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Nevio Gambula IL CANTICO DEI CANTICI poema d’un amore terreno NERVOUSMUSEUM L’opera è in me e io esisto attraverso l’opera

Nevio Gambula IL CANTICO DEI CANTICI · sono colombe. Sei, tra le donne, la più bella e la più desiderabile. Sei bella come un giglio tra i rovi. DONNA – Una notte cerco nel mio

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Nevio Gambula

IL CANTICO DEI CANTICI

poema d’un amore terreno

!

NERVOUSMUSEUML’opera è in me e io esisto attraverso l’opera

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Titolo: Cantico dei cantici

versione di Nevio Gambula

2013 (rev.2017), NervousMuseum [email protected]

Immagine di copertina: Backstage, 2014, di Nevio Gambula.

La riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo, è consentita anche senza la preventiva autorizzazione scritta dell’Autore/Editore. Fate buon uso delle macerie.

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Questa è la mia «versione libera» del Cantico dei cantici. L’idea di partenza era quella di realizzarlo scenicamente con un coro di voci re-citanti; e così è stato realizzato nel gennaio del 2013, con un coro for-mato da allievi della scuola dello Stabile di Verona da me diretto. Ho recuperato la gran parte delle traduzioni esistenti, tra cui le uniche due non confessionali: quella di Emilio Villa (in Proverbi e Cantico, Bibliopolis Editore, a cura di Cecilia Bello Minciachi), e quella di En-rica Salvaneschi (Il Melalogo Editore). E proprio queste due sono sta-te il riferimento principale della mia versione (con piccole aggiunte dalla traduzione di Ceronetti per Adelphi). Si tratta, per l’appunto, di una «versione libera», nel senso che non ho compiuto, sul testo, un lavoro di tipo filologico, bensì drammaturgico (in relazione all’idea della resa corale della parola), così come ho compiuto alcuni sposta-menti di brani; ho per altro recuperato l’idea, già presente in Villa, della attribuzione dei versi a tre personaggi (in realtà, nella mia ver-sione le parti del Coro sono dette ora dall’Uomo ora dalla Donna). Ol-tre a qualche minimo taglio (di alcune parti ripetute), mi sono per-messo due sole aggiunte: la prima, «e pianta / il tuo stendardo tra le mie cosce», in vece di «e la sua virilità su di me sarà amore» (in Villa; in Ceronetti il verso è reso con «piantami il tuo stendardo amore», mentre in Salvaneschi è «e il suo stendardo su di me è amore»); la se-conda aggiunta è il verso finale, dove alla parola «desiderio» ho ag-giunto, proprio per chiudere il canto, «non conosce sconfitta».

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DONNA – Baciami coi baci della tua bocca; baciami! Il tuo amore inebria più del vino. È stupendo respirare il tuo profumo. E il tuo nome, il tuo nome mi esalta. Tutte ti amano, lo so; ma tu prendi solo me; presto, amore, fammi entrare nella tua stanza! Fammi, ti prego, fammi saltare e godere con te! Il tuo amore inebria più del vino, sì. Tutte ti desiderano, ma tu prendi solo me. Io sono bella, o figlie di Gerusalemme, la più desiderabile tra le donne; e sono presa di voglia. I miei fratelli sono furiosi con me, per questo; mi hanno messa a guardia delle vigne, lontano dalla tenda dove giace sfinito il mio amore. Ma io la mia vigna non l’ho custodita. O tu, tu che m’hai preso l’anima, dove pascoli il gregge, dove lo fai riposare? Ecco, io sarò lì, sarò lì per te. Quando sei con me, spando i miei profumi meravigliosi; e tu, amore mio, tu sei un sacchetto di mirra quando riposi, sfinito, tra i miei seni. Come sei bello, amore mio, come sei bello e vigoroso!

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Il nostro letto è un’oasi lussureggiante, le travi della nostra stanza sono cedri, il soffitto cipressi. Tu sei bello come un narciso, bello come un giglio delle paludi. Ho voglia di stendermi sotto la tua ombra; ho voglia di assaporare il tuo dolce frutto nella mia bocca. Ubriacami, amore mio, e pianta il tuo stendardo su di me . Io sono sua. O figlie di Gerusalemme, io vi scongiuro: non svegliatemi dal mio sogno. Ecco, ecco sento la sua voce. È la voce del mio amore. Eccolo, viene volando per i monti, saltando per le colline. Somiglia a un capriolo, il mio amore, o a un cerbiatto. Ecco, ora si ferma dietro il nostro muro; guarda dalla finestra, spia dalle grate. Ora parla, il mio amato, e dice: UOMO – Alzati, amore mio, e vieni, presto! Ecco, l’inverno è passato, la pioggia è cessata, andata via;

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i fiori spuntano nei campi, il tempo del canto è vicino e la voce della tortora vaga per le campagne. Distilla dolcezza il fico e la vite in fiore spande profumi. Alzati, amore mio, e vieni, presto! Fammi vedere il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è dolce e il tuo viso è un incanto. Sai una cosa, amore mio? Alla cavalla del cocchio del faraone tu assomigli, sì. Sono belle le tue guance, e bello è il tuo collo avvolto da collane. Tra le trecce, i tuoi occhi sono colombe. Sei, tra le donne, la più bella e la più desiderabile. Sei bella come un giglio tra i rovi. DONNA – Una notte cerco nel mio letto il mio amore; lo cerco e non lo trovo. Allora mi alzo e esco per la città, lo cerco per i mercati e per le strade; ma non lo trovo. Incontro la ronda in servizio e chiedo se l’hanno visto, se hanno visto l’amor mio. Oh, ma ecco, ecco che sale dal deserto, tra colonne di fumi e avvolta da profumi inebrianti, ecco che sale la sua lettiga! E’ circondata da settanta guerrieri, tra i più forti d’Israele: tutti con la spada in pugno,

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pronti a battersi per lui. Eccolo, ragazze di Gerusalemme, venite a vedere il mio re nel giorno della sua immensa gioia! Ecco, l’ho trovato, l’amor mio, e lo abbraccio forte e lo tengo stretto, stretto a me, almeno sino a quando mi porterà nella casa dove si consumerà l’amore. O figlie di Gerusalemme, io vi scongiuro: non svegliatemi dal mio sogno. UOMO – Come sei bella, amore mio, come sei bella. Tra le trecce, i tuoi occhi sono colombe. I tuoi capelli ... i tuoi denti ... le tue labbra ... la tua bocca ... Tutto, in te, è meraviglioso. La tua gota, uno spicchio di melagrana ... Il tuo collo, una fortezza di trofei ... I tuoi seni sono come due cerbiatti a spasso tra i gigli ... Come sei bella, amore mio, come sei desiderabile ... Vieni, vieni da me! Avvicinati! Mi hai stravolto la mente, amore mio, mi hai stravolto la mente. Mi hai preso l’anima con il tuo sguardo. Meravigliose, le tue carezze, inebrianti più del vino, amore mio, e l’odore che emani supera ogni aroma. Le tue labbra sanno di miele,

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e il profumo delle tue vesti è come quello del Libano. Sei un’oasi sprangata, o mia sposa, sei la roccia che racchiude l’onda, sei la sorgente sigillata. Da te tutto sgorga, ogni frutto e ogni aroma, sgorga ... da te ... Vieni, amore mio, vieni nel mio giardino, bevi il mio vino, assapora il mio latte, su, mia bella, mangia questo frutto prodigioso, inebriati d’amore. DONNA – O figlie di Gerusalemme, io vi scongiuro: non svegliatemi dal mio sogno. Io dormo, ma il mio cuore sente, ecco sente un rumore: è il mio amato che bussa alla porta: – Aprimi – dice – aprimi, amore mio, mio tesoro, mia colomba, mio tutto, ti prego: aprimi. E io ... e io dovrei rivestirmi? Lui ha messo la mano nella fessura e un fremito mi ha sconvolta. Ho aperto ... Le mie mani stillavano mirra, dalle mie dita fluiva mirra sul chiavistello che impugnavo. Apro all’amato mio

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e il mio amato era sparito. Lo cerco e non lo trovo. Lo chiamo e non risponde. Le guardie in ronda per la città mi fermano e mi picchiano, lasciandomi ferita; poi mi spogliano le guardie delle mura. O figlie di Gerusalemme, io vi scongiuro, se trovate il mio amato, ditegli ecco, ditegli che sono malata d’amore. Che cos’ha il mio amato più di ogni altro? Il mio amato è bianco e vermiglio, riconoscibile fra mille e mille. Il suo capo è oro, oro puro, i suoi riccioli un mare d’onde, neri come il corvo. I suoi occhi, come colombe su ruscelli di acqua; i suoi denti bagnati nel latte. Le sue guance sono di balsamo, fatte di erbe profumate; le sue labbra sono gigli che stillano fluida mirra. Le sue mani sono anelli d'oro, incastonati di gemme. Il suo ventre è tutto d'avorio, tempestato di zaffiri. Le sue gambe, colonne di alabastro, posate su basi d'oro puro. Il suo aspetto è magnifico, come i cedri del Libano.

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La sua bocca è deliziosa. Egli è gioia senza fine! Questo è il mio amato, questo è l’amore mio, o figlie di Gerusalemme. Dov’è ora il mio amato? Il mio amato è sceso nel giardino a cogliere rose per me. Io sono sua e lui è mio. UOMO – Come sei bella, amore mio, come sei bella. Tra le trecce, i tuoi occhi sono colombe. I tuoi capelli ... i tuoi denti ... le tue labbra ... la tua bocca ... Tutto, in te, è meraviglioso. Come sei bella, amore mio, come sei desiderabile ... Sono sessanta le mie regine, ottanta le concubine, e ho tutte per me innumerevoli vergini sacre. Ma unica è la mia colomba, lei sola io voglio. – Chi è costei – dicono le donne – chi è costei che sorge come un’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come vessillo di guerra? Chi è? – Sono sceso nel giardino per cogliere rose per lei. E di colpo un desiderio ignoto

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mi attraversa. Voltati, amore, voltati, voglio vederti, voglio ammirarti mentre danzi. Come sono belli i tuoi piedi. Le curve dei tuoi fianchi e le tue cosce sono come monili torniti da mano d’artista. La tua vulva è una coppa rotonda mai priva di vino. Il tuo pube è un monticello di grano circondato da gigli. Il tuo collo come uno scrigno d’avorio. I tuoi occhi sono d’un azzurro esagerato. I tuoi capelli ... i tuoi denti ... le tue labbra ... la tua bocca ... E i tuoi seni, i tuoi seni sono grappoli d’uva, i tuoi baci sono come vino squisito che scende nel mio petto dopo aver irrigato le mie labbra ... Io sento, amore mio, sento il mio desiderio che cresce ... DONNA – E io lo sento, il tuo desiderio, lo sento su di me. Vieni, amore, usciamo, passiamo la notte in mezzo ai campi. Là ti darò il mio latte. Ho in serbo, per te, o amore mio, ogni sorta di delizia. Tra i frutti ho nascosto quanto c’è di più ricco. Io sono una muraglia e i miei seni le torri. Io sono quella che nei tuoi occhi

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ha trovato la pace. Fammi sentire la tua voce, amore mio, fammela sentire. Vieni in fretta, amore, vieni qui, tra i miei seni. La mia vigna è per te. O figlie di Gerusalemme, io vi scongiuro: non svegliatemi dal mio sogno. *** Le acque dell’Abisso Infernale non possono spegnere l'amore, i fiumi non possono travolgerlo, perché l’amore è forte come la morte; i suoi ardori sono fiamme roventi, e il desiderio, spietato come l’inferno, non conosce sconfitta.

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NevioGambula attore, scrittore, formatore

Nevio Gambula è nato il 14 aprile 1961, in Sardegna. Abita a Verona dal 1999, dopo aver abitato per 32 anni a Torino. Ha lavorato come insegnante di sostegno dal 1981 al 1984. Nel biennio 84-86 ha fre-quentato la Scuola d'Arte Drammatica e diversi laboratori sulla voca-lità, ultimo dei quali quello con Zygmunt Molik del Teatro Laborato-rio di Grotovski. Dal 1985 al 1988 ha lavorato nel servizio didattico del Museo d'Arte Contemporanea del Castello di Rivoli. Si è auto-prodotto diverse performances, ha transitato in qualche compagnia professionale e ha partecipato a qualche importante progetto, tra cui quello sulla Medea di Heiner Muller a Berlino. Nel 1989 il festival Dif-ferenti Sensazioni lo ha premiato con la produzione di uno spettacolo (Antigone, 1990), con cui ha svolto la sua prima tournée da attore. Dal 1989 al 1999 ha lavorato come educatore (con disabili, minori a rischio, senza dimora). Nel 1996 nasce il suo primo figlio (ora sono tre). Dal 1999 si dedica prevalentemente al teatro, anche se per campare continua a fare il consulente sulla progettazione di servizi educativi e assistenziali e di percorsi formativi. Continua a produrre spettacoli in proprio, oltre a condurre laboratori sulla recitazione, a scrivere e a pubblicare libri. Dal 2011 insegna recitazione presso la Scuola del Teatro Stabile di Verona.