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1,80 n.8 AGOSTO 2006 MENSILE DI CULTURA, INFORMAZIONE, POLITICA DELL’ARCO ALPINO Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Sondrio n.8 AGOSTO 2006 MENSILE DI CULTURA, INFORMAZIONE, POLITICA DELL’ARCO ALPINO Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Sondrio 1,80 SPECIALE GIOCHI DI UNA VOLTA a Sondrio il 25 agosto TURISMO DA IMITARE SALVATORE GIULIANO: STORIA DA RISCRIVERE DECRETO BERSANI: LUCI E OMBRE FERROVIE IN ESTINZIONE SPECIALE GIOCHI DI UNA VOLTA a Sondrio il 25 agosto TURISMO DA IMITARE SALVATORE GIULIANO: STORIA DA RISCRIVERE DECRETO BERSANI: LUCI E OMBRE FERROVIE IN ESTINZIONE

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SPECIALE GIOCHI DI UNA VOLTAa Sondrio il 25 agosto

TURISMO DA IMITARE

SALVATORE GIULIANO:STORIA DA RISCRIVERE

DECRETO BERSANI:LUCI E OMBRE

FERROVIE IN ESTINZIONE

SPECIALE GIOCHI DI UNA VOLTAa Sondrio il 25 agosto

TURISMO DA IMITARE

SALVATORE GIULIANO:STORIA DA RISCRIVERE

DECRETO BERSANI:LUCI E OMBRE

FERROVIE IN ESTINZIONE

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Grande Viabilità di Trieste

Strade, ponti e due gallerie a doppia canna sono le operepreviste nel terzo lotto, secondo stralcio, della GrandeViabilità Triestina che il comune friulano ha appaltato allaCossi Costruzioni Spa in associazione temporanea conl’impresa Collini Spa di Milano per un importo di 130milioni di euro. Il nuovo tracciato stradale di 5,5 chilometricompleta il collegamento fra Trieste e il tronco autostradalerealizzato dall’Anas a Padriciano, nei pressi dell’Area diRicerca, concludendo il progetto dell’intera GrandeViabilità della Provincia di Trieste.La parte più impegnativa del progetto per la realizzazionedella strada che collega l’autostrada A4 con il porto delcapoluogo friulano è rappresentata dalla costruzione didue gallerie, Carso e Cattinara, le cui peculiarità hannoinfluenzato le scelte dei sistemi di lavorazione. La galleria Carso, costituita da due canne di lunghezza paria circa 2.850 metri con due corsie di marcia più labanchina per la sosta di emergenza, presenta condizioniassai critiche, in quanto, oltre ad attraversare una zonanella quale si intersecano caverne carsiche, si trova nellevicinanze del Centro di Ricerche Fisiche del CNR, la cuioperatività non deve essere in alcun modo compromessa. La galleria Cattinara, seppure lunga soltanto 300 metri persenso di marcia, passa invece sotto il centro abitato. Il

collegamento tra le due gallerie sarà assicurato dalviadotto Cattinara, lungo 330 metri, a quattro arcate altefino a 90 metri.Le connessioni con la viabilità minore sono garantitedagli svincoli della Cattinara, del Castelliere e di Padriciano.Sono infine previsti l’ammodernamento della nuova stradacomunale di collegamento all’abitato di Padriciano e lacreazione delle connessioni con l’Area di Ricerca.Un’opera imponente per l’entità delle realizzazioni e peril contesto entro il quale sono inserite, un progetto cheridisegna la viabilità nella zona di Trieste che proseguiràcon il collegamento tra l’autostrada A4 e il valico diconfine con la Croazia. Il progetto originario risale agli anni Ottanta: sin da allorasi era evidenziata la necessità di collegare il porto diTrieste con la rete autostradale, in direzione occidentale,con la Serenissima (A4) e verso nord con l’Alpe Adria(A23) in direzione del valico italo-austriaco di Tarvisio.L’apertura al traffico del primo tronco fino al comune diS. Dorligo, a pochi chilometri da Trieste, quindi fino aCattinara è datata 1988. Ora con la realizzazione delleopere previste nel secondo lotto, iniziata nell’estate del2003, il Comune di Trieste si prepara a completare unprogetto nato per ridisegnare la struttura viaria della città.

Collegamento Autostrada A4 - Porto Nuovo di TriesteTratto Padriciano - Cattinara

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COSSI PER ALPES AGOSTO 26-07-2006 17:40 Pagina 1

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SOMMARIOALPES N. 8 - AGOSTO 2006

LE LETTERE 8LA PAGINA DELLA SATIRA 9aldo bortolotti

AUTODETERMINAZIONE OAUTOGOVERNO? 10giuseppe brivio

FERROVIA IN ESTINZIONE 12A PROPOSITO DEL DECRETOBERSANI... TUTTO PER IL BENEDEI CONSUMATORI 13carmelo r. viola

NON PRENDIAMOCI PER I FONDELLI, PER FAVORE! 14medardo moskowski

GESÙ CRISTO VERO DIOE VERO UOMO 16vincenzo carollo

LA PEDOFILIA NELLA CRONACAATTUALE, VARIAMENTEINTERPRETATA E GIUDICATANEI MILLENNI 18alessandro canton

DROGA = DIPENDENZA 20manuela del togno

I FAVOLOSI VIAGGIDEL BAMBINO MICHELE 21pielleti

SPECIALE GIOCHI DI UNA VOLTAPER I BAMBINI DI OGGI 22

UNA PREZIOSA MOSTRA“L’AQUILA E IL LEONE”NELLE MARCHE NEL FERMANO 42donatella micault

ANTICHI PERCORSIDEL TERZIERE DI SOPRA 45elena e nemo canetta

LIBRO VERDEDELLA SOLIDARIETÀ 47giovanni lugaresi

L’A.N.A. IN VALTELLINA 49marino amonini

ARCHITETTURA E DESIGNFENG SHUI 25stefano vettori

VALTELLINA MITTELEUROPEA:LE CASE IN LEGNO 26raimondo polinelli

ESEMPI DA IMITARE: ITINERARIGOURMAND TRA LE MONTAGNE 28pier luigi tremonti

UN MODO DIVERSODI FARE TURISMO 30vittorio calogero

STORIA PICCOLACOLLEZIONISMO-NUMISMATICA:METALLICA O CARTACEA 31arcangelo tartaro

INAUGURATA NUOVA VIASUL MONTE SPONDASCIA 34ermanno sagliani

OSSIMO: LA PATATA SAN CARLO 35gian carlo zerla

LA SMIELATURA 38fabio bordoni

LE DIMORE DI BACCO 39pier luigi tremonti

SALVATORE GIULIANO,UNA STORIA DA RISCRIVERE 40luciano scarzello

I VECCHI SEGNALI STRADALI... 51TROTTATORE,CAVALLO DA CORSA 52carlo nobili

CAMPIONI DEL MONDO: LA BELLA FACCIA DEL CALCIO ITALIANO 55gianluca lucci

IL BENE COMUNE,QUESTO DIMENTICATO 56luigi oldani

IN “VOLVER” TUTTE LE DONNEDI PEDRO DE LA MANCHA 57ivan mambretti

RACCONTIDEL DOTTOR KALAMUS 58giuseppe brivio

MA TU LA CONOSCILA KIRGHISIA? 59RECENSIONI 60giuseppe brivio

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TITOLA “DAGOSPIA”: “Un cadavere per spiopoli - suicida Adamo Bove, responsabile security governance della tim-telecom - si aspetta lo scoppio del bubbone ...”

“Alla Tim esiste un sistema informatico, detto Radar, che serve a monitorare il traffico dei cellu-lari. Grazie a Radar, si può sapere dove una persona si trova (cioè a quale cella si aggancia il suotelefonino), con chi parla e quanto ci parla. Qualche settimana fa, peraltro, proprio quando al-la Telecom si accorsero che troppe cose non andavano per il verso giusto, fu ordinata un’ispezio-ne interna. Ci fu anche un controllo da parte dei tecnici dell’Authority della Privacy.

In quell’occasione si scoprì che negli uffici di Bove erano in fun-zione alcuni computer da cui si poteva accedere a Radar sen-za lasciare traccia delle interrogazioni. Un modo sofisticato perbypassare i controlli interni e svolgere discretissime indagini. Sene parlò pure sui giornali. Bove seppe che stava per essere chia-mato a dare spiegazioni alla magistratura. E lui se ne era in-quietato parecchio”.

Già ai tempi caldi del terrorismo si usava iniziare ogni te-lefonata con il classico “Buon giorno maresciallo” e in-tercalando qualche termine che potesse far scattare i mec-canismi di intercettazione tipo “Bin Laden”, “bomba”,“attentato” ...Sembrava di fare un innocente gioco da ragazzi per dareun po’ di lavoro agli intercettatori di turno!

Ma oggi non scherzano affatto politici, principi, finanzieri, sportivi, reali, calciopoli, Uni-pol, Opa, Rcs, sanità laziale, Rai e non solo ... tra picchi e ripicche in un clima di svacca-mento morale allucinante.Viene il vomito, ma non tanto per le intercettazioni in sè quanto per il fatto che hannomesso a nudo una realtà umana di uno squallore penoso e sconcertante.Leggere quello che illustri personaggi, che siamo abituati a vedere in ineccepibile doppiopetto e circondati da guardie, dicono tra loro senza pudore e senza il minimo riguardo perchicchessia, fa specie.Passi per una serie di confidenze fatte tra amici all’osteria usando un linguaggio triviale da

angiporto, passi ancora per accordi tra membri di qualcheconventicola di malaffare, ma purtroppo costoro trattanoanche di fatti nostri, di interessi nostri e sono spesso da noiabbondantemene foraggiati per farlo.Alcuni svergognati, incautamente da noi eletti, pretendo-no in nome della democrazia perfino di imporci leggi ecomportamenti.Lascia basiti poi il modo di approcciarsi tra “gentildon-ne” e aspiranti first ladies ... neppure le classiche “pesci-vendole” (chiediamo subito loro scusa!) si sarebberospinte a quel livello.Giudizi “dal sen fuggiti”, commenti impietosi, accordiilleciti, scambi di discutibili cortesie ... Altro che balle, sembra di essere precipitati nell’eradell’ “Avvento del puttanesimo”.Che schifo, che vergogna ....

Quando i bubbonisono troppi

viene da pensare al cancro

ed alle metastasi...

Sono state rese pubbliche alcune lettere

scritte da Albert Einstein, padre della biz-

zarra teoria della relatività, nel corso del-

la sua vita.

Dalle epistole si evince che con le donne

Einstein era un mandrillone: 6 amanti,

mogli (la prima a un certo punto diventa

“brutta e zoppa”), rapporti extraconiuga-

li con la segretaria e matrimoni di conve-

nienza.Ethel Michanoswski, una giovane di Ber-

lino di 15 anni più giovane, lo seguiva

ovunque e in una delle lettere, circa

1.400, scrive che la situazione è ormai

fuori controllo.

La formula E=Mc2 è in realtà un piano di

fuga. (Fonte: Tgcom)

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Agosto 2006 Alpes

AAllppeessRIVISTA MENSILE DELL’ARCO ALPINO

Anno XXVI - N. 8 - Agosto 2006

Direttore responsabilePier Luigi Tremonti - cell. 3492190950

Redattore CapoGiuseppe Brivio - cell. 3492118486

Segretaria di redazioneManuela Del Togno

Direttore editorialeAldo Genoni

A questo numero hanno collaborato:Marino Amonini - Stefano Bartezzaghi - Fabio BordoniAldo Bortolotti - Giuseppe Brivio - Vittorio CalogeroEliana Canetta - Nemo Canetta - Alessandro Canton

Vincenzo Carollo - Antonio Del Felice - Manuela Del Togno -Gianluca Lucci - Giovanni Lugaresi - Ivan Mambretti

Donatella Micault - Medardo Moskowski - Carlo NobiliLuigi Oldani - Raimondo Polinelli - Carmelo R. Viola

Ermanno Sagliani - Luciano Scarzello - Arcangelo TartaroPier Luigi Tremonti - Stefano Vettori - Gian Carlo Zerla

In copertina: Norma in riva al Lanterna

(foto Angelo Granati)

Ed.ce l’Alpes Agia - S. Coop.23100 Sondrio - Via Vanoni, 96/A

Direzione e amministrazione:Sondrio - Via Vanoni, 96/A

Tel. e Fax 0342.512.614E-mail: [email protected] - [email protected]

http://www.alpesagia.com

Autorizzazione del Tribunale di Sondrio n. 163 del 2.12.1983

Stampa Lito Polaris - Sondrio

ABBONAMENTO ANNUALE EURO 15,5Europa EE 33,57 - Altri EE 51,65

C/C postale n. 10242238 intestato:Alpesagia Soc. Coop.

BENEFICIARIO ALPESVia Vanoni, 96/A - Sondrio

CREDITO VALTELLINESE - Agenzia n. 1C/C 51909/14 - ABI 05216 - CAB 11020

BANCA POPOLARE DI SONDRIO*Agenzia di Albosaggia C/C 14300/96 - ABI 05696 - CAB 52390

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Tutti i manoscritti pervenuti a questa rivista sono al vaglio deldirettore responsabile e della redazione.Gli articoli firmati rispecchiano solo il pensiero degli autori enon coinvolgono necessariamente la linea della rivista.Testi e foto, pubblicati o meno, non si restituiscono, salvo spe-cifici accordi, e la redazione non si assume la responsabilità perl’eventuale smarrimento.La riproduzione anche parziale, è subordinata alla autorizza-zione della direzione ed alla citazione dell’autore e della rivista.

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*Alpesagia è il nome della nostra cooperativa ed è il nome con il quale tanti anni fa ènata la nostra rivista.

UFFICIO POSTALE

BONIFICO BANCARIO

• ALPESAGIA agosto 2006 27-07-2006 10:24 Pagina 7

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Ammiro moltol’abitudine diAlpes di ospita-

re scrittori di ogni ten-denza. Ma proprio perquesto, vorrei ribatterea chi, sulla nostra testa-ta, ha scagliato anatemicontro le fabbriche mul-tinazionali che “sfrutta-no” gli operai del TerzoMondo.Siamo nell’ambientedel Commercio Equo eSolidale, certo ammire-vole ma che, da quantoho letto su varie rivistepure missionarie, è benlungi dal risolvere vera-mente qualcosa, in pae-si ove i reali problemi sono la corruzio-ne ed il sottosviluppo. Personalmentecredo che ci si debba attenere, per da-re giudizi, non al cuore ma ai freddi da-ti, a costo, in qualche caso, di esserepoco politicamente corretti. Le stati-stiche ovviamente non sono tutto madanno una bella mano ad uscire da cer-ti stereotipi.Veniamo allora ai numeri, dato che suinumeri, nonostante la schizofrenia del-la nostra società, è meno facile fare delsolidarismo a buon mercato.La nostra operaia “sfruttata” dalla “bie-ca multinazionale” guadagna 50 $ almese: ebbene quanto guadagna un in-donesiano medio? Un indonesiano me-dio guadagna circa 80 $ al mese! E seteniamo conto che le statistiche vannosempre prese al ribasso (un pollo a me,nessuno a te, fa un mezzo pollo a testa!)è assai probabile che la più parte degliagricoltori, artigiani, operai di quel pae-se guadagni come la nostra povera ope-raia se non di meno. Con la differenzache non avendo la “fortuna” (sì, la for-tuna) di lavorare per una multinazio-nale, stanno peggio, perchè la multina-zionale, bene o male, risponde almenoall’opinione pubblica occidentale equesto articolo lo dimostra. Invece ilsignor Pinco Palla che nella sua fabbri-ca usa bambini e donne in semischia-vitù per produrre oggetti che poi ver-ranno venduti in area EU da solerti VuCumprà, non risponde a nessuno. Le

sofferenze di queste donne, di questibambini spariscono in paesi ove vivonoe lavorano decine, centinaia di milionidi persone, ignorati da tutti noi. Quan-do acquistiamo, per sentirci tanto buo-ni e politicamente corretti, qualcosa daquesti venditori abusivi, dovremmo ri-cordarcelo!Ma andiamo oltre. Sicuramente qual-cuno dirà “con 50 $ al mese non si vi-ve”. Sbagliato.Nel paradiso rosso dell’immarcescibileLider Maximo tanto caro alla nostra si-nistra radicale, intendo parlare di Cuba,il reddito pro capite è di circa 140 $ a te-sta. Pochino, direi. E qui tutto è delloStato. Eppure non ho mai inteso direche a Cuba si muoia di fame nè che quelproletariato sia “sfruttato”.C’è di peggio. In gran parte dell’Africail reddito è tale che i 50 $ al mese sonoconsiderati un vero lusso. Ma non basta.Veniamo nella ricca ed opulenta Euro-pa. Sapete quanto è il reddito pro capi-te di un ucraino? Circa come quello diun indonesiano. E in Georgia, Armeniaed Azarbaigian le cose vanno ancorapeggio: il reddito medio è inferiore diun 30% a quello indonesiano!Ed allora come mai si parla poco di queipopoli? Un’idea la ho: hanno il torto diessere bianchi ed europei. E’ menotrendy occuparsi dell’Europa. Nero èbello!Ma non basta ancora.Nel 2003 visitai abbastanza a fondo la

Romania, splendido paeserovinato da una sanguinariae folle dittatura.Il funzionario del Ministerodel Turismo che ci accom-pagnò in montagna (suagrande passione) guadagna-va 150 $ al mese! Avete let-to bene centocinquantadol-larialmese! Eppure (forse la-vorava anche la moglie) vi-veva decorosamente a Bu-carest con la figlia, andavain montagna, aveva l’auto epersino ... udite, udite ... unacasa di vacanza nei pressi diuna nota località turisticaove, in inverno, si recava afare sci da fondo. Come èpossibile, direte voi? Da noi

si sarebbe alla fame più nera, ma nel2003 in Romania no! Questione di po-tere d’acquisto della moneta e poi, conqualche lavoretto extra, arrangiandosi,comprando al mercato invece che neinegozi stellari di Bucarest, con quellacifra il nostro simpatico funzionarionon se la passava neppure male.Cosa significa tutto ciò? Che prima digridare allo scandalo, di varare campa-gne di boicottaggio, di promuovere de-nunce, bisogna guardar bene le realtàlocali alla scoperta di strane cose, pernoi, ma che per loro strane non sono.Ciò non significa che la nostra operaianon debba chiedere, e magari anchepretendere, un miglior trattamento, mail tutto deve essere in linea con la vita,con i redditi e con le abitudini del suopopolo. Non del nostro! In fondo, aben guardare, anche questa è una sot-tile forma di “colonialismo culturale”in forza del quale noi pretendiamo diinsegnare a loro come debbano vivere,senza ricordare che troppo di soventel’aver cercato di esportare ideologie emetodi occidentali in altri continentiha avuto risultati funesti.

Nemo Canetta

PS. Né io né mia moglie abbiamo maicomprato un paio di scarpe prodotteda quella multinazionale!

* Rif. ALPES giugno 06 pag 14 “Guida al vestirecritico”

Lettera aperta ad una scrittrice “equa e solidale”.*

8 Alpes Agosto 2006

L E L E T T E R E

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Agosto 2006 Alpes 9L A PA G I N A D E L L A S AT I R A

di Aldo Bortolotti

• ALPESAGIA agosto 2006 31-07-2006 9:20 Pagina 9

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mento ideologico della nazione in ar-mi. La caratteristica specifica della le-gittimazione nazionale in Francia è sot-tolineata dal fatto che, in condizionistoriche e di sicurezza esterna comple-tamente diverse, l’affermazione dellademocrazia in Gran Bretagna non haavuto bisogno di far perno sul principionazionale e ancora adesso il Regno Uni-to riunisce inglesi, scozzesi, gallesi enord-irlandesi in nome della fedeltà al-la corona. Anche la democrazia ame-ricana non ha avuto bisogno di ricor-rere al nazionalismo per legittimarsi etrova il suo perno nella Dichiarazione diIndipendenza e nella Costituzione diFiladelfia, entrambe ispirate a principiugualitari.Sul piano storico non si può negare lafunzione progressista svolta inizialmen-te dallo Stato nazionale in quanto chia-mato a sostenere gli ideali di libertà,eguaglianza e fraternità espressi dallarivoluzione francese contro il vecchioordine monarchico e feudale. Allo stes-so modo, non si può negare il ruolo pro-gressista svolto dai movimenti di unifi-cazione nazionale tedesco e italiano persostenere l’avvio della rivoluzione in-dustriale e dello Stato democratico mo-derno oltre il Reno e a sud delle Alpi esuperare un contesto di frammentazio-ne politica di livello regionale. Soprat-tutto in Italia, le forze liberal-demo-cratiche del tempo si accorsero rapida-mente che le libertà economico-com-merciali necessarie per avviare l’indu-strializzazione e la crescita dei ceti so-ciali di supporto per lo Stato democra-tico moderno avrebbero potuto affer-marsi solo attraverso l’unificazione po-litica della penisola e l’indipendenzadal potere egemonico dell’Austria. Si

può sostenere, pertanto, che il princi-pio nazionale trovò una sua necessariaaffermazione storica in Italia e in altripaesi europei per superare il conserva-torismo dell’impero asburgico.Il principio nazionale è tuttavia entra-to in crisi, come fattore progressista, al-la fine del secolo scorso, quando le for-ze spontanee della rivoluzione indu-striale iniziarono a varcare i confini del-lo Stato nazionale europeo per assume-re dimensioni continentali ed oggimondiali (globalizzazione).Su questa analisi convergono due au-tori molto distanti per formazione epensiero politico, come il bolscevicoLev Trotskij ed il federalista ed eco-nomista liberale Luigi Einaudi, dive-nuto il primo presidente della Repub-blica italiana nel 1948.Per essere chiari: va superato il princi-pio invocato per legittimare l’esistenzadi uno Stato, ossia l’appartenenza esclu-siva della popolazione a una nazione, aun’etnia, a un gruppo linguistico o auna confessione religiosa. Esso ha fon-damentalmente un carattere totalita-rio, come ha dimostrato l’estremismorazzistico del nazionalismo in Europatra le due guerre mondiali, con l’elimi-nazione fisica degli ebrei, degli zingari,dei minorati fisici e mentali realizzatadai nazisti, e successivamente l’estre-mismo del nazionalismo etnico natosulle rovine dell’ex – URSS e dell’ex –RFS di Jugoslavia.Sul piano della verifica storica, non acaso la fine del XIX secolo fu caratte-rizzata dall’affermazione degli StatiUniti d’America come grande poten-za democratica e industriale di di-mensione continentale e dalla na-scente crisi del sistema europeo di Sta-ti alla tragica ricerca del loro “spaziovitale”.La crisi del sistema europeo degli Statisfociò nella prima guerra mondiale eterminò definitivamente con la secon-da guerra mondiale dopo gli orrori delnazifascismo che aveva contaminatotutta l’Europa continentale. La febbredel nazionalismo, che colpì i popoli eu-ropei nella prima metà del secolo XX,

Autodeterminazione o autogoverno?di Giuseppe Brivio

10 Alpes Agosto 2006

La funzione prima progressista e successivamente

conservatrice del nazionalismo.

Le speranze di pace e di costru-zione di un nuovo ordine mon-diale evolutivo sorte con il crol-lo del muro di Berlino (1989)

sono andate per il momento deluse.L’avvio del secolo XXI si trascina infat-ti dietro alcuni nodi insoluti del secoloprecedente: l’organizzazione politicadell’umanità in Stati indipendenti esovrani, l’uso tendenziale della forzanei rapporti tra gli Stati e l’ineguale di-stribuzione del potere di appropriarsidelle risorse del pianeta.Tali nodi sono in contraddizione cre-scente con la grande rivoluzione scien-tifica e tecnologica in corso che deter-mina un’interdipendenza sempre piùstretta tra gli uomini a livello mondia-le e pone all’ordine del giorno della sto-ria l’interesse generale alla pace,all’uguaglianza, alla solidarietà.Il pensiero politico dominante non haperò ancora compiuto una riflessioneadeguata sul rapporto tra l’interdipen-denza crescente del genere umano e lanecessità dell’evoluzione delle struttu-re di governo democratico sul piano in-ternazionale. Non viene messo in di-scussione il modello di Stato indipen-dente e sovrano, definibile anche Sta-to nazionale, che si è affermato dopo larivoluzione francese.Questo tipo di Stato è entrato in crisiall’inizio del XX secolo, ha provocatodue guerre mondiali, è stato ripristina-to e sorretto dalle potenze egemonichenel quadro dell’equilibrio bipolare. Og-gi non è capace di difendere la sua in-dipendenza e la sua sovranità esclusivadi fronte alle sfide della globalizzazione.L’uso politico del principio della sovra-nità nazionale si è affermato nel corsodella rivoluzione francese (1789). Larepubblica sorta dalla deposizione delmonarca di diritto divino dovette pre-sto lottare contro la coalizione restau-ratrice delle restanti monarchie. Alla fi-ne del XVIII secolo, la sola legittima-zione democratica non era sufficienteper chiamare i cittadini ad uno sforzoenorme di mobilitazione civile e mili-tare contro un nemico esterno e neces-sariamente si dovette ricorrere al riferi-

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Agosto 2006 Alpes 11

nico. Il sistema politico degli Stati oc-cidentali non è stato in grado di indi-care all’URSS la via del federalismodemocratico interno e alla Jugoslavia lapossibilità di accedere all’Unione eu-ropea salvando l’unità del paese. E’ sin-tomatico infatti che alla fine del 1991,mentre il Consiglio europeo di Maa-stricht varava l’Unione europea,l’Unione Sovietica sisia sciolta quasi con-temporaneamentenella labile Confede-razione degli Stati In-dipendenti e la seces-sione della Sloveniaabbia avviato la ex Ju-goslavia verso il suotragico de-stino!

fu speculare allo stato di guerra presen-te sul continente, che impose a ciascunpaese una forte concentrazione di po-tere e alti livelli di mobilitazione ideo-logica e militare. Si può aggiungere cheil centralismo nazionalistico, nella suaforma estrema di nazifascismo, ha sor-retto l’agonia della sovranità negli Sta-ti nazionali europei nella fase crucialedella crisi del sistema europeo di po-tenze.Dal momento in cui, all’inizio del se-colo XX, si è aperta la fase storicadell’integrazione economica sovrana-zionale, il principio di nazionalità nonha più svolto un ruolo progressista e og-gi non può legittimare l’affermazione diStati democratici moderni su spazi con-tinentali o sub-continentali. Non a ca-so il processo di unificazione europeanasce dopo il 1945 proprio come supe-ramento della divisione dell’Europa inStati nazionali e poggia sulla generalericonciliazione post-bellica, in primoluogo su quella franco-tedesca.

La responsabilità della rinascita del nazionalismo nell’Europaorientale e balcanica.Ciò non significa peraltro che il prin-cipio nazionale abbia fatto definitiva-mente il suo tempo, anzi …Basti pensare alle conseguenze dellacaduta dei regimi comunisti avvenutacon la fine dell’equilibrio bipolare. Sitratta di una caduta che ha privato ipaesi dell’Europa centro-orientale,dell’ex Unione Sovietica e della ex Ju-goslavia della loro legittimazione ideo-logica. Il collasso del comunismo nonha trovato prontamente disponibilinell’area del Patto di Varsavia una clas-se politica alternativa e strutture di le-gittimazione del potere di natura de-mocratica. Da un punto di vista mon-dialista, la fine della guerra fredda ha si-gnificato anche la fine del confronto fradue visioni universali della futura or-ganizzazione del mondo, quella dellapartnership tra potenze democratiche,espressa dall’Alleanza atlantica, e quel-la dell’Internazionale comunista gui-data da Mosca, ma il pensiero politicooccidentale non è stato in grado di pro-porre un salto qualitativo per la co-struzione di un nuovo ordine interna-zionale, come invece accadde dopo ledue guerre mondiali con le soluzioni,certamente imperfette ma innovative,della Società delle Nazioni e

dell’ONU. Va tuttavia ricordato cheun tentativo in tale direzione fu com-piuto da Gorbaciov con la proposta del-la “casa comune”, ma la sua tragica erapida fine politica pose termine al pro-getto. Era comunque fatale che il col-lasso dei regimi comunisti ponesse ilproblema di una nuova legittimazionedel potere. La legittimazione etni-co–nazionale attraverso la secessioneha in definitiva ripreso le fila di un di-scorso lasciato aperto nel 1918 dal crol-lo degli imperi austro-ungarico, tedescoe zarista!Tuttavia, se tale legittimazione ha igno-rato a lungo lo sviluppo del processo diunificazione dell’Europa, essa è stataanche favorita dai comportamenti at-tivi della Germania, dell’Austria e delVaticano a favore, ad esempio, dellasecessione di Slovenia e Croazia, dalsostegno iniziale dato alla Serbia dallaFrancia e dal Regno Unito e dall’as-senza di reazioni dell’Italia. Il compor-tamento scoordinato degli Stati euro-pei occidentali ha messo in evidenza ilcarattere incompiuto del processo diunificazione politica e il limite del me-todo intergovernativo nelle decisionidi politica estera e sicurezza comune(Pesc) dell’Unione europea. In sinte-si, il prevalere degli interessi nazio-nali all’interno dell’UE ha dato uncontributo determinante alla di-sgregazione jugoslava.Accanto alle responsabilità oc-cidentali, occorre sottolinearele responsabilità delle classipolitiche dominanti dellaSlovenia, della Croazia, del-la Lituania e delle altre re-pubbliche baltiche nell’at-tivare i processi di seces-sione.Nessun movimento po-litico o di opinione, sesi escludono i federa-listi europei, ha sa-puto indicare ai po-poli dell’ex –Unione Sovieticao dell’ex – RFS diJugoslavia che levie della demo-crazia e dellapartecipazione almercato mon-diale non sonoquelle dell’auto-determinazioneispirata dal na-zionalismo et-

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Domandina: qual è secondovoi il mezzo di trasporto ter-restre più sicuro, meno in-quinante, meno energivoro,

più socializzante e meno impattante sulpaesaggio (a parte, naturalmente, legambe, la bicicletta ed il cavallo)? Nonci sono dubbi: la ferrovia. Bene, neiconfronti di questo stupendo veicolo inItalia si sta perpetrando la più tremen-da campagna di aggressione che lo staportando, come la foca monaca ol’aquila del Bonelli, all’estinzione. I nu-meri parlano chiaro.Dal 1970 al 2005 le ferrovia francesihanno perso 4.225 km, quelle inglesi2.403, quelle tedesche le hanno incre-mentate di 64 km e quelle italiane, nel-lo stesso periodo, hanno cancellato4.386 km.E dai 16.183 km del 1985 nel nostroPaese si è scesi, in vent’anni, ai 15.915km attuali, di cui 9.554 ancora a bina-rio unico, mentre in Francia e Germa-nia l’estensione delle ferrovie a doppiobinario è pari a quasi tutta la rete ita-liana.Come si legge sul Corriere Economia,dal 1985, (quando ancora esistevano leFerrovie dello Stato i locomotori erano5.620, oggi sono scesi a 4.732. Le car-rozze e i rimorchi in venti anni sonoscesi da 13.322 a 8.658. Vent’anni faviaggiava per ferrovia un misero 12,5%delle merci. Oggi solo l’11 % del tra-sporto merci viaggia su ferrovia.Per il traffico di passeggeri si è scesidall’11,25% al 9,09%. percentuali checi pongono agli ultimi posti in Europa.In compenso, mentre il personale è sce-so, dal 1985 dalle 216.128 unità, (di cui658 dirigenti) a sole 97.600 persone, ilnumero dei dirigenti è salito a 1.200.Mentre il capitale sociale delle FS SpAè stato ridotto - dai 5 miliardi previstidalla Finanziaria 2001 nel 2002 - agli1,5 miliardi di euro della Finanziaria2006.E, tutto ciò succede quando, nel con-tempo, si stanno impegnando, secondo

una valutazione del WWF Italia, 60miliardi di euro per costruire 1.500 kmdi nuove linee ad alta velocità per i pas-seggeri (magari per accorciare di pochiminuti i lunghi percorsi, minuti poipersi per entrare nei grandi nodi me-tropolitani o per attendere il taxiall’uscita della stazione).Mentre il prezioso servizio dei treni lo-cali e regionali langue per la mancanzadi investimenti destinati all’adegua-mento tecnologico e al potenziamentodelle infrastrutture, per i continui dis-servizi dovuti alla mancanza di manu-tenzione sulla rete e a causa del mate-riale rotabile vecchio, delle carrozzesporche, dei ritardi cronici e degli ora-ri irrazionali che spingono anche i piùaffezionati trenofili a scegliere, alla fine,di spostarsi in automobile, aggravandocosì sempre più lo stato del traffico e, diconseguenza, del clima.Addirittura linee importanti come lamagnifica Civitavecchia-Orte, che col-

legava l’area industriale di Terni e Nar-ni al porto di Civitavecchia, è stata so-stituita da un’inquinante, pericolosa eingombrante linea di autocorriere. In-somma, alla faccia degli impegni as-sunti con la sottoscrizione del Proto-collo di Kyoto, che ci imporrebbero diridurre le emissioni da combustibili fos-sili del 6.5% rispetto al 1990, l’Italia,che privilegia il trasporto su gomma,tende ad eliminare sempre più il mezzodi trasporto meno inquinante rispettoall’aereo, ai TIR ed alle autovetture.Speriamo che il nuovo governo, inver-tendo la tendenza suicida nel campodei trasporti (che, ricordo, sono re-sponsabili di circa un terzo delle emis-sioni di CO2) riconsideri seriamente ilripristino, l’adeguamento e il rilanciodella ferrovia.

(F.P.)

Fonte WWF – PANDA 7 luglio 2006

FERROVIA IN ESTINZIONEDal 1939 al 2005 la rete ferroviaria italiana è stata amputata di 7.077 chilometri.

12 Alpes Agosto 2006

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Mi par di scrivere all’“Authoritydell’antitrust” nel concepirequest’articolo, forse per unistintivo senso di gratitudine.

Davvero un gran bel servizio quello di co-tale Authority! Essa tutela la concorren-za - un comportamento agonistico di ori-gine animale, quindi “antropozoico” (maquesto è un dettaglio di nessun valore) -in difesa dei consumatori! Davvero menomale che c’è la detta Authority anche seil termine angloamericano lascia il so-spetto che ci sia anche un notevole servi-lismo linguistico verso l’imperialismo Usa,ma sorvoliamo e andiamo alla sostanza.Qualche esempio? Prendiamo, per comin-ciare, quello della benzina. So che ad alcunichilometri da casa mia potrei comprarla aqualche centesimo in meno ma spendereidi più per il consumo di andata e ritorno edel tempo. E poi penso all’enorme “pizzo diStato” che grava comunque su ogni litro emi accorgo che ho poco da scegliere.Passiamo ai telefonini. Sono bombardato datutti i lati, mi arrivano perfino offerte pertelefono, specie a proposito dell’internet.Per scegliere il più conveniente dovrei po-tere avere un quadro comparativo: non cel’ho e semmai l’avessi, non cambierebbegranché. Vado a caso, per sentito dire. In-tanto, ogni carica, se non raggiunge unacerta quota, è gravata da un pizzo, come di-re di una sottrazione indebita (uguale a fur-to): nessuna Authority interviene, segnoche il ladrocinio è già stato liberalizzato. Ep-poi, non ho mezzi tecnici per controllarel’esatto consumo e l’attendibilità del credi-to residuo. Tutti i servizi pubblici funzio-nano nell’occulto diciamo per rispettare la“privacy” dei ladri! Tutto sommato, daquando ci sono i telefonini, la voce telefo-no mi costa più cara. Certo, si telefona dipiù ma è proprio quello che volevano i “bu-sinessmen” del settore per rifarsi (e come!)sulla quantità, e l’hanno ottenuto grazie al-la liberalizzazione e alla concorrenza (mu-tuata dalla giungla, e vi par poco?). Comepotrei, io, povero cristo di un consumato-re, operare sempre nuove scelte nei molte-plici servizi pubblici non in regime di mo-nopolio come quelli postale e ferroviario?Mi ci dovrei dedicare giorno dopo giorno.Vogliamo parlare di pomodori? Qualchedifferenza di prezzo c’è certamente, ma c’è

anche la distanza e la difficoltà di posteg-giare. Non posso percorrere lunghi tratti apiedi alla mia età e meno che mai possomettermi l’auto in tasca.Quindi il mio raggio selettivo è alquantoristretto. Poi, non posso sapere quale è ilpomodoro naturale e quello “biologica-mente modificato” o comunque concima-to male. Lo stesso vale per la frutta.Mi vorrei soffermare ora sulle televisioni.Concorrenza fra chi? Pare che sia quelle diStato, gestite dalla Rai (ufficialmente s’in-tende), che quelle di Mediaset, mi propi-nino le stesse menzogne e questo mi fapensare ad una regia politica internazio-nale al di sopra delle parti. Ma facciamofinta che la televisione di Stato dica laverità, quindi io scelgo di vedere la tele-visione di Stato, per cui pago un canone.Ma mi accorgo subito che la stessa spazza-tura mediatica - detta pubblicità - c’è nel-la TV di Stato e che, come in quella com-merciale, fa a spezzatino i programmi dimaggiore ascolto per alzare il prezzo dellapubblicità stessa e aumentare gli introiti.Da notare che la sola parola pubblicità -nel caso specifico - è una menzogna, quin-di un espediente ingannevole contro cuil’Authority non fa niente. Infatti, tale pa-rola fa pensare all’attributo “informativa”mentre quello sottinteso è “consumisti-ca”, che è l’esatto contrario. Tempo fa mene lamentai con l’Authority a propositodel disturbo psicologico dovuto alle fre-quenti interruzioni (che per altro offen-dono le opere e gli autori: come dire l’ar-te e la cultura!): mi fu risposto che il fat-to è “ininfluente!” Avevo fatto notare cheil rispetto della continuità di uno spetta-colo era l’ultimo pretesto per un canone,che è comunque un balzello totalmente il-legittimo, spiegando come e perché lega-le non è sinonimo di legittimo. Insomma,un ennesimo “pizzo di Stato”!Verifichiamo la convenienza della con-correnza pubblicitaria a favore dei con-sumatori. Per prima cosa, la pubblicità ha

fatto letteralmente scomparire i “detersi-vi a prezzi minori” perché non pubbliciz-zati. La gente compra i prodotti verso cuiviene indirizzata. Analogamente la pub-blicità della moda ha fatto attecchire ilmalcostume (antirisparmio, e quindi caroai predatori del settore) dei capi di ve-stiario cosiddetti “firmati”: quindi un dan-no per il bilancio delle famiglie. Tali capisono anche perfettamente imitati e ven-duti a prezzi convenienti, ma la “legge” sipreoccupa solo di far rispettare le regoledel mercato, altro che tutela del risparmio!Vediamo ora il problema dalla parte deiproduttori: è ovvio che spesso non emer-ge chi ha prodotti di migliore qualità masolo chi ha più soldi per fare più pubbli-cità e pagare i pubblicitari più esperti. La“legge della domanda e dell’offerta”, datempo immemore viene semplicementebeffata dal momento che la domanda vie-ne “suggerita” dalla pubblicità consumi-stica. Torniamo ai consumatori, i quali so-no danneggiati anche dal fatto di doverpagare a prezzi maggiorati i prodotti pub-blicizzati (e ciò basterebbe a coprire il ca-none!). Ma c’è un aspetto complementa-re nel messaggio pubblicitario televisivo,il quale tende a produrre la “persuasioneocculta” (al consumo) e, grazie alla ripe-titività, ci riesce, insinuandosi nella zonadell’inconscio ovvero nel “subliminale”. Ilfatto costituisce un vero e proprio atto diviolenza psicologica di tipo paraipnotico:ma è il servizio specifico per cui gli inser-zionisti pagano in rapporto all’ascoltodell’ora (audience, rilevata dal cosiddettoauditel): nessuno condanna e punisce ta-le crimine, la parola d’ordine essendoquella di aiutare i “missionari dell’art. 41”della Costituzione a fare buoni affari e adaumentare il Pil, come fa mamma Fiat. Ela chiamano economia!Per finire, a seguito del decreto Bersani,quando avremo bisogno di un avvocato, cifaremo un largo giro per cercare quellomeno caro (non il più bravo) ed è possibileche qualcuno dei legali più intraprenden-ti, in vena di “legale concorrenza”, non sitrasformi, per qualche ora la settimana,anche in banditore stradale delle proprietariffe. O ne incarica qualcuno. Quando sidice “governo di popolo”!

*Centro Studi Biologia Sociale

A proposito del decreto Bersani ...... tutto per il bene dei consumatori

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(anche secondol’Authority antitrust!)

di Carmelo R. Viola*

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Nossignori: il Comitato Mini-steriale Prezzi confrontan-dosi con l’industria!

Non è finita, l’IVA al 10% è tra le piùalte d’Europa e forse anche del mondo.Nel caso dei farmaci, e non si capiscebene il perché, lo Stato impone ancheuno sconto per le transazioni tra pro-duttore, grossista efarmacia ... come seil concetto di ricari-co fosse copyrightdei marziani ...Non mi nascondodietro ad un dito: cisono alcuni prezzi dipochi farmaci chemi fanno riflettere.Sono tanto alti chemi vergogno, sonopure io tra il noverodei derubati! In que-sti casi si cercano al-ternative più onestee si propongono.Purtroppo questi ra-ri casi sono quelliche ricorrono sullastampa e riempionola bocca di tutti.Mi permetto di farealcune riflessioni.Quando il medico viconsegna dei “cam-pioni” di prodotti che tutto sono fuor-ché innovativi, vi è mai venuto in men-te che hanno un costo, per basso chesia, che la ditta produttrice scarica co-me spesa e che non vendendo le con-fezioni regolari sottrae una fetta di mer-cato e ne altera i meccanismi, con tut-to quello che ne consegue? Alla fin fi-ne i campioni li pagate ancora voi.Gli stessi farmaci che sono ceduti daiproduttori agli ospedali o al servizio sa-nitario per la distribuzione diretta sonoofferti con sconti che arrivano finoall’80% con pagamento ritardato di unanno e oltre mentre dalle farmacie sipretende il pagamento entro i 30 ed almassimo i 60 giorni!!Non vi viene il dubbio che una parte diquesti sia ancora pagata dai cittadini inmodo indiretto?Mentre i prodotti C.D. da banco pos-

sono subire aumenti di prezzo (tantopaga il cittadino), pochi se non gli ad-detti ai lavori, sanno che i medicinaliacquistati dalle farmacie con il 30% disconto se forniti al Servizio Sanitario(ricette mutualistiche) sono soggetti aduno sconto scalare che va dal 3,75%per i meno costosi fino al 19% per i piùcostosi e come se ciò non bastasse ogni2 per 3 interviene un calo generalizza-to dei prezzi: recente è la riduzione dal4,5 al 5 %! E pensare che i prezzi sonogià tra i più bassi del mondo!A tutto ciò si aggiungono costi di ge-stione, personale, tasse e trattenute va-rie, oltre agli onerosi servizi festivi enotturni ed all’immancabile rischio diimpresa.L’ammontare delle pensioni di un far-macista titolare a fine carriera si aggirasui 700 euro o poco di più: c’è di che

scialacquare! Provate poi a mettervi neipanni di chi ha acquistato, o acquisitocon vitalizi onerosi o rinunciando a in-genti parti del patrimonio di famiglia(capita anche questo ai “figli di farma-cisti”!) con sacrificio una farmacia eche se la vede dalla sera alla mattina difatto svalutata, o almeno fortementedeprezzata.

Ebbene pare che di tut-to ciò importi poco al“filosofo” Pier Luigi Ber-sani: le sue ricche pre-bende ed i numerosi in-carichi (amen se fosseroonorari!) non le toccané le mette in dubbionessuna autority.Nel giro di un mesettoha fatto scendere inpiazza mezza Italia: taxi-sti, panificatori, notai,avvocati, farmacisti,consulenti del lavoro,medici e quant’altri.Ovviamente la concer-tazione vale solo con leCoop e con i sindacati... e con gli autorefe-renziali “consumatori”che commossi ringra-ziano.Problemi concreti risol-ti quasi nessuno ... caostotale!

Ma al buon Bersani non viene in men-te di chiedere in giro se esiste qualchealtro “filosofo” con cultura ed espe-rienza pari alla sua, che sarebbe dispo-nibile a sostituirlo con un costo assaipiù modesto del suo?Questa sì che sarebbe vera concorren-za, liberalizzazione! (vale anche per isuoi colleghi!).Quella di abbassare i prezzi in un mer-cato senza regole è una chimera.Un ultimo appunto: qualcuno che lo havotato, magari anche non per convin-zione, ma tanto per vedere cosa sareb-be successo ... certo non ripeterebbel’errore! E poi tra le categorie in rivol-ta siamo sicuri di non trovare diessiniconvinti?Oramai l’unico vero modo per votare inItalia è quello di non votare, per platealeprotesta ... a buon intenditor ...

Non prendiamoci per i fondelli, per favore!

14 Alpes Agosto 2006

Ma chi stabilisce il prezzo dei farmaci?

Mio zio?

di Medardo Moskowski

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“Se dovessero chiedermicome ti chiami qualenome dovrò riferire almio popolo? Dirai che

Io sono colui che sono”. Ma Dio di-cendo questo a Mosè sul monte Sinainon voleva attribuire un nome comepensano alcuni, ma voleva esprime-re quello che lui è nella sua entità as-soluta perché è sempre stato, è, esempre sarà. Anche il nome Dio èun titolo che deriva da “El” o“Elhoim” per dare l’idea della maestà,della potenza, della sovranità. Dio,per noi cattolici, non è solo uno nel-le sue entità (per questo la nostra re-ligione è monoteista e non politeista)ma è anche trino nelle tre persone,Padre, Figlio, Spirito Santo perchéquando è in azione, si manifesta nel-le sue identità come Padre, princi-pio creatore dell’universo principiodella Fede. Generatore del Figlio, Fi-glio, portavoce, Verbo generato dalPadre e Spirito Santo, Vita e gene-ratore di vita . Queste Tre persone so-no distinte e non sono tre dei, perchéDio è unico e sono della stessa natu-ra divina.Del resto anche Gesù Cristo stessoper dimostrare che Lui era ancheDio, come seconda persona che si èincarnata nel seno della Vergine Ma-ria dichiarò “Io sono la via (Padre),la verità (Figlio) e la vita (SpiritoSanto)”. A proposito dello SpiritoSanto qualcuno ritiene che questaespressione, sia la potenza sopranna-turale di Dio e così è, perché quandoDio agisce mediante le Tre persone esi manifesta come Padre, Figlio, Spi-rito Santo usa la potenza sopranna-turale (Spirito Santo) per trasmette-re la fede, la verità, la vita, rispetti-vamente attraverso le Tre persone euna delle Tre persone a seconda del-le circostanze e tale trasmissione av-viene anche dal Padre, al Figlio e al-lo Spirito Santo, per cui il Figlio di-venta anche principio di Fede eCreatore perché generato dal Padre,ed il Figlio trasmette la verità alloSpirito Santo, che è la vita. Ma quan-do usa la sua potenza (Spirito Santo)

GESÙ CRISTOvero Dio e vero uomodi Vincenzo Carollo

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Agosto 2006 Alpes 17

per mezzo e per azione dello SpiritoSanto per generare la vita, lo SpiritoSanto in questo caso opera come Ter-za persona.Questo è quello che avviene infattiquando lo Spirito Santo opera neiSacramenti, quando Gesù Cristo ènato nel seno della Vergine Maria equando Gesù Cristo è risorto e as-sunto in cielo.Il nome Gesù corrisponde al nomeebraico “Yeshua” che significa “Dio èsalvezza” e Cristo deriva dal grecoCristos equivalente all’ebraico (Ma-schiach, Messia) che significa “un-to” cioè incaricato, scelto da Dio perdeterminati compiti. Gesù Cristo èvenuto al mondo per rivelare la na-tura di Dio e delle Tre persone, l’en-tità di Dio e l’identità di Dio comePadre, Figlio, Spirito Santo, naturache è amore, scambievole tra Dio e letre persone, amore esistente in ognipersona e trasmesso da una personaall’altra, amore che si è esteso anchealle sue creature.Gesù Cristo è venuto al mondo per li-berarci col suo sacrificio in croce econ la sua morte, dal peccato origi-nale, cioè la nostra morte spiritualeche ci ha separati da Dio. Il peccatooriginale di Adamo ed Eva, eredita-to da noi discendenti, ci ha separatida Dio e ci ha fatto perdere quella di-gnità di figli creati da lui che pote-vano stare al suo cospetto senza pau-ra, senza vergogna, senza colpa, sen-za sentimenti di inferiorità come loerano stati i nostri progenitori primadel peccato originale. Ma Satana, in-vidioso di questo amore che Dio ave-va per loro e loro per Dio, e ormaicondannato lui stesso alla dannazio-ne eterna per avere disobbedito aDio, tentò Adamo ed Eva per far cre-dere loro che Dio non li amava ed erageloso di tenere per sè certe preroga-tive e tutto questo per soggiogarli al-la sua volontà e trascinarli nella per-dizione eterna, nella perversa volontàdi appagare l’unica soddisfazione chegli è rimasta, e lo sta ancora facendocon i suoi diavoli e i suoi demonicontro tutti noi che siamo i discen-

denti di Adamo ed Eva. La legge diMosè fondata sui comandamenti nonè sufficiente perché l’uomo si possasalvare, perché l’uomo finisce sem-pre col violarla, ed inoltre perché lalegge per sua natura è solo un moni-to per far capire all’uomo proprio lasua vulnerabilità. Gesù Cristo è ve-nuto per completare la legge rivelataa Mosè, con un comandamento nuo-vo “Ama Dio con tutto il tuo cuore,la tua anima, la tua mente e tutte letue forze. Ama il prossimo tuo comete stesso” per far capire che l’uomopuò salvarsi solo se crede in questocomandamento, se crede nel suo sa-crificio e può confessare i suoi peccaticon contrizione, certo di essere per-donato da Lui. Con questo non va ri-gettata la legge mosaica, ma anzi de-ve essere rispettata perché comun-que assolve alla sua funzione di mo-nito e violarla, come violare la fedein Gesù Cristo e il suo comanda-mento, sarebbe un peccato comun-que. Gesù Cristo quindi oltre ad es-sere il Rivelatore è anche il nostroRedentore. Però non ha fatto soloquesto, ma ha fatto di più, oltre a da-re la vita eterna, ha voluto “santifi-care” cioè farci partecipi della vitadivina, quindi non solo fratelli di Ge-sù Cristo, ma anche figli adottivi diDio per virtù della “grazia santifican-te” operata dallo Spirito Santo neiSacramenti. Vita divina e amore chenoi Cattolici identifichiamo nella ca-rità.Questa azione dello Spirito Santo èdata dagli effetti della Resurrezione edell’Assunzione di Gesù Cristo in cie-lo dopo la sua morte. Lui aveva fattoun giuramento col genere umanomentre era in vita, cioè aveva pro-messo che ci avrebbe trasformati an-che in Figli di Dio. Un tempo nelgiuramento si soleva dire “Se io men-to, sapendo di mentire, Iddio tenutasalva Roma e la sua cittadella, mi get-ti via, come io getto questa pietra disilice in mano” imprecando quindicontro se stesso ed i propri beni ovela promessa non fosse stata mante-nuta. Ancora adesso nel giuramento

si invoca la testimonianza di Dio. IlSacramento non è che la realizzazio-ne del giuramento che diventa peròsacro in questo caso, perchè inter-viene Dio stesso con la sua grazia san-tificante (Spirito Santo) per mezzo eper azione dello Spirito Santo, la ter-za persona della Trinità per trasfor-marci in Figli di Dio, e diciamo perinciso che se c’è un peccato imper-donabile questo è proprio contro loSpirito Santo, quando si vuole con-testare l’efficacia della sua azione(Spirito Santo) e l’identità di chi (loSpirito Santo) è causa di questa azio-ne nei Sacramenti. Gesù Cristo è ve-ro Dio e vero uomo per la Rivelazio-ne, per la Redenzione, la Resurrezio-ne e per essere stato inviato da Diocon questo preciso compito, dopoche come seconda persona della Tri-nità s’è incarnato nel seno della Ver-gine Maria, per opera dello SpiritoSanto e questa verità è credibile per-ché è stata rivelata da Gesù Cristo edè fondata anche sulla Bibbia, la Tra-dizione e il Magistero della Chiesa,verità fondata sulla certezza di solideargomentazioni.L’alternativa sarebbe l’evidenza deifatti constatata dalla propria espe-rienza umana, ma sarebbe più lungae dolorosa e comunque qualsiasi at-teggiamento dovessimo prenderecontro la verità rivelata, contro laforza delle argomentazioni o control’evidenza dei fatti dimostrata dallanostra esperienza umana, sarebbe de-stinata a farci rimanere nella condi-zione del peccato, con tutte quelleconseguenze negative che ognuno dinoi conosce perfettamente. E’ Diostesso che nel suo immenso amore citende la mano per uscire dal pecca-to, costa così poco accogliere il suoinvito e quanto benessere spiritualene segue se ognuno di noi decide difarlo! In fondo è come soddisfare unasete o una fame d’amore che esiste giànella profondità del nostro essere chefa fatica ad emergere perché è op-pressa dal peccato originale ed è so-vraccaricata continuamente da tuttociò che lo alimenta.

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Oggi i ruoli e i giudizi sono ra-dicalmente cambiati e,quando leggiamo di irre-prensibili personaggi, maga-

ri padri di famiglia, che optano per levacanze turistiche sessuali, organizzatea questo scopo, restiamo sconvolti peril ribrezzo.I pedofili non sono facilmente identifi-cabili e sono mimetizzati in persone sen-za storia, anonimi padri di famiglia, edu-catori, insegnanti, medici, ecclesiastici.Il problema è vasto e la sua analisi coin-volge psichiatri, psicologi e sociologi.Stiamo però attenti a non confondereuna sana vigilanza con una sconsidera-ta “caccia alle streghe”: si eviti diconfondere normali dimostrazioni di af-fetto con giochi erotici.Anzitutto occorre mettere in guardia ibambini a non accettare inviti da sco-nosciuti. Dobbiamo consapevolmenteproteggere le vittime, cioè i bambini, iragazzi, gli adolescenti e sottrarli agliappetiti dei pedofili.Il vero pericolo è nell’omertà di coloroche “sanno con certezza” e che non de-nunciano, confidando che altri lo fac-ciano.Il pedofilo deve sentirsi braccato, devesentirsi sempre sotto tiro, perché noivigiliamo!Non siamo di fronte a un fenomeno dipsicosi collettiva, ma purtroppo i pedo-fili sono tra noi.In questa situazione chi sa deve fare unadenuncia all’autorità giudiziaria.

La pedofilia è un argomento che la cronaca di questi ultimi tempi

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ha reso attuale,ma nei millenni

è stata variamente interpretata e giudicata.

di Alessandro Canton

Come si presentano i pedofiliPossono essere persone senza storia,anonimi padri di famiglia, educatori(avete letto le cronache), insegnanti,ecclesiastici, medici, muratori, tutte lecategorie sono interessate (Vittorio An-dreoli Psichiatra).

Intanto una precisazione: il pedofilonon è un omosessuale.Il pedofilo è attratto da un bambino oda una bambina; l’omosessuale cerca lapersona sessualmente matura e del suostesso sesso. Per manifestarsi la pedofi-lia abbisogna della concomitanza di par-ticolari circostanze favorevoli.

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Spesso sia l’adulto che il bambino sonoaccomunati da esperienze particolariche sono determinanti perché avvengal’attrazione fra loro.

L’attrazioneIn altre parole tanto il pedofilo che ilbambino provengono da esperienze pre-disponenti.Infatti il bambino-vittima è spesso unbambino che pensa di non essere ama-to dai suoi genitori; ha un padre e unamadre disattenti alle sue esigenze affet-tive; l’ambiente in cui vive non ha ri-spetto per lui: gli adulti si comportanocome se non esistesse e quando parlanessuno lo ascolta.E’ stato dimostrato che gli altri bambi-ni non sono adatti ad entrare in una si-tuazione pedofilica.Di fronte ad una richiesta tipo: “Perchénon vieni a giocare con me?”, fatta daun adulto, rispondono: “Vengo con ilmio papà!” e rifiuterebbero un giocat-tolo o una caramella.Il pedofilo, nel 45 percento degli inter-vistati, ammette di essere stato lui stes-so “vittima delle stesse attenzioni” chelui rivolge ai bambini; nel periodo cheva da zero a tre anni è stato ospite in unorfanotrofio dove difficilmente sonopresenti figure per qualsivoglia esperi-mento affettivo; il pedofilo si sente co-munque sempre vittima e non vive consenso di colpa la sua menomazione.I pedofili infatti si aggregano in “asso-ciazioni” per la difesa dei loro diritti ela Pedophilic International pare abbiadiversi iscritti anche nel nostro paese.Nello statuto di queste associazioni sireclama il loro diritto ad amare i bam-bini e ad intrattenersi con loro non ne-cessariamente in giochi erotici.Di solito il pedofilo ha un bell’aspetto,è cerimonioso, ha un lavoro, ha mogliee figli, non ama la conflittualità ed ècondiscendente.

L’abusoDopo le prime frequentazioni, in cui of-fre dolci e regalucci ai bambini, il pe-dofilo cerca di appartarsi per giocarecon il bambino fino a portare la sua at-tenzione sul pene, fino a baciarlo e far-selo baciare.A questo punto il bambino comincia acapire che qualcosa non va, ma non osaopporsi a chi è così buono con lui e che

in quei momenti vede felice.“Non dirlo a nessuno, se lo dici non cipotremo vedere mai più!”.Il bambino da questo momento divienecomplice, si sente importante perquell’uomo che ha bisogno del suo aiu-to e che come lui ha bisogno di sentir-si amato, non vuole abbandonarlo per-ché intuisce che per una sua denunciapotrebbe essere accusato di nefandezze:il pedofilo ha vinto!

Diversi tipi di pedofiliUn pedofilo attivo, può arrivare all’abu-so sessuale che però non è continuati-vo, perché un pedofilo che ha iniziatoad abusare, continuerà a farlo con ca-denze e riti particolari.Se i giochi erotici non sono violenti,nel senso che non lasciano segni fisici,non per questo sono meno gravi, perchéincidono nella psiche.Vi è anche il pedofilo latente che ha lamorbosità verso i bambini confinatanella mente, se non la manifesta, nonper questo è meno pericoloso, anzi gliepisodi del Belgio sono da riferirsi aquesto tipo di pedofili che se fosserostati scoperti e denunciati certi com-portamenti sospetti, avrebbero potutoessere evitati. Esiste anche il pedofilo che uccide: sitratta di un omicida sadico che nell’at-to sessuale perde il controllo delle sueazioni e uccide durante l’eccitazione,soffocando la sua vittima con le sue ma-ni.Però, il più delle volte si tratta di omi-cidio involontario, preterintenzionale.Da quanto fin qui esposto appare evi-dente che nella pedofilia convergono:l’amorevole attenzione, la ossessiva fis-sazione, la grave violenza ed il sadismo.

La terapia• Sorveglianza: una volta individuato,

il pedofilo deve essere mantenuto sot-to sorveglianza in modo continuati-vo, infatti sicuramente ripeterà lostesso comportamento a scadenza ditempo variabile da soggetto a sogget-to.

• Controllo psicologico: uno psicolo-go può cercare di controllare la suaimmaginazione, cercando di svelarele sue radici più profonde.

• Controllo comportamentale: uno psi-cologo può cercare di sostituire l’og-

getto-bambino del suo interesse, conun desiderio lecito e ammissibile.• Controllo farmacologico: l’induzio-

ne di una castrazione chimica con ilblocco degli ormoni maschili non ri-solve il problema che psicologica-mente infatti resta indisturbato.

La prevenzione Sta nella vigilanza di tutta la comunitàe di tutte le categorie che per loro atti-vità hanno a che fare con i bambini.Per esempio il Ministero dell’Educa-zione Nazionale in Francia ha dirama-to una circolare a tutte le direzioni di-dattiche per mobilitare tutto il perso-nale insegnante di ogni ordine e gradoa vigilare nel proprio ambito per indi-viduare i pedofili più pericolosi (quellilatenti); a mettere in atto programmiper allertare gli studenti in particolaree l’opinione pubblica in generale, ver-so il pericolo incombente; a mettersi adisposizione dei servizi già esistenti perla protezione dei bambini maltrattati(Telefono Azzurro e opere di volonta-riato simili); a denunciare i casi sospettialla autorità giudiziaria.Facciamo nostre queste preoccupazionie restiamo del parere che coloro chesanno devono denunciare, spetterà achi di dovere esperire dei controlli efare le indagini!

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La droga è uno dei problemi piùgravi e drammatici del nostro se-colo, una piaga che miete vittimein tutto il mondo diffondendosi a

macchia d’olio tra i giovani e non solo.Le droghe sono sostanze di origine vege-tale (come la morfina, l’eroina, il princi-pio della cannabis, l’alcool) o prodotteper sintesi (amfetamina, ecstasy, barbitu-rici …) che alterano le sensazioni e ilcomportamento di una persona, agisconosul sistema nervoso e possono provocaregravi danni fisici e psichici al nostro or-ganismo.La persona che assume con costanza del-le sostanze stupefacenti mette a repenta-glio gravemente la propria salute e va in-contro alla tolleranza e alla dipendenza. La dipendenza si manifesta con l’astinen-za: il bisogno e il desiderio di assumere do-si diventa una sofferenza psichica e fisicaincontrollabile che insorge quando si in-terrompe improvvisamente l’abuso delladroga.Gli effetti sono differenti a seconda dellasostanza, alcune eccitano altre deprimo-no ma tutte hanno un elemeto in in co-mune: hanno un potere condizionante epossono indurre dipendenza.La maggior parte dei soggetti propensi al-la droga sono persone deboli, insicure chenon sono in grado di superare i periodi dicrisi e di stress, che non sanno affrontarei problemi che la vita pone loro di frontee che non hanno un soddisfacente rap-porto con gli altri.Le cause e i meccanismi psicologici cheinducono i giovani a fare uso di sostanzestupefacenti, nonostante i rischi, sonoprincipalmente dovuti alla curiosità diprovare sensazioni ed esperienze psicolo-giche nuove, alla mancanza di ideali, al-la mancata integrazione sociale, alle dif-ficoltà familiari e ... alla noia.Lo stato di euforia che l’assunzione di dro-ga provoca crea un distacco, pagato a ca-ro prezzo, momentaneo e puramente illu-sorio, dalla realtà e dai problemi che essacomporta. Finito l’effetto i problemi re-stano e le sensazioni di impotenza e an-

goscia aumentano.Il papavero, la canapa, il tabacco, la cocasono state utilizzate dall’uomo fin dai tem-pi più remoti per attenuare l’ansia e il do-lore, sono state usate nei rituali religiosi,nei combattimenti e perfino per confe-zionare le pozioni magiche.Queste sostanze naturali hanno comin-ciato ad essere trattate chimicamente conl’avvento della rivoluzione industriale.Una tappa importante fu la scoperta nel1805 da parte di Wilhelm Saturner dellamorfina, ricavata dall’oppio, un farmacodagli effetti analgesici, ma con una gravecontroindicazione: la dipendenza.Nel 1898, per ovviare a questo problemase ne creò uno peggiore, dando vita ad unfarmaco per curare i pazienti “dipenden-ti” dalla morfina: l’eroina.Nel 1860 Albert Niman isolò il principiochimico della coca realizzando la cocaina,usata dapprima per fini nobili come la cu-ra della depressione, ma ben presto si sco-prì che questa sostanza provocava dipen-denza nei pazienti.Nel 1890 la cocaina viene approvata co-me medicinale. Sigmund Freud racco-mandava la cocaina per combattere la de-pressione. Egli stesso ne soffriva e si cura-va con basse dosi di cocaina.Nel nostro secolo è nato un altro tipo didroga l’ecstasy che ha la sua massima dif-fusione tra i giovanissimi che frequenta-no locali notturni e discoteche.I tempi cambiano e il consumo di drogamuta con la società: notizia recente è chela droga serve anche per dimagrire. Le ra-gazzine che si drogano per perdere pesorappresentano un fenomeno allarmante,in aumento e certamente da non sotto-valutare.Si discute su come sconfiggere il dilagaredi questa piaga: alcuni ritengono che la le-galizzazione delle cosiddette “droghe leg-gere” (marijuana e hashish) potrebberoridurre lo sviluppo del traffico di stupefa-centi perché la pericolosità sta nella proi-bizione che fa aumentare nei giovani lavoglia di trasgressione, ma non dimenti-

chiamo che lo spinello è il primo ap-proccio al mondo della droga da parte deigiovani. La maggior parte ha iniziato con-sumando le cosiddette “droghe leggere”,passando poi a quelle più “pesanti” con leconseguenze che tutti conosciamo.Droghe leggere o droghe pesanti: tutti i ti-pi di droga fanno male e vanno assoluta-mente evitate.Diffondere un falso messaggio come chidice che le droghe leggere non sono pe-ricolose è controproducente e fuorviante.Un’altra soluzione è la proposta del Mi-nistro della Solidarietà Sociale, Paolo Fer-rero, di creare anche in Italia le stanze delbuco (shotting room), luogo dove poter-si drogare sotto controllo medico.La droga non è qualcosa con cui dobbia-mo convivere ma è un problema che vaeliminato alla radice, certamente nonignorandolo nascondendo nelle “stanzedel buco”.Non si può pensare di risolvere la que-stione della tossicodipendenza creandodegli spazi in cui ci si droga, in questomodo non si affronta il problema, lo si ar-gina soltanto ...Ci sono molte persone con gravi problemidi salute che patiscono una sofferenza noncercata né voluta ... mentre il drogato è sìun malato, ma un malato che sceglie di es-serlo e che sceglie di autodistruggersi con-sapevolmente e liberamente, un malatoche soffre di mancanza di volontà e di maldi vivere. Istituire delle comode e acco-glienti stanze in cui “bucarsi” non mi sem-bra il miglior modo per assistere e com-battere la tossicodipendenza.

Jim Morrison, cantante dei Doors egrande mito degli anni ’60, poeta delrock trasgressivo e dannato, sperimen-tatore di tutti i tipi di droga, diceva che“Comprare droga è come comprare unbiglietto per un mondo fantastico, ma ilprezzo di questo biglietto è la vita”.

Chi si droga deve essere consapevole chel’autodistruzione presto o tardi si pagacon la vita.

DROGA = DIPENDENZA“Comprare droga è come comprare un biglietto per un mondo fantastico, ma il

prezzo di questo biglietto è la vita” (Jim Morrison)di Manuela Del Togno

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Dopo una rapida lettura alprologo inizia una serie diviaggi tra fantasia e realtàche vedono come interpre-

te Michele, un bimbo di quattro an-ni, figlio della autrice del libro.Sembrava che fosse una abitudine di-menticata quella di raccontare “sto-rie” ai bambini per tranquillizzarli, perfavorire il sonno, per mostrare lorodegli aspetti della realtà in una otticafiabesca ma fondamentalmente edu-cativa.A quanto pare questa abitudine nonsi è estinta, anzi ...La novità consiste nel narrare al pic-colo, ma in realtà a tutti i bambini

fortunati ai quali qualcuno voglia leg-gere i racconti, fatti, scenari, perso-naggi e costumi della nostra terra.L’approccio con la “opera prima” diStefania Stoppani è estremamentegradevole, la narrazione fila propriosulla lunghezza d’onda del linguaggioe della fantasia di un bimbo (così al-meno a me pare! Scusate se sbaglio!).Il formato stesso del libro, quadrato,ed i disegni che lo corredano dannouna impressione di accattivante lin-dore e di immediatezza.Non a caso le illustrazioni sono fir-mate da un giovane architetto, Mar-co De Campo.I colori sono brillanti e gioiosi, mon-tagne inclinate a 45°, cieli limpidi elineari, arcobaleni, stelle, animali, tre-ni e riferimenti a paesaggi reali sonodi notevole efficacia.La stessa copertina mostra il “treninorosso del Bernina” condotto nel suofantastico viaggio da un bambino,proprio da Michele, immagino.La mia copia del libro è firmata daMichele ... ci ha messo un po’, ma lafirma è perfetta: a quattro anni cosavolete di più! Lasciamolo giocare e“viaggiare” nel suo mondo misteriosoe incantato, gui-dato dalla rassicu-rante mano dellasua mamma.

Pielleti

I favolosi viaggidel bambino Michele

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Ehi! Ehi! Psst! Michele! Martina!Ascoltatemi con attenzione,bambini!Quante volte ve lo debbo dire? Sela sera ve ne andate a spasso per iboschi o vi attardate sui sentieri dimontagna, invece di stare a casaattaccati alla stufa, beh ... vipotrebbe capitare di vederecomparire all’improvviso dinnanzia voi delle misteriose e stranecreature. Sono le creature dellanotte!Chi li ha visti, bambini miei, diceche nelle nostre valli di Valtellinae Valchiavenna vi è tutta unaschiera di spiritelli dispettosi, dielfi maligni, di omeni selvadeghi edi diavoletti che ne combinano ditutti i colori.E poi in Valmasino vi potrebbepure capitare di incontrare ilGigiàt, una strana creatura, chepare un caprone ma non è uncaprone, pare un camoscio ma nonè né un camoscio e neppure unostambecco! Si narra che il Gigiàtsia di dimensionigigantesche,tanto che puòattraversare unavalle intera conpochi balzi, abbiaocchi di brace e ilpelo lunghissimoma, soprattutto,un puzzopestilenziale.Fate moltaattenzione al Gigiàt,bambini, perchèsebbene stia inprevalenza rintanatotra i ricci ed ilfogliame del bosco esia ghiottissimo dicastagne, si dice che ditanto in tanto non disdegni unbuon pasto a base di pastorelli o dialpinisti solitari!..........Quindi bambini, datemi retta: fatei bravi, date retta alle vostremamme e non ficcatevi nei guai!Ed ora, silenzio! Si comincia!

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22 Alpes Agosto 2006

PELLETTERIA • VALIGERIAVia Dante, 6 - 23100 SONDRIOTelefono 0342 214154

Venerdì 25 agostodalle 9 alle 12 nel cuore di Sondrionella zona pedonale di via Dante

Giorgio Realistudioso di giochi tradizionali italianicaduti in disuso

insegnerà ai bambini a giocare come giocavano i loro padri ed i loro nonni.

Giochi di una voltaper i bambini di oggi

Vi aspettiamo con gioia!

Associazione Commercianti“il Centro Storico”

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Quand’ero piccolo ionon c’era ancora il Ga-me Boy. Non c’eranoneppure il computer, la

playstation, i videoregistratori, l’“happy meal” di McDonaLd’s, iPokémon, i cartoni animati tut-to il giorno in tv.Però c’erano già i grandi che midicevano che quando erano pic-coli loro non c’erano ancora igiochi che avrei avuto io: il Le-go, le figurine Panini, i treninielettrici, il subbuteo ... Ai lorotempi c’erano molte meno cose,quelle che c’erano erano più po-vere, eppure (così finiva sempreil loro discorso) “noi ci diverti-vamo di più!”.Quando vedo i bambini giocarea quei giochi che io non ho avu-to non penso che io mi sono di-vertito di più, o almeno non lo pensoproprio tutte le volte. Sono invece si-curo che deve essere bello avere setteanni e un Game Boy in mano. In quan-to ai sette anni non ci si può far nien-te, ma in quanto al Game Boy ... Ci siproverà gusto anche da grandi? Per mol-ti è così.La grande novità infatti non è il GameBoy: l’invenzione di oggi è che anche igrandi vogliono giocare.I grandi normalmente non voglionogiocare in un giardino, nel cortile del-la scuola durante la ricreazione: voglio-no giocare con il proprio computer,quando guardano la televisione, quan-do parlano di argomenti seri, quandolavorano.Spesso i giochi sono versioni in picco-lo di oggetti che fanno parte della realtàquotidiana dei grandi. Da che esistel’automobile esistono anche le macchi-nine, da che esistono i treni esistono itrenini. Bambole, soldatini, figurine,mattoncini, pistolette: così si impara a

dominare il mondo.Però, se pensiamo al telefono cellularedei grandi, si chiama “telefonino”, co-me se fosse un giocattolo, e i grandi in-fatti lo usano così: come un giocattolo.Esistono i telefonini giocattolo ancheper i bambini. Ma già il telefonino deigrandi sembra un gioco, con i suoi co-lori, le diverse funzioni, le suonerie spi-ritose (ora sono in treno e sto scriven-do: davanti a me c’è un signore di cin-quant’anni che fa importanti telefona-te d’affari, con un telefonino da cui,ogni volta che squilla, si sente una mu-sica disneyana. Topolin, Topolin, vivaTopolin: poi Lui risponde, e parla convoce serissima di euro, di clienti, di ap-puntamenti e di molte cose importantiche non funzionano).Cosa ne pensano i bambini di un mon-do dove i grandi giocano e vogliono di-vertirsi di più dei bambini?Forse questo libro è stato scritto nellasperanza che i bambini si appassioninocosì tanto a quei giochi da dimenticar-si del Game Boy e delle Barbie, e da la-

sciarli agli autori del libro stesso.Facciamo scambio: noi vi inse-gniamo a giocare con i nostri gio-chi e voi ci lasciate giocare con ivostri.0 forse, e questa è l’ipotesi che misembra più probabile, questo li-bro è esso stesso un gioco.Facciamo il gioco di giocare aigiochi di una volta: inventiamouna scuola, con il titolo pomposoe scherzoso di Accademia, pergiocare con le biglie, alla lippa, anascondino, per giocare a ricor-darci i giochi che avevamo di-menticato.Spesso questi giochi vanno pre-parati o anzi costruiti. Io mi erodimenticato del rocchetto: in unlibro che avevo da bambino sispiegava come costruirsi un roc-chetto-toboga (sono parole cheper me non avevano un significa-to preciso, ma solo un suono).Questo rocchetto doveva servireper giocare fra le lenzuola, quan-do ci si ammalava e si stava a ca-sa da scuola. Non sono mai riu-scito a costruirlo, e mi sono sem-pre ammalato invano.In questo libro ho riletto la spie-

gazione e forse la prossima volta cheprendo l’influenza proverò di nuovo afare un rocchetto.Ma, non dovete pensare che siano gio-chi per quando ci si ammala. Sono gio-chi che fanno usare le mani, che fannostare assieme, che nella maggior partedei casi si fanno all’aria aperta. Né lemani, né lo stare assieme, né l’aria aper-ta appartengono a un mondo vecchio:appartengono al mondo, e questo do-vrebbe bastare per aver voglia di gio-carci.I due autori hanno giocato al gioco di ri-cordare vecchi giochi, hanno giocatoal gioco di scrivere questo libro: vole-vano forse dominare l’idea che ogni ge-nerazione si diverte meno della prece-dente.I lettori, a qualsiasi generazione appar-tengano, possono fare il gioco di legge-re, di raccogliere i materiali necessari, dicostruire questi giochi. Giocare il giocodi divertirsi come un tempo: e comesempre.

Noi ci divertivamo di più

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Ecco la prefazione del libro“Il Giardino dei Giochi Dimenticati”Manuale dei giochi in via di estinzione.Giorgio Reali e Niccolò Barbierosono gli autori del libro.

di Stefano Bartezzaghi

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24 Alpes Agosto 2006

Che emozione ritrovare nella gioiadei bimbi di oggi, in Via Dante,nel cuore di Sondrio ... qualcheanno fa si era già visto qualcosa

di simile.Di nuovo il saltellare delle ragazze nel qua-drato disegnato col gesso sulla strada, co-me avveni-va nel giocodel mondo(che consi-ste nel lan-ciare unpiccolo sas-so in ciascu-na casellaper poi sal-tare da unaall ’altra).Sul tappetoverde dispostoall’inizio della via,un mucchio di tap-pi, turaccioli, bot-toni grossi e colora-ti, bacchette di le-gno, attirerà l’at-tenzione dei piùpiccini.Chi passava potevachiaramente co-gliere, dalle gridafestose e gioiose,quanto interesse su-scitassero quellepovere cose chetuttavia, oggi comeallora, avevano edhanno il potere dialimentare la crea-tività e la fantasia.I bambini protesiverso l’acqua della fontana per afferrare lebarchette di carta precedentemente col-locate.In un angolo due ragazzini si divertivano a“giügà a purtas in cadreghin” (i due, in-trecciate fra loro le mani, portavano unterzo che si era seduto). Si udivano gridavittoriose di chi era riuscito ad abbatterecon palle di carta o di legno una schiera dirudimentali birilli (alcuni di latta, altri dilegno o altro materiale) disposti in ordinedi altezza.

Lungo la via avanzavano ragazze e ragazzisu rudimentali trampoli di legno. Quanto

orgoglio nei loro sguardi peraver percorso solo pochi metritra l’invidia di chi si è cimen-tato nell’arduo compito e nonè riuscito.Ecco avanzare “il carrettino”(fatto con un semplice asse di

legno e quattro rotelline) con sopra unpiccolo che rideva giocondo, trascinato dauna corda a grande velocità dal fratellino.Ed ecco il rumore del cerchio (poteva es-sere di ferro o di legno): un vivace ragazzi-no lo faceva rotolare con una manetta.Molti si divertivano con la trottola di le-gno e i piccoli birilli che dovevano far ca-dere con un colpo secco. Altri bimbi si di-lettavano sulla pista delle pulci: gioco sem-plice e divertente fatto con bottoni e tap-pi rovesciati.Altri giochi fatti con materiale povero,quali le biglie di vetro, la fionda e il fuci-

letto con gli elastici, il tiro al ber-saglio, il carom (specie di bigliar-do fatto con ante di armadio), idadi, l’ula-op, favoriscono ancoraoggi il desiderio di stare insieme,di rinovarsi, di continuare l’ami-cizia, proprio come una volta.Con il simpaticissimo animatoreGiorgio Reali, la Via Dante sem-brava essersi fermata nel tempo,animata e rumorosa: spiccavano levoci gioiose di bambini e ragazziche giocavano spensierati e conl’entusiasmo della loro età.C’erano le bambole di stoffa, ilcavallo a dondolo, il triciclo, ilmonopattino, il lego, la dama, lecarte da gioco, la palla, i soldati-

ni di legno, il piccolo cilindro con l’asti-cella per formare le bolle di sapone.“Giochi d’altri tempi” ha portato allora eriporterà nella mattinata di venerdì 25agosto una ventata di spensieratezza e digaiezza che colorerà la Via Dante.Portate i vostri bimbi ... vi divertirete pu-re voi!

Giochi di una volta per i bambini di oggia Sondrio in via Dante - venerdì 25 agosto

Giorgio Reali, oramai cinquantacinquenne,nato a Merano, arrivò a Milano una quindi-cina di anni fa. E’ istruttore di scuola guida,“part time” tiene a precisare. Per il resto delsuo tempo si dedica alla Accademia del Gio-co Dimenticato, da lui fondata. Gira l’Italiacon al seguito una giardinetta strapiena digiocattoli o con la famosa ludobarca, unabarca a rimorchio che serve da museo itine-rante di giochi di una volta ma non troppo.La sua attività è frenetica e non conosce li-miti.E’ proprio un eterno bambino che gioca coni bambini e con i nonni, gioca, si diverte efa divertire: in questo modo “fa cultura”.

E’ stato fatto un referendum per lascelta dei 100 giochi da salvare: ec-co i risultati: 1- biglie di vetro, 2- na-scondino, 3- fucile ad elastico, 4-bolle di sapone, 5- pista biglie susabbia, 6- barchette di carta, 7- al-talena, 8- trici-clo, 9- monopo-li, 10- palla av-velenata.

Sintesi di un testo di Maria Cellina Besta

foto di Gian Franco Bassi

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Page 25: New 1,80 - Alpes · 2006. 7. 31. · 1,80 n.8 AGOSTO 2006 MENSILE DI CULTURA, INFORMAZIONE, POLITICA DELL’ARCO ALPINO Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L

Nel Feng Shui assume particola-re rilevanza la pratica di ripu-lire un ambiente dai residuienergetici propri ed altrui. Per

residui energetici intendiamo emozioni,pensieri e proiezioni energetiche che inqualche modo si soffermano nei locali,influenzando gli occupanti in modo più omeno negativo, ma comunque indeside-rato.Non esiste una interpretazione scientifi-ca di questo fenomeno, ma ciò non signi-fica che esso non sia verificabile. Tant’èche in molti stati membri degli U.S.A. èobbligatorio dichiarare sull’atto di ven-dita di una casa se al suo interno sono av-venuti omicidi o suicidi. Questo perchésono state così tante le evidenze di per-sone che, dopo aver comperato un im-mobile, si sono trovate in condizioni disonno disturbato, ansia, incubi, o hannoaddirittura rivissuto l’evento. Dunque lalegge ha recepito ciò che la scienza, perora, non riesce a spiegare.Senza arrivare a tali eccessi, in tutte le abi-tazioni si accumulano lentamente i desi-deri, le emozioni, i pensieri, le speranzedegli occupanti. E’ quanto meno ovvioche chi va ad occupare la casa dopo aver-la comprata voglia disfarsi di questo far-dello non voluto.Ricercando nelle varie culture, troviamomolto spesso dei rituali di pulizia degliambienti, di presa di possesso dell’abita-zione, di rinnovo dell’energia circolante.Ogni cultura ha usato gli strumenti rite-nuti più idonei per realizzare tali prati-che: i cristalli, il fumo provocato da par-ticolari erbe (ad es. l’incenso), invoca-zioni di vario genere, scongiuri, un’azioneenergetica diretta in genere effettuata dal-lo sciamano e così via. Ritroviamo talipratiche nelle culture degli Indianid’America, cinese, celtica ed egizia, maanche in Italia queste pratiche sono an-cora molto diffuse, soprattutto nel Sud edin Sardegna.Nel Feng Shui esiste un termine per in-dicare queste incrostazioni energetiche:“predecessor Chi”. La pulizia è partico-larmente importante quando ci si trasfe-risce in una nuova abitazione o in un nuo-vo ufficio. Le incrostazioni, infatti, pos-sono influenzare negativamente i nuovioccupanti, offrendo quindi una resisten-za debole ma persistente ai loro desideri evolontà.Il Feng Shui ha ampliato il concetto diSpace Clearing collegandosi ad una seriedi pratiche molto utili per mantenerel’energia di un’abitazione sempre fresca evitale. In generale si consiglia di non te-nere in casa oggetti che non abbiano una

funzione pratica o che non siano consi-derati belli e gradevoli. Ogni oggetto che non ha uno scopo è co-me un’energia bloccata ed inutilizzabile.Basta pensare all’attenzione che portere-mo a questo oggetto (vestiti, ninnoli, so-prammobili …) negli anni in cui lo te-niamo in casa, magari solo per pigrizia operché tendiamo a non buttare via nulla.Che cosa otteniamo in cambio da taleoggetto? Nulla. Non lo usiamo né lo con-sideriamo bello. L’attenzione che abbiamofornito è bloccata nell’oggetto ed inuti-lizzabile. Per il Feng Shui la casa è assi-milabile ad un organismo vivente. Un or-ganismo vivente non può avere parti inu-tili, pensate al vostro corpo ...In secondo luogo tutti gli oggetti, le mac-chine e le parti della casa rotte vanno im-mediatamente riparate. Tali oggetti rap-presentano una perdita continua di ener-gia, se non altro perché c’è sempre il pen-siero di doverli sistemare prima o poi. Nelparagone dell’organismo vivente, sonocome delle piccole ferite. Occorre chiu-derle subito.Infine si può verificare se ci sono delle zo-ne della casa che sono spesso disordinate.Tale situazione ha un significato. Piutto-sto però che tenerle ordinate a tutti i co-sti, creando un superlavoro, è più intelli-

gente comprendere che cosa ci indicano,e solo dopo procedere alla pulizia. E’ con-sigliabile effettuare una pulizia energeti-ca complessiva una volta l’anno, megliose in primavera.

Architetturae design feng shuiSpace clearing. Pulizia energetica degli ambienti.

di Stefano Vettori

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STEFANO VETTORISi interessa fin da giovane età alla culturaorientale, particolarmente a quella cinese, giap-ponese e indiana.Si laurea in Fisica presso l’Università di Torino.Studia varie discipline, approfondisce il FengShui a Roma e Hong Kong.Effettua ricerche di vario genere, in particola-re su un unico modello interpretativo per le va-rie tipologie costruttive che si riscontrano nelmondo, dall’architettura europea agli Egizi, aipopoli Americani, agli Indiani e a tutte le po-polazioni che hanno lasciato uno stile co-struttivo, al fine di evidenziare i principi fon-damentali che regolano la disposizione deglispazi. Dal 1997 tiene seminari ed esercita l’at-tività di consulenza in tutta Italia.La sua ricerca per la chiarezza e la semplicitàlo portano a riscoprire il Feng Shui nella suaforma più pura ed originale. Diplomato pressola Imperial School of Feng Shui di Master ChanKun Wah, uno dei Maestri più rinomati al mon-do, prosegue gli studi sotto la sua direzione.E’ membro effettivo della Chue Foundation, as-sociazione dedita alla diffusione del Chue Sty-le Feng Shui ed è titolare di Creative Feng ShuiInfo: [email protected]. + 39 328.87.66.245fax + 39 011.800.03.09

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Page 26: New 1,80 - Alpes · 2006. 7. 31. · 1,80 n.8 AGOSTO 2006 MENSILE DI CULTURA, INFORMAZIONE, POLITICA DELL’ARCO ALPINO Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L

Nel precedente articolo gli ac-cenni tecnici pratici ad al-cuni metodi di montaggiodel legno indicavano che an-

che un buon artigiano dotato di ingegnopuò arrangiarsi (avendo a disposizione lecode di rondine in lega speciale di allu-minio, un trapano, una fresa e le staffedi forte portata) a montare soppalchi oa creare delle semplici capriate con re-lativi puntoni e falsi puntoni, magariutilizzando la dima che appariva allega-ta al trapano come da fotografia. Ciòvale anche per la propria “baita” inmontagna o per eventuali ristruttura-zioni. Non dimentichiamo che per crea-re un nuovo habitat, che poi sarebbel’antico habitat edilizio valtellinese, amisura d’uomo e contro la massificazio-ne della nostra Terra, è necessario che lagente stessa voglia il ritorno alle tradi-zioni dei nostri antenati e che vogliacambiare il paesaggio rendendolo spe-cifico e vitale, esigendo l’uso del legnoe tutto ciò che lo accompagna.Il che significa ad esempio che i pro-prietari di baite possono iniziare con leproprie mani una trasformazione di ciò

che già hanno per renderlo il più possi-bile aderente alle nostre antiche tradi-zioni.Cercare la riproduzione delle nostre me-morie abitative col legno e gli affreschicomporta una trasformazione anche so-ciale, poiché l’uomo ed il paesaggio incui vive sono reciproci. Vale a dire chel’uno influenza l’altro e viceversa. Que-sta è una delle più importanti idee chesi affacciarono nel Rinascimento in Eu-ropa. L’uomo è al centro dell’universo ela riscoperta delle proporzioni assolute odivine che animano il mondo è anchearchitettonica: esprimeva l’armonia se-condo la quale non si poteva mai sba-gliare nel fabbricare case, strade, piazzee nel costruire interi paesi. Non si pote-va sbagliare perché rispondeva alla ve-rità insita nelle cose ... non certo l’uo-mo inglobato in opere a lui estranee co-me lo sono i giganteschi supermercati edi centri commerciali anonimi e tuttiuguali sino alla noia,ma opere rispon-denti al bisogno di

ritrovarsi e di ricrearsi secondo le ne-cessità profonde di ciascuno. E’ cosa bendiversa il vivere in anonimi caseggiati dicemento ed il vivere in dimore anchesemplici però fatte a misura d’uomo.Non c’é infatti casa in legno dei tempipassati che non abbia una propria iden-tità e non sia espressione vitale di chil’abitava. Forse anche perché il legno vi-ve sempre, essendo un insieme arboreodi tavole e travi intelligentemente com-binate che emana un calore tutto par-ticolare che accompagna il camminaresui pavimenti a piedi nudi o lo stende-re i panni fra le assicelle dei balconi, oil salire sulle scale con i gradini chepaiono vivi e caldi perché di legno o ildormire in stanze ovattate sentendol’aroma caratteristico delle essenze li-gnee ...Ecco perché il costruire col legno e ilmaneggiare i suoi derivati è ben altra co-sa, anche per la salute, che l’usare ma-teriali con composizione spesso tossicaanche per chi ci lavora. Un esempio èdato dalla cosiddetta “lana di roccia”che spesso produce irritazioni dannosenon da poco. Ebbene, esiste la “lana di

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VALTELLINA MITTELEUROPEALe case in legno

di Raimondo Polinelli

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legno”, flessibile e naturale (WoodtecSteico) priva di pericoli per la salute,che può essere utilizzata sia durante lacostruzione dei tetti che per la coiben-tazione di pareti, sottotetti, interstizi ealtro ancora. I prodotti sintetici in edi-lizia saranno sorpassati dal legno, anchein nome dell’ecologia e della salute, do-po un’epoca di trionfo solo perché sicredeva che il legno fosse deperibile, co-sa non affatto vera quando il legno èopportunamente trattato e protetto.L’informazione su ciò è il segreto delcambiamento futuro anche in Valtelli-na.Naturalmente bisogna considerare laqualità dei prodotti: vi sono pannelli infibra di legno con scarsa consistenza op-pure con frammischiati scarti di lavora-zione e colle sintetiche. La colla sinte-tica, va detto per inciso, non permettela traspirazione e solo le colle di resinenaturali e minerali lasciano passare ilvapore, impedendo muffe e umidità efavorendo il “respirare” degli ambienti.Non è con la segatura o con i rifiuti dellegname che si compongono i “deriva-ti” del legno, bensì utilizzando il corpostesso della pianta con le fibre e le loroqualità molecolari integre. Anche per lacostruzione di case e di strutture inter-ne quali soppalchi e altro, vi sono travie travi. In Austria, l’Istituto Austriaco diricerca sul legno (Holzforschung Au-stria) dirige un suo ente accreditato peril controllo e la certificazione del legnosegato per puntoni, travi e costruzioni ditetti e ponti. Viene rilasciato il marchiounico di qualità (MassiveHolz MH) so-lo per il prodotto in regola, distribuito dauna dinamica ditta di Bolzano, la Wood-tec, esclusivista Harrer e Merc (le solu-zioni già esposte nel precedente artico-lo), perchè ha superato tutte le richiestedell’Istituto. Tali travi di ottimo abetesono essiccate perfettamente e non han-no alcuna giunzione, ragion per cui nonsi “muoveranno” mai più, una volta in-seriti nella costruzione sia strutturaleche interna delle case. Questa è unabuona soluzione per il ritorno del mas-siccio rispetto al lamellare, introdotto inzona perchè meno deformabile del mas-siccio legno comune. Come ci ha spie-gato a suo tempo Harald Schluderba-cher, esperto nella tecnologia del legnoe nella bio-geo-edilizia, consultato inMilano anche da associazioni di co-struttori lombardi, e che fa molto per ladiffusione del legno sia in Alto Adige e

Trentino ma anche nel resto d’Italia:“l’uso del legno e dei suoi derivati de-ve essere solo ed esclusivamente basa-to sulla qualità del prodotto secondo latecnica d’uso, perchè solo se il prodot-to è buono potrà durare decenni. Ciòvale anche per la protezione esternadelle case. Molte delle nostre antichecase sono scomparse perché il vecchiointonaco favoriva la trattenutadell’umidità e ciò portava al suo sbri-ciolamento ed al diroccarsi dei muri”.Nel caso delle case in legno, mancandouna continua protezione e manutenzio-ne che i nostri vecchi già utilizzavanocon arte tramandata di padre in figlio ecolpevole anche la non assistenza deigoverni lombardi, l’acqua ed i cambia-menti climatici hanno collaborato allascomparsa di molte testimonianze che,se restaurate, avrebbero accresciuto l’at-trattiva delle nostre valli.Oggi, con la protezione esterna degliedifici, la durata di una casa in legnonon dovrebbe rappresentare più un pro-blema.

E’ possibile rivestire la parete ester-na con un cappotto di protezionetale da favorire la respirazione

dell’edificio e l’evaporazione dellecondense acquee lasciando una in-

tercapedine vuota per le parti in mura-tura e riempita con lana di legno perquelle in legno. Poniamo di usare deipannelli speciali in fibra di legno di pi-no come quelli dell’Inthermo-Wood-tec: otterremo un’isolazione termica efonica, inoltre, grazie alla paraffina spe-ciale che impregna detti pannelli, avre-mo anche una bella impermeabilizza-zione. L’intonaco e gli strati canonicisaranno anch’essi bionaturali e quindil’edificio respirerà senza problemi. Lacosa è andata così bene in passato nel-le regioni vicine, che mi è parso giustoillustrarla nel contesto di questi artico-li per le nostre valli. L’errore che si è fat-to in passato, dovuto anche a cause con-tingenti, è stato quello di impermeabi-lizzare e proteggere in vario modo la ca-sa lavorando all’interno della stessa. Aquel tempo il costo del riscaldamentoera basso e la poca conoscenza dei cap-potti naturali ha fatto il resto. Oggi, siè capito finalmente che i muri esternidella casa vanno incapsulati all’esternocon un sistema di protezione totale ot-tenendo un alto risparmio energetico. Ilproblema dell’umidità non è risolvibilecon rivestimenti sintetici impermeabi-li esterni, perché l’acqua risale nei poridei muri e li rovina evaporando e ri-condensandosi in continuazione nonpotendo filtrare dal polistirolo e simili,è tolto solo con un cappotto di fibre aprova sia d’umidità che di surriscalda-mento estivo.Gli affreschi esterni della casa, possonoessere comodamente attuati e fissati suipannelli rivestiti della loro specifica in-tonacatura. Per quanto concerne il ru-more e il fuoco, basti dire che questipannelli (parlo degli Inthermo-Wood-tec) sono stati posti nella classe miglio-re corrispondente alla normativa tedescaed europea. Va ribadito che è nella cor-retta informazione da parte anche deiprivati, se in provincia riusciremo a ri-costituire un patrimonio abitativo e dipaesaggio di qualità, poiché le soluzionici sono e sono a disposizione di tutti.Se è vero che la casa fa l’uomo, è purvero che è l’uomo che a sua volta co-struisce la casa ed in base a come la co-struisce o la ristruttura ne verrà poi in-fluenzato a tutti i livelli.

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tiche e non necessariamente esotiche, lavacanza proposta da “Una Montagna diRifugi” ha tutte le carte in regola peraprire la strada ad un nuovo turismo.Il rifugio G.B. Ferraro (2.000 mt inValtournanche) propone una partico-larissima “Zuppa dell’Ermeto” con spi-naci biologici, pane, fontina, brodo, maanche la più tradizionale polenta con

cervo e quella concia. In più vengonoofferte degustazioni di piatti tipici del-la cultura Walser tra cui i “chnéffléne”(bottoncini), gnocchi preparati con lat-te e farina e conditi con burro fuso ofonduta o i “chiechéne”, dolci tradizio-nali, o “bieschtturtò” torta di colostro.Sulla cucina a legna del Rifugio GrandTournalin (a 2600 mt sempre in Val-

ESEMPI DA IMITARE...Itinerari gourmand tra le montagnePier Luigi Tremonti

Fino a tutto settembre vacanze inrifugio per scoprire l’alta cucina.Valle d’Aosta, Savoia e AltaSavoia propongono itinerari“gourmand” in oltre 200 rifugidel territorio per far scoprirel’alta cucina ai turisti chenemmeno in montagna voglionorinunciare ai piaceri della tavolae a qualche comodità.

Un nuovo modo di “rifugiarsi”.L’iniziativa nasce da “UnaMontagna di Rifugi”(www.una-montagna-di-rifu-

gi.com), un progetto comunitario chevede coinvolti un centinaio di rifugimontani nell’offerta di “pacchetti” turi-stici dedicati alle famiglie, ai bambini ein generale a quanti si accostino per laprima volta a una vacanza in montagnae non vogliono rinunciare al comfort e al-la buona cucina. Il progetto promuovebrevi soggiorni o vacanze in rifugi facil-mente accessibili a piedi (max. 1h dicamminata semplice) o in funivia, met-tendo a disposizione degli ospiti moltiservizi tra cui la possibilità di trasporto ba-gagli o passaggi fino ad alta quota in 4x4.Le strutture sono dotate di camere acco-glienti, ristorazione di qualità e propostedi attività o di escursioni guidate adattea tutti. Tra le ricette tipiche servite sulletavole dei rifugi, spesso con un pizzico difantasia, non mancano prodotti rigoro-samente biologici e naturali, con verdu-re dell’orto e formaggi doc. Economica (i prezzi per la mezza pensio-ne non superano i 35/40 _ p.p), saluta-re e perfettamente in linea con la semprepiù sentita esigenza di esperienze auten-

Rifugio Mario Bezzi.

ESEMPI DA IMITARE...Itinerari gourmand tra le montagne

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tournenche),Ernesto Sar-teur, chef diun hotel invalle, cucinain quota ilsanguinaccio,la carbonada(carne taglia-ta a dadinicon cipolle evino) e lazuppa valdo-stana, conpane, brodo eFontina ac-compagnatada vini Doc valdostani. Deliziosi anchei dolci, preparati con il latte munto dal-le mucche che pascolano vicino al rifu-gio.Gestito dalla famiglia Barrel, il RifugioBezzi (2.280 mt in Valgrisenche) è unatappa conosciuta da molti per la cucinatradizionale e per lo speciale “Riso allacongnentze” con crostini di pane, bur-ro e Fontina.In Alta Savoia sono molto interessantii 7 rifugi della “Chaine des Fiz” (Varan,Châtelet d’Ayères, Alfred Willis, LePlaté, Moëde Anterne, les Fonts, le Sa-les) di fronte al Monte Bianco che han-no ideato un percorso “gustoso” tra gliantichi sapori regionali. Ogni cliente po-trà degustare pane e salumi di montagna,formaggi degli alpeggi e per dessert tor-te ai mirtilli e ai frutti di bosco.

Rifugio G.B. Ferraro - 2006 mt - Lo-calità Resy - Champoluc- Val d’Aosta -(36 Euro mezza pensione)Fausta Bo e Stelio Frachey accolgono i vi-sitatori nello storico rifugio che risale al1590 e domina Resy un villaggio dellatradizione Walser, in Europa uno dei piùalti abitati nell’intero arco dell’anno. Perarrivare al Rifugio Ferraro si può utilizzareuna comoda teleferica dal comune diSaint Jacques o camminare lungo un sen-tiero che parte dalla chiesa di Saint Jac-ques per 45’. Rinomato soprattutto perl’ottima cucina, il rifugio vanta una po-sizione privilegiata: totalmente immersonella natura, con vista panoramica suChampoluc e il Monte Rosa dalla terraz-za/solarium. Tra i cibi da non perdere: la“Zuppa dell’Ermeto” con spinaci biologi-ci, pane, fontina, brodo; la polenta concervo e la polenta concia (Prezzo mediodei pasti 12 Euro). Per il “Weekend dei Ri-fugi” (24-25 giugno 2006), i gestori delFerraro propongono inoltre degustazionidi piatti tipici della cultura Walser:“chnéffléne” (bottoncini), gnocchi pre-parati con latte e farina e conditi conburro fuso o fonduta o i “chiechéne”,dolci tradizionali, “bieschtturtò” torta dicolostro.Il rifugio propone escursioni guidate,trekking, osservazioni astronomiche eservizi jeep.Il rifugio dispone di 28 posti in cameretteda 2, 4 o 6 letti. Doccia con acqua cal-da. All’interno del rifugio anche una bi-blioteca specializzata in libri di alpini-smo, cartine e guide relative alla zona delMonte Rosa.

Rifugio Grand Tournalin -2600 mt -Alpe Tournalin- Ayas - Aosta - (36 Euromezza pensione)Si raggiunge in 2 ore e mezzo di cammi-no ma Giuseppe Merlet offre anche unservizio di trasporto in 4x4 per consen-

tire alle famiglie (o ai disabili) l’accessoal rifugio in mezz’ora. Fra le attività pro-poste la passeggiata a un alpeggio del1860- vicino al torrente alpino Nanaz- incui assistere alla mungitura tradizionale.Ideali per le famiglie anche i sentieri peri Laghi Croce, il Colletto di Nana ed ilMonte Croce. Oltre alle escursioni guida-te, i gestori del rifugio propongono cor-si di yoga gestiti da professionisti. Le 35camere per gli ospiti sono da 2, 4 o 5 po-sti (c’è anche una camerata da 7 posti).Sulla cucina a legna si cuoce la polenta(normale e “concia” con fontina), ma an-che il sanguinaccio, la Carbonada (spez-zatino di carne con cipolle e vino) e lazuppa valdostana, con pane, brodo e Fon-tina. Vini Doc valdostani.

Rifugio Mario Bezzi - 2280 mt - Val-grisenche, Valle d’Aosta - (34 Euro mez-za pensione)Costruito nel 1925 a supporto alpinisti-co e militare, oggi il Rifugio Bezzi è me-ta invernale ed estiva di alpinisti, scia-tori ed amanti della montagna. Gestitodalla famiglia Barrel, il Rifugio è stato re-centemente ampliato e ristrutturato peroffrire più comfort ai suoi ospiti pur con-servando l’atmosfera tipica dell’alta mon-tagna e i sapori della cucina Valdostana.Raggiungere il Rifugio Bezzi è possibileanche per i non sportivi, percorrendo lapasseggiata che da Uselères porta finoall’Alpe Vaudet. Molteplici le attrattivenaturalistiche e sportive, tra cui il “sas-so Bezzi”, una piccola palestra di roccianei pressi del rifugio, tappa conosciutaanche per lo speciale “Riso alla con-gnentze” con crostini di pane, burro eFontina.

Per l’estate 2006 i gestori dei 7 rifu-gi della “Chaine des Fiz” (Varan, Châ-telet d’Ayères, Alfred Willis, Le Platé,Moëde Anterne, les Fonts, le Sales) inAlta Savoia di fronte al Monte Biancohanno ideato un percorso “gustoso” tragli antichi sapori regionali. Tra i piatti danon perdere: pane e salumi di monta-gna, degustazione di formaggi degli al-peggi, fondue savoiarde, minestra dellacasa con legumi e toma, rolata e patateal forno, e per dessert. torte ai mirtilli eai frutti di bosco. Il tutto accompagna-to da ottimi vini Savoiardi. Ogni turistapotrà scegliere un soggiorno personaliz-zato di due/tre/quattro giorni secondo ipropri gusti e disponibilità (37 Euro peruna notte, il pranzo, un bicchiere di vi-no, la colazione) o richiedere il tour gui-dato da una Guida Alpina di tre giorni alcosto di 224 Euro per persona (con pen-sione completa).

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Nei paesi industrializzati il turi-smo è accessibile a tutti i li-velli sociali (turismo di mas-sa). Viaggi organizzati rag-

giungono ora tutti gli angoli della terra.Anzi, i posti più esotici, le isole lontane,i popoli con diverso livello di sviluppo,attraggono ancora di più chi desidera al-lontanarsi, almeno per pochi giorni, dal-le giungle di cemento e dai grandi ag-glomerati urbani.I pericoli di un turismo di evasione daparte di “cittadini” inconsapevoli dei de-licati equilibri ambientali delle popola-zioni con diverso sistema di vita, sonoevidenti: inquinamento; introduzione diabitudini e modelli deleteri per le cultu-re locali, come consumi superflui, cibipoco sani perché raffinati industrial-mente e alcolici; pseudocultura che faappello ai piaceri materiali e che proiet-ta un’immagine di vita moderna e pia-cevole differente da quella che gli au-toctoni conducono nel loro paese.Certamente il turismo può portare con sèeffetti positivi se fatto da soggetti consa-pevoli, in quanto favorisce lo scambiotra culture diverse, stimola la crescitaeconomica e sociale dei paesi visitati, va-lorizza le capacità artigianali e artistichedelle popolazioni.Perché ciò accada senza disastrosi effet-ti collaterali, è necessario che i turistiprovenienti dalle società urbanizzate etecnicamente sviluppate rispettino alcu-ne norme di comportamento per realiz-zare l’obiettivo di un turismo consape-vole, sostenibile e responsabile.

Definizioni di altro turismo

C’è chi lo chiama turismo responsabile,chi solidale, chi sostenibile, chi ancora,consapevole. Queste sono le diverse de-finizioni che si utilizzano per sottolinea-re un nuovo modo di visitare il mondo:viaggiare senza influire sulle condizioniambientali e socio-economiche dei pae-si che ci ospitano. Si tratta di un mododi fare turismo in maniera alternativa.Nel suo interessante libro “La sfidadell’ecoturismo” Paolo Galli precisa cheil termine “turismo sostenibile” derivadal concetto di “sviluppo sostenibile” cheè quello che soddisfa le necessità della ge-

nerazione attuale senza compromettere lacapacità delle generazioni future di sod-disfare le proprie necessità. L’obiettivofondamentale del turismo sostenibile è dimantenersi nel tempo, conseguendo unabuona efficienza e allo stesso tempo pre-servando le risorse naturali e umane chene costituiscono la base.Un turismo sostenibile fornisce il mi-gliore ritorno economico, nel lungo pe-riodo, sia per gli operatori turistici, sia perle popolazioni locali, che dovrebbero be-neficiare di una parte della ricchezza pro-dotta e non essere utilizzate solo comefornitrici di mano d’opera a buon mer-cato (generalmente il 70-80% del prez-zo pagato per un viaggio “irresponsabile”ritorna al paese di origine del turista).L’ambiente dovrebbe essere tutelato, letradizioni locali rispettate, evitando chele bellezze delle destinazioni siano utiliz-zate a fini commerciali senza un vero fi-ne di tutela dell’ambiente. Anche l’In-ternational Ecotourism Society (un’or-ganizzazione statunitense presente in 110paesi che si occupa di ecoturismo) hacercato di darne una definizione ed è ar-rivata a questa conclusione: “Il turismosostenibile è un modo responsabile diviaggiare in aree naturali che conserval’ambiente e sostiene il benessere dellepopolazioni locali”.Queste parole sono utilizzate da Mauri-zio Pittau nel suo libro “Economie sen-za denaro” nella pagina dedicata al turi-smo responsabile e consiglia di avvici-narsi ad un’altra cultura “in punta di pie-di” e con il minimo impatto possibile.

Il turista tra responsabilità e sostenibilità

Questo nuovo modo di fare turismo è più“sostenibile” nella misura in cui viene“sopportato” dall’ambiente e dalla popo-lazione che si visita, ed è più “responsa-bile” nella misura in cui i turisti “ospiti”della comunità visitata, sono consapevo-li dell’impatto che il loro comportamen-to può avere sulle popolazioni “ospitanti”.Inoltre il turista deve capire che in que-sto modo il suo denaro va a vantaggiodelle economie locali, anziché delle mul-tinazionali dell’industria alberghiera. Inconclusione anche come turisti abbiamo

la possibilità di fare molto per la prote-zione delle culture locali, del loro lin-guaggio, della loro storia e delle loro tra-dizioni. E ciò, con il nostro modo di rap-portarci alla gente, con il modo di ve-stirci, con quello che mangiamo, conquello che acquistiamo.Solo così potremo dare un contributotangibile alla realizzazione del sogno diun abitante “anonimo” della nostra Ter-ra, il quale affermava: come sarebbe bel-lo se, magari con l’intervento dell’ONU,anziché dichiarare patrimonio dell’uma-nità soltanto questo o quel monumento,o parco, o bellezza naturale, riuscissimoa dichiarare patrimonio dell’umanitàtutto il pianeta!

Operatori del turismo responsabile

Nel mondo sono nate varie associazionidi operatori turistici e di cittadini percreare una più sviluppata sensibilità peri problemi della ecologia connessi al tu-rismo. Per esempio, in Australia è sortaun’associazione australiana di ecoturi-smo. In Gran Bretagna un’associazionedi ecoturismo “Tourist Concern” svolgeun lavoro importante nel settore educa-tivo e nei contatti con le varie associa-zioni di agenzie viaggi e tour operator.In Italia, è sorta nel 1997 l’AssociazioneItaliana Turismo Responsabile (AITR)con lo scopo di diffondere i principi con-tenuti nella carta d’ identità per viaggisostenibili, che si rivolge ai tre principa-li “attori” del fenomeno turistico: gli or-ganizzatori di viaggi, le comunità ospi-tanti ed i turisti.A Milano, è molto attiva l’agenzia Pin-dorama viaggi consapevoli, che organiz-za incontri culturali di approfondimen-to e discussione d’idee e d’esperienze ine-renti alle diverse tematiche legate al tu-rismo consapevole, al commercio equo esolidale o alla situazione sociale dei pae-si da visitare.

*Insegnante di Yoga. Viaggiatore. Membro delGruppo Macro.

Tratto da “il Consapevole”. Economia, finanza,consumo equosolidale.La rivista per chi vuole cam-biare il mondo con le proprie idee e azioni quoti-diane. Edizione - Macro Società Cooperativa - ViaEmilia Ponente 2040 - 47023 Diegaro di Cesena(FC) - tel. 0547.34.63.26 - fax 0547.34.75.28

Un modo diverso di fare turismodi Vittorio Calogero*

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STORIA PICCOLACollezionismo - numismatica: metallica o cartacea

di Arcangelo Tartaro

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Correnti, fuori corso, di grandeo modesto valore, grafica-mente ricercate o più sempli-ci, le banconote e le monete

sono uno dei ricordi più interessanti evari che è possibile riportare da un viag-gio all’estero, come è facile verificare inquesta affascinante carrellata.Una volta, nelle famiglie rette da sanospirito di economia non mancava mai lascatola dei bottoni. La brava mamma vimetteva non solo gli esemplari più bel-li, quelli che passavano da un vestitofemminile all’altro, ma anche gli umilibottoni di mutande, camicie, federe, cal-zoni, in quanto, prima o poi, “sarebbe-ro serviti”. Oggi quella scatola, di mas-sima non esiste più: è sostituita da quel-la dei soldi stranieri di metallo, messimagari in una busta quelli di carta.È un segno dei tempi, ci muoviamospesso, da soli o in comitiva e, pur pri-vilegiando, alla partenza, le monete piùsolide, soprattutto il dollaro che ci faben accettare ovunque, finiamo, unavolta arrivati sul posto, per cambiarequalcosa di moneta locale, col risulta-to di trovarci al momento della parten-za con un piccolo capitale di spiccioli,che solo i più avveduti nei negozidell’aeroporto trasformano in cioccola-tini, sigarette e ricordini.Poichè ritornati in patria nessuna ban-ca accetta di cambiarci quella “mitra-glia” (in gergo bancario) di carta colo-rata, dobbiamo tenercela, mettendo lebasi di una collezione spontanea e in-volontaria, riunita nella scatola di cui siè detto, e che costituisce un ricordoneppure del tutto spiacevole. A parteciò, vi sono collezioni di monete “serie”e di grande valore affettivo.Quando il secondo conflitto mondialefinì, uno dei segni di ripresa del benes-sere fu dato dalle monete d’oro regala-te dai nonni per i compleanni, gli ono-mastici, le feste grandi e le date da ri-cordare. Si racconta che vi furono si-gnore - definite dalla gente volgare “da-mazze” che grondavano di sterline, ma-renghi e franchi svizzeri d’oro appesi albraccialetto.Torniamo ai ricordi di viaggio, veden-do cosa si può”tirar su” in modo piace-

1977Miniassegno italiano da 100 lire con monumento in miniatura.

1930Elegante banconotacinese di 10 Yuan.

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vole restando nel settore meno ingom-brante e più facile che è quello dellacarta moneta del mondo. Fonti autore-voli assicurano che l’idea di emetterecartamoneta venne, per primi, agli im-peratori cinesi della dinastia Han ver-so il 140 a.C. Per l’esattezza non si trat-tava di carta, ma di ritagli di cuoio, ele-gantemente decorati da calligrafi di cor-te. Ci fu qualche resistenza da parte deirisparmiatori, che preferivano il metal-lo, ma il “Figlio del Cielo” risolse laquestione facendo decapitare i rilut-tanti. Da allora la Cina fu il beato pae-se di quella che era definita la “mone-ta volante”.Marco Polo la vide, e la trovò pratica dafar viaggiare: si era già passati ai bigliettidi carta!Ancora oggi, i grandi collezionisti, “ipatiti”, aspirano al possesso di banco-note cinesi del 1368.A Pechino nel ‘900, durante il sac-cheggio dei palazzi imperiali ad operadei soldati che avevano liberato le le-gazioni straniere dopo 55 giorni di as-sedio, diversi di quei soldi furono trovatinascosti in statue di Buddha trasforma-te in salvadanai.Nel nostro mondo europeo, a parte i ti-toli di credito inventati dai banchieriveneziani negli anni d’oro della Re-pubblica (a Rialto c’è ancora il porticodel Bancagiro), le prime monete carta-cee sono collegate al ricordo di assedi,quando, per sopperirealla scarsità di monete, si utilizzavanopezzi di carta da cambiare poi, a pacefatta e se tutto andava bene, con soldiveriCiò avvenne a Leyda nel 1574 e in al-tre occasioni, compreso l’assedio di Ve-nezia del 1849. Di quel fatto storico cirestano come testimonianza le “mone-te patriottiche” da una a cento lire, de-cisamente di notevole interesse storico.Col passare degli anni, più ci si allon-tana dalle guerre, più la moneta metal-lica sostituisce quella di carta.Anche l’Italia sostituì il biglietto da 500lire con la moneta metallica. Lo stessofece la Francia che al posto del bigliet-to da 10 franchi coniò una moneta pic-cola e spessa che sembrava un gettonetelefonico.Tra le tante curiosità, i biglietti di ban-ca più “chiacchieroni” sono le rupie in-diane, tanti “segnetti”, per noi indeci-frabili, indicano il valore in “venti” lin-gue locali, sopra tutte domina la scrit-ta in inglese ... chiaro esempio di comeci si intende in India.

19721 Rupia indiana con le diciture in inglese e in alcunelingue indiane. In India si parlano 25 lingue e numerosidialetti.

1990Banconota da 100 Baisadell’Emirato di Oman in cui campeggianostupendi animali.

19961 Som della Repubblikadel Kirghizistan con Aquila reale che spicca il volo.

1950Elegante piccolabanconota da 5 piastre egiziana.

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Da bambini ci si divertiva a parlare”inturko”, facendo terminare le parole in“asi”: e le lire turke, ossia le turklirasi,sono emesse dalla Merkez Bankasi chevalgono poco, ma ispirano fiducia pernome ed eleganza grafica come i famo-si “dollari di Hong Kong”. Anche i bi-glietti dei “Rende” sudafricani sono pre-sentabili, con il disegno delle miniered’oro.La moneta cartacea ha infatti un difet-to: prima o poi arriva il momento chenon vale niente quando e se l’inflazio-ne inesorabilmente avanza.Esemplare il caso italiano, esploso fra il1976 e il 1978, quello dei “miniasse-gni”: si tratta di quella che gli econo-misti definiscono “moneta di emergen-za”. Allora la Zecca non riusciva a im-mettere sul mercato le monete, soprat-tutto da 100 e 50 lire, richieste dalla ri-presa economica. Si cercò di rimediarenel modo più empirico: caramelle, bi-glietti del tram e francobolli per resto.L’idea di emettere dei piccoli assegnicircolari per sopperire alla mancanza dispiccioli venne (i collezionisti e gli sto-rici del fenomeno sono d’accordo)all’Istituto San Paolo di Torino, che il10 dicembre del ‘75, mise in circolazio-ne, un “taglio” da 100 lire, intestato al-la Associazione Commercianti dellacittà. L’iniziativa ebbe subito successo equasi tutte le banche si adeguarono di-stribuendo milioni e milioni di bigliet-tini, subito indicati come “miniasse-gni”.In pratica quei pezzi di carta o si dete-rioravano rapidamente senza che il pub-blico ci piangesse sopra o quando eranoancora freschi di stampa, venivano te-saurizzati. Non si sa per quale ragionemolta gente si mise in testa che quellamoneta senza valore immediato neavrebbe avuto succesivamente uno al-tissimo come oggetto di collezione. Co-sì i miniassegni diedero vita ad un mer-cato anomalo, che aveva il suo aspettopiù clamoroso nelle bancarelle dei mer-catini.Così parecchie imprese commissiona-vano alla banca intere serie di minias-segni.Altre banche curarono la loro immagi-ne stampando “tagli” con pretese arti-stiche o -quelle delle località turistichee di villeggiatura- valendosi di immagi-ni miniaturizzate dei luoghi.Il fenomeno finì rapidamente. Chi ave-va speso soldi per tesaurizzare, si trovòcon buste colme di carta senza valore,o valida al massimo come “souvenir”di giorni lontani.

1994Coloratissima

banconota da 0,50Quetzal delGuatemala.

2005Banconota da 5 Lire

della Turkia con impresso

il ritratto di Atataurkfondatore

dello Stato odierno.

1998Banconota

da 1000 Won della Korea del Nord.

1995Fantasiosa banconota

da 2000 Lei di plastica della

Romania.

1991Sgargiante banconota da 5 Rupie del Nepal.

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Inaugurata nuova via sul monte Spondasciadi Ermanno Sagliani

Domenica 18 giugno la Sezionedel Cai Valmalenco ha inau-gurato un nuovo itinerarioben segnalato, dal versante

sud-ovest con partenza dal rifugio Zoiaalla panoramica vetta del monte Spon-dascia (2867 m.).La mulattiera diretta all’Alpe Campa-gneda transita alla Falesia Zoia e pocooltre su una placca di roccia dove si ab-bandona la mulattiera per risalire a si-nistra un valloncello aperto tra la radavegetazione e segnalato con bandierebianco-rosse.La nuova via tracciata sull’ampia dor-sale S.O. dello Spondascia è la più lo-gica e diretta per la vetta, su traccia al-pinistica per escursionisti esperti, condislivello di 930 m., tempo medio dipercorrenza ore 2.30-3.00, in un am-biente di aspre rocce e gande allietateda due pozze d’acqua nivale, dette daimandriani “lach del Pedrio”.Il vallone di salita è un interessante e ti-pico esempio di remote glaciazioni ero-sive. Sotto l’ultimo intaglio della cre-sta si osservano nella parete destratipiche erosioni di marmitte deigiganti, raro e caratteristico fe-

nomeno periglaciale ad alta quota(2700 m.).Divertente ed aereo è il tratto finale sulastronate rocciose sotto la vetta, at-trezzate con catene fisse di sicurezza periniziativa e impegno di lavoro dei ma-lenchi Fabio Bergomi, Roberto Agnel-li, Elio Parolini e con la collaborazionedel Comune di Lanzada. La vista è ver-tiginosa sugli strapiombi di rocce mon-tonate di Poschiavina e in Vetta si of-fre un incomparabile panorama sul Ber-nina, sul Pizzo Scalino, Orobie e altroa perdita d’occhio.Nel gruppo inaugurale erano sette par-tecipanti, due escursionisti, una soladonna e l’intrepido cane .. il lupac-chiotto Terry.Questa nuova via è una iniziativa si-gnificativa del Cai Valmalenco in ter-ritorio alpino totalmente incontami-

nato e rappresenta untraguardo e un mo-mento da condivi-dere con altri ami-ci della monta-gna, da ripetereper tutta l’esta-

te e magari in sci alpinistico d’inverno.Agnelli e Parolini, inesauribili in ideeed iniziative, per il Cai Valmalencostanno attrezzando anche in Val Brut-ta, a monte di Lanzada, una nuova fa-lesia di arrampicata presso la minieraIMI, sotto il Capitel de l’UA.Per ora si tratta di due tiri di corda, maseguiranno sviluppi.La parete detta “Falesia di Ciáfer” è de-dicata a tutti i cavatori nelle miniere diVal Brutta.Altro luogo particolarmente suggesti-vo da valorizzare e rendere praticabile aivisitatori è la gola di uscita del torren-te Lanterna, in fondovalle a monte diTornadri, posto a mezz’ora dalla stradaasfaltata.Superato un ponte e un boschetto di be-tulle si raggiungono massi ciclopici epareti rocciose di serpentino con spet-tacolari vasche ed erosioni remote, de-terminate dal mulinare dei vortici d’ac-qua.Un paesaggio di fascino primordiale traacque fresche, verdastre e cristalline,da attrezzare e rendere visi-tabile in sicurezza. Au-tentica attrattiva na-turale.

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Da tempo ho cominciato a scri-vere dei brevi testi che hannocome comune tematica la vi-ta e la cultura della gente di

montagna, che prioritariamente si è de-dicata, per scelta o condizionamento,alla vita contadina, dando luogo a quel-la che è stata denominata “civiltà con-tadina”.Uomini e donne dell’altopiano Ossi-mo, Borno, Lozio denominato: le Pietredegli Dei (1) ma anche di tutta la Val-le Camonica. Territorio vissuto da uo-mini che io ricordo e amo perché mihanno ispirato un motto: per non di-menticare e fare memoria.Sono capitoletti che si ispirano princi-palmente all’ambiente, alla vita conta-dina e ai prodotti della terra. Alcuni diquesti miei scritti, grazie a riviste e gior-nali come Alpes, Montagne e Paesi,La Gazzetta di Borno, Tracce del CAI,il Giornale delle Valli, sono potuti en-trare, forse, anche negli angoli più re-moti di quei paesi e di quelle case chesono stati miei ispiratori sin da quandoero ragazzo e che cominciai a rappre-sentare sulla tela assai presto anche nel-

la mia cinquantennale opera artistica.Sono ricordi questi che per me hannoavuto la forza di scavare nel tempo de-gli uomini, ricordi accumulati, deposi-tati e depositari della nostra storia edora legati insieme dalle ferite, dallastanchezza e dalle sofferenze incancel-labili del tempo.Perché questa mia ricerca sul passatovissuto e ora raccontato?Ho preso spunto da un ricordo di gio-ventù e ne ho approfittato per cercare:con sorpresa ho trovato che c’è sempreuna storia che va lontano; ho pensatocosì che se io l’avessi cercata l’avrei tro-vata.Una frase che rammento con senti-mento e che sentii più volte pronun-ciare da mia nonna mi invogliò ad ap-profondire quanto qui andrò a raccon-tare. Ricordo che dopo la fine dellaguerra, quando mangiavamo patate les-se calde con un poco di formaggio, lanonna prendendo in mano la patatacalda per sbucciarla, sottovoce bisbi-gliava: “te scòtet, benedèta santa patà-ta” (scotti benedetta santa patata).Questa la principale molla che ha fat-

E’ apparso in questi giorni il terzovolume della Collana quaderni di

ricerche, studi del MuseoEtnografico di Ossimo-Borno, in

Vallecamonica, intitolato “Ossimo- la patata San Carlo, storia,sperimentazione, tecniche di

produzione e altro”.L’agile volume è opera dell’amico

Gian Carlo Zerla, fondatore eattuale presidente del Museo

Etnografico Ossimo-Borno diVallecamonica, in collaborazionecon il perito agrario Marco Cuter

di Brescia. In esso viene esposta lapiù recente iniziativa del Museo: la

reintroduzione sperimentale dellacoltivazione della patata San Carlo

sull’altopiano Ossimo-Borno(prototipo di coltivazioni di altri

prodotti tipici camuni, che hannocostituito la base dell’alimentazione

contadina montana per millenni)nel contesto di un rilancio

qualitativo del territorio, anche inprospettiva turistica. Lasciamo però

volentieri la parola a Gian CarloZerla affinché con le parole della

premessa all’opera succitata ci dia ilsignificato profondo di una

iniziativa volta soprattutto a dare ilsenso di cosa viva ad un museo

etnografico. Chi ne vuole sapere dipiù si rivolga direttamente alMuseo Ossimo-Borno-ValleCamonica, via Marconi, 1 -

25050 Ossimo (Bs).

OSSIMO: la patata San Carlo

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Storia, sperimentazione, tecniche di produzione e altrodi Gian Carlo Zerla*

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Alpes Agosto 2006

to scattare la mia curiosità per ritrova-re la storia che qui racconterò: la storiadelle patate San Carlo ad Ossimo.Ho ritenuto che fossero qui esposti cer-ti documenti e argomenti che mettonoin evidenza l’attività lavorativa ed i ri-sultati ottenuti da uomini operosi, sen-za esaltazione. Uomini votati alla terra,al loro altopiano: non grossolane emo-zioni, ma di simbiosi con la terra, sim-biosi che, paradossalmente, in alcunecose sanno quasi di metamorfosi.Il mio contributo è anche il pretestoper raccontare un’esperienza vissuta aldi fuori del mio contesto lavorativo, madentro una tematica che sento viva econ un forte sentimento di riflessione,evitando, se possibile, forzature di sor-ta, soprattutto artistiche. Una genuinatestimonianza per l’essere nato n quelmondo che fu anche grande modelloetico e morale, oltre che di autonomiaalimentare, basata sulla fatica ad ognispuntare del nuovo giorno, sia che pio-

vesse o che il solleone scaldasse troppoi cervelli di chi nei campi restava cur-vo sul solco o sulle messi. Vite di uominie di stagioni che segnavano il passaredel tempo e per noi giovani facevanotesto.Ho trattato questi argomenti perché misono stati raccontati da uomini e don-ne sollecitati nel ricordare, perché tut-to non cadesse nell’oblio per sempre.Queste persone ormai, tranne poche,non sono più qui tra noi. Gesti, parole,emozioni, sentimenti sinceri, assieme astrumenti e oggetti che mi sono staticonsegnati e che ho cercato di descri-vere in queste pagine, non solo per do-cumentare un tempo passato ma per-ché, nel momento della loro morte, mihanno ispirato, come in un risveglio, eridato fiducia nella vita.Non è stato il solo coinvolgimento sen-timentale con chi mi ha raccontato ap-passionanti esperienze a portarmi a sca-vare nel capitolo delle patate San Car-

lo: sono stati racconti e documenti in-teressanti che avevo studiato da tempo.Da alcuni anni ero in possesso di docu-menti autentici che raccontano mo-menti della storia del nostro territorio,ma non avevo tutti i tasselli per rac-contare con certezza. Mai avevo avutoanche il tempo di approfondire l’argo-mento legato a queste coltivazioni ef-fettuate sul nostro altopiano.Ora mi limito a testimoniare per iscrit-to quanto ricordo e quanto mi è statoraccontato da autentici protagonisti co-me il dott. Trebbi (agronomo che oltresessant’anni fa aveva fatto le prime spe-rimentazioni di coltura per migliorare iltubero della patata San Carlo e di altrevarietà in Valle Camonica ndr) e altriche furono coinvolti in prima persona;farò il possibile per trasmetterli senza al-cuna forzatura strumentale.Per questo ho anche voluto documen-tare, coadiuvato da alcuni concittadini,l’immane fatica millenaria affrontatadai nostri antenati: questo indica la rea-lizzazione del Museo Etnografico dellaCiviltà Contadina.Oggi andiamo troppo di fretta per me-ravigliarci delle realizzazioni e delle vo-lontà portate avanti da quegli uomini equelle donne, che non serve nemmenoidentificare perché non hanno fatto al-tro che continuare ciò che avevano ere-ditato e fatto per secoli.Quelli sì erano autentici uomini dimontagna, che ereditarono non tantociò che era trascritto negli atti notari-li, bensì valori morali, assieme ad unaterra avara, aspra e ribelle, perché cosìsi presenta la natura nella nostra Valle;che poi, se dava frutto ed era generosa,si diceva che era un dono di Dio, se eraavara e ti imponeva ancora più sacrifi-ci e rinunce, dicevano ancora rasse-gnati: questa è la volontà di Dio.Uomini che dal lavoro traevano la gioiadi esserci riusciti, anche se coadiuvatida strumenti poveri ma spesso da lorostessi fabbricati, con le loro mani. Era-no riusciti a strappare a queste terre,così vicine al cielo, ma così dure, cam-pi e prati, quanto bastava per la loro so-pravvivenza tanto da fare di questo al-topiano il loro paradiso; uomini depo-sitari della sapienza: quella di cui allegenerazioni del dopoguerra non è statadata la chiave di lettura primaria, checonsiste nel sapere stare nel proprio ha-bitat senza artifici superflui.Amare queste persone che ci hannopreceduto: questo è un mio motto; ri-cordare le loro sofferenze per non di-

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Agosto 2006 Alpes 37

Una sera di settembre del 2003 Gian Car-lo Zerla, presidente del Museo Etnogra-fico Ossimo - Borno di Vallecamonica,partecipa ad un incontro promosso dalgruppo culturale “Incontri Tra - Monta-ni” per discutere della realtà alpina, nelquadro europeo, ed anche della civiltàcontadina nelle Alpi e dei suoi valoriplurisecolari da salvaguardare e valoriz-zare. In tale occasione Zerla racconta aipresenti la storia della coltivazione del-le patate che ha visto protagonisti il co-mune di Ossimo - Borno e la comunitàumana che si è dedicata a questa coltu-ra prima, durante e dopo la secondaguerra mondiale. Racconta in particola-re quanto gli risulta dai documenti sul-la patata San Carlo e cioè che essa na-sce come sperimentazione ad Ossimo esi coltiva a Borno, Prave, Santicolo, inalta Valle Camonica, ma anche a Castio-ne della Presolana. Incoraggiato dai pre-senti, approfondisce le sue ricerche e simette sulle tracce dell’agronomo dott.Trebbo Trebbi, la persona che più di ses-sant’anni fa aveva fatto le sperimenta-

zioni di coltura per mi-

gliorare il tubero della patata San Carlosul territorio di Ossimo - Borno. Zerla èfortunato: il dottor Trebbi è ancora vivoe vegeto alla bella età di 93 anni in queldi Brescia e gli fornisce volentieri docu-menti e notizie certe sulla produzione dipatate da seme, di grande importanzaper l’Italia del 1940 e per la sua popola-zione.A proposito della patata San Carlo il dot-tor Trebbi confessa a Zerla: “L’abbiamocreata, brevettata e coltivata ad Ossimo;allora io trovai uomini di parola, uominiche ci credevano in questo progetto, perprimo il Sindaco Botticchio, il parroco epoi diversi contadini, sì: contadini perchéallora i tuoi paesani erano tali”. Solleci-tato a ricordare, aggiunge: “… Ricordoche eravamo nelle vicinanze del paese anord della collina di San Carlo, seminam-mo in primavera, poi ad ottobre arammoper la raccolta; in quei campi vidi usciredal solco più patate che terra: patate gros-se, ovo-tondeggianti -, con buccia ruvidama sane e belle grosse, tuberi a pastabianca, che non presentavano che po-chissimi difetti dovuti a parassiti. Insom-ma, un bel prodotto, una grossa soddi-

sfazione per tutti, anzi festeggiammocon un fiasco di vino, cheun signore ordinò ad un ra-gazzino di andare all’osteriaa comperare e io dissi: oggipago io. Ero molto contentodel risultato, eravamo tuttiquasi storditi dall’emozione,quei tuberi erano tanto pane”.Zerla insiste per sapere come equando diedero il nome a queltubero che sapeva essere venu-to dall’America ed essere statoseminato ad Ossimo con la sigla“America - B. 70 - 5”, come do-cumentato sul Gazzettino Agrico-lo in suo possesso.“Il nome glielo dico io dove lo ab-biamo preso - soggiunge il dottorTrebbi - insieme guardammo la chie-setta su una collina, era la chiesa diSan Carlo. Uno dei presenti allora sug-gerì: la potremmo chiamare PatataSan Carlo. Brindammo alla soluzionedel nome, nessuno ebbe da obiettaresulla scelta del nome di quel tuberoche selezionammo e in seguito speri-mentammo per più di dieci anni anchealtrove, nella stessa Valle Camonica e inVal Seriana”.E’ nel febbraio del 2004 che il Museo Et-nografico di Ossimo - Borno formula unaproposta promozionale della coltivazionee riqualificazione della patata San Carloe inizia a raccogliere le adesioni di chivuole fare la sperimentazione sul campo.L’iniziativa del Museo, coronata da vivosuccesso, è oggi una bella realtà.

menticare, perché erano la comunitàtutta e questo mio contributo ci deveaiutare a ricordarli nella loro realtà og-gettiva. Una memoria che può servireanche per reinventare senza depredareil nostro territorio, che ci appartieneper diritto ereditario, nella consapevo-lezza di dover operare scelte intelligen-ti, nella tradizione ereditata dalla co-munità tutta. Niente di nostalgico, maun’analisi storico-etnografica-antropo-logica per migliorare il futuro e salvareil patrimonio ambientale, farne unafonte di occupazione e realizzo.

(1) Le Pietre degli Dei,Menhir istoriati e legatial territorio, alle re-centi scoperte preisto-riche esposte al Cen-tro San Agostino aBergamo Alta, pub-blicate dalla stampae studiosi con questo titolonel marzo del 1994.

* Presidente del Museo Etnografico Ossimo-Borno

Già parecchi anni fa, pro-prio per non dimentica-re quanto ricordavo equanto mi era stato rac-contato, avevo scrittoun testo sulla coltiva-zione della patata SanCarlo ad Ossimo: nonl’avevo mai stampa-to, perché incomple-to nella documenta-zione; ora mi sem-bra sia arrivato ilmomento giusto.

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Vi siete mai chiesti quale viapercorra una goccia di mie-le dall’alveare al supermer-cato?

Se pensate ad orsi che infilano zampenel cavo degli alberi per poi versare ilmiele direttamente nei vasetti, beh, al-lora siete fuori strada e, detto tra noi, èmeglio che continuiate a leggere!Bando allo scherzo, la smielatura èun’operazione complessa, durante laquale è necessaria anche molta atten-zione. Lo scorso anno, in compagnia di duemiei amici apicoltori, ho seguito diret-tamente le operazioni della smielaturaestiva (dalla raccolta dei favi con lecelle del miele, alla loro centrifugazio-ne, fino all’invasettamento finale) equi di seguito ve ne illustrerò i vari pas-saggi.

1. La vestizione

Avvicinandomi agli alveari devo pren-dere delle adeguate precauzioni: una tu-ta integrale con griglia a protezione delviso e un paio di guanti sono l’occor-rente.Così vestito dovrei sentirmi sicuro, maappena le api iniziano a ronzarmitutt’attorno sono preda di mille paure.La più ricorrente? Eh, che diamine, chequalche ape mi punga!

2. Diffusione del fumo

Sebbene gli apicoltori siano esperti emi abbiano garantito circa la totale af-fidabilità delle tute, dentro di sè cosìconvinti non devono esserlo. Altri-menti non mi spiegherei perchè michiedano con insistenza, durante tuttoil tempo trascorso vicino all’alveare, didiffondere del fumo da un’appositapompetta. E’ questo il mio ruolo ed è importante,perchè il fumo intontisce le api, ne ri-duce i movimenti e l’aggressività, per-mettendo di lavorare con più sicurezza.

3. Apertura degli alveari

L’alveare o arnia può essere immagina-to come una grande casa, meglio forsecome un enorme palazzo, in grado diospitare circa diecimila api. Ogni al-veare ha un ingresso, un atrio e un tet-to come qualsiasi casa, ma i suoi pianisono posti verticalmente. All’apicolto-re, che vuole prelevare il miele, non re-

sta che scoperchiare l’arnia ed estrarreuno ad uno i favi, cioè i piani dell’edi-ficio.Una piccola spazzola è utile per allon-tanare le api ancora posate sui favi, pri-ma di riporli in una cassa, per poterlitrasportare, senza inconvenienti fan-tozziani, in un locale chiuso per la la-vorazione.

4. Apertura delle celle e centrifugazione

Con il “furto” dei favi si conclude laprima fase della smielatura, quella dicampo. Ora inizia quella di laboratorio,che è più sicura ma anche più noiosa.Infatti dapprima bisogna rimuovere ilduro tappo di cera che chiude ogni cel-la del favo: si tratta di una sorta di sigillodi garanzia che l’ape mette al riempi-mento della cella. L’operazione è sem-plice e realizzabile con un coltello, maoccorre prestare molta attenzione, per-chè le celle che rimarranno chiuse con-serveranno il miele anche durante laforte centrifugazione dei favi!Dopo aver tolto la cera, i favi sono mes-si in una grande centrifuga e, una voltamessa in azione, il suo movimento pro-voca la fuoriuscita del miele dalle celle,che dalla parete della centrifuga scorrepoi verso il basso in un contenitore.

5. Sedimentazione e invasettamento

Il miele prelevato dal centrifugatore èfiltrato e lasciato sedimentare in un con-tenitore di acciaio per liberarlo da fram-menti di cera e da piccole bolle d’ariaformatesi durante la centrifugazione.Dopo quaranta giorni, il “nostro”mieleè pronto per essere invasettato.

LA SMIELATURA

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LA SMIELATURAdi Fabio Bordoni

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La Guida alle Aziende Vitivinico-le è nata dall’esperienza matura-ta dai suoi ideatori, Carlo Rava-nello e Cinzia Tosetti, in anni di

lavoro svolto nell’ambito delle aziendeche operano in campo vitivinicolo.La guida si propone di offrire ai touroperators ed ai turisti del vino una pa-noramica, la più ampia possibile, sulleaziende vitivinicole italiane, interpre-tandole non tanto secondo i classicimetri di giudizio sui vini prodotti, maattraverso una serie di parametri cheportano alla definizione di valori nu-merici la cui somma conduce al valorecomplessivo dell’azienda stessa.Gli autori hanno tenuto conto dell’am-biente in cui l’azienda vitivinicola è in-serita, della sua storia, della sua presen-za sul territorio, degli impianti e dellestrutture, della sua capacità di acco-glienza, del management, dei rapporticon la clientela, della volontà di co-municazione e, naturalmente della qua-lità dei suoi prodotti.Il progetto editoriale de “Le Dimore diBacco” come si evince dal titolo stesso,intende in definitiva dare un contribu-to alle imprese che sono in una faseevolutiva andando oltre al concetto chela qualità del vino è l’unico parametrodi valutazione e che si sono rese contoche il futuro della viniviticultura devevedere coinvolto anche il turismo e tut-to quello che lo circonda.Visto il forte incremento del turismoenogastronomico è quanto mai oppor-tuna un’opera di questo tipo che è qua-si uno strumento di servizio per i touroperators affinchè possano inserire leaziende vitivinicole nelle loro offerteturistiche, rispondendo ad una doman-da sempre più esigente, e offrendo alturista le opportune indicazioni per vi-

sitare le cantine più interessanti.Tra le altre, ventisette sono solo le can-tine lombarde prese in considerazione emolte sono valtellinesi. Visto come so-no state trattate le cantine a me ben no-te, non posso dubitare che la analisi fat-ta da Cinzia Tosetti e da Carlo Rava-nello è scrupolosa ed onesta.Vale la pena curiosare tra le pagine dellibro che per altro è ricco di illustrazio-ni e di indicazioni.

Pier Luigi Tremonti

LE DIMORE DI BACCOdi Cinzia Tosetti e Carlo RavanelloBacchetta EditoreAlbenga

Le Dimore di Bacco

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Uno strumento moderno e coraggioso

per meglio conoscere il mondo discreto delle “sentinelle

del territorio”

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Il lungomare di Sciacca, sulla costaoccidentale della Sicilia, è di unastraordinaria bellezza. Guardando-lo viene alla mente la frase che

Paolo Borsellino, nella finction televi-siva dell’autunno 2004, pronuncia par-lando dell’isola. “Una terra meraviglio-sa ma disgraziata”. Così la definisce ilgiudice assassinato da Cosa Nostra il19 luglio 1992. Andava bene perquell’epoca in cui la mafia non usavamezze misure. L’uccisione di Borsellino era stata infattidi poco preceduta da quella di Giovan-ni Falcone, ma era ancora più azzecca-ta quando si riferiva al periodo dell’im-mediato dopoguerra quando era in attoil tentativo separatista, spalleggiato inqualche modo dagli americani e dallastessa mafia. Per giunta erano anche glianni in cui in Sicilia finiva per semprel’epoca dei feudi; le masse contadine dasecoli sfruttate, reclamavano la loro giu-sta dignità anche e soprattutto econo-mica. Una rivoluzione, insomma, cheinquietava i proprietari terrieri e la clas-

se politica che li rappresentava soprat-tutto dopo il successo elettorale delblocco del Popolo alle elezioni regionalidel 20 aprile del ’47. A Sciacca lo scor-so anno fu allestita una mostra sullalotta alla mafia anche in occasione del58° anniversario dell’assassinio di Ac-cursio Miraglia avvenuta il 4 gennaiodel ’47. Noto e combattivo sindacalista,Miraglia si era messo a capo dei conta-dini che avevano ottenuto, con unalegge del governo, l’autorizzazione adoccupare le terre incolte purchè si co-stituissero in cooperative. Ma i pro-prietari terrieri non si arresero e arma-rono i “picciotti”, i picciotti che propriodavanti a casa sua freddarono il sinda-calista. Il figlio di Miraglia, Nico, spie-ga: “l’uccisione di mio padre era un an-ticipo di quello che sarebbe successoquattro mesi dopo a Portella delle Gi-nestre, un progetto pianificato con lu-cida spietatezza anche al fine di far ri-cadere la colpa su altri. Gli autoridell’omicidio furono, alla fine, assolti enon si conobbero mai i nomi dei man-

Salvatore Giuliano, una storia da riscriveredi Luciano Scarzello

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La storia del banditoSalvatore Giuliano è ancoraviva nell’immaginariocollettivo. GiuseppeCasarrubea, figlio di un notosindacalista assassinato dallamafia nel 1947, ha chiesto lariapertura del celebreprocesso di Viterbo dove icomponenti la banda delfuorilegge di Monteleprevennero condannati per lastrage di contadini ebraccianti di Portella delleGinestre avvenuta il 1°maggio dello stesso anno.Casarrubea, che ha inviatola richiesta alla magistraturadi Palermo, sostiene che iveri autori e organizzatoridella carneficina furono altri.Una vicenda dovedelinquenza comune ecoperture politichesuscitarono per molti anni lacuriosità e l’interesse dimilioni degli italiani. E dovela sinistra non sempre, però,manifestò ugualeaccoramento. Il capitolo, chesembrava chiuso, tornad’attualità. Il nostrocollaboratore LucianoScarzello si è recato in Siciliae, attraverso le testimonianzeraccolte, ha redatto questoreportage che “Alpes”propone ai suoi lettori.

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danti”. La Sicilia è per davvero una ter-ra meravigliosa come disse Borsellino.Aggiungeremmo anche suggestiva perla sua storia e cultura che hanno la-sciato vistose tracce ad ogni angolo. E’suggestiva anche sinistramente speciequando, sull’autostrada che da PuntaRaisi conduce nel cuore dell’isola, si co-steggiano le montagne che appaionominacciose come quelle di Montelepre,dove “Turiddu” aveva iniziato, ucci-dendo un carabiniere, la sua carriera dibandito. Poco distante a Portella, nel-la piana degli Albanesi vicino a Paler-mo, il 1° maggio si riunirono circa 3.000contadini e braccianti fatti conveniredal partito comunista, ma all’improv-viso una raffica di fucilate lasciò a ter-ra 11 morti e una trentina di feriti. Lanotizia rimbalzò a Roma, e stranamen-te fu subito trovato il colpevole. AllaCamera il giorno successivo il ministrodell’Interno Mario Scelba annunciòche la strage era opera del bandito Sal-vatore Giuliano e dei suoi complici. Laversione ad alcuni apparve subito “de-viata”, una parola che ricorrerà spessoanche negli anni ’70 e ’80 al tempo del-le stragi alla Banca Nazionale dell’Agri-coltura di Milano, sui treni ed alla sta-zione di Bologna.Poi avvennero altri fatti strani. Giulia-no, testimone scomodo di quanto eraavvenuto, fu ucciso da un capitano deicarabinieri tre anni dopo a Castelve-trano mentre stava dormendo (anche sela responsabilità era stata attribuita alsuo luogotenente Gaspare Pisciotta, as-sassinato a sua volta nel carcere di Vi-terbo) e al processo, svoltosi nella cittàlaziale, l’intera banda di “Turiddu” fucondannata per la strage del ’47.Ancora oggi, se si consultano su inter-net i siti del bandito di Montelepre, silegge che fu lui l’autore materiale diquegli assassinii, ma altri la pensano di-versamente. La tesi che Giuliano fossestato indicato come il capro espiatoriodi quei fatti viene ormai sollevata datempo ma ora sono emerse importantinovità. Alla Procura della Repubblicadi Palermo, il professor Giuseppe Ca-sarrubea di Partinico, figlio del sinda-calista caduto sotto i colpi della luparail 22 giugno sempre del ’47, al terminedi una serie di ricerche ha chiesto, qual-che tempo fa, la riapertura del proces-

so indicando come responsabile dellastrage di Portella un provocatore fasci-sta legato ai servizi segreti americanidel tempo (il Sis), Salvatore Ferreri. Inuna dichiarazione rilasciata rencente-mente ad un settimanale, Piero Grassoex procuratore capo a Palermo (ora pro-curatore generale antimafia) ha dimo-strato disponibilità a rivedere le cartedel processo ora in mano ai magistratidel palazzo di piazza Vittorio EmanueleOrlando. Nell’attesa, andiamo avantinella nostra storia.Ferreri, chi è costui, viene la voglia dichiedersi dal momento che il suo co-gnome paragonato a quello di Giulianonon dice nulla. In realtà l’illustre (si faper dire) sconosciuto, in base alla do-cumentazione raccolta da Casarrubea,era un personaggio noto all’epoca. Unrapporto del controspionaggio italianolo indicava come capo di una banda difascisti che operava vicino a Roma eaveva legami con Franco Martina, ma-resciallo della Guardia nazionale Re-pubblicana (Salò).“Frà Diavolo”, così era anche chiama-to Ferreri, e il soprannome evoca quel-lo del capo delle bande di briganti chealla fine del ‘700 partendo dalla Cala-bria, mossero guerra al servizio dei Bor-boni contro la repubblica giacobina diNapoli, era un ergastolano in libertà,confidente del commissario Ettore Mes-sana, ispettore capo della polizia in Si-cilia e indicato anche come un altroche coprì i molti misfatti dell’epoca.Proprio da Messana, Ferreri fu infiltra-to nella banda di Giuliano. “Il giornodella strage a Portella - spiega Casarru-bea - Giuliano aveva avuto l’ordine diuccidere soltanto Girolamo Li Causi,capo dei comunisti, e di disperdere lafolla radunata nella piana”. Dovettesembrare una scena da film western.Giuliano scese dalla montagna e ai pri-mi spari contadini e braccianti comin-ciarono a fuggire. Ma, secondo la rico-struzione di Casarrubea, all’improvvisoirruppe Salvatore Ferreri che, insieme aifratelli Pianello, sparò ad altezza d’uo-mo seminando morte. Da quel mo-mento “Frà Diavolo” divenne un testi-mone scomodo e, guarda caso, qualchetempo dopo fu ucciso ad Alcamo insie-me al padre ed allo zio in un conflitto afuoco con i carabinieri. Questa la nuo-

va lettura dei fatti di Portella è suppor-tata da un elemento importante: dalmomento che non furono mai eseguiteperizie medico-legali, la “Associazionenon solo Portella” era riuscita a stabi-lire che nei corpi dei morti c’erano bos-soli di mitra Beretta calibro 9 in dota-zione all’esercito americano e che era-no in possesso anche di Ferreri e deisuoi complici.“C’era un legame evidente - aggiungeCasarrubea - tra il bandito e gli am-bienti eversivi di destra, a loro voltecollegati con i servizi segreti americani,proprio nel periodo in cui anche il Va-ticano invocava gli USA a continuarea restare nell’isola”. Poi la novità piùimportante: “Abbiamo scoperto cheFerreri veniva spesso, indisturbato, inuna villa del nord Italia il cui proprie-tario, ancora vivo, era noto per le suesimpatie nazi-fasciste ed era solito eser-citarsi a sparare”.Tra l’omicidio di Miraglia, la strage diPortella e l’assassinio di Giuseppe Ca-sarrubea (aveva lo stesso nome del fi-glio) di cui pure non furono scoperti imandanti, esiste quindi - a parere deinostri intervistati - una tragica linea dicontinuità, ma da questa nuova rico-struzione della vicenda il celebre ban-dito di Montelepre riemerge sottoun’altra luce. “Pur essendo un fuorileg-ge ed un anticomunista (in una letteradel 1947 indirizzata al presidente ame-ricano Truman si dichiara a favoredell’annessione della Sicilia agli USA,a loro volta baluardo contro il comu-nismo sovietico. n.d.r.) - terminanoCasarrubea e Nico Miraglia - Giulianonon avrebbe mai sparato su gente comelui. Pur essendo un uomo intelligente silasciò usare per raccogliere voti per ladestra nelle elezioni del ’48. Quandonon servì più fu tolto di mezzo”.Obiettiamo: dal momento che “Turid-du” e Ferreri erano due delinquenti co-muni, che bisogno c’era di interscam-biare i ruoli? “Giuliano - risponde - èstato sicuramente un simpatizzante de-gli americani e dei progetti separatistima, cosa ben più grave, Ferreri era uninfiltrato del capo della polizia nell’Iso-la. Girava con un tesserino intestato aSalvo Rossi, autista di Messana, e nes-suno gli contestò mai nulla”.

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l’ammirazione della popolazione per lacittà lagunare, con la quale da almenodue secoli erano stati stretti vantaggiosi

patti commerciali e proficuerelazioni artistiche. Sullascia di una consolidata re-te di rapporti economici eculturali, alcuni fra i mag-giori artisti veneziani tra-

sferirono temporanea-mente le loro botteghe aFermo, consapevoli ditrovare anche nella ric-ca e colta zona notevo-li opportunità di lavo-ro. Jacobello del Fiore,Carlo e Vittore Crivelli,e infine Lorenzo Lotto,hanno così lasciato nelterritorio dei capolavoriche avrebbero potuto di-pingere anche per le piùimportanti basiliche diVenezia. Fra le opereimportanti che vedia-mo qui, si citerà, attri-

buita a Paolo Venezia-no, una “Madonna col Bambino”, tem-pera su tavola cuspidata, che sembra es-sere ricomparsa dal nulla verso la metàdegli anni sessanta, quando venne re-staurata e debitamente illustrata nel ca-talogo di restauri annuali della Soprin-tendenza di Urbino. Jacobello del Fioreè presente con sei delle otto tavoletteche narrano la storia della vita di SantaLucia, le altre due essendo esposte a Fa-briano, composizioni vivaci e pittore-sche, che illustrano con ricchi colori leperipezie dell’esistenza della Santa. DiCarlo Crivelli è esposta la parte superioredel magnifico Trittico che si trova aMontefiore dell’Aso nella chiesa di san-ta Lucia, e che raffigura con rara maestriavari personaggi di santi a mezzo busto ointeri. La mostra prosegue per una pic-cola parte a Sant’Elpidio a Mare, ma sitratta di una parte importante, che ci dàl’occasione di vedere nella piccola Pi-nacoteca della cittadina due grandiosi

L’aquila e il leone. L’arte veneta a Fermo, Sant’Elpidio a Mare e nel Fermano.Jacobello, i Crivelli e Lotto.Palazzo dei Priori di Fermo e Pinacote-ca Civica di Sant’Elpidio a Mare.Fino al 17 settembre 2006.Aperto tutti i giorni, lunedì compreso.Orari: 10-13/16-20.Dal 10 al 20 agosto apertura serale ore21-23. Catalogo Marsilio.

Nel Quattrocento, la RegioneMarche vedrà nei suoi diver-si aspetti un’effervescenza ec-cezionale di gio-

vani artisti, che, pur prati-cando già un’arte rinasci-mentale, si attardano ancoracon nostalgia alle preziose ta-vole d’oro, fiorenti all’epo-ca, in queste zonedell’Italia centrale, chegià si preparano all’arrivodelle nuove, elegantissi-me formule, del “Goticointernazionale”. Facendoseguito alla sontuosa espo-sizione di Gentile da Fa-briano, di cui Vi abbiamoparlato nel numero prece-dente, questa di Fermo,più piccola, è però ugual-mente interessante, ancheperché ci confronta diret-tamente a due fratelli pit-tori, uno celeberrimo,Carlo Crivelli, di cui leopere di una precisione edi una tonalità smagliante sono cono-sciute nel mondo intero, contrariamen-te al secondo, Vittore, di cui qui vedia-mo alcuni polittici stupendi, ma che eb-be peraltro una carriera molto meno co-nosciuta, e quindi in un certo senso an-cora tutta da scoprire. Quanto al titolo,che può risultare un po’ enigmatico,dell’esposizione, diremo subito che il leo-ne è il simbolo della Serenissima Re-pubblica di Venezia, mentre l’aquila rap-presenta il simbolo della terra fermana.Fermo, che già si avvia a diventare pro-vincia, è una cittadina medievale di gran-de fascino, e la rassegna ha luogo neglispazi perfettamente adattati alle necessitàmoderne, di un antico palazzo detto deiPriori, che fa bella mostra di sé in una del-le piazze principali della città. Questamostra, seducente viaggio nel tempo, ri-costruisce oggi l’antica alleanza fra Ve-nezia e Fermo, esponendo un numeroconsiderevole di miniature, dipinti, scul-

NELLE MARCHE NEL FERMANO

Una preziosa mostra, “L’aquila e il leone”L’arte veneta a Fermo, Sant’Elpidio a Mare e nel Fermano:

Jacobello, i Crivelli e Lottodi Donatella Micault

ture, oreficerie, mappe, libri antichi. Sitratta di un viaggio affascinante attra-verso una cinquantina di opere d’arte,alcune delle quali mai esposte finora alpubblico, provenienti da chiese, musei ecollezioni private. Un originale e sofisti-cato allestimento guida il visitatore at-traverso la laguna veneta e tutto l’Adria-tico. L’opulenza di Venezia e Bisanzio ap-prodava dunque nelle austere aule goti-che delle chiese picene, rafforzando

Vittore Crivelli, Polittico, tempera su tavola.

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polittici di Vittore Crivelli, di cui si co-noscono ben poche opere attribuite concertezza. La prima è un Polittico conl’incoronazione della Vergine attornia-ta da vari Santi, uno dei pochi politticidi Vittore Crivelli sfuggiti alla disper-sione, per le soppressioni o requisizioniottocentesche. Il secondo è un trittico,

che si trova in modo permanente comeil precedente in questa sede, che rappre-senta la Visitazione della Vergine aSant’Elisabetta e altri Santi, e in ordinesuperiore la Crocifissione. Ultimo deigioielli esposti a Fermo, la grande teladel veneziano Lorenzo Lotto, che do-veva finire i suoi giorni a Loreto, il-lustrante la Madonna col Bambino ei santi Andrea e Gerolamo, provenien-te da una collezione privata di Roma, do-po una serie di avventure tumultuose frale quali il nascondiglio dell’opera te-mendo le requisizioni napoleoniche tra-mite l’influente cardi-nale Tommaso, lavoromonumentale di250x141 cm. Termi-neremo questo viaggioincantato con il Reli-quiario della Sacra Spi-na (1405), in argentofuso, sbalzato, cesellato,inciso e dorato, cristal-lo di rocca molato esmalti traslucidi, prove-niente dalla chiesaSant’Agostino di Fer-mo.

Dall’alto e da sinistra a destra:Carlo Crivelli, Trittico, tempera su tavola.Paolo Veneziano, Madonna col Bambino,tempera su tavola.Jacobello del Fiore, Storia della vita di Santa Lucia.Carlo Crivelli, Trittico, tempera su tavola.

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6. UN TUFFO NEL PASSATOI monti di Grosotto: Grosotto-San Martino-Roncale-Pozza-Prada

Il viaggiatore frettoloso, l’escursio-nista che punta rapido ai rifugi inalta quota difficilmente li visiterà.

Difficilmente ne conoscerà persino l’esi-stenza.Ci riferiamo ad una miriade di villaggie borghi, arroccati sulle montagne, ag-grappati ai pendii, oggi soffocati daiboschi, che - un tempo - furono attivie abitati in permanenza.Costituivano ai tempi una parte nonpiccola dei residenti nei rispettivi co-muni.Oggi non è più così: molti sono ab-bandonati, qua e là rovine, altri si stan-no lentamente trasformando in resi-denze di vacanza, in genere per gli an-tichi proprietari che oramai sono “di-scesi a valle” e soggiornano nei centriabitati più comodi, attrezzati per unavita moderna, vicini ai luoghi di lavo-ro. Lavoro che è ben diverso dalle an-tiche, secolari occupazioni agricole,quando questi borghi non erano attor-niati da fitti boschi ma da campi ed,ove possibile, da vigneti. E’ insomma unmondo che muore, almeno per come siera inizialmente sviluppato. Ragione dipiù per visitarlo, prima che perda defi-nitivamente le sue caratteristiche ori-ginarie.Durata da 1/4 a 1/2 giornataConviene partire direttamente a piedidal centro di Grosotto (600 m.), e sa-lire in breve alla parrocchiale. Di qui sicontinua, per la strada che collega Gro-sotto con la Val Grosina, sino ad unampio tornante con bivio, nei pressi diun boschetto a quota 650 circa. A si-nistra una vecchia mulattiera acciotto-lata va a superare il torrente Arlate eraggiunge il grosso borgo di S. Martino(735 m), oggi sporadicamente occu-pato ma un tempo sede di una laborio-sa comunità. La chiesa, dedicata a S.Martino e Isidoro contadino, risale al1641; il villaggio è spartito da una pic-cola e pittoresca forra nei cui pressi èun caratteristico lavatoio. Poco oltre sigiunge ad un tornante della strada cheda Grosotto sale a Roncale e che, di re-cente, è stata prolungata assai più amonte. La si può evidentemente segui-re ma più consigliabile è utilizzare la

segue a pagina 46

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Antichi percorsi del Terziere di Sopra“Sulle orme di soldati e pellegrini,

mercanti e montanari, contrabbandieri ed alpinisti”

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“Eliana e Nemo Canetta,milanesi trapiantati inValtellina, sono oggi unadelle più affiatate ed atti-

ve coppie italiane dell’escursionismo edella cultura alpina”.Così inizia la loro biografia, che chiudeil volume, e non può essere che vero sequesto bel libro rappresenta la loro 45ªfatica.Ma forse di fatica non si tratta, se siascolta la loro narrazione di come si so-no svolte le vicende. Dopo 30 anni dipromozione del motto “camminare perconoscere”, da loro sostenuto sin daglianni ottanta, avendo bencompreso chenon era più suffi-ciente il semplicecamminare comesalutare esercizio fi-sico, ma che gliescursionisti aveva-no bisogno di arric-chire “l’andar permonti e valli” con laconoscenza degliaspetti storici, etno-grafici, naturalisticidell’ambiente, chepotevano dare unospessore e un valoreaggiunto, si sono tro-vati subito pronti edentusiasti alla propostadella Comunità Mon-tana di Tirano di stu-diare il suo territorio.Con curiosità, a menteed occhi aperti da unpunto di vista escursio-nistico culturale, in dueanni di cammino ma so-prattutto di recuperi diconoscenze e di ricerchehanno realizzato questovolume, che vuole essereuna proposta a chi amascarpinare ma anche a chisolo vuole capire e cono-scere un territorio che hatanto da dire e da dare. Ba-

sta infatti una veloce sfogliata delle pa-gine del piacevole volume, seguendo irichiami in colore guida per trovare tor-ri, castelli, forti, strade militari, santel-le, chiese, xenodochi, incisioni rupe-stri ma anche ricordi e richiami di unpassato da poco sfumato col grano sa-raceno o la cultura del castagno.Insomma un volume da tenere sì sugliscaffali di casa, ma anche da consulta-re per preparare la prossima escursione.Nella pagina a fiano l’itinerario n.° 6

Eliana e Nemo CanettaStefanoni Leccomaggio 2006Comunità Montana Valtellina di TiranoPagg. 18020 percorsi con 18 varianti20 monografie culturalinumerose foto a colori20 cartine itinerarie

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vecchia mulattiera, a tratti un po’ in-vasa dalla vegetazione, che risale di-rettamente a Roncale (927 m), altroborgo un tempo permanentemente abi-tato, anticipato dalla vasta costruzio-ne della chiesa della Santa Croce del1597. Attraversiamo ora il villaggio, incui si alternano strutture quasi in rovi-na con altre risistemate di recente, ver-so nord; stiamo seguendo l’antica mu-lattiera che purtroppo la costruzionedella nuova carrozzabile ha condanna-to ad un graduale abbandono.Nei pressi di una valletta, siamo ad unbivio. A destra cala un’altra mulattierache, nel bosco di castagni per Ca’ del-la Cuna, scendeva a S. Martino. Noi pro-seguiamo invece verso monte, attra-versando la nuova stradella forestale epassando per alcuni grumi di case. Lasalita vale certo la fatica per la grandesuggestione, i resti di cappelle, gli af-freschi ed un paio di lavatoi in pietrache, per le loro dimensioni, ricordano imassi avelli di preistorica memoria. Intal modo guadagniamo ripidamentePozza (1227 m) e Prada (1265 m), pa-noramico maggengo, ormai nel fitto diboschi, che gradualmente stanno rioc-cupando gli antichi terrazzi, ricavaticon grande sforzo dall’uomo per otte-nerne colture. Sopra le case di Prada èla sterrata che imbocchiamo verso val-le a sinistra e che, con ampi zig zag, ciriporta a Roncale e di qui a S. Martinoe Grosotto.

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Libro Verde della Solidarietàtesto di Giovanni Lugaresi - foto di Marino Amonini

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Non suoni esagerata, o fuoriluogo, l’evocazione manzo-niana delle parole di fra’Galdino alla cerca delle no-

ci: “noi siamo come il mare che riceveacqua dai fiumi e poi ai fiumi la ridi-stribuisce” calza perfettamente alla As-sociazione Nazionale Alpini, la quale,quando chiede, non lo fa per se stessa,ma per distribuire, appunto, a chi habisogno, quello che ha ricevuto.E dunque, quando qualsiasi cittadino,famiglia, gruppo, associazione, dà qual-cosa agli Alpini, sa in partenza che l’of-ferta va a buon fine.Le Penne Nere, ancora (e qui va muta-to il detto evangelico non sappia la ma-no sinistra quel che fa la destra), ama-no poco parlare di sé, di quel che fan-no a favore del prossimo bisognoso; lofanno e basta, e non lo devono andarea dire in giro.Ma se ciò, da un punto di vista perso-nale, è da ammirare, a livello più gene-rale vogliamo dire, sociale e dell’infor-mazione, è sbagliato. Perché in un pae-se di ciarlatani e di parolai che dicono,dicono, e poco fanno, è bene che si sap-

pia che c’è gente che parole come “so-lidarietà” e come “volontariato” (la se-conda, diretta conseguenza della pri-ma) tramutano in fatti concreti, di-remmo, vissuti.Ecco, allora che bene ha fatto l’Ana aredigere il “Libro Verde della Solida-rietà” degli Alpini. Con questo, riferi-to al 2005, siamo al quinto anno, e sia-mo a delle cifre da capogiro. Si pensiche nel corso del 2005 le ore lavoratedei volontari dell’Ana e lavorate gra-tuitamente (s’intende) sono state1.321.124, mentre le somme elargitesono state 4.589.989, 45 Euro! Aveteletto bene.Questi totali non sono poi i totali com-plessivi, cioè di tutti i gruppi e di tuttele sezioni Ana, perché non pochi nonhanno mandato il rendiconto della lo-ro solidarietà, del loro volontariato.Vediamo, comunque, innanzitutto, do-po avere fornito i “totali” della Solida-rietà Alpina, la forza numerica dell’as-sociazione delle Penne Nere. A tutto il2005, i soci erano 384.955, dei quali319.211 “ordinari”, cioè uomini chehanno fatto la naja nel Corpo degli Al-

pini, e 65.144 soci aggregati, detti an-che “amici degli Alpini”, vale a direpersone che il servizio militare l’annofatto in altre armi o non l’hanno fatto.Questa forza è distribuita in 4.277 grup-pi, dei quali 4.173 in Italia e 104all’estero.Una parola va qui spesa sugli alpiniall’estero, per spiegare, appunto, chi so-no. Sono quegli italiani che dopo ave-re prestato il servizio militare nelle trup-pe alpine in Patria, furono costretti aprendere la via dell’emigrazione perguadagnarsi un pane. Ma anche all’este-ro lo spirito alpino non l’hanno perso esi sono trovati, costituiti in gruppi e insezioni: dall’Australia al Canada,dall’Argentina al Sudafrica, all’Europa,ovviamente. Un mitico presidente na-zionale dell’Ana, Leonardo Caprioli, libattezzò “alpini della seconda naja”,proprio per questa loro sorte, a darel’idea di un doppio sacrificio. E anchequeste Penne Nere lontane dalla Patriamantengono vincoli solidi con la sedecentrale dell’associazione, e la loro par-te, sul fronte della solidarietà, la recita-no anche loro.

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48 Alpes Agosto 2006

Ciò spiegato, eccoci al “Libro verde”,nel quale le parole sono poche, perchéa parlare sono le cifre. Ma fra le pocheparole, vanno sottolineate quelle delpresidente nazionale Corrado Perona,per il quale leggere questi numeri e que-ste pagine che racchiudono tutto ilMondo degli Alpini, si tira spontanea-mente un sospiro di sollievo! Ancora unanno di lavoro, di braccia tese e maniaperte, di concretezza: un anno di soli-darietà, un anno speso per gli altri, pertutti coloro la cui vita non è bastata perraccontare. Perona non vuole tesserel’elogio degli Alpini, ma “mostrare chegli Alpini ci sono per l’Italia e per ilmondo intero; ci sono per coloro chehanno bisogno, per chi, vicino o lon-tano, soffre”.Alle cifre citate: di ore lavorative com-piute, di Euro elargiti, va aggiunto ilcontributo straordinario dato dall’Anaalla Giornata nazionale della CollettaAlimentare, che ha visto impegnati inprima persona oltre centomila volontarialpini. E noi ben sappiamo che quandoad un banco, o sotto una tenda, o ac-canto a un camper, c’è qualcuno cheporta il cappello on la penna, la genteva e dà molto volentieri.Vale la pena, a questo punto, dare qual-che dato tratto da “I numeri della soli-darietà”. Cominciando da una delle se-zioni più numerose, quella di Bergamo.Ebbene le Penne Nere “de sass”, nel2005, hanno elargito 213.379 ore lavo-rative e 877.016,00 Euro. Al secondo po-sto in questa classifica della solidarietà,ecco la sezione di Brescia, con 66.897 orelavorative e 445.351,00 Euro.

Come si sa, l’ordinamento ( se così lo sipuò chiamare) delle sezioni Ana non ècorrispondente a quello provinciale na-zionale. Per esempio, Bergamo sezioneAna corrisponde a Bergamo provincia,mentre Brescia sezione Ana non corri-sponde a tutto il territorio provinciale,al momento che qui ne esistono altredue, di sezioni: Valle Camonica e Salò.Così è per Vicenza, che racchiude nelsuo territorio provinciale ben cinquesezioni: Vicenza, Asiago, Valdagno,Marostica e Bassano del Grappa. Secomplessivamente, si tratta della pro-vincia “più alpina” d’Italia, con oltre37mila iscritti, la sezione di Bassanonon arriva a diecimila. Ebbene, sul pia-no della solidarietà, le Penne Nere del

Grappa hanno dato nel 2005 ben55.354 ore lavorative e 238.737,00 Eu-ro, il che appare molto significativo.Quanto alla Valtellina, ecco Sondrio,con 37.365 ore lavorative e 164.033,00Euro, mentre Tirano (sezione ben piùpiccola) ha dato 17.591 ore lavorativee 9.840,00 Euro.Abbiamo riportato qualche cifra a dareun’idea di quel che hanno fatto le se-zioni Ana, grandi e piccole, nello scor-so anno, per sottolineare, comunque, lospirito che le ha unite e continua a unir-le tutte: dare quel che si può, come sipuò, ma tutte, con un cuore grande co-sì: il grande cuore delle Penne Nere.

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E dire che questo si dice già dei maschidi Trepalle!Tornando agli aspetti seri del Libro Ver-de non possiamo che ribadire quantoespresso già negli anni precedenti.Occorre che all’encomiabile lavoro dipala e piccone, di paioli e cavatappi siaggiungano i tre minuti terminali del“ragioniere” che faccia due conti e prov-veda a comunicarli alla segreteria dellaSezione.Se poi qualcuno obietta che è megliooperare senza informare i vertici asso-ciativi adducendo aspetti etici, fiscali odi altra natura si può ritenere che è pre-feribile che questi curino il proprio or-ticello, si levino dall’ANA e mettano ilcappello in naftalina.Gioverà alla sua serenità ed a quelli diquanti si affannano e sgobbano per as-sicurare forza e prestigio all’Associazio-ne spendendosi giornalmente con au-tentico spirito di servizio.

Marino Amonini

37.365 ore lavorate e 164.033 euro ero-gati, questi sono i consuntivi che ci ri-guardano.Sfido chiunque a dire di non aver lettogli appelli a mezzo giornale, ed i Capi-gruppo a dire di non aver ricevuto le let-tere informative che sollecitavano l’in-vio in Sezione dei semplici dati richie-sti.Eppure ben 8 (2 sono erroneamente ri-petuti) nostri Gruppi risultano pubbli-cati con un doppio zero!Gruppi inattivi? Gruppi morti, senzarespiro operativo e senza spirito solida-le?La valutazione personale, di cui mi as-sumo la piena responsabilità, dice chenon è così.Se per 3 Gruppi si può ritenere che so-no attaccati più alla canna del gas che

a quella dell’ossigeno per palesi pigrizieo menefreghismo dei loro Capigruppo,per gli altri 5 siamo convinti che sonoattivi, molto attivi, generosi e moltogenerosi.A questi è mancato il tempo o la vogliadi comunicare quanto loro fanno an-nualmente e francamente spiace vederliomessi su questa pubblicazione che èuno strumento prezioso per far cono-scere lo slancio e l’efficacia alpina.Per contro piace evidenziare un datoche impressiona: la somma erogata nel2005 dal Gruppo di Livigno-Trepalle èdi gran lunga la più generosa di tutti iGruppi a livello nazionale!Il Gruppo del piccolo Tibet rappresen-ta da solo il 52% della somma com-plessivamente erogata dalla Sezione.Un primato che si ammira e che im-mancabilmente potrà scatenare anchequalche ironia; spontaneamente vienda dire che nella zona extradoganalegli alpini sono extraterrestri, pratica-mente “fenomeni”!

Un commento va fatto circa la presenza dell’A.N.A. in Valtellina

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Prima del 1900le indicazionistradali cono-sciute erano

quelle rappresentatedalle pietre miliari,che erano risultateinadatte alle esigenzedei nuovi mezzi di tra-sporto, infatti l’avven-to della bicicletta pri-ma e dell’automobilepoi, aveva messo in lu-ce l’importanza di unasegnalazione adeguataalla velocità dei vei-coli e cioè di cartellivistosi con scritte leg-gibili da lontano. Talicartelli erano una no-vità per il pubblico eper gli organi ammini-strativi e tecnici.L’utilità dei pali indi-catori era evidente. Vierano nella campagnabivi e incroci senza in-dicazioni, lontani daogni abitazione. Il ci-clista vi si arrestavaindeciso; se aveva unacarta o una guida eraobbligato a fermarsiper consultarla; se nonne aveva, doveva fi-darsi del proprio in-tuito.Un palo indicatoreposizionato nei bivianonimi sarebbe stato di grande utilità.Gli stanziamenti per questo progettoerano cresciuti; nel 1903, quando i car-telli collocati erano più di 400, venne-ro messe a disposizione dello specialeservizio lire 25.000, di cui 10.000 da re-cuperarsi mediante la sottoscrizione deiSoci: l’offerente, col versamento di 10lire, aveva diritto al collocamento diun cartello, ma doveva lasciare al Tou-ring la decisione di stabilirne l’ubica-zione; versando invece 20 lire, potevaprecisare il luogo in cui preferiva chel’indicatore fosse posto; e per soddisfa-zione dell’offerente (fosse un privato

ovvero una ditta o un ente collettivo),il suo nome veniva scritto alla base delcartello. Ciò era molto apprezzato negliambienti del commercio e dell’indu-stria. Nel 1907 la rivista The Car ave-va rilevato che la categoria di personepiù indifferente alle segnalazioni eraquella degli agricoltori. Per essi le tar-ghe collocate ai bivi non avevano im-portanza perché tutti i loro viaggi si ri-ducevano a percorrere sempre le mede-sime strade, che conoscevano a mena-dito. Invece i cartelli indicatori eranonecessari a coloro che percorrevanograndi distanze, specialmente in un pae-

se straniero. La rivistaThe Car faceva notareche abitualmente l’agri-coltore tollerava le se-gnalazioni collocate daaltri, a meno che essenon stessero per cadere,nel qual caso le mano-metteva. Per la maggiorparte degli agricoltoril’automobilista che fa-ceva lunghi viaggi erauna persona facoltosache si divertiva, e chenon meritava gli specia-li riguardi rappresentatidalle segnalazioni stra-dali, che la salvavanodagli errori e le permet-tevano di procedere ve-locemente.L’automobilista era con-siderato come un nemi-co della gente di cam-pagna, e siccome questacredeva che i cartellierano utili solo agli au-tomobilisti, cercava didanneggiarli in tutte lemaniere. Un’altra ra-gione per la quale le se-gnalazioni di direzionenon erano ben viste eradi indole economica:l’automobilista che nonconosceva la strada eracostretto a domandaree a pagare sempre gene-rosamente le informa-

zioni che riceveva. I cartelli elimina-vano questa fonte di lucro ed i dan-neggiati si vendicavano rovinando icartelli.Era necessario che tutte le persone dibuon senso si adoperassero per proteg-gere le segnalazioni stradali, che eranoutili a tutti. I maestri nelle scuole, i pre-ti nelle chiese, le autorità e gli onesticittadini, quando potevano, avevanol’obbligo di inculcare nelle menti degliincoscienti il rispetto dei cartelli, al-meno come rispetto della roba altrui ecome segno elementare di buona edu-cazione.

I vecchi segnali stradali ...

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Fac simile dei cartelli indicatori del T.C.I. collocati sulle strade d’Italia adottati dal Ministero dei Lavori Pubblici delle Ferrovie dello Stato,

delle Provincie e dai Comuni del Regno

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Alpes Agosto 2006

Il trottatore è il più equilibrato fratutti i cavalli da competizione. Cor-re con attaccato il sulki, calesse adue ruote, oggi leggerissimo (è in le-

ga leggera). In corsa il cavallo deve so-lo trottare; non può ‘rompere’, cioè nonpuò passare dal trotto al galoppo, penala retrocessione all’ultima posizione perpoi ripartire. Fino a qualche anno fa sa-rebbe incorso in una squalifica!Il primo cavallo trottatore fu creato dalconte russo Alexei Orlov nelle sue scu-derie di Kherenov; era un cavallo mol-to forte, alto, con spiccata apertura del-le gambe, che già nel 1778 su piste interra battuta era arrivato a correre unchilometro in 1’ e 38’’!Fu il promotore di questo sport per mol-ti anni; poi in altri paesi, con incroci di-versi, crearono altre razze, come quellafrancese, incrociando il normanno conil purosangue inglese ed ottenendo ilpiù grande trottatore del mondo. Gliamericani con lo Stamdardbred, caval-lo velocissimo, diedero sangue a moltealtre razze.Nel mondo le corse al trotto superanodi numero quelle al galoppo. Esiste an-che la corsa al trotto montato, special-mente in Francia, poi ci sono le garecon gli ambiatori: il trottatore avanzacon l’anteriore destro, il posteriore si-nistro in simbiosi, e viceversa, mentrel’ambiatore porta avanti i due destri o idue sinistri.L’abbigliamento del trottatore è moltocomplesso, cominciando dalle fini-menta che correggono l’apertura dellegambe, e passando al paraocchi, cheserve per certi cavalli a non vedere afianco altri cavalli, e al chiudi orecchieper non sentire in un momento parti-colare della corsa altri rumori, per poi li-berarli nel momento cruciale della cor-sa.La ferratura del trottatore è la più com-plicata: per avere l’apertura delle gam-be al centimetro si mettono infatti deipesi di piombo adesivi sulle muragliedello zoccolo e con i ferri posteriori conil ramo esterno molto più lungo. Nellamassima spinta gli anteriori avanzano dimolto. A differenza del galoppo, dove ilfantino non può superare i 54 Kg di pe-

so, nel trotto non è così importante per-ché il peso del fantino viene distribui-to sul sulki.La più importante corsa al mondo per itrottatori è il Gran Prix d’Amerique aParigi: i più grandi trottatori del mon-do ogni anno si misurano sulla distan-za di 2600 metri.I trottatori francesi sono stati quasi sem-pre i dominatori incontrastati della cor-sa, iniziando dalla formidabile “Une demay” (uno di maggio è la data di nasci-ta dell’animale), vincitrice di tre GranPrix consecutivi, per poi passare allanon meno valida “Rochefine”, vinci-trice di due Gran Prix di seguito, fino adarrivare al più recente “Bellino II” e ad“Aurasi”, vincitore di tre Gran Prix. Negli anni 55/60 l’Italia ha avuto “Tor-

nese”, il sauro volante, il cavallo piùrappresentativo sia in Italia cheall’Estero: Tornese era meraviglioso nel-la sua azione molto efficace nei finali digara che gli permisero di vincere mol-tissime gare.Negli anni ’70 nella scuderia Orsi Man-gelli nacque un piccolo trottatore qua-si insignificante, di colore scuro, conun carattere dei più difficili mai visti,ma con delle qualità incredibili:“Delfo”. Alternando vittorie e sconfit-te disarmanti, nel ’77, dopo aver di-sputato un bellissimo Gran Prix, andòin America a disputare il campionatodel mondo assoluto. Il favorito era ilfrancese Bellino II. La gara si effettuò indue manche in notturna per fare una se-lezione tra il forte numero di parteci-

Associazione Ippofila P

TROTTATORE,CAVALLO DA CORSA

di Carlo Nobili

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Agosto 2006 Alpes 53

In Albosaggiaa pochi minuti da Sondriosi trova

L’ASSOCIAZIONE“MERIGGIO EQUITAZIONE”moderno Centro Ippicoaffiliato Fise

Si organizzano nei mesi estivi stage rivolti a ragazzi in età scolare.Per orari e costi contattare il Centro.

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a Provinciale di Sondrio

panti. Delfo era moltonervoso e il suo driverBrighenti era moltopreoccupato conoscen-done il carattere, ma ingara Delfo fu inconteni-bile, prese il largo ametà gara e vinse allagrande, battendo tutti,per la gioia mia perso-nale che ebbi l’onore diassistere all’evento e ditutti gli appassionati diquesto sport.Alla fine degli anni 90la dominatrice assolutaè stata la formidabile ca-valla americana “Moni Mecher”, do-minatrice assoluta per tre anni con-secutivi confermando l’assoluto va-lore delle femmine nel trotto. Arri-viamo infine al più grande trottato-re di tutti i tempi, cioè il nostro in-digeno Varenne, record del mondoin varie distanze e vincitore di dueGran Prix, di un campionato delmondo e terzo in un secondo cam-pionato mondiale, vittima di mano-vre scorrette degli avversari con di-verse false partenze per indurloall’errore e portarlo in ultima posi-zione. Varenne fece una rimonta in-credibile, segnò il record negli ulti-

mi 600 metri, ma tutto ciò non glibastò per rivincere il titolo mondia-le di trotto. Con Varenne gli Italia-ni tornarono all’entusiasmo dei tem-pi del più grande galoppatore di tut-ti i tempi della scuderia di FedericoTesio: “Ribot”.Varenne fu acquistato per 15 milio-ni di vecchie lire da GiampaoloMinnucci, poi suo driver; egli nonriuscì a capirne l’incredibile valore elo vendette per 120 milioni di lire adun proprietario napoletano che lofece diventare il più grande cavallodi sempre e il più ricco, con 45 mi-lioni di euro vinti.

Domenica 3 settembre 2006

IV Raduno Ippico Provinciale

II Mostra Mercato delle attrezzature

Al “Centro Turistico Sportivo Dosso del Grillo” in Val d’Arigna

Un percorso di fascino: dalle rive del fiu-me Adda al Parco delle Orobie Valtelline-si, seguendo poi il vecchio tracciato del-la decauville fino alla località Dosso delGrillo, in Val d’Arigna. Cavalieri e cavallioffriranno agli appassionati e curiosi con-venuti una seducente attrazione con sag-gi di dressage, monta western, salti agliostacoli, presentazione delle razze equi-ne nonché, per il piacere di molti, pas-seggiate in carrozza – cavallo.

Organizzazione: Associazione IppofilaProvinciale di Sondrio

Briotti in Val d’ArignaLocalità Dosso del GrilloInfo: 0342-482152/ 0342-218273

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In pochi ci credevano, in pochipensavano che la Nazionale az-zurra potesse ripercorrere il mira-colo di Spagna ’82. Invece siamo

qui a lodare le gesta di una squadra, diun gruppo che ha saputo ridare un vol-to al calcio italiano, attraversato dal-lo scandalo più grave della storia.Germania, 9 luglio 2006, Olympiasta-dion di Berlino: i nostri ragazzi arriva-no al grande appuntamento della fi-nale contro la Francia, bestia nera pernoi dall’eliminazione ai quarti deiMondiali del 1998 e dalla finale beffapersa ai tempi supplementari agli Eu-ropei del 2000.La concentrazione è alta e la voglia dientrare nella storia si mescola allagrande tensione e alla paura di perde-re. Ma il carattere non manca ed èquesto che ci permetterà di realizzareil grande sogno.Lo svantaggio iniziale per rigore dub-bio di Zinedine Zidane non fa paura,la voglia di riscatto è più forte. Un ri-scatto non soltanto sportivo, ma an-

che e soprattutto umano.Marco Materazzi ne è uno dei simboliprincipali e non a caso è proprio lui arimetterci in carreggiata e ad aprirci lavia del coraggio. Corner di Pirlo dalladestra, Marco salta, anzi sembra vola-re ed è suo l’1-1. La partita non è bel-la, le due squadre si affrontano congrande equilibrio e solo un episodiopotrebbe cambiarla. I novanta minutidi gioco si chiudono con un pareggiogiusto, anche se la Francia ci ha mes-so paura nel secondo tempo.Supplementari, le ultime energie damettere in campo. Ecco l’episodio chenon cambia la partita dal punto di vi-sta del risultato, ma che diventerà poiun primo segnale di resa da parte del-la sfortuna che ci accompagnava damolti anni.Zinedine Zidane decide di dare il pro-prio addio al calcio con un gesto in-spiegabile, difficile da comprendere eche rende tristi tutti coloro che consi-derano il pallone un’arte. Zizou ne eraun esponente doc, un artista che face-va perdere la testa a tutti i tifosi, inparticolare ai suoi connazionali fran-cesi, che ancora lo celebrano per ilMondiale vinto in casa nel 1998. E in-vece a perdere la testa è proprio lui,che lascia la sua squadra in dieci uo-

mini e toglie forse un po’ di convin-zione alla formazione transalpina.Il risultato, comunque, non cambia:la stanchezza è troppa, pure in su-

periorità numerica è difficile avere laforza per andare a segnare. Ed eccociarrivare ai calci di rigore, da sempremaledetti per noi, ma diventati bellis-simi a partire da questo 9 luglio 2006.La dea bendata decide di schierarsidalla nostra parte: è Trezeguet a sba-gliare, colui che ci aveva punito al“golden gol” nella finale dell’Europeodel 2000 colpisce la traversa, la pallaè fuori e siamo in vantaggio.Nessuno sbaglia dei nostri ragazzi: Fa-bio Grosso, che già ci aveva aperto leporte della finale con il gol segnatoall’ultimo minuto del secondo temposupplementare della semifinale con laGermania, completa il suo splendidomondiale con il tiro dal dischetto de-cisivo che ci regala quella coppa chemancava ormai da ventiquattro anni.Siamo Campioni del Mondo: questavolta bisogna scandirlo per ben quat-tro volte e la gioia è grande in tutto ilPaese, accomunato da un stesso senti-mento.Nessuno se lo aspettava, ma tutti sia-mo felici e ora ringraziamo la squadrae Marcello Lippi per averci regalatoquesto grande sogno. Speriamo, però,che sia solo l’inizio di una nuova era,nella quale il calcio non diventi argo-mento di scandali e polemiche, mauna festa, un modo per sentirci uniti,un modo per sentirci veramente orgo-gliosi di essere italiani.

CAMPIONI DEL MONDO:la bella faccia del calcio italiano

di Gianluca Lucci

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Bene è qualcosa di buono, pre-zioso, essenziale, primario. E’qualcosa che fa crescere, uni-sce, fa sentire solidali, amici,

non inganna, e perciò aiuta ed edifica.In esso si respira aria fresca di fran-chezza, che è tutt’altro che piaggeria.Bene in poche parole è qualcosa di piùche non male (pensiamo al buonismoper fare un esempio, che si radica e sidiffonde più nel presenzialismo e nelmaterialismo che non nella spiritua-lità, così come comunemente intesa).Comune è qualcosa che è esteso a tut-ti, non appartiene a qualcuno in parti-colare (si pensi a Cosa Nostra e ai suoiaffiliati, tanto per fare un esempio).Bene comune è anche qualcosa che vaben oltre lo zelo verso la cosa pubblica(la res publica), è un bene, per così di-re, personale, prezioso, che chi lo pos-siede non è poi così disposto a cederlo.La res publica e la democrazia rappre-sentano la base da cui può fiorire il ri-spetto e l’impegno per il bene comune,ma questo in sé è qualcosa che vieneprima delle istituzioni esterne, è unqualcosa che si respira e si incominciaa riconoscere già all’interno delle pro-prie mura domestiche.Esistono, però dei momenti nella storiaove “il particulare”, per dirla alla Guic-ciardini, sovrasta quello che è il benecomune (pensiamo all’incessante ordi-re di tanti tracotanti di potere atti so-lo al proprio tornaconto e ad esaltare leproprie gesta).Ma, poi, ecco che in un modo o nell’al-tro questo anelito verso l’altro, questoimpegno volto a farsi prossimo, questasolidarietà lunga, che va ben oltre ilproprio sé, si sente, si esprime e si ha co-sì modo di riconoscerla e apprezzarla.Non è uno spettro che si addensa tra lenazioni, come una grande macchinaideologica o tecnologica, ma è il respi-ro che dà vita alla comunicazione. Delresto l’uomo non è nato per un di, maper un per.Quante volte nel parlare comune si èportati a dire tra sé stessi “beh, stiamo

zitti”. E questo, sommessamente, quasia patire di un dolore che non è solo ilnostro, quello più personale e privato,ma è qualcosa che riguarda anche l’al-tro.Tutti i regimi dispotici, totalitari, ancheattuali, o i gruppi organizzati di bandaarmata, anche di stampo fideistico, pos-sono esercitare su di noi, gente (nonmassa, come ci sentiamo dire), un con-tinuo terrorismo psicologico oltre chemateriale. Poi si capisce che un taleagire non è altro che vacuità, che an-ziché puntare su un’umanità nuova,pronta al riscatto, preferisce cascare sul-le cose più retrive e deboscianti. Si ca-valcano così le emozioni (anche quel-le più bieche) ma si tradisce, tra sé, manon solo, quello che ne è della ragione.Se la parola non è un valore, a pagaresi è tutti, non solo gli anziani, i giova-ni e le donne, ma anche le multinazio-nali, e questo non è un paradosso.Si incomincia a dire “gli altri siamonoi” e si incomincia a costituire le pri-me unità semantiche su cui far leva almomento del voto o al momento dellapropaganda. Ma ormai il gioco è vec-chio.Così si sviluppa un regime dispotico,con tutti gli effetti multimediatici oche altro che esso comporta. Un regi-me totalitario, dove è il solo a coman-dare. Dove il Grande Fratello, per dir-la alla Orwell, è il mezzo televisivo enoi gente comune siamo quasi alletta-ti a crederlo.Ma basta con le menzogne, con glisquami e panzani di chi è sempre con-tro e non è mai per.Parlare con la gente non significa im-porre la scure ma semmai occorre pre-stare ascolto ai bisogni e alle necessitàprimarie di cui ciascuno è portatore(non sono solo gli stake holders gli uni-ci portatori di interesse). Occorre, inpoche parole, capire qual è la logica diciascuno, i registri semantici, i valori.Una proposta politica presuppone unpensiero chiaro non la solita strategiapropagandistica.

Nel pubblico come nel privato sarebbeassurdo pensare che è meglio gestire irapporti anziché viverli nella loro pie-na interezza.Se ancor oggi vale la locuzione latina“si vis pacem, para bellum”, d’accor-do per la difesa, ma per il resto non èche si sia coltivato molto il sogno del-la democrazia.Una vittoria personale non la si decli-na necessariamente con la sovraespo-sizione ad uso e consumo del proprio io,può essere anche un valore personale incui si crede che venga magari proposto.E questo, è altrettanto una vittoria.Semplicemente si può benissimo agireda soldati o sentinelle o da formiche,stando in pace con sé stessi, senza vo-ler essere necessariamente dei genera-li.Altrimenti è chiaro che nel qualun-quismo, nel pressapochismo, nel popu-lismo e nella demagogia non si fa altroche professare un credo per cui, anzichémietere valori, si dà invece modo dicrescere esclusivamente e solo a quel-la predisposizione d’animo portata piùa giudicare che ad ascoltare e propor-re.Il nostro pensiero vale in quanto pen-siero, vale in quanto si è confrontatonotte e giorno con quella parte di noi,che è la coscienza, che è il luogo uni-co e più sicuro ove potersi nascondere.Il nostro pensiero, frutto del nostro es-sere ed esistere, non può essere falsifi-cato, non può divenire un tramite dipropaganda (come l’eco che si diffon-de di un tamburo che risuona inces-sante) e non può neanche essere l’ar-ticolazione o la propaggine periferica diun potere, di maggioranza o di opposi-zione, che magari vediamo ma noncondividiamo.La nostra libertà in fondo finisce doveinizia la libertà dell’altro. Ma è proprionell’incontro che ha modo di aprirsi ildialogo, la costruzione della conoscen-za e lo scambio di opinioni: è così chesi sviluppa il pensiero.Fuori, ad esserci è solo il proprio io.

Il bene comune, questo dimenticatodi Luigi Oldani

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.In “Volver” tutte le donnedi Pedro De La Manchadi Ivan Mambretti

Famoso, danaroso e adi-poso, Pedro Almodovarsi può oggi permettereil lusso di fare il beato

tra le donne. Sul set e fuori.Con ogni probabilità è statoun attacco di nostalgia a spin-gerlo ad ambientare il suo ul-timo fortunato film, “Volver”,nella povera provincia dellaMancha che gli ha dato i na-tali e dalla quale si è allonta-nato poco più che adolescen-te per andare a fare il piccolore della movida in una Madridvogliosa di liberarsi dal fran-chismo. Ma la libertà secondoAlmodovar non è solo unaconquista politica. E’ anche esoprattutto un bene personale:un uomo è libero quando lasua mente è sgombra da pre-giudizi, quando ha superatoinibizioni, sconfitto paranoie eseppellito tabù. Il suo immagi-nario filmico è popolato dipersonaggi “en travesti”, eteroe mono, bisex e transex, pe-dofili e ninfomani, nel cui ani-mo ambiguo egli scava in cer-ca di tare ataviche, sofferenzee fragilità latenti.Ma dietro questo autore osten-tatamente erotomane si celaun robusto talento cinemato-grafico che gli viene oggi una-nimemente riconosciuto. Nona caso ogni suo film è un even-to. Da “Donne sull’orlo di unacrisi di nervi” (1988) fino altrittico “Tutto su mia madre”(1999), “Parla con lei” (2002)e “La mala educaciòn”(2004), egli è stato osservato-re sensibile e attento dei mu-tamenti di costume, nonchéconvinto “fiancheggiatore” diquelle aperture che hanno ca-tapultato la Spagna nell’eraZapatero. Spregiudicato maraffinato interprete del boom e

del risveglio culturale di quelpaese, il suo cinema ha comesoggetto pressoché esclusivo ladonna, da lui mirabilmente ri-tratta nei sacri ruoli unificatidi figlia-moglie-madre. Almo-dovar non la racconta: la ce-lebra. Raccontarla richiede-rebbe sovrastrutture da intel-lettuale che gli sono estranee.Perché lui è un regista schiet-to, istintivo, ironico, allergicoalle false morali.“Volver”, film corale e rigoro-samente al femminile, mette

a confronto tre generazioni didonne servendosi di un in-quietante filo conduttore: lafigura materna, efficacementeimpersonata da Carmen Mau-ra. Ritenuta morta col maritoin un incendio, ricompareall’improvviso sotto forma difantasma per parlare, chiarire,riallacciare rapporti, rimuove-re malintesi, ristabilire verità.Un fantasma che nell’istantestesso in cui si rivela non-fan-tasma, è già di bel nuovo fan-tasma in quanto contenitore

simbolico di rimpianti e ri-morsi, vecchie memorie e te-nerezze perdute. La mano leg-gera di Almodovar ha creatoun armonioso impasto didramma e commedia con pen-nellate di noir, dove la lacrimasi scioglie subito in sorriso, do-ve i sentimenti più intimi af-fiorano nella semplicità deidialoghi e dei gesti di tutti igiorni, in una Spagna anticama viva e battuta dal “sola-no”, vento caldo che secondola leggenda semina follia. E nel

film, di follia, se ne respi-ra parecchia. “Volver” èuna festa degli occhi perl’eccellente fotografia daicolori sanguigni. Ma an-che delle orecchie per lebelle canzoni, come quel-la intonata dalle donneche puliscono le tombe alcimitero e lo struggenteflamenco di PenelopeCruz (però doppiata).L’olfatto stesso è chiama-to in causa, perché il filmsembra sprigionare anchegli odori: dei patii assola-ti, dei vestiti, del mobilio,della cucina, perfino deigabinetti!“Volver” significa ritorna-re e in effetti si evidenzia

uno svolgimento ciclico chepuò essere letto a vari livelli.Qualche riserva sugli eccessidella trama: un incrocio di de-stini per un crescendo grotte-sco di vizi e di colpe (corna,incesti, parricidi, uxoricidi …). Ma di fronte all’estro impe-tuoso di Pedro il geniaccio checosì ha voluto, noi ci inchi-niamo, perché per il resto èproprio tutto okay.Chi ancora non ha visto ilfilm, lo inserisca nel capitolo“recuperi estivi”.

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li notizie e istruzioni sugli ammoderna-menti da introdurre nelle coltivazioni enell’allevamento, nonché consigli di vi-ta pratica e azioni di coordinamento perla cooperazione e per la previdenza. Ta-le Cattedra riceveva inoltre sostegnodall’Amministrazione Provinciale, dallamaggior parte dei Comuni di Valtellinae Valchiavenna, dalla Società Umani-taria di Milano, dalla Cassa di Risparmio,dalla Banca Popolare di Sondrio, dallaCamera di Commercio, dalla Società

Agraria di Lombardia, dai Circoli Agri-coli e dal Comizio Agricolo; quest’ulti-mo Ente ebbe un ruolo fondamentaleall’interno della Commissione ammini-stratrice che gestiva le attività e Bernar-dino Mazza ne fu vicepresidente.L’Ufficio del Lavoro e dell’Emigrazionedi Tirano, nato come Sezione Valtelli-nese della Società Umanitaria di Mila-no proprio per iniziativa di BernardinoMazza (che ne fu poi direttore fino alsuo scioglimento nel 1925), ebbe le sue

finalità fondamentali nell’articolo duedello Statuto in cui si diceva che era suocompito “mettere i diseredati, senza di-stinzione di partito o religione, in condizio-ne di rilevarsi da se medesimi”, alla luce delfilantropismo riformista che affermava lanecessità di una uguaglianza autenticatra tutti gli uomini.Dell’Ufficio del Lavoro e dell’Emigra-zione di Tirano la famiglia Mazza già nel1994, nel corso delle manifestazioni per“l’Anno di Studi sull’Emigrazione Val-

tellinese e Valchiavennasca”, misea disposizione i documenti più si-gnificativi della vita di quella isti-tuzione benemerita. Non è qui pos-sibile riferirne sia pure per sommicapi; mi limiterò a ricordare chenel difficile avvio della sua attivitàfilantropica Bernardino Mazza fuaffiancato da personalità quali Lui-gi Credaro, Ausonio Zubiani, Pie-ro Fojanini, Alfredo Martinelli,Ferruccio Redaelli, ma che la svol-ta nell’attività di tale Ufficio si eb-be nel 1913, con il lascito di Co-smina Foppoli, e con la costituzio-ne in Ente morale nel maggio del1914. Le vicende della prima Guer-ra Mondiale ed il successivo av-vento del fascismo resero difficile lavita dell’Ufficio fino al suo sciogli-mento nel 1925. Dopo la secondaguerra mondiale l’Ufficio si ricosti-tuì in Ente morale, ma la nuovarealtà socio-economica dell’Italialo aveva reso ormai obsoleto: condecreto prefettizio l’Ente morale ve-niva soppresso nel 1971 ed i suoibeni furono devoluti all’ECA, equindi al Comune di Tirano.

La pubblicazione della antologia degliscritti composti e pubblicati da Bernar-dino Mazza tra il 1909 e il 1919 ha ungrande significato culturale e, come di-ce Dino Mazza nella prefazione all’ope-ra, “racconta di uomini ed aspirazioni dibene che coagularono, attorno a Tirano,le migliori energie di una Valtellina che,fin dai primi del novecento, sentì l’im-perativo morale di mettersi al fianco deidiseredati”.

Giuseppe Brivio

Racconti del dottor KalamusL’altra faccia della belle époque

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“Racconti del dottor Kala-mus” è una antologia diquanto Bernardino Maz-za scrisse e pubblicò tra il

1909 e il 1919, come strumento di “in-trattenimento, istruzione ed elevazio-ne” della parte meno abbiente della so-cietà valtellinese, secondo le finalità de-gli Enti che ne promossero la pubblica-zione. E’ con queste parole che si aprel’ampia prefazione di Dino Mazza al vo-lume di oltre 400 pagine che è stato dapoco stampato presso la Tipogra-fia Polaris di Sondrio e che ci of-fre uno spaccato vivo ed avvin-cente della società valtellineseagli inizi del Novecento e del vis-suto quotidiano di molte fami-glie contadine della nostra valla-ta, fatto soprattutto di fatica, pri-vazioni, sofferenze e miseria.L’antologia raccoglie gli scritti diBernardino Mazza, figura insignedi veterinario che fece del suo la-voro una vera e propria ‘“missione” al fianco dei più de-boli, nel solco del filantropismoriformista umanitario che all’ini-zio del secolo scorso era stato al-la base della Società Umanitariadi Milano e della Sezione Valtel-linese, fondata dallo stesso Ber-nardino Mazza.Per inquadrare gli scritti di Ber-nardino Mazza, che si firmavacon lo pseudonimo di “dottor Ka-lamus”, nel giusto contesto sto-rico e per capirne la genesi, è op-portuno ricordare le Istituzioniche permisero la pubblicazionedei “Racconti del dottor Kalamus”come strumento di “intrattenimento, istru-zione ed elevazione” della parte meno ab-biente della società valtellinese.Si tratta della Cattedra Ambulante di Agri-coltura della provincia di Sondrio e dell’Uf-ficio del Lavoro e dell’Emigrazione di Tira-no.La Cattedra Ambulante di Agricoltura eralo strumento tecnico-culturale del Mi-nistero dell’Agricoltura nelle diverse se-di provinciali che aveva come sua fina-lità quella di portare alle comunità rura-

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persone non amino questo sport, maperchè negli anni hanno iniziato tutti apraticarlo. Invece di sedersi sugli spal-ti, scendono in campo!La scuole non si chiamano scuole maValli della vita e sono ubicate all’inter-no di parchi verdi. Gli insegnanti nonsi chiamano insegnanti ma animatori ele aule non si chiamano aule ma case,c’è la Casa della Filosofia, la Casa del-la Matematica, la Casa della Geografia,della Musica, della Letteratura.Nelle valli della vita kirghise non si stu-dia, ma si gioca, si scopre e si impara.“Chi sono quelli tutti vestiti di giallo?”chiede Agosti al suo accompagnatore.“Sono persone che hanno rubato, a lo-ro viene richiesto di vestire completa-mente di giallo per un periodo equiva-lente a quello che altrimenti dovreb-bero trascorrere chiusi in una cella. Quisiamo tutti convinti che la sola con-danna possibile sia la consapevolezzadel delitto. Per questo devono spiegarea chi incontrano le ragioni che li han-no spinti a infrangere una norma co-munemente stabilita, quella appunto dinon rubare”.

“E quelli vestiti di viola?”.“Quelli hanno ucciso e devonovestire così fino a settant’anni,spiegando a loro volta a chi lochiede le circostanze che li hannoportati a compiere il delitto”.Esiste veramente questo luogo o èsolo un’utopia del paese in cui tut-ti vorremmo vivere?A questa domanda Silvano Ago-sti risponde che sì, la Kirghisia esi-ste, e si trova in fondo al nostrocuore.

Da c@c@o Elefante http://www.alcatraz.it

Ma tu la conosci la Kirghisia?

Ho trovato il libro che leg-gerò durante l’estate: “Let-tere dalla Kirghisia”, diSilvano Agosti, ed. L’Im-

magine, anno 2004.Un lungo racconto, strutturato inuna serie di lettere, dove si narra diun luogo che forse esiste, forse no,chiamato Kirghisia.In questo paese, dove l’autore capitaper caso, i dipendenti del settore pub-blico e privato lavorano un solo gior-no alla settimana, percependo co-munque uno stipendio pieno. Il restodel tempo è dedicato al sonno, altempo libero, alla creatività, aglihobby, alla famiglia, ai figli e ovvia-mente a far l’amore.La Kirghisia è un paese dove la so-cietà non è organizzata con la classi-ca piramide, in cui nella punta stachi ha il potere e alla base chi lavo-ra, ma come una sfera. Scrive Agostiin una lettera ad Abuniag Trinzek(cittadino della Kirghisia): “Credo diaver capito che da voi finalmente lastruttura sociale è a forma di sfera conal centro la vita e tutti gli esseri umanisono equidistanti dal centro, perchèavete scoperto che “vivere” e “lasciar vi-vere” è la vera beatitudine, mentre quida noi ci si accontenta di “produrre econsumare sempre di più”.È un paese dove i governanti esercita-no il loro mandato sotto forma di vo-lontariato, mantenendo lo stipendioche percepivano nella precedente atti-vità lavorativa. Chi compie 18 anni ri-ceve in regalo una casa, chi vuole faresesso si attacca un fiore azzurro sul pet-to in modo che tutti lo sappiano.È anche un paese dove ogni anziano ènominato ad honorem “insegnante divita” e viene invitato nelle scuole perraccontare e trasmettere la sua espe-rienza.Chi ha più di 70 anni ha diritto di man-giare gratis in tutte le mense pubbliche,viaggiare gratis negli autobus, metropo-litane, treni e aerei e frequentare cine-ma, teatri e musei senza alcuna spesa.La Kirghisia è un paese dove gli stadi dicalcio sono semivuoti, non perchè le

Qual è il Paese più felice del mondo?Sarebbe l’arcipelago di Vanuatu, un picco-lo stato, 200mila abitanti, che si trova nelsud dell’Oceano Pacifico, 1.750 chilometria est dell’Australia, 500 chilometri a nord-est della Nuova Caledonia.L’Happy Planet Index è stato creato dallaNef, New economics foundation, dopo averanalizzato 178 paesi del mondo. Oltre albenessere delle persone, calcola anche l’im-patto ambientale degli stili di vita e ha ri-velato, ad esempio, che alti livelli di con-sumismo non producono necessariamentealtrettanto alti livelli di felicità, mentrefunziona il contrario, cioè una vita piùsemplice e frugale può portare felicità.L’idea alla base di questo nuovo modo dicalcolare la felicità delle persone, intesacome soddisfazione in relazione alla propriaesistenza, è molto particolare e mira amettere in discussione altri indici del pro-gresso globale, come il Prodotto InternoLordo, che non darebbero un’immagine cor-retta del mondo. L’indice di felicità mostrainfatti un ordinamento mondiale ben di-verso da quello sostenuto dai leader poli-tici. Gli Stati Uniti occupano la 150.maposizione della classifica, l’Italia è inveceal 66.mo posto.Questa graduatoria spera di essere un nuo-vo segnale, una nuova strada da percorre-re per raggiungere la soddisfazione senzadefraudare il pianeta in cui viviamo. Comespiega Nic Marks, membro della Nef, “Se haila mappa sbagliata, difficilmente raggiun-gerai la tua destinazione”.(Fonte: Corriere.it)

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pagina a cura di Giuseppe Brivio

LE FLAMBEAURevue du comité des traditions valdotâinesN° 198 - Aoste été 2006

Il fascicolo n° 198 di LE FLAMBEAUè dedicato nella prima parte al ricordodi Robert Saluard, intransigente difen-sore della cultura valdostana e dei valoriche sono alla base della identità di Val-dostani ed anche delle finalità della ri-vista diretta dall’amico Raymond Vau-terin.Tra i servizi che meritano di essere ap-profonditi mi piace citare un ampio ar-ticolo scritto a più mani, intitolato“Connaitre et déguster le fromage”, se-

condo gli autori il for-maggio, insieme al panee al vino, è uno deglielementi da sempre pre-sente sulle tavole val-dostane. Scopo dichia-rato dell’articolo è quel-lo di far conoscere l’ar-te della produzione delformaggio in Val d’Ao-sta, in un contesto tipicamente ruralee di illustrare il processo tradizionaledi fabbricazione del formaggio par-tendo dalla materia prima: il latte. Nel corso del servizio sono presentatele principali tecniche di degustazionedel formaggio e c’è una classificazionedei diversi tipi di formaggio. Di sicu-

ro interesse è il ca-pitoletto “le froma-ge: entre histoire etlégende” con il qua-le si ricostruisce lastoria di questo ali-mento, a partire daalmeno 8.000 annifa nella Mesopota-mia, con una pre-

messa: si può affermare che la trasfor-mazione del latte in un altro alimen-to che si conserva meglio e si può piùfacilmente trasportare avvenne deltutto casualmente. E’ infatti probabi-le che i recipienti impiegati per la con-servazione del latte ne abbiano causa-to la acidificazione.

L’ALPE edizione italiana - Numero 14 giugno 2006Musei delle Alpi - Priuli & Verlucca editoriDirettore responsabile Enrico Camanni

Recensire il n° 14 de “L’ALPE”, dedi-cato ai Musei delle Alpi, nel poco spa-zio a disposizione è impresa disperata,data l’abbondanza e la ricchezza dellenotizie sui numerosi Musei che si tro-vano disseminati sull’arco alpino; pre-ferisco quindi affidarmi alla magnificasintesi della materia fatta da Enrico Ca-manni e Daniele Jalla nell’Editoriale“Le quattro generazioni” che riporto inmodo quasi integrale qui di seguito.“Visti nel loro complesso, i musei del-la Alpi formano un insieme variegatoe multiforme, simile per eterogeneità(e unità) al vasto continente di cui so-no espressione, e in fondo non così di-verso per composizione, tipologia, epo-ca di creazione rispetto a quella com-posita galassia dei musei locali esi-stente da un capo all’altro dell’Euro-pa. Vengono per primi, per diritto diprimogenitura, i musei tardo-ottocen-teschi, prodotto di una cultura bor-ghese e urbana propria delle città, pic-cole e medio-grandi: da Trento a Gre-noble, da Innsbruck a Sion, con le col-lezioni di pregio che rinviano alla sto-

ria dei potentati alpini. Seguono i mu-sei di identità sorti tra le due guerre,quegli Heimatmuseen di tradizionegermanica e quelli coevi francesi esvizzeri, quasi assenti in Italia dove in-vece gli anni Trentaprodussero mostre diarte popolare e folclore,collezioni, ma ben po-chi musei, mentre nel-le Alpi Orientali fiori-vano i primi musei diguerra, nelle forme piùvarie, dal museo di sto-ria al sacrario, collet-tiva elaborazione delgrande lutto che il fa-scismo raccolse e ali-mentò. Ma è degli an-ni del secondo dopo-guerra la grande fiori-tura dei piccoli museilocali, in crescita espo-nenziale a partire dalla seconda metàdegli anni Settanta, frutto dell’appas-sionato lavoro di una moltitudine dicultori locali, che raccoglievano, so-prattutto per sé e per la propria co-munità, le ultime testimonianze diun’epoca al suo definitivo tramonto,trasformando beniumili e poveri in ogget-ti preziosi. Vi è infinel’ultima generazione dimusei, grandi e picco-li, il cui allestimento

esprime la volontà di comunicare, enon più solo a se stessi, cose cui si ri-conosce pienamente il valore cultura-le, ma che sono anche divenuti risor-sa per il turismo e si avvantaggiano di

una conoscenzascientifica applicataal museo. Nella loroevoluzione i museidelle Alpi sonoespressione più delproprio tempo che diuno spazio a sé stan-te, e con le loro dif-ferenze e somiglianzesvolgono pienamen-te il compito di for-nire un’immaginecoerente della civiltàalpina, al passato eal presente, nellasua frazionata unità,facendone emergere

i tratti peculiari in un indistricabile in-treccio con il resto dell’Europa”.Mi limiterò ad aggiungere che il fasci-colo di giugno de “L’ALPE” contiene, acura di Ivan Fassin, una analisi criticadei Musei Etnografici della Provinciadi Sondrio, ed in particolare del man-

cato decollo di dueiniziative progettateper la città di Son-drio: un Museo delvino e un Museo del-la Montagna.

R E C E N S I O N I

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