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Newsletter mensile dell'Osservatorio sulle Discriminazioni "Articolo 3" di Mantova, redatta nell'ambito del progetto europeo "In Other WORDS"
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N E W S L E T T E R M E N S I L E D I A R T I C O L O 3 - O S S E R V A T O R I O S U L L E D I S C R I M I N A Z I O N I
Giugno 2012 nº8
In Other Words NEWS
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza di-stinzione di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizio-ni personali e sociali.
Costituzione della Re-pubblica Italiana,
Principi Fondamentali, Articolo 3
Indice:
Editoriale 1
Lo specchio 3
Il progetto 4
Glossario 5
Approfondimento 6
“In Other Words “ è un progetto cofinanziato dalla Commissione Europea—DG Justice
Editoriale Migranti. Non importa che si tratti di onesti lavoratori e lavoratrici (la maggior parte), richiedenti asilo, delinquenti, persone in fuga da guerra, fame, disoccupazione... persone che cercano un futuro migliore – o forse, più semplicemente, un futuro e basta – da dare a se stessi e alla propria famiglia. Non importa chi erano prima di arrivare, chi sono ora, chi potrebbero diventare. Non importa perché sono qui. Per molti media si tratta semplicemente di un peso, un capro espiatorio. E ancor meno importa che anche noi, italianissimi, spesso scappiamo all'estero in cerca di fortuna. “Fuga dei cervelli”, la definizione un po' tragica e – se mi consentite – presuntuosa che ci siamo dati. Forse basterebbe poco per valorizzare tutti quei cervelli che, invece, sono in entrata nel nostro Paese. Di norma preferiamo invece relegarli ai lavori più umili e meno qualificati (nonostante molti di quelli che arrivano abbiano studiato e il cervello lo sappiano usare, eccome). Niente di nuovo. Dove sta la notizia? Che, da qualche tempo a questa parte, questi lavoratori e lavoratrici – cui vengono sistematicamente ricordati i loro doveri – anziché subire lo sfruttamento vogliono vedere riconosciuti e rispettati i propri diritti. Elena Cesari, partendo dai fatti di Rosarno del 2010, ci fornisce un resoconto degli ultimi due anni sui fatti avvenuti, su come i giornali abbiano trattato (male) l'argomento e ci dà un'interessante chiave di lettura (p.6 e segg.).
I media italiani, poi, spesso trattano i migranti come i numeri della tombola: periodicamente (magari aiutati da un banale fatto di cronaca) 'estraggono' una comunità di persone, reale o fittizia che sia (“tunisini”, “sudamericani”, “libici”...) e iniziano il tiro a bersaglio. Per qualche settimana, a volte anche più a lungo, l'inchiostro delle pagine di cronaca è tutto per loro. L'ultimo caso, qui nel mantovano, ha riguardato la comunità sikh. Sui quotidiani locali, per tutto il mese di aprile, sono apparsi a raffica una serie di articoli trasudanti luoghi comuni, pregiudizi e falsità. A p.3 potete leggere un assaggio del cosiddetto “caso Sikh”. Per fortuna Elena Borghi, a p.5, ci aiuta a grattar via un po' di quel pregiudizio, svelandoci qualcosa in più sulla cultura e la religione di queste persone. Su questo argomento Articolo 3 ha riportato 2 interventi significativi: la lettera di Parminder Singh, un ragazzo sikh che ha frequentato il nostro Osservatorio; e la lettera del Sindaco di Pessina Cremonese (CR), nella quale si ricorda non solo il contributo della comunità sikh all’economia del suo Comune, ma anche la partecipazione dei sikh durante la guerra di Liberazione nelle file delle truppe Alleate.
Nel ricordare che proprio in questi giorni sono state pubblicate le Linee guida per l'applicazione della Carta di Roma (p.2), cui Eva Rizzin di Articolo 3 ha contribuito, vi auguro buona lettura.
Rocco Raspanti
I l progetto mira a formulare una risposta nei confronti della situazione attuale, in cui i media sono spesso veicoli per la diffusione degli stereotipi, e a contribuire al migliora-
mento del messaggio mediatico, in particolare rispetto alla rappresentazione che esso for-nisce delle minoranze etniche e religiose, delle persone con disabilità e degli appartenenti alla comunità Lesbica-Gay-Bisex-Trans.
Capofila del progetto: Provincia di Mantova Partner: Articolo 3, Intercultural Institute of Timisoara (Romania), Eurocircle (Francia), Diputaciòn Provincial de Jaen (Spagna), IEBA (Portogallo), Fundaciòn Almeria Social y Laboral (Spagna), Tallin University (Estonia). Il progetto prevede la creazione di una redazione locale in ogni Paese, dedita al monitorag-gio dei media, ad attività di ricerca e decostruzione degli stereotipi e ad un lavoro di rete con giornalisti e professionisti dei media, scuole e università, organizzazioni della società civile.
Per saperne di più: www.inotherwords-project.eu
“In Other Words”: un progetto europeo contro la discriminazione nei media
La Carta di Roma, uno strumento essenziale
S ono state pubblicate in questi giorni le Linee guida per l'applicazione della Carta di Roma, il codice deontologico
in vigore dal 2008, cui i giornalisti dovrebbero attenersi quan-do trattano di migranti, richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tratta. A cura di Anna Meli (Federazione Nazionale Stampa) e realizza-te nell'ambito del progetto UNAR "Realizzazione di iniziative di sensibilizzazione per operatori dell'informazione". Articolo 3 ha curato la sezione riguardante rom e sinti, in cui si traccia una breve storia della presenza di queste minoranze in Italia, si analizzano i termini scorretti di cui l'industria mediati-ca fa ancora largo uso e si propongono alternative corrette e rispettose della dignità di rom e sinti.
“All’opinione diffusa […] che
ritiene l’immigrazione
necessaria a fronteggiare il
calo demografico e soprattutto
a riempire i posti di lavoro più
umili e squalificanti, i
lavoratori di Rosarno,
Pioltello, Basiano oppongono
l’assunzione di responsabilità
piena, la mobilitazione in
prima persona per contribuire
a rendere ogni posto di lavoro
un posto degno e qualificante
per tutti, italiani e stranieri”.
Elena Cesari parla di
lavoro e immigrazione
a p.6
Pagina 2
In Other Words NEWS
In Other Words NEWS
La newsletter si pubblica ogni mese a Mantova (Italia), Jaen (Spagna),
Almeria (Spagna), Mortagua (Portogallo),
Marsiglia (Francia), Timisoara (Romania) e Tallín (Estonia) con il
sostegno della Direzione Generale Giustizia della Commissione Europea.
L’edizione di Mantova è coordinata da Articolo 3,
Osservatorio sulle discriminazioni
VO
CA
BO
LA
RIO
Il progetto
Le parole sono importanti!
A partire da una serie di articoli che nei mesi scorsi
hanno narrato in modo poco rispettoso e per lo meno
approssimativo la comunità sikh del territorio
mantovano,
in questo numero parliamo di Sikhismo, fornendo
qualche spunto per approfondire la tradizione religiosa,
sociale e culturale di una delle comunità migranti più
numerose d’Italia.
A p. 5
Il “caso Sikh”
Pagina 3
Giugno 2012 nº8
Il meglio e/o il peggio della stampa lombarda, in materia di minoranze
Lo specchio
cile da ambientare nel Mantovano” (Gazzetta di Mantova). La Voce di Mantova mette in atto una pericolosa generaliz-zazione, quando nomina “la dura legge sikh”, accostando
questo presunto codice ad “armi bianche” e “rapimenti”; questi diventano così, agli occhi del lettore, gli unici elementi di una tradizione cultu-rale e religiosa che, invece, poggia su ben altri pila-stri. Gli errori di sempre: il reato viene etnicizzato e la responsabilità da individuale diventa colletti-va. Quando poi, due settimane dopo, scoppia una nuova rissa in provincia, i due giornali si rimetto-no all’opera: la Gazzetta apre il 25 aprile con tanto
di foto in prima pagina e titolo traboccante di “colpi di sciabola”, “alcol”, “matrimoni forzati”, “violenza”: ancora un bel quadretto della co-munità sikh. Invece che fornire elementi di conoscenza su una popo-lazione presente ormai da molto tempo nel nostro Paese, articoli come questi p a i o n o r i n c o r r e r e l’obiettivo opposto, mi-schiando voci di popolo, folklore approssimativo e pregiudizi, che non possono che aggravare il clima di diffi-denza e l’ostilità degli “autoctoni”. EB ed EC
Nel mese di aprile la stampa mantovana ha concentrato le proprie attenzioni sulla comunità sikh. Ha fornito il pretesto una rissa, scoppiata il giorno di Pa-squa in una piccola località della provincia. Pranzavano in un ri-storante alcune persone, vittime di aggressori armati di bastoni ed armi da taglio. I quotidiani locali non si sono lasciati scappare l’occasione, affrettandosi a specificare la nazionalità indiana e la fede sikh di tutte le persone coin-volte, ristoratore compreso. Articoli a tutta pagina ed e-spressioni come “guerriglia”, “raid punitivo” (Voce di Mantova), “scene di guerra”, “commando di turbanti” o, parlando di episodi precedenti, “violenza inaudita e diffi-
E’ accaduto, ormai qualche mese fa, che il Capo dello Stato venisse in visita a Mantova. E che ad accoglierlo fosse un coro di bambini, che hanno intonato l’inno nazionale. Un’idea come tante, che però un
quotidiano locale, la Voce di Mantova, è riuscito a rendere per lo meno sgradevole, cedendo alla tentazione di opporre al ‘bianco’ delle voci infantili il “black” dei volti di due delle coriste. “Graziosissime”, s’intende, almeno quanto la loro collega di coro “orientale”. Un commento che
Inno nazionale in bianco e nero
non solo è inutile, ma che pure lascia in bocca l’amaro di quella sorta di esotismo, di quella magnanimità un po’ coloniale da uomo bianco, che ricordano tanto da vicino il razzismo: come conferma il titolo di eco fascista, “faccetta nera”. Quanti orrori in poche righe.
La Provincia di Mantova, capofila del progetto In Other WORDS ha pre-
sentato il 24 maggio il bando Con quali parole?, da realizzarsi nell’ambito
del progetto stesso e pensato per le Scuole Secondarie di Secondo grado
e per i Centri di Formazione Professionale del territorio. Costruito in
partnership con la Consulta studentesca della provincia di Mantova, il
bando mette in palio cinquemila euro, da suddividere tra i progetti vin-
citori.
Obiettivi dell’iniziativa sono: la sensibilizzazione dei ragazzi nei
confronti dei messaggi fuorvianti diffusi dai mass media; l’aumento
della consapevolezza in questi ultimi, specie quelli locali, in merito alle potenzialità negative dei linguaggi scorretti;
il coinvolgimento diretto di giovani appartenenti alle minoranze e di gruppi spesso vittime di discriminazione
nella realizzazione del progetto; la sinergia con il territorio, la valorizzazione delle reti già in essere con le
associazioni rappresentative di minoranze o vicine al
tema.
La Provincia ha indicato alcuni esempi, da cui gli
Istituti interessati a concorrere potranno trarre spunto. Focalizzando la propria analisi
sulla comunicazione nel quotidiano gli studenti potrebbero produrre un “elaborato”
collettivo che definisca la “discriminazione più comune” dal punto di vista dei ragazzi —
dalla discriminazione conclamata (come l’impossibilità di accesso a locali per le persone
con disabilità), alla discriminazione percepita, a quella non percepita (come quella che
passa attraverso il linguaggio comune).
Oppure i ragazzi potrebbero svolgere un’indagine sul territorio, una mappatura delle
discriminazioni o delle buone pratiche esistenti nel territorio mantovano, guardando
ad esempio alle pratiche di diversity management nelle aziende, o a progetti correlati che
trattino di parità dei diritti, contrasto all’omofobia, antiziganismo.
Ancora, i concorrenti potrebbero simulare un’unità locale di monitoraggio, una press
unit simile a quelle che lavorano al progetto IOW e che ne utilizzi la stessa metodologia
per monitorare la stampa e/o il web.
Oppure, gli Istituti potrebbero ideare un modulo scolastico ad hoc sui temi del
progetto: ad esempio di diritto, con un approfondimento della legislazione
antidiscriminazione italiana ed europea; o di lingua, poiché il progetto prevede la
produzione di una newsletter mensile nelle varie lingue nazionali dei partner, a cui se ne
aggiunge una trimestrale in inglese, materiale da cui potrebbe svilupparsi un’anilisi
dell’uso di una lingua straniera e del linguaggio mass mediatico. Anche la storia si
presterebbe ad approfondimenti sul tema delle discriminazioni — salta immediatamente
alla mente, ad esempio, il legame con il discorso razzista del primo Novecento, con la
creazione dei campi di sterminio e con il Porrajmos. Ugualmente, un modulo specifico
potrebbe essere dedicato ai linguaggi non verbali multimediali: il mezzo informatico, il
linguaggio filmico e teatrale, la comunicazione pubblicitaria.
Pagina 4
Giugno 2012 nº8
Il progetto Con quali parole? Un bando per le scuole
Il progetto In Other Words NEWS
Il sito OxfordSikhs riporta che la
popolazione sikh conta a livello
mondiale circa 27 milioni di persone,
il 76% delle quali vivve in India, specie
nello stato del Punjab. Con una fama
di persone intraprendenti e dedite al
lavoro duro, i Sikh sono presenti da
molto tempo in quasi ogni Paese del
mondo, soprattutto nelle aree
anglofone. La popolazione sikh in
Italia è composta da circa 60-70 mila
persona (la maggioranza degli altri 100
mila migranti di origini indiane) e vive
perlopiù nelle zone rurali del Nord,
dove lavora nel settore agricolo e
lattiero-caseario. I Sikh pregano nei
Gurdwara, ormai una dozzina nel
nostro Paese, il più famoso dei quali è
stato inaugurato a Novellara nel 2000.
I Gurdwara sono luoghi aperti a tutti,
le cui grandi cucine annesse servono a
preparare il cibo per ospitare
gratuitamente ogni avventore.
Chiunque può andare, chiedere
informazioni, soddisfare la propria
curiosità e assaggiare un piatto
punjabi.
S ikh.
Un termine che recenti fatti
di cronaca, uniti alla
descrizione fuorviante e di parte
che spesso ne viene offerta, di cui
abbiamo fornito un esempio a
pagina 3, rischiano di far suonare
minaccioso alle orecchie dei più.
Chi sono, dunque, questi Sikh?
C o m e s a r e b b e g i u s t o e
interessante che i giornali li
“raccontassero” ai loro lettori?
La religione sikh (letteralmente
“discepolo”) deve le proprie orgini
al Guru Nanak, nato nel 1469 in
un villaggio nei pressi di Lahore,
in Pakistan. Si tratta di una fede
m o n o t e i s t a , c h e c r e d e
nell’esistenza di un dio assoluto e
onnipresente, eterno, creatore,
origine di ogni origine, incapace
di odio. I fedeli sikh si
riconoscono nei tre principi
enunciati dal primo profeta, Guru
Nanak Dev ji: “Vivete solo
lavorando onestamente; fate
simran, meditando in ogni istante
del giorno; mangiate dividendo
con altri”. Dieci sono stati i Guru
(Maestri, profeti) del Sikhismo,
negli anni tra il 1469 e il 1708,
quando il decimo Guru nominò
come suo successore l’Adi Granth,
il testo sacro della fede Sikh, che
contiene gli insegnamenti dei
dieci Maestri.
Glossario delle “parole sporche”: raccontare il sikhismo
Pagina 5
Cinque sono i segni distintivi del
fedele sikh, detti “le Cinque K”:
Kesh (i capelli lunghi raccolti sotto
il turbante, come segno del
rispetto dell’opera di dio); Kangha
(un pettine di legno infilato tra i
capelli, simbolo di pulizia); Kara
(un bracciale di ferro, simbolo
della forza di dio); Kachera (un
paio di mutande lunghe, simbolo
di autocontrollo e castità); Kirpan
(un piccolo pugnale che uomini e
donne portano su di sé, non come
un’arma, ma come simbolo di
lotta all’ingiustizia. Non una
“scimitarra”, non uno “spadone”!)
I maschi sikh utilizzano Singh
come cognome, un termine
derivante dal sanscrito sinha,
“leone”; le donne, invece,
aggiungono al nome proprio
Kaur, “principessa”. Uomini e
donne praticanti, inoltre, sono
tenuti alla pratica del sewa, il
“servizio” al prossimo, che si
esplica ad esempio nel coprire
turni volontari presso i Gurdwara
e le loro cucine.
Nel narrare fatti di cronaca o
costume riguardanti questa
comunità, i giornalisti farebbero
meglio a fornire qualche elemento
sulla sua complessità culturale,
filosofica e religiosa. Magari dopo
essere andati di persona a
conoscerla più da vicino.
Elena Borghi
Fedeli sikh davanti al Tempio d’Oro di Amritsar, India (Le Photo A Go-Go/flickr)
Pagina 6
Giugno 2012 nº8
Approfondimento Migranti, diritti e identità
Un rapido sguardo sulle rivolte nel mondo del lavoro da Sud a Nord
L ’immagine dei migranti che i media co-
struiscono, giorno dopo giorno, ha due
facce complementari. La faccia xenofoba
dell’invasione e della pericolosità sociale, e la faccia
paternalistica o pietistica dell’indigenza, della mancan-
za di strumenti culturali per essere protagonisti delle
proprie vite. Questi due aspetti si sostengono a vicen-
da nel negare ai migranti una progettualità politica e
un potenziale di trasformazione della realtà che invece
hanno avuto in passato e continuano ad avere oggi.
Nel 2010 a Rosarno i lavoratori della raccolta delle
arance si ribellarono alla condizione di schiavitù nella
quale erano costretti dai mafiosi locali. Allora si scate-
nò una violenza xenofoba senza precedenti da parte
della popolazione locale (giustificata e minimizzata
dalle istituzioni). In quell’occasione l’ex Ministro
dell’Interno Maroni dichiarò che le cause di quello
che stava accadendo erano da ricercarsi nell’eccessiva
tolleranza delle istituzioni verso l’immigrazione clande-
stina. La vicenda si concluse con l’espulsione di massa
di oltre 1.500 persone dalla Piana di Gioia Tauro. So-
lamente un centinaio di persone furono trovate prive
di permesso di soggiorno e rimpatriate. Ad oggi le
condizioni lavorative dei raccoglitori di arance a Rosar-
no non sembrano essere migliorate. Nonostante i ten-
tativi di mistificazione dei fatti da parte del governo e
dei media (che la definirono una rivolta di
“extracomunitari” violenti e clandestini ), la ribellione di
Rosarno aprì uno squarcio di luce sull’intreccio fra mafia,
lavoro nero e sfruttamento del lavoro migrante in Italia.
Oggi sappiamo che questo intreccio è pervasivo al Nord
come al Sud.
In Lombardia un sistema di esternalizzazioni alle
cooperative ha provocato una progressiva perdita dei dirit-
ti dei lavoratori, soprattutto immigrati, per i quali la per-
dita del permesso di soggiorno è un potente ricatto. Due
settimane fa a Basiano (MI) novanta lavoratori della coo-
perativa Alma sono stati licenziati senza alcun preavviso
per far posto ai lavoratori di un’altra cooperativa: la Berga-
masca. I lavoratori di quest’ultima cooperativa sono tutti
soci e avranno la paga ridotta della metà (da 7 a 3 euro
l’ora), poiché pagano in forma di trattenuta le perdite
della cooperativa. La maggioranza degli operai nella gran-
de distribuzione del Nord Italia è immigrata e fino a que-
sto momento si è vista costretta ad accettare condizioni
lavorative degradanti. I media anche in questo caso han-
no preferito limitarsi alla cronaca di una giornata di scon-
tri, sottolineando le “violenze” compiute dei manifestanti.
Non hanno mancato di specificare l’origine etnica dei
migranti e di tacere le cause profonde degli scontri: Gli
immigrati licenziati assaltano i colleghi (Libero Milano, 12/6)
e La rivolta dei lavoratori dopo il licenziamento. Guerriglia e
trenta feriti (Giornale Milano, 12/6). Nel silenzio dei me-
dia italiani (unica eccezione è il Fatto Quotidiano), i fatti
di Basiano sono giunti all’orecchio della Federazione dei
Sindacati Egiziani (Etuf), che si è mobilita per sostenere la
lotta dei lavoratori egiziani nella cittadina del Milanese,
attraverso il coinvolgimento della Federazione mondiale
dei sindacati e del suo presidente George Mavrikos: Se è il
sindacato egiziano a difendere i lavoratori di Basiano (Fatto
Quotidiano, 19/6).
Basiano però non è stato un caso isolato. A parti-
re da ottobre 2011, infatti, a Pioltello (MI) gli operai che
lavoravano nei magazzini dell’Esselunga (anche qui quasi
Rosarno: “Avoid shooting backs” (Vandicla/flickr)
Approfondimento Giugno 2012 nº8
Pagina 7
ta in volta in mano ai gruppi al potere in quel momento.
Le lotte dei lavoratori immigrati scompaginano la lettura
xenofoba, poiché mostrano che la battaglia per i diritti
delle minoranze è anche una battaglia contro la perdita
dei diritti di tutti i lavoratori. In diverse occasioni i lavora-
tori immigrati sono stati, infatti, i primi (se non i soli) a
ribellarsi contro caporalato, lavoro nero, condizioni degra-
danti, mafia. All’opinione diffusa e accettata da ampi stra-
ti della popolazione anche afferenti ad un’area politica di
sinistra, che ritiene l’immigrazione necessaria a fronteggia-
re il calo demografico e soprattutto a riempire i posti di
lavoro più umili e squalificanti, i lavoratori di Rosarno,
Pioltello, Basiano oppongono l’assunzione di responsabili-
tà piena, la mobilitazione in prima persona per contribui-
re a rendere ogni posto di lavoro un posto degno e qualifi-
cante per tutti, italiani e stranieri. Inoltre, giova forse ri-
cordare che l’adattamento dei migranti ai lavori “che gli
italiani non vogliono più fare” corrisponde in scarsa o
scarsissima misura alla formazione, al curriculum e ai desi-
deri degli stessi. Laureati, ricercatori, artisti, ingegneri che
trovano una collocazione lavorativa che non rispetta né
valorizza le loro abilità e competenze reali.
A ben vedere, quella di cui sopra è la madre delle discri-
minazioni: l’impossibilità di una scelta lavorativa reale,
causata da un mercato del lavoro che chiede ai lavoratori
di flessibilità sui diritti per poter mantenere una rigida e
piramidale divisione fra settori e categorie di lavoratori.
Come fa notare il sociologo algerino Abdelmalek Sayad in
La doppia assenza, le categorie di lavoratori si identificano
tutti immigrati) con il consorzio Safra hanno dato vita
a scioperi che per mesi ha impedito ai camion di usci-
re dai cancelli. Ragione degli scioperi:
l’esternalizzazione alle cooperative e le condizioni inu-
mane di lavoro. Per aver protestato, venticinque dipen-
denti sono stati licenziati: Siamo schiavi di Esselunga. A
Pioltello la protesta dei lavoratori delle cooperative (Fatto
Quotidiano, 11/12).
Il caso di sfruttamento più eclatante, però, è stato
quello degli operai provenienti dalla Romania, che
hanno denunciato di essere stati assunti da un’azienda
veneta come falegnami ma essere stati impiegati per un
euro all’ora nei cantieri del Pirellone bis a Milano. Più
della metà del loro stipendio veniva trattenuta da un
intermediario: “Abbiamo lavorato in nero nei cantieri del
Pirellone bis”(Corriere Milano, 13/5/2011); Un euro
all’ora ai romeni che lavoravano al Pirellone. Aperta
un’inchiesta.
Una chiave di lettura
Purtroppo lo sfruttamento del lavoro migrante, se si
escludono i momenti di tensione con polizia e forze
dell’ordine, non fa notizia. Pochissimi quotidiani e siti
internet (per lo più legati ai movimenti dei lavoratori e
ai sindacati) si occupano approfonditamente di queste
vicende.
In Italia la crisi economica è stata presentata
da politici e operatori dell’informazione come un
buon motivo per distogliere l’attenzione dalle discrimi-
nazioni nei confronti delle minoranze. I diritti sareb-
bero un lusso che in tempo di crisi non ci si può per-
mettere. La crisi economica viene usata come volano
per i discorsi xenofobi che invitano “gli autoctoni” a
difendersi dall’invasione degli “stranieri”, venuti in
Italia per rubare casa, lavoro, welfare. Si tratta di una
concezione che insiste sulla proprietà privata dei dirit-
ti. Eppure i diritti sono tanto più forti quanto non
perdono le caratteristiche di universalità, inviolabilità
ed indivisibilità; altrimenti si deteriorano, diventando
di giorno in giorno sempre più simili a privilegi di vol-
“Hungry-Angry” (igor4613/flickr)
Approfondimento Giugno 2012 nº8
Pagina 8
I media potrebbero e dovrebbero svolgere un im-
portante ruolo di contrasto a questo stato di cose. Innanzi-
tutto, evitando di parlare dei problemi sul lavoro delle
persone immigrate come di un problema solo loro. In se-
condo luogo, utilizzando un linguaggio corretto, privo di
generalizzazioni sull’immigrazione; evidenziando la parteci-
pazione attiva e propositiva degli immigrati nella vita eco-
nomica e culturale del nostro Paese. Purtroppo
quest’ultimo aspetto viene spesso volutamente stravolto
trasformando gli immigrati in soggetti ingordi e inconten-
tabili, portatori di una serie infinita di richieste indirizzate
agli Enti locali, allo Stato ed agli imprenditori. In quanto
stranieri, godono oggettivamente di meno diritti dei nazio-
nali, fatto che induce ad una percezione sociale ancora più
restia al riconoscimento di diritti minimi. Al contrario si
riconoscono loro molti più doveri nei confronti dello Sta-
to. L’immigrato per definizione (e per volontà politica)
deve sopportare di più e dimostrare di dare alla collettività
molto di più dell’italiano medio.
Da Pioltello, Basiano, Rosarno e da tutta Italia stanno arri-
vando però segnali chiari: i lavoratori immigrati non riten-
gono di dover sopportare e di pagare di più e per primi i
costi della crisi economica e sociale. Non solo questiona-
no le regole contrattuali, ma sono anche protagonisti di
una resistenza attiva e propositiva alla deriva economica,
politica e morale di questo Paese.
Elena Cesari
NOTE:
[1] Abdelmalek Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni
dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Cortina, Milano
2002, p. 221.
[2] Ibidem, p. 222.
nel tempo con categorie di persone, dimostrazione
linguistica del costante assoggettamento ad un tempo
economico e socio-culturale dei lavoratori migranti. In
altre parole, la nazionalità delle persone immigrate e il
lavoro svolto diventano spesso termini usati in modo
intercambiabile nei media e nel linguaggio colloquiale.
E’ esperienza linguistica diffusa che (con alcune varia-
bili regionali e locali) senegalese venga usato come sino-
nimo di venditore ambulante, filippina di colf, indiano
di bergamino, pakistano di commerciante di frutta e
verdura, solo per fare alcuni esempi. Per dirla con Sa-
yad “la condizione dell’immigrato si accompagna sem-
pre alla definizione sociale del lavoro svolto, o a dire il
vero del lavoro che gli è attribuito”[1]. Ancora:
“L’evoluzione attuale tra manodopera nazionale e ma-
nodopera immigrata si è unita all’evoluzione tecnica
dei posti di lavoro. Questa è in parte responsabile di
quella, nella misura in cui contribuisce a rafforzare la
concentrazione dei lavoratori immigrati in certe attivi-
tà […] e allo stesso tempo nei livelli più bassi di qualifi-
ca”[2]
Queste riflessioni paiono quanto mai attuali
anche per comprendere la realtà italiana e il complesso
sistema economico, legislativo e culturale che riduce
ed appiattisce la vita dei migranti alla sola dimensione
lavorativa alla quale sono stati destinati.
“Sciopero migranti #1 (bandini’s.on.fire/flickr)