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Università IUAV di Venezia Facoltà di Pianificazione del Territorio Corso di Laurea in Scienze della Pianificazione Urbana e Territoriale Sessione autunnale di Laurea novembre 2006 La nuova linea Torino-Lione: tra retorica e partecipazione. Francesco Luca matr. 249571 Relatrice: prof.ssa Maria Rosa Vittadini a.a. 2005/2006

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tesi di laurea triennale, novembre 2006

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Università IUAV di Venezia Facoltà di Pianificazione del Territorio

Corso di Laurea in Scienze della Pianificazione Urbana e Territoriale

Sessione autunnale di Laurea

novembre 2006

La nuova linea Torino-Lione: tra

retorica e partecipazione.

Francesco Luca matr. 249571

Relatrice: prof.ssa Maria Rosa Vittadini

a.a. 2005/2006

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«Buon giorno», disse il piccolo principe. «Buon giorno», disse il mercante. Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete. Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere. «Perché vendi questa roba?» disse il piccolo principe. «È una grossa economia di tempo», disse il mercante. «Gli esperti hanno fatto dei calcoli. Si risparmiano cinquantatré minuti alla settimana». «E che cosa se ne fa di questi cinquantatré minuti?» «Se ne fa quel che si vuole…» «Io», disse il piccolo principe, «se avessi cinquantatré minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana…» Antoine de Saint-Exupery, Il Piccolo principe

[…] e il Binario militare fu costruito. Binario stravagante che seguiva la catena delle montagne più alte e sul quale si slanciarono tosto le nostre veementi locomotive impennacchiate di grida acute, via da una cima all'altra, gettandosi in tutti i precipizi e arrampicandosi dovunque, in cerca di abissi affamati, di svolti assurdi e d'impossibili zig-zag. Filippo Tommaso Marinetti, Uccidiamo il chiaro di luna, aprile1909

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Indice Introduzione 1

1. Solo un ‘corridoio’? - Il progetto di una nuova linea ferroviaria tra 3 Torino e Lione

1.1 Il sistema “Alta Velocità” 5 1.2 Il “nodo” Torino 7 1.3 Un po’ di storia 10 1.4 Caratteristiche della sezione internazionale 18 1.5 Chi paga l’alta velocità? 20

2. Il Progetto 6 nel contesto delle Trans-European transport 22 Network (TEN-T)

2.1 La nascita della rete 23 2.2 Il Gruppo Van Miert 25 2.3 I progetti classificati “prioritari” 26 2.4 Dalla rete TEN-T ai Pan-european Corridors (PEC) 28 2.5 Il finanziamento della rete TEN-T 29 2.6 Alcune considerazioni sul Gruppo Van Miert 30 2.7 Il Progetto prioritario numero 6 32

2.7.1 Le tratte previste 33 2.7.2 Stato di avanzamento del progetto 36 2.7.3 Alcune considerazioni su ruolo e significato del Corridoio 37

2.8 Considerazioni conclusive 39 3. La Convenzione Internazionale per la Protezione delle Alpi e il

Protocollo «Trasporti» 45

3.1 Il territorio alpino 45 3.2 I protocolli attuativi 47 3.3 La ratifica dei protocolli 49 3.4 Il protocollo “Trasporti” 51

3.4.1 Obiettivi e strumenti 52 3.4.2 Strategie, programmi, progetti 52 3.4.3 Misure tecniche 53

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3.4.4 Monitoraggio e controllo 54 3.4.5 Il “glossario” del protocollo 54 3.4.6 Possibili linee d'intervento delle Regioni 56 3.4.7 Possibili linee d'intervento del Governo 57

3.5 Alcune prospettive 58

4. Infrastrutture. Chi decide, come decide? 60

4.1 I nodi e i segmenti 61 4.2 Chi decide? 62 4.3 Come decidere? 64 4.4 La democrazia deliberativa 66 4.5 La Legge Obiettivo 68 4.6 La legittimazione delle scelte 69 4.7 Strategie esclusive e strategie inclusive 73 4.8 “Not in my backyard!” 74

5. A proposito di strategie efficaci nel coinvolgimento degli attori… 77

5.1 Perché il rapporto COWI? 78 5.2 Il mandato del Gruppo di lavoro 79 5.3 Le “7 criticità” 80 5.4 Il lavoro del Gruppo 83 5.5 Gli oppositori al progetto 87 5.6 I “detrattori” 89 5.7 Strategie efficaci? 93

Conclusioni 94 Riferimenti bibliografici 103

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Indice tabelle e illustrazioni Foto dalla Valle Susa. Fonte: M. Berta, A. De Rossi, 2004

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Lavori sulla linea AV Firenze-Bologna. Fonte: TAV

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Lavori sulla linea AV Bologna-Milano. Fonte: TAV

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Schema generale dei nodi AV. Fonte: Parametro

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Tracciato nuova linea ferroviaria. Fonte: LTF

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Sezione internazionale. Fonte: LTF

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Investimenti del gruppo Ferrovie dello Stato S.p.A. Fonte: Ministero Economia e Finanza

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La rete TEN-T. Fonte: Commissione Europea

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Modalità di finanziamento rete TEN-T. Fonte: Commissione Europea

29

Il tracciato del Progetto 6. Fonte: Commissione Europea

33

Prospetto costi e contributi europei. Fonte: Commissione Europea

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Emissioni di CO2 per settore. Fonte: Commissione Europea

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Principali sistemi di elettrificazione della rete ferroviaria europea. Fonte: Libro Bianco, 2001

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Traffico merci attraverso le alpi. Fonte: Alpinfo 2004

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Provenienza fondi nuovo traforo Gottardo. Fonte: Alptransit

44

Campo di applicazione della Convenzione delle Alpi. Fonte: Monitraf

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La superficie della Convenzione delle Alpi. Fonte: Ministero Ambiente

46

Stato dell'implementazione giuridica della Convenzione delle Alpi e dei suoi protocolli attuativi. Fonte: Cipra

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Metodi di legittimazione delle scelte. Fonte: L. Bobbio, 2004a

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Le Corbusier, La città lineare europea. Fonte: Parametro

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Traffico merci su ferrovia attraverso l’arco alpino. Fonte: Alpinfo 99

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Introduzione

In quest’ultimo anno la Valle di Susa e il progetto di costruzione di una nuova linea ferroviaria ad alta velocità per collegare Torino e Lione, hanno riempito pagine di libri e riviste e fatto discutere migliaia di persone. Tutti i grandi quotidiani italiani hanno utilizzato l’argomento per aprire le prime pagine, e decine di editorialisti si sono cimentati nel commentare i fatti che via via si succedevano1. Ma l’informazione è sempre stata carente e parziale, fatta di parole d’ordine quali “progresso”, “modernità”, “strategico”, vuota di contenuti e ricca di retorica e ideologia più che di dati e analisi. Questo elaborato finale di laurea nasce soprattutto dal desiderio di saperne di più, di approfondire temi trattati il più delle volte con superficialità o supponenza, non esplicitando mai le decisioni e le scelte fatte, forse perché le scelte non sono fondate sull’interesse pubblico, ma sui particolarismi di pochi. Nasce con l’obiettivo di inquadrare la nuova linea ferroviaria Torino-Lione in un contesto più ampio, come le reti TEN di trasporto europeo, dedicando attenzione al ruolo dell’ormai ‘mitico’ Corridoio 5, e per approfondire il delicato problema del traffico di attraversamento all’interno della regione alpina, cercando di capire quali sono le reali e prioritarie esigenze del sistema di mobilità italiano ed europeo. Si è voluto poi, senza la presunzione di sistematizzare per intero la questione, affrontare il tema dei processi decisionali per la localizzazione di infrastrutture, concentrando l’attenzione sulla partecipazione delle popolazioni coinvolte e sulle pratiche legate alla democrazia deliberativa. Legato a quest’ultimo tema, si è analizzato il lavoro del Gruppo COWI, incaricato dall’Unione Europea di effettuare l’analisi degli studi fatti dalla società LTF sulla tratta internazionale della Torino-Lione. Il rapporto, che secondo le intenzioni dell’Unione Europea, doveva essere un primo tassello nella ricomposizione del dialogo con la popolazione, si è rivelato inutile e, in parte, persino offensivo nei confronti della popolazione stessa. Questo lavoro ruota attorno a questi temi, sinteticamente espressi nel titolo: la retorica della parole vuote a sostegno della nuova linea e la partecipazione

1 Cfr. Calafati Antonio G., Dove sono le ragioni del sì? La “Tav in Val di Susa” nella società

della conoscenza, Torino, Edizioni SEB 27, 2006

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(mancata) delle popolazioni al processo decisionale, che ha contribuito ad aumentare la situazione di impasse intorno al progetto. Ma la retorica è anche quella delle ‘grandi opere’ assunte a unico rimedio per risollevare il destino di intere aree economiche e produttive contrapposte a politiche di trasporto realmente in grado di risolvere le vere emergenze legate alla mobilità, orientate alla sostenibilità e alla riduzione del traffico.

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1. Solo un ‘corridoio’? - Il progetto di una nuova linea ferroviaria tra Torino e Lione

“Don’t ask, What’s the problem? Ask, What’s the story? That way you’ll find out what the problem really is.” 1

John Forester, 1999

In questi ultimi anni la Valle di Susa, non solo a proposito della nuova linea ferroviaria, è stata oggetto di numerosi studi e attenzioni, da parte di ricercatori e istituzioni. La causa principale di questa attenzione è da ricercare nella contraddizione tra l’immagine della ‘Porta d’Italia’, stratificatasi nel corso dei secoli attraverso la letteratura di viaggio, ed il livello di criticità qui raggiunto dalle trasformazioni insediative ed infrastrutturali degli ultimi cinquant’anni. Proprio la presenza contigua, a tratti sovrapposta, delle differenti strade e vie di comunicazione che si addensano nel territorio e nel fondovalle, consolida in un’immagine fortemente icastica il ruolo di grande corridoio di comunicazione internazionale che la Valle di Susa riveste da secoli. (M. Berta, A. De Rossi, 2004) Per un lunghissimo periodo di tempo però questo rapporto conflittuale tra infrastruttura e territorio è stato efficacemente metabolizzato ed assorbito, basti pensare “agli itinerari di valico dell’antica Via Francigena e della Route Royale dei Savoia, [che] pur interpretando con modalità alquanto differenti la geografia tridimensionale dello spazio alpino, non hanno di fatto mai intaccato l’equilibrio delle morfologie insediative di matrice storica”2. E anche le nuove infrastrutture di fine ottocento (il traforo del Frejus, 1871) e dei primi del novecento non hanno intaccato significativamente questo equilibrio, diviso tra logiche sovralocali e ragioni del luogo. A partire dal secondo dopoguerra iniziano invece a subentrare delle trasformazioni ingenti ed invasive, che non si relazionano e non dialogano con il territorio della valle, e la costruzione dell’autostrada e di altre infrastrutture sanciscono “la definitiva trasformazione della valle in ‘cavidotto specializzato’ destinato alle comunicazioni internazionali, mentre i recinti 1 Forester John, The Deliberative Practitioner. Encouraging participatory planning processes, Cambridge, MIT Press, 1999, pag. 19 2 Berta Mauro, De Rossi Antonio, «Il corridoio infrastrutturale. La valle di Susa», in G. Ambrosini, M. Berta (a cura di), Paesaggi a molte velocità, Roma, Meltemi, 2004, pag. 99

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monofunzionali ed i grandi progetti a regia pubblica e privata atterrano sul già congestionato territorio del fondovalle”3. Negli ultimi anni gli abitanti della valle sono esasperati dall’intensificazione di queste problematiche, sia in termini di costi ambientali e di consumo di suolo, con il paesaggio e il territorio fisico che non sono considerati né alla scala dell’intera valle, né rispetto a singoli luoghi, sia in termini di problemi funzionali legati alla dotazione infrastrutturale e al crescente conflitto tra logiche locali e sovralocali. Dalla disamina delle problematiche ambientali e sanitarie già presenti nel territorio della Bassa Valle di Susa e Val Cenischia e dalla valutazione della documentazione relativa alla Linea Ferroviaria Torino-Lione, si evidenziano poi molte criticità ambientali potenzialmente a rischio, anche per effetto di impatti cumulativi, che destano ovviamente preoccupazione tra gli abitanti della Valle.

Foto dalla Valle Susa. A sinistra la Sacra di S. Michele. Fonte: M. Berta, A. De Rossi, 2004 E’ in questo contesto che si inserisce il tracciato del nuovo collegamento ferroviario tra Torino e Lione, che contribuisce ad alimentare “l’ ‘effetto calamita’, quel circolo vizioso per cui le zone degradate vengono destinate

3 Berta Mauro, De Rossi Antonio, op. cit, 2004, pag.101

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all’insediamento di impianti sgradevoli e le zone che ospitano impianti sgradevoli sono considerate degradate”4. 1.1 Il sistema “Alta Velocità” L’Alta Velocità ferroviaria rappresenta forse l’infrastruttura lineare di trasporto che provoca maggiori conseguenze sul territorio, in termini di impatti ambientali e paesaggistici. Le linee ad alta velocità hanno delle caratteristiche che le contraddistinguono dalle normali linee ferroviarie, per sfruttare al meglio le potenzialità dei treni veloci: lunghi rettifili, ampi raggi di curvatura, pendenze ridotte e il più possibile costanti. Per soddisfare questi requisiti si devono quindi realizzare rilevati, viadotti, trincee, gallerie5, e il tracciato delle linee non stabilisce nessuna relazione con il territorio attraversato, se non quello di una pesante alterità.

Lavori sulla linea AV Firenze-Bologna. Fonte: TAV

4 Bobbio Luigi e Zeppetella Alberico (a cura di), Perché proprio qui? : grandi opere e opposizioni locali, Milano, F. Angeli, 1999 5 Cfr. i testi di Guglielmo Zambrini, Alcune questioni di geometria delle vie e Alcune questioni di cinematica, molto chiari ed efficaci

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Lavori sulla linea AV Bologna-Milano. Fonte: TAV La differenza con le linee ‘storiche’ non sta solo nel supporto fisico, ma anche nel metodo progettuale seguito. Nella realizzazione delle linee TAV italiane il progetto è stato in molte parti banalizzato nelle sue componenti espressive e dal punto di vista geografico è stato ridotto al mero collegamento di due punti su una carta grigia, sulla quale sono segnati solo i nomi dei diversi contesti locali senza conoscerne però i caratteri morfologici e sociali.

Schema generale dei nodi AV. Fonte: Parametro L’alta velocità è fortemente discriminante e risolve il suo rapporto con i territori che attraversa in forma autoritaria.

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I terminal dei grossi nodi si posizionano come contenitori multifunzionali, simili a centri commerciali e, insieme agli aeroporti e ai caselli autostradali, diventano ‘nuove porte’ della città, non più dei luoghi volutamente pensati, come le stazioni di un tempo, per modellarne la morfologia. Il sistema italiano dell’alta velocità ferroviaria è costituito da una sorta di grande T che taglia la dorsale appenninica incrociandosi con la trasversale che attraversa la pianura padana. E’ un sistema pensato per le grandi distanze, perché è su lunghi percorsi con poche fermate che i treni ad alta velocità sono stati costruiti. Questa caratteristica non sembra però la più adeguata alla struttura territoriale e morfologica del nostro paese, e “il progetto che si sta realizzando propone un’interpretazione per certi aspetti convenzionale del territorio italiano, ridotto a poche città, ovvero a una condensazione attorno ad alcune aree e nodi metropolitani”6. Territori come la pedemontana lombarda e veneta e la costa adriatica ne restano esclusi perché in questi territori il numero degli spostamenti è aumentato di molto negli anni, ma su distanze brevi. Basti pensare al nord-est, con la sua diffusione policentrica e gli insediamenti spalmati su tutto il territorio e al desiderio dei capoluoghi di veder fermare nelle proprie stazioni ferroviarie il treno veloce: Mestre, Padova, Vicenza, Verona, quattro nodi importanti nel raggio di poco più di cento chilometri, ma che non possono trovare tutti spazio nella lettura territoriale che offre l’alta velocità7. 1.2 Il “nodo” Torino

Un altro aspetto su cui riflettere è costituito dallo scarto attualmente esistente tra le attese e le speranze che si sono sviluppate attorno al progetto di costruzione della nuova linea Torino-Lione, in particolar modo per la città di Torino, e la nebulosità che contraddistingue le scelte progettuali e le opzioni di interconnessione proprio con il sistema torinese. Si è focalizzata tutta l’attenzione sul tunnel di base e sulla tratta internazionale, senza però affrontare il problema dei nodi. C’è infatti una sorta di schizofrenia tra l’adesione politica al progetto e la scarsa riflessione sulle sue prospettive di interconnessione e

6 Costa Andrea, in Parametro, Alta velocità. Il sistema italiano, Bologna, n° 258/259, luglio ottobre 2005, pag. 67 7 Vedi anche Vittadini Maria Rosa, Rileggendo Zambrini: l’alta velocità e la verifica parlamentare, paper in corso di pubblicazione, 2006, pag. 6

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territorializzazione, relegate alla sfera tecnica, che in una logica dei due tempi le considera di secondaria importanza, tenendo così separati i problemi dei nodi e quelli delle linee (C. Nervo, E. Dansero, 2001).

Il problema del collegamento internazionale dell’area metropolitana torinese pare assolutamente slegato da quello della Bassa Val di Susa, cui si impone di fatto una servitù di passaggio, come se si trattasse di due problemi diversi. E la proposta, tornata alla ribalta in questi giorni, di realizzare la nuova linea in Val Sangone è per certi versi paradossale, frutto di questa situazione, perché qualunque opzione progettuale sia scelta, per la Bassa Valle Susa si dovrà comunque passare, e il nodo del centro logistico di Orbassano e del collegamento alla città non sono ancora risolti.

Il Sindaco di Torino, Chiamparino, e la Presidentessa della Regione, Bresso, dovrebbero occuparsi prioritariamente di questi aspetti, considerato che il loro impegno per veder realizzato il progetto è prioritariamente finalizzato a far diventare “Torino capitale di un’area metropolitana a livello europeo, superando l’isolamento geografico che la mette a rischio di un’intollerabile marginalità economica e politica, e come tale necessita del nuovo collegamento ferroviario”8.

D’altra parte l’interesse verso l’alta velocità che si manifesta intorno al 1990 è dovuto al successo del TGV Parigi-Lione e agli effetti positivi indotti sulla città capoluogo della Regione Rhône-Alpes, diventata polo di rilievo europeo, e su questa prospettiva anche Torino ha intravisto la possibilità di uscire dall’isolamento.

Ma l’esperienza francese ha al tempo stesso dimostrato che ciò non sempre accade. Il ‘dogma’ del TGV considerato, in virtù delle sue caratteristiche intrinseche di vettore ottimale sui collegamenti interpolari a medio-lungo raggio, quasi la pietra filosofale e il volano principe per un nuovo pervasivo sviluppo, non può in realtà cancellare l'isolamento degli ambiti territoriali attraversati, sdoganando indiscriminatamente ogni centro urbano che incontra sul suo cammino. Al contrario, tende a rafforzare gli ambiti più densi, attivi e già dotati di buoni collegamenti e servizi: in tal modo, paradossalmente, si invera il rischio di aumentare le disparità insediative.

8 Nervo Chiara, Dansero Egidio, «Da Torino a Lione per la Val di Susa. Strategie globali e resistenze locali nel lungo percorso verso il nuovo collegamento ferroviario», in Dematteis Giuseppe, Governa Francesca (a cura di), Contesti locali e grandi infrastrutture. Politiche e progetti in Italia e in Europa, Milano, Franco Angeli, 2001, pag. 171

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Dovrebbe far riflettere su questo frangente come la stessa Unione Europea parli di collegamento tra Milano e Parigi, e della reale possibilità di ‘avvicinare’ le due città, relegando in secondo piano Torino. Dall’esperienza francese vi è ragione di credere che il TGV non risolva di per sé alcun tipo di problematica, anche se, in condizioni congiunturali sfavorevoli dal punto di vista economico, può essere considerato un ammortizzatore della crisi. (B. Monardo, 2000) L'effetto del treno AV non è incidente se non è accompagnato, o più correttamente preceduto, da un insieme di programmi e di azioni che ne valorizzino l'esplicitazione. Peter Hall a tal proposito scrive che “la ferrovia non può salvare la città se la città sta andando giù, poiché le forze che la trascinano verso il basso sono molto più estese e più potenti delle sole questioni di accessibilità. Ciò non per ridurre l'importanza potenziale degli investimenti nei trasporti nel rilancio dell'economia urbana, ma per affermare che esso andrebbe pianificato nel contesto più ampio delle ragioni del malessere urbano”9.

Ciò nonostante, sulla scia dell'esperienza francese, si è andata via via intensificando, nei paesi più avanzati dell'Europa Occidentale, la rincorsa da parte di sindaci e delle amministrazioni, non solo Torino dunque, alla localizzazione e strutturazione del maggior numero possibile di nodi di alta velocità ferroviaria, “quasi come se ciò potesse rappresentare «ipso facto» una sicura garanzia di successo nella sempre più serrata competizione per assicurarsi gli investimenti dei grandi gruppi economici-finanziari, oltre che un nuovo “status-symbol” istituzionale”10.

Sempre in Francia si è poi dimostrato come “una connessione di qualità con il sistema metropolitano e urbano sia necessaria ma non sufficiente ad indurre la localizzazione di nuove attività e la riconversione di attività produttive in declino quando il mercato è depresso, e le ricadute virtuose di un nodo AV non possono conseguirsi se non esiste una perfetta interconnessione con il territorio metropolitano di cui la stazione rappresenta il fulcro”11. Ritorna con forza quindi il problema dei nodi e delle aree metropolitane, la cui accessibilità rappresenta la vera emergenza da risolvere.

9 Hall Peter, Hass-Klau Carmen, Can rail save the city? The impacts of rail rapid transit and pedestrianisation on British and German cities, Aldershot, Gower, 1985 10 Monardo Bruno, «Domanda di trasporto collettivo e offerta di infrastrutture nelle aree urbane e metropolitane», in Francesco Karrer e Bruno Monardo (a cura di), Territori e città in movimento. Strategie infrastrutturali e strumenti finanziari per lo spazio della mobilità collettiva, Firenze, Alinea Editrice, 2000, pag. 73 11 Monardo Bruno, op. cit, 2000, pag. 71

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1.3 Un po’ di storia

La vicenda di un nuovo collegamento ferroviario tra Torino e Lione muove i suoi primi passi nel 1988, ma è nel settembre dell’89 che, alla fondazione Agnelli, l’associazione Tecnocity promuove un convegno in cui viene presentata la nuova ipotesi, per il momento tutta francese, di prolungare la linea del TGV tra Torino e Lione, con una galleria lunga cinquanta chilometri sotto il Moncenisio. Grazie anche all’interessamento della Fondazione Agnelli, il progetto viene preso sul serio e il bollettino della Regione Piemonte, specificando che si tratta di un’iniziativa dell’Associazione Industriali, comunica la notizia, così in Val di Susa si inizia a discuterne. Nel febbraio 1990 nasce il Comitato Promotore Transpadana per l’Alta Velocità Torino Lione, presieduto da Umberto Agnelli e dal presidente della Regione Piemonte, ma le Ferrovie Italiane sono perplesse e sostengono la potenzialità della linea esistente, puntando sugli adeguamenti tecnici. Il quotidiano La Stampa coglie l’occasione per dare inizio ad un repertorio di slogan che si leggono ancora come: “Senza l’Alta Velocità il Piemonte è fuori dell’Europa” e “La nostra regione deve collegarsi con il TGV per evitare l’isolamento che strangolerebbe la sua economia”.

Nel 1991, con Necci amministratore delegato delle Ferrovie di Stato, ha inizio il programma italiano di treni ad alta velocità. Già in questo periodo la Comunità Montana Bassa Val di Susa lancia un appello, destinato a ripetere infinite volte, e che suona più o meno così: “Vogliono il TGV ma prima ci spieghino dove vogliono farlo passare”. Il 12 luglio, dopo una serie di incontri bilaterali, i Comitati Promotori italiano e francese, firmano un protocollo di intesa per intraprendere gli studi con cui intendono indirizzare le decisioni governative, e meno di tre mesi dopo, il comitato italiano diffonde con uno “Studio di Fattibilità “ in cui si afferma che bisogna fare urgentemente la nuova linea ferroviaria perché quella esistente, secondo le previsioni, sarà satura nel 1997. La nuova linea ad Alta Velocità dovrebbe costare 7.200 miliardi e sarà necessaria per portare i 7,7 milioni di passeggeri internazionali ed i 18,6 milioni di merci che si prevedono entro il 2002, contro un utilizzo attuale di 1 milione e mezzo di persone ed 8,5 milioni di tonnellate di merci.

Le pressioni dell’ampio fronte dei promotori si scontrano con quelle di chi si oppone alla realizzazione dell’opera, e il 1991 è anche l’anno di costituzione di una nuova associazione, Habitat, con il Professor Cancelli del Politecnico di Torino come presidente.

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Ma già il 15 luglio del 1990 il Coordinamento delle Associazioni ambientaliste della Valle aveva fatto sentire la sua voce, spedendo un telegramma all’allora Ministro dei Trasporti Carlo Bernini: “Rifiutiamo ipotesi collocazione nuova linea ferroviaria ad alta velocità in valle di Susa et ulteriore compromissione di un territorio già penalizzato da trafori, autostrada, trasporti, linee alta tensione, dighe, ecc.”12. L’opposizione al progetto ha inizio qui. Interessata da importanti e pesanti interventi infrastrutturali di recente realizzazione, come l’autostrada e l’elettrodotto Moncenisio-Piossasco13, la Valle di Susa “può infatti contare su un’immediata capacità di reazione e mobilitazione, nel tentativo di sottrarsi ad un copione che le assegna un ruolo geopolitico di corridoio naturale”14. Il 10 novembre 1992, al vertice italo francese di Parigi, le FS e SNCF comunicano la necessità di una nuova linea in vista della saturazione di quella tradizionale ed insediano un gruppo di lavoro multidisciplinare per realizzare gli studi di fattibilità economica. Viene deciso di costituire un Comitato di Pilotaggio, comprendente rappresentanti degli Stati, delle reti e delle amministrazioni locali interessate dall’attraversamento, che dovrà valutare gli studi effettuati. Nello stesso anno il Gruppo Christophersen dell’Unione Europea avvia l’analisi di alcuni progetti infrastrutturali, cui segue la decisione della Commissione Europea di avviare il progetto di una rete transeuropea dei trasporti (TEN). A fine novembre 1994 le ferrovie italiane e francesi creano Alpetunnel, la società che dovrà definire entro il 1996 le modalità di finanziamento, di appalto e di gestione del tunnel sotto il Moncenisio, alla quale partecipano le ferrovie francesi (SNCF) con il 50%, quelle italiane (FS) con il 30% e la società TAV con il 20%. Di lì a poco, al vertice europeo di Essen, il Cristophersen Group presenta i 14 progetti infrastrutturali su cui la Comunità Europea deve esprimersi, che andranno a formare la prima rete TEN-T. Ma i progetti vengono riconfermati senza una scala di priorità e, soprattutto, senza finanziamenti europei.

12 Cfr. Sasso Chiara, No Tav, cronache dalla Val di Susa, Roma, Edizioni Intra Moenia, 2006, pag. 81 13 Bonjean Mirta, «Sbagliando s’impara? L’elettrodotto della Valle di Susa», in Luigi Bobbio e Alberico Zeppetella (a cura di), Perché proprio qui? : grandi opere e opposizioni locali, Milano, F. Angeli, 1999 14 Nervo Chiara, Dansero Egidio, «Da Torino a Lione per la Val di Susa. Strategie globali e resistenze locali nel lungo percorso verso il nuovo collegamento ferroviario», in Dematteis Giuseppe, Governa Francesca (a cura di), Contesti locali e grandi infrastrutture. Politiche e progetti in Italia e in Europa, Milano, Franco Angeli, 2001, pag. 154

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Nel 1995, di fronte alla corruzione dilagante e all’esplodere di Tangentopoli, nella quale risultano coinvolti tutti i principali personaggi responsabili dell’alta velocità italiana, il Parlamento stabilisce che il Governo deve procedere entro il gennaio 1997 ad una verifica sullo stato di attuazione del programma AV. La commissione doveva riferire

“in particolare sulle conferenze di servizi, sui rapporti Tav SpA – Ferrovie dello Stato SpA, sui piani finanziari della Tav SpA, sulla legittimità degli appalti, sui meccanismi di indennizzo, sui nodi, le interconnessioni, i criteri di determinazione della velocità, le caratteristiche tecniche che consentano il trasporto delle merci (…) con l’obiettivo di consentire al Parlamento di valutare il progetto di alta velocità all’interno degli obiettivi più generali di potenziamento complessivo della rete ferroviaria, dell’intermodalità, dell’integrazione del sistema dei trasporti in funzione del collegamento dell’intero Paese e di questo con l’Europa”15.

Da questa verifica emersero degli aspetti interessanti, come ad esempio la necessità di ragionare in termini di rete e non di singole linee, e l’ordine di priorità degli interventi avrebbe dovuto essere selezionato attraverso stime dei costi e dei benefici realistiche, per evitare grossi sprechi. Si evidenziò come i costi fossero sottostimati e l’impegno dei privati poco credibile. La linea Torino-Venezia poteva non essere realizzata immediatamente, ma si doveva intervenire in modo prioritario nei tratti, come ad esempio tra Milano e Brescia o Padova-Mestre, dove ai traffici di lunga e breve distanza si sovrapponevano i traffici merci. Non si deve dimenticare infatti, oggi come allora, che il vero problema del sistema dei trasporti italiano sono le aree metropolitane, non gli spostamenti a lunga percorrenza, e si deve intervenire prioritariamente sui nodi e sulle linee che servono le conurbazioni e le grandi città. (M.R. Vittadini, 2006d)

Nel marzo 1995 viene istituito un Comitato di Coordinamento tra gli enti territoriali della Valle, la Regione Piemonte, la Provincia e il Comune di Torino, le Ferrovie dello Stato, con lo scopo di rendere più stabili e produttivi gli scambi informativi tra i vari enti territoriali interessati all’opera. Questo comitato non è però in grado di gestire efficacemente il conflitto crescente con le comunità locali e nel 1998 sarà sostituito da un nuovo comitato di coordinamento posto sotto la responsabilità congiunta del Presidente della Regione e del Prefetto. Sono i primi segnali della forte

15 Guglielmo Zambrini, in Vittadini Maria Rosa, Rileggendo Zambrini: l’alta velocità e la verifica parlamentare, paper in corso di pubblicazione, 2006d, pag.7

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conflittualità che ha caratterizzato in passato e tuttora caratterizza la vicenda della Torino-Lione. Nel 1996 si incontrano a Parigi i ministri dei trasporti italiano e francese, firmando un protocollo d’intesa che costituisce la Commissione Intergovernativa (CIG) italo-francese, che ha il compito di indirizzare e seguire, per conto dei due Governi, i lavori di Alpetunnel. Il mandato della Commissione Intergovernativa (CIG) non riguarda tutto il collegamento Torino-Lione, ma solo la cosiddetta “tratta internazionale” Torino-Montmélian, e risulta chiaro durante i lavori: “non si tratta di stabilire se esistono le condizioni per la fattibilità finanziaria ed economica della linea, ma di valutare quali opere siano necessarie per mettere in grado la ferrovia di trasportare 40 milioni di tonn/anno sulla relazione Torino-Lione, indipendentemente dal fatto che sussista o meno una domanda di questa entità”16.

Il lavoro della Commissione consiste dunque nello stimare quando la saturazione della linea esistente avrebbe reso necessaria la realizzazione di una nuova infrastruttura pensata per rispondere all’obiettivo dei 40 milioni di tonn/anno. La CIG è composta inizialmente da due gruppi di lavoro, “Economia e Finanza” e “Tunnel”, che si occupano di seguire le tematiche fondamentali riguardante il progetto. A questi si aggiungerà, dopo il vertice di Chambery del 1997, il gruppo “Ambiente e Territorio”, su richiesta dell’allora Ministro dell’Ambiente italiano Edo Ronchi. Il Gruppo Tunnel si occupa di seguire gli studi sui problemi geologici e di ingegneria dello scavo della galleria di base e delle altre opere come le discenderie, il gruppo Economia segue gli studi sul traffico e gli aspetti economico-finanziari e il gruppo Ambiente e Territorio segue le analisi di Alpetunnel in materia di impatti ambientali.

La CIG si riunisce due volte l’anno al fine di analizzare il lavoro svolto da ciascun gruppo nell’ambito del progetto. Tra una riunione e l’altra si riunisce un Gruppo di concertazione, presieduto dai Prefetti delle due Regioni, al quale partecipano i Presidenti di Regione e Provincia, gli Assessori ai Trasporti e all’Ambiente delle zone interessate e, informalmente, i Presidenti delle Comunità Montane “Alta Valle Susa” e “Bassa Val di Susa”, per quanto riguarda la parte italiana. Questo non si può però definire un “gruppo di concertazione”, piuttosto un “gruppo di informazione”, perchè in questa sede gli enti locali vengono 16 Vittadini Maria Rosa, «Il nuovo collegamento ferroviario Torino Lione», in WWF, La cattiva strada, Milano, Perdisa editore, 2006c, pag. 3

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informati degli sviluppi e dei lavori della CIG, senza la possibilità di intervenire concretamente attraverso l’esposizione delle loro ragioni e dissensi17.

Al vertice di Chambery, nel 1997, viene assunta la decisione di procedere ad un programma triennale di studi finalizzato a consentire ai due Governi di stabilire la fattibilità dell’opera entro il 2000. Il 1997 è anche l’anno in cui iniziano gli attentati, sempre dai contorni misteriosi, e il primo di una lunga serie colpirà una trivella innalzata nel comune di Bussoleno. Ancor più misteriosi saranno gli altri undici attentati che, in un anno e mezzo, colpiranno ripetitori televisivi, strutture della ferrovia o dell’autostrada. Non si scopriranno mai gli autori di questi attentati, ma le vittime ci saranno. Il 28 marzo 1998 muore in carcere, ufficialmente suicida, Edoardo Massari, detto Baleno, accusato ingiustamente di essere l’autore di uno degli attentati in Valle Susa. Dopo pochi mesi, l’11 luglio, muore anche la sua compagna, Maria Soledad Rosa, detta Sole. E’ la più brutta pagina di questa storia. L’altro arrestato, Silvano Pellissero, dopo quattro anni di carcere verrà liberato perché la Corte di Cassazione riconoscerà l’inconsistenza delle prove a suo carico18.

Nel 1998 il Comitato Promotore Transpadana fondato nel ’90 cambia

nome a seguito di nuove adesioni, e diventa “Comitato Promotore della Direttrice Ferroviaria Europea Transpadana ad Alta Capacità Merci e Passeggeri”19. Tale denominazione definisce chiaramente gli obiettivi di questo soggetto, che ha il compito di ricercare alleanze per promuovere un collegamento est-ovest ritenuto indispensabile per lo sviluppo economico e sociale del Paese. Attraverso l’organizzazione di convegni e dibattiti il Comitato si propone l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto alla necessità ‘strategica’ dell’attuazione completa di tale direttrice, senza tuttavia definire chiaramente che cosa si intenda per strategico, esercitando nel contempo un’azione di lobbying rispetto agli organismi decisori. (C. Nervo, E. Dansero, 2001) Nel 2000 compare il primo tracciato della tratta internazionale, tra

17 Nervo Chiara, Dansero Egidio, op. cit, 2001, pag. 161 18 Cfr. Imperato Tobia, Le scarpe dei suicidi. Sole Silvano Baleno e gli altri, Torino, Autoproduzione Fenix!, 2003 19 www.transpadana.it

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Bruzolo e Saint Jean de Maurienne preparato da Alpetunnel, e quello alternativo predisposto dalla Provincia, che viene subito accantonato. Nello stesso anno escono i rapporti contenenti le raccomandazioni della Commissione Intergovernativa20, che segnalano numerosi punti critici, tra i quali meritano di essere ricordati: • la necessità di approfondire le stime di domanda e le stime di redditività

finanziaria dell’opera, temi che avevano visto i rappresentanti del Ministero delle Finanze francese su posizioni assai meno ottimiste di quelle del GdL Economia e Finanza;

• la necessità di stabilire un quadro attendibile e impegnativo di politiche di trasporto capaci di ottenere un concreto trasferimento del traffico dalla strada alla ferrovia. In assenza di tali politiche, delle quali non vi era segno nell’agenda dei due governi, l’investimento infrastrutturale si sarebbe risolto in un inaccettabile spreco di risorse finanziarie, economiche ed ambientali;

• la necessità di sviluppare una procedura “ad hoc” di Valutazione di Impatto Ambientale sul progetto preliminare, che riguardasse l’intera tratta internazionale da Montmélian a Torino. Nella procedura VIA sul progetto preliminare avrebbero dovuto essere considerate tutte le alternative di tracciato, compresa l’alternativa zero, e le istanze della popolazione locale. In particolare le istanze delle comunità della Val di Susa, avrebbero dovuto essere considerate attraverso modalità di informazione, partecipazione e concertazione assai più complete, sistematiche ed efficaci di quelle messe in atto fino a quel momento.

• la necessità di provvedere prioritariamente al potenziamento della linea attuale, e di realizzare per fasi la nuova linea internazionale potenziando le due linee di adduzione prima della realizzazione del nuovo traforo di base, sul presupposto che le linee di adduzione avrebbero raggiunto un livello elevato di saturazione assai prima delle linee di valico.21

Il rapporto del Gruppo di Lavoro Ambiente e Territorio concludeva significativamente così:

il Gruppo ambiente e territorio insiste sulla necessità di una politica attiva, a livello comunitario e nazionale, in favore del trasporto ferroviario, che non si limiti al potenziamento infrastrutturale, perché un

20 Commissione Intergovernativa Franco-Italiana per la nuova linea ferroviaria Torino-Lione, Relazioni dei gruppi di lavoro “Tunnels”, “Economia e Finanza” e “Ambiente e Territorio” 21 Sintesi estratta da Donati Anna, Vittadini Maria Rosa, (a cura di) La proposta dei Verdi per aumentare il trasporto ferroviario di merci e passeggeri tra Torino e Lione, 2005

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miglioramento dell’offerta ferroviaria non porterà tutti i suoi frutti se non si accompagna ad una regolamentazione della domanda di trasporto. Sulla base degli studi generali così come di quelli specifici all’attraversamento alpino, converrà identificare la combinazione dei provvedimenti più appropriati, in particolare delle misure di carattere finanziario, che permettano un’internalizzazione corretta dei costi del trasporto stradale, e misure di ordine regolamentare, che nell’insieme favoriscano una minore necessità di trasporto a parità di sviluppo economico e sociale e una ripartizione modale dei traffici tale da garantire le esigenze ambientali e di salute dei cittadini.22

Nel gennaio 2001, al vertice di Torino, i due Governi sottoscrivono l’accordo per la realizzazione della linea mista per passeggeri e merci. L’accordo stabilisce il proseguimento dei lavori nella sola tratta internazionale tra Saint Jean de Maurienne e Bruzolo, mentre le tratte successive, comprendenti le linee di adduzione alla parte comune, saranno definite successivamente. Questa decisione smentisce quanto pochi mesi prima aveva raccomandato la CIG: realizzare prima le linee di adduzione e successivamente il tunnel di base. Nel 2002 i Parlamenti dei due Stati ratificano l’accordo per la realizzazione della nuova linea mista per passeggeri e merci, ma l’Italia, con l’approvazione della Legge Obiettivo e la delibera CIPE 212/2001, aveva già inserito la tratta Torino-Lione tra le opere strategiche. Nel 2003 LTF (Lyon Turin Ferroviaire), che ha sostituito la prima società incaricata, Alpetunnel, presenta il progetto preliminare della parte italiana della tratta internazionale e nel dicembre dello stesso anno il CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) approva la procedura di VIA, con 89 prescrizioni e 6 raccomandazioni, a dimostrazione del fatto che il progetto è carente in molti aspetti. Sempre nel 2003, il Gruppo di Lavoro Van Miert incaricato della revisione della lista delle TEN-T (Trans-European transport Network) include la nuova linea nell’elenco delle opere strategiche a livello europeo, in quanto parte del Progetto 6, su precisa richiesta del governo italiano. Nel maggio 2004 i due Ministri dei Trasporti, Lunardi e de Robien, firmano l’accordo per la realizzazione del nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione.

22 Relazione conclusiva del Gruppo di Lavoro “Ambiente e Territorio”, novembre 2000

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Ad agosto 2005 viene istituita la Commissione Tecnica Rivalta in cui sono rappresentati Ministero dei Trasporti, Regione Piemonte, Provincia e Comune di Torino, ARPA, LTF e la Comunità Montana Bassa Val di Susa. Nelle sedute delle riunioni si evidenzia la mancanza dell’analisi delle criticità della tratta internazionale e si discute dell’approvazione della tratta nazionale da parte del CIPE del 3 agosto 2005, che comunque non si riesce a visionare per capirne il vero contenuto. In questo periodo vengono allestiti i presidi degli abitanti della Valle, a Bruzolo, a Borgone e a Venaus, e che diventerà da li a poco, suo malgrado, il più famoso. A ottobre la Commissione insiste per far iniziare i lavori della galleria geognostica di Venaus, lunga 10 chilometri, opera che non necessita più della Valutazione d’Impatto Ambientale in base alla nuova normativa stabilita dalla Legge Obiettivo23. Questo episodio è l’ultimo di una serie che fa scoppiare la protesta in Valle.

Una protesta, è bene ricordare, attiva dal 1990 contro il progetto, e capace di mobilitare decine di migliaia di persone contro l’arroganza del governo, che risponde con un maldestro tentativo di militarizzare il territorio, inviando la polizia alle pendici del Rocciamelone e nei boschi di Venaus, con il Ministro Lunardi affermare che “non impressionano le fiaccolate di quanti non sanno come passare il proprio tempo”24. Forze dell’ordine che dal 30 novembre militarizzano Venaus per consentire ai tecnici della CMC, la Cooperativa di Ravenna incaricata di eseguire i lavori, di iniziarli, e nella notte tra il 5 e 6 dicembre carabinieri e polizia in tenuta anti-sommossa intervengono per sgomberare i presidi25. Il giorno seguente ci sarà uno sciopero generale in valle: si fermano scuole, fabbriche, per tutto il giorno vengono organizzati blocchi sulle due statali, sulla ferrovia, sull’autostrada26.

Mai la situazione era stata così critica, la Valle di Susa è sulle prime pagine di tutti i quotidiani nazionali, e il rapporto tra la popolazione che si oppone al progetto e le istituzioni mai così duro. Per tentare di risolvere almeno in parte la situazione, e far ripartire il dialogo, il 10 dicembre, si riuniscono a Roma alcuni Ministri, il presidente della Regione Piemonte, il Presidente della Provincia e il Sindaco di Torino, i

23 Decreto 20 agosto 2002 n°190 di attuazione della Legge Obiettivo, art. 3 comma 9 24 Il sole 24 ore, martedì 11 novembre 2005, pag.4 25 il manifesto, “Tav, blitz nella notte”, mercoledì 7 dicembre 2005, pag. 3 26 Sasso Chiara, op. cit, 2006, pagg. 105 e seguenti

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Presidenti delle Comunità Montane Alta e Bassa Val di Susa, alcuni sindaci della valle e l’Amministratore Delegato di RFI. Questo incontro si risolve nell’istituzionalizzazione di questo ‘tavolo’, nel potenziamento dell’Osservatorio, che diventerà il luogo di confronto per tutti gli approfondimenti di carattere ambientale, sanitario ed economico, anche per dare risposta alle preoccupazioni espresse dalle popolazioni della Valle, e si procederà inoltre all’immediato avvio di una straordinaria procedura VIA per la galleria di prospezione di Venaus, i cui lavori inizieranno solo al termine di tale procedura e dopo che l'Osservatorio avrà presentato la sua relazione conclusiva al "Tavolo di Palazzo Chigi". Il nuovo Governo in carica dalla primavera 2006 ha escluso il nuovo progetto ferroviario dalle procedure della Legge Obiettivo, come primo passo per riaprire il dialogo con la popolazione, ma una riflessione seria sulle priorità d’intervento nelle politiche di trasporto italiane sembra ancora lontana.

In queste pagine si è visto quindi come la storia del progetto del nuovo collegamento ferroviario tra Torino e Lione sia un esempio assolutamente emblematico del punto morto a cui conduce un certo modo, arrogante e decisionista, di pensare alle grandi opere pubbliche, e di come i segnali delle possibili difficoltà fossero presenti già da tempo. 1.4 Caratteristiche della sezione internazionale La sezione internazionale del nuovo collegamento ferroviario tra Torino e Lione si sviluppa per circa 75 chilometri, dal nodo di Torino a Montmélian, che dista da Lione più di 100 chilometri. L’accordo intergovernativo del 2001 descrive la composizione della sezione internazionale del nuovo collegamento, dividendola in tre parti:

• la parte francese tra Montmélian (Sillon Alpin) e Saint Jean de Maurienne

• la parte comune italo francese, da una parte all’altra della frontiera, tra

Bruzolo e Saint Jean de Maurienne

• la parte italiana, da Bruzolo al nodo di Torino27 La sezione internazionale include le seguenti sezioni:

27 Vittadini Maria Rosa, op. cit, 2006c

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• IL Tunnel di base, St Jean de Maurienne - Venaus, 53 km • Il viadotto al Cenischia, 1 km • By-pass Tunnel di Bussoleno, Berno - Bussoleno, 12,5 km • Passaggio all’aperto di Bruzolo, 4.4 km

Tracciato nuova linea ferroviaria. Fonte: LTF

Sezione internazionale. Fonte: LTF

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I tunnel sono costituiti da due gallerie di traffico parallele comprendenti un binario ciascuno. Il diametro delle gallerie è di 8.4 m. Ci saranno passaggi di sicurezza fra le gallerie ogni 400 m. Ci saranno inoltre delle discenderie e dei pozzi per consentire la ventilazione, la manutenzione e l’accesso in caso di emergenza.28

1.5 Chi paga l’alta velocità? Non ripercorrendo per intero il controverso percorso del finanziamento del sistema dell’Alta Velocità italiano, per il quale si rimanda ai lavori puntuali ed efficaci di Ponti, Vittadini e Venosi citati in bibliografia, interessa qui riportare brevemente gli ultimi aspetti legati a questo tema, alquanto controversi. Dal 1 gennaio 2003 infatti, secondo il nuovo schema finanziario introdotto dalla Legge Finanziaria 2003, il sistema dell’alta velocità italiano viene interamente finanziato dalla società “Infrastrutture SPA” (ISPA). Questa società, istituita con Legge n° 112 del 15 giugno 2002, unico azionista la Cassa Depositi e Prestiti, è stata costituita per finanziare grandi opere pubbliche e “…prioritariamente, anche attraverso la costituzione di uno o più patrimoni separati, gli investimenti per la realizzazione dell’infrastruttura ferroviaria per il sistema Alta Velocità/Alta Capacità, anche al fine di ridurre la quota a carico dello Stato”29. Con questo sistema si è cercato di non far pesare sul bilancio pubblico dello Stato i costi del sistema AV, per evitare, con il finanziamento di questo progetto, di ‘sforare’ i parametri di Maastricht. Una volta completate le linee, gli utilizzatori pagheranno e quindi l’intervento produrrà un reddito, che dovrà essere trasferito ad ISPA perché possa restituire il capitale e gli interessi presi a prestito dal sistema bancario, ma se le entrate non dovessero essere sufficienti sarà lo Stato che metterà il resto. (M.R. Vittadini, 2005c) Ma l’Eurostat, con decisione del 23 maggio 2005, ha chiesto la modifica di queste operazioni, e il debito contratto da ISPA è stato riclassificato come debito pubblico “in quanto è stato ritenuto che la garanzia prestata corrisponda ad un effettivo impegno da parte dello Stato a rimborsare la maggior parte di esso”30. Il ‘trucchetto’ quindi non è riuscito.

28 COWI, Analisi degli studi condotti da LTF in merito al progetto Lione-Torino (sezione internazionale), aprile 2006, pag. 78 29 Legge Finanziaria 2003, articolo 75 30 Ministero dell’Economia, Quaderno Strutturale dell’Economia Italiana, 2005, pag. 91

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Il finanziamento dell’Alta Velocità toglie inevitabilmente risorse utilizzabili per gli interventi sulle linee ‘normali’, che allo stato attuale necessitano invece di maggiori investimenti: per il materiale rotabile, per la manutenzione infrastrutturale e per nuovi finanziamenti necessari per ammodernare le linee. L’entità degli investimenti nelle nuove linee e il loro peso rispetto al totale degli investimenti delle ferrovie italiane, come si vede nella sottostante tabella, comporterà, in un futuro non troppo lontano, ed in parte già avviene laddove le linee veloci si stanno realizzando, una marginalizzazione delle linee ordinarie, facendo mancare importanti risorse per il loro adeguamento.

Investimenti del gruppo Ferrovie dello Stato S.p.A. Fonte: Ministero Economia e Finanza

Il problema è quindi capire se alla fine della costruzione delle linee TAV, con la conseguente ‘liberazione’ delle linee storiche dagli Eurostar, rimarranno sufficienti risorse per compiere una modernizzazione anche delle linee ordinarie, che in alcuni contesti sono fondamentali per garantire un efficace servizio di trasporto pubblico su ferro.

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2. Il Progetto 6 nel contesto delle Trans-European transport network (TEN-T) Governare le trasformazioni e orientare i cambiamenti sono precisi compiti della politica, che dovrebbe porsi il difficile obiettivo di ‘disegnare’ il futuro attraverso dei buoni piani. Ma non è semplice e alle difficoltà, di per sé immanenti ad un processo di pianificazione, si aggiunge oggi il rapido evolversi delle relazioni internazionali, sociali ed economiche. Chi può dire con certezza come il nostro continente, l'Europa, si relazionerà con i nuovi paesi emergenti dell'est asiatico, in termini di scambi economici, sociali, culturali? Quante e quali merci e servizi si scambieranno le due macro aree? Nel momento in cui i disegni strategici si fondano su previsioni e analisi errate o, peggio ancora, di tipo propagandistico e ideologico, i tentativi di programmazione di lungo periodo risultano obsoleti nel giro di pochi anni. Questo sembra essere il caso della programmazione infrastrutturale che ha portato alla progettazione della rete europea TEN (Trans European Network). Questa rete è nata ed è stata impostata assecondando le richieste 'particolari' di ogni singolo Stato, interessato a veder assegnato l'aggettivo “europeo” a singoli progetti delle cosiddette 'grandi opere', che spesso non rispondono alle caratteristiche o agli obiettivi generali dell’Unione stessa. L'Italia, ad esempio, si è vista riconoscere il ponte sullo Stretto di Messina come parte del corridoio tra Palermo e Berlino, o il tunnel di base della nuova linea ferroviaria ad alta velocità/capacità tra Torino e Lione. L’inserimento di quest’ultimo nell’elenco dei progetti prioritari è emblematico. Dopo l’iniziale esclusione del progetto ad opera del Gruppo Van Miert, il Gruppo di lavoro incaricato di rivedere i progetti prioritari della rete TEN, il Ministro Lunardi va a Bruxelles ad implorare il suo reinserimento tra le priorità dell’Unione. Il Commissario dichiara allora che il progetto è una priorità europea e che nuovi studi e approfondimenti sono inutili: il progetto dovrà essere comunque realizzato. Il Governo Italiano può quindi vantare una presunta ‘vittoria’, ribadendo che il progetto è di interesse europeo, e chi si oppone all’opera si oppone all’intera Unione. L'Europa, dimostratasi debole nel suo ruolo di coordinamento, spesso fattasi strumentalizzare dai singoli governi, tenendo atteggiamenti a dir poco

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ambigui, ha così perso in parte una grande occasione per progettare un sistema di mobilità differente da quello attuale, orientandolo alla sostenibilità, e più che progettare e assecondare nuovi assi infrastrutturali in territori già densamente urbanizzati e infrastrutturati, avrebbe dovuto risolvere l'accessibilità alle grandi concentrazioni metropolitane e produttive, oggi fonte di grandi criticità. 2.1 La nascita della rete La rete transeuropea di trasporto (TEN-T) nasce da una decisione del 1996 che ha disegnato una rete transnazionale di trasporto (ferrovie, strade, aeroporti, porti) che deve tendere a diventare continua ed integrata. Il trattato di Maastricht, nel 1992, dà alla Comunità il compito di sostenere la creazione e lo sviluppo di reti transeuropee di trasporto e di infrastrutture per le telecomunicazioni e l’energia. Lo slancio politico a proseguire con lo sviluppo delle linee guida per le TEN arriva dal Consiglio Europeo di Bruxelles, nel dicembre 1993, con l’approvazione del Libro bianco della Commissione e l’istituzione di gruppi di lavoro, per esempio del Gruppo Christophersen per la rete dei trasporti, per dare il via a studi di fattibilità e definire i progetti che necessitavano di sovvenzioni. Le idee di base per le TEN sono elencate nel Libro Bianco della Commissione sulla crescita, la competitività e l’occupazione, presentato al Consiglio Europeo nel dicembre 1993. Il Libro Bianco sottolineava il ruolo della Comunità per integrare operazioni nazionali nel più ampio contesto dell’interesse comunitario. Il fine di dette reti era da ricercare in un obiettivo generale di coesione economica, sociale e territoriale e uno degli scopi principali era “collegare isole, paesi senza sbocco sul mare e regioni periferiche con le regioni centrali della Comunità”. Si evidenziava inoltre che le reti potevano aiutare a creare posti di lavoro, non solo nella costruzione di infrastrutture, ma anche nella conseguente stimolazione della crescita. Tali obiettivi si basavano principalmente sulla interconnessione e l’interoperabilità delle reti nazionali. I responsabili principali per la realizzazione della TEN-T sono gli Stati membri, mentre a livello comunitario sono indicati una serie di strumenti finanziari per agevolare la realizzazione delle reti e supportare in casi specifici gli Stati membri.

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In seguito il Consiglio adotta i primi progetti di reti di trasporto combinato, su strada e per via navigabile. Su questa linea, i Consigli europei, in particolare quello di Essen (Dicembre 1994), danno una serie di impulsi politici decisivi, chiedendo agli Stati membri e alla Comunità di apportare tutto il sostegno necessario per la realizzazione di quattordici grandi progetti prioritari, da completare entro il 2010. Nel Luglio 1996 il Parlamento Europeo e il Consiglio adottano con decisione n. 1692/96/CE le linee guida per lo sviluppo della rete transeuropea di trasporto (TEN-T), pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 9 settembre 1996. Tali linee guida prevedono:

Gli obiettivi (infrastrutture terrestri, marine e aeree integrate per assicurare una mobilità sostenibile di persone e merci, alta qualità delle infrastrutture, ecc.), le priorità e le linee generali delle misure previste per il settore della rete transeuropea di trasporto;

La necessità di interconnessione e interoperabilità con reti di paesi non appartenenti all’UE;

Le caratteristiche dei “progetti di interesse comune”; La necessità di tenere in considerazione l’ambiente, compresa la

richiesta della Commissione di definire metodi per una valutazione ambientale strategica delle TEN;

Le caratteristiche delle diverse reti (strade, rotaie, corsi d’acqua interni e porti, porti di mare, aeroporti, reti di trasporto intermodali oltre ad altre reti di gestione e di informazione);

Piantine dettagliate di reti stradali, ferroviarie e aeroportuali e una piantina meno dettagliata per la rete di trasporti intermodale;

Un elenco di 14 progetti prioritari. Nel Maggio 2001 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno modificato gli schemi della 1692/96/CE con decisione n. 1346/2001/CE onde integrarvi i porti marittimi e di navigazione interna, enfatizzando, per tale via, la dimensione multimodale della rete. Nel settembre 2001, la Commissione ha pubblicato un Libro Bianco1 sul futuro della politica dei trasporti nel quale ribadiva la necessità di completare la rete e proponeva una parziale revisione dell’elenco dei progetti prioritari di Essen. 1 Commissione Europea, Libro bianco. La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte, 2001

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2.2 Il Gruppo Van Miert Successivamente alla pubblicazione di questo Libro Bianco, la Commissione ha avviato un processo di riesame degli orientamenti stabiliti con la decisione n.1692/1996/CE, ed in seguito alle raccomandazioni del 2003 del gruppo di alto livello presieduto da Karel Van Miert sulle TEN-T, ha presentato una proposta di modifica alla decisione n.1692/96/CE approvata dal Parlamento e Consiglio nell’Aprile 2004 (Decisione n.884/2004/CE) . Il rapporto Van Miert, le cui decisioni saranno analizzate in seguito, ha proposto di ampliare l’elenco di progetti prioritari del 1996 e di prevedere nuove possibilità di finanziamento da parte dell’Unione e una nuova e migliore forma di coordinamento. Le TEN-T sono state modificate per rispondere alle difficoltà, soprattutto di ordine finanziario, incontrate nel primo decennio e per aggiornare il piano alle nuove esigenze dell’Europa allargata, ma anche per assecondare le richieste di singole nazioni. Il limite temporale entro il quale concludere i progetti è spostato dal 2010 al 2020; è presentato un elenco di 30 progetti prioritari adattato alla dimensioni dell’Unione allargata che, oltre ad includere i 14 progetti individuati nella decisione n.1692/96/CE, comprende le autostrade del mare ed il progetto di navigazione satellitare Galileo. Ai progetti prioritari individuati nella suddetta decisione è assegnata la classificazione di “progetti di interesse europeo”, il che permette l’uso prioritario delle risorse comunitarie disponibili nel quadro delle regole applicabili agli strumenti finanziari comunitari dedicati alla reti transeuropee. Per facilitare l’attuazione dei progetti, in modo particolare quelli transfrontalieri o sezioni transfrontaliere di essi, la Commissione può designare un coordinatore europeo. Si tratta di una persona che, in collaborazione con gli Stati membri interessati, promuove metodi comuni di valutazione e può consigliare i promotori di progetti in merito alla copertura finanziaria dei progetti, rafforzando, per tale via, il coordinamento operativo e finanziario degli Stati membri.

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2.3 I progetti classificati “prioritari” I trenta progetti prioritari sono2: 1. Railway axis Berlin-Verona/Milan-Bologna-Napoli-Messina-Palermo 2. High-speed railway axis Paris-Brussels-Cologne-Amsterdam-London 3. High-speed railway axis of south-west Europe 4. High-speed railway axis east 5. Betuwe line 6. Railway axis Lyons-Trieste-Divaca/Koper-Divaca-Ljubljana-Budapest-

Ukrainian border 7. Motorway axis Igoumenitsa/Patras-Athens-Sofia-Budapest 8. Multimodal axis Portugal/Spain–rest of Europe 9. Railway axis Cork–Dublin–Belfast–Stranraer 10. Malpensa airport 11. Øresund fixed link 12. Nordic triangle railway/road axis 13. United Kingdom/Ireland/Benelux road axis 14. West coast main line 15. Galileo 16. Freight railway axis Sines/Algeciras-Madrid-Paris 17. Railway axis Paris–Strasbourg–Stuttgart–Vienna–Bratislava 18. Rhine/Meuse–Main–Danube inland waterway axis 19. High-speed rail interoperability on the Iberian peninsula 20. Fehmarn belt railway axis 21. Motorways of the sea 2 Cfr. Commissione Europea, Trans-European Transport Network. TEN-T priority axes and projects 2005

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22. Railway axis Athens–Sofia–Budapest–Vienna–Prague–Dresden 23. Railway axis Gdansk–Warsaw–Brno/Bratislava–Vienna 24. Railway axis Lyons/Genoa–Basle–Duisburg–Rotterdam/Antwerp 25. Motorway axis Gdansk–Brno/Bratislava–Vienna 26. Railway/road axis Ireland/United Kingdom/continental Europe 27. ‘Rail Baltica’ axis Warsaw–Kaunas–Riga–Tallinn–Helsinki 28. ‘Eurocaprail’ on the Brussels–Luxembourg–Strasbourg railway axis 29. Railway axis of the Ionian/Adriatic intermodal corridor 30. Inland waterway Seine–Scheldt

La rete TEN-T. Fonte: Commissione Europea

Attualmente la rete TEN-T è formata da 72.500 chilometri di strade, 78.000 chilometri di ferrovie, 330 aeroporti, 270 porti marittimi internazionali e 210 porti per la navigazione. Fino ad ora sono stati completati solo tre progetti: l’aeroporto di Malpensa, il ponte di Öresund e la linea ferroviaria Cork-Dublino-Belfast-Stranraer.

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2.4 Dalla rete TEN-T ai Pan-european Corridors (PEC) Parallelamente alla definizione dell’assetto della rete di trasporto interna all’Unione Europea, la Commissione si è posta l’obiettivo di individuare dei collegamenti con i paesi confinanti in modo da creare una continuità tra le reti TEN-T e le loro proiezioni verso est, ed a seguito delle Conferenze paneuropee di Praga (1991), Creta (1994) ed Helsinki (1997) sono stati identificati dieci corridoi multimodali.3

Anche qui il carattere ideologico sembra essere presente, con la rete che viene chiamata “per la pace e lo sviluppo”. La seconda conferenza paneuropea sui trasporti (Creta 1994), in particolare, ha individuato nove corridoi plurimodali di trasporto, ritenuti importanti per il miglioramento dei collegamenti con queste regioni dell’Europa. Per la realizzazione di tali corridoi la Comunità ha previsto la sottoscrizione di Protocolli di Intesa per ciascuno di essi da parte dei vari paesi interessati, nei quali sono precisati gli itinerari, le infrastrutture di trasporto e tutti gli aspetti tecnici necessari a coordinare i lavori. La Conferenza di Helsinki ha confermato i corridoi come strumenti finalizzati al potenziamento delle infrastrutture e dei servizi di trasporto nell’Europa centro-orientale. La Conferenza ha segnato il passaggio dal concetto di “corridoio” a quello più ampio di “area” di trasporto via mare, definendo quattro Aree Paneuropee di Trasporto (PETRA): l’euro-artica di Barents, quella del bacino del Mediterraneo, del bacino del Mar Nero e quella adriatico-ionica. Questa integrazione colma una lacuna nel disegno della rete infrastrutturale, precedentemente sconnessa dalle tratte intercontinentali. Ora i corridoi si configurano come direttrici di trasporto terrestre spesso con uno o entrambi i terminali in un porto marittimo in modo da assicurare la continuità via mare, con grande vantaggio per il trasporto intermodale e, in particolare, per il combinato terra-mare delle merci. La Conferenza ha dato quindi le indicazioni per la messa a punto delle connessioni necessarie a porre in essere una rete paneuropea di trasporto integrata con la TEN-T.

3 Cfr. Commissione Europea, Networks for peace and development. Extension of the major trans-European transport axes to the neighboring countries and regions, 2005

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2.5 Il finanziamento della rete TEN-T L’attuazione dei progetti della rete transeuropea di trasporto si scontra principalmente con i problemi legati al finanziamento delle opere. Il costo totale della rete TEN-T, incluse le autostrade del mare, è valutato intorno ai 600 miliardi di euro; spesa troppo elevata per essere coperta interamente con finanziamenti pubblici. Oltre ai finanziamenti degli Stati membri, anche la Comunità partecipa al finanziamento della rete transeuropea di trasporto. Infatti, con regolamento n. 2236/95/CE sono state fissate le norme generali per la concessione di contributi finanziari comunitari a «progetti di interesse comune» nel settore delle reti transeuropee. Il contributo comunitario può assumere varie forme, ma non può di norma essere superiore al 50 % del costo totale di uno studio4. Inoltre, è stabilito che il contributo finanziario della Comunità non può superare il 10% del costo totale del singolo intervento. Nel 1999 il Consiglio ed il Parlamento europeo hanno modificato le suddette norme con il regolamento n. 1655/99/CE prevedendo la possibilità per la Commissione di investire una parte modesta delle risorse accordate ai progetti in fondi di capitale di rischio. L’obiettivo è di accedere alle risorse potenzialmente più ampie dei fondi di pensione e delle compagnie di assicurazione per finanziare progetti della rete transeuropea.

Modalità di finanziamento rete TEN-T. Fonte: Commissione Europea

4 In casi eccezionali debitamente motivati, su iniziativa della Commissione e con l'accordo degli Stati membri interessati, la partecipazione comunitaria può superare il limite del 50 %

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Inoltre, è stato stabilito di aumentare dal 10% al 20% del costo totale del singolo intervento il contributo finanziario della Comunità, e di assegnare il 55% dei contributi ai progetti ferroviari e non oltre il 25% per quelli stradali. Accanto agli importi previsti ogni anno dalle linee di bilancio TEN-T, sono possibili come modalità di finanziamento i contributi apportati dal Fondo di Sviluppo Regionale (FESR) e dal Fondo di Coesione. Inoltre, il gruppo BEI, composto dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e dal Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI) partecipano anch'essi al finanziamento della TEN-T; la prima concedendo prestiti a tassi agevolati e il FEI garantendo i prestiti. La BEI è autorizzata a finanziare fino al 50% del costo di investimento dei progetti e rappresenta inoltre la principale fonte di fondi bancari. 2.6 Alcune considerazioni sul Gruppo Van Miert

Il Gruppo di alto livello Van Miert si è riunito, come scritto in precedenza, durante la prima metà del 2003, con il mandato di identificare una lista di progetti, "le infrastrutture più importanti per il traffico internazionale, tenendo presente gli obiettivi generali di coesione del continente europeo, riequilibrio modale, interoperabilità e riduzione dei colli di bottiglia". I progetti valutati dal Gruppo sono stati cento, che alla fine del lavoro ne ha selezionati ventidue, oltre ai cinque progetti della lista "Essen" in fase di ultimazione. Al Gruppo è stato richiesto di valutare ciascun progetto, prendendo in considerazione "la sua conformità con gli obiettivi delle politiche europee dei trasporti, il suo valore aggiunto comunitario, ed il carattere sostenibile del suo finanziamento fino al 2020". Il lavoro del Gruppo è un primo tentativo di andare oltre l'approccio nazionale che era alla base della selezione dei progetti della lista "Essen", quando i semplici interessi nazionali dominavano la procedura di decisione, e il fatto che solo il 20% di quei progetti sia stato realizzato mostra la mancanza di visione europea della lista "Essen". Il Gruppo identifica anche altre ragioni dietro il mancato completamento di questa lista, come la mancanza di studi avanzati, l'esistenza di vincoli ambientali, e l'opposizione delle comunità locali coinvolte, ma non è arrivato a proporre una revisione parziale della lista, anzi ha aumentato il numero di progetti ritenuti prioritari. Il Gruppo di lavoro ha comunque riconosciuto che, anche se certi

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vincoli strategici mancanti devono essere costruiti, un uso più efficiente delle reti esistenti è indispensabile per un'organizzazione del traffico efficiente, e che per valutare i progetti è importante misurare il contributo del progetto alla coesione europea, così come quello dato al trasferimento modale di quote rilevanti di passeggeri o tonnellate per chilometro dalla strada ad altre modalità di trasporto. Ha sottolineato che il riequilibrio tra i modi di trasporto significa anche una promozione più vigorosa dell'intermodalità e che ciascun progetto deve essere parte di una catena di trasporto, trovando la combinazione ottimale dei modi di trasporto esistenti e la necessità di elaborare un quadro comune di tariffazione delle infrastrutture. Il Gruppo ha poi rilevato come sia necessaria una metodologia europea comune di valutazione strategica dell'impatto ambientale per tutti i progetti prioritari. La Commissione Van Miert non affronta però quella che è la proposta più innovativa del Libro Bianco sui trasporti della Commissione Europea del 2001: il de-coupling, la separazione tra crescita economica e crescita dei trasporti. Se non si prendono misure specifiche in tal senso, il traffico merci pesante su strada è destinato ad aumentare notevolmente, e proporre nuove infrastrutture senza fare raccomandazioni su come applicare il de-coupling vuol dire rimandare il problema della congestione alle generazioni future. La definizione poi, di “ciò che è buono per la coesione socio-economica e territoriale” appare troppo vaga. L’uso dell’impegno di uno stato membro a finanziare l’opera, come criterio di selezione di un progetto, non appare adeguato, in quanto può portare a contraddizioni quali la selezione del ponte di Messina come progetto prioritario, considerato che il governo Berlusconi III si era impegnato a finanziarlo. E gli stessi collegamenti ferroviari ad alta velocità solitamente acuiscono gli squilibri regionali, invece di diminuirli, collegando tra loro solo i poli metropolitani. Le analisi della commissione Van Miert si sono poi rivelate parziali sotto alcuni punti di vista, tra i quali quelli maggiormente evidenti risultano essere: congestione urbana approccio per corridoio interazioni tra progetti diversi

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In un contesto nel quale la domanda di mobilità più importante per merci e passeggeri è di corto raggio e l’accesso locale ai collegamenti è cruciale per risolvere i problemi di mobilità, il Gruppo ha escluso dal suo campo di analisi proprio la congestione urbana, uno dei maggiori problemi da risolvere, che fa ricadere i suoi impatti sui tempi di accesso ed egresso alle reti principali. In Europa persiste una grave carenza di collegamenti ferroviari tra regioni di frontiera e la realizzazione del mercato comune, abolendo le frontiere artificiali, è un dovere prioritario dell’Unione e dovrebbe essere promossa specialmente attraverso lo sviluppo di infrastrutture sostenibili nelle regioni transfrontaliere. L’approccio per corridoio dovrebbe quindi essere parzialmente sostituito da un approccio per area transfrontaliera, dando priorità assoluta ai collegamenti transfrontalieri, che si integrerebbero quindi nelle reti regionali e nazionali. Il Gruppo poi non ha sufficientemente indagato le interazioni possibili tra i grandi progetti di infrastruttura: ad esempio, la realizzazione dei due tunnel di base attraverso la Svizzera (Loetschberg e Gottardo), solleva forti interrogativi sull’utilità dei progetti di tunnel previsti del Brennero e della Torino-Lione. Un’osservazione simile può essere fatta per il progetto dell’Öresund in relazione alla proposta di cintura ferroviaria Fehmarn nel “triangolo nordico” (G. Solera e A. Beugelink, 2003). 2.7 Il Progetto Prioritario numero 6 L’Asse prioritario Lione-Torino-Milano-Venezia-Trieste-Budapest (PP6) prevede la costruzione di circa 750 chilometri di nuove linee (per velocità comprese fra 250 e 300 km/h) in Francia e in Italia, nonché l'adeguamento di oltre 500 km di linee esistenti, principalmente in Slovenia e in Ungheria. L’idea di una linea ferroviaria ad alta velocità, che colleghi Italia e Francia, inizia a prender corpo già nei primi anni ’90, come abbiamo visto nel capitolo precedente. Uno stimolo decisivo proviene dalla parte francese, affascinati dal successo del TGV Parigi-Lione, che ha incrementato l’importanza socio-economica dei territori attraversati. La regione di Rhône-Alpes e il suo capoluogo Lione intravedono la possibilità di diventare un’area importante e strategica non solo a livello nazionale, ma anche internazionale, con la città che diventerebbe centro nodale fra il flusso di merci nord-sud e quelli internazionali dell’asse ovest-est. Nel 1994 questa tratta viene inserita fra i progetti infrastrutturali prioritari, in occasione del Consiglio Europeo di Essen.

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Nel 1996 viene siglato un accordo fra i Ministri dei Trasporti italiano e francese per la creazione di una Commissione Intergovernativa per la realizzazione della tratta, internazionale, Montmélian-Torino. 2.7.1 Le tratte previste Il PP6, che collega Lione e Budapest, può essere ripartito in più sezioni distinte, tanto per le caratteristiche quanto per lo stato di avanzamento. Comprende tre tratte transfrontaliere (Francia-Italia, Italia-Slovenia e Slovenia-Ungheria), di cui le prime due sono in zone di montagna che richiedono interventi strutturali rilevanti e comportano un onere estremamente consistente in termini di fabbisogno di finanziamenti.

Il tracciato del Progetto 6. Fonte: Commissione Europea

Di seguito l'elenco completo delle tratte5: Sezione Lione - Chambéry: il progetto prevede la realizzazione di una linea ad alta velocità per i passeggeri. Per il momento non è stata fissata alcuna data ufficiale, ma è difficile prevedere che tale sezione entri in funzione prima del 2015. Sezione Chambéry - St Jean de Maurienne: è stato realizzato lo Studio preliminare e sono stati avviati studi complementari al fine di individuare l’opzione più realista e meno onerosa tenuto conto della necessità di realizzare due gallerie di oltre 20 km. I lavori sulla sezione dovrebbero 5 Cfr. De Palacio Loyola, Relazione annuale di attività del coordinatore europeo. Progetto prioritario n. 6, Bruxelles, Luglio 2006

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svolgersi in parallelo a quelli per la galleria di base. Dovrebbe essere attivata intorno al 2020. Sezione franco - italiana (galleria di base), St. Jean de Maurienne-Bruzolo, la data più realistica per il suo completamento si situa, nel migliore dei casi, verso il 2019-2020. La realizzazione di tale sezione incontra l’opposizione degli abitanti della Valle di Susa. Bruzolo - Torino: prevista inizialmente per il 2011-2012, la realizzazione di questa tratta è ormai rimandata al 2014-2015 (comprende anche l’adeguamento del nodo di Torino, modificato dal Comune in modo da non essere più in superficie ma in galleria), con costi e tempi di realizzazione superiori alle previsioni precedenti, ma non si possono escludere ulteriori modifiche al progetto. Sezione Torino - Milano: in fase di costruzione, la prima sottosezione Torino- Novara è entrata in funzione nel febbraio 2006 e la sezione Novara-Milano dovrebbe essere inaugurata all’inizio del 2009. Sezione Milano - Treviglio: in fase di realizzazione (costruzione di due nuovi binari paralleli a quelli esistenti) con una capacità di oltre 500 treni al giorno. Attivazione prevista per fine 2006. Treviglio - Verona: l’approvazione del progetto doveva avere luogo a fine 2005 e l’inizio dei lavori era previsto per il 2006. Per il momento il calendario non è stato confermato e dipenderà in larga misura dalle decisioni di bilancio che deve prendere il governo italiano. Verona - Padova: la sezione presenta dei problemi e in particolare l’attraversamento di Vicenza è stato oggetto di nuovi studi di tracciato e inserimento nel territorio. Nella migliore delle ipotesi, i lavori non potranno cominciare che nel 2009 per concludersi verso il 2015. Padova - Mestre (Venezia): in fase di realizzazione (costruzione di due nuovi binari paralleli a quelli esistenti) con una capacità di oltre 500 treni al giorno. Attivazione nel 2008. Mestre (Venezia) - Trieste: studi in corso. Numerose ipotesi, in particolare per quanto concerne il tracciato, sono allo studio per il collegamento con la

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rete slovena. Poiché il costo dell’infrastruttura è molto elevato (circa 5 miliardi di EUR), non si esclude di realizzare tale tratta per tappe. Trieste/Koper - Divača: il tracciato, il tipo di progetto e le date di realizzazione devono ancora essere definiti. Persistono incertezze quanto alla realizzazione della sezione internazionale anche se all’inizio del 2006 è stato avviato uno studio, nel quadro di Interreg IIIa. È poco probabile che la realizzazione della tratta transfrontaliera possa iniziare prima del 2012-2013. Divača - Lubiana - frontiera ungherese: sono in corso lavori di adattamento sulle linee esistenti come pure studi per il nuovo collegamento fra Lubiana e il porto di Koper (con infrastruttura parzialmente di nuova costruzione). Il piano sloveno per le infrastrutture prevede investimenti consistenti per la parziale ricostruzione della linea Divača-Lubiana (calendario da definire) mentre oltre Lubiana e fino alla frontiera ungherese l’infrastruttura, per quanto obsoleta, dovrebbe, in una prima fase, essere oggetto solo di una limitata modernizzazione (elettrificazione, soppressione di passaggi a livello). Frontiera ungherese - Budapest: sono previsti lavori di adeguamento (alcuni già in corso) al fine di modernizzare l’infrastruttura: elettrificazione, aumento della velocità e soppressione di passaggi a livello. Secondo le stime, il costo totale dell’asse è di circa 39 miliardi di EUR, la maggior parte dei quali deve ancora essere impegnata. Il costo della sola tratta Lione-Torino ammonta a più di 15 miliardi di EUR, di cui 6,7 miliardi per la sola sezione transfrontaliera (galleria di base).

Prospetto costi e contributi europei. Fonte: Commissione Europea

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2.7.2 Stato di avanzamento del progetto Come scritto in precedenza, il Gruppo di lavoro Van Miert ha previsto, con l'obiettivo di facilitare l’attuazione dei progetti, in modo particolare quelli transfrontalieri o sezioni transfrontaliere di essi, la possibilità, da parte della Commissione Europea, di designare un coordinatore europeo dei singoli progetti. Il coordinatore del Progetto 6 è la Signora Loyola de Palacio. Dalla relazione annuale presentata nel Luglio 2006 si legge, in riferimento alle difficoltà incontrate nella realizzazione del progetto che:

[...] esso si trova confrontato a quattro gravi problemi che le autorità interessate devono affrontare tempestivamente:

• un problema di coerenza di pianificazione della realizzazione di sezioni contigue (all’interno delle tratte individuate dal coordinatore)

• l’opposizione al progetto di una parte della popolazione della Valle di Susa (attraversata da esso), che potrebbe portare a delle ripercussioni tanto sul calendario di realizzazione quanto sulla coerenza dell’asse nella sua globalità

• incertezze quanto agli impegni finanziari degli Stati per talune sezioni e l’esigenza di ottenere un incentivo comunitario adeguato per compensare l’insufficienza dei finanziamenti nazionali

• La mancanza di coerenza nelle caratteristiche dell’infrastruttura sulle sezioni slovene e ungheresi.

Oltre a questi quattro punti bisogna tenere conto di un altro aspetto non trascurabile. Al momento, se si eccettua la parte transfrontaliera franco-italiana, non esiste né una pianificazione integrata, né una reale visione globale dello sviluppo del corridoio nel suo insieme, con problemi di divergenze nel calendario oppure di scelta del tipo di infrastruttura lungo l’asse. 6

Dalla lettura della relazione appaiono evidenti i problemi ancora da risolvere per la realizzazione del Progetto, legati principalmente alla mancanza di coordinamento e di pianificazione dell'intera linea. In effetti, se si va a guardare quali sono le tratte attualmente in fase di costruzione, queste sono solo due, tra Torino e Milano e tra Padova e Venezia, per restare in Italia, e tra Verona e Padova il progetto non è definito, così come lungo la tratta

6 Cfr. De Palacio Loyola, op. cit, 2006, pag.14

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Venezia-Trieste. Sostenere quindi che la colpa della mancata realizzazione del Corridoio V è da far ricadere sulla popolazione della Val di Susa, come fa anche de Palacio7, è quantomeno fuorviante e non corrisponde assolutamente al vero. Anche perché chi può sostenere con certezza che, risolta l'impasse in Val di Susa, non possano nascere e svilupparsi altre contestazioni simili per altri tratti della nuova linea? Ad esempio in Friuli Venezia Giulia8, dove è già attivo un movimento di contestazione, solamente meno 'famoso'. E poi, visti i precedenti, ci sarebbe solo da aspettarselo. 2.7.3 Alcune considerazioni su ruolo e significato del Corridoio L'idea originaria di corridoio dell'Unione Europea si sostanzia nella presenza di più infrastrutture lineari, orientate all'intermodalità, che attraversano un ambito spaziale di riferimento, con uno scambio privilegiato di relazioni economiche e commerciali, grazie anche ad una serie di investimenti nel lungo periodo da parte di diversi attori pubblici e privati. Si tratta di un'opzione mobilitante, che viene dall'alto, ma che allo stesso tempo non viene specificata in tutti i suoi contenuti, né tantomeno riguardo al programma di finanziamento. Un corridoio andrebbe dunque interpretato dal basso, a partire proprio dalle opportunità dei diversi luoghi che attraversa: dalle regioni e dalle città e dai sistemi produttivi e commerciali che ne fanno parte e ne beneficiano, dagli operatori economici, dai gestori di infrastrutture e, non ultime, dalle comunità locali di cittadini direttamente coinvolte dal tracciato (F. Migliorini, 2004). Il corridoio va pensato come un'area all'interno della quale esistono differenti sistemi urbani e industriali, che quindi del corridoio stesso devono essere i primi beneficiari e ogni sistema dovrebbe avere un interesse ad esprimere il proprio contributo, allo scopo di trarne il maggior vantaggio possibile. Il concetto di corridoio si basa dunque sul coinvolgimento delle popolazioni attraversate, vera spinta propulsiva alla realizzazione dello stesso, e non su di infrastrutture che bypassano gli interessi locali. Il corridoio è una direttrice importante e l’UE invita i singoli Stati ad apportare modifiche e miglioramenti in modo coordinato e coerente lungo una 7 “Al momento si tratta dell’aspetto più delicato che potrebbe incidere sullo sviluppo dell’insieme dell’asse prioritario. Il cantiere di Venaus è bloccato dal 2005 a causa dell’opposizione di una parte degli abitanti della valle. I ritardi che ne derivano hanno assunto ormai proporzioni inquietanti”, de Palacio, op. cit, 2006, pag. 11 8 Vedi il CCC5, Comitato Contro il Corridoio 5 di Udine

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determinata direttrice, ma col presupposto che tali miglioramenti vadano incontro principalmente alle necessità di ciascuno dei territori attraversati. Il corridoio, in termini reali, è il coordinamento di tanti interventi utili a ciascuno dei diversi poli attraversati, un luogo dove dovrebbero convivere, con la massima efficienza, trasporti di breve, media e lunga distanza, e dove l'esistenza di un percorso lungo e coordinato, che vada ad esempio da Lisbona a Kiev, può essere visto come una ricaduta positiva (M.R. Vittadini, 2005). Non come l'obiettivo primario al quale tendere9, perché non è possibile sostenere che “l'importanza del Corridoio V risieda nel nesso geografico di relazioni dirette iberico-danubiane, di cui la storia europea moderna non ha ancora evidenziato significativi sviluppi”10, come invece molti politici italiani sembrano sostenere11, e probabilmente mai li evidenzierà. Il corridoio non ha in sé senso funzionale, perché i traffici che lo attraversano sono in prevalenza interni ai Paesi coinvolti e non transfrontalieri. Semmai, i problemi dei traffici di lunga distanza sono in gran parte dovuti alla congestione delle reti regionali, e dunque la loro soluzione passa attraverso il miglioramento di queste reti (M. Ponti, 2003). Il corridoio poi deve essere estremamente permeabile e avere scambi a breve e medio raggio, essendo in questo, metaforicamente parlando, più simile ad una spugna, che assorbe e rilascia lungo il percorso, che non a una condotta, che trasferisce da un capo all'altro, senza relazioni con i territori attraversati. Proprio per questo il valore del corridoio è direttamente proporzionale all'entità della domanda servita e questo induce a considerare non solo i nodi fondamentali, ma anche, soprattutto, la rete dei sistemi infrastrutturali minori a lui afferenti, con la loro capacità d'integrazione e di scambio con i sistemi locali coinvolti nel tracciato (F. Migliorini, 2004). E, in questo, le linee ad alta velocità svolgono un ruolo opposto, essendo pensate e progettate per servire nodi importanti distanti tra di loro, per meglio sfruttare la loro caratteristica principale: la velocità. La lista dei trenta progetti prioritari redatta dal Gruppo Van Miert presenta il Progetto 6 tra Lione e Budapest come “railway axis” e non, come

9 Meno dell’1% del traffico totale sull’attuale linea Torino-Lione riguarda flussi di merci fra la Francia e la Slovenia, vedi rapporto COWI su “Analisi degli studi condotti da LTF in merito al progetto Lione-Torino” 10 Migliorini Franco, «Il Corridoio V paneuropeo», in Urbanistica, n° 124, 2004 11 Come esempio si legga Guglielmo Ragozzino, «La tav pende un po' sul centro sinistra»,da il manifesto, 29 novembre 2005, dove all'interno dell'articolo Berlusconi parla di “comunicazioni tra Atlantico e Pacifico”, ma molti altri interventi, più o meno recenti.

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il Progetto 2, tra Parigi e Londra, “high-speed railway axis”. Questo sottolinea come il progetto del Corridoio 5 possa esistere ed essere realizzato anche senza un nuovo collegamento ferroviario ad alta velocità tra Torino e Lione, in quanto l'importante è coinvolgere tutte le realtà locali all'interno del progetto, quindi non è vero che, come si afferma, la linea ad alta velocità va fatta perché ce lo chiede l'Europa12. L'Europa chiede di considerare il corridoio come supporto allo sviluppo di relazioni più intense tra le aree attraversate, considerate nella loro interezza, perché perderebbe il suo significato originario qualora lo si limiti ai singoli elementi che lo compongono. 2.8 Considerazioni conclusive Le proposte relative alle reti TEN pretenderebbero di rigenerare l’economia europea concentrando le risorse finanziarie nella costruzione di infrastrutture. Ma un tale modello di crescita, basato sul settore della costruzione, sostiene un tipo di sviluppo economico con occupazione a breve termine, scarsamente qualificata e a bassa produttività, invece di aumentare la produttività e la competitività dell’economia e del mercato del lavoro. Investimenti per la crescita dovrebbero non solo sostenere la mobilità, ma migliorare altresì la coesione territoriale ed economica e lo sviluppo sostenibile. Nel frattempo gli obiettivi del Protocollo di Kyoto sono ben lungi dall’essere raggiunti e le emissioni di gas che provocano cambiamenti climatici non accennano a diminuire. Dalla tabella sottostante si vede come il settore dei trasporti sia quello che maggiormente contribuisce alle emissioni di CO2 ed è destinato ad aumentare se non si mettono in atto provvedimenti e politiche adeguate.

12 Cfr. Tropeano Maurizio, «Prodi: “La Tav si farà, ce lo chiede l'Europa», da La Stampa, 30 giugno 2006

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Emissioni di CO2 per settore. Fonte: Commissione Europea

Alcuni dei mega-progetti proposti dovrebbero essere abbandonati e dovrebbero essere finanziati solo progetti con un valore aggiunto europeo unanimemente riconosciuto, così da promuovere la riduzione di trasporti non necessari, la modernizzazione delle linee esistenti, la promozione di connessioni interregionali e transfrontaliere e la lotta contro la congestione in aree sensibili, in particolare aree montuose e conurbazioni urbane. Il tasso di cofinanziamento dell’UE del 30% dovrebbe essere applicato solo a progetti con un basso impatto ambientale, che apportino un chiaro contributo allo sviluppo sostenibile, e tener conto della situazione finanziaria dell'Unione. E’ certo vero che la Commissione ha proposto di concentrarsi sul finanziamento di progetti per le ferrovie, ma molti di questi, come i collegamenti ferroviari ad alta velocità fra zone densamente popolate o aree sensibili dal punto di vista ecologico, hanno un notevole impatto ambientale a livello regionale e un impatto sociale sui prezzi dei trasporti e sulla coesione sociale. Gli Stati membri concentrano la maggior parte delle proprie risorse in alcuni mega-progetti, con la giustificazione che “l’Europa richiede che così si faccia”. I collegamenti tra aree metropolitane rischiano così di creare un disequilibrio territoriale all’interno di uno stesso Stato membro. L’Europa quindi dovrebbe rivedere il proprio impegno per certi progetti imponenti, che sembrano giustificarsi solo su presupposti di grave debolezza della politica nei confronti di una ristretta cerchia di portatori di forti interessi economici e, contemporaneamente, correggere il funzionamento del mercato

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grazie a un sistema armonizzato di tariffazione delle infrastrutture, in modo tale che i costi esterni dovuti a inquinamento, congestione, incidenti e danni alla salute siano inclusi nell'analisi costi-benefici del sistema di trasporto.

Abbiamo visto nelle pagine precedenti che il Gruppo Van Miert, in un contesto nel quale la domanda di mobilità più importante per merci e passeggeri è di corto raggio e l’accesso locale ai collegamenti è cruciale per risolvere i problemi di mobilità, ha escluso dal suo campo di analisi proprio la congestione urbana, uno dei maggiori problemi da risolvere, che fa ricadere i suoi impatti sui tempi di accesso alle reti principali.

Se ci spostiamo poi dai passeggeri alle merci, troviamo che la velocità media del trasporto internazionale è di soli 18 km/h: “inferiore a quella di un rompighiaccio in servizio nel Mar Baltico”13, perché molti sono ancora i problemi da affrontare, come i tempi di sosta alle frontiere, i tempi lunghi legati alla sostituzione delle locomotive di un treno merci per verificarne il funzionamento, e la necessità di cambiare macchinisti da uno Stato all’altro.

Un sistema di trasporto ferroviario per essere competitivo non ha bisogno di linee veloci non connesse con il resto della rete, ma necessita in primo luogo di risolvere tutte le questioni legate all’eliminazione di questi ostacoli tecnici, e a quelli dovuti agli scambi e all’interoperabilità dei treni, cioè alla loro capacità di circolare su qualsiasi sezione della rete. Se infatti oramai i vagoni merci e le carrozze viaggiatori sono in grado di circolare su tutta la rete europea, non si può dire lo stesso per le locomotive. Sussistono infatti, come si osserva dalla carta riportata sotto, differenze significative nelle caratteristiche delle reti dei singoli paesi europei, e si può notare come, prendendo banalmente ad esempio il tracciato del Corridoio V da Lisbona a Kiev, l’alimentazione della rete cambia almeno cinque volte.

In questo quadro la rete TEN non sembra intercettare le reali esigenze legate alla mobilità in Europa. L’Unione Europea dovrebbe promuovere la riduzione di trasporti non necessari, la modernizzazione delle linee esistenti, la promozione di connessioni interregionali e transfrontaliere e la lotta contro la congestione in aree sensibili, in particolare aree montuose e conurbazioni urbane.

13 Commissione Europea, Libro bianco. La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte, 2001, pag. 29

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Principali sistemi di elettrificazione della rete ferroviaria europea. Fonte: Libro Bianco, 2001

Per quanto riguarda l'Italia, quello che continua a colpire è la mancanza di un governo delle scelte e delle politiche nel settore dei trasporti. La direttrice Nord-Sud, che con la realizzazione dei tunnel svizzeri si avvia ad essere operativa, non è colta come un imperativo di governo della mobilità, che impedisca, ad esempio, che il trasbordo dai porti e dal mercato interno fino all’imbocco del sistema ferroviario svizzero avvenga a bordo di flotte di TIR destinate a gravare la Pianura Padana e le aree metropolitane di quote aggiuntive di traffico. La Svizzera sta infatti predisponendo infrastrutture, sistemi e imprese di logistica e contestuali misure di limitazione del traffico stradale attraverso le alpi, e i nuovi tunnel ferroviari, del Loetschberg e del Gottardo, dovrebbero avere un effetto dirompente sulle politiche italiane, considerato che tra pochi anni il nord-ovest diventerà un territorio di attraversamento per le merci da e per l'Europa centrale. Certo, anche l’Italia ha in animo la realizzazione di tunnel di base ferroviari transalpini, ma almeno due differenze sono sostanziali: la prima, banale, è che la Svizzera li sta già scavando, ed è in grado di affermare con

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ragionevole approssimazione in che anno queste opere saranno ultimate (il 2007 per il Loetschberg, il 2015 per il nuovo Gottardo)14. La seconda, più sostanziale, è che mentre il tunnel tra Torino e Lione, se verrà realizzato, non provocherà alcun significativo trasferimento modale, né in termini quantitativi né di modalità ferro-gomma, come visto nel primo capitolo di questo lavoro, sulla base degli studi fatti dal Gruppo Economia e Finanza della Commissione Intergovernativa, il nuovo Gottardo metterà in connessione diretta due imponenti bacini suscettibili di forte aumento della domanda di trasporto. Le scelte ferroviarie svizzere avranno dunque senz’altro effetti sul nostro sistema della mobilità, in particolare delle merci, e quindi sul problema di traffico che determinerà crescenti costi esterni in termini ambientali, sanitari e di congestione. Eppure sembra che la realizzazione delle linee ferroviarie atte a scaricare sulla nostra rete l’accresciuta domanda di mobilità non siano una priorità di azione per le nostre regioni.

Traffico merci attraverso le alpi. Fonte: Alpinfo 2004 L’unica risposta, anche in questo caso, sembra essere quella infrastrutturale, con l’ennesima grande opera, come il ‘terzo valico’ di Genova15, progettata a prescindere da ogni considerazione sia di natura ambientale sia di funzionalità rispetto agli obiettivi di trasferimento modale a 14 Cfr. Ambiente Italia, Il trasporto merci nell'arco alpino. Tendenze, scenari, condizioni di sostenibilità, Milano, 2003 15 Cfr. Vittadini Maria Rosa, La linea AV Milano-Genova e il problema del Terzo Valico dei Giovi, ottobre 2005, in www.ricerchetrasporti.com

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favore della ferrovia. L'Italia dovrebbe quindi acquisire dalla Svizzera non solo l'aumento di traffico, ma anche gli aspetti positivi, come l'introduzione di un sistema di

tassazione ‘ecologica’ e trasversale (la tassazione sul trasporto stradale, TTPCP i cui ricavati finanziano, per più della metà dell’importo, la mobilità ferroviaria), il sistema organizzativo delle ferrovie e le politiche industriali che consegnano alla Svizzera il primato del Paese europeo con la più alta percentuale di ricorso al trasporto ferroviario delle merci16.

Provenienza fondi nuovo traforo GottardoFonte: Alptransit

E' necessario adottare subito questo tipo di politiche, anche attraverso uno strumento istituzionale quale il Protocollo Trasporti della Convenzione delle Alpi, un accordo internazionale che l’Italia, per ora, non sembra disposta a ratificare, ma che prospetta un profondo rinnovamento delle scelte relative ai trasporti che interessano l’arco alpino e le regioni che da esso dipendono, e che sarà illustrato nel dettaglio nel prossimo capitolo.

16 Cfr. Ambiente Italia, op. cit, 2003, pag. 18

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3. La Convenzione Internazionale per la Protezione delle Alpi e il Protocollo «Trasporti» La Convenzione per la Protezione delle Alpi, stipulata a Salisburgo il 7 novembre 1991, è il primo accordo multilaterale diretto alla protezione e all’organizzazione di una regione montuosa transfrontaliera sottoscritto da nove parti contraenti (Austria, Francia, Germania, Italia, Liechtenstein, Monaco, Slovenia, Svizzera e Unione europea). Con la ratifica di questa convenzione quadro, le parti si impegnano a realizzare una politica globale diretta alla tutela e alla protezione dell’ambiente alpino, con lo scopo di salvaguardare l'ecosistema naturale delle Alpi e promuovere lo sviluppo sostenibile di quest'area, tutelando anche gli interessi economici e culturali delle popolazioni residenti. Le Alpi costituiscono uno dei principali spazi naturali d'Europa, dove si rileva un vasto patrimonio di biodiversità, costituendo l'habitat per moltissime specie animali e vegetali minacciate; un’area sensibile dove è necessario e possibile avviare piani, programmi e interventi integrati per valorizzare e proteggere le peculiarità di questo vasto territorio. 3.1 Il territorio alpino L'area oggetto della Convenzione si estende su un arco di circa 1000 km di lunghezza e 200 di larghezza, da Vienna a Nizza, coinvolgendo 8 Stati, 27 regioni, 5971 comuni e una popolazione complessiva di circa 14 milioni di residenti. Il territorio italiano è pari al 28% dell'area complessiva1 e interessa le seguenti unità amministrative: Piemonte (Torino, Vercelli, Novara, Cuneo, Verbano Cusio Ossola, Biella), Valle d’Aosta (Aosta), Liguria (Imperia, Savona), Lombardia (Varese, Como, Sondrio, Bergamo, Brescia, Lecco), Trentino-Alto Adige/SudTirol (Trento, Bolzano), Veneto (Verona, Vicenza, Belluno, Treviso), Friuli-Venezia Giulia (Pordenone, Udine, Gorizia).

1 Ministero dell'ambiente e della tutela del Territorio, Relazione sullo stato dell'ambiente 2005, allegato 8

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Campo di applicazione della Convenzione delle Alpi. Fonte: Monitraf

La superficie della Convenzione delle Alpi. Fonte: Ministero Ambiente La Convenzione può essere la base per pensare alle Alpi come spazio di cooperazione, in cui sviluppare azioni di innovazione tecnologica e prestazioni di qualità ambientale in diversi settori chiave, dalla mobilità delle merci all’energia, dalle politiche agro-forestali a quelle per il turismo. Tutto ciò diventa impossibile senza un vero coinvolgimento delle regioni e dagli enti territoriali: la disattenzione nei confronti delle sfide tracciate dalla Convenzione delle Alpi è sicuramente una grave responsabilità, oltre che della politica nazionale, anche di quella locale e regionale, e denuncia una preoccupante incapacità di 'guardare oltre’ da parte di coloro che hanno

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dirette responsabilità amministrative del territorio alpino. La tutela di quest'area è poi fondamentale per preservare le aree sensibili e dotate di elevata biodiversità. Da un recente studio del WWF2, che ha avviato un progetto di Conservazione Ecoregionale individuando le aree prioritarie per la conservazione della biodiversità in tutto l’arco alpino, si è visto come, delle ventisei infrastrutture lineari (sistemi ferroviari, sistemi stradali e assi autostradali) previste dalla Legge Obiettivo che interessano la regione alpina, ben dieci potranno potenzialmente interferire con sette aree prioritarie. Si tratta di quattro infrastrutture stradali e sei ferroviarie, con le infrastrutture stradali che interesseranno complessivamente quattro distinte aree prioritarie, mentre le ferrovie ne interesseranno cinque. Certo non si può affermare che in tutte le aree sensibili coinvolte si avranno impatti devastanti, tuttavia un ampio numero di aree di rilevante pregio ambientale sarà comunque fisicamente eroso dalle opere della Legge Obiettivo, e le diverse aree subiranno sicuramente effetti di disturbo, diversamente distribuiti nel tempo, a causa anche dei differenti impatti negativi che le opere infrastrutturali, in questo caso di interesse nazionale o europeo, comportano. La messa in rete, poi, della Convenzione delle Alpi con altre regioni montane, dovrebbe dare un ulteriore contributo al “Partenariato internazionale per lo sviluppo sostenibile delle regioni montane” concordato al summit mondiale per lo sviluppo sostenibile di Johannesburg del 2002.3

3.2 I Protocolli attuativi Il raggiungimento di tali obiettivi è subordinato alla realizzazione di alcune misure particolari, definite in appositi Protocolli tematici, da intraprendere in dodici settori considerati di prioritaria importanza dalle Parti contraenti. I Protocolli si riferiscono alle seguenti tematiche: a. Popolazione e cultura b. Pianificazione territoriale c. Salvaguardia della qualità dell'aria d. Difesa del suolo e. Idroeconomia f. Protezione della natura e tutela del paesaggio 2 Cfr. WWF, La cattiva strada, Milano, Perdisa editore, 2006 3 Cipra Info, n°73/2004

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g. Agricoltura di montagna h. Foreste montane i. Turismo e attività del tempo libero j. Trasporti k. Energia l. Economia dei rifiuti Di questi dodici Protocolli ne sono stati approvati al momento sette, più il Protocollo per la risoluzione delle controversie, nel corso delle varie Conferenze delle Alpi tenutesi negli ultimi dieci anni. Il Protocollo «Pianificazione territoriale e sviluppo sostenibile» è stato approvato a Chambery, nel corso della III Conferenza delle Alpi, il 20 dicembre 1994. L’obiettivo “generale” previsto dal Protocollo è riconoscere la peculiarità delle Alpi nel quadro delle politiche nazionali ed europee, attraverso l'armonizzazione nell’uso del territorio, la gestione delle risorse in modo misurato e compatibile con l’ambiente, il riconoscimento degli interessi specifici della popolazione del territorio alpino, lo sviluppo economico non sperequato, il rispetto delle identità regionali e le peculiarità culturali, tenendo conto degli svantaggi naturali, delle prestazioni d’interesse generale, delle limitazioni dell’uso delle risorse e del loro valore reale nella determinazione dei relativi prezzi. Il Protocollo «Protezione della natura e tutela del paesaggio» è stato approvato anch’esso a Chambery il 20 dicembre 1994. Obiettivo del Protocollo è di stabilire norme internazionali, in attuazione della Convenzione delle Alpi e tenuto conto anche degli interessi della popolazione locale, al fine di proteggere, curare e ripristinare dove necessario, lo stato naturale e il paesaggio, in modo da assicurare l’efficienza funzionale degli ecosistemi, nonché la conservazione degli elementi paesaggistici e delle specie animali e vegetali selvatiche insieme ai loro habitat naturali. Per raggiungere tale obiettivo risulta necessario, ad esempio, cooperare a livello internazionale per la gestione delle aree protette e di altri elementi del paesaggio naturale e rurale meritevoli di protezione, nonché cooperare al fine dell’osservazione sistematica della natura e del paesaggio, per la ricerca scientifica e per la protezione delle specie animali e vegetali selvatiche, per la definizione di modelli, programmi e piani paesaggistici, per la prevenzione

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e il riequilibrio di compromissioni della natura e del paesaggio. Il Protocollo attuativo «Agricoltura di montagna» è stato approvato sempre a Chambery, nel corso della III Conferenza delle Alpi. I Protocolli attuativi «Difesa del suolo», «Turismo», e «Energia» sono stati approvati nel corso della V Conferenza delle Alpi, tenutasi a Bled il 16 ottobre 1998. Il Protocollo «Trasporti» è stato approvato nel corso della VI Conferenza delle Alpi, tenutasi a Lucerna il 30-31 ottobre 2000. L’obiettivo generale previsto dal Protocollo, che le Parti contraenti si impegnano a perseguire, è l’attuazione di una politica sostenibile dei trasporti (articolo 1), tesa a ridurre gli effetti negativi e i rischi derivanti dal traffico intra-alpino e transalpino a un livello che sia tollerabile per l’uomo, la fauna, la flora ed i loro habitat e a contribuire allo sviluppo sostenibile dello spazio vitale e delle attività economiche. Nelle pagine seguenti saranno affrontati dettagliatamente gli aspetti di questo Protocollo, il cui ambito di applicazione interessa direttamente il progetto di collegamento ferroviario Torino-Lione. 3.3 La ratifica dei protocolli

«La mancata ratifica dei Protocolli da parte di un Paese equivarrebbe a una sua sottrazione dagli impegni di attuazione dell'intero trattato, che rappresenta uno

strumento formidabile per l'attivazione di politiche che guardino allo spazio regionale alpino come a un'area europea di eccellenza, ma al contempo bisognosa di interventi

efficaci [...] in un quadro di sostenibilità ambientale, economica e sociale»

Daniele Meregalli, resp. Coordinamento programma Alpi WWF Italia In Italia la Convenzione delle Alpi è stata ratificata con la L. n. 403 del 14 ottobre 1999 ed è entrata definitivamente in vigore il 27 marzo 2000. Alla fine del 1999, comunque, anche tutti gli altri Stati firmatari avevano concluso l’iter interno di ratifica e pertanto la Convenzione quadro è regolarmente in vigore in Austria, Svizzera, Germania, Francia, Liechtenstein, Italia, Monaco, Slovenia, Unione Europea. Lo stato di ratifica dei Protocolli attuativi, la cui procedura per l’entrata in vigore è la medesima della Convenzione quadro (i protocolli entrano in vigore tre mesi dopo aver depositato i documenti di ratifica presso la Repubblica

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d’Austria in qualità di depositario della Convenzione), non è invece così omogeneo. L’Italia, la Svizzera e l’Unione Europea, per il momento, sono le uniche tre Parti contraenti che hanno solamente firmato i nove protocolli attuativi senza procedere alla ratifica per nessuno di loro.

Stato dell'implementazione giuridica della Convenzione delle Alpi e dei suoi protocolli attuativi – Fonte: Cipra L'Italia, con l’apposizione della firma a tutti i Protocolli attuativi della Convenzione, si é assunta l’onere della ratifica degli stessi, e considerati la delicatezza e il valore strategico, economico e naturalistico del territorio alpino, sembra doveroso procedere finalmente all’adempimento di questo impegno assunto sul piano internazionale. Durante la XIV legislatura, la ratifica e l’esecuzione dei nove Protocolli é già stata sottoposta all’esame delle Camere, ma l’iter parlamentare del disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri del 7 febbraio 2002 non é stato concluso, essendosi prolungato a seguito delle 'navette' tra Camera dei deputati e Senato della Repubblica dovute alle modifiche apportate all’elenco dei Protocolli da ratificare. Tutto questo nutre il sospetto che non si abbia la volontà di risolvere, da un lato, i pressanti problemi del territorio alpino, dall'altro non ci si voglia

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ritrovare in contraddizione con le scelte di politica dei trasporti fin qui costruite. In particolare, è la ratifica del Protocollo «Trasporti» che ha incontrato le maggiori difficoltà e veti incrociati, tanto che il Senato, in data 14 novembre 2003, aveva votato lo stralcio proprio di questo protocollo, in quanto al suo interno vi sono degli aspetti che quella maggioranza non condivideva, come il divieto alla “costruzione di nuove strade di grande comunicazione per il trasporto transalpino” o la possibilità di realizzare nuove infrastrutture ferroviarie solamente se necessarie e quando non si possa incrementare l'efficacia e l'efficienza di quelle esistenti. All'inizio di questa legislatura, la XV, sono stati presentati dei disegni di legge con l'obiettivo di arrivare alla ratifica dei nove Protocolli in un breve periodo. Le proposte di legge n° 181 del 26 aprile 2006 e n° 583 del 10 maggio 2006 riguardano la “Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione internazionale per la protezione delle Alpi”, mentre la proposta di legge n° 661 del 10 maggio 2006 riguarda la sola ratifica del Protocollo Trasporti. Il Ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, ha recentemente4 affermato che la ratifica di tutti i protocolli sarà inserita in un Consiglio dei Ministri ad ottobre 2006, ma a tutt’oggi non si intravede questa scelta, ed è invece probabile che l'atteggiamento ostile, da parte di alcuni settori della maggioranza e dell'opposizione, farà allungare i tempi per la ratifica. 3.4 Il Protocollo “Trasporti” Il protocollo Trasporti è il protocollo più importante dell'intera Convenzione e, forse anche per questo, quello maggiormente ostacolato e che ha incontrato, e incontra tuttora, le maggiori difficoltà. I trasporti sono, secondo una metafora ambivalente, “il motore della Convenzione delle Alpi”5, intendendo con questo la notevole importanza che riveste il traffico all'interno dell'area alpina. Da un lato, la presenza di un livello elevato di traffico, soprattutto di attraversamento, ha reso necessaria la Convenzione, dall'altro, proprio la presenza di un protocollo riguardante i trasporti la ostacola, attraverso il livello politico degli Stati che non la vogliono ratificare, perché ritengono troppo impegnativo e stringente il contenuto del protocollo. 4 Cfr. Resoconto stenografico della Camera dei Deputati, 14 giugno 2006 5 Cipra info, n° 70/2003

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Questo protocollo esplicita, attraverso una serie di obiettivi, strumenti, misure tecniche, le linee di intervento che hanno come strategia conclusiva una mobilità sostenibile, all'interno del territorio alpino ma non solo, in quanto esso ha un valore più generale, e grazie alla sua particolare sensibilità ecologica può svolgere un ruolo d'avanguardia per tutta l'Europa. 3.4.1 Obiettivi e strumenti L’obiettivo generale del protocollo in esame è rivolto all’attuazione di una politica sostenibile dei trasporti tesa a: • ridurre gli effetti negativi ed i rischi derivanti dal traffico intralpino e transalpino ad un livello che sia tollerabile per l’uomo, la fauna, la flora ed i loro habitat; • contribuire allo sviluppo sostenibile dello spazio vitale e delle attività economiche; • limitare per quanto possibile l’impatto che possa compromettere il ruolo e le risorse del territorio alpino nonché la conservazione dei suoi paesaggi naturali e culturali; • garantire il traffico intralpino e transalpino incrementando l’efficacia e l’efficienza dei sistemi di trasporto e favorendo i vettori meno inquinanti e con minor consumo di risorse ad un costo economicamente sopportabile; • assicurare condizioni di concorrenza equilibrata tra i singoli vettori ; • osservare i principi di precauzione, prevenzione e causalità. 3.4.2 Strategie, programmi e progetti La strategia generale della politica dei trasporti mira ad attuare una gestione razionale e sicura degli stessi nel contesto di una rete di trasporti integrata, coordinata e transfrontaliera tesa a coordinare i vettori, i tipi ed i mezzi di trasporto ed a favorire l’intermodalità; a sfruttare nel modo migliore le infrastrutture esistenti; ad incidere a favore del trasferimento di merci e persone su quel vettore che risulti il più rispettoso dell’ambiente; a valorizzare e sfruttare i potenziali di volume di traffico. Nel far questo, il protocollo richiede alle Parti l’impegno a realizzare gli interventi necessari per incrementare la sicurezza dei trasporti, la protezione dell’uomo e dell’ambiente dall’emissione di sostanze nocive e dalle emissioni sonore e la protezione delle stesse vie di trasporto da rischi naturali. • Analisi dei rischi, verifiche di opportunità e valutazione di impatto

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ambientale, i cui risultati dovranno essere tenuti conto dalle Parti al fine degli obiettivi del presente protocollo. L’istituto della VIA è sottoposto, oltre ad una regolamentazione comunitaria e nazionale, ad una di tipo internazionale: Convenzione di Espoo, ratificata dall’Italia con L. 640/1994, relativa alla valutazione dell’influenza ambientale in un contesto transfrontaliero. L’ambito di applicazione è disposto dall’Allegato 1 il quale predispone una lista di attività che possono avere un “impatto pregiudizievole transfrontaliero importante”; • Coordinazione e concertazione fra le parti in caso di progetti di realizzazione di infrastrutture di trasporto nel territorio alpino aventi un “significativo impatto transfrontaliero”. 3.4.3 Misure tecniche • Istituzione e potenziamento di sistemi di trasporto pubblico ecocompatibile e di trasporto navale delle merci; • Incentivazione e potenziamento del trasporto su ferrovia attraverso il miglioramento delle infrastrutture ferroviarie; attraverso l’ottimizzazione gestionale, l’ammodernamento delle ferrovie e della tariffazione per l’utilizzo delle infrastrutture per trasporto delle merci soprattutto transfrontaliero; attraverso la creazione di sinergie orientate all’utenza nel trasporto passeggeri a lunga distanza, regionale e locale; • Divieto di costruire nuove strade di grande comunicazione per il trasporto transalpino salvo nei casi in cui la realizzazione di progetti stradali di grande comunicazione è l’unico mezzo per soddisfare le esigenze di capacità di trasporto. Il progetto, di cui non si può fare a meno, visto che non è materialmente possibile soddisfare tale esigenza né migliorando le infrastrutture stradali o ferroviarie già esistenti, né migliorando il trasporto combinato, né potenziando o costruendo infrastrutture ferroviarie o di navigazione, dovrà essere sottoposto a VIA preventiva e dovrà essere coordinato con gli altri piani/progetti di assetto territoriale e dello sviluppo; • Misure di prevenzione per la limitazione dell’inquinamento acustico provocato dal traffico aereo necessarie per la salvaguardia e la tutela della salute umana e della fauna e della flora.

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3.4.4 Monitoraggio e controllo • Strumenti di monitoraggio e controllo come: registri da aggiornare periodicamente, sullo stato attuale, sull’evoluzione e sullo sfruttamento o miglioramento delle infrastrutture e dei sistemi di trasporto ad alta capacità; apposito documento di riferimento relativo alla riduzione di impatto ambientale; obiettivi di qualità ambientale, standard ed indicatori. Il protocollo “Trasporti” mira alla creazione di un sistema sostenibile, cioè di un sistema organizzato dei trasporti in grado di offrire i mezzi e le opportunità per soddisfare i bisogni economici, ambientali e sociali in modo efficiente ed equo, minimizzando gli impatti negativi, che possono essere evitati o ridotti ed i relativi costi. Il protocollo introduce una sorta di glossario, per specificare le terminologie necessarie per una corretta interpretazione delle disposizioni contenute. Si differenzia quindi dai restanti protocolli e tende ad avvicinarsi, dal punto di vista strutturale, alle direttive comunitarie ambientali. In altre parole, la disposizione del protocollo in oggetto limita lo spazio di discrezionalità interpretativa ed attuativa delle Parti. L’intenzione è quella di “definire una strategia generale della politica dei trasporti concentrata sulla valorizzazione del trasporto 'non stradale' e sul potenziamento delle linee ferroviarie, in quanto più appropriato sotto gli aspetti economici, sociali ed ambientali per la regione alpina”6. La crescita del traffico e la prevalenza del mondo stradale sono all’origine di esternalità negative in termini di impatto ambientale e di incidentalità sul territorio e contribuiscono alla crescita dell’inquinamento atmosferico, al peggioramento del clima acustico lungo le direttrici di traffico, all’incremento dei danni al suolo, all’equilibrio idrogeologico, al paesaggio e alla biodiversità. 3.4.5 Il glossario del Protocollo7

"traffico/trasporto transalpino": traffico/trasporto con origine e destinazione all'esterno del territorio alpino; "traffico/trasporto intraalpino": traffico/trasporto con origine e destinazione all’interno del territorio alpino (traffico/trasporto interno) incluso il traffico/trasporto con origine o destinazione nel territorio alpino; 6 WWF, Quali scelte per le Alpi, 2005 7 Cfr. Protocollo “Trasporti”, Lucerna 31 ottobre 2000

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"impatto e rischi tollerabili": impatto e rischi da definirsi nell'ambito di procedimenti di valutazione dell'impatto ambientale e di analisi dei rischi con lo scopo di fermare l'ulteriore aumento dell'impatto e dei rischi e di ridurli, qualora necessario, tramite provvedimenti appropriati sia nel caso di nuove costruzioni sia per le infrastrutture esistenti con notevole impatto sul territorio; "grandi costruzioni o trasformazioni sostanziali o potenziamento delle infrastrutture di trasporto esistenti": progetti infrastrutturali suscettibili di provocare impatto che in base alla normativa sulla VIA o in base a disposizioni contenute in Accordi internazionali sono soggetti a procedimenti di valutazione dell’impatto ambientale; "strade di grande comunicazione": tutte le autostrade e le strade a più corsie, prive di intersezioni a raso, che per i loro effetti in termini di traffico sono assimilabili alle autostrade; "obiettivi di qualità ambientale": obiettivi che descrivono lo stato auspicato dell’ambiente tenendo conto delle interdipendenze ecosistemiche. Essi indicano in termini materiali, spaziali e temporali le qualità, all'occorrenza aggiornabili, dei beni meritevoli di essere protetti; "standard di qualità ambientale": norme concrete che permettono di raggiungere gli obiettivi di qualità ambientale; esse determinano gli obiettivi applicabili a determinati parametri, i procedimenti di misurazione o le condizioni quadro; "principio di precauzione": è il principio secondo il quale gli interventi volti a evitare, gestire o ridurre gli effetti gravi o irreversibili sulla salute e sull'ambiente non possono essere rinviati, con la motivazione che la ricerca scientifica non abbia ancora dimostrato, in modo rigoroso, l'esistenza di un rapporto di causa-effetto fra, da un lato, le sostanze contemplate e, dall'altro, la loro potenziale nocività per la salute e l'ambiente; "principio di causalità": inclusa l'imputazione degli effetti indotti, è il principio in virtù del quale i costi relativi alla prevenzione, alla gestione e alla riduzione dell'inquinamento, nonché al ripristino ambientale, sono a carico di chi inquina. Chi inquina è tenuto, per quanto possibile, a sopportare la totalità del costo dell'impatto che i trasporti causano sulla salute e sull'ambiente;

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"verifica di opportunità": procedimento di valutazione da realizzare in conformità al diritto nazionale in occasione della progettazione di grandi infrastrutture o della trasformazione sostanziale o del potenziamento di quelle esistenti e teso a verificarne la necessità e gli effetti in termini di politica dei trasporti, nonché di impatto ecologico, economico e socioculturale. Andiamo adesso ad illustrare quali sono le linee di intervento necessarie per attuare le indicazioni del protocollo, che dovranno prevedere piani e azioni di assetto del territorio e strutturali dirette a favorire, di volta in volta, il trasferimento dei servizi di trasporto (passeggeri e merci) sul vettore che risulti il più rispettoso dell'ambiente, privilegiando quindi la ferrovia e promuovendo i sistemi intermodali di trasporto e in generale incentivando una riduzione del volume di traffico. 3.4.6 Possibili linee di intervento delle Regioni • Misure a favore della mobilità sostenibile: le Regioni potrebbero realizzare iniziative finalizzate alla mobilità sostenibile dirette in primo luogo ad incrementare e favorire il trasporto pubblico, ad esempio finanziando il rinnovo del parco dei mezzi di trasporto pubblico con veicoli a ridotte emissioni inquinanti, il post-trattamento dei gas di scarico e l’impiego di carburanti alternativi nelle flotte di mezzi pubblici circolanti. Inoltre, potrebbero rinnovare e potenziare il materiale rotabile ferroviario per il trasporto passeggeri di competenza regionale e il potenziamento della mobilità ciclistica, oltre a interventi strategici infrastrutturali e tecnologici per la mobilità sostenibile e l’intermodalità. • Revisione delle Intese Generali Quadro (IGQ): le Regioni dell’arco alpino dovrebbero rivedere le intese con il Governo, per la realizzazione delle cosiddette infrastrutture strategiche (che presuppongono oneri pesantissimi per il territorio di riferimento dal punto di vista economico, sociale e ambientale) stilando un nuovo elenco di priorità di intervento e di investimento, basato su modelli, studi ed elaborazioni realistiche e credibili delle esigenze di mobilità a corto e medio raggio delle popolazioni locali, che preveda prioritariamente l’ammodernamento e il potenziamento della rete esistente e nuovi interventi, soprattutto ferroviari, laddove sia dimostrata la redditività dell’opera e la remunerabilità dell’investimento.

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• Promozione e informazione: considerato che la buona riuscita di politiche di mobilità sostenibile è legata anche all’informazione, le regioni dovrebbero realizzare campagne di sensibilizzazione e promozione rivolte all’utilizzo privilegiato dei mezzi di trasporto sostenibile, evidenziando azioni comparative in grado di dimostrare i costi reali, collettivi e individuali, legati ai trasporti “non sostenibili”. • Incentivi e finanziamenti per le aree turistiche a bassa densità di traffico: per la conservazione di zone a bassa densità di traffico, per l’istituzione di località turistiche vietate al traffico e per tutte le altre misure dirette a favorire l’accesso e il soggiorno dei turisti nelle località alpine, non utilizzando l’automobile, le Regioni potrebbero prevedere un sistema di incentivi per quelle province e quei comuni che realizzino adeguati piani di intervento che prevedano, ad esempio, il potenziamento del sistema dei trasporti locali, garantendo ai turisti l’accessibilità ai diversi impianti turistici, tramite specifiche linee pubbliche dedicate. 3.4.7 Possibili linee di intervento del Governo • Approvazione del disegno di legge di ratifica del protocollo: se si vuole perseguire concretamente la tutela dell’eco-regione Alpi (area sensibile dal punto di vista ambientale riconosciuta in ambito comunitario, attraverso la quale transitano, in prevalenza su strada, 152 milioni di tonnellate di merci l’anno), la ratifica del protocollo è il presupposto fondamentale per la concretizzazione dei principali obiettivi del protocollo, vale a dire il riequilibrio modale e la sostenibilità delle scelte infrastrutturali. • Potenziare la capacità delle linee ferroviarie transalpine: considerate le convenzioni internazionali e gli strumenti programmatici internazionali e nazionali e lo scenario di riferimento dei trasporti nella Regione alpina, sarebbe conseguente e coerente con gli impegni assunti una politica governativa che perseguisse l’obiettivo del riequilibrio spinto in favore dalla ferrovia partendo dall’adeguamento e dal potenziamento delle linee di valico e di adduzione esistenti. Si potrebbe ad esempio procedere provvedendo all’ammodernamento e potenziamento delle linee ferroviarie esistenti in alternativa all’attuazione del progetto delle nuove linee ad AV trasversale e dei due mari, insostenibili dal punto di vista trasportistico, economico, sociale e ambientale. (WWF, 2005)

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3.5 Alcune prospettive Per quanto riguarda la situazione attuale e le tendenze future del nostro Paese si deve rilevare che non si colgono ad oggi seri ripensamenti che facciano superare il forte squilibrio in favore del traffico su gomma. L’Italia, nelle sue scelte trasportistiche ed infrastrutturali, sembra distaccarsi dai contenuti e dagli obiettivi del protocollo in questione. Nel nostro Paese è ancora immaturo il dibattito sulla “verità dei costi” delle varie modalità di trasporto e sulle misure che sarebbero necessarie per valutare economicamente le esternalità (costi di manutenzione, costi sociali, sanitari e ambientali).8

Mentre in quasi tutti i più importanti paesi dell’arco alpino sono state assunte misure per l’introduzione di tasse o pedaggi progressivi per il trasporto merci su gomma o si sta dibattendo su come disincentivare il traffico dei mezzi pesanti, in Italia ancora questo tema non è all’ordine del giorno. Quando questo potrebbe essere uno strumento importante per invertire la tendenza alla crescita progressiva dei traffici transfrontalieri dei TIR, ricavando risorse per gli investimenti che servano ad adeguare le infrastrutture ferroviarie e potenziare il materiale rotabile (come avviene in Svizzera con l’applicazione della TTPCP). Nel settore delle infrastrutture, nella passata legislatura, è stato deciso di accelerare la realizzazione di grandi assi di comunicazione a lunga percorrenza, prevalentemente autostrade, grazie alle disposizioni contenute nella già citata L. 443/2001. Il gran numero delle 'infrastrutture strategiche' e l’assenza di una Valutazione Ambientale Strategica sulle scelte programmatiche mettono in dubbio la coerenza complessiva delle attuali politiche in materia di trasporti e infrastrutture (WWF, 2005). Se si esaminano i contenuti del Primo programma delle infrastrutture strategiche9, nel suo complesso, con gli obiettivi dichiarati nella Convenzione delle Alpi, ci si accorge di numerose contraddizioni. Infatti, se andiamo ad osservare gli importi previsti nella Delibera CIPE suddivisi per le diverse modalità di trasporto, si rileva come gli investimenti nel settore siano per il 49% assegnati alle strade e per il 37% alla ferrovia, dei quali tuttavia oltre il 70% è destinato alla realizzazione di linee ad Alta Velocità per i passeggeri.

8 Cfr. Commissione europea, Libro bianco. La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte, 2001 9 Delibera CIPE n. 121/2001

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Si alimenta così quello squilibrio modale che fa del nostro Paese un caso particolare in Europa, per gli alti costi sociali e ambientali che ricadono sull’intera collettività nazionale.10

Ci troviamo quindi di fronte a contraddizioni che diventano palesi se ci si sofferma su scelte specifiche, come nel caso della realizzazione dei grandi corridoi transnazionali dell’Alta Velocità ferroviaria, come il “Corridoio 5”: Lione-Torino-Lubiana-Kiev e il “Corridoio 1”: Berlino-Verona-Palermo. A fronte di tutto ciò, soprattutto in relazione a quanto affermato nel Protocollo Trasporti, “ci si deve domandare se il perseguimento dell’obiettivo della realizzazione di nuove costosissime linee ad alta velocità per i passeggeri, separate dalla rete ordinaria, possa essere profondamente ripensato”11. Dunque, il Protocollo Trasporti, se ratificato e attuato, consente l’attuazione e la realizzazione di una politica realistica e concreta per il trasporto attraverso le Alpi, e indica una strategia per trovare delle risposte concrete e praticabili alle esigenze di traffico e alla domanda di mobilità degli attori economici, avendo un occhio di riguardo anche alla valorizzazione del territorio alpino. Per accelerare il processo di ratifica è poi necessario far conoscere la Convenzione tra i vari attori, in quanto l'informazione è stata carente sotto molteplici punti di vista, e a dimostrazione di questo si è riscontrato che nei mesi in cui il tema dell' Alta Velocità compariva nelle prime pagine dei quotidiani, su numerose riviste o in testi pubblicati recentemente, il tema della Convenzione delle Alpi e del Protocollo Trasporti non è mai stato citato. Certo è che il motivo principale per il quale la ratifica del protocollo sia osteggiata da più parti, è proprio l'importanza rivestita dal protocollo, in quanto potrebbe andare ad incidere e a modificare radicalmente le attuali politiche in materia di trasporti e ambiente.

La mancata ratifica del protocollo non produce effetti solamente nell'ambito dei trasporti, risultando determinante nei confronti dell'intera Convenzione delle Alpi e degli altri protocolli, e rendendo vani gli sforzi fatti in questi anni nella costruzione di questa Convenzione. Il progetto per la realizzazione del nuovo collegamento ferroviario tra Italia e Francia produce effetti che coinvolgono quindi tutta la regione alpina. In chiave europea, con l'Europa chiamata spesso in causa dai promotori del progetto, usata spesso come 'clava' per giustificare l'intervento, anche questi aspetti non possono essere trascurati ma dovrebbero costituire la base di tutti i futuri interventi riguardanti la pianificazione delle reti di trasporto. 10 Cfr. APAT, La mobilità in Italia. Indicatori su trasporti e ambiente, Roma, 2005 11 WWF, op. cit., 2005

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Avete ragione, naturalmente, ma è un suicidio politico affermarlo pubblicamente.

D. Healey, Cancelliere dello Scacchiere nel 1979, rivolto ad una candidata del partito Verde

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4. Infrastrutture. Chi decide, come decide?

…non esistono ricette per la partecipazione1

Giancarlo De Carlo Quando si affronta l'argomento infrastrutture, in Italia ma non solo, il dibattito si orienta solitamente in due direzioni: l'incapacità di decidere, intesa come incapacità di 'fare' le infrastrutture, con annesso il problema del finanziamento, e l'ostilità da parte della popolazione residente dell'area sulla quale dovrebbe sorgere il nuovo impianto, nota come sindrome “nimby”. Un'altra peculiarità di questo tipo di dibattito è che non si affronta mai, salvo rari casi, il tema dell'utilità dell'opera e della qualità del suo progetto. Le cosiddette 'grandi opere' generano degli impatti esterni negativi, e quindi provocano dei conflitti, specialmente sul piano territoriale, e la localizzazione di impianti tecnologici e di infrastrutture crea quindi problemi, che possono essere di varia natura. Da un lato è l’individuazione del sito sul quale l’infrastruttura deve essere realizzata a rappresentare un problema; dall’altro sono le caratteristiche dell’impianto da localizzare che costituiscono l’insorgere di conflitti e che fanno quindi spostare il baricentro del problema, dal luogo di realizzazione all’infrastruttura stessa. Il problema nella presa delle decisioni in materia di infrastrutture e di attrezzature sembra poi essere soprattutto quello che attiene il livello delle politiche. Esse sono solitamente poco esplicite, anzi spesso ondivaghe, e da ciò deriva la debolezza strutturale dei progetti che ne discendono (F. Karrer, 2004). Inoltre, e il caso del passaggio del nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione in Val di Susa è paradigmatico, le impasse cui stanno andando incontro i tradizionali metodi di decisione politica quando sono posti di fronte a problemi difficili da affrontare, sollecitano la ricerca di altre vie, che richiedono un maggior coinvolgimento dei cittadini, la costruzione di arene deliberative e lo sviluppo di approcci discorsivi.

1 Giancarlo De Carlo, «La progettazione partecipata», in Sclavi Marianella, Arte di ascoltare e mondi possibili: come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Milano, Bruno Mondatori, 2003, pag. 245

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I problemi poi cambiano natura anche in ragione degli obiettivi degli attori coinvolti, che in questo tipo di conflitti possono essere classificati in tre tipologie: la popolazione residente nei pressi del sito interessato alla costruzione dell’infrastruttura, i proponenti dell’opera, le amministrazione pubbliche. Questa classificazione è costruita per esigenze di semplificazione, in quanto non sfugge che esistano situazioni dove i confini tra le categorie non sono così individuabili, o dove all’interno di queste vi siano soggetti con posizioni differenti. Oggi in Italia c’è oramai una vasta letteratura2 che affronta questo problema, “che tende a generare conflitti aspri e molto difficili da comporre con i metodi tradizionali della decisione politica”3. Questi conflitti, che si manifestano generalmente tra la popolazione residente e l'amministrazione pubblica e/o i proponenti, sono di difficile soluzione, in special modo quando si presentano ad uno stato avanzato del progetto da realizzare. 4.1 I nodi e i segmenti Nel caso di un'infrastruttura lineare di trasporto, che attraversa un vasto e diversificato territorio composto da nodi, rappresentati dalle città, collegati tra loro da segmenti, individuabili nei territori attraversati, accade spesso che si creino dei conflitti tra questi ultimi e i nodi, a causa dei diversi interessi e punti di vista contrapposti nei confronti degli effetti che il progetto ha su questi territori. Tutte le città ambiscono ad assumere lo status di nodo, in quanto, anche se questa condizione comporta necessariamente alcune conseguenze negative, si ritiene che nel complesso i vantaggi siano nettamente superiori agli svantaggi, e quindi si tenta in tutti i modi di attirare la rete verso di sé, e di conformarla a proprio vantaggio. All'opposto, nessun luogo vorrebbe trasformarsi in segmento, perché la condizione di essere “attraversati”, da un'autostrada o da una ferrovia ad alta velocità, determina molti inconvenienti e vantaggi nulli. Si tratta di una pura e semplice servitù imposta in nome di un interesse ritenuto da altri, in questo caso dai “nodi”, superiore (L. Bobbio, 2004a).

2 Ci si riferisce, a titolo esemplificativo, ai testi di Luigi Bobbio 3 Bobbio Luigi, «Come smaltire i rifiuti. Un esperimento di democrazia deliberativa», in Stato e Mercato, n° 1/2002, pag. 102

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Questa situazione è quella che incontriamo quando andiamo ad analizzare nel dettaglio le vicende del progetto del nuovo collegamento ferroviario tra Lione e Torino. Da un lato c'è l'interesse di Torino a diventare un nodo principale per l'Alta Velocità, dall'altro l'interesse della popolazione della Val di Susa (il segmento) a non essere penalizzata da un ulteriore progetto di infrastrutturazione del territorio. Non si tratta più dunque di discutere, come negli ultimi mesi è stato fatto4, della presenza o meno di un interesse generale, e quindi gerarchicamente superiore, contrapposto ad un interesse particolare, ma a ben vedere si tratta qui di due interessi locali, che hanno entrambi piena legittimità, aspetto che rende ancor più complessa la risoluzione del conflitto tuttora esistente. 4.2 Chi decide? Si introduce allora un ulteriore elemento di complessità, attraverso la domanda: chi deve decidere? Tuttavia questa domanda appare troppo banale, se non addirittura sbagliata, in quanto situazioni complesse e che riguardano più livelli territoriali non possono essere trattate in modo semplice, con un taglio netto. Ad ogni scala si possono vedere problemi e soluzioni che alle altre scale non sono percepibili. I geografi, in questo caso, parlano di un approccio «transcalare», quando un medesimo problema è osservato contemporaneamente su scale geografiche diverse ed è affrontato combinando i punti di vista che scaturiscono dalle diverse osservazioni. In questi contesti non dovrebbe esserci nessuno che possa arrogarsi il titolo di «decisore di ultima istanza» (L. Bobbio, 2006). Ma che cosa significa decidere? E in che cosa consiste un processo decisionale, in questo caso effettuato da amministrazioni pubbliche? A queste domande non è semplice dare risposte esaustive, se non affrontando nel dettaglio l'argomento, tuttavia si può cercare di descrivere alcuni aspetti inerenti il tema. Un processo decisionale è un'attività di ricerca di soluzioni, che si conclude con una decisione, che può condurre ad un'azione o ad un’inazione. Quest'ultima è altrettanto significativa dell'azione, perché

4 In questi mesi sono usciti, ed escono tuttora, numerosi articoli di quotidiani e periodici che incentrano la discussione proprio sulla presenza di 'interessi superiori' che la popolazione della Val di Susa sta ostacolando

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sempre di decisione si tratta. Quindi un processo decisionale si può concludere anche con la scelta di non procedere, ad esempio, alla realizzazione di un'infrastruttura. E “si può anzi sostenere che il potere non risiede soltanto nella capacità di decidere, ma anche nella capacità di impedire che una scelta venga presa”5. Questo aspetto è solito essere non considerato, specie dall'opinione pubblica, ma anche dalla classe politica, che fa della “logica del fare”6 un obiettivo prioritario e irrinunciabile. L'idea di poter governare e decidere razionalmente, d'altronde, costituisce una delle più grandi aspirazioni della cultura politica occidentale. Nel modello di decisione razionale la decisione consiste nell'adottare mezzi che permettano di raggiungere fini dati nel modo migliore possibile e si risolve perciò in un modello di massimizzazione (L. Bobbio, 1996). Un possibile schema di una decisione fondata su queste basi può essere questo: − fissazione degli obiettivi, che devono essere ordinati e non contraddittori

tra loro − generazione di tutte le alternative idonee a raggiungere gli obiettivi

prefissati − valutazione delle conseguenze di ciascuna alternativa − scelta dell'alternativa che presenta i valori massimi in termini di efficienza

e di efficacia rispetto agli obiettivi assunti inizialmente.

Questo sistema ha l'ambizione di sconfiggere l'incertezza, e di non lasciare nulla al caso o all'improvvisazione, ma sappiamo che decidere in queste condizioni non è quasi mai possibile. Ad esempio il processo decisionale dovrebbe essere effettuato da un unico soggetto, in grado di esprimere preferenze ordinate e non contraddittorie, ma abbiamo già visto che questo è difficile. Oppure devono esistere sufficienti risorse per le analisi e le valutazioni, e soprattutto i tempi per svolgerle, al riparo di pressanti scadenze. Ci sono dei settori inoltre dove poter decidere secondo lo schema presentato sopra appare più difficile che in altri contesti. Uno di questi è sicuramente rappresentato dal settore delle politiche ambientali, dove la

5 Bobbio Luigi, La democrazia non abita a Gordio : studio sui processi decisionali politico-amministrativi, Milano, F. Angeli, 1996 6 Fino a qualche mese, nella home page del sito del Ministero delle Infrastrutture, ministro Lunardi, campeggiava ben in evidenza un link che aveva come titolo: “la logica del fare”.

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possibilità di decidere razionalmente, fondando la decisione su parametri scientifici, viene meno. In questo settore ci si trova davanti alla difficoltà di operare una sintesi tra valori contrapposti, e alla impossibilità di gerarchizzare valori come la qualità dell'aria, dell'acqua, dell'ambiente naturale nel suo complesso. Esistono poi ricorrenti divergenze tra gli esperti sugli indicatori da adottare, sulla loro misurazione e sulle valutazioni che ne conseguono. Anche per questi motivi si è sviluppato, negli anni, un filone di ricerca teorica che punta ad indagare sulle possibili alternative decisionali in contesti complessi7, che sarà presentato nelle pagine seguenti. 4.3 Come decidere? L'approccio classico che guida i proponenti o le amministrazioni pubbliche verso la realizzazione dei loro progetti è noto con l'acronimo decide-announce-defend (Dad), in base al quale, una volta progettato l'intervento, lo si presenta al pubblico, respingendo gli eventuali, e oramai immancabili, oppositori, con giustificazioni di tipo tecnico-scientifico (P. Giugni, 2005). Solitamente poi si tende ad affidare la responsabilità della decisione ultima al livello più alto possibile, in modo che l'interesse (presunto) generale possa prevalere su quello particolare, garantendo al contempo la costruzione del consenso attraverso una lunga catena di pareri di enti territoriali, escludendo dal processo proprio quei soggetti che dispongono di preferenze più intense e che solitamente si sentono poco rappresentati dalle istituzioni. Si offrono poi le massime garanzie sul piano tecnico-scientifico, forti dell'idea che se le risultanze tecniche sono sufficientemente solide, il consenso ne conseguirà naturalmente. Come scrive Luigi Bobbio: “la carta tecnocratica viene spesso giocata in modo strumentale dalle amministrazioni, nella speranza di tappare la bocca agli oppositori e di mettere tutti di fronte a un progetto oggettivamente indiscutibile per la sua qualità tecnica o per la notorietà del suo estensore”8. In sostanza, il modello dominante non è quello della composizione o della risoluzione dei conflitti, ma piuttosto quello del loro svuotamento attraverso la

7 Cfr Bobbio Luigi, Di questo accordo lieto. Sulla risoluzione negoziale dei conflitti ambientali, IRES, Torino, 1994 8 Bobbio Luigi, op. cit., 1996

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sintesi, realizzata per via legale-gerarchica o tecnico-scientifica (L. Bobbio, 1994).

“Non si avvisano le rane quando si sta per drenare lo stagno”. Così poteva permettersi di sostenere Rémy Carle, direttore dell’ente elettrico Electricité de France, commentando il programma di costruzione di reattori nucleari portato a termine dal governo francese tra il 1965 e il 1985. Oggi lo scenario europeo appare cambiato: tentare di imporre dall’alto opere infrastrutturali, si tratti di costruire un termovalorizzatore, di individuare un sito di stoccaggio per rifiuti tossici o di realizzare infrastrutture lineari di trasporto, senza prima instaurare un dialogo trasparente con le popolazioni interessate, in genere produce soltanto conflitti sociali (Y. Castelfranchi, G. Sturloni, 2006). In risposta a questo approccio, esiste e si è sviluppata negli anni una letteratura che ha elaborato delle tecniche per facilitare l'accordo tra le parti attraverso delle procedure di mediazione, utilizzando il sistema dell' alternative dispute resolution (L. Susskind, J. Cruikshank, 1987), attraverso cioè “l'utilizzo di pratiche negoziali per dirimere e superare controversie e conflitti ambientali, legati alla localizzazione di impianti e infrastrutture indesiderate”9. L'approccio negoziale alla costruzione di decisioni di politica pubblica nasce, ed è ampiamente sperimentato, in Canada e negli Stati Uniti a partire dagli anni settanta, dove costituisce ormai un importante filone di ricerca e intervento. Questo approccio nasce come tentativo di soluzione di impasse decisionali, caratterizzate dalla presenza di situazioni di conflittualità spesso radicata ed esplicita (C. Pacchi, 1998). Questa alternativa consiste nell'affrontare i conflitti attraverso dei processi di negoziazione a cui tutte le parti in gioco partecipino e vengano coinvolte, attraverso delle relazioni faccia a faccia, che abbiano come obiettivo la stesura di un accordo liberamente sottoscritto, al di fuori delle procedure formali (L. Bobbio, 1994), ma che allo stesso tempo implica una formalizzazione della decisione presa al termine del processo10. Alla base di questo metodo c'è “la convinzione che conflitti che nascono come giochi a somma zero, win-lose, possano essere trasformati in giochi a somma positiva, all win, attraverso una serie di tecniche e

9 Pacchi Carolina, «Il ruolo dell’urbanista come mediatore di processi interattivi. Alcuni temi del dibattito statunitense», in Territorio, n° 8/1998, Milano, F. Angeli 10 Cfr. Giugni Piero, «Conflitti ambientali e processi decisionali. Proponenti, amministratori e oppositori», in Area Vasta, n. 10/11, luglio 2004 - giugno 2005

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accorgimenti negoziali”11, all'interno dei quali tutte le parti in causa ridiscutono i propri obiettivi. Non si tratta di arrivare ad un compromesso, ossia trovare una via di mezzo tra le richieste delle parti, che in genere tende a scontentare entrambe, ma di inventare delle soluzioni che portino dei vantaggi reciproci. La negoziazione si risolve dunque attraverso un atto di invenzione e di creazione, ed è un possibile percorso alternativo che mira a prevenire le opposizioni locali, andando ad individuarle e ad includerle fin dalle prime fasi del processo decisionale. L'alternative dispute resolution presenta anche vantaggi in ordine all'efficienza, alla stabilità ed all'equità del processo di decisione. Tali vantaggi sono riconducibili al fatto che il coinvolgimento preventivo degli attori, fin dalle prime fasi del processo, tende a favorire una maggiore responsabilizzazione e quindi un loro maggiore impegno nei confronti di una decisione che anche loro hanno contribuito a costruire (P. Giugni, 2005). Gli attori da coinvolgere nel processo decisionale sono tutti coloro che hanno dei propri obiettivi da perseguire in relazione all'oggetto del contendere, e che dispongono di risorse pertinenti per influenzarne l'esito. E devono essere coinvolti sin dalle prime fasi del processo decisionale, e non in una seconda fase. Non si tratta qui di sottoscrivere il pensiero di Lindblom, che afferma: “le politiche giuste sono quelle che emergono dai processi giusti, e i processi giusti sono quelli in cui i cittadini scelgono per se stessi, non importa quanto stupidamente”12, ma si vuole sottolineare l'importanza rivestita dal coinvolgimento di tutti i portatori d'interesse ai fini della conclusione del processo decisionale. 4.4 La democrazia deliberativa Il concetto di democrazia deliberativa, d'altra parte, comprende due aspetti distinti, anche se strettamente connessi uno all'altro. Il primo, l'aspetto deliberativo, si riferisce ad un processo decisionale condotto sulla base di argomenti imparziali fondati sul bene comune, al quale partecipano, in condizioni di parità, tutti coloro che sono coinvolti dalle conseguenze della decisione stessa, e questo è il secondo aspetto, cioè quello democratico (J. Elster, 1998).

11 Bobbio Luigi, op. cit., 1994 12 Lindblom Charles E., The policy-making process, Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1980

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I processi deliberativi forniscono informazione a coloro che vi partecipano attraverso l’interazione con gli altri individui e le loro posizioni, e producono per gli individui un sistema ordinato di preferenze attraverso la riflessione critica che essi sono costretti ad attuare nel confronto con le opinioni e le preferenze altrui. Infatti si scarta il presupposto mutuato dall’economia secondo cui gli individui hanno a priori un’ordinata e coerente serie di preferenze, che comprende anche la consapevolezza delle possibili conseguenze di tali preferenze. Infine, l’aspetto più rilevante del metodo deliberativo, per la razionalità degli esiti, è la necessità di motivare e argomentare le proprie preferenze in pubblico attraverso motivazioni che siano valide anche per gli altri. Questo metodo di ragionamento a partire non solo dal proprio punto di vista, ma anche da quello di tutti gli altri attori coinvolti, produce negli individui una maggiore coerenza e una diversa mentalità. Questo modello non presuppone certo un sistema decisionale basato su di un’assemblea di massa che delibera pubblicamente e collettivamente. Anzi, le caratteristiche del modello sin qui descritte fanno prefigurare piuttosto una pluralità di forme di associazione nelle quali tutti i partecipanti abbiano il diritto di esprimere il proprio punto di vista. Dall’interazione di queste differenti forme di associazione, come partiti politici, iniziative di cittadini, movimenti sociali , associazioni volontarie e quant’altro, risulta una sorta di “conversazione pubblica”. La diretta conseguenza logica di questo ultimo punto è che, secondo questa concezione di democrazia, i gruppi che si costituiscono al di fuori delle arene politiche tradizionali non devono essere considerati soltanto come gruppi concentrati sulla difesa di interessi particolaristici. Ed è proprio l'inclusione di tutti i soggetti che sono coinvolti dalla deliberazione, la condizione che la rende democratica, perché, in sostanza, “gli stakeholders possono essere affrontati sul campo e sconfitti. Si può venir a patti con loro. Non possono essere ignorati.”13

Dagli studi di caso osservati14 emerge invece come il coinvolgimento dei cittadini sia visto spesso con fastidio dalle amministrazioni pubbliche e soprattutto dai tecnici, che lo considerano più una perdita di tempo che un reale aiuto a dirimere le questioni.

13 Bobbio Luigi, op. cit., 1996 14 Cfr. Bobbio Luigi (a cura di), A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e cittadini nei processi decisionali inclusivi, Roma, Edizioni Scientifiche Italiane, 2004

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Nelle pratiche di amministrazione e governo ci si scontra poi con la difficoltà di pensare e affrontare “una realtà dei processi decisionali che viene a riguardare e coinvolgere una molteplicità di soggetti e attori.”15

Si cerca inoltre di ridurre la partecipazione dei cittadini a mera informazione e consultazione, strumentalizzata a meccanismi di costruzione del consenso su decisioni in realtà già prese. Una partecipazione finalizzata cioè a ragioni di efficienza ed efficacia della pubblica amministrazione, ovvero non alla realizzazione di processi di interazione sulle decisioni, ma di obiettivi pre-determinati (F. Gelli, 2002). La questione della partecipazione è poi cruciale per legittimare, all'interno del processo decisionale, la localizzazione di un'infrastruttura, fatto salvo il presupposto di non poter far ricorso all'autorità, così come invece prevede la Legge Obiettivo tuttora in vigore. 4.5 La Legge Obiettivo D'altra parte l'indirizzo scelto dalla legge 403 del 21 dicembre 2001, più nota sotto il nome di Legge Obiettivo, è questo, cioè troncare sul nascere qualsiasi dibattito, utilizzando la dichiarazione di interesse nazionale per mettere a tacere i possibili oppositori locali. Strada che si è rivelata ingenua e inevitabilmente destinata all'insuccesso, e che anzi ha contribuito ad aggravare le situazioni di impasse decisionale presenti nel nostro paese16. Così facendo non solo non si risolvono le situazioni, ma si generano conflitti. Basti pensare alla vicenda legata all’inizio dei lavori per la galleria geognostica di Venaus. In Italia, prima della Legge Obiettivo, opere come questa richiedevano una pronuncia di VIA positiva sul progetto definitivo. Il decreto 20 agosto 2002 n°190 di attuazione della suddetta legge, al comma 9 dell’art. 3, ha semplificato la questione, richiedendo solamente un’autorizzazione, data dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti d’intesa con il Presidente della Regione. Il tentativo di voler iniziare i lavori al cantiere di Venaus con l’assenza di una valutazione d’impatto ambientale ha fatto scoppiare la protesta degli abitanti della Val di Susa.

15 Gelli Francesca, Politica & politiche: lo studio di caso? : una domanda di ricerca, Milano, Giuffrè, 2002, pag. 105 16 Cfr. Vittadini Maria Rosa, «Grandi opere senza consenso e senza pianificazione», in Carta etc., n° 7, luglio/agosto 2006

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La legge Obiettivo nasceva per sveltire i tempi per opere ritenute veramente necessarie, andando a costituire una procedura di contingentamento dei tempi per la progettazione e per la valutazione di queste poche opere. Si sono invece avviati progetti per oltre duecento opere, un numero elevatissimo, difficilmente conciliabile con l’aggettivo strategico, e i tempi si sono allungati17. Dal momento in cui l’opera entra nell’elenco di questa legge, comincia una procedura che oltre al contingentamento dei tempi, prevede anche l’accentramento di tutte le procedure di valutazione ambientale al solo progetto preliminare. Procedure che poi non saranno ripetute al momento del progetto definitivo. La Legge Obiettivo si è rivelata per quel che in realtà è: uno “sportello” per il finanziamento di iniziative già decise da accordi politici tra l’amministrazione centrale e quelle locali, vincolato unicamente agli stanziamenti disponibili sul bilancio dello Stato, non procedendo così a nessuna valutazione economica degli effetti degli investimenti pubblici18, e “l’ennesimo provvedimento varato per «sregolare» (Donolo, 2001) le procedure da adottare per la realizzazione di opere pubbliche”19. 4.6 La legittimazione delle scelte In linea generale e ipotetica, esistono quattro metodi per affrontare la questione della legittimità di un'opera e tentare di risolvere i conflitti territoriali generati dalle infrastrutture (L. Bobbio, 2004a). Lo schema sottostante si compone di quattro caselle, che si ottengono incrociando due dimensioni. La prima attiene alla capacità degli attori coinvolti di 'mettersi in gioco', e di presentarsi nell'”arena deliberativa” non con preferenze date e immodificabili, ma disponibili a modificarle nel corso della discussione, così come prevede la teoria della democrazia deliberativa. La seconda, che analizzeremo nel dettaglio in seguito, è in relazione al grado di coinvolgimento delle popolazioni interessate, trovandoci davanti all'alternativa tra metodo esclusivo e metodo inclusivo. 17 Camera dei Deputati, Servizio Studi, Le infrastrutture strategiche in Italia: l’attuazione della legge obiettivo, Roma, luglio 2005 18 Cfr. Virno Claudio, «Se alle grandi opere mancano le fondamenta. Della valutazione», in www.lavoce.info, 23 maggio 2005 19 Becchi Ada, «Le opere pubbliche: una storia che si ripete», in ASUR, n° 84/2005, Milano, F. Angeli, pag. 17

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Metodo non deliberativo scelta fondata su interessi

Metodo deliberativo scelta fondata su argomenti

che riguardano il bene comune

Metodo esclusivo processo con accesso limitato e bassa trasparenza

1 Contrattazione e scambio

politico

Attori chiave: i politici

2 Pianificazione

Attori chiave: gli esperti

Metodo inclusivo processo con accesso esteso e alta trasparenza

3 Aggregazione degli

interessi per es. referendum

Attori chiave: gli elettori

4 Metodo dialogico

Attori chiave: gli stakeholders

Metodi di legittimazione delle scelte. Fonte: L. Bobbio, 2004a I metodi uno e due sono quelli che le amministrazioni pubbliche preferiscono. I politici prediligono il metodo della contrattazione e dello scambio politico. La mediazione politica è una forma di accomodamento degli interessi di tipo paternalistico, dove le interazioni avvengono generalmente in forma bilaterale e occulta, coinvolgendo una stretta cerchia di persone. Lo stile consensuale italiano è stato storicamente la diretta espressione di un sistema di relazioni politiche in cui la risorsa consenso era monopolizzata dai partiti di massa. Con lo sgretolamento di quest’ultimi i partiti sono stati sostituiti da singoli imprenditori politici, che giocano per proprio conto, attraverso alleanze trasversali ad hoc e cordate politico affaristiche (A. Pizzorno, 1993). Lo scambio politico, inutile dirlo,”è la bestia nera dei pianificatori”20. Il metodo preferito dai tecnici è il secondo, ovvero la pianificazione. E' ovviamente un metodo esclusivo, in quanto accedono al processo solamente i tecnici e gli esperti. Ma è di tipo deliberativo, perché i partecipanti entrano nel merito dei problemi e portano argomenti a sostegno delle loro soluzioni: c'è quindi un confronto basato sulla discussione e sull'ascolto reciproco. Questo metodo però, che riguarda da vicino chi vuole 'fare pianificazione', ha tuttavia un limite. Presuppone che i tecnici siano onniscienti, in grado di conoscere e anticipare tutti i problemi. Ma questo non è mai vero, e per

20 Bobbio Luigi, «Grandi opere e costruzione del consenso», in G. Ferraresi, A. Moretti, M. Facchinetti (a cura di), Reti attori, territorio. Forme e politiche per progetti di infrastrutture, Milano, F. Angeli, 2004, pag.95

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quanto un tecnico possa essere preparato, è difficile riesca a prevedere tutti gli interessi o le esigenze della popolazione coinvolta (L. Bobbio, 2002). Il metodo del referendum è il metodo inclusivo per eccellenza, dato che coinvolge tutta la popolazione. In situazioni conflittuali di lunga durata può essere utilizzato per 'tagliare la testa al toro', ma gli studi dimostrano21 che raramente viene utilizzato per dirimere questioni che riguardano opere infrastrutturali, in quanto “l'esito del referendum sarà il prodotto scontato e meccanico dell'ampiezza della constituency”22. Chi deve andare a votare? I cittadini residenti nel raggio di pochi chilometri dall'opera, o gli abitanti dell'intera provincia che potrebbero ricevere esternalità positive? Il principio di maggioranza, che è l’estremo rimedio per dirimere i conflitti politici, non può essere convenientemente adoperato in questi casi. E infatti il problema è: maggioranza di chi? deve prevalere la maggioranza dei cittadini che otterranno vantaggi dall’impianto? O la maggioranza dei cittadini che ne subiranno localmente l’impatto? Per questa via non se ne esce…. Nel caso della nuova linea ferroviaria tra Torino e Lione, chi può esprimersi a favore o contro il progetto? Se votano gli abitanti della Valle di Susa il risultato sarebbe sicuramente di contrarietà al progetto, se votano i cittadini di Torino e, perché no, Lione, il risultato potrebbe non essere così scontato. Lo strumento del referendum appare quindi, in contesti simili, uno strumento rozzo e discutibile. Il quarto metodo invece consiste in un confronto dialogico con tutti i soggetti che hanno un interesse nella posta in gioco. Ha in comune con la pianificazione l'attenzione per il merito delle scelte alla luce del bene comune, condivide con il metodo aggregativo l'apertura alla partecipazione dei cittadini, ed è infine distante dal metodo dello scambio politico. La deliberazione, in linea teorica, produce decisioni migliori, laddove consente di ridefinire i problemi e di inventare soluzioni innovative, e può rafforzare la legittimità della decisione, perché i partecipanti riconoscono di aver contribuito al risultato finale, essendo stati coinvolti fin da subito nel processo (L. Bobbio, 2005). Ovviamente anche il metodo fondato sulla democrazia deliberativa ha i suoi difetti, in quanto richiede tempo e pazienza, non può essere realizzato

21 Cfr Bobbio Luigi, op. cit., 2004 e Bobbio Luigi, «I processi decisionali nei comuni italiani», in Stato e Mercato, n° 49, Aprile 1997 22 Bobbio Luigi, op. cit., 2004, pag. 96

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se non in maniera imperfetta, va incontro a dilemmi difficili da sciogliere e non è facilmente conciliabile con i metodi della democrazia rappresentativa, nel senso che non c'è nessuna certezza che le scelte compiute, attraverso la deliberazione degli interessati, siano recepite dalle istituzioni (L. Bobbio, 2004). Un altro problema al quale si va incontro è rappresentato dalle differenti opportunità di accesso alle assemblee, all'interno delle quali possono venir accentuate alcune asimmetrie strutturali presenti nella società. Alle assemblee partecipa di norma chi è già coinvolto in reti sociali attive, o chi è impegnato in politica, ma anche semplicemente chi ha più tempo libero di altri: fattori questi che favoriscono la partecipazione di alcune categorie di attori a scapito di altre (S. Ravazzi, 2006). Un ruolo poi determinante è rivestito dalle asimmetrie di tipo informativo tra i diversi attori, popolazione, tecnici, amministrazione, che hanno delle conoscenze differenti, sia sulla natura delle questioni in campo, sia sulle possibili alternative da porre in atto per risolvere i problemi. Il metodo appare poi di difficile applicazione a problemi che implicano questioni di principio, e molti temi ambientali appartengono proprio a questa specie. Lo scontro aperto (win-lose) è in questi casi quello preferito, dal momento che alcune questioni sono assolutamente non negoziabili (D. Amy, 1987 in L. Bobbio, 1994) In un paese come l'Italia poi, dove prospera la cultura del «machismo discorsivo» (J. Elster, 1998), ossia di un atteggiamento aggressivo e perentorio che appare del tutto incompatibile con lo sviluppo di processi dialogici, mettere in pratica esperienze di democrazia appare ancor più complesso. Tuttavia, pur in presenza di notevoli difficoltà, le esperienze di empowered deliberative democracy si stanno diffondendo, sia pure con modalità e caratteristiche molto diverse tra loro, in numerosi contesti locali, e proprio nel campo delle scelte urbanistiche e ambientali.23

Ma è chiaro che, affinché questo avvenga, ci deve essere una forte volontà da parte della pubblica amministrazione. 23 Cfr. Sclavi Marianella, Avventure urbane. Fare urbanistica partecipata, Milano, Elèuthera, 2002, e Balducci Alessandro, «La partecipazione nel contesto delle nuove politiche urbane», in D. Bianchi e E. Zanchini, Ambiente Italia 2001, Milano, Edizioni ambiente, 2001

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4.7 Strategie esclusive e strategie inclusive L'altra condizione necessaria affinché si possa parlare di democrazia deliberativa è il grado di apertura del processo decisionale, ovvero quanti, e soprattutto quali attori vengono coinvolti. Esistono infatti due strategie opposte per affrontare un processo decisionale con più attori: una esclusiva, l'altra inclusiva. La strategia esclusiva tende a coinvolgere il minor numero possibile di attori, ovvero quelli che detengono le risorse chiave. Ha il vantaggio di minimizzare i costi di transazione e di diminuire i tempi per la progettazione: “i progetti che escono da tali processi sono del tipo «prendere o lasciare», ammettono qualche correzione marginale, ma non l'imbocco di strade alternative”24. Per questo non riescono a gestire le critiche e le opposizioni, con il rischio concreto di dover bloccare il progetto, allungando i tempi per risolvere i conflitti. La strategia inclusiva, al contrario, prevede il coinvolgimento di tutti gli attori individuabili come tali. Gli attori non sono messi di fronte a soluzioni e progetti precostituiti, ma di fronte al problema, in una situazione che permette di esplorare diverse alternative. La scelta di una piuttosto che dell'altra dipende dal problema che si vuole affrontare. Nei casi in cui le esternalità del progetto siano limitate, le risorse chiave risultino concentrate, gli obiettivi condivisi, e non ci siano particolari conflittualità, strategie di tipo esclusivo appaiono più adatte. Nei casi opposti, che si presentano maggiormente, le strategie di tipo inclusivo appaiono invece decisamente più efficienti. “Per decidere quale strada imboccare sarà quindi necessario analizzare la natura dei possibili stakeholders e considerare i costi e i benefici che discendono dal progetto”.25

Le indagini effettuate sui processi decisionali, ma anche i numerosi articoli di quotidiani, sia locali che nazionali, mostrano invece che i promotori dei progetti e le amministrazioni pubbliche scelgono sempre, e in modo irriflessivo, le strategie di tipo esclusivo, indipendentemente dalla natura dei problemi affrontati. Le amministrazioni di solito “ci provano e, nella maggior parte dei casi, finiscono per sbattere la testa contro il muro”26.

24 Bobbio Luigi, op. cit., 1996 25 Bobbio Luigi, op. cit., 1996

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Ed è sconcertante osservare l'incapacità delle amministrazioni pubbliche ad apprendere dall'esperienza, e la vicenda dell'opposizione in Val di Susa alla nuova linea ad Alta Velocità, è uno degli esempi più eclatanti, in quanto qui non si è verificata un'opposizione dell'ultima ora ma esiste un movimento che si è formato e consolidato a partire dai primissimi anni novanta27, tanto che ci si può chiedere se non sia proprio possibile qualche forma di apprendimento. Due esponenti della Fiat, nel valutare la vicenda di qualche anno fa della costruzione di un inceneritore a Verrone, provincia di Torino, riconoscono che sono mancate, da parte dell'azienda, iniziative volte a “prevenire le reazioni negative della comunità”, ma aggiungono, incredibilmente, che “era difficile prevederne la necessità”28. Quest’ultima affermazione può apparire sorprendente, dopo la lunga serie di insuccessi collezionati dai promotori di simili interventi in Italia e altrove. Eppure la sottovalutazione della protesta è proprio uno dei tratti che più caratterizzano i processi decisionali. In questi anni le comunità locali hanno acquisito un'elevata capacità di difesa contro i progetti sgraditi nei loro territori, hanno acquisito forza e dignità, riuscendo ad acquisire una maggiore legittimità, e la storia di “Davide contro Golia continua a ripetersi”29. 4.8 “Not in my backyard!”

Le impasses che si verificano sono spesso commentate dagli osservatori e dai politici come una tipica espressione dell’incapacità di decidere propria del nostro paese, ma in realtà si tratta di una diagnosi un po’ troppo provinciale, e il fenomeno delle opposizioni locali che mettono in scacco gli insediamenti “utili ma sgradevoli” è uno spettro che si aggira, ormai da molto tempo, in tutti i paesi democratici e che suscita allarmi, riflessioni e indagini (L. Bobbio, 1999). Per stigmatizzare l’opposizione di coloro che esercitano un potere di veto contro la realizzazione di progetti dal ‘presunto’ interesse generale, si è soliti

26 Bobbio Luigi, Discutibile e indiscussa. L’Alta Velocità alla prova della democrazia, in Il Mulino n. 423, 1/2006 27 Cfr. ad esempio Sasso Chiara, No Tav, cronache dalla Val di Susa, Roma, Edizioni Intra Moenia, 2006, o Margaira Oscar, Adesso o mai più, Torino, Edizioni del Graffio, 2005 28 Cfr. Borelli Guido, «Davide contro Golia. L'inceneritore Fenice a Verrone», in Bobbio Luigi e Zeppetella Alberto, (a cura di), Perché proprio qui? : grandi opere e opposizioni locali, Milano, F. Angeli, 1999 29 Bobbio Luigi, op. cit., 2006

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parlare di sindrome Nimby, dall’acronimo dell’espressione inglese not in my backyard (non nel mio giardino).

Gli americani poi si sono divertiti nel trovare altre etichette, come ad esempio: CAVE (Citizens Against Virtually Everything), BANANA (Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anybody), NOPE (Not On Placet Earth), o l’acronimo più neutrale LULU (Locally Unwanted Land Use), con cui ci si limita a constatare che certe utilizzazioni del territorio sono malviste sul piano locale. Resta il concetto di fondo, e queste espressioni sono etichette malevole che riflettono il punto di vista dei portatori d’interesse generale, in quanto lasciano intendere che l’opposizione sia spinta da motivazioni esclusivamente egoistiche, e se l’impianto fosse realizzato in un altro territorio non ci sarebbero proteste. In termini più generali comunque, “si tratta di un tipo di mobilitazione dal basso, che si attiva e si organizza in rappresentanza degli interessi degli abitanti di un’area, che diviene per decisione pubblica direttamente oggetto di una data politica che introduce un bene pubblico (o un qualche tipo di servizio), che per quanto sia destinato ad una comunità più ampia, tuttavia concentra il carico di effetti negativi in quell’area ristretta”30.

Ma non è sempre così, e spesso il rifiuto di insediamenti sgradevoli «sotto casa» non può esser sempre visto come una manifestazione di gretto egoismo. Esso fa solitamente leva sulla rivendicazione di diritti indivisibili, come il diritto alla salute o alla qualità dell’ambiente, e talvolta le comunità locali sono in grado di ribaltare la situazione, dimostrando che sono i loro interessi a dover essere considerati universali, e che dietro alle motivazioni dei proponenti si nascondono spesso interessi assai meno ‘generali’, delle imprese di costruzione.

E quando, come in Val di Susa, siamo di fronte a vicende fortemente sentite in cui una comunità percepisce di essere esposta a un rischio grave e imposto dall’alto per il vantaggio altrui, l’iniquità nella distribuzione di rischi e benefici chiama inevitabilmente in causa i principi (negati) della libertà e della giustizia, rafforzando il senso di comunità e la disponibilità dei singoli a mobilitarsi. Sicuramente la spinta alla mobilitazione, nata nell’ormai lontano 1991, è dovuta alla contrarietà della popolazione nel veder realizzare una nuova ferrovia nel proprio territorio, già fortemente infrastrutturato, ma non si può

30 Gelli Francesca, op. cit, 2002, pag. 111

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negare che il movimento abbia successivamente assunto una consapevolezza maggiore. E’ stato capace di mobilitare risorse locali, mettersi in rete, apparire sui media, utilizzare strumenti giuridici e procurarsi informazioni scientifiche autorevoli, in contrasto con quelle dei proponenti, e non pare poter essere rinchiuso semplicemente all’interno di questa etichetta.

Quando il grido di battaglia “non sotto casa mia!” si trasforma poi nella domanda “perché proprio sotto casa mia?”, gli oppositori sono in grado di trasformare la natura del problema: non è più in questione solamente la pericolosità dell’impianto, ma anche la correttezza del processo che ha portato alla scelta localizzativa ( L. Bobbio, A. Zeppetella, 1999).

L’evoluzione della nostra e di altre società dalla fase pre-industriale a quella post-industriale ha portato a profonde modifiche socioeconomiche che hanno avuto, tra le altre conseguenze, anche un cambiamento negli atteggiamenti della pubblica opinione di fronte ai problemi del rischio ambientale. La pubblica opinione desidera essere rassicurata, anche attraverso un adeguato coinvolgimento, sull’accettabilità delle decisioni da cui derivino potenziali conseguenze ambientali (G. F. Clemente, 1994). Questo è un argomento di grande complessità e richiama il problema della differente percezione dei rischi che caratterizza gli individui. Perché tale assunzione di responsabilità sia possibile, l’unica strada percorribile è quella della conoscenza e della comprensione da parte del pubblico dei termini delle questioni. Le controversie sui rischi della tecnologia, inoltre, nascondono spesso un conflitto tra visioni di mondo contrapposte e, in accordo con il sociologo tedesco Ulrich Beck31, queste diverse visioni devono essere interpretate come giudizi morali impliciti sui modi in cui le società decidono di svilupparsi. Non dovrebbe dunque sorprendere che, sempre più spesso, il pubblico rivendichi il diritto a partecipare alle scelte che investono beni comuni come la salute, l’ambiente, lo sviluppo sociale ed economico (Y. Castelfranchi, G. Sturloni, 2006). Ed è difficile pretendere che una collettività si addossi le conseguenze di un insediamento che essa ritiene “sgradevole”, se non le viene data alcuna possibilità di interloquire sulle ragioni che hanno portato a quell’indesiderabile candidatura. 31 Beck Ulrich, La società del rischio, Roma, Carocci, 2001, pag. 37, “Dietro tutti i rinvii a formule e dati, prima o poi, si pone il problema dell’accettabilità, e con esso, di nuovo, la vecchia questione del come vogliamo vivere.”

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5. A proposito di strategie efficaci nel coinvolgimento degli attori…

Nel precedente capitolo, dedicato allo studio dei processi decisionali, è stato dedicato ampio spazio a sottolineare l’importanza del coinvolgimento di tutti gli attori interessati, e in special modo la popolazione, alla realizzazione di impianti e opere infrastrutturali. Ed è stata sottolineata la difficoltà, da parte dei proponenti, pubblici e privati, di imparare dall’esperienza, ossia di rivedere le proprie politiche in base anche agli insuccessi incontrati in passato da altri nell’affrontare casi simili al proprio, e di considerare il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini un elemento fondamentale. Ma, dalla lettura del rapporto condotto da alcuni esperti del Gruppo COWI sulla sezione internazionale del nuovo collegamento ferroviario tra Torino e Lione, pare proprio che queste difficoltà non riescano ad essere superate.

Il Gruppo COWI fa parte del consorzio guidato da ECORYS, società olandese alla quale l’Unione Europea ha affidato il compito di eseguire questo studio, ed è formato da esperti con competenze nei campi trasporto ferroviario, dell’analisi economica, tecnica e ambientale. Visti i risultati, la consulenza di un sociologo e di un esperto di comunicazione sarebbe stata auspicabile.

Il rapporto, infatti, non solo non si dimostra imparziale nei giudizi, esponendosi in favore del progetto e del proponente LTF, ma addirittura stigmatizza, con toni spesso fastidiosi e supponenti, l’opposizione degli abitanti della Val di Susa. Certo non si pretendeva che si schierasse a favore della lotta “NO TAV”, ma il mandato ricevuto non era certo quello di dare giudizi sprezzanti e schierarsi a favore del progetto contestato. Non una buona strategia da adottare nel tentativo di superare la situazione di impasse venutasi a creare negli ultimi anni. Il rapporto, in origine, doveva essere solamente la base di partenza per tentare di ricostruire il dialogo con la popolazione, andando a verificare la coerenza e l’affidabilità dei lavori svolti da LTF, ma così non è stato. Andiamo quindi ad analizzare alcuni aspetti affrontati dal gruppo di esperti che hanno redatto questo lavoro

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5.1 Perché il rapporto COWI?

La Commissione Europea, lo scorso dicembre 2005, su proposta della signora Loyola de Palacio, coordinatrice europea del Progetto Prioritario n°6 della rete TEN-T, ha chiesto ad un gruppo di esperti di valutare la coerenza degli studi realizzati dalla società Lyon-Turin Ferroviaire rispetto alle interrogazioni al centro delle preoccupazioni degli abitanti della valle di Susa, e cioè principalmente su tre temi: - salute - impatti sull’ambiente - scelta di realizzare una nuova linea e non di modernizzare quella esistente. “L’obiettivo è quello di cercare di attenuare le tensioni e incomprensioni che circondano il progetto, uscire dall’attuale situazione di stallo e tornare a un dialogo costruttivo”1.

Per il vicepresidente della Commissione Barrot, "le interrogazioni degli abitanti della valle di Susa meritano delle risposte concrete. Questa relazione permetterà loro di giudicare, su basi oggettive, della pertinenza del progetto e delle misure previste per proteggere l'ambiente e controllare i rischi potenziali, in particolare sulla salute. Per rilanciare il dialogo nella valle di Susa, era importante che la popolazione locale disponesse di un'informazione trasparente ed imparziale, e questa valutazione è un’eccellente base di partenza"2. Sempre secondo la Commissione “i risultati della relazione permettono di avere una visione oggettiva del progetto, giungendo alla conclusione che gli studi realizzati da LTF sulle previsioni di traffico e gli aspetti relativi alla salute e all’ambiente sono coerenti”. La Commissione, come si legge, entra quindi nel merito dei lavori del gruppo, avanzando già dei primi giudizi di condivisione dei risultati ottenuti, non mancando poi di ribadire che gli esperti scelti, le cui competenze sono riconosciute a livello internazionale vantando tutti una grande esperienza nei propri settori di competenza, hanno realizzato la loro perizia in modo totalmente indipendente. In realtà l’indipendenza di giudizio è messa in dubbio dal fatto che il gruppo di lavoro ha analizzato tutte le informazioni, dati tecnici e documenti messi a

1 De Palacio Loyola, Relazione annuale di attività del coordinatore europeo. Progetto prioritario n. 6, Bruxelles, Luglio 2006, pag. 11 2 Comunicato stampa del 25/04/06 della Commissione Europea

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disposizione da LTF, senza elaborare previsioni autonome relative all’aumento del traffico. Per la Commissione il rapporto costituisce un elemento essenziale per rilanciare il dialogo tra le parti interessate e, in un intento di trasparenza, il rapporto degli esperti, che comporta anche alcune raccomandazioni per rispondere in modo migliore alle attese degli abitanti della valle di Susa, è messo a disposizione del pubblico su Internet. Anche secondo de Palacio, “al di là dei risultati di tale valutazione, la relazione degli esperti fornisce elementi di informazione sul progetto per consentire agli abitanti della Val di Susa di farsi un’opinione propria sull'interesse di tale opera”3. 5.2 Il mandato del Gruppo di lavoro Il perimetro dello studio copre la parte della linea sotto la responsabilità di LTF, nel quadro del mandato che gli è stato affidato dalla Commissione: la sezione che va da Saint Jean de Maurienne fino a Bruzolo, più comunemente chiamata "sezione internazionale". Questa scelta tuttavia non è parsa appropriata, in quanto il nuovo collegamento ferroviario interessa tutto il territorio compreso tra Torino e Lione e, anche se è vero che attualmente le maggiori contestazioni si sono concentrate su questa sezione, andava comunque effettuata un’indagine su tutto il progetto. Si mette sempre in risalto l’importanza di questo collegamento in quanto fa parte del Progetto 6 della rete transeuropea, all’interno del più ampio Corridoio 5 da Lisbona a Kiev, ma poi si fa analizzare solo un tratto lungo qualche decina di chilometri, con un’analisi quindi quantomeno riduttiva. Il gruppo di esperti poi scrive:

Lo scopo del presente studio è di fornire alla Commissione europea un’analisi oggettiva e imparziale sulla coerenza e pertinenza degli studi condotti fino ad ora da LTF al fine di dare una risposta alle questioni sollevate dagli abitanti della Val di Susa e dagli oppositori/detrattori del progetto in generale. LTF ha fatto anche uno sforzo di comunicazione dei risultati al pubblico in generale e alle popolazioni della Val di Susa in particolare4.

3 De Palacio Loyola, op. cit, 2006, pag. 12 4 COWI, Analisi degli studi condotti da LTF in merito al progetto Lione-Torino (sezione internazionale), aprile 2006

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Il gruppo di esperti inizia già qui, nelle prime pagine del rapporto, a presentare i residenti della Valle Susa che si oppongono al progetto in qualità di “detrattori”. Francamente non sembra un’ottima strategia comunicativa, e anzi va in direzione esattamente contraria rispetto agli obiettivi prefissati. La perizia ha valutato la coerenza e l’affidabilità dei risultati degli studi condotti da LTF, concentrandosi sulle questioni relative alla salute e all’ambiente, e sulla scelta di realizzare una nuova linea invece di potenziare quelle esistente, ma ha anche espresso giudizi che di tecnico avevano ben poco. Il rapporto, ma viste le premesse c’era da aspettarselo, giunge alla conclusione che gli studi realizzati sono adeguati e coerenti. 5.3 Le “7 criticità” Il gruppo di esperti ha valutato i tre aspetti rilevanti del progetto di LTF per il nuovo tunnel di base, vale a dire l’impatto dell’opera sull’ambiente, i rischi per la salute dell’uomo provocati dai lavori per la realizzazione del tunnel e le indagini sulle previsioni di traffico atte a giustificare l’utilità dell’intervento. Per rispondere alle preoccupazioni degli abitanti della valle, il gruppo di lavoro ha poi analizzato nel dettaglio, cercando di rispondere, le criticità sollevate dagli oppositori, e raccolte in un documento denominato “le 7 criticità”5. In questo documento si sollevano perplessità in ordine a vari aspetti legati al progetto. Queste criticità sono: 1. Mancanza di coerenza globale: modello di gestione ferroviaria non ottimizzato per mancata presa in conto della connessione (Corso Marche) fra la linea storica e la nuova linea, il problema del nodo di Torino e una valutazione della domanda e di un modello equilibrato TAV/TAC. 2. Rischi di inondazione: le opere del progetto aumentano i rischi di inondazione nella valle.

5 Criticità segnalate dalla comunità montana Bassa Valle di Susa e Cenischia. Osservazioni tecniche al progetto preliminare e relativo SIA delle variazioni/integrazioni richieste dalla Regione Piemonte con DGR n.68-10051 del 21/07/2003 al Progetto preliminare relativo al nodo urbano di Torino, potenziamento della tratta Bussoleno-Torino e cintura merci, già pubblicato il 10/03/03 depositato in data 10/12/03 ai sensi della L. 349/86. 01.02.2006

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3. Linee ad alta tensione: impatti, sul paesaggio e sulla salute, delle linee ad alta tensione aeree e sotto stazione non studiati a sufficienza. Opzione interramento non considerata. 4. Inquinamento sonoro: inadeguatamente studiato sia per il periodo di esecuzione dei lavori sia durante il funzionamento della linea. 5. Smarino e lavori: Le polveri emesse dai cantieri, il trattamento e il trasporto dei materiali di sterro causeranno intensi disagi per un lungo periodo (nb: regime di venti forti nella valle). Tempi dei cantieri: esiste una forte probabilità che il calendario dei lavori sia raddoppiato (come fu il caso della discenderia di Modane sul lato francese, il progetto di autostrada Susa Rivoli, AEM Pont de Ventoux). La cava del Paradiso non è in grado di accogliere le quantità di materiali di sterro prodotte. Rischio Amianto: ricerche inadeguate sulla presenza di amianto nelle formazioni geologiche coinvolte dal progetto e sul loro trattamento in caso di aggiornamento. 6. Risorse Idriche: il progetto non tiene sufficientemente conto dei rischi di perforazione degli acquiferi e dell’esaurimento delle fonti di acqua potabile, come fu il caso durante il progetto idroelettrico del Pont de Ventoux. 7. Zone di protezione: il progetto deve seguire due quadri giuridici nazionali differenti. Ciò comporta una differenza nella definizione delle zone di incidenza da considerare e delle misure di compensazione ed espropriazione associate. L’assenza di specifica delle misure di salvaguardia, mitigazione e compensazione nel SIA (Studio d’impatto ambientale) per la parte italiana della sezione comune della linea è considerata una violazione della direttiva EIA (85/337/CEE). Secondo gli oppositori del progetto il SIA effettuato omette di trattare i problemi ambientali importanti e differisce la loro soluzione alla fase di realizzazione.

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Critiche più recenti (secondo il gruppo COWI) 1. Processo di approvazione • La mancanza di un SIA per tutto il progetto non consente un’analisi globale degli impatti ambientali (frammentazione dei SIA fra la tratta francese, la tratta franco-italiana in territorio francese, la tratta franco-italiana in territorio italiano, e infine la tratta italiana) • Violazione della direttiva sulla valutazione delle incidenze ambientali (85/337/CE, 97/11/CE): la definizione del tracciato della nuova linea, la sua ampiezza e i punti di analisi prescritti per il SIA nello studio di fattibilità, realizzato sotto Alpetunnel GEIE (1995-2001), non ha incluso un processo di consultazione pubblica che tenesse sufficientemente conto delle riserve/osservazioni delle autorità locali sullo sviluppo del loro territorio. Infine, il SIA non ha sufficientemente studiato l’alternativa “0” (senza nuova linea). 2. Protezione della salute e dell’ambiente • Importante presenza di elementi radioattivi (Radon, Uranio) che rappresenta un rischio per la salute. Ricerche inadeguate sulla presenza di radioattività nelle formazioni geologiche attraversate dal progetto (sondaggi effettuati da LTF unicamente sul tracciato). • I rischi sismici e i problemi relativi al gradiente termico sotto il massiccio d’Ambin sono stati studiati? • Le importanti pressioni idrostatiche potrebbero influire sulla qualità delle acque. 3. Trasporto • Il progetto non è una priorità e dovrebbe essere considerato all’orizzonte 2025-2030 in quanto un rafforzamento della capacità della linea storica dovrebbe facilmente assorbire l’aumento di traffico fino a 24 MT (le previsioni di LTF sono pertanto errate e vanno riviste o approfondite e si dovrebbero riesaminare le modalità del servizio ferroviario su tutto il tracciato). • Assenza di redditività finanziaria ed economica del progetto e incertezza sul costo totale per la collettività. 4. Comunicazione Impressione di mancanza di informazioni sui risultati degli studi effettuati e di quelli in corso. "Non vogliamo che la storia si ripeta, la nostra valle è stata già deturpata abbastanza"

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Dalla lettura di questi punti emerge quindi che i problemi sono rilevanti

e le preoccupazioni tante. Le proteste delle comunità locali meritano una risposta, e di fronte alle obiezioni degli oppositori, il proponente non dovrebbe avere l’obiettivo di dimostrare che le loro paure sono infondate, nemmeno se le ritengono tali, ma dovrebbe offrire delle garanzie credibili nel caso che i rischi paventati dovessero effettivamente verificarsi. Andando ad analizzare le questioni principali, vediamo come il gruppo di esperti ha valutato il lavoro di LTF in risposta alle criticità sollevate, e come il gruppo stesso si pone nei confronti degli oppositori. 5.4 Il lavoro del Gruppo Una delle prime criticità sollevate dagli oppositori riguarda il modello di esercizio della linea e, più in generale, la messa in discussione della realizzazione del nuovo progetto, a fronte invece di un miglioramento della linea storica. A pagina 96 del rapporto si legge che “gli studi sulla domanda di trasporto e le previsioni di traffico non sono delle scienze esatte e vanno sempre presi con un po’ di prudenza. Tanto più in caso di previsioni relative a grandi opere infrastrutturali che dimostrano pienamente i loro effetti solo sul lungo termine”. Ma sembra che alcune indagini siano fatte meglio di altre secondo i tecnici, che condividono specialmente quelle elaborate da LTF, le quali affermano che la saturazione della linea storica sarà raggiunta prima del 2020.

Il gruppo di lavoro mette a confronto le varie stime effettuate in questi anni sul traffico merci e passeggeri, non redigendo nuove stime, ma affidandosi a quelle già esistenti, confermandone la veridicità e giungendo alla conclusione che l'ipotesi di una modernizzazione di tutta la linea storica non consentirebbe di rispondere all’obiettivo di riequilibrio modale, tenuto conto delle caratteristiche intrinseche di tale linea che risale alla metà dell’ 800. E a questo proposito condivide “il parere di LTF secondo cui la saturazione sarà raggiunta verosimilmente prima del 2020, tenuto conto delle attuali previsioni di traffico tra Francia e Italia e della probabile crescita del flusso di merci di scambio con i nuovi Stati membri”. Ribadendo che ”una soluzione

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adeguata per porvi rimedio potrebbe essere un nuovo collegamento ferroviario Lione-Torino”6.

Da un lato quindi si raffigura come molto probabile la saturazione della linea entro il 2020, auspicando quindi la realizzazione del nuovo tunnel, ma dall’altro si raccomanda di svolgere nuovi studi sull’evolversi del traffico, sia merci che passeggeri, per capire l’evoluzione reale della domanda. Significa, in sostanza, che gli studi e le analisi riguardanti la domanda di traffico, passeggeri e merci, non sono ultimati, e quest’opera è stata approvata, tentando inoltre di aprire i cantieri, senza avere informazioni significative sull’utilità dell’intero progetto.

Il rapporto però, nonostante grossi limiti, conferma la fondatezza di alcune obiezioni e preoccupazioni sollevate dalla popolazione della valle. Considerando che l’approvazione dello studio di impatto ambientale è subordinato a ben 89 specificazioni e 6 raccomandazioni7, a pagina 44 del rapporto si scrive che ”vista la notevole durata dei lavori ci si sarebbe aspettati dal SIA una valutazione più approfondita e più qualitativa degli importanti effetti durante la fase dei lavori”, e che “un principio importante dei SIA è che il pubblico sia bene informato sui rischi inerenti al progetto. Ciò favorisce inoltre il controllo e la valutazione delle misure di salvaguardia adottate”. Tenendo sempre conto poi delle preoccupazioni espresse dagli abitanti, “sarebbe stato pertanto prudente includere nel SIA delle menzioni più consistenti sulla possibile presenza di amianto e di sostanze radioattive e affrontarne o escluderne i rischi”.

Si affronta qui il tema della possibile presenza di amianto al momento dei lavori di scavo per la costruzione del tunnel di base, tema particolarmente sentito dagli abitanti della valle. “Gli studi condotti per il progetto indicano chiaramente che una parte della riccia da scavare…presenta un’elevata probabilità di contenere amianto”8, quindi l’amianto c’è, e lo conferma la stessa LTF anche negli elaborati definitivi del progetto, scrivendo che “nella parte occidentale della galleria di Bussoleno la presenza di amianto è probabile”9. Per amianto, uranio e radon però si sono tenuti in considerazione più gli aspetti legati alla protezione dei lavoratori in cantiere, ovviamente importanti, che gli effetti delle dispersioni sulla salute dei residenti in valle. Inoltre,

6 COWI, op. cit, 2006, pag. 144 7 Vedi delibera CIPE del 5/12/2003 8 COWI, op. cit, 2006, pag. 76 9 Dal progetto definitivo LTF, sezione opere civili

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secondo gli esperti, la descrizione delle precauzioni “è fatta a grandi linee e non contiene per esempio le esigenze legate alla manipolazione delle polveri dei filtri dell’aria, il lavaggio, l’umidificazione, ecc.” LTF propone che la determinazione della concentrazione delle fibre disperse nell’aria sia verificata settimanalmente, mentre gli esperti suggeriscono di farle ogni cambio di squadra o almeno una volta al giorno. Si scrive però che “secondo l’evoluzione delle preoccupazioni pubbliche, si potrà decidere di aumentare il ricorso a queste misurazioni”, quasi che questi provvedimenti non vadano fatti di per sé, in quanto importanti per la salute pubblica e di chi lavora nei cantieri, ma solo per mettere a tacere l’opinione pubblica, “per confermare l’assenza di fibre di amianto” 10.

Un altro problema sollevato riguarda poi il pericolo legato alle inondazioni, che la presenza del progetto e dei relativi cantieri potrebbe aumentare. Per la costruzione della nuova linea è necessario predisporre di molti cantieri in diverse località, che possono influire sui rischi d’inondazione della valle. Dall’analisi svolta dal gruppo di lavoro non esce tuttavia un quadro consolante. Si afferma infatti che “i siti non sono completamente al riparo dalle piene, per esempio:

• Il cantiere di Berno è vicino al Cenischia e può essere minacciato dall’erosione delle rive durante le piene. • Il sito di Venaus può essere parzialmente inondato in caso di piene severe. • Il cantiere di Chianocco può essere minacciato da una piena o da una colata di fango dal Prebech. • Il sito di Villarodin – da Bourget a Modane può essere minacciato da una piena severa.” 11

Per quanto riguarda i depositi poi, in parte italiana, “il S.Giorio è localizzato in zona inondabile corrispondente alla zona B, […] più interessante il fatto che un piccolo affluente della Dora Riparia (Rio Boarda) sembra passare attraverso la zona individuata per il deposito. In mancanza di una deviazione adeguata, è possibile un’inondazione a monte del deposito”. Sembrerebbe quindi che la scelta dei siti per i cantieri e i depositi di materiali sia stata fatta da LTF non tendendo conto delle possibili criticità legate alle inondazioni che si verificano in Valle Susa, ma la relazione del gruppo di

10 COWI, op. cit, 2006, pag. 77 11 COWI, op. cit, 2006, pag. 58 (mio il ‘grassetto’)

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lavoro, pur sottolineando e facendo emergere alcune rilevanti problematiche, conclude il capitolo affermando che “in generale, i piani elaborati da LTF tengono conto in modo corretto dell’idrologia delle zone interessate. Le installazioni (temporanee e permanenti) non contribuiscono significativamente al rischio di inondazione delle valli”12, in evidente contrasto con quanto scritto sopra.

L’altra forte preoccupazione è legata al problema dell’esaurimento delle fonti di acqua potabile, preoccupazione legata al precedente storico del progetto idroelettrico del Pont de Ventoux, molto vicino all’uscita del nuovo tunnel di base. Attualmente si sta lavorando per la costruzione della discenderia di Modane, che una volta terminata avrà una lunghezza totale di 4 km, la pendenza massima sarà di 10-12%, e la sezione escavata avrà una superficie in sezione di 80 mq. Dopo aver descritto il metodo di lavoro utilizzato per la realizzazione di quest’opera, il gruppo di esperti scrive, con apparente tranquillità, che “la base del tunnel è allagata a causa di fessure e venute d’acqua in quantità importanti su certe sezioni”13, evento che contribuisce a creare preoccupazione tra gli abitanti della valle, non certo a tranquillizzare.

Il gruppo COWI afferma a pagina 90 che “non è possibile immaginare che un progetto di questa natura non abbia una certa influenza sull’ambiente prossimo ai cantieri, a livello sia visivo sia acustico. Occorre anche riconoscere che l’impatto su una valle come la Val di Susa sarà visibile e sentito dagli abitanti per cui la società imprenditrice deve adottare delle misure di mitigazione appropriate”. Questo è certamente vero, ma al momento appaiono troppi i punti critici non ancora affrontati, o trattati con sufficienza, sia da LTF che da questo gruppo di esperti.

L’ultimo punto da affrontare, prima di analizzare l’aspetto legato alla partecipazione delle popolazioni e all’atteggiamento che questo rapporto ha nei confronti degli oppositori, riguarda la galleria di ricognizione di Venaus. In Italia, prima della Legge Obiettivo, opere come le gallerie geognostiche richiedevano una pronuncia di VIA positiva sul progetto definitivo dell’opera. Il decreto 20 agosto 2002 n°190 di attuazione della suddetta legge, al comma 9 dell’art. 3, ha provveduto a semplificare la questione, richiedendo solamente un’autorizzazione, data dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti d’intesa con il Presidente della Regione. (M.R. Vittadini, 2006c)

12 COWI, op. cit, 2006, pag. 62 13 COWI, op. cit, 2006, pag. 81

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La galleria di ricognizione di Venaus è stata dunque considerata da LTF esente dal processo VIA, nonostante la lunghezza elevata, 10 chilometri. Secondo gli esperti olandesi questa interpretazione, successivamente confermata dal Tribunale Amministravo Regionale, è però molto probabilmente la causa principale dello scatenarsi delle proteste della popolazione. Su questo aspetto la Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia quanto alla compatibilità della Legge Obiettivo con il diritto comunitario, in quanto l’esclusione delle gallerie di ricognizione, come quella di Venaus, dal campo di applicazione completo della valutazione d’impatto ambientale, potrebbe costituire un’infrazione della normativa comunitaria. 5.5 Gli oppositori al progetto Il gruppo di esperti si sofferma, nel redigere il rapporto sulla tratta internazionale, in particolar modo sull’opposizione sorta in valle contro il progetto di realizzazione della nuova linea ferroviaria e del nuovo tunnel di base, ben consapevole che è questa la problematica più rilevante da affrontare. Il lavoro inoltre è stato commissionato, come abbiamo visto in precedenza, su esplicita richiesta della Signora de Palacio, coordinatrice del Progetto, proprio nel tentativo “di cercare di attenuare le tensioni e incomprensioni che circondano il progetto, uscire dall’attuale situazione di stallo e tornare a un dialogo costruttivo”14. Secondo il gruppo COWI:

“l’opposizione al progetto è raggruppata sotto la bandiera "No Tav" che trova origine nell’opposizione organizzata contro il progetto di rete ferroviaria ad alta velocità lanciato nel 1991 dal governo italiano. L’opposizione contro l’utilità di una nuova linea e la natura del progetto è stata organizzata e intensificata dal 2002 in reazione a 3 eventi ai quali LTF si è trovata associata: 1. la pubblicazione e deposito del progetto preliminare (marzo 2003) di LTF (per la sezione internazionale) e RFI (per la sezione italiana); 2. l’applicazione delle procedure di consultazione e decisione previste dalla "Legge Obiettivo" da parte dello Stato italiano e della regione Piemonte;

14 Cfr. Nota 1

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3. l'approvazione del progetto preliminare (con un certo numero di interrogativi e chiarimenti) che ha permesso legalmente a LTF di avviare i lavori "di ricognizione" (galleria di ricognizione di Venaus, trafori sul tracciato previsto in Val di Susa) e a RFI di procedere sulla parte italiana. 15

In questo contesto, “l'applicazione della Legge Obiettivo e l’imminenza dell’avvio dei lavori di ricognizione hanno contribuito a un sentimento di «fatto compiuto» e a partire da questo momento l’opposizione al progetto (che era latente) si è organizzata per farsi sentire e in seguito per radicalizzarsi”. Gli esperti, anche in quest’occasione, chiamano in causa l’applicazione della legge obiettivo, che come abbiamo già visto nel capitolo precedente, invece di mettere a tacere i possibili oppositori locali, ha contribuito ad aggravare la forte situazione di impasse decisionale presente da molti anni in valle.

Il rapporto continua poi andando a ‘classificare’ l’opposizione, che, come scrivono i tecnici, “si riunisce nei seguenti interessi e gruppi di pressione:

• i sindaci e rappresentanti dei Comuni della Val di Susa (alta e bassa) e della Val Cenischia (CMBVS). La CMBVS è la più attiva e ha presentato numerosi ricorsi (tutti respinti) al Tribunale Amministrativo Regionale contro LTF. La CMBVS si appoggia a dei consulenti indipendenti per parte delle sue argomentazioni e critiche al progetto e a LTF; • i collettivi terzomondisti e antiglobalizzazione attivi soprattutto in occasione della varie manifestazioni organizzate in Val di Susa o a Chambéry e delle occupazioni dei siti di traforo LTF. La diffusione delle loro rivendicazioni avviene anche attraverso numerosi siti web; • i rappresentanti politici a livello europeo: l'opposizione della CMBVS è rilanciata al Parlamento europeo da europarlamentari ecologisti italiani che su questo dossier si distinguono per una posizione opposta a quella dei loro colleghi francesi. Questa opposizione politica trova eco anche nelle discussioni politiche nazionali in questo periodo preelettorale.

Gli esperti sottolineano, e riconoscono, come sia stata la mancanza di coinvolgimento e di partecipazione degli abitanti la causa della forte reazione di protesta al progetto, incolpando di questo sia Alpetunnel, la società che ha preceduto LTF nel condurre lo studio di fattibilità, sia le istituzioni e le autorità italiane (RFI in particolare), che non sono intervenute, “lasciando a LTF

15 COWI, op. cit, 2006, pagg. 18 e seguenti

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l’onere di rispondere alle preoccupazioni degli abitanti della Val di Susa anche per la sezione sotto a responsabilità di RFI”. Il gruppo COWI non manca poi di sottolineare come “l’esperienza internazionale con progetti di questo tipo conferma l’importanza di includere la partecipazione delle comunità interessate al progetto fin dai primi studi”. Coinvolgimento necessario a maggior ragione in un contesto quale la Val di Susa, dove “esiste una reale corrente di opposizione ai progetti di infrastrutture, che trova origine in gran parte nelle recenti esperienze negative e generata dalle incidenze negative di quei progetti in fase di cantiere e di funzionamento. Esiste una viva obiezione a qualsiasi introduzione di nuove infrastrutture di trasporto nella valle che ha già subito un serio impatto dalle strutture esistenti”16. Quello scritto nel capitolo precedente relativo all’incapacità dei proponenti di imparare dall’esperienza è qui ribadito anche dal gruppo di esperti designati dalla Commissione. La società LTF ha ovviamente le sue colpe, anche se dall’analisi del suo operato si legge che “LTF, fin dalla sua creazione da parte di RFF e RFI nel 2001, ha preso delle iniziative di comunicazione e tentato di aprire e di mantenere un dialogo con le popolazioni interessate dalla parte comune italo-francese del progetto Lione-Torino”. Occorre però fare un serio approfondimento in merito alle strategie di comunicazione adottate da LTF nei confronti della popolazione residente in valle, valutando anche l’atteggiamento del gruppo di esperti chiamati ad analizzarle. 5.6 I “detrattori”

Secondo il gruppo di lavoro “l'opposizione al progetto è costituita da un gruppo assai eterogeneo, che dispone di energie, risorse e agganci politici che riescono a mobilitare i media quasi in permanenza”. E il progetto ha quindi “incontrato una crescente (e a volte violenta) opposizione sul lato italiano della sezione internazionale proveniente principalmente dagli abitanti e dai comuni della Val di Susa e da gruppi di pressione ambientale e anti-globalizzazione spesso estranei alla Val di Susa”. Il riferimento agli “agganci politici” fa per lo meno sorridere, in quanto sembra che gli oppositori della Valle di Susa abbiano alle spalle chissà quali appoggi,

16 COWI, op. cit, 2006, pagg. 126 e seguenti

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mentre è vero esattamente l’opposto, considerando che gran parte dei partiti politici e dei mass media sostengono la realizzazione del progetto, ed è interessante, a tal proposito, la lettura del recente saggio di Antonio Calafati17.

Il passaggio dove si afferma che l’opposizione è stata a volte violenta appare invece offensivo, e comunque non rispondente al vero, se messo in relazione poi con gli scontri avvenuti nel novembre e dicembre scorso con le forze dell’ordine che hanno caricato i manifestanti che proteggevano il sito di Venaus. Commenti di questo tipo hanno ben poco di tecnico, essendo di tipo politico, ed esulano quindi dal mandato che gli esperti del gruppo COWI hanno ricevuto. Ben più gravi sono altre affermazioni, che fanno riflettere ancora una volta sull’imparzialità del lavoro svolto, espresse nei confronti dell’opposizione della Valle, quando si afferma che “gli esperti non dispongono di informazioni sulle fonti di finanziamento dell’opposizione al progetto, che meritano di essere esaminate al fine di vedere quali sono le lobbies che possono nascondersi dietro questi gruppi”. Questa frase era a pagina 21 della versione originale del rapporto in francese18, ma nella versione italiana è sparita, a seguito delle proteste dei sindaci della Val di Susa. Ma la gravità del fatto resta, in quanto l’opposizione al progetto non dispone di nessun tipo di finanziamento ‘dall’ alto’, e, se è corretto parlare di lobbies, queste vanno riferite ai promotori del progetto.

Giustamente gli esperti scrivono che “la qualità e la correttezza di qualsiasi comunicazione relativa a questo progetto si rivela una sfida importante: se il politico non comunica chiaramente, se gli studi non rendono l’informazione accessibile agli abitanti ciò rischia di generare paure e incomprensione. Da qui la necessità assoluta di costruire l’informazione, di spiegare i tempi necessari a formularla: questo favorisce la fiducia e i comunicati non generano il panico”. Premesso che l’informazione non va costruita, ma dovrebbe basarsi sui fatti, nemmeno la strategia di comunicazione del gruppo di esperti, oltre che

17 Cfr. Calafati Antonio G., Dove sono le ragioni del sì? La “Tav in Val di Susa” nella società della conoscenza, Torino, Edizioni SEB 27, 2006, in particolare tra le pagg. 23-68 18 La frase contestata è: L’opposition au projet est variée, hétérogène mais bien organisée tant niveau de sa logistique que ses relais de communications. Nous ne disposons pas d’information sur ses sources de financement qui mériteraient d’etre examinés afin de voir quels sont les lobbies qui pourraient se cacher derrière ces groupes de pression.

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quella di LTF, non è parsa in alcun modo efficace, soprattutto quando si presentano gli oppositori del progetto in qualità di “detrattori”19. Il “detrattore” è, secondo la definizione del vocabolario della lingua italiana Treccani, “chi cerca di nuocere alla reputazione di qualcuno con la maldicenza o con critiche maligne”, avendo dunque un’accezione fortemente negativa, questo termine non può essere considerato come un semplice sinonimo di oppositore. Non si capisce quale sia l’obiettivo del gruppo di lavoro, che mantiene un atteggiamento ostile e a tratti offensivo nei confronti della popolazione locale, considerato poi che il suo mandato era quello, all’opposto, di cercare di appianare i conflitti con LTF e di re-impostare le basi per un dialogo costruttivo. Agendo con queste modalità invece, “una comunità che si sente giudicata immatura, manipolata o strumentalizzata tenderà a reagire, per rispetto di sé, rafforzando il proprio antagonismo e togliendo ogni credibilità ai propri accusatori. E non è esattamente quello che serve per stabilire un confronto sereno”20. 5.7 Strategie efficaci? La relazione continua poi affermando che “le argomentazioni contro il progetto sono altrettanto eterogenee; alcune sono razionali e scientifiche, altre sono tanto irrazionali quanto allarmistiche”. La strategia dei proponenti è solitamente questa, ovvero quella di screditare i dubbi sollevati dalla popolazione nei confronti del progetto, e quando essi sono persuasi che le reazioni locali sono ingiustificate perché fondate su informazioni errate o insufficienti, la risposta più “illuminata” consiste solitamente nel predisporre una campagna di comunicazione aziendale con l’obiettivo di far conoscere le proprie ragioni, al di là delle distorsioni operate dagli avversari, di offrire dati scientifici e di fugare inutili paure. (L. Bobbio, A. Zeppetella, 1999) Il gruppo di esperti riconosce a LTF di essersi impegnata sul fronte della comunicazione, adottando esattamente il tipo di strategia descritta qui sopra.

“La volontà di comunicazione (istituzionale ed effettiva) si è tradotta nell’aggiornamento di un sito web trilingue, la pubblicazione di opuscoli

19 COWI, op. cit, 2006, pag. 144, “Politica di comunicazione con le comunità locali e i detrattori del progetto”. 20 Bobbio Luigi e Zeppetella Alberico (a cura di), Perché proprio qui? : grandi opere e opposizioni locali, Milano, F. Angeli, 1999, pag. 206

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e schede tecniche e la creazione di centri didattici di informazione. LTF ha inoltre partecipato a numerose riunioni e a incontri pubblici, alcuni dei quali in congiunzione con RFI. LTF dovrebbe inoltre studiare/rivedere il suo modo di diffondere le informazioni che produce, utilizzare in modo più dinamico il suo sito web, procedere a una traduzione completa del suo sito in italiano, mettere ordine nell’attuale massa di dati, datarli, e pubblicare on line certi studi. Una compilazione volgarizzata degli studi fatti e in corso potrebbe contribuire a informare più chiaramente sul suo programma di studi”21.

Tuttavia, si legge sempre nel rapporto, “le iniziative di dialogo e conciliazione intraprese finora non sono riuscite a risolvere il conflitto e a modificare la posizione degli oppositori”.

Ma c’era da aspettarselo, perchè è difficile che una strategia di comunicazione unidirezionale, come quella progettata, possa avere successo. Per prima cosa, la comunicazione è efficace se l’emittente è credibile, e il proponente, per definizione, non lo è. Inoltre “non si può neppure pretendere di convincere un uditorio prevenuto e sospettoso con dépliant patinati che mostrano impianti luccicanti manovrati da operai lindi e sorridenti”22. Infine, le comunità coinvolte non hanno solamente bisogno di sapere, ma hanno soprattutto bisogno di sentirsi coinvolte, mentre spesso, come in questo caso, si sentono scavalcate da una decisione che è stata presa sulla loro testa, chiedendo giustamente di prendere parte alle decisioni che riguardano il loro destino. In questo, la comunicazione aziendale può essere una tappa. Ma il passo successivo è la disponibilità a interloquire, a rivedere il proprio progetto anche su aspetti essenziali, a riformulare il problema. Senza questa disponibilità, una strategia di comunicazione non è soltanto inutile. Può addirittura peggiorare le relazioni con la comunità, soprattutto se è impostata in questo modo, con dei toni a tratti offensivi. E a ben guardare, ciò che manca nei proponenti non è la capacità di comunicazione, che è gia di per se molto bassa, ma è soprattutto la capacità di ascolto. (L. Bobbio, A. Zeppetella, 1999)

21 COWI, op. cit, 2006, pag. 145 22 Bobbio Luigi e Zeppetella Alberico (a cura di), Perché proprio qui? : grandi opere e opposizioni locali, Milano, F. Angeli, 1999, pag. 207

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Sembra difficile quindi poter confermare quanto affermato dal Commissario Barrot, nella dichiarazione riportata all’inizio del capitolo, quando scrive che la popolazione della Valle di Susa può trarre un'informazione trasparente ed imparziale da questo lavoro, e che questa valutazione sia un’eccellente base di partenza: semmai è l’esatto contrario.

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Conclusioni

La retorica dell’alta velocità ci ha fornito l’immagine di un “treno che vola” e dell’“Italia che si accorcia”. Nonostante i cambiamenti, non soltanto a livello nominale, avuti con il passaggio dall’alta velocità all’alta capacità e con lo spostamento di enfasi dal trasporto veloce passeggeri a quello delle merci, questa è l’immagine prevalente che ispira tutti gli orientamenti, le argomentazioni politiche, le ‘progettualità’ della sfera decisionale. Immagine fatta di richiami alla modernità e al progresso, che presenta il progetto come fondamentale, per l’Italia e l’Europa intera, anche se non si capisce dove questo progetto lo sia, tanto che “il fronte dei sostenitori delle infrastrutture strategiche, e soprattutto la sua ala marciante che occupa le sedi del potere centrale, non è apparso disporre di grandi argomenti, al di là dell’uso della polizia o del generico riferirsi allo sviluppo dell’economia e al progresso tecnico”1.

E’ un’immagine legata alla retorica della ‘grande opera’ che sarà ricordata dalle future generazioni, e dispiace vedere come anche i tecnici si facciano attrarre da queste banali suggestioni2.

Ma se in Italia le prime linee veloci si stanno già realizzando, nella

tratta Torino-Lione la situazione non sembra trovare i binari giusti. Si registra, come abbiamo visto, una lunga impasse che dura ormai da 15 anni, alla quale sembra difficile trovare una via d’uscita in tempi brevi. I ritardi sono riconducibili a molti aspetti, ma l’unico che emerge in termini evidenti e più apertamente conflittuali scaturisce dalla relazione tra il progetto e le comunità locali della Bassa Valle Susa.

Si può davvero ricondurre la causa principale delle incertezze e di questo più che decennale ritardo che avvolge il collegamento transfrontaliero all’opposizione popolare degli abitanti della Valle - così come abbiamo visto scrivere anche da Loyola de Palacio nella sua relazione annuale di attività - o le vere cause vanno ricercate altrove? 1 Becchi Ada, «Le opere pubbliche: una storia che si ripete», in ASUR, n° 84/2005, Milano,F. Angeli, pag. 6 2 Mi riferisco, ad esempio, ad Agostino Cappelli, che in «Il nuovo corridoio ferroviario Torino-Lione. La scommessa delle previsioni di traffico merci», in Ingegneria Ferroviaria, n°6, 2006, così scrive: “sembra utile richiamare infine che a 100 anni dalla realizzazione dell’ultimo valico ferroviario alpino e dopo aver invece costruito ben 6 nuovi valichi autostradali, sembra venuto il momento di affrontare la realizzazione di una nuova grande opera ferroviaria, che avremo il merito di lasciare in eredità alle generazioni future cosi come quelle dell’ottocento e del primo novecento hanno fatto con noi”.

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Le vere ragioni del ritardo in realtà sembrano essere altre, soprattutto connesse alla complessità finanziaria e tecnica dell’opera, legate alla geomorfologia dei territori attraversati e alle scelte strategiche della connessione con la rete europea del sistema ferroviario italiano, nonché alle priorità nel completamento dello stesso a livello nazionale, anche alla luce dei nuovi trafori che la Svizzera sta realizzando. Più che legate alla conflittualità con il livello locale, le difficoltà principali si trovano sul piano politico sovralocale. Nonostante più di un decennio di dibattiti, incontri intergovernativi, studi (per la verità pochi e fatti male), al di là di prese di posizioni ideologiche, la Torino-Lione stenta ad acquisire una priorità nell’agenda politica.

E un altro aspetto su cui riflettere è costituito proprio dallo scarto attualmente esistente tra le attese e le speranze che si sono sviluppate attorno al progetto, in particolar modo per la città di Torino, e la nebulosità che contraddistingue le scelte progettuali e le opzioni di interconnessione con il sistema torinese. Si è focalizzata tutta l’attenzione sul tunnel di base e sulla tratta internazionale, senza però affrontare il problema dei nodi.

E’ recentissima poi la presa di posizione del nuovo Amministratore Delegato di FS, Moretti, il quale dichiara il 26 ottobre che “la realizzazione della linea ad alta capacità Torino-Lione non è la priorità delle Ferrovie Italiane”, e che “le Ferrovie hanno progettato, e continuano a difendere e difenderanno, un tracciato della Tav che punta decisamente verso Milano”3. I problemi, come si vede, non sono quindi unicamente legati all’opposizione della popolazione della Val di Susa.

Quando, nell’ormai lontano 1997, uscirono i risultati della verifica sul progetto Alta Velocità voluto dal Parlamento, emerse che voler costruire linee per treni veloci rispondeva più ad un’esigenza di primato che a una reale necessità, perché la domanda di lunga percorrenza era, ed è ancora, assai modesta, mentre sussistevano grandi quantità di domanda potenziale sulle distanze medio brevi e soprattutto per le merci (M.R. Vittadini, 2006). Le proteste dei pendolari che ogni anno puntualmente si ripetono danno l’idea di quali sono i veri problemi da risolvere e dovrebbero essere colti come un imperativo di governo nelle politiche dei trasporti. In buona sostanza, “quel pendolare che impiega un’ora per percorrere 10 km non chiede alte velocità: vorrebbe soltanto muoversi in un tempo

3 Tropeano Maurizio, «Nessuna obiezione al tracciato della Val Sangone. Il vero problema sono le risorse disponibili», La Stampa, 26 ottobre 2006

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ragionevole”4, ma il dibattito si concentra tutto sulle linee veloci e sui grandi progetti infrastrutturali, mentre i problemi di congestione andrebbero risolti caso per caso. In alcune situazioni può essere necessaria la ‘grande opera’, in altre è molto più utile il piccolo intervento. Se si aggiunge poi che i tempi di realizzazione delle grandi opere sono, quasi sempre, molto lunghi, le soluzioni finiscono per essere disponibili dopo troppo tempo, quando i problemi potrebbero esser diventati altri (A. Boitani, 2005), e se la sorte dell’Italia è legata a un'opera destinata a produrre i suoi effetti tra due decenni, c'è davvero di che essere preoccupati (G. Berta, 2005). Non si può ridurre la politica delle infrastrutture e dei nodi logistici alle sole ‘grandi opere’, come se fosse in potere di queste ultime cambiare il destino di intere aree economiche e produttive. Non si può scaricare il rilancio del Nord-Ovest sulla Torino-Lione o la politica per il Mezzogiorno sul Ponte sullo Stretto di Messina (G. Berta, 2005) Un ragionamento simile si può fare anche a livello europeo. Abbiamo visto nel capitolo dedicato all’analisi della rete di trasporto transeuropea TEN-T, che il Gruppo Van Miert, in un contesto nel quale la domanda di mobilità più importante per merci e passeggeri è di corto raggio e l’accesso locale ai collegamenti è cruciale per risolvere i problemi di mobilità, ha escluso dal suo campo di analisi proprio la congestione urbana, uno dei maggiori problemi da risolvere, che fa ricadere i suoi impatti sui tempi di accesso alle reti principali.

Un sistema di trasporto ferroviario per essere competitivo non ha bisogno di linee veloci non connesse con il resto della rete, ma necessita in primo luogo di risolvere tutte le questioni legate all’eliminazione di questi ostacoli tecnici, e a quelli dovuti agli scambi e all’interoperabilità dei treni, cioè alla loro capacità di circolare su qualsiasi sezione della rete. Abbiamo sottolineato infatti le differenze significative tuttora esistenti nelle caratteristiche delle reti dei singoli paesi europei, e di come, ad esempio nell’ambito del Corridoio V, l’alimentazione della rete cambia almeno cinque volte.

In questo quadro la rete TEN non sembra intercettare le reali esigenze legate alla mobilità in Europa. L’Unione Europea dovrebbe promuovere la riduzione di trasporti non necessari, la modernizzazione delle linee esistenti, la promozione di

4 Zambrini Guglielmo, Alcune questioni di cinematica

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connessioni interregionali e transfrontaliere e la lotta contro la congestione in aree sensibili, in particolare aree montuose e conurbazioni urbane.

Il progetto del Corridoio 5 può esistere ed essere realizzato anche senza un nuovo collegamento ferroviario ad alta velocità tra Torino e Lione, in quanto l'importante è coinvolgere tutte le realtà locali all'interno del progetto, quindi non è vero che, come si afferma, la linea ad alta velocità va fatta perché “lo chiede l'Europa”, e lo stesso Progetto 6 da Lione a Budapest è formato da tratte ferroviarie che non sono ad alta velocità. Ma l'Europa si è dimostrata debole nel suo ruolo di coordinamento e si è spesso fatta strumentalizzare dai singoli governi, perdendo in parte una grande occasione per progettare un sistema di mobilità differente da quello attuale, orientandolo alla sostenibilità, limitandosi a progettare e assecondare nuovi assi infrastrutturali in territori già densamente urbanizzati e infrastrutturati. La rete TEN così concepita richiama un disegno più che altro ideologico, e in questo assomiglia molto alla città lineare continentale di Le Corbusier, “che coi suoi punti d’incrocio costituisce l’armatura dell’Europa di un prossimo futuro”.

Le Corbusier, La città lineare europea. Fonte: Parametro

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“Lo schizzo disegna la carta geografica di un territorio utopico e visionario, solcato da una sommatoria di città lineari usate per connettere tra loro le varie capitali”5. Provocatoriamente, sarà un caso che la rete delle connessioni passi a nord delle Alpi? E non invece a sud come previsto dal Corridoio V? Una delle motivazione ‘strategiche’ a giustificazione della nuova linea Torino-Lione è proprio legata all’utilità della nuova ferrovia a spostare il traffico merci sotto le Alpi, attraversando tutta la Pianura Padana. A questo proposito è utile porsi una domanda. Quando, e perché, si decide di costruire una nuova infrastruttura? A qualunque persona, dotata di un minimo di buon senso, si ponga questa domanda, la risposta data sarà: “perché serve”. Quindi, esplicitando, quando la domanda di trasporto è superiore all’offerta e nella tratta interessata si è raggiunta una situazione di congestione. Ma ci sono almeno altre due motivazioni: la prima è “perché servirà”, quando cioè l’offerta è adeguata alla domanda, ma quest’ultima è in crescita, e in uno scenario di breve-medio periodo si prevede che possano verificarsi situazioni di congestione. La seconda è “perché si pensa potrà servire”: l’offerta è adeguata alla domanda, ma in questo caso aumento della domanda e conseguente raggiungimento della saturazione, se non si interviene, sono considerati degli obiettivi da perseguire.

Vi sono per la verità altri possibili motivi che potrebbero concorrere a comprendere, se non giustificare, l’urgenza di realizzare l’opera anche a prescindere dalla domanda di trasporto, con riferimento, ad esempio, al ruolo “anticiclico” che la costruzione di opere pubbliche potrebbe svolgere indipendentemente dalla loro utilità, o semplicemente dall’opportunità di sostenere con investimenti pubblici le imprese che operano nel settore delle costruzioni. La prima motivazione appare peraltro obsoleta, anche se richiamata dall’Unione Europea, essendo, come noto, la costruzione di grandi opere più condizionata dalla disponibilità di capitali che non dalla disponibilità di lavoro. La seconda non dovrebbe, ovviamente, avere udienza all’interno di un processo decisionale trasparente e razionale. (M. Zambrini, 2006)

5 in Parametro, Alta velocità. Il sistema italiano, Bologna, n° 258/259, luglio ottobre 2005

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Vista la situazione attuale al valico del Moncenisio, dove il traffico merci su questa sezione è stabile da anni e addirittura in diminuzione dal 2001, si deve dunque ‘sperare’ che la domanda cresca fino a saturare l’attuale offerta di capacità?

Traffico merci su ferrovia attraverso l'arco alpino. Fonte: Alpinfo

Nell’ambito di quale scenario globale l’incremento del traffico di merci attraverso le alpi può costituire un obiettivo politicamente riconoscibile e condivisibile, nel quale la collettività possa riconoscersi ed al cui perseguimento la collettività ritenga opportuno destinare risorse finanziarie pubbliche? Si parla sempre di strategie, ma in realtà si tratta solo di retorica, e di suggestioni banali ricamate intorno all’equazione TAV=Sviluppo=Modernità, e sono poche le persone che si preoccupano di capire qualcosa sulla consistenza della domanda, sui costi e sui benefici, sugli impatti ambientali, e sulla possibilità reale di attuare un trasferimento modale, all’interno di uno scenario di diminuzione del traffico, l’unico che il nostro sistema è ancora in grado di sostenere6. Come si può dunque sostenere che la nuova linea, all’interno del Progetto 6 della rete TEN, “è ‘strategica’ per trasferire dagli itinerari a nord delle Alpi agli itinerari a sud delle Alpi il Traffico di transito? Non assomiglia piuttosto ad un danno che ad un obiettivo?”7

6 Cfr. Marletto Gerardo, «Lo spazio di una politica della logistica: dal trasporto sostenibile alla riduzione dei trasporti«, intervento all’assemblea Pro-Natura e CIPRA, “Più treni nel futuro delle Alpi?”, Torino, gennaio 2006a 7 Vittadini Maria Rosa, op. cit, 2006d, pag. 8

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Un’altra delle principali motivazioni a sostegno della decisione di realizzare la nuova linea è rappresentata dalla volontà di riequilibrare la ripartizione modale del traffico alpino. Ma questo nuovo progetto, con il conseguente consolidarsi di gruppi di pressione che ne promuovono la realizzazione, ha, nei fatti, poco a che vedere con l’effettivo conseguimento degli scenari di riequilibrio modale definiti anche in ambito europeo. Gli studi di fattibilità si limitano solitamente a dimensionare una potenziale domanda tale da giustificare il progetto, senza evidenziare significativi cambiamenti rispetto all’attuale modello di trasporto transalpino.

Per quanto riguarda il nuovo tunnel, dagli scenari assunti a base del progetto risulta che, una volta realizzato il nuovo traforo “il traffico stradale del Frejus subirebbe una limitatissima contrazione rispetto allo scenario di riferimento (da 21,2 a 2,1 milioni di tonn/anno) mentre il traffico ferroviario al valico di Modane passerebbe da 16,9 a 20,1 milioni di tonnellate, principalmente a causa della deviazione da altri valichi ferroviari”8. La realizzazione della nuova linea non determinerebbe quindi alcun trasferimento modale, fatto questo riconosciuto dalla stessa Commissione Intergovernativa, che scrive:

Il progetto Torino-Lione non provoca praticamente nessuno spostamento modale, i 3,2 milioni di tonnellate supplementari in situazione di progetto provengono essenzialmente dagli spostamenti del traffico ferroviario dalla Svizzera verso la Francia. Difatti, come si vede, sono le misure globali di miglioramento del sistema ferroviario nel suo complesso che consentono di guadagnare quote di mercato.

Dagli studi fatti9 emerge come la capacità della linea esistente sia del tutto adeguata alla domanda attuale, che peraltro risulta in diminuzione, che attraverso degli interventi di potenziamento è poi possibile ottenere buoni margini di incremento, e che l’incapacità del progetto di garantire significative modifiche dell’attuale modello di ripartizione modale del traffico merci fra Italia e Francia è più che evidente.

La reale utilità della nuova infrastruttura è poi associata ad uno scenario di medio/lungo termine che renda necessario il consistente incremento di capacità atteso a valle della sua realizzazione, tenuto conto 8 Polinomia srl, La Valle di Susa nel contesto del traffico merci transalpino: il progetto Alpetunnel e le sue prospettive, rapporto finale, Milano, maggio 2001, pag. 132 9 Polinomia srl, op. cit, 2001 o Ambiente Italia, Il trasporto merci nell'arco alpino. Tendenze, scenari, condizioni di sostenibilità, Milano, 2003

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delle altre opere avviate dalla Svizzera (Loetschberg e Gottardo) e della capacità tuttora disponibile sui valichi ferroviari esistenti. Occorre in altri termini costruire un piano, non necessariamente limitato all’ambito territoriale alpino, funzionale al trasferimento di quote importanti di traffico merci dalla strada alla ferrovia.

Per fare questo può risultare importante ratificare e rendere operativa la Convenzione delle Alpi e i suoi Protocolli attuativi, in particolar modo quello sui Trasporti. Seguire le indicazioni di questo Protocollo consentirebbe l’attuazione e la realizzazione di una politica rivolta al trasferimento modale da strada a ferrovia per il trasporto attraverso le Alpi, indicando una strategia per trovare delle risposte concrete e praticabili alle esigenze di traffico e alla domanda di mobilità degli attori economici, avendo un occhio di riguardo anche alla valorizzazione del territorio alpino.

In conclusione, la vicenda della Torino-Lione si presenta come un conflitto scontato dall’esito altrettanto scontato: interessi forti e strategie geopolitiche sovralocali, dalla scala europea fino a quella provinciale, si dispiegano lungo una valle rappresentata come corridoio naturale, la cui pesante infrastrutturazione, anziché costituire un freno, agisce in realtà da fattore di inerzia territoriale, accentuandone i caratteri di ‘corridoio di servizio’ della megalopoli padana (C. Nervo, E. Dansero, 2001).

Il rapporto del progetto con il territorio attraversato e le popolazioni locali è intrinsecamente conflittuale, non rimanendo a queste ultime che la scelta tra due opzioni: un’opposizione dura e non negoziabile o un atteggiamento tattico volto a sfruttare le possibilità di minimizzare le conseguenze negative, massimizzando nel contempo le opportunità positive. Ma date le caratteristiche del progetto, la stratificazione negli anni di atteggiamenti poco chiari e spesso irriverenti da parte dei promotori, e il conseguente scarso coinvolgimento nella presa delle decisioni, non poteva che essere la prospettiva dello scontro frontale ad avere la meglio10. Il ‘caso Val di Susa’ si configura come un esempio emblematico delle difficoltà che si possono raggiungere conducendo con modalità arroganti ed escludenti un processo di decisione e localizzazione di una ‘grande opera’.

10 Antonio Ferrentino, presidente della Comunità Montana Bassa Val di Susa, afferma a tal proposito che: “Non siamo in attesa di nessun negoziatore, non abbiamo rivendicazioni da avanzare sull’alta velocità, semplicemente siamo con determinatezza contrari all’opera” in Sasso Chiara, Canto per la nostra valle. Diario fra qualità della vita e prepotenza della velocità, Torino, Editrice Morra, 2002, pag. 263

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Con l’aggravante che in questo territorio non si è sviluppata una protesta dell’ultima ora, con un piccolo comitato che cerca come può di opporsi, ma esiste un movimento collettivo che si è formato e consolidato negli ultimi quindici anni. La scritta NO TAV è ovunque in valle11, nelle bandiere appese ai balconi, negli adesivi attaccati un po’ dappertutto, è issata perfino sulle montagne: è diventata un segno identitario di riconoscimento, ed è difficile trovare un movimento che assuma caratteristiche altrettanto unitarie.

Questo “gioco a somma zero” appare attualmente difficilmente risolvibile, e il rapporto elaborato dal Gruppo COWI è ulteriore dimostrazione dell’ottusità di come si conducono questo tipo di processi, al chiuso di improbabili “cittadelle tecnocratiche”12.

11 Cfr. Sasso Chiara, op. cit, 2002, pag. 154 12 Bobbio Luigi, Discutibile e indiscussa. L’Alta Velocità alla prova della democrazia, in Il Mulino n. 423, 1/2006, pag. 132

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