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Originalveröffentlichung in: Macioce, Stefania ; De Pascale, Enrico (Hrsgg.): La musica al tempo di Caravaggio. [Convegno Internazionale di Studi La Musica al Tempo di Caravaggio, Milano, Biblioteca Ambrosiana, 29 settembre 2010]. Roma 2012, S. 29-39

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Originalveröffentlichung in: Macioce, Stefania ; De Pascale, Enrico (Hrsgg.): La musica al tempo di Caravaggio. [Convegno Internazionale di Studi La Musica al Tempo di Caravaggio, Milano, Biblioteca Ambrosiana, 29 settembre 2010]. Roma 2012, S. 29-39

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Caravaggio dilettante di musica?

Sybille Ebert-Schifferer

Nell inventario delle cose presenti nella casa di Caravaggio redatto il 26 ago- sto 1605 si trovano anche «una quitarra, una violina». Chi nel 1993 pub- blicava il documento riteneva per certo che il Merisi suonasse la chitarra e per probabile che suonasse anche il violino. Anche Maurizio Marini, che nello stesso anno assieme a Sandro Corradini rendeva noto tale documen- to, pensava che tali strumenti non fossero serviti esclusivamente come mo- delli di natura morta, visti gli interessi musicali del pittore.1 Comunque,1 eventuale pratica musicale di Caravaggio non ha particolarmente interes- sato gli studiosi e molti autori ritengono che quegli strumenti in casa sua los-

sero modelli di studio.Infatti, è già stato giustamente notato come in nessuno dei suoi quadri com- paia una chitarra.2 Va però detto che quella presente nella casa del Merisi non era una chitarra: infatti, quando non viene specificato alla spagnuola , la pa- tola chitarra nelle fonti dell’epoca designa un piccolo liuto a cinque corde doppie.3 Inoltre sappiamo anche come gli strumenti musicali dipinti dal Merisi corrispondessero spesso a precisi esemplari di proprietà dei suoi com- mittenti, collezionisti di musica come il cardinal Del Monte e Vincenzo Giustiniani. È quindi probabile che nelle sue opere non vi compaiano quel- li — eventuali — personali. L’unico quadro che contiene uno strumento mu- sicale (un violino), non destinato a questi due importanti personaggi, è il Riposo durante la fuga in Egitto (Tav. 4), eseguito nel 1594 per Gerolamo Vittrice, cognato di Prospero Orsi.4 Anche in casa Vittrice si (aceva musica (e quindi vi dovevano essere anche degli spartiti), come sappiamo dall in- ventario del 1612, nel quale si elenca un «clavicembalo longo dipinto usa- to».s Anche Prospero Orsi, alla sua morte nel 1630, ne lasciava uno. 11 pur non ricchissimo Lorenzo Carli, presso il quale il Merisi ebbe una delle sue prime esperienze professionali a Roma, lasciò una «chitarra alla spagnola» (dunque, una chitarra),7 mentre Paul Bril suonava il liuto (Fig. 1). Nel 1529, in casa dello zio di Gerolamo Vittrice, Pietro, fu rappresentato il dramma Tobia in presenza dei cardinali Medici, Borromeo, Salviati e Aldo- brandini, i cui attori furono giovani oratoriani., E nel carnevale del 1608, i Mittrice recitarono in una commedia nel palazzo di Giuseppe Cesari. Già prima di andare ad abitare con il Del Monte, quindi, il Merisi fu a stretto contatto con la pratica musicale e teatrale, a meno di non voler considerare che lo fosse già durante la sua educazione giovanile a Milano e a Caravag- 8ÌQ. G è un evento, in particolare, che ha spinto a credere che Caravaggio suonasse sicuramente la “chitarra” (e cioè il liuto): è la serenata diffamante cantata nella notte del 30 agosto 1605 quando, dopo aver distrutto le gelo-

Nella pagina precedente Fig. 1, Paul Bril, Autoritratto con liuto, 1595-1600, olio su tela,71 x 78 cm, Providence (RI), School of Art and Design Museum.

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sie della finestra della sua ex-affittuaria, «è repassato assieme con certi altri sonondo una chitarra».11 A ben considerare, però, questa affermazione non garantisce che fosse effettivamente il Merisi, tra i «certi altri» presenti, a suo- narla. A Roma, il far baie, specie ingiuriose, era un rituale ben preciso, con- sistente generalmente nel tirare sassi contro le aperture di una casa, nel cantare versi insultanti accompagnati da musica strumentale, quasi sempre per vendicarsi di una offesa o di una perdita economica.12 Alla luce di quan- to già detto e tenendo conto della vasta cultura musicale dell’epoca, di cui tratterò più avanti, possiamo comunque quasi certamente ritenere che sia stato il Merisi a suonare il liuto. Solo che, in tal caso dovremmo chiederci quale liuto, essendo il suo, all’accadere di quei fatti, sotto sequestro insieme agli altri suoi beni di vicolo San Biagio.Occorre tenere presente come suonare uno strumento (come tra l’altro il poe- tare) fosse una pratica diffusa anche nei ceti medi. Quanto fosse comune lo di- mostra il fatto che pure l’awersario del Merisi, Ranuccio Tomassoni, certo non noto per la sua cultura, suonasse il liuto: «stavo alla fenestra di casa mia sonando il liuto».13 Tenendo presente quanto fosse usuale che i pittori si scam- biassero e prestassero reciprocamente oggetd varii da utilizzare per modello, sembrerebbe strano che Caravaggio abbia sostenuto una spesa non indiffe- rente per acquistare due strumenti solo a tale scopo, non avendoli poi, peral- tro, mai dipinti. Dobbiamo perciò domandarci quale poteva essere il repertorio accessibile a musici dilettanti come Carli, Bril, Tomassoni o Caravaggio.Per rispondere a questa domanda è utilissimo Vincenzo Giustiniani, autore di un breve Discorso sopra la Musica (1628 ca.) che ci dà indicazioni prezio- se sulla vita musicale a Roma alla fìne del Cinquecento. Egli ripercorre con precisione i momenti salienti dell’emergere di nuovi stili, ricordando per ciascuno il nome dei massimi esponenti come anche le loro specialità, con una competenza tale da reggere il confronto con quanto sa la moderna mu- sicologia. Gli studi hanno già parzialmente indagato il Discorso: nel 1989 Franca Trinchieri Camiz lo ha utilizzato per una lettura di taglio iconografi- co, mentre Irene Baldriga lo ha messo in relazione all’Amor vincitore (Tav. 5). Vale comunque la pena di riconsiderarlo alla luce delle riflessioni dei musi- cologi che occorre mettere in relazione con la rete sociale di Caravaggio.14 Giustiniani ricorda numerose serate musicali trascorse alla presenza dei cardi- nali Del Monte, di Pietro Aldobrandini e del Montalto, sottolineando come quest’ultimo cantasse accompagnandosi col clavicembalo e come tenesse ec- cellenti musici nel suo palazzo.15 Di quei momenti rimpiange l’arte del liuto che, quando scrive, aveva ceduto il passo alla tiorba, più facile da suonare16 e si rammarica della scomparsa della pratica amatoriale. Infatti, «Nel presente cor- so dell’età nostra, la musica non è molto in uso, a Roma, non essendo eserci- tata da gentil uomini, né si suole cantare a più voci al libro, come per gl’anni a dietro», essendo oramai eseguita da professionisti.17 Giustiniani prosegue inol- tre osservando, cosa interessante, che lo stile recitativo oramai prevalente — sia- mo nel 1628 - «già era solito nelle rappresentazioni cantate dalle donne di Roma», passo che comprova, tra l’altro, come nella Roma di fìne Cinquecen- to non fosse affatto vietato alle donne di prodursi in rappresentazioni musica- li (altro che su scene teatrali).18 L’«Ippolita napoletana» che egli loda è Ippolita Recupito, una delle quattro più celebri cantatrici dell’epoca.19 Nel 1604 la can-

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tante entrò a far parte della famiglia del cardinale Montalto insieme al marito, il compositore Cesare Marotta, e fu grazie al suo talento se i due fiirono i mu- sici meglio pagati del cardinale.20 Qualche anno prima, nel 1601-1602, si era esibita per il cardinale Montalto anche un’altra famosa soprano e liutista men- zionata da Giustiniani, Vittoria Archilei, che a Roma aveva già cantato per Fi- lippo Neri nell’inverno del 1593-1594, interrompendo cosi la sua carriera fiorentina awiata grazie a Emilio de’ Cavalieri. Viceversa nel 1608, per il ma- trimonio di Cosimo II de’ Medici a Firenze, fu il cardinale Montalto a offrire la sua Ippolita al suo protettore mediceo, consentendo così che le due prime- donne si esibissero insieme. Secondo il giudizio di Michelangelo Buonarroti il Giovane, come di altri, Ippolita prevalse per le sue qualità vocali, mentre 1 Ar- chilei eccelse in espressione — una difficile scelta tra una I ebaldi e una Callas.'1 Giustiniani attribuisce a donne come Ippolita un repertorio monodico già in uso prima della famosa monodia fiorentina e riassume brevemente lo svi- luppo della storia musicale del suo tempo. Scrive che nella sua fanciullezza, quando suo padre lo aveva mandato alla scuola di musica

per cantare con una voce sola sopra alcuno stromento prevalesse il gusto del- le Villanelle Napoletane, ad intitazione delle quali si componevano anche in Ronta [...] In poco progresso di tempo s alterò il gusto della musica e comparver le composizioni di Luca Marenzio e di Ruggero Giovannelli, con invenzione di nuovo diletto;22

poi cita nuove musiche per una voce sola, tra 1 altro di Giulio Cesare Bran- cacci e Alessandro Merlo «che cantavano un basso nella larghezza dello spa- zio di 22 voci».23 E naturalmente non manca di ricordare le nuove musiche fiorentine. È fondamentale il fatto che registri una tendenza verso la mono- dia a Roma già prima degli eventi fìorentini — cita infatti 1 aria Romanesca co- tne «singolare e riputata bellissima»24 — e che descriva la convivenza, intorno al 1600, di monodia e polifonia come pratica di esecuzione anche per brani piu antichi. Effettivamente, Giulio Caccini, con le sue Nuove musiche del 1602, non faceva altro che riassumere e sanzionare pratiche monodiche già in uso, mentre a Roma fioriva, alla fine del Cinquecento, una prassi mono- dica fortemente basata, come giustamente ricordato da Giustiniani, sulla vil- lanella napoletana, strettamente legata alla musica popolare (vedi infra). II passaggio dalla strada al palazzo si manifesta, nel corso del Cinquecento, con composizioni a stampa che fìssano ciò che prima apparteneva alla prassi del- 1 improwisazione e alla decisione del cantanteN II risultato di tutto ciò e, proprio alla fine del secolo, una enorme produzione di brani relativamente semplici per voce sola, che a loro volta vennero riadattati nella quotidiana musica da strada.26 Protagonisti ne furono proprio i compositori che il Cuu- stiniani elenca a seguire, magari sotto pseudonimo (vedi injrd). Gli stessi fu- tono profondamente coinvolti anche nella produzione di musica spirituale, favorendo cosi un’oscillazione continua tra sacro e profano che si manifesta soprattutto nell’ambito del madrigale e delle laudi, che, con un semplice cam- fi'o di parole, da amorosi potevano diventare spirituali e viceversa." Questo c°ntinuo fluire tra musica popolare ed elevata si riflette anche in Giustiniani, L'he non disdegna di includere nel suo concetto di musica i canti popolari, quel-

Caravaggio dilettante di musica

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li che inneggiano al bere, quelli usuali nelle strade delle città, tra gli operai e i predicatori, e addirittura il canto propiziatorio per catturare il pesce spada.28 Non stupisce che, esaminando i nomi dei musici fatti dal Giustiniani per il pe- riodo che corrisponde agli anni Novanta del Cinquecento, troviamo una fitta corrispondenza con gli ambienti dei committenti del Merisi e quindi con la re- te sociale nella quale esso si muoveva a Roma.Luca Marenzio (1553 o 1554-1599), non solo molto richiesto come attore- cantante, ma anche come fine liutista, giunse a Roma negli anni Settanta.29 Qui, dal 1578 al 1586, fu maestro di cappella del cardinale Luigi d’Este — oc- casione nella quale, tra l’altro, conobbe Cesare Brancaccio (vedi infra) — ruolo che gli procurò una notorietà internazionale come compositore di madrigali. Ma fu anche preso sotto contratto per la Quaresima del 1583 dall’oratorio del- la Santissima Trinità dei Pellegrini che lo pagò di nuovo nel 1584 e nel 1592. In quest’ultimo anno il cardinal Montalto, protettore della confraternita dal 1588, e suo fratello Michele Peretti donarono 122 scudi per la musica, cosl co- me fecero nel 1595 per la Settimana Santa, attraverso il banco Giustiniani.30 Dal 1587 al 1589 Marenzio fu al servizio di Ferdinando de’ Medici, che seguì a Fi- renze, proprio grazie alla mediazione del cardinale Montalto presso il Del Mon- te, che a sua volta raccomandò il Marenzio perché trovasse impiego alla corte medicea.31 Qui conobbe Virginio Orsini, cognato del cardinale Montalto — in quanto sposo di Flavia Peretti, nota come cantante e musicista32 — ed è proprio presso l’Orsini che ritroviamo il Marenzio a Roma, quando nel 1591 dedica il suo Quinto libro di madrigali a sei voci a Virginio.33 Assunto nella famiglia del cardinale Montalto nel 1592, entrò poco dopo al servizio del cardinale Cinzio Aldobrandini; dal 1594 abitò in Vaticano, avendo ottenuto l’incarico di su- pervisionare la riforma del canto sacro awiata dal Palestrina. A tale riforma, in quegli anni, era preposto il cardinale Del Monte.3411 più famoso musico italiano nel periodo compreso tra il Palestrina e Monteverdi mori nel 1599 a villa Me- dici, messa a disposizione del cardinale Montalto dal granduca Ferdinando. I suoi madrigali, apprezzati per la loro «divina dolcezza», sono sempre a più vo- ci, ma dirette — ed è questa l’innovazione — in modo da esprimere tangibil- mente le parole e gli affetti. Lodati in special modo per essere «sensuali ed effeminati», i madrigali di Marenzio soddisfacevano perfettamente la predile- zione della società romana per i madrigali erotici.35 Dal 1594, a partire da un libro di madrigali dedicato a Cinzio Aldobrandini, Marenzio palesò un’incli- nazione per uno stile declamatorio, per il quale predilesse testi tratd dal Pastor fido di Giovanni Battista Guarini, quella stessa tragicomedia pastorale che, da 11 a due anni nel 1596, il cardinale Montalto e suo fratello Michele avrebbero voluto mettere in scena per la prima volta.36 Dal 1585 al 1587 Marenzio pub- blicò anche cinque libri di musica “leggera”, cioè villanelle e canzonette, ma sotto altrui nome, ristampate molte volte e quindi estremamente popolari, giac- ché provano ad essere volontariamente “primitive”. La sua fama era tale da in- durre il più grande liutista dell’epoca, John Dowland, a intraprendere il viaggio d’Italia per incontrare Marenzio a Roma; approdando alla corte medicea nel 1595, dovette poi rinunciare per ragioni politiche a proseguire verso la città pontificia.37 II suo First Booke ofSongs uscì alle stampe a Londra nel 1597 e di- ventò subito un bestseller europeo. Le voci vi sono stampate sempre tutte su una stessa pagina, in modo da permettere a un piccolo gruppo di musici sedu-

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ti a uno stesso tavolo di suonare insieme; in sostanza, pare che egli tenesse con- to di una prassi musicale non solo professionale, ma anche dilettantesca, forse coincidente con quella che ricorda Giustiniani con il «cantare dal libro». Ruggero Giovannelli (1560-1625), cantante e compositore, fo maestro di cap- pella dapprima, dal 1583 al 1591, a San Luigi del Francesi, in seguito al Col- ìegio Germanico e, contemporaneamente, di Giovanni Angelo Altemps; nel 1589 curò la musica dell’oratorio della Sandssima Trinità dei Pellegrini. Presa la tonsura nel 1595, entrò come cantante alla Cappella Sistina. Dal 1598 al 1605 fo al servizio di Pietro Aldobrandini che accompagnò a Ferrara nel 1598- 1599, viaggio al quale parteciparono anche Federico Borromeo, il cardinale Montalto39 e Francesco Maria Del Monte, come bene si sa. Fu autore di mol- dssimi madrigali, villanelle e canzonette, mold nello stile del Marenzio, molto popolari e diffosi in Italia, spesso su testi di Guarini (protetto da Del Monte' e Montalto) e del Tasso (protetto tra l’altro, a Roma, da Cinzio e Pietro Aldo- brandini).41 Nello stesso entourage orbitò anche Giulio Cesare Brancaccio (1515-1586), lodato da Giustiniani, analogamente a Merlo, per la sua straor- dinaria estensione vocale.42 II nobile napoletano, militare e cortigiano, oltre che famoso cantante, fu tra i più ricercati e pagati del tempo e fu attivo sia alla cor- te di Ferrara che, nel 1577 e nel 1580, in quella romana di Luigi d Este. II suo principale contributo è di essere stato un canale di trasmissione importante tra la villanella napoletana e la monodia romana. II suo repertorio consisteva di madrigali e villanelle e di forme miste tra i due generi; accompagnato al liuto, cantava con un suo basso cosi straordinario da essere elogiato in un poema del làsso/'4 È probabile che cantasse villanelle di Marenzio, che conobbe di sicuro

alla corte di Luigi d’Este, ma può anche darsi che in realtà proprio queste ulti- me si ispirassero allo stile canoro napoletano del Brancaccio.A prescindere da queste celebrità, alla fìne del Ginquecento dozzine di musici- sti vivevano a Roma, anche se non tutti stabilmente. Sono comunemente chia- mati “scuola del Palestrina”, malgrado le loro grandi differenze stilistiche. Nella città pontificia i madrigali d’amore si affermarono in maniera cospicua: la loro produzione raggiunse il suo apice negli anni Ottanta quando ne forono prodotti più di mille solo nella Città Eterna. Proprio i cardinali dimostrarono una pre- dilezione per madrigali d’amore lascivi: Roma era, in quel periodo, il centro in assoluto della produzione di musica profana. Negli anni Novanta ci fo, invece, un inversione di tendenza che vide un enorme calo del madrigale a tutto van- taggio della produzione di canzonette e villanelle che diventò notevole e diffu- sissima.44 Compositori più famosi come Marenzio e Giovannelli le davano spesso alle stampe sotto il nome di terzi.1'’ Le più popolari, quelle di Giovan- nelli, erano prowiste di intavolature per liuto.'1 Nello stesso arco di tempo 1 ambiente dell’Oratorio di San Filippo Neri era una focina per la musica sacra; vi fo in stretto contatto Felice Anerio (1560-1641), fondatore nel 1584 della Confraternita dei musicisti de Urbe (precedente dell’Accademia di Santa Ceci- ha), confermata da Sisto V nel 1585. Grazie alla protezione di Pietro Aldo- hrandini, Anerio nel 1594 succedette a Palestrina come compositore della cappella papale, rimanendo allo stesso tempo anche al servizio di Giovanni An- gelo Altemps come maestro di cappella (succedendo al Giovannelli). Nel 1611 ìl cardinalc Del Monte lo incaricò della riforma del graduale romano. Fu Ane- do, che prese gli ordini nel 1584, a dirigere le grandi rappresentazioni musica-

Caravaggio dilettante di musica

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li nell’Oratorio in occasione della festa di San Filippo Neri nel 1597 e nel 1599. Precedentemente però, aveva composto, oltre a laudi spirituali, numerosi ma- drigali e canzonette.48 Anche tale pratica musicale di carattere spirituale trovò un suo spazio nei palazzi nobili: oltre al caso della cappella privata Altemps, un altro esempio ce lo fornisce la dedica alla duchessa di Ceri, Donna Cornelia Orsini Cesi, del Tempio Armonico della Beatissima Vergine del 1599 di Giove- nale Ancina, una raccolta di musiche spirituali di impronta filippina.49 Donna Cornelia, amica di Filippo Neri, ospitava nel suo palazzo un piccolo oratorio privato, dove si faceva regolarmente musica, la qual cosa non stupisce essendo la madre di Giovanni Angelo Altemps. Sua figlia Anna Maria, cantante dilet- tante, nel 1613 diventò la seconda moglie di Michele Peretti, fratello del car- dinale Montalto, matrimonio che fu celebrato con un grande apparato teatrale e musicale nel carnevale dell’anno successivo allestito alla Cancelleria sotto la di- rezione di Bernardino Cesari.50Tra questi nomi e quelli citati dal Giustiniani, siamo quindi nel cuore di una rete di dilettanti di musica alla cui protezione deve moltissimo lo sviluppo del- la musica profana a Roma di fine Cinquecento. I tre personaggi più attivi in questo ambito furono i cardinali Montalto (che nel 1595 aveva circa 24 anni),51 l’altrettanto giovane Pietro Aldobrandini e il Del Monte (il più anziano e me- no facoltoso). I tre si invitavano a vicenda per eventi musicali. Lo testimonia- no fra l’altro le lettere di Del Monte nelle quali scrive, ad esempio nel 1595, che «si fece musica tutto il giorno», o «si fece la sollita musica» etc.52 A Pietro Al- dobrandini fu dedicata la famosa Rappresentazione diAnima e di Corpo di Emi- lio de’ Cavalieri nel 1600, che comunque era amico di Del Monte e, dal 1592, anche a sevizio del Montalto;53 si sa che nel 1599 insegnava musica a Pedro Montoya, castrato della Cappella Sistina allora ospitato dal Del Monte.54 Era consuetudine che cantanti della cappella papale fossero ospitati nelle famiglie di cardinali: nel 1600 Del Monte scrive di averne uno in casa, mentre nello stesso anno Pietro Aldobrandini ne ospitava quattro, tra i quali Ruggero Gio- vannelli, con il quale anche Del Monte era in stretto contatto.55 Furono più che altro cardinali o comunque l’alto clero a promuovere la musica, meno i laici, banchieri o commercianti (tra le eccezioni Giovanni Angelo Altemps, Federi- co Cesi e Lelio Ceuli). Ciò si spiega forse con lo sforzo di riformare, secondo i dettami post-tridentini, una musica considerata troppo “fiorita”, a favore di una maggiore chiarezza nella trasmissione della parola sacra: «ut verba ab om- nibuspercipipossint», atteggiamento che favorì automaticamente tendenze mo- nodiche.56 Tra i laici, la famiglia Peretti-Orsini fu, a Roma, il maggior promotore della nuova monodia.57 Come il fratello Michele Peretti, anche l’al- tra sorella del cardinale Montalto, Orsina, era protettrice di musici, tanto quan- to sua sorella Flavia e il marito.58 Nel 1589 Orsina Peretti aveva sposato Marcantonio III Colonna, figlio del fratello di Costanza e cognato di Carlo Borromeo; rimasta vedova, nel 1597-1598 sposò in seconde nozze il marche- se di Caravaggio, Muzio Sforza, figlio maggiore di Costanza.59 Costui era di- lettante in letteratura e fondatore dell’Accademia milanese degli Invaghiti (1594). Dei suoi interessi musicali fa fede il compositore spagnolo Sebastian Raval, che nel 1592 il cardinale Montalto aveva aiutato a ottenere un cavalie- rato di Malta, e che dedicò le sue Canzonette del 1593 a Marcantonio III Co- lonna, affermando di esser stato al servizio dei Colonna.60

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Tra i componenti di questa fìtta rete di patronage musicale che coinvolge gli Aldobrandini-Orsini-Peretti e che sfiora in parte i Colonna, Borromeo e altri, nessuno è noto per essere stato committente di Caravaggio pittore, a eccezio- ne di Del Monte. Ma, pur rimanendo nel campo delle ipotesi, vi sono nume- rose probabilità che il Merisi conoscesse musici, o anche che avesse la possibilità di sentire musica o, ancora, di imparare a suonare, e il legame con gli ambien- ti Montalto non passa solo attraverso il Del Monte. Va infatti tenuto conto che il Montalto tra il 1591 e 1594-1595, fu il “padrone” di Prospero Orsi, di cui rimase protettore fino al 1597,61 e che d’altro canto fu amico intimo del vescovo di Milano, Gaspare Visconti, presso il quale prestò servizio lo zio di Caravag- gio, Ludovico Merisi.62 Ludovico seguì Visconti in vari viaggi a Roma nel 1592 e gli fii probabilmente accanto anche nelle sue visite alla Cancelleria. A tal ri- guardo, è più che probabile che il giovane Caravaggio sia venuto a Roma una prima volta in quell’anno assieme allo zio.63 Mentre è comunque poco proba- bile che un giovane e ignoto pittore sia stato ammesso, sia pure al seguito di uno zio prete, a delle serate musicali alla Cancelleria, è possibile che egli ne abbia avuto notizia attraverso la “famiglia” del cardinale, che includeva i musici. Di- versa fu forse la situazione nel palazzo di Del Monte, come sembra testimo- niare un quadro come I Musici (vedi infra).Del Monte era protettore della Cappella Sistina,61 organizzava serate e spetta- coli musicali, cantava, suonava il liuto e la chitarriglia; componeva madrigali da mettere in musica, come si comprende da una delle prime pubblicazioni a stam- pa per voce sola, i Madrigali di diversi autori del 1606 di Bartolomeo Barbari- no. lale opera raccoglie anche testi di Gaspare Murtola, di Giambattista Marino c di Del Monte stesso e a lui fu, appunto, dedicata.66 Ma egli non praticava so- lo musica a livello di nobile intrattenimento; non sembra, infatti, disdegnasse anche la musica meno colta, da strada: nel 1597 scrive al Granduca di fosca- na di aver organizzato una festa con Pietro Aldobrandini, durante la quale la compagnia si era recata davanti al palazzo di Antonio Maccarani per ofirire una serenata alle belle figlie di casa Maccarani.66 Ma che cosa avranno suonato il car- dinale Del Monte e i suoi compagni sotto la finestra di Laura Maccarani, di cui Melchiorre Crescenzi, amico di Caravaggio, aveva commissionato un «ritratto rubato»ì Eseguirono probabilmente uno dei generi più in voga a Roma in que- gli anni secondo quanto testimonia Vincenzo Giustiniani: 1 aria Romanesca e la villanella, idonei a essere suonati in piedi, per strada e da dilettanti.La romanesca è una formula melodica semplicissima usata per cantare poesie accompagnate da liuto (o violino, o chitarra, naturalmente) e per variazioni strumentali, consistente di una quarta discendente basata su un basso che pro- cede per quarte.67 Semplice da suonare, si presta, come anche la villanella, a es- sere variata con testi di propria invenzione. L’origine della villanella6'' è la villanesca alla napoletana, che si trova per la prima volta stampata nel 1537 a hiapoli come prodotto artistico urbano inserito su una tradizione orale popo- lare e rustica. La denominazione villanella subentrò mano a mano che i testi fiirono sostituiti da componimenti poetici più colti e sofisticati. Quando non v napoletana coincide con la canzonetta. Giustiniani registra questo cambia- ■nento: «Ma sì come le Villanelle acquistarono maggior perfezione per lo più artifìcioso componimento».61' Dalla villanella scaturi una vera e propria voga Per arrangiamenti per voce sola accompagnati dal liuto o dalla chitarra spa-

Caravaggio dilettante di musica?

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gnola - owero, lo strumento suonato da Del Monte — come ben descrive il Giustiniani. Rimase comunque anche un genere burlesco, ironico, adatto al- le serenate sulla frustrazione d’amore, su mariti gelosi o cornuti, su donne im- pudiche. Ebbe inoltre, alle volte carattere idilliaco per celebrare una nobildonna come accade nel caso della raccolta La nobiltà di Roma di Gaspa- ro Fiorino del 1571,70 scritta quando l’autore era al servizio di Ippolito d’Este a Roma e del Primo Libro delle villanelle del 1589 di Vincenzo Spada, i cui bra- ni sono dedicati a precise nobildonne romane e sono accompagnate da inta- volature per liuto. 1 Abbiamo quindi tutte le ragioni per credere che Del Monte e i suoi compagni abbiano cantato una villanella di questo genere per la bella Maccarani, giacché di Del Monte si affermava che cantasse «alla spa- gnuola».72 Le parole di Giusdniani e l’enorme produzione musicale romana dei due ultimi decenni del Cinquecento fanno supporre che le strade di Roma fossero piene di musica: di giorno i canti di lavoro e la musica sacra in chiese e oratori, di sera le feste musicali e le serenate, anche diffamand, se cerchiamo di immaginare l’ambiente acustico nel quale si muoveva Caravaggio.Le ricerche sulla musica nei quadri del Merisi hanno consentito di identifi- care quasi tutte le note da lui riprodotte in quadri come il Riposo durante la fuga in Egitto e il Suonatore di liuto Giustiniani e Del Monte.73 Le note del Suonatore di liuto Del Monte (Tav. 2) si riferiscono a madrigali a quattro vo- ci di Jacques Arcadelt,74 compositore studiato in gioventù da Giustiniani,75 nonostante non corrispondano del tutto a una delle edizioni a stampa note. Infatti, come ha notato Alexandra Ziane, pur riproducendo la parte del bas- so, non trascrivono una intavolatura per liuto; ciò ha indotto la studiosa a du- bitare che si tratti della resa di una prassi moderna monodica del tempo.76 Invece, di fronte alla realtà descritta da Giustiniani — e confermata dalle fon- ti - di un quotidiano cambio tra esecuzione monodica o polifonica anche di madrigali in origine pubblicati per più voci, compresi i più antichi e, di con- seguenza, di una crescente importanza del basso,77 non mi sembra ci sia ra- gione di dubitare di essere di fronte a una pratica vissuta dal Caravaggio, come già supponeva la Trinchieri Camiz.78 Ritenendola specifìcatamente ro- mana, Hills la defìnl in modo pertinente «madrigals in reducedpolyphony»P Lo stesso vale per il Suonatore di liuto Giustiniani (Tav. 1), anche se i madri- gali di Arcadelt sono diversi, com’è noto. Diversamente, nel Riposo durante lajuga in Egitto il Merisi aveva riprodotto il superius di un mottetto a quat- tro voci di Noel Bauldewijn il cui testo, preso dal Canto dei Cantici, venne messo in musica e parafrasato spessissimo nelle Laude degli Oratoriani.80 Ciò è ben conforme alle affmità sociali e religiose del committente - o almeno pri- mo proprietario — Gerolamo Vittrice; il quadro quasi evoca uno dei concer- ti all’aperto degli Oratoriani.81II Merisi dà quindi prova di una comprensione assai differenziata delle pra- tiche musicali in uso al suo tempo. Lo testimonia, come già detto, il quadro I Musici (Tav. 3), nel quale si coglie il momento colmo di tensione e con- centrazione, nonché i relativi tentativi di rilassarsi che precede l’entrata in scena dei personaggi travestiti all’antica:82 il liutista non sta suonando, ma accordando il suo strumento, il suonatore di cornetto interrompe la prova del suo strumento (delicato da suonare!)83 per dare un’occhiata allo spettato- re, il violinista si riguarda per un’ultima volta lo spartito e il ragazzo in pro-

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cinto di cantare nelle vesti di Amore,K ‘ si sta inumidendo la bocca con un ul- timo acino d’uva. Si tratta del momento antecedente una delle rappresenta- zioni musicali di madrigali e canzonette d amore simili a commedie pastorali.85 Infatti, quando non si limitavano alla musica, ma erano arricchi- ti da elementi scenici, non venivano più recitate da donne, ma da ragazzi (ve- di supra). E se non possiamo sapere se il pittore del cardinale vi fosse ammesso, è sicuro che potesse andare a fare compagnia ai suoi compagni artisti nel ca- merino.Senza voler entrare nei dettagli della discussione iconografìca così vasta su que- sto dipinto, owiamente non ritengo che questo quadro si limid a una mera il- lustrazione di cronaca, anche se trae la sua ispirazione dall istante prima di una rappresentazione musicale all’antica, sia per il travestimento che per la musica monodica accompagnata da tre strumenti. Vorrei però sottolineare che la com- pattezza della composizione, molto discussa anche per la difficolta che il Me- risi potrebbe aver avuto nel concepire una prima composizione a piu figure, mi sembra voluta e polifunzionale, anche se forse non ottimamente risolta. ri- specchia la ristrettezza di un camerino per attori (in questo caso probabilmen- te un piccolo stanzino adibito a tale funzione prossimo alla sala destinata alla rappresentazione); sul piano psicologico trasferisce la tensione particolare del momento, e su un piano più generale e stilistico cerca di dare a un contenuto all antica una forma di rilievo all’antica — è stato invocato il Vaso Portland, ap-

partenuto al Del Monte.86Tutto ciò può essere frutto di un’acuta osservazione e niente più. Ma se Del Monte usa, per un giovane pittore alloggiato presso di lui (non Caravaggio, ma probabilmente Ottavio Leoni), I appellativo di «un giovane mio allie- vo»,8 ciò implica che si prendeva cura anche dell educazione dei suoi pro- tetti. Come si viene confermando sempre piu sin dalle londate ipotesi di Luigi Spezzaferro, Del Monte coinvolse il giovane Merisi anche nelle sue sperimentazioni e discussioni scientifìche. Sembra pensabile che il Del Mon- te abbia ammesso il Merisi anche ad eventi musicali, e non è da escludere che abbia incaricato uno dei musici suoi ospiti di insegnargli a suonare il liuto, e forse anche il violino.Chissà, forse a Caravaggio dava lezioni Emilio de Cavalieri? Questo non sa- rebbe un fatto insolito: il cardinale Luigi d Este ospitava, tra i vari suoi mu- sicisti, anche uno col compito di insegnare canto ai suoi paggi. oaper suonare uno strumento faceva parte, come portare la spada, dell educazione di un gentiluomo, e ciò corrisponde alle ambizioni sociali del Merisi. Sta di fatto che tra gli amici personali del Merisi, ci furono anche musici. Nell in- ventario post mortem di Ippolito Gricciotto del 1632, segretario di Melchiorre Crescenzi, troviamo un «ritratto di un musico» di mano del Caravaggio;' c è buona ragione di credere che fra i tanti ritratti perduti del Merisi — a eccezione dei pochi fatti di personaggi uffìciali — ci fossero opere rappresentanti amici e destinate appunto a costoro.90 Forse il suonare la chitarra o il violino non gli riusciva meglio della scherma (se pensiamo all’esito maldestro della fatale rissa del 1606), ma gli bastava di certo per una villanella, una canzonetta o ur>a romanesca sotto le finestre di Prudenzia Bruna, magari adattata a un te- sto insultante, uscito dalla penna dell’amico Onorio Longhi, dilettante di poesia91 come tanti altri amici del Merisi.

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NoteRingrazio di cuore Maurizia Cicconi per la revisione del mio testo italiano.

1 BASSANI, BELLINI 1993, qui p. 72; MARINI, CORRADINI 1993, p. 163; MACIOCE2010, pp. 188-189, doc. 651; cfr. per il rimborso almeno parziale dei debiti da parte di Caravaggio SOGGIU 2011, qui p. 120.2 BASSANI, BELLINI 1993.3 Ringrazio il musicologo Dinko Fabris che in occasione del convegno milanese mi ha fatto notare questa importante peculiarità.4 SICKEL 2003, pp. 58-62. Per la datazione qui adottata vedi EBERT-SCHIFFERER 2009a, pp. 70-73.5 SICKEL 2003, p. 226.6 Ivi, p. 75.7 CURTI 2011, qui pp. 66, 74.8 Providence, Rhode Island, School of Art and Design Museum; WHITFIELD 2001, p. 148 lo ritiene un autoritratto; CAPPELLETTI 2006,p. 44, pensa a un ignoto fiammingo come autore, ma il personaggio rappresentato è indubbiamente Bril.9 SICKEL 2003, pp. 63, 82, nota 39.10 RÒTTGEN 2002, p. 137.11 MACIOCE 2010, p. 192, doc. 656, querela delI settembre 1605; FRIEDLÀNDER 1955, p. 117 ne ammetteva un talento naturale per la musica:«musical by nature, ivith his head full of madrigals and canzonhy, anche FROMMEL 1996, p. 19, VARRIANO 2006, p. 8 e ZIANE 2007, p. 170, nota 45 sembrano dell’awiso che Caravaggio suonasse la «chitarra».12 COHEN 1992, pp. 602-603, 613, 620-621.13 MACIOCE 2010, p. 170, doc. 594 del 21-25 agosto 1604.14TRINCHIERI CAMIZ 1989, BALDRIGA 2001.II testo di Giustiniani manca di una edizione musicologica moderna, commentata in modo approfondito; scarsissimi commenti si trovano nella traduzione inglese pubblicata da BOTTRIGARI, GIUSTINIANI 1962, pp. 65-80 e commenti parzialmente più estesi in HILL 1997,1, pp. 84-88, 102-112 e in WISTREICH 2007.15 GIUSTINLANI 1981, p. 24: «si dilettò della musica, perché di più sonava di Cimbalo egli per eccellenza, e cantava con maniera soave e affettuosa e teneva in casa molti della professione che eccedevano la mediocrità» e cfr. ivi., p. 28. BRICCIO 1623 menziona il «gran numero» di «Cantori e Sonatori» ospitati dal defunto. Cfr. DEFORD 1975,1, p. 21. Per il ruolo di Montalto come promotore di musica monodica CHATER 1987 e fondamentale HILL 1997.16 Ciò si deve all’enorme successo di Johann Hieronymus Kapsberger, virtuoso della tiorba (o chitarrone), allora recente invenzione, che giunse a Roma nel 1604-1605. Egli era famoso come Giovanni Geronimo Tedesco della Tiorba-, nel 1604 uscì dalle stampe a Venezia il suo Libro Primo d'intavolatura di Chitarone (KAPSBERGER 1604). GIUSTINIANI 1981 lo menziona a p. 32 segg.17 Ivi, p. 31.18 Cfr. HILL 1997,1, p. 236.19 GIUSTINIANI 1981, p. 24; HILL 1997,1, p. 29.20 CAMETTI 1913, p. 113; CHATER 1987,pp. 199-200; HILL (s.d.); HILL 1997,1, pp. 25-33, p. 26 per un pagamento a Marotta tramite il

banchiere Herrera, non potendo sua moglie comparire sul “ruolo”.21 WILEY HITCHCOCK, CARTER (s.d.); CHATER 1987, pp. 191, 199; HILL 1997,1, pp. 30, 45. Per il ruolo delle donne cfr. anche ZLANE 2011, pp. 170-175.22 GIUSTINIANI 1981, pp. 20-21.23 Ivi, p. 21. Nella descrizione dello «spazio di 22 voci» Giustiniani riprende una dicitura di Luigi Zenobi traendola da un suo trattato del 1600, cfr. WISTREICH 2007, pp. 194-195, 197, 203. Cfr. anche BLACKBURN (s.d.).24 GIUSTINIANI 1981, p. 26.25 HILL 1997,1, pp. 57-74, 84, 119 segg.26 Ivi., pp. 66-74.27 ZIANE 2007,passim\ sulle contraffazioni: ZLANE 2011, pp. 36 segg., 104-105, 164-171.28 GIUSTINLANI 1981, p. 30.29 LEDBETTER, CHATER (s.d.): Marenzio a Roma entrò prima al servizio del cardinale Madruzzo, e alla sua morte presso l’amico cardinale Luigi d’Este. DEFORD 1975,1, p. 26: il compenso di Luigi d’Este ammontava a 60 scudi annui, ma poiché egli scrive di essere abituato a spenderne 200, doveva avere delle entrate anche come libero professionista, come la maggior parte dei musici.30 CHATER 1987, pp. 205-206; HILL 1997,1, p. 45.31 CHATER 1987, pp. 187-188,194; HILL 1997,1, p. 39 segg., 54. Tra gli intermedi di LapeUegrina, rappresentati a Firenze per le nozze di Ferdinandode’ Medici con Cristina di Lorena del 1589, presente il cardinal Del Monte (Montalto non poté andare), uno fu composto dal Marenzio, CHATER 1987, pp. 213-214.32 DEFORD 1975,1, p. 22.33 HILL 1997,1, pp. 39-40.34 TRINCHIERI CAMIZ 1989, p. 217, nota 10.35 CERONE 1613, cit. in MANN (s.d.) e HUDSON (s.d.).36 II proposito falll visto che il fratello del cardinale, Michele Peretti, si unl in matrimonio con un’altra donna e la trama avrebbe potuto creare disagio; l’iniziativa, già molto avanti con l’organizzazione, fu ripresa dal cardinale Odoardo Farnese che ospitò la prima nella sua villa a Ronciglione nello stesso 1596: HILL 1997,1, pp. 54, 238-241, 256.37 POULTON 1982, pp. 36-37, 49: Dowland arrivò alla corte di Ferdinando de’ Medici probabilmente in maggio o giugno del 1595; nel luglio deve aver deciso di interrompere il viaggio e di tornare in Inghilterra. Per il mancato incontro con Dowland cfr. anche HOLMAN, O’DETTE (s.d.).38 Lo precisa l’autore stesso in DOWLAND 1597. Dopo il frontespizio, Dowland riproduce una lettera di Luca Marenzio del 13 luglio 1595 dove dichiara di avere piacere a incontrare l’inglese a Roma.39 Cfr. BENTIVOGLIO 1934, p. 22.40 I contatti tra Guarini e Del Monte risalgono a forse prima del 1588: WAZBINSKI 1994, I, pp.28, 80, 215; il poeta inoltre soggiornò spesso a Roma e intrattenne un epistolario con Melchiorre Crescenzi, amico del Merisi: ZIANE 2007,p. 173, e nota 64; ivi, pp. 172-174 su una probabile conoscenza, da parte del Merisi, del suo madrigale Avventuroso Augello, pubblicato nel 1598 nelle sue Rime dedicate a Pietro Aldobrandini, sul paragone tra il canto d’amore di un uccello in gabbia e quello del cantante (familiare sin dal

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Petrarca, possiamo dedurre che fu un concetto discusso nell’ambiente Del Monte-Marino- Guarini-Caravaggio), uno dei testi più popolari e più spesso messi in musica all’epoca, e su un possibile collegamento con il Suonatore di liuto.41 DEFORD 1975; DEFORD (s.d.).42 GIUSTINIANI 1981, p. 26. Alessandro Merlo (ca. 1540-1601), altro virmoso del basso/tenore, entrò a far partedellaCappellaSistinanel 1561 dovèancora registrato nel 1594, SHERR (s.d.); HILL 1997, I>PP- 87,104.43 WISTREICH 2007.44 Sopra la voce del Brancaccio, cfr. WISTREICH 2007, p. 197.45 Cfr. DEFORD 1975,1, pp. 11-18. II più prolifico produttore di madrigali fii Philippe de Monte a Napoli, che tra il 1554 e il 1603 ne compose 34 libri, alcuni dei quali dedicati a Pietro Aldobrandini; cfr. anche LINDELL (s.d.).46 Cfr. CECCHI 1998.47 Cfr. BORIN 1998.48 ZIANE 2007, p. 172, nota 61. FISCHER (s.d.). Fondamentale sulla musica all’Oratorio è MORF.LLI 1991.44 Cfr. ZIANE 2011, p. 50 segg.“TERZAGHI 2007, pp. 18, 22 con un resoconto dell’evento durante il quale fù messo in scena L'Amor pudico con testo di Jacopo Cicognini, membro dell Accademia degli Umoristi; cfr. anche CAMETTI ■913, p. 115eCHATER 1987, pp. 180, 185,210, nota 177; fii Ippolita Recupito a cantare la Venere: CHATER 1987, p. 200. HILL 1997 dedica un capitolo all'Amorpudìco, esagerando probabilmente il ruolo del cardinale Montalto a scapito di quello di suo fratello, vedi ANNIBALDI 1999, in part. p. 393 segg. Vedi anche al proposito GINZBURG CARICNANI 2000, pp. 151-153. Anna Maria Cesi entrò in un convento poco dopo; vi era già quando nel 1617 Paolo Quagliati gli dedicò i suoi Ajfetti amorosi spirituali.

1 Anch’egli fu favorito da Ferdinando de Medìci che gli mise a disposizione villa Medici, dove morl Luca Marenzio.52 CHATER 1987, pp. 184,206-208; CARAPEZZA ■993, p. XIV.53 CHATER 1987. pp. 190-191; HILL 1997,1, p. 46. 34 TRINCHIERICAMIZ 1989, pp. 211,220, nota 48; sui musici protetti da Del Monte cfr. CHATER 1987, PP- 212-215; e PUPILI.O 2002, p. 119, nota 66.” CARAPEZZA 1993, p. XV segg.„ Cfr. ZIANE 2011, pp. 33-34.

7 CHATER 1987, p. 211.58 DEFORD 1975,1, p. 22. Cfr. anche CHATER ■987, pp. 184-185.” BERRA 2005, p. 88.“ CHATER1987, p. 191. w TERZAGHI 2007, pp. 276-277.

~ Cosl in una lettera del 1590, il Montalto raccomanda al Visconti un organista milanese per la carica di organista del Duomo: CHATER 1987,P- 188. Sulla lunga corrispondenza tra Visconti e Montalto vedi anche SICKEL 2009 (2010),PP- 14-15, vedi preprint elettronico: SICKEL (s.d.)

SICKEL 2009 (2010), pp. 15-16.

64 Tutte Ie musiche a lui dedicate — molto meno che a Montalto e Aldobrandini - sono elencate da CARAPEZZA 1993, p. XV.65 TOMLINSON 1986, pp. 1-40. La dedica non risulta dal reprint, ma viene confermata nelle bibliografìa sull’edizione. II madrigale d’amore del cardinale Del Monte si trova a p. 30 (siglato F.M. del M.). Per Barbarino cfr. anche TOMLINSON 1986, nell’introduzione pp. IX-X. Nel 1598 a Del Monte fu dedicata anche Le risa a vicenda (CARAPEZZA 1993), vedi supra nota 53; cfr. ZIANE 2007, p. 170, nota 46. Tre dei madrigali sono di Ruggero Giovannelli, uno di Felice Anerio e uno di Giovanni Maria Nanino. Alcuni di questi brani si prestano a essere suonati da un gruppo di sei strumenti, ad esempio viole, e Del Monte possedeva esattamente sei viole.66 SICKEL 2005, p. 346.67 GERBINO (s.d.); HILL 1997,1, pp. 204-210.68 CARDAMONE (s.d.); ZIANE 2011, pp. 40-45.69 GIUSTINIANI 1981, p. 22.70 ZIANE 201 l,p. 45.71 FENLON (s.d.).72 SPEZZAFERRO 1971, p. 68; TRINCHIERI CAMIZ 1989, p. 199.73 Si veda in questo stesso volume il contributo di Stefania Macioce.74 O almeno ritenuti dell’Arcadelt all’epoca: SLIM 1985, p. 246 segg.; TRINCHIERI CAMIZ 1989, p. 207.75 GIUSTINIANI 1981, p. 20.76 ZIANE 2007, p. 172, nota 53.77 Cfr. JANDER et aL (s.d.).78 TRINCHIERI CAMIZ 1989, p. 206.79 HILL 1997,1, pp. 181-182.80 TRINCHIERJ CAMIZ 1989, pp. 214-215; ZIANE 2007, p.176.81 EBERT-SCHIFFERER 2009a, pp. 72-73;ZIANE 2011.82 EBERT-SCHIFFERER 2009a, p. 95; TRINCHIERI CAMIZ 1989, p. 203 ha evidenziato quanto fossero comuni le rappresentazioni musicali con travestimento all’antica.83II Giustiniani ricorda il virtuoso «Cavalier Luigi del Cornetto» che avrebbe suonato «in un mio camerino sopra il Cimbalo», riuscendo a suonarlo talmente piano che non affogava quello del cembalo: GIUSTINIANI 1981, p. 34. Si tratta di I.uigi Zenobi, direttore musicale dell’oratorio di San Filippo Neri nel 1587 e anche compositore, cfr. BI.ACKBURN (s.d.).84 Puglisi vi ha voluto vedere Zefìro, invocando Cesare Ripa, secondo il quale il vino buono aiuterebbe la melodia e Zefìro, il vento dolce, aiuterebbe la voglia dei cantanti a cantare.Tale ipotesi mi sembra inverosimile.83 HILL 1997,1, p. 235 segg.86 Si veda MACIOCE 2000b, p. 200.87 WAZBINSKI 1994, I, p. 197: verosimilmente Ottavio Leoni.88 LEDBETTER, CHATER (s.d.).89 SICKEL 2006, pp. 199-206, 213.90 SICKEL 2007, p. 111 segg.91 Cfr. EBERT-SCHIFFERER 2009a, p. 17.

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