romolo Augustolo nel 476 d.C e l’arrivo dei Barbari in alcuni territori il latino scomparve del tutto, mentre dove era stato più radicato: Spagna, Francia, Portogallo, Romania si formarono le lingue neolatine o romanze (derivate dai romani).

http://www.italica.rai.it/principali/lingua/bruni/mappe/flash/neolatine.htm

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Le trasformazioni Il processo di trasformazione fu lungo e complesso, e già intorno all’800 d. C. si aveva la consapevolezza della diversità delle varie lingue parlate dai popoli. Gli storici fissano con il Giuramento di Strasburgo nell’842 la nascita delle lingue volgari perché in quell’anno i re Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo, nipoti di Carlo Magno, strinsero un’alleanza per spartirsi l’Impero carolingio. Poiché le rispettive popolazioni parlavano ormai lingue diverse, i due re giurarono davanti agli eserciti schierati ciascuno nella lingua dell’altro e poi nella propria lingua affinché tutti potessero esser testimoni e comprendere i termini dell’accordo.

Ma il latino non scomparve perché continuò ad essere usato dai dotti e dai letterati, rimase come lingua internazionale delle cancellerie dei monarchi e dell’Imperatore e, soprattutto, continuò ad essere la lingua ufficiale della Chiesa che, in quanto universale, aveva bisogno di una lingua universalmente compresa. Però anch’essa comprese che non era più possibile operare in latino la catechesi dei fedeli, che non comprendevano più questa lingua ed allora il Concilio di Tours nell’813 stabilì che almeno l’omelia fosse pronunciata nella lingua parlata dal popolo affinché tutti potessero comprendere quanto veniva insegnato dal pulpito.

Il latino usato dalla Chiesa non era però quello classico, di Cicerone e Virgilio, perché anch’esso aveva subito contaminazioni lessicali dal latino volgare della decadenza ed era stato talora trasformato dagli stessi uomini di Chiesa per adattare parole e concetti all’interpretazione della nuova fede cristiana.

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Primi documenti in volgare

Se pareba boves, alba pratalia araba,albo versorio teneba, et [?] negro semen seminaba.Gratias tibi agimus onnipotens sempiterne Deus.

Spingeva davanti a sé i buoi, un bianco campo arava,teneva un bianco aratro, e un seme nero seminava.Ti rendiamo grazie in eterno dio onnipotente

La soluzione dell'indovinello è evidente: un amanuense, un copista spinge avanti le dita e scrive su un foglio bianco, tenendo una penna d'oca che versa inchiostro nero.

Scoperto nel 1924 da Luigi Schiaparelli alla Biblioteca Capitolare di Verona, l’indovinello ha ispirato numerose trascrizioni, decifrazioni, interpretazioni.

La novità dell’Indovinello veronese sta nel suo singolare linguaggio, nell’inserimento, su una base latina, di elementi volgari sentiti già diversi dal latino stesso

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Catacomba di Commodilla

Al secolo IX risale un’iscrizione in una cappella dedicata al culto di Felice e Adautto, della catacomba romana di Commodilla, che contiene un breve avvertimento in volgare a proposito di un rito liturgico.

Non dicere ille secrita a bbo ce » (Testo originale in volgare)

« Non pronunciare le segrete a voce (alta) » (Traduzione in italiano corrente)

Le segrete sono delle preghiere del rito liturgico importato dalla Francia. Questa iscrizione ricordava al celebrante di non recitare a voce alta quelle preghiere della messa, dette secrete, i cosiddetti mysteria secondo la formula greco-latina, che secondo la liturgia devono essere pronunciate a bassa voce in quanto parole sacre dirette esclusivamente a Dio e non all'assemblea.

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Placito capuano Ma il primo vero documento ufficiale della lingua italiana è il placito capuano, una formula di testimonianza inserita in un documento del 960, in cui il giudice di Capua, Arechisi, riconosce all’abbazia di Montecassino, in seguito ad un accordo tra le parti, il diritto di proprietà su alcune terre occupate dai vicini laici:

“Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti“

“So che quelle terre, entro quei confini di cui si parla, li ha posseduti per trent’anni l’abbazia di San Benedetto”

In questa formula al volgare dell’area centro-meridionale longobardica si sovrappongono schemi del linguaggio giuridico e notarile; più in particolare si tratta di una traduzione di formule latine solitamente impiegate negli atti di transazione, probabilmente già diffusa nell’uso orale.

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La letteratura religiosa

I primi testi della letteratura italiana sono di carattere religioso perché la Chiesa è stato l’unico punto di riferimento stabile nei secoli delle invasioni barbariche.

Solo gli ecclesiasti sapevano leggere e scrivere e solo nelle abbazie veniva mantenuta una continuità con la cultura antica.

Venivano copiati a mano i manoscritti su pergamena o carta ornandoli di preziosi disegni in miniatura (dal latino colore rosso – arancio, usato per le iniziali), si creavano biblioteche e scuole per i chierici

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I monaci amanuensi

Esecuzione di una miniaturaVengono tracciate le righe per la scrittura

La rifilatura dei fogliscelta delle pergamene da parte del monaco amanuense

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La poesia del ‘200

Religiosa (S.Francesco; Jacopone da Todi)

Cortese (Guido Cavalcanti)

Lirica (scuola siciliana)

Comico realista (Cecco Angiolieri)

Nel duecento la poesia non fu solo religiosa, ma verso la metà del secolo, si sviluppò anche una letteratura profana, che utilizza sempre la poesia, come suo mezzo d’espressione,ma spazia dagli argomenti legati alla vita quotidiana a quelli più solenni come l’amore o gli ideali politici.

La poesia può essere suddivisa in:

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Il cantico delle creature

Nei secoli successivi le condizioni economiche e politiche dell’Italia migliorarono sempre più.

Si svilupparono in ogni regione attività nuove e si avvertì sempre di più la necessità di usare una lingua scritta più semplice, comprensibile anche a quanti non avevano studiato il latino

Le opere dotte e di carattere scientifico si scrivevano ancora in latino, mentre i contratti commerciali, alcune leggi, i canti religiosi (si pensi al Cantico delle creature scritto in umbro da san Francesco)

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Jacopone da TodiDonna de Paradiso, lo tuo figliolo è presoIesù Cristo beato.Accurre, donna e videche la gente l'allide;credo che lo s'osside,tanto l'ò flagellato"."Como essere porria,che non fece follia,Cristo, la spene mia,om l'avesse pigliato?"."Madonna, ello è traduto,Iuda sì ll'à venduto;trenta denar' n'à auto, fatto n'à gra mercato"."Soccurri, Madalena,ionta m'è adosso piena!Cristo figlio se mena,como è annunziato". "Soccurre, donna, adiuta,cà 'l tuo figlio se sputae la gente lo muta;òlo dato a Pilato”…

Donna de paradiso

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La scuola poetica sicilianA

La scuola poetica siciliana è la prima forma di letteratura laica in Italia. Suo promotore fu l'Imperatore Federico II di Svevia. Questa scuola vide il suo apice tra il 1230 e il 1250. Nasce come una poesia di corte, infatti autori dei più noti sonetti sono lo stesso Federico II e membri della sua corte quali il suo logoteta Pier delle Vigne, Re Enzo, figlio di Federico, Rinaldo D’Aquino Jacopo da Lentini funzionario della curia imperiale, Stefano protonotaro da Messina, ecc. La lingua usata era il siciliano.

Tale esercizio letterario fu voluto dallo Svevo per amore verso la poesia o, per intento più alto, per unificare linguisticamente il suo regno nel sud dell'Italia.

Si tratta di una poesia estremamente raffinata

Si rinuncia all’accompagnamento musicale: ciò comporta una natura più spiccatamente letteraria dei testi, che nascono per essere letti e non recitati.

Alle forme metriche tradizionali, la scuola siciliana aggiunge una forma originale: il SONETTO

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Il sonetto La parola sonet esisteva già in Provenzale con il significato generico di “componimento poetico accompagnato dalla musica”.

In Italia viene ad indicare una determinata forma metrica inventata forse da Iacopo da Lentini

Deriva forse da una stanza (strofa) di canzone Consta di 14 endecasillabi, suddivisi in quattro strofe, due quartine e due

terzine. Lo schema delle rime è vario Al sonetto si adattano i più diversi argomenti

Nella Scuola poetica siciliana vi è un argomento unico: l’ AMORE.L’amore cantato è quello cortese

Gli originali delle liriche della scuola poetica siciliana sono andati dispersi, ed a noi sono giunte solo le versioni del Trecento, fatte dei trascrittori toscani, per cui non si può escludere che siano state leggermente modificate ed "italianizzate".

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Poesia comico realistica

Nel ' 200, accanto agli Stilnovisti, fiorì in Toscana una corrente poetica di carattere popolareggiante che si compiacque di descrivere gli aspetti più consueti della realtà riflettendo la vita di ogni giorno e i sentimenti nella loro schietta immediatezza, talora brutalità, in netto contrasto con la raffinatezza propria del Dolce Stil Novo.

La vita comunale, le consuetudini giocose delle " allegre brigate", le liti, le rappacificazioni tra innamorati, il vizio della gola e del gioco, insomma la vita così com'è, si manifesta nei poeti cosiddetti realistici.

Essi sono un esempio di poesia popolaresca, dal linguaggio grossolano che devono divertire molto il popolo frequentatore di osterie e taverne. Di questa vena poetica beffarda il più famoso fu CECCO ANGIOLIERI.

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Cecco Angiolieri Cecco Angiolieri nasce a Siena attorno al 1260, da una ricca famiglia di banchieri; si hanno poche notizie sulla sua vita, che comunque fu piuttosto movimentata e violenta.

Uomo frivolo e spensierato, disordinato e dissipatore, ebbe come ideale di vita tre cose solamente, la donna, la taverna e il dado (sono parole dello stesso Angiolieri); tuttavia ci ha lasciato un ricco canzoniere, dal quale risalta moltissimo anche il suo romanticismo di vita nell'amore per una Becchina, figlia di un cuoiaio.

Nelle sue rime frequente è il motivo dell'odio verso i suoi genitori, velato da un profondo senso di malinconia.

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Poesia Lirica Nella seconda metà del Duecento, con la fine della potenza sveva in Sicilia, il centro della poesia lirica si sposta in Toscana dove è in pieno splendore la civiltà comunale.

Alla fine del duecento si assiste alla nascita si un movimento poetico di notevole rilievo: il Dolce Stil Novo. E’ un nuovo modo di scrivere poesie d’amore, e viene definito “dolce” perché la lingua usata è chiara, melodiosa ed elegante.

L’amore è un sentimento spirituale. Elevato e puro che può nascere soltanto in un cuore gentile. La donna amata si trasforma in una figura quasi soprannaturale, una donna-angelo capace di elevare l’uomo fino a Dio.

I principali rappresentanti sono Dante Alighieri e Guido Cavalcanti

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La prosa del duecento Nel duecento iniziarono a circolare in Italia i romanzi e i racconti cavallereschi che si rifaranno al ciclo carolingio e a quello bretone.

Diffusissime sono anche le novelle, brevi racconti d’ispirazione popolare, ricchi di umorismo e riferimenti alla vita quotidiana (Il Novellino).

Verso la fine del duecento viene scritto un importantissimo libro di viaggi: “Il Milione” di Marco Polo

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SitografiaBibliografia

http://www.italica.rai.it/principali/lingua/bruni/mappe/flash/neolatinewww.pubblicascuola.itwww.lastoria.noiblogger.com/i-primi-documenti-del-volgare-italiano

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Tancredi/Bugiano/Noja Italiano antologia “Vele” Letteratura – garzanti

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www.silab.it/frox/200/index.

www.digilander.libero.it/bepi/biblio3a/indice3. (Lettura del Milione)

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www.balbruno.altervista.org/index-200.

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