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22 23 22 23 Bimestrale edito dalla Libera Compagnia Padana Anno V - N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999 S peciale: Padania Islam Spedizione in abbonamento postale: Pubbl. 70% - Filiale Novara

N.22-23 Impaginato (115)A - laliberacompagnia.org · Nella sua difesa contro i suoi nemici di sem- ... arabi di Abd ar-Rahman sconfiggendoli il 7 otto-bre fra Poitiers e Tours con

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22232223Bimestrale edito dalla Libera Compagnia Padana

Anno V - N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999

Speciale:Padania Islam

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La Libera

Compagnia

Padana

Quaderni PadaniCasella Postale 55 - Largo Costituente, 4 - 28100 NovaraDirettore Responsabile:Alberto E. CantùDirettore Editoriale:Gilberto OnetoRedazione:Alfredo CrociCorrado GalimbertiFlavio GrisoliaElena PercivaldiAndrea RognoniGianni SartoriCarlo StagnaroAlessandro StortiGrafica:Laura Guardinceri

I «Quaderni Padani» raccolgono interventi di aderenti alla“Libera Compagnia Padana” ma sono aperti anche a contri-buti di studiosi ed appassionati di cultura padanista. Le proposte vanno indirizzate a: La Libera Compagnia Padana.

Periodico Bimestrale Anno V - N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999

Contro i tre peggiori morbi della storia - Brenno 3Cronologia 5Il ruolo della Padania nell’eterna lotta fra l’Europa e l’Islam - Gilberto Oneto 18Islam contro Europa. I grandi scontri - Michele Ghislieri 36I Padani alle Crociate - Elena Percivaldi 49I Liguri e l’Islam - Flavio Grisolia 53Venezia e L’Islam - Giovanni Fabris 66Una Crociata colorata di verde - Ottone Gerboli 70Papa Pio V: il Papa piemontesee la Madonna del Rosario - Mariella Pintus 75Raimondo Montecuccoli, un grande condottiero padano - Alina Mestriner Benassi 77

segue ☞

CollaboratoriGiuseppe Aloè, Camillo Arquati, Fa-brizio Bartaletti, Alina Benassi Me-striner, Claudio Beretta, Daniele Ber-taggia, Dionisio Diego Bertilorenzi,Diego Binelli, Roberto Biza, GiorgioBogoni, Giovanni Bonometti, Roma-no Bracalini, Nando Branca, UgoBusso, Giulia Caminada Lattuada,Claudio Caroli, Marcello Caroti, Gior-gio Cavitelli, Sergio Cecotti, MassimoCentini, Gualtiero Ciola, Carlo Corti,Michele Corti, Giulio Crespi, PierLuigiCrola, Mauro Dall’Amico Panozzo,Corrado Della Torre, Alessandro D’O-sualdo, Marco Dotti, Leonardo Fac-co, Rosanna Ferrazza Marini, DavideFiorini, Alberto Fossati, Sergio Fran-ceschi, Carlo Frison, Giorgio Fuma-galli, Mario Gatto, Ottone Gerboli,Giacomo Giovannini, Michela Gros-so, Joseph Henriet, Thierry Jigourel,Matteo Incerti, Eva Klotz, AlbertoLembo, Pierre Lieta, Gian Luigi Lom-bardi Cerri, Carlo Lottieri, PierluigiLovo, Silvio Lupo, Berardo Maggi,Andrea Mascetti, Pierleone Massaio-li, Ambrogio Meini, Ettore Micol,Renzo Miotti, Aldo Moltifiori, Mauri-zio Montagna, Giorgio Mussa, An-drea Olivelli, Alessia Parma, Giò Bat-ta Perasso, Mariella Pintus, DanielaPiolini, Francesco Predieri, AusilioPriuli, Leonardo Puelli, Igino Rebe-schini-Fikinnar, Giuliano Ros, SergioSalvi, Lamberto Sarto, Massimo Sca-glione, Laura Scotti, Silvano Straneo,Candida Terracciano, Mauro Tosco,Nando Uggeri, Fredo Valla, GiorgioVeronesi, Antonio Verna, Alessio Vez-zani.Spedizione in abbonamento postale:Art. 2, comma 34, legge 549/95Stampa: Ala, via V. Veneto 21, 28041Arona NORegistrazione: Tribunale di Verbania:n. 277

La Libera

Compagnia

Padana

Saraceni o Salaceni? - Joseph Henriet 80Lo spirito antislamico nell’opera del Boiardo (1441-1487) - Andrea Rognoni 83Schizzi alla brava sull’invasione del nostro continente da parte dei popoli extraeuropei - Mario Costa Cardol 85L’Islamismo contro l’Europa - Alexandre Del Valle 91Europa-Islam. Le ragioni dell’incompatibilità per la difesa della cultura dell’occidente - Roberto de Anna 97Chiesa cattolica e Islam - Gianluca Savoini 100Le libertà individuali di fronte all’Islam - Leonardo Facco 102Immigrazione e criminalità - Giacomo Stucchi 104Eroismo e immaginario popolare 106Donne e bottino per i soldati di colore 107Biblioteca Padana 109

☞ continua

La storia del mondo occidentale ha conosciu-to tre grandi sciagure inventate dagli uomi-ni: Roma, l’Islam e il comunismo. L’imperia-

lismo romano ha terrorizzato per secoli il mon-do antico devastandolo con la sua violenza, isuoi genocidi e pulizie etniche e culturali, e ilsuo perverso apporto genetico si è perpetuato (esopravvive) in tutti gli stati centralisti, in ognivocazione imperialistica (che si palesa anche at-traverso simboli mutuati dalla romanità: aquile,fasci, labari eccetera) e nella parte più triste-mente secolarizzata della Chiesa. Il comunismoha fatto decine di milioni di morti e centinaia di

milioni di infelici, ha tenuto nella miseria interipopoli per decenni e ha riempito carceri, ospe-dali psichiatrici, gulag e prigioni. Ha addestratogenerazioni a ogni sfaccettatura dell’odio: eco-nomico, politico, sociale, sessuale ed ora razzia-le. E’ riuscito a instillare rancori e violenza intutte le situazioni e continua a farlo anche dopoaver perso, oggi, i suoi covi e i suoi santuari piùpoderosi. L’Islam è vivo e vegeto e non ha lascia-to eredità nefaste a nessuno perché continua agestirsi direttamente le sue nefandezze: da tredi-ci secoli dimostra una incredibile vitalità chemanifesta in aggressività e truculenza contro

Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999 Quaderni Padani - 1

Contro i tre peggiori morbidella storia

Carlo Martello a Poitiers da: Ward Locks’s Illustrated History of the World, 1885

chiunque incontri sulla sua strada. Ha distruttodecine di civiltà antiche e rigogliose, ha trasfor-mato e fanatizzato masse enormi di gente finoad allora “normale”, ha fatto deserti di morti, dischiavi e di infelici.

Oggi queste tre grandi pesti della storia sem-brano essersi trovate e alleate. Nel passato sierano anche combattute fra di loro e questo ave-va assorbito un po’ della loro virulenza ma oggi- come belve ferite - si sono messe in brancorabbioso a dilaniare il mondo: nel Sudest asiati-co, nel Sahel, nel subcontinente indiano, nelCaucaso e nell’Asia centrale, nel Corno d’Africae - ancora una volta attraverso la penisola balca-nica - in Europa. Ma è contro la Padania che lademoniaca triade sembra accanirsi con partico-lare livore: il comunismo strangolato dalla sto-ria si è trasformato, come un trucido mutante,in socialdemocrazia, in buonismo, in solidari-smo, in un regime un po’ sacrestano, un po’ ma-fioso e un po’ (inevitabilmente) stalinista; Romaè sempre la stessa fucina di centralismo intolle-rante, di rapina economica, di brutalità colonia-lista e di oppressione burocratica e poliziesca;l’Islam si ripresenta con l’invasione di masse diapparenti diseredati che, dietro la maschera diesuli e di vittime, nascondono la tracotanza e laprepotenza di sempre, la propensione per la vio-lenza e per la prevaricazione manesca, per l’in-tolleranza religiosa e per il peggior assolutismoantidemocratico. A tenerli assieme pensa il col-lante del mondialismo, nemico di ogni differen-za (come il comunismo), di ogni autonomia (co-me Roma), di ogni tolleranza (come l’Islam) e diogni aspirazione alla libertà (come tutti e tre).

La Padania è sempre stata fiera nemica delcentralismo, dell’oppressione e dell’illiberalità.Per millenni ha cercato di essere la casa di li-bertà e di autonomie, laboratorio di innovazioneculturale e religiosa, e baluardo contro autocratie prepotenti della politica. Per questo si accani-scono con particolare livore contro la nostra ter-ra: è l’unico pezzo di Europa meridionale chenon sia mai caduto in mano islamica, l’operositàe la voglia di libertà dei suoi abitanti hannosempre tenuto a distanza ogni follia giacobina obolscevica, e i peggiori despotismi d’Europa sisono dissanguati nel tentativo di piegarla, daRoma imperiale, a Federico II, a Napoleone.

Oggi le tre peggiori canaglie della storia sipresentano unite contro i popoli padani ma han-no un solo modo per spuntarla: quello di sem-pre, di dividere i Padani, di allevare pavidi, mar-dani e traditori. C’è sempre qualcuno che è di-

sposto a “farsi turco” per viltà, per denaro o pervocazione al tradimento. Non sono i saraceni, ilegionari romani o le canaglie comuniste a farcipaura, ma quelli che aprono loro le porte dicen-do che “sono amici”, che “non sono poi così cat-tivi”, che “si deve dialogare”, che “occorre esseresolidali”, che “non c’è alternativa alla societàmultirazziale” e via tradendo.

Nella sua difesa contro i suoi nemici di sem-pre, la Padania trovava al suo fianco i suoi sacer-doti: i druidi, Ambrogio, Oberto da Pirovano, PioV, i preti delle insorgenze. Che gli aggressori fos-sero romani, saraceni, imperiali o comunisti, c’e-ra sempre un segno di sacralità a guidare la no-stra gente: qualcuno che interpretava il profon-do legame sacrale dei nostri popoli con la storia,con la cultura e con la terra. Gli ultimi guerrieriinsubri hanno resistito agli assassini del consoleMarcello davanti al tempio della Terra Madre, sulCarroccio si celebrava Messa, il Rosario di Pio Vha dato forza ai combattenti di Lepanto.

Oggi la nostra gente non ha con sé tutti i suoisacerdoti: seduti sui loro alti scranni, troppi per-sonaggi impomatati, incipriati e imporporatiguardano da lontano la gente e sibilano solida-rietà e carità; altri, vestiti da sindacalisti o da ses-santottini, portano assistenza, aiuto e conniven-za ai nemici del loro popolo e - tutti - diventanocomplici delle prepotenze contro i deboli veri, ipoveri veri, contro la gente nata su e da questaterra. Troppa gente non ha capito che l’invasioneè solo l’ultimo capitolo di una guerra che durafin quasi dall’alba del mondo. Non sanno, nonvedono, non vogliono vedere: sono traditori perviltà o per vocazione. Fingono di non riconosce-re i nemici sperando di ottenere qualche formadi clemenza, sperando di scampare al destino cheRomani, Musulmani e comunisti hanno sempreriservato a che li ha avversati, a chi ha resistitoalle loro prepotenze. Si annientano spiritual-mente sperando di scampare all’annientamentofisico. La “Martinella” deve dare la sveglia allanostra gente: il nemico è ormai dentro le muradi casa e tutti devono combattere assieme perl’antica voglia di libertà di questa terra.

I Padani sono invincibili solo se sono uniti,solo se hanno con sé i segni della sacralità dellaloro terra: gli “immobili” dei Gesati, lo stendar-do di Legnano, il Leone alato, la croce di SanGiorgio di Gerusalemme e dei “Viva Maria”, ilsacro segno che li ha guidati in mille battagliecontro saraceni e prepotenti di ogni risma.

Per San Marco e per San Giorgio.Brenno

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Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999 Quaderni Padani - 3

Raccolta, del tutto incompleta, dei principaliepisodi di incontro-scontro fra Europei eIslamici nel più che millenario tentativo di

aggressione e di conquista del continente euro-peo. Di ogni avvenimento sono riportati l’anno euna descrizione telegrafica. Tutti gli episodi chevedono il coinvolgimento di Padani sono segnatiin grassetto.

ca. 570-571 Nascita di Maometto ca. 610 Maometto “avverte” la chiamata divina 622 L’Egira di Maometto dalla Mecca a Medinasegna l’inizio del calendario musulmano 632 (8 giugno) Morte di Maometto 632-634 Conquista araba della Mesopotamia edella Palestina 635 Conquista araba di Damasco 638 Conquista araba di Gerusalemme 642 Conquista araba di Alessandria di Egitto 647 Conquista araba della Tripolitania 649 Inizio delle guerre sul mare e conquista diCipro 652 Mu’awiyâh ibn Hudayg effettua la primaspedizione contro la Sicilia 667 Occupazione araba di Calcedonia (Anatolia) 669 Aba Allâh ibn Qays attacca Siracusa 670 ‘Uqba ibn Nafì attacca i Berberi e conquistail Maghreb 674-680 Primo assedio arabo di Costantinopoli 698 Gli Arabi prendono Cartagine ai Bizantini 700 Assalto arabo a Pantelleria, ripopolata dagliesuli di Cartagine 704 L’emiro Musâ proclama la guerra santa nelMediterraneo occidentale, infesta il Tirreno e as-sale la Sicilia 710 Attacco arabo a Cagliari 711 Tariq sbarca nella Spagna meridionale einizia la conquista della penisola iberica 715-717 Secondo assedio arabo di Costantino-poli 720 Mohammed ibn Aws attacca le coste dellaSicilia 722-737 I Chazary impediscono agli Arabi laconquista della Russia meridionale 727 Aggressione alle coste della Sicilia 728 Utmân Ubaydâh attacca ancora le coste si-ciliane

729 Al Mustanîr attacca le coste siciliane 731 Tabît ibn Hutayn attacca le coste siciliane 732 Abd al Mâlik ibn Qatân attacca le coste sici-liane. Carlo Martello, re dei Franchi ferma gliarabi di Abd ar-Rahman sconfiggendoli il 7 otto-bre fra Poitiers e Tours con l’aiuto della cavalle-ria longobarda. Primo incontro fra Islamici ePadani733 Abd Allâh ibn Ziyâd attacca le coste dellaSardegna. Abû Bakr ibn Suwad attacca le costedella Sicilia.734 Ubâyd Allâh ibn al-Habbâb attacca le costedella Sicilia735 Ubâyd Allâh ibn al-Habbâb attacca le costedella Sardegna737 Qutâm ibn Awanâh attacca le coste dellaSardegna. Le truppe di Liutprando conquistanoNarbona738 Liutprando sconfigge gli Arabi ad Arles740 Primo sbarco in Sicilia di un esercito sara-ceno, guidato da Abd ar-Rahmân753 Ulteriore sbarco in Sicilia di Abd Allâh 778 Carlo Magno viene sconfitto a Roncisvalledai Baschi e non può continuare la liberazionedella Spagna. Il giorno 8 settembre Franchi eLongobardi sconfiggono gli Arabi a Sabart, suiPirenei.806 I Musulmani occupano Tyana, in Anatolia, eavanzano fino ad Ankara. Ademaro, conte fran-co di Genova, combatte i Saraceni in Corsica812 Anno di grande attività dei predoni saraceniche attaccano Lampedusa, la Sicilia, Ischia,Reggio Calabria, la Sardegna, la Corsica e Nizza.Attacchi arabi delle coste della Corsica e dellaSardegna813 Sbarco in Sardegna di Abu al-Abbds819 Attacco alla Sicilia di Muhammâd ibn AbdAllâh ibn al-Aglâb 827 Il 14 giugno Abd Allâh Asâd sbarca in Sici-lia con un esercito e comincia la conquista del-l’isola. Saccheggio arabo di Bonifacio. Il Contedella Gherardesca, al comando di una squadrapisana, sbarca in Tunisia, libera gli schiavi cri-stiani, sconfigge l’emiro arabo Muhammâd ibnSahnûn e assedia e conquista la sua capitale Al-Qayrawân 828 I Veneziani trafugano il corpo di San Mar-

Cronologia

4 - Quaderni Padani Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999

co da Alessandria d’Egitto e lo portano a Vene-zia 829 I Saraceni sbarcano a Centocelle (odiernaCivitavecchia) e insediano una loro base830 I Saraceni invadono la campagna romana esaccheggiano le basiliche di San Paolo e di SanPietro 831 A settembre, Palermo si arrende agli Arabi835 Andrea, console di Napoli, si allea con i Sa-raceni contro i Longobardi beneventani che as-sediano la città 838 Napoletani e Saraceni, guidati da IbrahîmAbd Allîh, sbarcano a Brindisi e sconfiggono iLongobardi beneventani. Attacco saraceno aMarsiglia 839 Incursioni saracene in Calabria. Sahîb alUstûl sbarca e conquista Taranto840 Bari resiste all’attacco di Hablâh al-Hayâk.Scontro navale davanti a Taranto fra Saraceni eVeneziani, che vengono battuti e inseguiti finoalle coste dell’Istria. Saccheggio di Cherso, delDelta del Po e di Ancona 841 Sahîb al Ustûl si spinge nel Quarnaro esbaraglia la flotta veneziana all’isola di Sansego 842 Il 10 agosto Halfûn prende Bari e la sac-cheggia. I Longobardi meridionali, capitanati daSiconolfo, lo battono a Canosa (BA). Dalla basedi Bari, Halfûn parte per saccheggiare le costedella Puglia e della Campania, dove assale Ca-pua. Attacco saraceno ad Arles 843 L’emiro palermitano al-Fâdl caccia i Bizan-tini da Messina con l’aiuto dei Napoletani. Apo-lofâr devasta il territorio di Benevento approfit-tando delle liti fra i duchi longobardi 844 I Normanni sbarcano in Spagna e occupanotemporaneamente Siviglia 846 Spedizioni saracene a Ponza e a Capo Misenodove insediano una base. Il 23 agosto gli Arabisbarcano alla foce del Tevere, assediano Ostia,saccheggiano nuovamente le basiliche di SanPietro e di San Paolo e l’entroterra fino a Subia-co, e assediano Roma. Cacciati, si spingono a de-predare Terracina, Fondi e ad assediare Gaeta 846-847 Abumassâr, alleato dei Longobardi be-neventani, saccheggia le campagne del Lazio,della Terra di Lavoro, dell’Irpinia, di Isernia, del-la Valle del Liri, fino ai dintorni di Roma 848 Gli Arabi conquistano Ragusa di Sicilia e at-taccano Marsiglia 849 Saraceni saccheggiano Luni, e Capo Teula-da in Sardegna. Una squadra araba è battuta nel-la battaglia navale di Ostia 850 Attacco arabo contro Arles 851 Radelchi, duca di Benevento, e Ludovico, re

dei Franchi distruggono le bande di Abumassâr 852-853 Al-Abbâs assale le coste calabresi ecampane e vi pone presidi. 852 Re Ludovico tenta per due volte di liberareBari. Desiste a causa delle divisioni dei Longo-bardi beneventani e per i tradimenti capuani.Dopo la partenza dei Franchi, Sawdân prendeBenevento e poi attacca Capua, Cuma e Pozzuoli 855 Sawdân sconfigge i cristiani nei pressi diBari856 Incursioni arabe a Isernia, Canosa, Capua eTeano 859 Gli Arabi prendono Enna866 Re Ludovico torna per combattere i Sarace-ni. E’ tradito dai Capuani: per punizione assediae prende Capua 867 Re Ludovico assedia Bari ma viene sconfittosul Tavoliere da Sawdân. Gli Arabi saccheggianoil monastero di San Michele sul Gargano. I Sara-ceni occupano alcune città dalmate e assedianoRagusa. La flotta veneziana, guidata dal dogeOrso, li insegue e li sbaraglia davanti a Taranto 868 Re Ludovico libera Matera, Venosa (PZ) eparte della Calabria. 869 Re Ludovico assedia ancora una volta Barima viene ancora sconfitto dal solito Sawdân.Bande di Saraceni invadono la Camargue 870 Gli Arabi occupano Malta e saccheggianoRavenna871 Il 2 febbraio Ludovico libera finalmente Ba-ri. I Saraceni si rifugiano a Mattinata, sul Garga-no e riprendono le scorrerie. I Franchi assedia-no Taranto. Il 25 agosto gli alleati meridionali sirivoltano contro Ludovico e lo imprigionano. Loliberano il 17 settembre per paura della ritor-sione franca. Abd Allâh rientra a Taranto, poneuna base a Cetara (SA) e assedia Salerno 872 Add al-Malîk, alleato di Napoli e Amalfi, at-tacca Benevento e Capua. Ludovico perdona iMeridionali per i loro continui tradimenti e soc-corre Salerno, con un esercito di Padani battegli Arabi a San Martino (SA). Nella battagliamuore il comandante quindicenne dei Padani,Guntario, nipote del re. Gli Arabi scappano esaccheggiano la Calabria. 875 Gli Arabi di Taranto riprendono le scorreriea Benevento e in Puglia. Il loro capo Utmân, li-bera Sawdân che ricomincia le sue sanguinosescorrerie. I Saraceni tentano un attacco a Gra-do ma vengono respinti dai Veneziani, guidatidal doge Giovanni. Allora saccheggiano Co-macchio. Gaeta, Amalfi, Salerno e Napoli rinno-vano la loro alleanza con gli Arabi e concedonol’uso dei loro porti. I Saraceni stabiliscono una

Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999 Quaderni Padani - 5

base permanente ad Agropoli (a sud di Salerno).Inutile appello di papa Giovanni VIII a Landolfo(vescovo e signore di Capua), Docibile (“ìpato”di Gaeta), Pulcare (prefetto di Amalfi), Sergio(duca di Napoli) e a Guaiferio (principe di Sa-lerno) ad abbandonare l’alleanza con i Saraceni. 876 Gli Arabi saccheggiano Velletri e la Sabinia 877 Un esercito dell’imperatore Carlo il Calvo edi papa Giovanni VIII scende a riportare ordine.I Meridionali fingono di pentirsi ma, appenapartiti i Cristiani, tornano a trescare con gliArabi. Giovanni VIII ricorre alla scomunica con-tro le città meridionali e batte una flotta sarace-na davanti a Terracina. 878 Fine della resistenza di Siracusa, 21 maggio879 Gli Arabi prendono Taormina. 879 I Saraceni saccheggiano Teano, Caserta e lacampagna romana. Papa Giovanni si accordacon Pulcare per fare liberare Centocelle e versa10.000 mancusi d’argento che Amalfi si tienesenza rispettare i patti. Una flotta bizantina bat-te gli Arabi davanti a Napoli. Questi si rifugianosul Circeo, ottengono aiuto dai Napoletani, at-taccano Fondi e Formia, e stabiliscono una basestabile sulle foci del Garigliano. Per 40 anni sa-ranno padroni delle campagne di Benevento,Capua, Roma e del ducato di Spoleto. 880 Attanasio, principe e vescovo di Napoli, cheda decenni riceve una tassa sul bottino dellescorrerie dei Saraceni, li chiama in aiuto controil papa. Il loro capo, Sichaim, si stabilisce a Ce-tara (SA) e saccheggia Telese (BN), i dintorni diGaeta, e si spinge verso Roma. Il comandante bi-zantino Niceto Orifa attacca le basi saracene diCreta e Corinto. Il cristiano maronita Nasar bat-te la flotta araba a Cefalonia, assale Reggio, Pa-lermo, Termini e Cefalù e impianta una base sul-le Madonie (Basileàpolis) 881 Il papa scomunica il vescovo di Napoli perla sua alleanza con i Saraceni 882 Finalmente Attanasio rompe l’alleanza coni Saraceni. L’imperatore bizantino Niceforo Focainizia a liberare la Calabria. Muhammâd ibn al-Fadl massacra i Bizantini delle Madonie 885 I Saraceni del Garigliano saccheggianoMontecassino e la Terra di Lavoro. Attanasio siallea di nuovo con loro 887 Arrân viene sconfitto dai monaci armati diSan Martino in Marsico (BN) e, dopo, alle For-che Caudine dal duca Guido di Spoleto888 Attacco a Teano. Attanasio e i suoi alleatisaraceni assediano Capua. I Saraceni tradisconotutti e attaccano Napoli e Salerno, che li respin-gono

889 Papa Stefano VI distrugge la base saracenadi Centocelle. Muore Attanasio e i Saracenisgomberano Agropoli. Sawdân assedia Taorminache si era ribellata . 890 I Mori di Spagna attaccano la costa proven-zale e stabiliscono una base a Frassineto (LaGarde-Freinet) 898 Saccheggio saraceno della Badia di Farfa(RI)902 Ibrahîm (Brachìmo) sconfigge il 1 agosto iBizantini sbarcati per aiutare Taormina e mas-sacra i difensori. Il 3 settembre passa lo stretto,prende Reggio e tenta l’assedio di Cosenza. 906 Incursione saracena in Val di Susa*908 Atenolfo, principe di Benevento, tenta inu-tilmente di cacciare i Saraceni dal Garigliano,che sono aiutati da Gaeta 912 Incursione saracena all’Abbazia di Novale-sa (TO)*913 Ibn Qurûb attacca la Calabria 914 Gli Arabi stabiliscono basi a Trevi e a Sutri.Ibn Qurûb attacca nuovamente le coste calabresi 915 Papa Giovanni X sconfigge gli Arabi sul Ga-rigliano916 Il 14 giugno papa Giovanni X e Alberigo,comandante di un esercito di Lombardi inviatoda Berengario, re d’Italia, cacciano Jrierach dalGarigliano. Incursione saracena nella Moriana(Savoia)*918 I Bizantini riprendono la Calabria ad al-Mahdî e saccheggiano Reggio. Prima scorreriasulla costa ligure 922 Sabìr prende e saccheggia Taranto924 Masûd attacca e prende Sant’Agata di Cala-bria 925 Incursioni saracene in tutta la Calabria finoin terra d’Otranto, assedio e massacro di Oria(BR) 928 Fallito assalto a Otranto. Sabìr attacca Sa-lerno e Napoli che, per salvarsi, pagano tributi 929 Sabìr saccheggia le coste calabresi 930 Pestum viene saccheggiata934 Yaqûb assale la costa ligure 935 Yaqûb saccheggia Genova; viene raggiuntoe battuto presso l’isola dell’Asinaria dalla flot-ta genovese che era assente dalla città936 (o 939) Fallito attacco saraceno ad Acqui,difesa dal conte Aleramo*940 Incursione saracena al passo del San Ber-nardo*950 L’emiro palermitano Hasân assale Reggio eGerace (RC) e assedia Cassano Jonio (CS) 951 I Saraceni richiedono pedaggi per il pas-saggio del colle del San Bernardo*

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952 L’emiro palermitano Hasân batte i Bizanti-ni a Gerace e la sua cavalleria giunge fino alGargano. Gli Arabi, alleati con Napoli, coloniz-zano la Calabria 956 L’imperatore bizantino Costantino mandaMariano Agirio a punire Napoli e a proseguireverso sud per liberare il Meridione dagli Arabi 957 L’ammiraglio bizantino Basilio prende Reg-gio e attacca Termini e Mazara, in Sicilia958 Hasân tenta un attacco a Otranto960 San Bernardo da Mentone vince e inseguei Saraceni in Val d’Aosta, fino a Vercelli*962 Il 25 dicembre Hasân prende Taormina chesi era ribellata un’altra volta964 Sbarco bizantino a Messina, al comandodell’ammiraglio Niceta, per liberare Rametta(CT) assediata. I Bizantini sono respinti 965 Gli Arabi prendono Rametta, ultima roc-caforte siciliana. Nella battaglia navale dellostretto, Ahmâd batte Niceta. Ahmâd sbarca inCalabria 969 Saccheggi saraceni nell’Albesano (AT)*972 (o 973) Il conte di Torino, Arduino il Cal-vo, il conte Forcalquier Roubaud e Guglielmoconte di Provenza cacciano i Saraceni dalle Alpie liberano Frassineto 975 I Greci riprendono Bitonto (BA).976 Bizantini e Pisani tentano uno sbarco aMessina. Li batte e insegue Al-Qasîm che passalo stretto, assedia Cosenza, e va in Puglia ad as-sediare Gravina 977 Al-Qasîm prende Reggio, Taranto, Otranto,Oria (BR) e Gallipoli (LE)978 Al-Qasîm saccheggia la Calabria981 Ancora saccheggi in Calabria . 982 L’imperatore Ottone II, con un esercito diTedeschi e di Padani, attacca i Bizantini che sialleano con gli Arabi. Vince a Rossano (CS) maviene sbaragliato il 15 luglio a Capo Colonna 986 I Saraceni saccheggiano Gerace987 I Saraceni saccheggiano Cassano Jonio988 Gli Arabi prendono Cosenza e la Terra diBari991 Presa di Taranto994 Assedio e presa di Matera996-1021 Persecuzioni di Hakhim contro ebreie cristiani1002 Incursioni a Benevento e nelle campagnenapoletane, assedio di Capua 1003 Incursioni nell’entroterra di Taranto. At-tacco a Lérins, in Provenza1004 Sciâfì assedia Bari, salvata dal doge PietroOrseolo II che entra in città con la flotta il 6settembre

1005 I Pisani prendono Reggio. Mugehîd (Mu-scetto) dalla Spagna sbarca in Sardegna, scon-figge il giudice Malotto e pone una base a Por-to Torres da cui parte per saccheggiare Pisa. IPisani, tornati da Reggio, guidati dall’ammira-glio Vittore Ricucchi, sbarcano a Olbia per aiuta-re i Sardi in rivolta. Muscetto si ritira all’inter-no dell’isola 1009 Sciâfì occupa Cosenza. A Gerusalemme, ilsultano Hakhim fa distruggere il Santo Sepolcro 1011 I Pugliesi, guidati dal longobardo Melo, siribellano ai Bizantini. Attaccano i Saraceni (co-mandati da Ismaele), alleati dei Bizantini, aMontepeloso. Liberano temporaneamente Bariche è poi ripresa dai Greci1012 I Pisani, guidati dall’ammiraglio Bartolo-meo Carletti, sconfiggono la flotta di Muscettoallo Stretto di Bonifacio 1013 Il pisano Raimondo Seccamerenda batteancora a Bonifacio Muscetto che riesce ancora ascappare 1016 Saraceni africani assediano Salerno, difesada cavalieri normanni. Muscetto consolida il suopotere in Sardegna, saccheggia Luni e vi fa baseper poche settimane. Accorrono Genovesi e Pi-sani ma Muscetto riesce a fuggire e riprende ainfestare le coste del Tirreno 1017 Genovesi e Pisani liberano la Sardegna1020 I Bizantini chiamano in soccorso i Moricontro le ribellioni in Puglia. Al-Aklâl installauna base a Bisignano, presso Cosenza 1023 Muscetto attacca Civitavecchia e dintorni,poi Capua e la Puglia. I Saraceni di Bisignanoassediano Bari e, al comando del caid Giafâr, at-taccano le coste calabresi 1029 Giafâr saccheggia le coste pugliesi 1031 Giafâr saccheggia Cassano Jonio 1034 I Pisani sbarcano a Bona (Tunisia), pren-dono la città e uccidono Muscetto. Le azioni dipirateria continuano per tutto il secolo anche apartire dalle numerose basi che i Saraceni han-no impiantato lungo la penisola, sul Gargano, inCapitanata e in Calabria. Le coste più colpite so-no quelle della Puglia, della Calabria e del Mo-lise. 1038 Una coalizione di Bizantini, Normanni eLombardi (guidati da Ardoino) passa lo stretto eprende Messina 1040 L’esercito cristiano sconfigge Abd Allâh aTraina (ME)1042 I Saraceni attaccano Messina ma sono re-spinti 1047 Incursione saracena a Lérins 1061 140 cavalieri normanni, guidati da Rugge-

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ro, sbarcano a Messina e iniziano la liberazionedella Sicilia 1063 Incursione pisana contro il porto di Paler-mo1068 Ruggero vince a Missolungi1071 Gli Arabi vincono la battaglia di Manzikerte iniziano la conquista dell’Anatolia1072 Il 10 gennaio viene liberata Palermo 1074 Sbarco di Saraceni tunisini a Nicotera, inCalabria. Papa Gregorio VII progetta per primola liberazione della Terra Santa 1077 Morano Calabro è liberata da Roberto ilGuiscardo. I Normanni liberano Trapani 1078 Liberazione di Taormina 1080 Saraceni, al servizio dei Normanni, sac-cheggiano Roma 1085 Benavert, per vendicarsi delle vittorie deiNormanni, sbarca in Calabria e poi si rifugia aSiracusa. Alfonso VI di Castiglia libera Toledo 1086 Ruggero libera Siracusa1087 A metà luglio si raduna davanti a Pantelle-ria una squadra navale composta da Pontifici(guidati dal principe Pietro Colonna), Genovesi(Lamberto Fornari e Gandolfo Piccamiglia),Pisani (Sismondo Sismondi e Ugo Visconti),Amalfitani (il patrizio Pantaleone) e Calabresi (ilpatrizio Siponto) che conquista l’isola e attaccail pirata Tamîn nel suo covo di Al-Mahdîa (fraHammamet e Gabes, in Tunisia). Il 6 agosto lovincono e liberano molte migliaia di schiavi cri-stiani1091 Viene liberata Noto, ultima città sicilianain mano agli Arabi1092 Genovesi, Pisani e Castigliani attaccanoValenza 1095 Urbano II proclama la Crociata1096 Inizio della Prima Crociata (1096-1099) 1097 Vittorioso assedio di Nicea. Vittoria deiCrociati a Dorileo sul sultano di Iconio. La flottagenovese partecipa a tutte le azioni 1098 Presa di Antiochia 1099 Il l5 luglio Gerusalemme viene conquista-ta. I primi a salire sulle sue mura espugnatesono i Crociati lombardi guidati da Giovanni daRho. L’assedio era stato organizzato e direttodal genovese Guglielmo Embriaco, detto Testa-dimaglio 1100 I Veneziani conquistano Haifa e Giaffa1101 I Genovesi conquistano Cesarea1102 I Genovesi prendono Tortosa e attaccanoAcri1104 Vittorie veneziane a Giaffa e Sidone 1105 Pisani e Genovesi sbarcano nuovamente aAl-Mahdîa perchè non erano stati rispettati gli

accordi sulla cessazione delle incursioni sara-cene1107 Guglielmo Embriaco e Primo di Castelloattaccano Tripoli 1110 I Crociati prendono Sidone. Venezia ottie-ne parte di San Giovanni d’Acri. I Genovesiconquistano Beyrouth e Malmistra 1113 Papa Pasquale II istituisce la “Confrater-nita dell’Ospedale di Gerusalemme” (poi, dal1120, trasformata da Raymond de Puy in “Ca-valieri di San Giovanni” o “di Malta”)1115 I Pisani liberano le Baleari dai Saraceni1120 Hugo de Payns costituisce l’”Ordine deiTemplari”1122 Scorreria saracena a Patti e Siracusa1123 La flotta veneziana batte gli Egiziani adAscalona, il 30 maggio1127 Maymûn (Maimone) attacca Catania esaccheggia Siracusa1136 I Genovesi, stanchi delle incursioni deiSaraceni spagnoli, attaccano Almeria1137 I Genovesi attaccano nuovamente Almeria1139 Alfonso I batte i Mori a Ourique e si pro-clama re di Portogallo1144 L’emiro Imaddedin Zenkis (Zanki) conqui-sta Edessa1146 I Genovesi (guidati da Oberto Torre, Filip-po da Pizzalunga, Baldoino e Ansaldo Doria)attaccano Minorca e distruggono la base sarace-na1147 Seconda crociata (l147-l149). I Genovesitornano ad attaccare Almeria1148 I Genovesi attaccano la base spagnola diTortosa1161 L’ammiraglio genovese Oberto Spinolaattacca Denia, in Spagna1176 I Turchi Selgiuchidi battono i Bizantini aMiriocefalo1187 Il sultano Salah-ed-Din (Saladino) scon-figge ad Hattin Guido di Lusignano e, il 21 otto-bre, conquista Gerusalemme.1189 Terza Crociata (l189-1192)1190 Federico Barbarossa vince i Musulmani aIconio.1191 Riccardo Cuor di Leone e Filippo II Augu-sto di Francia conquistano San Giovanni d’Acri.Viene liberato il territorio costiero fra Tiro eGiaffa e l’isola di Cipro che viene data a Guido diLusignano1197 Incursione saracena a Lérins. L’imperatoreEnrico VI bandisce una Crociata che conquistasolo una striscia di terra presso Antiochia. Gio-vanni de Matha e Felice di Valois fondano l’“Or-dine della Santissima Trinità per il riscatto degli

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schiavi” (Trinitari)1199 Primo viaggio di riscatto dei Trinitari1200 Rivolta araba ad Agrigento1202 Quarta crociata (1202-1204)1212 I Castigliani sconfiggono i Mori a Las Na-vas de Tolosa1213 Accordi fra Venezia e Genova contro icorsari saraceni1217 Una spedizione in Palestina voluta da papaGregorio IX finisce con una sconfitta in Egitto1218 Don Pedro Nolasco istituisce il “Reale emilitare Ordine della Mercede per il riscatto de-gli schiavi” (Mercedari)1223 Federico II installa una colonia araba aLucera1228 Quinta Crociata (1228-1229)1229 Al-Malik al Kamil cede Gerusalemme aiCristiani in seguito ad uno strano accordo conFederico II, grande amico dei Musulmani1236 Ferdinando III libera Cordoba1237 A Cortenuova Federico II scatena i suoimiliziani arabi contro l’esercito della SecondaLega Lombarda1238 Federico II impiega milizie arabe all’as-sedio di Brescia ma viene sconfitto. Giacomo Idi Aragona libera le Baleari e Valenza1244 Definitiva conquista di Gerusalemme daparte dei Musulmani1248 Sesta Crociata (1248-1254). Liberazione diSiviglia.1249 Luigi IX di Francia occupa Damietta, maviene battuto a Mansura.1270 Settima crociata. Luigi IX vuole liberare ilMediterraneo dai pirati tunisini: il 17 luglioprende Cartagine1291 I Mamelucchi prendono le ultime roc-caforti cristiane: San Giovanni d’Acri, Tiro, Bei-rut e Sidone. I Cavalieri di San Giovanni si tra-sferiscono a Cipro1295 Saccheggio saraceno di Ponza1300 Il 26 agosto, Carlo II d’Angiò stermina lacolonia saracena di Lucera, che non ha cessatodi creare problemi in Puglia fin dal suo insedia-mento1305 La Compagnia Catalana, al servizio del-l’imperatore bizantino Andronico II, sconfigge iTurchi di Osman a Leuke1308 I Turchi prendono Efeso e l’isola di Chio. ITartari del Kipeiach tentano di cacciare i Geno-vesi da Caffa1309 I Cavalieri di San Giovanni si trasferisconoa Rodi1326 I Turchi conquistano Brussa1329 I Turchi prendono Nicea (Urchan)

1330 I Turchi sconfiggono i Bulgari a Velbuzhd1337 I Turchi conquistano Nicomedia e si in-stallano sul Mar di Marmara1356 I Turchi prendono Gallipoli, sul Mar diMarmara e sbarcano in Europa1359 Per la prima volta i Turchi si presentanodavanti alle mura di Costantinopoli1365 Murad I entra ad Adrianopoli e dà avvio al-la pulizia etnica dell’Anatolia cacciando le popo-lazioni residenti e sostituendole con turchi1366-1367 Spedizione in Oriente di AmedeoVI di Savoia, conquista di Gallipoli e liberazio-ne dell’Imperatore Giovanni V1368 Incursione saracena a Porto Maurizio1369 Alleanza fra Genova e Venezia contro ilsultano d’Egitto1371 I Turchi sconfiggono i Serbi sulla Maritza1374 L’isola della Gorgona viene sgomberata acausa delle incursioni saracene1382 I Turchi occupano Sofia1385 Giovanni I di Portogallo sconfigge i Mori aAlijbarrota1386 I Turchi occupano Nis, in Macedonia1387 I Serbi sconfiggono i Turchi asul fiumeToplitza1388 Il doge genovese Antoniotto Adornoprende l’isola tunisina di Gerbe e organizza unaspedizione contro la Berberia cui partecipanocavalieri francesi, fiamminghi e inglesi. Primadel loro arrivo, l’emiro di Tunisi chiede pace1389 I Turchi di Murad I battono i Serbi a Ko-sovo Polje (il “piano dei Merli”) grazie al tradi-mento dei Kossovari1389-1403 Bayazid I Yildirim assedia più volteCostantinopoli1396 Bayazid I Yildirim sconfigge a Nicopoli laCrociata di Giovanni di Nevers1415 I Portoghesi prendono Ceuta1416 Vittoria a Gallipoli della flotta venezianaguidata da Piero Loredan1422 Murad II assedia Costantinopoli1423 I Turchi prendono il Peloponneso e la Mo-rea. Salonicco si dà a Venezia1425 Abbandono dell’isola di Montecristo a cau-sa delle continue incursioni saracene1430 I Turchi prendono Salonicco, la Macedo-nia, l’Epiro e la città di Giannina1437 Edoardo I di Portogallo assedia inutilmen-te Tangeri1441 L’ungherese Giovanni Hunyadi sconfigge iturchi a Smenderevo1443 Re Ladislao III di Ungheria, a capo dellacoalizione cristiana voluta da papa Eugenio IV,caccia i Turchi dalla Bulgaria. Il principe Gior-

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gio Castriota, detto Skandemberg, inizia laguerra di liberazione dell’Albania1444 Ladislao III di Ungheria è sconfitto e ucci-so a Varna da Murad II1445 Giovanni Hunyadi, Voiwoda di Transilva-nia, sconfigge gli Ottomani in Serbia e in Valac-chia1446 Murad II sottomette la Morea bizantina1448 Giovanni Hunyadi è sconfitto nella secon-da battaglia di Kosovo Polje. I Turchi minaccia-no l’Ungheria1450 Skandemberg sconfigge Murad II1453 Maometto II il Fatih (“Il conquistatore”)prende Costantinopoli. Cadono in battaglia l’ul-timo imperatore Costantino XI e Giovanni Giu-stiniani, eroico comandante della guarnigionegenovese. Inutile è il soccorso navale venezianoal comando di Jacopo Loredan1455 I Turchi prendono Focea, Tasso e Imbro,nell’Egeo1456 Caduta di Atene. Hunyadi ferma i Turchidavanti a Belgrado. Callisto III indice una Cro-ciata contro i Turchi1458 Maometto II sottomette tutte le signoriecristiane di Grecia tranne le colonie veneziane.Dopo due anni di assedio, cade l’Acropoli di Ate-ne1459 La Serbia diventa provincia ottomana. PioII proclama la Crociata1460 I Turchi occupano tutto il Peloponneso1461 Cade anche Trebisonda, ultimo stato bi-zantino. I Turchi occupano la colonia genovesedi Salmastro1462 Maometto II sconfigge Vlad Tepes e occu-pa la Valacchia. Prende Mitilene (Lesbo) ai Ge-novesi1463 Con la conquista turca di Argo ha inizio laprima guerra fra Venezia e i Turchi1468 Muore Skandemberg e l’Albania viene oc-cupata1470 I Turchi occupano la veneziana Negropon-te1470-1500 Periodo di massima infestazione dipirati islamici nel Mediterraneo1471 Scorrerie ottomane in Carniola, Istria,Monfalconese e Triestino. I Portoghesi prendo-no Tangeri1472 Scorrerie ottomane in Croazia, primo at-tacco al Friuli1473 Scorrerie ottomane in Carniola e Carinzia1474 Scorrerie ottomane in Croazia e Slavonia.Assedio e resistenza della veneziana Scutari1475 Incursioni turche in Stiria inferiore e Car-niola. Stefano il Grande, granduca di Moldavia

batte i Turchi sulla Racova. I Turchi prendonoKaffa e tutta la Crimea ai Genovesi: a Soldajagli ultimi difensori muoiono murati nella chie-sa dove si erano asseragliati, piuttosto che ar-rendersi1476 Incursioni turche in Carniola, Stiria, e inIstria fino a Gorizia e Trieste1477 Incursione in Friuli, devastato di qua e dilà del Tagliamento1478 Scorreria in Carniola, Istria e Dalmazia1479 Pace fra Venezia e i Turchi: cessione dipossedimenti greci (Negroponte e Lemno) e diScutari1480-1481 I Turchi conquistano Otranto e nemassacrano la popolazione1482 Incursione ottomana in Istria e Carniola1483 Incursione in Carniola. Annessione turcadell’Erzegovina1484 Conquista turca dei porti di Kilia e Alcker-man sulla Moldava. Il sultano Baiazet II cedeZante a Venezia1488 Scorrerie ottomane in Carinzia e Carniola1489 I Veneziani ereditano Cipro dai Lusigna-no1491 Incursione in Carniola. Stefano III, princi-pe della Moldavia, si assoggetta ai Turchi1492 I Re cattolici prendono Granada e comple-tano la liberazione della Spagna (“Reconquista”).Incursione turca in Carinzia. Boccolino Guzzonechiede a Bayezid II di sbarcare ad Ancona.1493 Scorrerie in Istria, Carniola e Carinzia1497 Gli Spagnoli prendono Melilla1498 Scorrerie ottomane in Carniola e Istria1499 Grande scorreria turca in Friuli, fino aiconfini della Marca Trevigiana1500 Sconfitta veneziana nelle acque delloZonchio, perdita di Modone e di Corone1501 Kemàl Raìs saccheggia Pianosa1502 Bayazid II è sconfitto all’Isola di SantaMaura da Veneziani, Francesi e Spagnoli1505 Gli Spagnoli occupano Mers el-Kébir, nel-l’Algeria occidentale1509 Gli Spagnoli occupano Orano, in Algeria1510 La flotta spagnola occupa Bugia (Tunisia),Tripoli e Algeri per distruggere le basi dei piratimoreschi Arug, Khay al-Din (detto Barbarossa),e Dragut1511 I Turchi assoggettano la Moldavia1516 Kurdogli saccheggia Lavinio, sul litoraleromano1517 I Portoghesi sono sconfitti dai Turchi nelMar Rosso1520-1530 Il pirata Babarossa riprende il con-trollo di quasi tutti i porti barbareschi

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1521 Suleiman II (Solimano) il Magnifico pren-de Belgrado1522 I Turchi prendono Rodi ai Cavalieri di SanGiovanni di Gerusalemme che si trasferiscono aMalta assumendo il nome di “Cavalieri di Malta”1526 Suleiman II batte gli Ungheresi a Mohàcsl528 I Turchi assoggettano il Montenegrol529 Suleiman II intraprende il primo assedio diVienna. Occupa la Georgia e l’Armenial530 Carlo V cede Tripoli ai Cavalieri di Malta.Assedio arabo di Algeri. Andrea Doria effettuaincursioni sulla costa algerinal531 Khaireddin saccheggia le coste dell’Anda-lusial532 Veneziani, Genovesi (alla guida di AndreaDoria) e Cavalieri prendono Corone e Patras-so. Gli Austriaci battono i Turchi a Güns e licacciano dal loro territoriol533 L’ammiraglio veneziano Girolamo Canalbatte la flotta turca1534 Barbarossa effettua incursioni sulle costecalabresi, nel golfo di Napoli, a Sperlonga eFondi (LT). Negli anni successivi batte le costenapoletane e pugliesi1535 Carlo V occupa Tunisi con l’aiuto dei Ca-valieri e assedia Barbarossa a La Goletta. An-drea Doria ne comanda la flotta1537 Barbarossa assale le isole veneziane delloIonio e dell’Egeo1538 Trattato di alleanza fra Carlo V, papa Pao-lo III e Venezia contro i Turchi1540 Trattato di pace fra Venezia e i Turchi:Venezia rinuncia a Nauplia, Malvani e alle iso-le dell’Egeo. Giannettino Doria sconfiggeDragut1543 Barbarossa saccheggia Reggio. SuleimanII conquista Cinquechiese e gran parte dell’Un-gheria1544 Barbarossa effettua scorrerie in Liguria,Toscana, a Talamone, Ischia, Pozzuoli, Procida eLipari1545 Barbarossa, alleato di Francesco I diFrancia, assedia Nizza1447 Trattato di pace fra i Turchi e l’Impero chepaga un tributo per conservare l’Ungheria1548 Dragut saccheggia Castellarnare di Stabia,Pozzuoli (NA) e Palmi (RC)1550 Dragut saccheggia Rapallo. Gli Spagnoli,i Cavalieri e i Genovesi (al comando di AndreaDoria) attaccano le basi di Dragut a Mahdia eMonastir, in Tunisia. Inizia un decennio di in-cursioni sistematiche in tutto il Mediterraneo,con l’eccezione dell’alto Adriatico1551 Dragut saccheggia Augusta, in Sicilia. Lo

stesso Dragut riesce a sfuggire all’attacco chegli porta l’ammiraglio genovese Andrea Dorianella sua base di Gerba. I Turchi cacciano i Ca-valieri da Tripoli.1552 Una spedizione di Cavalieri e di volontariguidati da fra Leone Strozzi sbarca a Zuara (adovest di Tripoli). A Taormina viene respinto unattacco arabo1553 Dragut attacca Modica. Francesi e Turchi,alleati, attaccano il presidio genovese di Calvi,in Corsica1554 Dragut saccheggia Vieste1555 Dragut assale Paola in Calabria. I Cavalierivincono uno scontro navale a Capo Misurata,sulla costa tripolina1556 Ivan IV conquista Astrachan1558 Dragut saccheggia Sorrento e Massa Lu-brense1560 Fallisce una spedizione cristiana a Gerba,in Tunisia. Nel corso del decennio successivoUluj Ali, un rinnegato calabrese, effettua scorre-rie a Porto Maurizio, Antignano, Celle, Albisso-la, e sulle coste francesi (nonostante una allean-za fra la Francia e i Musulmani) 1562 Il 15 marzo viene costituito a Pisa il “Sa-cro militare ordine marittimo dei cavalieri diSanto Stefano”, che resterà in vita fino al 1809 1564 La Spagna, con l’aiuto dei Cavalieri diMalta e di Santo Stefano, conquista l’isola diPeñon de Velez, sulla costa marocchinal565 Fallito tentativo arabo di conquistare Malta1566 Una flotta turca entra in Adriatico e bom-barda Ortona e Vasto. I Turchi prendono Chio aiGenovesi 1568-1570 Rivolta dei moriscos di Granada1570 Uluj Ali riprende Tunisi. Per circatrent’anni le coste siciliane sono sistematica-mente attaccate da pirati arabi 1571 Il 5 agosto i Turchi prendono Famagosta,ultimo caposaldo veneziano di Cipro: martiriodi Marc’Antonio Bragadin. Il 7 ottobre la flottaturca guidata da Selim II è disfatta a Lepantoda quella cristiana, formata da Pontifici, Impe-riali, Veneziani, Genovesi e Cavalieri di Malta edi Santo Stefano. La coalizione cristiana è statavoluta da papa Pio V, piemontese. I Tartari diCrimea incendiano Mosca. 1573 Don Giovanni d’Austria riprende Tunisi.Pace fra Turchi e Venezia, che rinuncia a Cipro1574-l595 Murad II muove guerra all’Austriaper la conquista dell’Ungheria 1575-1600 I pirati moreschi attaccano sistema-ticamente le coste della Catalogna, Andalusia,Linguadoca, Provenza, Sicilia e Sardegna

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1578 I barbareschi distruggono Quarto, pressoCagliari 1581 Pace fra Turchi e Spagna 1582 Saccheggio di Villanova-Monteleone (SS).I Cavalieri di Santo Stefano attaccano la fortezzaalgerina di al Khol 1585 I Cavalieri di Santo Stefano attaccano Ro-di, Monastir (in Tunisia), e Nicosia (a Cipro)1587 Gli Arabi attaccano Porto Vecchio, in Cor-sica. I Cavalieri di Malta attaccano Monsalada,nel canale di Caramania, in Anatolia 1588 Hasan Aghà saccheggia il litorale laziale ePratica di Mare1591 Il Pascià di Bosnia invade la Croazia au-striaca 1593 Il sultano Murad III aiuta la Bosnia e con-quista Sisag, in Croazia1594 I Turchi prendono l’isola dalmata di Raab1595 Michele l’Ardito, principe di Valacchia siallea con l’imperatore Rodolfo II e batte a Calu-gareni i Turchi di Sinan Pascià 1596 I Barbareschi saccheggiano Scicli (RG) eIsola delle Femmine (PA). Mehmed III sconfiggegli imperiali a Keresztes 1599 I Cavalieri di Santo Stefano, al comandodell’ammiraglio Marcantonio Calefati, fallisco-no un attacco a Chio, nell’Egeo1601 I Cavalieri di Malta attaccano Castelnuovo,in Morea1602 I Cavalieri di Malta attaccano Hammamet,in Tunisia 1603 I Cavalieri di Malta attaccano Lepanto ePatrasso, nello Ionio1604 I Cavalieri di Malta attaccano Coo, nell’E-geo1605 I Cavalieri di Santo Stefano, al comandodi Iacopo Inghirami, attaccano la fortezza diPrevesa. Stephan Boscskay, granduca di Tran-silvania, si allea coi Turchi e caccia gli imperalidall’Ungheria 1606 Pace fra l’imperatore Rodolfo II e i Turchi1607 I Cavalieri di Santo Stefano saccheggianoBona, nell’Algeria orientale1610 I Cavalieri di Santo Stefano sbarcano a Bi-scheri, nell’Algeria orientale, e prendono unafortezza 1611 Cavalieri di Malta, Genovesi e Napoletanidistruggono Gerba. I Cavalieri di Malta tentanola conquista di Navarino (Morea) e prendonoCorinto, al comando di Vassadel Vacqueras. An-cora Napoletani, Genovesi, Siciliani e Cavalieridi Malta effettuano una incursione alle isoleKerkenna, nella Piccola Sirte. I Cavalieri di San-to Stefano attaccano Disto, a Negroponte

1612 I Cavalieri di Santo Stefano attaccanoChieremen, sulla costa anatolica di fronte a Coo1613 I Cavalieri di Santo Stefano assaltano Acli-man, in Caramania 1617 Gli Arabi attaccano l’isola di Madera1618 Cavalieri di Malta e Siciliani attaccano Su-sa, in Tunisia1618-1672 Gli Arabi attaccano sistematicamen-te le coste siciliane 1620 Una flotta inglese, guidata da Sir RobertMansel, percorre la costa barbaresca. I Cavalieridi Malta (guidati da Signorino della Gattinara)attaccano Castel Tornese, in Morea . 1623 Gli Arabi saccheggiano Sperlonga. I Cava-lieri di Santo Stefano (guidati dall’ammiraglioIacopo Inghirami) assaltano 1a fortezza anatoli-ca di Avuan 1624 Cavalieri di Malta e Siciliani vincono unoscontro navale all’isola di Zembalo1625 Pirati moreschi sono respinti da Gioia Tau-ro. Cavalieri di Malta (guidati da Pontalier Talla-mey) attaccano l’isola ionica di Santa Maura 1627 Gli Arabi effettuano una spedizione controle coste dell’Islanda1631 Muràd Raìs saccheggia Baltimore, in Ir-landa1636 Gli Arabi occupano temporaneamente So-lanto (PA) per installarvi una base 1637 Pirati barbareschi saccheggiano Borghet-to Santo Spirito e Ceriale, in Liguria. I Cosac-chi del Don tolgono ai Turchi Azov (restituitanel 1642) 1638 Il capitano veneziano Antonio Marin Cap-pello affonda navi barbaresche a Valona1644 Cavalieri di Malta, guidati da Gabriel deChambres Boisbaudran, vincono lo scontro na-vale di Mar del Levante. Gli Arabi saccheggianoStalettì, in Calabria . 1645 Pirati barbareschi attaccano Bristol, inCornovaglia. I Turchi sbarcano a Canea e inizia-no la cosiddetta Guerra di Candia (1645-1669) 1647 Gli Arabi saccheggiano Argentiére, sullaCosta Azzurra. Il veneziano Tommaso Morosinicon una sola nave affronta e sconfigge 47 gale-re turche 1646 Tommaso Morosini tenta il blocco deiDardanelli1659 Gli Arabi attaccano Plymouth, in Inghil-terra1654-1655 L’ammiraglio inglese Robert Blakeattacca i porti barbareschi1655 L’ammiraglio veneziano Lazzaro Moceni-go vince i turchi ai Dardanelli1656 Altra vittoria navale di Venezia e dei Cava-

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lieri di Malta ai Dardanelli1661 Il capitano generale veneziano Zorzi Mo-rosini vince i Turchi nelle acque di Milo1662 Il commodoro inglese Lawson e l’ammira-glio olandese Ruyter effettuano spedizioni con-tro i porti maghrebini. Vittoria navale venezianaa Stanchiò 1662 Il francese duca di Beaufort occupaDjidjelli, sulla costa orientale algerina 1664 Il 1º agosto, l’esercito austriaco (al co-mando di Raimondo Montecuccoli, e con l’aiu-to della Lega Renana e della Francia) sconfiggeKöprülü, generale di Maometto IV al San Got-tardo sulla Raab. Con la pace di Eisenburg l’Au-stria riconosce al Sultano la facoltà di imporretributi in Transilvania e il possesso di Neuhausele di Gran Varadino1668 Il capitano generale veneziano FrancescoMorosini vince la flotta turca presso Aghia Pe-laghìa1669 L’ammiraglio inglese Allen tenta l’attaccodi Algeri. Fine della guerra di Candia, occupatadai Turchi il 6 settembre 1672 I Turchi attaccano la Polonia e conquista-no fortezza di Kamenez. Col Trattato di Bucraczottengono la Podolia 1673 Il polacco Giovanni Sobieski sconfigge iTurchi del gran visir Ahmed Köprülü a Chocim 1676 Sobieski vince a Leopoli. Col Trattato diZuravno i turchi tengono Kamenez e Podolisa 1677-1681 Prima guerra dei Russi contro i Tur-chi1680 I Turchi saccheggiano Trani e Lecce 1682 L’ammiraglio francese Duquesne bombar-da Algeri. I Turchi fomentano in Ungheria unarivolta antiaustriaca, capeggiata dal conte Eme-rico Thököly 1683 I Turchi assediano Vienna dal 14 luglio.L’imperatore Leopoldo I si allea con GiovanniSobieski, re di Polonia. La difesa contro KaraMustafà è guidata dal conte Ernesto RüdigerStarhemberg. Vienna è liberata dall’esercito au-stro-polacco (con contingenti padani) del ducaCarlo Leopoldo V di Lorena con la battaglia diKahlen Gerg, del 12 settembre 1684 Una squadra navale veneziana, con i Cava-lieri di Malta e di Santo Stefano (guidata daFrancesco Morosini) prende Santa Maura ePrevesa. Innocenzo XI promuove la Lega Santa(Impero, Polonia e Venezia) con contro i Turchi 1684 Inizia fra Venezia e i Turchi la cosiddettaGuerra di Morea (1684-1699)1685 Francesco Morosini conquista la Moreafino all’87

1685 L’ammiraglio francese d’Estrées bombardaTripoli 1686 Carlo, duca di Lorena, libera Buda e alcu-ni territori in Grecia e nella regione danubiana.La Russia aderisce alla Lega contro i Turchi. IVeneziani prendono Modone e Navarino 1687 Carlo sconfigge i Turchi sul Monte Har-san, presso Mohàcz (12 agosto) e libera l’Unghe-ria. I Russi attaccano la Crimea. Morosini pren-de Lepanto, Patrasso, Corinto e Atene 1688 L’Esercito imperiale, al comando del prin-cipe elettore Massimiliano Emanuele diBaviera, libera Belgrado il 6 settembre 1689 Il Margravio Luigi Guglielmo del Badensconfigge i Turchi a Nis il 24 settembre . 1690 Mustafà Köprülü riprende Belgrado. I Ve-neziani prendono e perdono Valona e Giannina.Vittoria navale di Daniele Dolfin e BartolomeoContarini a Mitilene 1691 Luigi Guglielmo di Baden batte i Turchi aSlankamen e libera la Transilvania1692 Il veneziano Domenico Mocenigo tenta losbarco a Candia1696 Pietro il Grande di Russia prende Azov1697 L’11 settembre Eugenio di Savoia batte ilsultano Mustafà II a Zenta. I Veneziani vinconouno scontro navale nelle acque di Andro 1699 Con la Pace di Karlowitz la Turchia cedeall’Austria l’Ungheria, la Transilvania, la Bosniae la Croazia; a Venezia la Morea; alla Polonia laPodolia e Kamenez 1700 Con la Pace di Costantinopoli la Russia ot-tiene Azov 1703 Ahmed III fa guerra a Pietro I e lo vincesul Prut 1708 Algeri riprende Orano agli Spagnoli 1710 I Francesi mandano una flotta a Tunisi1714 I Turchi saccheggiano la zona di Lecce 1715 I Barbareschi saccheggiano Terracina eAnzio. I Turchi tolgono la Morea a Venezia 1716 Alleanza di Austria e Venezia contro i Tur-chi. Il Principe Eugenio di Savoia vince a Pe-terwardein e conquista il Banato. I Veneziani,guidati da Johann Matthias von der Schulen-burg, difendono vittoriosamente Corfù 1717 Il Principe Eugenio vince a Belgrado e lalibera. L’ammiraglio veneziano Lodovico Flan-gini muore nella vittoriosa battaglia davanti alMonte Athos1718 Con la Pace di Passarowitz l’Austria pren-de il Banato, la Piccola Valacchia e la SerbiaSettentrionale. Venezia perde la Morea1727 I Musulmani saccheggiano San Felice alCirceo (LT)

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1728 I Francesi mandano flotte contro Tunisi eTripoli1730-1754 Mahmud I partecipa alla guerra disuccessione polacca e recupera i territori perdu-ti a Passarowitz con la pace di Belgrado (1739)1736-1739 Guerra fra Russia e Turchia1737 L’Austria si allea con la Russia contro iTurchi1739 Il generale russo Münnich vince a Stavu-cane sul Prut e gli Austriaci perdono a Grocka.Pace di Belgrado1741 Il Bey di Tunisi caccia i Genovesi dall’iso-la di Tabarca1754 Saccheggio arabo di Montalto di Castro(VT)1757 I Russi sconfiggono Mustafà III a Cesme,in Bessarabia, in Crimea e a Varna1761 I Napoletani cacciano gli Arabi da Ustica cheavevano tenuto per molto come base operativa1762 I Barbareschi saccheggiano Siniscola eOrosei, in Sardegna1766 Il veneziano Giacomo Nani attacca Tripoli1768 Nuova guerra fra Russi e Turchi1770 Nelle acque di Cesme, i Russi sbaragliano iTurchi1774 Col Trattato di Küciük Kainarge, i Turchicedono ai Russi Azov e la costa del mar Nero frail Bug e il Dnepr1775 L’Austria libera la Bucovina. La Spagnatenta un attacco ad Algeri1780 I Musulmani saccheggiano Castro, in Pu-glia1783 Una flotta spagnola, al comando di donAntonio Barcelò, bombarda Algeri. Gli Arabisaccheggiano le coste calabresi. Caterina II diRussia libera il territorio dei Tatari di Crimea1784-85-86 I Veneziani, guidati da AngeloEmo, attaccano Susa, Sfax, La Goletta e Biser-ta sulla costa tunisina1787-1792 Guerra fra Turchia e Russia1788 L’Austria si schiera con la Russia1792 Con la fine della guerra, la Russia ottienetutta la costa del Mar Nero1798 Napoleone caccia i Cavalieri da Malta eaiuta i Barbareschi a riprendersi. I pirati attac-cano l’isola sarda di San Pietro ma sono respin-ti alla Maddalena e all’isola del Giglio. Spedizio-ne francese in Egitto1799 Dopo la partenza di Napoleone, i Turchiriprendono l’Egitto1801 I Russi prendono la Georgia alla Persia1805 Gli Americani sbarcano a Derna, in Cire-naica. Napoleone manda ad Algeri una squadranavale al comando del fratello Gerolamo

1806-1812 Guerra russo-turca. Con la Pace diBucarest, la Russia prende la Bessarabia 1814 Al Congresso di Vienna, la “questione bar-baresca” viene sollevata da sir Sidney Smith1815-1816 Ripresa delle incursioni barbareschenel Mezzogiorno, nello Stato pontificio e in To-scana1816 L’ammiraglio inglese Lord Exmouth attac-ca i porti del Maghreb1818 A Aix-la-Chapelle viene indetto un Con-gresso internazionale sul problema della pirate-ria nordafricana1819 Flotte congiunte anglo-francesi attaccanoi porti di Tripoli, Tunisi e Algeri1821 Inizio della rivolta anti-turca in Grecia1824 Squadre navali inglesi, francesi e america-ne attaccano Tunisi e Algeri1825 Una squadra sarda, comandata dal capita-no Francesco Sivori, attacca Tunisi1827 Accordo anglo-russo-francese sulla que-stione greca. Una flotta alleata batte i Turchi aNavarino il 20 ottobre1828 La flotta napoletana fallisce un attacco aTripoli. Guerra russo-turca1829 Con la pace di Adrianopoli la Grecia diven-ta indipendente, la Russia ottiene il delta delDanubio e l’Armenia persiana1830 L’occupazione francese dell’Algeria mettefine della pirateria e alla schiavitù di moltitudinidi Europei rapiti dai pirati maghrebini1853 Guerra di Crimea1855 Con la Pace di Parigi, la Turchia riprendela Bessarabia meridionale. Primi insediamentiebraici in Palestina1862 Rivolta anti-turca in Montenegro e in Ser-bia1873 Rivolta anti-turca in Bulgaria1876 Rivolta anti-turca in Bosnia1877 Guerra russo-turca. I Russi arrivano fino aCostantinopoli. La Serbia assale la Turchia1878 Abdülhamid II è battuto dai Russi. ColCongresso di Berlino (in luglio): Serbia, Roma-nia e Montenegro acquistano l’indipendenza; laBosnia-Erzegovina va all’Austria. Alla Russiavanno l’Armenia e la Dobrugia1880 Conferenza di Madrid per il protettoratosul Marocco1881 Protettorato francese in Tunisia. Movi-mento mahdista nel Sudan egiziano1882 Gli Inglesi occupano l’Egitto1895 La Russia termina la conquista del Turke-stan occidentale iniziata nel 18531897 Ultimo atto di pirateria conosciuto ai dan-ni di un padano: il veliero Fiducia proveniente

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dal Nord America (e al comando di EmanueleRazeto di Camogli) è assalito a Alhucemas, sul-la costa marocchina. Rivolta a Creta: i Turchi de-vono concedere l’autonomia1898 Il generale inglese Horatio Herbert Kitche-ner batte il Mahdi Muhammad ibn Abd Alläh aKartoum1903 La Turchia è costretta a concedere auto-nomia alla Macedonia1905 Guglielmo II, imperatore di Germania,sbarca in Marocco1906 Conferenza di Algesiras: il Marocco è asse-gnato alla Francia1907 Accordo anglo-russo sulla Persia e sull’Af-ghanistan1908 L’Austria annette la Bosnia e l’Erzegovina1911-1912 Gli Italiani occupano la Libia e ilDodecanneso (Pace di Losanna)1912-1913 Prima Guerra Balcanica. Con la Pacedi Londra la Turchia rinuncia a Creta, alle isoledell’Egeo e ai territori a ovest della linea Enos-Midia1913 Seconda Guerra Balcanica. Con la Pace diBucarest la Turchia riprende Adrianopoli1914-1918 Prima Guerra Mondiale1915-1916 Genocidio degli Armeni da parte deiTurchi1919-1927 Rivolte anti-italiane in Libia1920 Col Trattato di Sèvres, la Turchia cede laTracia, Smirne e le isole Egee alla Grecia; Rodi eil Dodecanneso all’Italia; i territori arabi sottoforma di Mandato alla Francia e all’Inghilterra,Cipro e l’Egitto all’Inghilterra. L’Armenia turcadiventa indipendente.1920-1922 I Turchi respingono il Trattato diSèvres e cacciano i Greci dall’Anatolia1921 Rivolta nel Marocco spagnolo1922 Mustafà Kemal (detto Ataturk) deponeMaometto VI e fonda la repubblica turca 1923 Con la Pace di Losanna, la Turchia si ri-prende la costa dell’Anatolia. Pulizia etnica conscambio di popolazioni1925-1926 Rivolta di Abd el-Krim in Marocco1928 Hassan al-Banna fonda l’Associazione deiFratelli Musulmani1936 Patto fra Francia, Siria e Libano per l’indi-pendenza1937 Rivolta anti-francese in Siria1938 Rivolta araba anti-inglese in Palestina1939-1945 Seconda Guerra Mondiale1943-1944 Truppe marocchine del Corpo di spe-dizione francese del generale Juin devastano va-ste aree dell’Italia centrale commettendo ognisorta di violenza

1944 Fondazione della Lega degli Stati Arabi(Lega Araba dal 1945)1945 Col Trattato di pace di Parigi, l’Italia perdela Libia. Prime lotte armate fra Arabi ed Ebreiin Palestina1948 Proclamazione dello Stato di Israele. Glistati arabi attaccano Israele ma vengono sconfitti1951 Indipendenza della Libia1952 Rivolte anti-britanniche in Egitto1953 Proclamazione della repubblica in Egitto.Disordini in Marocco. La Libia aderisce alla LegaAraba1954-1962 Guerra di indipendenza algerina1954 Rivolte in Tunisia1955 Rivolta in Marocco1956 Indipendenza della Tunisia e del Marocco1956 L’Egitto nazionalizza il Canale di Suez eprovoca l’intervento militare anglo-francese.Russi e Americani costringono gli Europei a riti-rarsi. Vittoriosa guerra di Israele contro Egitto eSiria1957 Scontri fra Marocco e Spagna in Ifni. Riti-ro di Israele da Gaza e da Sharm el-Sheikh1958-1961 Egitto e Siria formano la Repubbli-ca Araba Unita1958 Rivolta per l’Algeria francese. Insurrezio-ne in Libano con intervento americano1962 Indipendenza dell’Algeria: pulizia etnicacon l’espulsione di centinaia di migliaia di Fran-cesi1965 Inizio di forti migrazioni maghrebine eturche nell’Europa occidentale1967 Guerra dei Sei Giorni: Israele conquista laCisgiordania, Gaza, il Golan e il Sinai1968 Inizio del terrorismo di El Fatah1970 Espulsione degli Italiani dalla Libia. IlFronte Popolare per la Liberazione della Palesti-na dirotta 4 aerei in Giordania1972 Settembre Nero massacra gli atleti israe-liani nel villaggio olimpico di Monaco di Bavie-ra. Attentato palestinese all’aeroporto di TelAviv1973 Guerra dello Yom Kippur: Israele respingel’attacco di Egitto e Siria. Ricatto petrolifero de-gli Arabi contro l’Occidente. Strage palestineseall’aeroporto di Fiumicino1974 I Turchi occupano la parte settentrionaledi Cipro. Massacri effettuati da Palestinesi in Al-ta Galilea1975 Inizio dello sterminio dei Cristiani Maro-niti del Libano. Attacco terroristico al quartieregenerale dell’OPEC, a Vienna1976 Il Marocco prende Ifni e il Sahara spagno-lo. Terroristi palestinesi dirottano un aereo a

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Entebbe, in Uganda: gli ostaggi sono liberati daun commando israeliano1977 Un commando tedesco libera i passeggeridi un aereo dirottato dai Palestinesi a Mogadi-scio. Anno cruciale del terrorismo con 2.218 at-tentati1978 Con gli accordi di Camp David Israele la-scia il Sinai all’Egitto. Invasione del Libano daparte dei terroristi iraniani di Ezbollah: aumen-to degli attentati arabi contro la popolazionedell’Alta Galilea. Israele occupa il Libano meri-dionale1979 Intervento russo in Afghanistan. Rivolu-zione islamica dell’Ayatollah Khomeini in Iran1980 Aumento degli attentati islamici nel mon-do. In Italia scoppiano bombe alla stazione diBologna. A Ustica viene abbattuto un aereo di li-nea. Prime rivolte nei ghetti islamici in Europa1981 Un terrorista turco attenta alla vita di pa-pa Giovanni Paolo II. Battaglia aerea fra ameri-cani e libici sul Golfo della Sirte1982 Attentato islamico alla sinagoga di Roma1983 Massacro all’ambasciata americana di Bei-rut1984 Offensiva russa in Afghanistan. Attentatoislamico alla sede diplomatica americana in Li-bano1985 Terroristi palestinesi dirottano la AchilleLauro. Prime stragi effettuate dagli integralistiin Algeria1986 Attacco americano alla Libia. Recrude-scenza degli atti di terrorismo islamico nelmondo: ad Atene, alla Sinagoga di Istambul, aParigi, in Germania e massacro di Americani eFrancesi a Beirut1987 Inizio dell’invasione siriana del Libano.Gli Iraniani attaccano una nave italiana nelGolfo Persico. Nel corso dell’anno vengono effet-

tuati 831 attentati con 2.905 morti1988 Terroristi islamici abbattono un jumbo aLockerbie, in Scozia1989 Ritiro russo dall’Afghanistan. Creazionedel Maghreb Unito Arabo (Mauritania, Marocco,Algeria, Tunisia e Libia): si torna a formare laBarberia1990 Occupazione siriana del Libano. Iniziodelle guerre nel Caucaso provocate dai Musul-mani. Inizio degli sbarchi sistematici di Islamiciin Italia1991 Inizio degli sbarchi sistematici di Albanesiin Puglia. Guerra del Golfo contro l’Irak1992 Guerra e formazione di uno stato islamicoin Bosnia, con l’aiuto americano1993 Attentato terroristico al World Trade Cen-ter di New York. Attacco americano contro Ba-ghdad1996 Attentati di Hamas in Israele. Attentati an-ti-americani in Arabia Saudita. I Talebani pren-dono il potere in Afghanistan1997 Rivolta in Albania: nuovo esodo massiccioverso le coste italiane. Massacri effettuati da in-tegralisti in Egitto contro turisti occidentali e inAlgeria contro la popolazione. Ripresa degli at-tentati palestinesi in Israele1998 La rivolta islamica nel Kosovo contro laSerbia è appoggiata dagli Americani. Terroristiislamici effettuano stragi alle ambasciate ameri-cane in Kenia e Tanzania. Americani e Inglesiattaccano l’Iraq. Invasione di islamici verso l’Ita-lia1999 Sanatoria del governo italiano per gli im-migrati clandestini: l’invasione è legalizzata.

* Episodio coinvolgente Saraceni o - secondo alcuni - tribùalpine di Salassi (Salassin o sarassin)

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I caratteri dell’invasioneLa principale costante che attraversa e carat-

terizza tutta la storia del mondo islamico è co-stituita dalla sua aggressiva aspirazione al domi-nio e all’espansione, che è segno di inesaustaesuberanza al tempo stesso vitale e mortifera.Ne hanno fatte le spese tutti i paesi e le civiltàcon cui l’Islam è venuto a contatto. È una voca-zione alla conquista e alla sopraffazione che nonsi limita all’assoggettamento dei popoli vinti mache tende a distruggerne le culture preesistentitrasformandoli in musulmani, a loro volta por-tatori di prepotenza, in un gioco terrificante diriproduzione a catena di cellule aggressive cheha portato all’islamizzazione forzata di una co-spicua parte di mondo. Tutte le società con cuil’Islam è venuto a contatto hanno provato que-sta demoniaca capacità di distruzione e di tra-sformazione cui hanno saputo resistere solo lecomunità culturalmente e moralmente più vita-li. Sotto l’opprimente cappa dell’islamizzazioneforzata sono scomparse tutte le antiche civiltàmesopotamiche, anatoliche, persiane e nordafri-cane, l’antica cultura egiziana, Bisanzio e l’elle-nismo, sono state cancellate etnie e identità co-me quelle armene e berbere; sotto l’Islam si so-no frantumate le fragili culture africane ma an-che quelle antiche di una vasta parte della valledell’Indo e del sud-est asiatico. Hanno resistitoalla cancellazione solo i popoli celto-visigoti del-la penisola iberica, quasi tutte le nazioni dei Bal-cani, gli Indiani e alcune eroiche “isole” (i Maro-niti, gli Etiopi, gli Israeliani, i Balinesi, e pochialtri) circondate dal pauroso oceano musulma-no. Tutti quelli che sono riusciti a resistere lohanno però fatto pagando prezzi elevatissimi intermini di sacrifici, di sangue e - a volte - anchedi compromissioni culturali. Si pensi all’Indiache ha salvato la propria cultura e specificità so-lo subendo la dolorosa amputazione di una largaparte del suo territorio e del suo popolo, che erastata irrimediabilmente contagiata. Si pensi allecomunità greche ridotte a una frazione della lo-

ro antica estensione o ai popoli balcanici cheportano ancora dentro di sé i germi di una ma-lattia che può sempre riesplodere (come stà fa-cendo) a partire da alcune sacche etniche e con-fessionali di incubazione rimaste in Bosnia, inAlbania, in Serbia, in Macedonia e in Bulgaria.Oggi molte delle più piccole enclaves di libertàrimaste all’interno del mondo islamico sonoperò in grave pericolo di sopravvivenza senza unadeguato e consapevole aiuto esterno. Lunghisecoli di esperienza storica ci insegnano infattiche la resistenza e la riscossa sono possibili soloin presenza di ampie solidarietà e coalizioni chesappiano far fronte al pericolo: ogni comunitàlasciata sola finisce per soccombere come in undrammatico gioco del Domino. La resistenza èpossibile solo all’interno di un disegno comples-sivo che veda l’impegno di tutte le comunità li-bere. Queste resistenze sono state nel passatopossibili solo in presenza di unità di civiltà e direligioni solide: questo spiega la forza di reazio-ne di Cristiani, Induisti, Israeliti e Buddisti maanche la debolezza delle popolazioni animiste epagane dell’Africa e delle masse sbandate pro-dotte delle società multirazziali americane e -oggi e purtroppo - anche dai più disumani ag-glomerati urbani dell’Europa occidentale.

La virulenza dell’Islam non è però solo ali-mentata dalla debolezza di chi ci stà di frontema, molto ovviamente, anche dalla propria forzache è di origine religiosa, economica ed etnica.

L’Islam è indubbiamente una religione permolti aspetti intollerante e aggressiva: il suoconcetto di guerra santa (gihâd) è forse nato an-che per indicare in termini simbolici il cammi-no di ascesi religiosa, lo “sforzo” compiuto su sestessi, contro i propri nemici interni (“grandeguerra santa”), ma ha visto molto spesso il pre-valere del suo corollario di guerra santa contro inemici esterni (la “piccola guerra”), trasforman-dosi in un sanguinoso motore di aggressionecontro tutti per acquistare meriti o mondarepeccati. Di fatto, la violenza contro i cosiddetti

Il ruolo della Padania nell’eterna lotta fra l’Europa e l’Islam

di Gilberto Oneto

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“infedeli” si è trasformata in uno strumento diredenzione da colpe e bassezze personali e col-lettive. (1)

In ogni caso, i “fedeli” trovano nei testi sacridella loro religione tutte le giustificazioni neces-sarie all’aggressività. I brani che seguono sonouno stralcio di passi significativi del Corano. (2)

“E coloro che nei nostri segni sono kâfirûna(infedeli), ben presto li butteremo nel fuoco: quila loro pelle sarà abbrustolita - e bene - subitonoi la sostituiremo con altre, affinché possanoassaporare il castigo. Il Dio è veramente poten-te e saggio”. (Sura IV, verso 56)

“Combattano dunque la buona battaglia nelsentiero del Dio, coloro che scambiano la vita diquesto mondo contro quella dell’aldilà! Achiunque avrà combattuto la buona battaglianel sentiero di Dio - che sia stato ucciso, o cheabbia ottenuto la vittoria - daremo ben prestouna grandissima ricompensa”. (Sura IV, verso74)

“O nabî (profeta)! Infondi coraggio nel cuoredei credenti affinchè sappiano combattere. Ba-steran venti di loro, pazienti, costanti, per sba-ragliare duecento nemici. Se ce ne fossero centodi loro, farebbero fuori un migliaio di kâfirûna.

Quella è gente che non capisce nulla”. (SuraVIII, verso 65)

“Non compete a un nabî catturar prigionierifino a che non avrà debellato in terra tutti i kâ-firûna”. (Sura VII, verso 67)

“(…) ammazzate i fabbricatori di condivinità(gli infedeli) dovunque li troviate; catturate, as-sediate, fateli cadere nelle imboscate”. (Sura IX,verso 5)

“Combatteteli, andiamo. Li castigherà il Dioper mezzo delle vostre mani, li riempirà di ver-gogna, vi renderà vittoriosi su di loro e guarirà icuori dei credenti”. (Sura IX, verso 14)

“(…) i fabbricatori di condivinità non sonoche sozzura”. (Sura IX, verso 28)

“Combattete coloro che sono kâfirûna nel Dioe nell’ultimo giorno, che non dichiarino harâmil Dio e il rasûl (il profeta). Combattete, tra legenti della scrittura (Cristiani ed Ebrei), quelliche non praticano la religione verace. Combat-

(1) Roger Du Pasquier, Il risveglio dell’Islam (Milano: Edizio-ni Paoline, 1990), pag.126(2) I brani citati sono tratti dall’edizione tradotta da FedericoPeirone: Il Corano (Milano: Mondadori, 1979), due volumi.

Tavola I - Estensione delle aree islamizzate - VIII-IX secolo

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teteli pure fino a che non abbian pagato, uno aduno, il tributo e non si siano umiliati.

Hanno confessato i Yâhûd (gli Ebrei): “‘Uzayrè il figlio del Dio”. Confessano i Nasâra (i Cri-stiani): “Masîh (il Messia) è il figlio del Dio”.Quel verbo gli scappa di bocca, essi imitano ilverbo di coloro che non avevano creduto giàprima di loro. E li annienti il Dio, li annienti!Quanto sono imbecilli!” (Sura IX, versi 29 e 30)(3)

“Se incontrate i kâfirûna colpiteli alla nuca fi-no a domarli, poi serrate bene i ceppi, in seguitodelibererete se gli dovete concedere la grazia ose dovete esigere il riscatto fino a che la guerranon abbia deposto il suo carico di armi” . (SuraXLVII, verso 4) (4)

“E guai ai kâfirûna, guai a loro! Le loro operesaranno vanificate per il fatto che hanno mani-festato ripugnanza per ciò che il Dio ha rivela-to, le loro opere saran vanificate. Non hanno es-si fatto il giro della terra per controllare ciò cheè accaduto a quelli che l’abitavano prima? IlDio li ha annientati. Stessa sorte è riservata aikâfirûna. Il Dio è il Signore dei credenti, mentreper i kâfirûna non c’è nessun protettore”. (SuraXLVII, versi 8, 9, 10 e 11)

Il Corano dedica ampio spazio (l’intera SuraVIII e altre parti) a descrivere la legittimità deldiritto di saccheggio nelle lotte contro gli “infe-deli” e questo è diventato elemento normale (el’obiettivo) di tutte le guerre islamiche fino atrasformarsi in un fattore economico di prima-ria importanza. Per lunghi secoli, una larga por-zione dei popoli musulmani ha avuto la suamaggiore industria e la sua più sicura fonte direddito nella rapina e nel saccheggio delle navi edelle coste europee, nella sistematica predazionedelle terre dei kâfirûna e nello sfruttamento dellavoro coatto di masse enormi di “infedeli” fattiprigionieri. Tutto questo porta a rendere piutto-sto labili i confini fra le motivazioni religiose,quelle economiche e una diffusa crudeltà nellanormale prassi comportamentale nella gihâd.Durante il più che millenario svolgersi della

(3) Secondo i musulmani ‘Uzayr sarebbe un profeta ebreoche avrebbe dormito cent’anni e che avrebbe restaurato il te-sto del Vecchio Testamento, che sapeva a memoria, e che eraandato distrutto durante l’esilio di Babilonia.(4) Secondo un’altra traduzione, il testo sarebbe: “Quandoincontrate infedeli, uccideteli con grande spargimento disangue e stringete forte le catene dei prigionieri”.

Tavola II - Estensione delle aree islamizzate - XVI-XVII secolo

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“guerra santa”, milioni di persone sono state uc-cise o rese schiave costituendo il vero motoreproduttivo e la sola vera forza-lavoro in societàaltrimenti poco propense al lavoro manuale emolto più portate per il commercio ozioso etruffaldino del frutto delle fatiche di altri. Non èsbagliato dire che larga parte di ciò che è statocostruito in certi paesi è il risultato di risorseaccumulate con la rapina nei confronti di altri enon certo di lavoro o di produzione propria. Nonva dimenticato che, non solo l’acquisizione dibottino ai danni degli “infedeli” è intesa comeun diritto sancito dal Corano, ma che neppurela riduzione in schiavitù di esseri umani costi-tuisce un atto illegale o immorale fintanto chele vittime siano dei kâfirûna. La schiavitù è stataun elemento economico primario nel mondoislamico e anche una fonte di reddito non se-condaria: sono stati principalmente i mercantiarabi a rifornire per secoli il mercato di merceumana delle Americhe. Si tratta di propensioni edi atteggiamenti che non sono affatto scomparsidal mondo moderno (né potrebbero esserlo, vi-sto che si tratta di dogmi ribaditi dai testi sacri emai smentiti) come si può constatare dal tratta-mento nei confronti dei lavoratori stranieri nei

paesi arabi più ricchi e nel modo con cui è sem-pre stato gestito il ricatto petrolifero. Secondoalcune fonti, forme di schiavitù di tipo tradizio-nale sarebbero ancora presenti in taluni paesiarabi, come lo Yemen e il Sudan. (5)

Sono parte fondamentale della cultura islami-ca anche un ottuso maschilismo e un feroce raz-zismo biologico. (6)

Dietro a tutto questo non possono però nonessere rintracciate anche forme di predisposizio-ne attitudinale alla violenza, debolezze e pro-pensioni genetiche nei confronti di atteggia-menti truculenti, simpatie etno-culturali per si-tuazioni e comportamenti sadici e crudeli. Se èvero infatti che tali propensioni trovano giustifi-

(5) In una inchiesta recentemente apparsa sul Corriere dellaSera (Riccardo Orizio, “Così salviamo gli schiavi del 2000”,22 febbraio 1999), si descrive cosa succede in un mercato dischiavi ad Agok, al confine fra il Sudan settentrionale mu-sulmano e il sud, dove è in atto un feroce genocidio ai dannidella popolazione cristiana e animista. Fra l’altro vi si affer-ma: “Migliaia di sudanesi del Sud vengono catturati comeschiavi, soprattutto donne e bambini delle tribù Dinka eNuba. Il valore medio di uno schiavo supera i 100 dollari”.(6) Cfr. Bernard Lewis, Razza e colore nell’Islam (Milano,Longanesi, 1975).

Tavola III - Estensione delle aree islamizzate - 1999

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cazioni in dettami religiosi carichi di violenza edi aggressività, è altrettanto vero che questi so-no il coerente prodotto di una mentalità e diuna antica predisposizione culturale. Non è uncaso che l’Islam sia nato lì, in quell’area geogra-fica e fra quella gente, e non altrove. E non èneppure un caso che esso non abbia facilmenteattecchito presso popolazioni di indole più mite(come gli Indiani o anche gli Europei occiden-tali) e che abbia invece avuto - ad esempio -qualche successo in Europa solo fra genti piùdisposte ad accettarne i caratteri sanguinolenti(come Albanesi e Bosniaci) per antica consuetu-dine. Ed è anche questo che spiega il più recen-te successo della penetrazione islamica neighetti urbani di occidente, fra gente che è (an-che giustificatamente) furibonda perché vittimadi ingiustizie economiche o sociali e che si tro-va nella predisposizione d’animo e nelle condi-zioni di sradicamento culturale e identitario perpoter accettare certe aberrazioni. Tutto questospiega però anche la grande truculenza che gliIslamici hanno sempre mostrato nei rapporticon gli “infedeli” ma anche fra di loro: Sciiticontro Sunniti, Turchi contro Arabi, Arabi con-tro Berberi, socialisti contro integralisti, Turchi

contro Curdi, “Talebani” contro le donne e, inrealtà, contro tutti. Questo spiega l’antica pro-pensione per la violenza sadica e la tortura, loscarso valore attribuito alla vita umana (non acaso il termine di “assassino” viene dalla san-guinaria setta islamica degli Hashishim) e, og-gi, la “tranquillità” con cui vengono intrapreseazioni terroristiche estreme che non si fermanodavanti a nessuna remora morale o umanitaria.(7)

Tutte queste componenti hanno costituitouna miscela esplosiva di straordinaria vitalità epersistenza, che dura da ormai 1.377 anni e cheha generato, pur con alti e bassi di intensità,una spaventosa produzione di aggressività chenon sembra perdere di slancio.

(7) In molti paesi arabi si applica la legge islamica dellasharîa (la “via larga”, ovvero l’osservanza senza approfondi-mento dei dettami coranici) che prevede pene corporali effe-rate, mutilazioni, esecuzioni capitali eseguite con un barba-ro rituale pieno di implicazioni sadiche e di spettacolarizza-zione della sofferenza. La legge islamica stabilisce poi unaforte differenza di trattamento fra uomini e donne e, soprat-tutto, fra “fedeli” e “infedeli” che sono titolari di diritti mol-to ridotti

Tavola IV - Conflitti che hanno coinvolto paesi islamici - 1970-1999

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Non è cessata la forza di espansione e di con-quista del mondo islamico che è ancora oggicausa di un numero mirabolante di situazionidi conflitto al suo interno e, soprattutto, ai suoiconfini in ritrovata dilatazione. Le Tavole I, II eIII illustrano l’espansione mondiale dell’Islami-smo e, rispettivamente, la situazione nei secoliVIII e IX, (Tavola I), nei secoli XVI e XVII (Tavo-la II) e oggi (Tavola III). La Tavola IV mostra in-vece i conflitti generati dall’aggressività islami-ca o che hanno coinvolto paesi islamici negliultimi trent’anni.

La lunga storia dei rapporti fra l’Europa e l’I-slam risente di questa sequela di ricorrenti pul-sioni aggressive del mondo musulmano, che sisono sviluppate in passato su quattro frontigeografici che sono in realtà strettamente con-nessi fra di loro ma che vengono qui distinti so-lo per facilità di lettura. Oggi si stà sviluppandoun quinto fronte di aggressione che non riguar-da più le aree di confine ma che interessa diret-tamente il cuore del paese Europa.

Fronte navale o mediterraneoIl primo fronte di attacco, che non ha pratica-

mente mai cessato di esistere e di costituire unserio problema, è quello delle aggressioni pirate-sche alle coste europee e ai trasporti marittimi(essenzialmente del Mediterraneo, ma anchecon puntate nell’Atlantico). Con la prima con-quista di Cipro (649), i Musulmani hanno affian-cato alla loro politica di allargamento territoria-le per via di terra una crescente capacità (e voca-zione) agli assalti navali finalizzati principal-mente alla conquista di bottino (mediante pre-dazioni a navigli e saccheggi di paesi costieri)ma anche all’acquisizione di basi permanentisulle coste europee. Per più di dodici secoli l’ap-parizione di vele saracene e turche ha costituitouna terrificante presenza nella vita quotidiana dimilioni di abitanti delle coste settentrionali delMediterraneo, che ne ha condizionato la vita,l’economia, la struttura politica e le modalità digestione del territorio. Gli abitati si sono sposta-ti nell’entroterra e sono stati fortificati, i litorali

Tavola V - Massima estensione dei possedimenti genovesi

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sono stati abbandonati all’acquitrino e alla ma-laria, e le coste si sono riempite di torri di avvi-stamento e di difesa. (8)

Gli attacchi erano rapidi e improvvisi, tuttoquello che poteva essere asportato veniva ruba-to, i giovani venivano catturati come schiavi, glianziani venivano uccisi e gli edifici saccheggiatie distrutti. La guerra di corsa ha sempre avutole sue basi principali nelle coste libiche e magh-rebine (la cosiddetta Barberia) ma è riuscita acostituire alcune teste di ponte più o meno du-rature anche sulle maggiori isole (Baleari, Sici-lia, Sardegna e Corsica) e sulla costa: a Cento-celle (Civitavecchia) dall’829 all’889, ad Agropoli(SA) dall’875 all’889, alle foci del Gariglianodall’879 al 916 e a Frassineto (La Garde-Freinet,in Provenza) dall’890 al 972. Un tentativo di in-sediamento a Luni, nel 1016, è invece stato im-mediatamente stroncato dai Genovesi.

La sola zona che ha conosciuto il fenomenosolo sotto forma di incursioni molto sporadiche(e limitate ai primissimi secoli) è l’Alto Adriaticoche era protetto dalla potente flotta veneziana,che poteva essere attivata da un efficiente siste-

ma di avvistamento. La stessa cosa, per evidentiragioni geografiche, non era possibile per le al-tre coste, neppure per quelle di Genova e di Pisache, a onta della loro potenza navale, hanno do-vuto subire alcuni colpi a sorpresa. (9)

La lotta contro Saraceni, mori e Turchi ha co-stituito il principale impegno secolare per le co-siddette Repubbliche marinare e, in particolareper Genova e Venezia, che dovevano proteggere i

(8) Si calcola che le torri di difesa siano state quasi mille lun-go le coste della penisola italiana: la più parte è stata co-struita nei secoli XVI e XVII. Circa cinquanta torri difende-vano il litorale laziale; trecentoquaranta torri le coste del re-gno di Napoli, centotrentasette la Sicilia; decine le coste diToscana e Liguria. (Salvatore Bono. Corsari nel Mediterra-neo. Milano: Mondadori, 1993. Pagg.168-169) Appena menoguarnite erano le coste dell’Alto Adriatico, la cui protezioneera affidata alla flotta veneziana: il tratto di litorale fra il del-ta del Po e Grado è il solo che non abbia mai conosciutosbarchi saraceni. (9) Entrambe le città sono state attaccate e saccheggiate (Ge-nova nel 935 e Pisa nel 1005) in assenza delle rispettive flot-te. In tutti e due i casi, le navi genovesi e pisane arrivanoperò poco dopo e infliggono pesanti sconfitte agli aggressori.

Tavola VI - Massima estensione dei possedimenti veneziani

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traffici mercantili con l’Oriente su cui basavanola loro ricchezza. La storia delle due gloriose Re-pubbliche padane è un continuo susseguirsi discontri, di vittorie e di sconfitte, di guerre e ditrattati di pace, di occupazioni e di perdite terri-toriali che hanno avuto come principale contro-parte i Musulmani. Il comune avversario ha fat-to in molte occasioni mettere da parte rivalità erancori: le navi padane hanno spesso navigatosotto la bandiera congiunta di San Giorgio e diSan Marco (nel 1213, nel 1238, nel 1369, nel1453, nel 1571, eccetera). (10)

La massima espansione territoriale delle dueRepubbliche marinare padane è illustrata dallaTavola V (Genova) e dalla Tavola VI (Venezia).

Per combattere l’aggressione della pirateriaislamica e per difendere viaggiatori, pellegrini,mercanti e popolazioni rivierasche sono nati an-che alcuni importanti Ordini cavallereschi.

Nel XI secolo fu formato l’Ordine dei cavalieridi San Giovanni di Gerusalemme. Con la perdi-ta della Terra Santa, la sede dell’Ordine si spostòprima a Cipro e poi a Rodi, sottratta ai Bizantininel 1308. Alla presa turca dell’isola, nel 1522, siritirò temporaneamente a Civitavecchia, e poi aVillafranca e a Nizza, sotto la protezione del du-ca di Savoia. Nel 1530 Carlo V assegnò ai Cava-lieri, come sede perpetua, l’isola di Malta da cuipresero in seguito il nome (“Cavalieri di Malta”)e che conservarono fino a che, nel 1798, venne-ro cacciati da Napoleone.

Il Sacro militare ordine marittimo dei cava-lieri di Santo Stefano (detti “stefaniani”) fu fon-dato a Pisa nel 1562, dove ha avuto sede fino allasua trasformazione nel 1737, e alla sua definiti-va soppressione, nel 1809.

Entrambi questi Ordini erano dotati di unapropria flotta da guerra ed erano formati da no-bili cavalieri che si dedicavano alla lotta in difesadella Cristianità. Per secoli le navi dei Cavalierihanno combattuto al fianco di quelle genovesi,veneziane e di tutti gli altri stati europei. (11)

La lunga guerra di aggressione dell’Islam hadato vita anche a due Ordini religiosi il cui sco-po era di liberare i tanti Cristiani che erano statirapiti e tenuti in schiavitù nei paesi islamici.

Nel 1197 il provenzale Giovanni de Matha e ilfrancese Felice di Valois fondano l’Ordine dellaSantissima Trinità per il riscatto degli schiavi(noto come “dei Trinitari”) e nel 1218 il cavalie-re spagnolo don Pedro Nolasco istituisce a Bar-cellona il Reale e militare Ordine della Mercedeper il riscatto degli schiavi (detto “dei Merceda-ri”). Dopo oltre mille anni di scorrerie, la pirate-

ria islamica termina solo nel 1830, quando iFrancesi occupano l’Algeria: si calcola che aquella data i Trinitari e i Mercedari avevano ri-scattato complessivamente, dall’istituzione deirispettivi Ordini, oltre un milione di schiavi conun enorme esborso di denaro, e con il sacrificiodi varie migliaia di “redentori”, affogati in mare,uccisi dai Musulmani o morti nei “bagni” in cuivenivano tenuti in catene i Cristiani. (12)

Nella lotta alla guerra corsara maghrebina sisono impegnate per alcuni secoli le flotte di tut-ti gli stati cristiani, anche in azioni di rappresa-glia contro i principali porti di appoggio norda-fricani. La cronaca di tali attacchi (con canno-neggiamenti, sbarchi, e vere e proprie azioni dicommando) vede un crescendo di interventi daparte dei Cavalieri e di squadre pisane, pontifi-cie, napoletane, genovesi, veneziane, sardo-pie-montesi, spagnole, francesi, ma anche olandesi,inglesi e statunitensi. (13) L’intervento delle po-tenze atlantiche era stato provocato da attacchiportati dai pirati barbareschi anche fuori dal Me-diterraneo, fino alle coste inglesi, irlandesi eislandesi. La vera fine della pirateria è però poiavvenuta solo con l’occupazione europea di tut-te le coste dell’Africa settentrionale che era co-minciata ed era stata causata proprio dalla con-tinua aggressione barbaresca.

La propensione culturale per la pirateria non èperò mai venuta meno presso i popoli arabi, co-me dimostra tutta una più recente sequela di se-questri e dirottamenti aerei e l’assalto alla naveAchille Lauro, nel 1985.

(10) Cfr. Alvise Zorzi. La Repubblica del Leone. Storia di Ve-nezia (Milano: Rusconi, 1979), Frederic C. Lane. Storia diVenezia (Torino: Einaudi, 1978) e Federico Donaver. Storiadella Repubblica di Genova (Genova: Mondani Editore,1975), 3 volumi.(11) Salvatore Bono, op.cit., capitoli “I cavalieri di Malta e icavalieri di Santo Stefano nelle guerre mediterranee”(pagg.45-53) e “Cavalieri e corsari contro terre d’Islam”(pagg.154-163)(12) La storia eroica e pressoché sconosciuta di questi Ordiniè raccontata da: Rinaldo Panetta, I Saraceni in Italia (Mila-no: Mursia, 1998), nel capitolo “La schiavitù in Barberia”,pagg.251-286.Dello stesso argomento si è occupato anche: Salvatore Bono,op.cit., nei capitoli “Guerra corsara e schiavitù” (pagg.191-201) e “Riscatto e altre vie per la libertà” (pagg.202-211). (13) Nel settembre del 1825, scaduto un ultimatum al pasciàlocale, alcune lance della marina sarda, al comando del capi-tano Francesco Sivori, si avvicinarono furtivamente alle naviancorate nel porto di Tripoli e vi appiccarono fuoco distrug-gendole. Il pascià accettò allora le condizioni di pace che glierano state imposte.

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Fronte occidentale o ibericoIl secondo fronte del più che millenario attacco

islamico all’Europa è stato quello iberico. Gli ara-bi hanno percorso e conquistato tutto il Nordafri-ca in un baleno, dal 642 al 683, e hanno attraver-sato lo stretto di Gibilterra sull’onda di tale slan-cio, nel 711. Hanno proseguito la loro avanzatacon sorprendente rapidità: nel 750 avevano giàoccupato quasi tutta la penisola (con l’eccezionedella costa basca e asturiana) e avevano superatod’un balzo i Pirenei, cominciando a dilagare inOccitania e in Francia. Si sono però finalmentetrovati di fronte una struttura statuale organizza-ta di stampo europeo, i Franchi, a cui hanno su-bito dato aiuto i Longobardi di Padania. CarloMartello li sconfigge sulla strada fra Poitiers eTours con l’aiuto della cavalleria padana (732),Liutprando li batte a Narbona e ad Arles (738). Lariscossa cristiana inizia nel 778 a Sabart, doveCarlo Magno, aiutato dai suoi nuovi sudditi lon-gobardi, ricaccia gli Arabi oltre i Pirenei, liberaAragona e Catalogna e dà inizio alla Reconquistache terminerà solo quasi settecento anni più tardicon la cacciata dei Mori da Granada.

Questa ha richiesto sforzi e sacrifici enormiche hanno anche portato alla formazione dei

due regni separati di Spagna e Portogallo. Sulloslancio della lunghissima guerra di liberazione, idue regni hanno poi preso alcuni porti sulla co-sta mediterranea del Marocco e hanno comin-ciato a navigare la costa africana, conquistando-vi basi di appoggio e gettando le fondamenta perle loro prodigiose avventure verso le Indie occi-dentali e orientali.

Anche dopo la fine della Reconquista, le co-munità di moriscos ancora presenti in Iberiahanno continuato a creare problemi e a organiz-zare sedizioni e rivolte fino alla loro definitivacacciata dal suolo europeo, alla fine del XVI se-colo.

Fronte centrale o italianoGli Arabi cominciano a interessarsi alla Sicilia

subito dopo la conquista di Cipro e molto primadi avere occupato il Nordafrica: nel 652 viene ef-fettuata la prima spedizione saracena. Attacchi etentativi di sbarco si susseguono con cadenzasempre più ravvicinata fino a che, nell’827, AbdAllâh Asâd vi trasporta un grande esercito checomincia l’occupazione sistematica dell’isola.Questa guerra di conquista si protrae, con unadrammatica serie di episodi di sadica crudeltà e

Tavola VII - Estensione delle aree occupate dall’Islam - Fino all’anno 800Grigio scuro: Stati islamici ed occupazioni permanentiGrigio chiaro: Aree interessate da incursioni o da occupazioni temporanee

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di violenza, fino al 965, quando cade Rametta,l’ultima roccaforte della resistenza bizantina.La presenza araba dura fino al 1061, quando140 cavalieri normanni, guidati da Ruggerod’Altavilla, sbarcano a Messina e intraprendonola liberazione della Sicilia, che si conclude nel1097. Tentativi di riconquista e di rivolta musul-mana continueranno a scuotere l’isola per alcu-ni secoli: la sua islamizzazione è stata moltoprofonda e una larghissima parte della sua popo-lazione era ormai araba o fortemente arabizzatain seguito a una sorta di crudele pulizia etnicache era stata effettuata prima dell’arrivo deiNormanni.

Anche la Sardegna e la Corsica sono stati im-portanti oggetti di attenzione: il primo sbarcosaraceno in Sardegna risale al 710. Per molti se-coli le zone costiere delle due isole sono stateoccupate per periodi più o meno lunghi, o sonostate utilizzate come basi d’appoggio. Della lorodefinitiva liberazione sono stati artefici Pisa eGenova, e di quelle drammatiche lotte è rimastauna forte testimonianza araldica nelle bandieredi entrambe le isole, caratterizzate dalla presen-za di teste di moro mozzate. (14)

Subito dopo avere conquistato la Sicilia, gli

Arabi sono sbarcati in Calabria e hanno tenutosotto il loro controllo larga parte delle regionimeridionali d’Italia per lunghi secoli, sia pursenza continuità. Con l’alleanza e la complicitàdi molti degli stati meridionali, essi si sono in-stallati in quelle aree incidendo profondamentenella cultura e nei tratti genetici locali, anchequi grazie ai tremendi massacri di popolazioniautoctone e all’insediamento di consistenti co-munità arabe.

Quello della connivenza con i Musulmani è untriste capitolo della storia dell’Italia propriamen-te detta. Essa è stata alimentata da affinità etni-che, da condivisi obiettivi immediati (soprattut-to dall’avversione ai ducati longobardi, al Papa eall’Imperatore germanico) e da incosciente mio-pia politica. L’alleanza fra Saraceni e Italiani (inparticolare, Napoli, Salerno, Capua, Amalfi eGaeta) ha permesso ai Musulmani di arrivare findentro il cuore simbolico dell’odiata Cristianità:nell’830 e nell’846 riescono a saccheggiare le ba-siliche di San Pietro e di San Paolo fuori le mu-

(14) Gilberto Oneto, “Bandiere dal Tirreno”, su Il Sole delleAlpi (n.34, 5 settembre 1998), pagg.88-91

Tavola VIII - Estensione delle aree occupate dall’Islam - Dall’800 al 1000Grigio scuro: Stati islamici ed occupazioni permanentiGrigio chiaro: Aree interessate da incursioni o da occupazioni temporanee

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ra, e nel 1080 un’orda di Saraceni, al servizio deiNormanni, può finalmente devastare alcuniquartieri di Roma. (15)

Identico atteggiamento anti-europeo era statoassunto da Federico II che aveva sangue araboed era stato educato in un ambiente profonda-mente condizionato dalla cultura islamica di cuicondivideva la profonda avversione per ogni ma-

nifestazione di liberalesimo e di libertà. Tutta lasua persona è stata una sorta di concentrato del-le peggiori propensioni italiane e arabe al narci-sismo, allo statalismo burocratico, all’intolle-ranza e alla brutalità. Egli è stato anche il soste-nitore convinto dell’inserimento etnico arabocon la creazione di comunità di saraceni in Pu-glia; (16) egli è stato anche l’artefice dell’unica

(15) Rinaldo Panetta, op.cit. pagg.114-121(16) “(…) Federico II di Svevia deportò, dalla Sicilia, (a Luce-ra) i Saraceni che si ribellavano continuamente ai sovraniRûmi (Cristiani) dell’isola. Tale deportazione avvenne, a piùriprese, negli anni 1223-1246. Federico, però, da scaltro po-litico, volle fare di quei Saraceni il più forte puntello delladominazione sveva nell’Italia meridionale. A tal fine, per ac-cattivarseli e servirsene come truppe di assalto nelle sueguerre contro i Comuni guelfi, ne favorì gli usi e le creden-ze, accordò ad essi privilegi e donò loro vasti appezzamentidi terreno demaniale, perché potessero vivere e svilupparsi.I più giovani e ben prestanti formavano il suo corpo diguardia. Gli abitanti di Lucera diventarono una minoranza,segregata, col loro vescovo, fuori delle mura. La città eradominata da una moschea. Diventati così un’autentica co-lonia musulmana indipendente (la città fu chiamata LuceraSaracenorum), quegli stessi Saraceni furono sempre fedelis-simi all’imperatore e, nelle varie spedizioni al suo seguitolungo la penisola, mettevano tutto a ferro e fuoco, saccheg-giando a man bassa le terre che percorrevano, tanto che

erano sempre preceduti da una psicosi di panico e di terro-re. Rimase famoso, nella storia, l’episodio accaduto nel set-tembre del 1240 ad Assisi e che ebbe per protagonista santaChiara. Costei, mostrando, dall’alto di una finestra del mo-nastero di S. Damiano, l’ostensorio con l’Ostia Eucaristica,riuscì a fermare le bande saracene che, al comandi di Vitaledi Aversa, si erano lanciate al saccheggio della guelfa città.Secondo un noto storico: “Le compagnie di Saraceni eranoun vero flagello delle città che pagavano per non averli ad al-loggio, tanto più che Federico, sapendo quelli i soli che glifossero affezionati, perdonava loro ogni violenza fatta a’ cit-tadini; né parevangli bastanti quelli di Lucera che facevanevenire di Africa, e il 13 di aprile 1250 ne chiamò in Calabriadiciassette compagnie”.” Alla morte di Federico, essi conti-nuarono a terrorizzare le popolazioni dell’area finchè, nel1300, Carlo II d’Angiò non si liberò definitivamente di lorodisperdendoli.La citazione è di: P. Balan, Storia d’Italia (Modena: Tip. Pao-lo Toschi, 1876), vol.III, pag.469, ed è tratta da: Rinaldo Pa-netta, op.cit., pag.229

Tavola IX - Estensione delle aree occupate dall’Islam - Dal 1000 al 1200Grigio scuro: Stati islamici ed occupazioni permanentiGrigio chiaro: Aree interessate da incursioni o da occupazioni temporanee

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penetrazione islamica in Padania, con l’invio dicontingenti arabi a combattere la Seconda LegaLombarda e ad assediare Brescia (1238). (17)

Dopo Federico II, l’ultima occupazione islami-ca di una consistente durata si è avuta fra il 1480e il 1481 a Otranto. (18)

Nel 1492, il sultano turco Bayezid II non ac-cettò la sovranità di Osimo offertagli dal condot-tiero Boccolino Guzzone che gli assicurava “ilsostegno popolare per uno sbarco ad Ancona” eperse l’ultima occasione di uno sbarco in forzenella penisola italiana. (19)

Fronte orientale o balcanicoL’aggressione islamica da oriente è stata per

secoli contenuta e rallentata dall’Impero bizanti-no. Solo i Turchi, la punta più efficiente e deter-minata del mondo islamico, sono riusciti primaad aggirare e poi a eliminare quel tappo che im-pediva loro di avventarsi liberamente sull’Europaattraverso la penisola balcanica. In questo giocodi resistenza all’avanzata musulmana si sono in-serite anche le Crociate che, riconquistando emantenendo libere per alcuni decenni le costedella Terra Santa, hanno contribuito a distrarre ea rallentare l’aggressione islamica. Nei suoi ulti-mi decenni, l’Impero era stato tenuto in vita da

Venezia e da Genova che volevano proteggere iloro interessi e i loro commerci e, soprattutto,tenere aperto il passaggio verso il Mar Nero, cheuna conquista turca avrebbe chiuso (come è poipuntualmente avvenuto) interrompendo ognicollegamento con gli empori commerciali dell’A-sia centrale. La caduta finale di Costantinopoli,nel 1453, ha scatenato i Turchi in una operazio-ne di pulizia etnica in grande stile, a danno deiGreci, e ha consentito loro di organizzare condeterminazione la marcia verso il cuore dell’Eu-ropa.

Questa è infatti proseguita inesorabile con ladistruzione e l’assoggettamento progressivo ditutte le nazioni che i Turchi trovavano sulla lorostrada: nel 1456 Atene, nel 1459 la Serbia, nel1462 la Valacchia, nel 1468 l’Albania, nel 1475 la

(17) Oltre alla sua guardia personale, composta da Saraceni diLucera, Federico aveva portato in Padania anche un contin-gente di Arabi, inviatigli dal suo amico, il sultano Al-Kamil.Ernst Kantorowitz, Federico II imperatore (Milano: Garzan-ti, 1981), pag.463(18) Cfr. Grazio Gianfreda, I martiri di Otranto e il secolo de-cimoquinto (Galatina: Editrice Salentina, 1981).(19) Giacomo E. Carretto, I Turchi del Mediterraneo (Roma:Editori Riuniti, 1989), pag.49

Tavola X - Estensione delle aree occupate dall’Islam - Dal 1200 al 1400Grigio scuro: Stati islamici ed occupazioni permanentiGrigio chiaro: Aree interessate da incursioni o da occupazioni temporanee

28 - Quaderni Padani Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999

Crimea, nel 1483 l’Erzegovina, nel 1511 la Mol-davia, nel 1528 il Montenegro, nel 1529 la Geor-gia e l’Armenia, nel 1547 il primo assedio diVienna, nel 1547 l’Ungheria, nel 1591 la Croaziae nel 1672 la Podolia polacca. A contrastarli sonosoprattutto l’impero Austriaco e Venezia e la loroavanzata subisce decisive battute d’arresto quan-do gli stati cristiani trovano concordia e unione:nel 1571 a Lepanto, nel 1664 a San Gottardo, nel1683 al secondo assedio di Vienna. Con la batta-glia di Zenta (1697) si è avviato il loro lento riti-ro che ha avuto termine solo con la prima Guer-ra mondiale e con la conseguente espulsionequasi completa dei Turchi dall’Europa, previstadal Trattato di Sèvres. In mezzo ci sono però 220anni di guerre sanguinose, di dolore e di conti-nui rigurgiti di cruenti contrattacchi islamici. Lalunga presenza turca ha purtroppo lasciato inquest’area strascichi ben più pesanti di quelli(quasi inesistenti) della penisola iberica e diquelli già più consistenti d’Italia: qui ha prodottovaste sacche di attitudine alla violenza tribale,una persistente e radicata propensione alle effe-ratezze più sadiche, nessuna famigliarità con leidee democratiche e scarsa dimestichezza con re-sponsabilità sociali e con la cultura del lavoro.

Soprattutto, la dominazione turca ha dissemina-to i Balcani di chiazze di comunità musulmaneche costituiscono altrettanti focolai di perturba-zione e di aggressività: in Bosnia, in Albania, nel-le repubbliche caucasiche e - oggi - nel Kossovo.

La fine della prima Guerra mondiale ha costi-tuito anche il punto più basso della virulenzadell’Islam: nel 1920 tutti i territori islamici era-no colonie o protettorati europei con le sole ec-cezioni della Repubblica turca (però in rapida eforzata auto-occidentalizzazione) e l’Arabia Sau-dita (sottoposta a un discreto ma fermo controllobritannico). Anche lo slancio etnico era statobloccato, con le popolazioni dei paesi islamici alloro minimo storico, in calo demografico, conuna massiccia presenza di immigrati francesi inAlgeria e italiani in Tunisia e Libia, con la caccia-ta dei Turchi dai paesi balcanici e con i primimassicci arrivi di coloni ebrei in Palestina. Quel-lo costituisce però anche il punto di ripresa dellavirulenza araba, che evidentemente dispone disette vite: i Turchi si riprendono l’intera Anatoliae ne cacciano i Greci e cominciano le rivolte an-tioccidentali in Libia, nel Maghreb, in Siria e inPalestina. Dopo la seconda Guerra mondiale si fainarrestabile il processo di affrancamento totale

Tavola XI - Estensione delle aree occupate dall’Islam - Dal 1400 al 1600Grigio scuro: Stati islamici ed occupazioni permanentiGrigio chiaro: Aree interessate da incursioni o da occupazioni temporanee

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e di espulsione delle popolazioni europee. Ritor-na a farsi sentire in pieno la prepotenza e l’intol-leranza islamica contro le minoranze religiose(Cristiani e animisti in Africa, Maroniti, Armeni,eccetera) ed etniche (Curdi, Berberi, eccetera) eIsraele viene sistematicamente minacciato nellasua esistenza. Il ricatto petrolifero e le rivalità fraEuropa, Russia e America fanno il resto.

Fronte internoSi è aperto negli ultimi decenni anche un fron-

te interno, assai più pericoloso di tutti gli altri.Molti dei paesi europei più ricchi vengono lenta-mente invasi da grandi masse di immigrati isla-mici: Pakistani in Inghilterra, Indonesiani inOlanda, Turchi e Curdi in Germania, Maghrebini

in Francia e poi in Italia. Ultimi in ordine di tem-po, ma primi per pericolosità, arrivano poi gli Al-banesi. Si tratta di una invasione strisciante, sen-za roteare di scimitarre e senza grida di Guerrasanta: l’esercito di occupazione si è messo i pan-ni dimessi dei diseredati, si nasconde dietro adonne e bambini, si ripara dietro proclami di so-lidarietà, dietro presunti bisogni di manodopera,dietro lo sconquassante disegno di mondializza-zione e di multietnicità. Si tratta di numeri im-pressionanti, assai superiori a quelli di tutte leinvasioni del passato: sono milioni di individuiorganizzati, legati fortemente alla loro religione,carichi di odio, di acredine e di aggressività. (20)

Essi si insediano sistematicamente nei centriurbani, avanzano pretese, lanciano minacce, di-

(20) “(…) si stimava, alla fine degli anni ottanta, che i musul-mani presenti nei principali paesi europei (…) fossero circaquattro milioni.” Felice Dassetto e Alberto Bastenier, Europa: nuova frontieradell’Islam (Roma: Edizioni lavoro, 1988), pagg.22-23Secondo un più recente studio, i Musulmani sarebbero oggigià 1.639.000 in Francia (con 950 moschee), 1.588.000 inGermania (600 moschee), 534.000 in Gran Bretagna (329moschee), 279.000 in Olanda (200 moschee) e 218.000 in

Belgio (135 moschee). In Italia essi sarebbero più di 500.000,con 100-120 luoghi di preghiera.Pier Giovanni Donini, Le minoranze (Milano: Jaca Book,1998), pagg.56-57Si tratta, per l’Italia, di dati evidentemente sottostimati chenon tengono presenti ne gli irregolari, né gli ultimi regola-rizzati, né le ultime ondate di invasione. I Musulmani in Ita-lia sono oggi sicuramente più di un milione, un buon 70%dei quali insediati in Padania

Tavola XII - Estensione delle aree occupate dall’Islam - Dal 1600 al 1800Grigio scuro: Stati islamici ed occupazioni permanentiGrigio chiaro: Aree interessate da incursioni o da occupazioni temporanee

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ventano sempre più pericolosi, fanno scoppiarerivolte. Alla loro azione si uniscono gli effetti de-vastanti dei conflitti che sono scoppiati in segui-to al dissolvimento dell’URSS e della Jugoslavia,con la creazione di stati islamici in Europa, disantuari e basi d’appoggio dell’aggressività isla-mica.

Su questi focolai di infezione incistati nel cuo-re dell’Europa cristiana si appoggiano i numero-si, efficienti e feroci gruppi organizzati del ter-rorismo islamico, ben finanziati dai paesi arabipiù integralisti e sopportati dagli inetti stati oc-cidentali. (21)

E’ questo quinto fronte, quello interno, il piùpericoloso forse finora affrontato dall’Europacristiana. Gli islamici hanno come alleati le divi-sioni e la debolezza degli Europei, il calo demo-

grafico, la mollezza dei costumi morali, la crisiprofonda del cristianesimo e della Chiesa catto-lica (che ha rinunciato al suo ruolo di referentemorale della resistenza anti-islamica e che a vol-te sembra addirittura aver cambiato fronte), lacattiveria dei comunisti sconfitti e in cerca di ri-valsa, e - soprattutto - l’appoggio americano chevede nei musulmani uno strumento di afferma-zione dei progetti mondialisti e del loro anticodisegno di distruzione definitiva dell’Europa. Inquesta chiave si deve leggere l’intervento ameri-cano in Bosnia e in Kossovo contro la Serbia or-todossa che sembra avere ripreso il suo anticoruolo di difensore della cristianità contro l’ag-gressione musulmana.

L’andamento complessivo dell’antico scontrofra Europa e Islam viene visualizzato da una se-

(21) Dal 1968 a oggi, questi gruppi hanno effettuato decinedi migliaia di attentati in tutto il mondo (con migliaia divittime) mostrando una ferocia e una mancanza di uma-nità e moralità che li collega direttamente con il filone del-la più truculenta tradizione saracena e turca. Sulla scia dei primi gruppi (Al Fatah e Settembre Nero)sono oggi operanti nel mondo numerose organizzazioniterroristiche, le più importanti delle quali sono: Gruppo

islamico armato (GIA) in Algeria; Hamas, movimentoislamico di resistenza, in Palestina; Hezbollah, Partito diDio, in Libano; Al Jihad, in Egitto; Jihad islamica, in Pa-lestina; Mujahedin arabi del miliardario saudita OsamaBin Laden, rifugiato in Afghanistan presso il governo deiTalebani. Cfr. Marco Sassano. Il Novecento anno per anno (Venezia:Marsilio, 1998), pag.172

Tavola XIII - Estensione delle aree occupate dall’Islam - Dal 1800 al 1920Grigio scuro: Stati islamici indipendentiGrigio chiaro: Aree interessate da incursioni

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rie di Tavole che rappresentano la situazionegeopolitica dell’aggressione in una successionedi tagli temporali: la Tavola VII descrive la situa-zione dell’invasione fino all’anno 800, la TavolaVIII fra l’800 e il 1000, la Tavola IX fra il 1000 eil 1200, la Tavola X fra il 1200 e il 1400, la TavolaXI fra il 1400 e il 1600, la Tavola XII fra il 1600 eil 1800, la Tavola XIII fra il 1800 e il 1920 e laTavola XIV fra il 1920 e oggi. La Tavola XV infinevisualizza la somma di tutte quelle precedenti,evidenziando tutte le aree che sono state più omeno a lungo occupate dai Maomettani e quelleche sono state oggetto di incursioni e scorrerie.

Il ruolo della PadaniaIn tutto questo svolgersi ultramillenario di ag-

gressioni islamiche e di difesa da parte europea,la Padania ha sempre giocato un ruolo di pri-missimo piano che ha avuto due caratteristichefondamentali. La prima riguarda la presenza deiPadani con ruoli importanti, con funzioni diguida e di esempio, in quasi tutti i maggiori epi-sodi di questa antica lotta contro l’Islam. La se-conda si riferisce al fatto che la Padania è l’unicaporzione di Europa meridionale che non è mai

stata conquistata dagli Islamici. La Tavola XVevidenzia questa caratteristica con grande chia-rezza: la nostra terra è stata solo lambita da spo-radiche incursioni sulla costa ligure e da ancorapiù rari attacchi su quella adriatica, da alcunespedizioni nelle aree alpine effettuate dai Sara-ceni del Frassineto (in larga parte però forse ef-fettuate da popolazioni locali confuse ad artecon essi) e da alcune incursioni stagionali terre-stri in Istria e in Friuli (due delle quali ricordateper la loro pericolosità e per la crudeltà degli ag-gressori). (22)

Salvo questi sporadici episodi, che hanno peròavuto enorme impatto emotivo, piedi musulma-ni hanno calpestato la terra padana solo nel cor-so del citato episodio della guerra di Federico IIcontro la Lega ma in quel caso sono stati caccia-ti a suon di legnate. In realtà neppure le incur-sioni via mare sono mai avvenute senza puntualied efficaci risposte militari da parte di Genovesi,

Tavola XIV - Estensione delle aree occupate dall’Islam - Dal 1920 al 1999Grigio scuro: Stati islamici Grigio chiaro a righe: Aree con popolazione a maggioranza islamicaGrigio chiaro: Aree di più intenso insediamento di comunità islamiche immigrate

(22) Cfr. Roberto Gargiulo. Mamma li Turchi. La grande scor-reria del 1499 in Friuli (Pordenone: Edizioni Biblioteca del-l’immagine, 1998)

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Sardo-piemontesi e Veneziani. Numerose voltele squadre navali padane hanno inseguito i morifino alle loro basi assalendoli nei loro covi ebombardando i loro porti: sono rimaste memo-rabili le spedizioni ad Al-Mahdîa (1087 e 1105),gli attacchi genovesi ai covi spagnoli (fra il 1136e il 1148) e alle basi maghrebine (1388, 1530,1535, 1540, 1550, 1601, 1611) in molti dei qualisi è distinto Andrea Doria, le incursioni venezia-ne di Antonio Marin Cappello (1638), di Tomma-so Morosini (1647), di Giacomo Nani a Tripoli(1766) e di Angelo Emo ai porti algerini (1784-86), fino alla citata azione di commando diFrancesco Sivori a Tripoli (1825). Nelle lotte del-le coalizioni di stati europei contro l’Islam c’èsempre stato un determinante apporto padano.Si è vista l’importanza della presenza longobar-da a fianco dei Franchi ma va anche ricordato ilruolo determinante giocato da Padani sul frontebalcanico: le maggiori vittorie degli Imperialisui Turchi sono state ottenute al comando diRaimondo Montecuccoli e del principe Eugeniodi Savoia.

Senza l’apporto padano non sarebbero neppu-re state possibili le Crociate, sia per l’insostitui-bile ruolo delle repubbliche marinare che per la

presenza di forti contingenti di guerrieri: Gu-glielmo Embriaco è stato la mente che ha per-messo la presa di Gerusalemme, Giovanni daRho il leggendario primo crociato a salire sullemura della città, e Corrado di Monferrato è statouno dei più determinati re cristiani di TerraSanta. Né va dimenticata la Crociata tutta sa-bauda intrapresa da Amedeo VI di Savoia nel1366.

Ultime in questa breve elencazione, ma permolti secoli prime nella lotta contro l’aggres-sione islamica, sono le gloriose Serenissime Re-pubbliche di Genova e di Venezia, la “Superba”e la “Dominante”, che per quasi mille anni han-no controllato le acque del Mediterraneo costi-tuendo l’avversario più determinato e pericolo-so per Saraceni, mori, barbareschi e Turchi.

I Genovesi sono stati gli artefici della libera-zione della Corsica, della Sardegna (assieme aiPisani) e delle Baleari. I Veneziani hanno difesoa lungo i loro possedimenti orientali sostenen-do, spesso da soli, guerre sanguinose e impe-dendo di fatto ai Turchi la conquista d’Europa.L’Impero d’Oriente è collassato definitivamentesolo quando Genova e Venezia non sono piùriuscite a contenere la straripante forza turca e

Tavola XV - Carta riassuntiva dell’occupazione islamicaNero: Aree occupate con continuità dagli Islamici nel corso della storiaGrigio: Aree interessate da incursioni o da occupazioni islamiche temporanee

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la stessa Costantinopoli è caduta solo quando èmorto Giovanni Giustiniani, il suo eroico difen-sore genovese. (23)

Ma la Padania è stata in primissima fila so-prattutto nell’episodio più famoso, militarmen-te determinante e moralmente significativo diquesta lotta millenaria: Lepanto. A Lepanto c’e-rano Genovesi, Piemontesi e Veneziani: assiemecostituivano i tre quarti delle forze cristiane.Padani erano i comandanti: i veneziani Seba-stiano Venier e Agostino Barbarigo, il genoveseGian Andrea Doria e il piemontese Andrea Pro-vana. Ma, soprattutto, era padano il vero artefi-ce e ispiratore della coalizione: papa Pio V, ilpiemontese Antonio Ghislieri di Bosco Maren-go.

Oggi gran parte di queste cose sono state di-menticate, nelle scuole italione si insegnano ainostri giovani altre storie, si additano nemicifasulli ed eroi patacca. All’Italia mediterraneanon piace ricordare quella che invece è stata lapresenza più incombente e costante della storia:la millenaria aggressione islamica all’Europa.Forse l’ha rimossa per paura, forse perché stan-no prevalendo sotterranei e inconfessabili lega-mi di sangue, o forse è un altro espediente percercare di cancellare la Padania, la sua identitàe il suo eroico ruolo di paese europeo. Di certonon se lo sono dimenticati i Musulmani chehanno perfettamente compreso il significato diporta dell’Europa che ha la Padania e che perciòsi accaniscono contro di essa con tanta rinnova-ta e demoniaca energia, e con tutto l’odio chehanno accumulato in tredici secoli di sconfitte.

Oggi non si presentano più a bordo di brigan-tini e sciabecchi ma su veloci gommoni, nonelevano grida di guerra ma invocano solidarietàe buonismo. Come sempre però, per poter ab-battere le nostre difese, hanno bisogno di caca-sotto, di traditori e di rinnegati. Nel passatohanno trovato alleati in tanti staterelli campanie in Federico II. Oggi il trusonismo degli state-relli campani e il centralismo untuoso di Fede-rico II hanno conquistato l’intera penisolacreando un clima ideale per l’aggressione isla-mica, per permetterle di entrare in casa nostrasenza nessuna reazione. In più, proprio comefaceva Federico II, gli Italioni usano i nuovi sa-raceni contro la Padania per fiaccarne la resi-stenza, per distruggerne l’identità e per schiac-ciarla per sempre. Essi nutrono per la Padanialo stesso odio antico degli Islamici: a metà Ap-pennino sono condensati in pochi metri le mi-gliaia di chilometri e di anni luce che separanola civiltà europea dal baratro pelasgico dellabrutalità e dell’intolleranza.

Non è solo un caso che la bandiera dei Cro-ciati e di Lepanto sia la stessa della Padania edella sua voglia di libertà. La nostra battaglia èbuona e giusta. Non importa che questa voltanon ci sia Pio V e che una fetta della Chiesa siadall’altra parte: siamo noi che abbiamo il glo-rioso vessillo cristiano di San Giorgio.

(23) Steven Runciman, Gli ultimi giorni di Costantinopoli(Casale Monferrato: Piemme, 1997), pagg.177-185Giacomo E. Carretto, op.cit. pag.43

IntroduzioneLa cronaca degli scontri tra l’Islam e l’Europa

cristiana è quanto mai ricca di episodi, a dimo-strazione di un rapporto conflittuale durato se-coli che ha portato centinaia di migliaia di Euro-pei a morire lontano da casa combattendo perpreservare il Continente dall’invasione di unacultura estranea e di una religione antitetica -benché monoteistica - a quella cristiana.

Questo articolo non ha, ovviamente, alcunapretesa di completezza in merito a una questionecosì ampia (probabilmente non basterebbe un’in-tera biblioteca per raccontare tutti gli episodi, ri-cordare tutti i personaggi coinvolti e analizzaretutte le motivazioni che hanno decretato, di vol-ta in volta, la sconfitta o la vittoria di uno dei duecontendenti, con le conseguenze che ciò com-portò in seguito). Ho voluto qui evidenziare soloalcuni dei momenti - certi celeberrimi, altri me-no conosciuti, ed escludendo le crociate che fan-no storia a sé - di questo scontro tra due cultu-re, due religioni, e due mondi completamente di-versi (nel senso latino del termine) nella speran-za che queste righe possano servire da memento:bisogna prendere lezione dalla storia, e ricono-scere le avvisaglie del pericolo in modo da argi-narlo in tempo ed evitare di esserne travolti.

Una minaccia che credevamo ormai estinta statornando a essere di drammatica attualità. Conla differenza sostanziale che in passato la Cristia-nità si è quasi sempre dimostrata compatta innome della fede e della civiltà comuni control’invasore nemico e infedele, oggi invece in senoalla società si annida una serie di “collaborazio-nisti” (noi li definiremmo meglio: rinnegati) che,alcuni - cosa ancora più grave - sui pulpiti e nellechiese, incitano a un’aprioristica e indifferenzia-ta accoglienza nei confronti di coloro che untempo furono i dichiarati nemici dell’Europa ecome tali furono trattati da tutti i Cristiani, Pon-tefici in testa.

Allora, in qualche modo, l’Europa riuscì a sal-varsi e a mantenere la propria identità. Oggi in-

vece, per il tradimento di molti fra coloro che nedovrebbero essere i paladini, rischia di firmarela propria condanna a morte.

Poitiers, un mito per l’EuropaIl primo, epocale scontro tra la Cristianità e il

mondo islamico si ebbe a Poitiers nell’anno 732.Questa battaglia e la vittoria cristiana che ne se-guì sono diventate un mito per l’Europa intera:in tal frangente, infatti, l’espansione araba nellaparte occidentale del Continente fu fermata perfortuna in modo definitivo.

Prima di allora, gli islamici si erano affacciatisolo sporadicamente all’Europa, il più delle voltelimitandosi a razzie e depredazioni sulle costedelle isole mediterranee, della Francia meridio-nale e della penisola italiana. L’unica eccezioneera costituita dalla Spagna, dove gli Arabi eranopenetrati da Sud attraverso lo stretto di Gibil-terra a partire dai primi anni dell’VIII secolo. Il19 luglio del 711, nei pressi di Jerez, in Andalu-sia, un esercito di circa 8 mila Berberi islamiz-zati sconfisse e uccise l’ultimo re dei Visigoti,Roderico. Nel giro di pochi decenni, con la com-plicità degli Ebrei che consideravano gli Arabidei liberatori, quasi tutto il territorio iberico cad-de in mano islamica, tranne la zona dei montiCantabrici e dei Pirenei. Qui infatti, anche grazieall’ambiente impervio, ebbero buon gioco i Cri-stiani che erano fuggiti dalla Castiglia e dall’Ara-gona, e i Baschi che vi abitavano da sempre. Esui monti delle Asturie, nel 718, i Berberi furo-no sconfitti e respinti dagli ultimi Goti scampatialla conquista islamica. Così l’unica grossa cittàrimasta ancora libera, Oviedo, fu la prima capita-le di un Regno spagnolo indipendente.

Già dal 712-714 tuttavia, gli Arabi, non conten-ti di essersi impadroniti della penisola iberica,misero gli occhi sulla regione gallica di Narbona,ancora in mano ai Visigoti. Da qui partirono iprimi attacchi, guidati dal califfo Abd-ar-Rahmân, verso la ricca Aquitania. La marciaislamica verso nord fu inarrestabile: dopo aver

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Islam contro EuropaI grandi scontri

di Michele Ghislieri

cercato di con-quistare Bor-deaux e razziatonumerose chiesee santuari, il ca-liffo si diresseverso Tolosa, cheassediò nel 721.Autun fu sac-cheggiata nel725.

Probabilmenteil califfo sapevache il duca dellaregione, Eudone(o Oddone), erain cattivi rapporticon il governocentrale deiFranchi, e pensòdi poter sfruttareciò a suo vantag-gio. In particola-re, il duca era av-versario di Car-lo, maestro di pa-lazzo (1) di Austrasia, personaggio dal forte cari-sma. Costui, di fatto, a causa dell’inettitudine diTeodorico IV (720-737), prima e successivamentedella debolezza e pazzia di Childerico III (742-752), due degli ultimi membri della dinastia me-rovingia (2), esercitava nel Regno franco il pote-re effettivo al posto del re, e si era guadagnatocol tempo un vasto seguito. Carlo dunquepiombò in Aquitania, e scompigliò, per fortunanostra, i piani di conquista del califfo Abd-ar-Rahmân.

Lo scontro avvenne nei pressi di Poitiers, il 7ottobre dell’anno 732. Ecco come Paolo Diacono,

storico dei Lon-gobardi, narral’episodio e i suoiantefatti: «Inquel tempo (cioèintorno al 711,NdR) i Saraceni,imbarcatisi inun luogo dettoCeuta, dall’Afri-ca passarono ilmare e invaserotutta la Spagna.Dieci anni dopo,muovendosi conmogli e figliolet-ti, entrarono inAquitania, pro-vincia della Gal-lia, con l’inten-zione di stabilir-visi. Carlo alloraera in discordiacon il principedell’Aquitania,Eudone‚ tuttavia,

unite le loro forze, combatterono contro i Sara-ceni con concorde volere. Infatti i Franchi, get-tatisi su di loro, ne uccisero 375.000; dalla partedei Franchi, invece, in quello scontro cadderosolo 1500 uomini. Anche Eudone, lanciatosi coni suoi sul loro accampamento, ne uccise molti edevastò ogni cosa». (3)

In realtà pare che le forze in campo fossero unpo’ più limitate, ma comunque sempre notevoli:150.000 gli Arabi, 72.000 i Franchi. L’esercito co-mandato da Carlo si schierò sulla strada che daPoitiers conduce a Tours. Dopo qualche giornodi scaramucce, Abd-ar-Rahmân diede ordine ai

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Carlo Martello, vincitore della battaglia di Poitiers, in unaminiatura francese

(1) Nella corte franca, i maestro di palazzo o maggiordomo(maior domus) era un alto funzionario equiparato a un prin-ceps. Egli poteva emettere apposite normative dette capitu-laria, e dunque governava accanto ai conti palatini e al sini-scalco. I Pipinidi, dapprima maestri di palazzo solo in Au-strasia (la parte orientale del Regno) con Pipino II d’Heristaldiventarono potentissimi. Il loro potere si consolidò, appun-to, dopo la battaglia di Poitiers. Mario Ascheri, Istituzionimedievali (Bologna: Il Mulino, 1994), pagg. 132-133. (2) Per farsi un’idea dell’inettitudine di questi ultimi sovranibasta pensare che essi passarono alla storia con l’appellati-vo di “re fannulloni” (rois fainéants). Uno dei fattori checontribuirono allo scadimento della casata è stato individua-to nei frequenti matrimoni tra consanguinei.(3) «Eo tempore gens Sarracenorum in loco qui Septem di-

citur ex Africa transfretantes, universam Hispaniam invase-runt. Deinde post decem annos cum uxoribus et parvulis ve-nientes, Aquitaniam Gallie provinciam quasi habitaturi in-gressi sunt. Carolus siquidem cum Eudone Aquitaniae prin-cipe tunc discordiam habebat. Qui tamen in unum se con-giungentes, contra eosdem Sarracenos pari consilio dimica-runt. Nam inruentes Franci super eos, trecenta septuagintaquinque milia Sarracenorum interimerunt; ex Francorumvero parte mille et quingenti tantum ibi ceciderunt. Eudoquoque cum suis super eorum castra inruens, pari modomultos interficiens, omnia devastavit». Paolo Diacono, Hi-storia Langobardorum VI, 46, in Monumenta Germaniae Hi-storica (M.G.H.), Scriptores rerum Langobardarum et itali-carum, trad. it. Paolo Diacono, Storia dei Longobardi (Mila-no: Rizzoli, 1991).

suoi cavalieri di attaccare l’armata franca, chetuttavia resistette all’assalto; gli Arabi, sbandati,furono messi definitivamente in fuga da Eudone.Durante la ritirata, lo stesso califfo Abd-ar-Rahmân perse la vita.

Quella volta, grazie ai Franchi di Carlo - chein seguito ebbe il nome di Martello (in francese,Martel) per la furia con la quale, appunto, mar-tellò gli infedeli - l’Europa fu per fortuna salva.Tutti, a cominciare dai contemporanei all’even-to, si resero immediatamente conto dell’enor-me portata storica dell’episodio di Poitiers. Giàl’anonimo cronista di Cordova cui dobbiamouna narrazione dettagliata della battaglia avevacapito che lo scontro ormai non era più tra Ara-bi e Franchi (o comunque cristiani), ma, piùgenericamente, tra Islamici ed Europei (4). Quiper la prima volta si prese coscienza dellaprofonda e irriducibile differenza che esistevatra due civiltà e due culture contrapposte: nonpiù solo una antitesi tra due religioni diverse,ma un conflitto irrisolvibile tra due mondi di-versi.

Dopo Poitiers, l’espansione araba nella parteoccidentale dell’Europa si arrestò definitivamen-te: i seguaci di Maometto si sarebbero in seguitolimitati a infestare le coste della Francia meri-dionale, della Spagna, della penisola italica edelle isole, ma non sarebbero mai più penetratinel Continente in modo da minacciarne perico-losamente la stessa esistenza.

Ancora nel Settecento, lo storico inglese Ed-ward Gibbon scriveva: «La vittoriosa avanzatadei Saraceni aveva superato le mille miglia, dal-lo scoglio di Gibilterra alle rive della Loira;un’altra avanzata come quella li avrebbe con-dotti ai confini della Polonia e ai monti dellaScozia». Se Carlo non li avesse fermati, «nellescuole di Oxford oggi si spiegherebbe il Coranoe dai suoi pulpiti si dimostrerebbe a un popolo

circonciso la santità e la verità della rivelazionedi Maometto» (5).

Carlo divenne subito un mito, e generazioni distorici e di cronisti lo celebrarono come il “sal-vatore dell’Europa contro gli infedeli” (6). Aitempi delle crociate, i monarchi francesi cheparteciparono alle spedizioni in Oriente si ri-chiamarono con orgoglio alle sue gesta e volleroimitarne le imprese.

Ma a un’altra data epocale è legato il destinodell’Europa. Negli stessi anni - e precisamentenel 718 - l’imperatore Leone III l’Isaurico, dopouna valorosa quanto disperata resistenza durataben tre anni, riuscì infatti finalmente a respin-gere gli invasori Arabi che assediavano Costanti-nopoli decisi a conquistarla.

Seguiamo il racconto della vicenda fatto daPaolo Diacono: «Sempre in quel tempo, il popo-lo saraceno, muovendosi con un immenso eser-cito, circondò Costantinopoli e la tenne sottoassedio per un intero triennio, finché, mentre icittadini con incessante assiduità gridavano aDio, gli assedianti furono decimati dalla fame,dal freddo, dalla guerra e dalla peste; e non po-tendone più dell’assedio, si allontanarono. Ab-bandonata Costantinopoli, attaccano il popolodei Bulgari, che è stanziato sopra il Danubio;vinti anche da questi, si rifugiano sulle navi.Mentre prendono il largo, sopraggiunge un’im-provvisa tempesta e molti trovano la mortesommersi dalle acque o sulle navi sfracellate. ACostantinopoli erano morti di peste 300 milauomini» (7).

Da molti storici, il 732 e il 718 vengono con-siderati due momenti fondamentali dello scon-tro tra Islam e Occidente, e le due battaglie chesi combatterono in tali occasioni sono ritenutequelle decisive per la sopravvivenza stessa del-l’Europa. Se Carlo Martello e Leone Isaurico an-ziché vincere fossero stati sconfitti, la nostra

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(4) Vedi Mario Ascheri, op. cit., p.135, oppure A. Cavanna, Sto-ria del diritto moderno in Europa (Milano: Giuffrè, 1982)..(5) Edward Gibbon, Storia della decadenza e della cadutadell’Impero romano, Vol. II (Torino: Einaudi, 1967), pagg.2145-2159, citato in Aldo A. Settia, “Un mito per l’Europa”,in Medioevo, XI (Dicembre 1997), De Agostini-Rizzoli, Mila-no, pagg. 56-60.(6) Si veda ad esempio una recente biografia romanzata incinque volumi dell’imperatore Carlo Magno, nipote di CarloMartello: Franco Cuomo, Carlo Magno. Vol. I, Il Predestina-to (Roma: Newton Compton, 1998). L’autore - che conoscemolto bene le fonti contemporanee relative ai personaggi eagli eventi da lui narrati - racconta come Berta, madre delfuturo Carlo Magno, fosse solita intrattenere il figlio narran-

dogli le gloriose gesta compiute dal nonno a Poitiers. VediFranco Cuomo, op. cit., pagg. 22-25.(7) «Hoc etiam tempore eadem Sarracenorum gens cum im-menso exercitu veniens, Costantinopolim circumdedit accontinuo per triennium obsedit, donec, civibus multa in-stantia ad Deum clamantibus, plurimi eorum fame et frigo-re, bello pestilentiaque perirent, ac sic pertaesi obsidionisabscederent. Qui inde egressi, Vulgarum gentem, quea su-per Danubium, bello adgrediuntur; et ab hac quoque victi,ad suas naves refugiunt. Quibus, cum altum peterent, in-ruente subita tempestate, plurimi etiam mersi sive contritisnavibus perierunt. Intra Costantinopolim vero trecenta mi-lia hominum pestilentia interierunt». Paolo Diacono, Histo-ria Langobardorum VI, 47, cit.

storia e la nostra civiltà sarebbero state quelle dipopoli musulmani.

Longobardi e Franchi: difensori della cristianità

Mentre Carlo Martello governava i Franchi dare pur senza esserlo (8), gli Arabi non mollavanoil colpo e anzi continuavano a depredare tran-quillamente le coste delle isole e del sud dellaGallia. Allora il re longobardo Liutprando, chepure secondo alcuni aveva partecipato con unasua delegazione alla battaglia di Poitiers, «sen-tendo che i Saraceni, dopo aver devastato laSardegna, infestavano anche quei luoghi ove untempo, per salvarle dalla profanazione dei bar-bari, erano state trasportate e sepolte con tuttigli onori le ossa del vescovo Sant’Agostino,mandò dei messi e, pagando una forte somma,le ottenne, le trasportò a Pavia e le ripose conl’onore dovuto a un così grande padre». (9)

Ma questo grande sovrano longobardo diede ilmeglio di sé qualche anno dopo Poitiers, nel737, quando a fianco del re dei Franchi sollevòla sua spada contro i seguaci di Maometto, scon-figgendoli e sventando ancora una volta la mi-naccia: «In quel tempo un esercito di Saraceni,entrato di nuovo in Gallia, provocò gravi deva-stazioni. Carlo Martello attaccò battaglia nonlontano da Narbona, come in precedenza, e nemenò grande strage. Di nuovo i Saraceni, entra-ti nei territori dei Galli, si spinsero fino in Pro-venza e, presa Arles, distrussero ogni cosa tuttointorno. Allora Carlo, mandando ambasciatoricon doni al re Liutprando, gli chiese aiuto con-tro i Saraceni; il re mosse senza indugio in aiuto

di Carlo con tutto l’esercito dei Longobardi.Avendolo saputo, il popolo saraceno fuggì daquelle regioni e Liutprando con tutto il suo eser-cito tornò in Italia» (10).

Carlo Martello e Liutprando, i Franchi e i Lon-gobardi, furono dunque nell’VIII secolo gli unicibaluardi occidentali capaci di impedire l’invasio-ne islamica dell’Europa. Tuttavia, dopo la loromorte, altri avvenimenti sconvolsero il continen-te.

Dopo la scomparsa di Carlo Magno, l’unico so-vrano abbastanza potente da potersi opporre alleminacce esterne con speranza di successo, le lot-te di potere che insanguinarono e divisero i prìn-cipi cristiani rischiarono di favorire il ritornodegli infedeli, che infatti rialzarono la testa e tor-narono a infestare l’Europa con ancora più vio-lenza e determinazione di prima.

Violati gli scrigni del sapere Per tutto il IX secolo, le vittime preferite dei

Saraceni furono, a parte le solite città costiere, imonasteri, scrigni dove si custodivano nel silen-zio della preghiera e nell’operosità del lavoro ipiù puri ideali della religione cristiana.

Citiamo solo alcuni degli episodi di truculentae cieca violenza cui furono sottoposti i templidella preghiera e i loro occupanti, che se nonriuscirono a fuggire, furono massacrati senza al-cuna pietà (11).

Nell’846 il già antico monastero di Montecassi-no, fondato da San Benedetto da Norcia intornoal 529, fu orribilmente depredato. In questo luo-go, considerato sacro da tutti i Cristiani, il grandesanto pare avesse scritto quella celebre Regola

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(8) Il titolo regio passò dalla dinastia dei Merovingi a quelladei Pipinidi ufficialmente nel 751, quando cioè l’ultimo so-vrano merovingio Childerico III fu spedito in monastero ePipino il Breve fu proclamato re, secondo la consuetudinegermanica, dall’assemblea dei suoi guerrieri. Poco dopo egliricevette la sacra unzione da parte dei vescovi di Francia, enel 754 dallo stesso pontefice Stefano II. La dinastia dei Pipi-nidi prende il nome dal capostipite della famiglia, Pipino ilVecchio (morto nel 639); il suo potere si consolidò, comedetto, con Pipino II d’Heristal (morto nel 714), padre di Car-lo Martello. (9) «Liutprand quoque audiens quod Sarraceni, depopulataSardinia, etiam loca illa, ubi ossa sancti Augustini episcopipropter vastationem barbarorum olim translata et honorifi-ce fuerant condita, foedarent, misit et dato magno pretio,accepit et transtulit ea in urbem Ticinensem ibique cum de-bito tanto patri honore recondidit». Paolo Diacono, HistoriaLangobardorum VI, 48, cit.(10) «Per idem tempus Sarracenorum exercitus rursum inGalliam introiens, multam devastationem fecit. Contraquos Carolus non longe a Narbone bellum committens, eos

sicut et prius maxima caede prostravit. Iterato SarraceniGallorum fines ingressi, usque ad Provinciam venerunt, etcapta Arelate, omnia circumquaque demoliti sunt. Tunc Ca-rolus legatos cum muneribus ad Liutprandum regem mit-tens, ab eo contra Sarracenos auxilium poposcit; qui nihilmoratus cum omni Langobardorum exercitu in eius adiuto-rium properavit. Quo conperto gens Sarracenorum mox abillis regionibus aufugit; Liutprandus vero cum omni suoexercitu ad Italiam rediit». Paolo Diacono, Historia Lango-bardorum VI, 54, cit.(11) Per farsi un’idea dell’entità di queste scorrerie, basta leg-gersi l’elenco delle date degli scontri pubblicato in questostesso numero dei Quaderni Padani, alle pagine 3/15: nonpassa praticamente anno senza che gli Islamici non passinoin Europa a lasciarvi qualche ricordo. Una testimonianza di-retta dei pericoli ai quali le coste occitane, francesi, spagno-le, italiane, corse, sarde e siciliane furono esposte è costitui-ta dalle innumerevoli torri di avvistamento ancora oggi visi-bili in numerose località marittime. Per una cronaca detta-gliata relativa alle incursioni arabe in Italia, si può leggereRinaldo Panetta, I Saraceni in Italia (Milano: Mursia, 1973).

che avrebbe lasciato la sua impronta sul mona-chesimo per tutto il Medioevo e oltre. Poco pri-ma, nell’agosto dello stesso anno, i Saraceni era-no arrivati addirittura in S. Pietro, a Roma, e l’a-vevano saccheggiata orrendamente. Vogliamo ci-tare a questo proposito quanto scrisse, seguendola cronaca del Liber Pontificalis, il grande storicotedesco Ferdinand Gregorovius in un’accorataquanto desolante descrizione dello scempio. «Erachiaro che i pirati saraceni puntavano dritto suRoma e che lì, sulla cupola di San Pietro, sogna-vano di piantare le insegne del profeta dopo aversaccheggiato la città traboccante dei tesori dellaChiesa. (…) Sassoni, Longobardi, Frisoni e Fran-chi, che risiedevano nella zona di Borgo presso ilVaticano, si difesero fino all’ultimo uomo, ma fu-rono travolti dal numero degli avversari e SanPietro fu abbandonato alla furia saccheggiatricedei Saraceni. Cinque secoli di storia, cinque seco-li di eventi straordinari per l’umanità avevanofatto di questo tempio il sacrario del mondo cri-stiano. A terra, sul pavimento che mai piede pro-fano aveva osato violare, erano impresse le vesti-gia del passato, orme lasciate dall’uomo, tracceindelebili della sua esistenza, dei suoi pellegri-naggi e della sua morte. Quanti re e imperatori,nel corso dei secoli, erano entrati e usciti daquelle porte - principi dai nomi sepolti ormainell’oblio, sovrani di regni da gran tempo scom-parsi - e quanti pontefici vi dormivano, affossatinei loro sepolcri! Nessun luogo più sacro di que-sto era noto all’Occidente cristiano; l’arca delculto di Cristo, che Goti, Vandali, Greci, Longo-bardi non avevano ardito toccare cadeva ora inpreda ad un branco di corsari africani» (12). Piùavanti, Gregorovius elenca inorridito i tesori ru-bati, gli edifici devastati: «Essi (i Saraceni, NdR)strapparono le foglie d’argento delle porte, le la-mine d’oro che ricoprivano il pavimento dellaconfessione, e si portarono via finanche l’altarmaggiore. Devastarono la cripta dell’Apostolo e,non avendo potuto portare con sé il pesantissimosarcofago di bronzo, non esitarono a forzarne lacopertura, sparpagliando e distruggendo tuttociò che vi era racchiuso» (13). E così commenta,con la dolorosa consapevolezza di chi contemplaun’opera d’arte andata in frantumi, la violenzasubita ad opera degli infedeli: «Se ci fermiamoper un istante a considerare che, secondo la fededegli uomini, nel segreto di questo sepolcro siconservava il corpo del principe degli apostoli, icui successori si erano detti vescovi di Roma e aicui piedi si recavano, per gettare la fronte nellapolvere, le plebi e i sovrani di tutte le parti del

mondo, potremo forse arrivare a comprenderequale fosse l’atrocità della profanazione, qualeimmenso dolore della cristianità» (14).

Dello scempio di S. Pietro, che fu vissuto datutti i fedeli d’Europa come un pugno nello sto-maco, fu vendicatore il marchese Guido di Spo-leto: «chiamato in aiuto dal Papa, costui sareb-be accorso alla testa dei suoi prodi Longobardi e,congiuntosi con le milizie romane, avrebbe bat-tuto i miscredenti in una spaventosa battaglia,inseguendoli poi fino a Civitavecchia» (15).

Dopo aver messo a ferro e fuoco la campagnacircostante e l’episcopato di Silva Candida, i sara-ceni fuggirono ma «incalzati da Guido, alcunicontingenti si diressero col bottino e i prigionieriverso Civitavecchia, mentre un’altra schierascendeva lungo la via Appia sino a Fondi com-piendo, durante il cammino, indicibili devasta-zioni. Una tempesta sorprese poi in mare i va-scelli corsari e le onde gettarono sulla spiaggia icadaveri di molti Saraceni i quali, in tal modo,restituirono buona parte della refurtiva, che por-tavano ancora addosso. I gruppi che si ritiravanoper via di terra furono inseguiti dall’esercito lon-gobardo fin sotto le mura di Gaeta, dove si vennea battaglia; il marchese (Guido, NdR) scampò astento a una disastrosa sconfitta, grazie al tem-pestivo intervento del valoroso Cesario, figlio diSergio, magister militum di Napoli. Il poveroSergio II morì il 27 gennaio dell’847 e fu seppelli-to in quella stessa cattedrale apostolica la cuiprofanazione era stata, forse, il colpo tremendoche gli aveva spezzato il cuore» (16).

Solo due anni dopo i Saraceni tentarono unanuova incursione, e fu allora che, per la primavolta nella storia del Medioevo, le città marinaredel Sud (Amalfi, Gaeta e Napoli) si unirono in le-ga tra di loro e conclusero un patto con il nuovoPapa, Leone IV. La battaglia, che si svolse adOstia, fu vinta dall’ammiraglio cristiano Cesario; iSaraceni che scamparono alla strage furono im-prigionati e mandati a Roma per lavorare alla ri-costruzione del Vaticano che essi stessi avevanodevastato.

Il sacco di S. Pietro provocò una vasta eco diindignazione in tutta Europa, assommata allapreoccupazione crescente per le numerosissime e

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(12) Ferdinand Gregorovius, Storia di Roma nel Medioevo(Roma: Newton Compton, 1972), Vol. II, pagg. 56-57.(13) Ferdinand Gregorovius, op. cit., Vol. II, pagg. 57-58.(14) Ferdinand Gregorovius, op. cit., Vol. II, pag. 58.(15) Ferdinand Gregorovius, op. cit., Vol. II, pag. 58.(16) Ferdinand Gregorovius, op. cit., Vol. II, pag. 58.

continue distruzioni di monasteri e per gli effera-ti eccidi dei monaci Alcuni esempi bastino a farsiun’idea del clima di terrore di quegli anni: la co-munità monastica di Farfa, per scampare al sac-cheggio, si suddivise in tre gruppi che si rifugia-rono rispettivamente a Roma, a Rieti e sull’Ap-pennino marchigiano; i monaci dell’abbazia lon-gobarda di San Vincenzo in Volturno nell’881 sitrasferirono a Capua, dove rimasero per trent’an-ni; nell’883 toccò di nuovo al monastero di Mon-tecassino, che fu raso completamente al suolo e isuoi occupanti scannati senza pietà. E in que-st’ultima occasione, tanto per citare un episodiofamoso, il manoscritto più antico contenente laRegola di San Benedetto fu portato a Teano e finìin seguito bruciato durante un incendio che de-vastò quel monastero (17). La stessa sorte toccò aimonaci di San Benedetto di Celano.

Nel 906 infine l’antica abbazia di Novalesa, inVal di Susa, fu messa a ferro e a fuoco dai Sara-ceni annidati a Frassineto e furono costretti afuggire dapprima a Torino e poi a Breme, in Lo-mellina. Trent’anni dopo, nel 936, toccò ai mo-naci svizzeri di S. Gallo.

In queste, come in altre occasioni, gli Arabidiedero un’eloquente dimostrazione del loro re-pertorio più completo di nefandezze e crudeltàai danni della popolazione inerme e dei monaciindifesi, che furono trucidati senza pietà, le loroabitazioni e i monasteri incendiati. Documenti,manoscritti, sculture, oggetti rituali antichi e distraordinaria importanza andarono perduti persempre. Una vera lezione di civiltà, da ricordareai tanti storici faziosi che attribuiscono scellera-

tezze di ogni genere alle popolazioni cosiddette“barbariche” (Longobardi in testa) quando arri-varono in Italia, e nel contempo sprecano fiumidi inchiostro a esaltare la presunta tolleranza eil presunto rispetto degli Islamici nei confrontidelle culture “altre” rispetto alla loro. (18) È unaprospettiva inquietante di quello che potrebbesuccedere di nuovo in un futuro non troppo lon-tano se alle invasioni d’oggi non si pone un fre-no fermo e immediato.

La progressiva arabizzazione del sud Italia.Il caso della Sicilia

In quegli anni turbolenti, se il Continente riu-scì in qualche modo a resistere a prezzo di ungrande impiego di uomini e di mezzi, a caderedefinitivamente in mano ai Maomettani fu invecela Sicilia. Poste sotto incessante assedio a partiredall’827, a una a una capitolarono le città più im-portanti dell’isola, a partire da Siracusa e da Pa-lermo. Nel giugno 827 una flotta di cento navi e10.000 uomini sbarcò a Mazara che, dopo avercercato invano di assediare Siracusa, si rivolseroalla fortezza di Castrogiovanni (Enna). Nel frat-tempo si aggiunse agli invasori una consistentequantità di rinforzi venuti dalla Tunisia, che per-mise agli Arabi nell’831 di conquistare Palermoe, nei 10 anni successivi, tutta la Val di Mazara,che diventò poi il bacino collettorio di un potenteflusso migratorio proveniente dall’Africa setten-trionale e dalla Spagna musulmana. Nel giro diqualche decennio questa situazione portò nellaSicilia occidentale a un vero e proprio capovolgi-mento etnico, con la maggioranza della popola-

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(17) La notizia si trova nel Chronicon Casinense (I, 48) diLeone di Ostia, pubblicato nei M.G.H., Scriptores, Vol. VII,pagg. 614-615. Vedi anche La Regola di San Benedetto e leRegole dei Padri, a cura di Salvatore Pricoco (FondazioneLorenzo Valla, 1995), pag. XLVII.(18) Ricordiamo en passant che gli Islamici provengono daun ceppo etnico simile a quello degli Ebrei, per cui di que-st’alleanza non c’è da stupirsi più di tanto. Oltre a essereentrambi “popoli del libro” e monoteisti, le lingue parlateda loro sono semitiche (l’arabo fa parte delle lingue semiti-che meridionali insieme al sudarabico e all’etiopico, l’ebrai-co invece è compreso nel gruppo semitico nord-occidenta-le). Nel corso del Medioevo, gli Ebrei che vivevano nei terri-tori ormai islamici furono considerati sottomessi (dhim-mi), ma ebbero ugualmente libertà di commercio e tolle-ranza religiosa. Soprattutto all’inizio, poco dopo la conqui-sta, i Musulmani furono condiscendenti perché essi, pur es-sendo classe dominante, erano tuttavia ancora una mino-ranza e perciò la tolleranza (in cambio di un tributo) fu ne-cessaria. In Occidente - e soprattutto nella Spagna visigotica - gliEbrei non erano trattati in modo altrettanto tollerante: ad

essi infatti si precluse di possedere servi cristiani e di rico-prire incarichi pubblici, ma fu loro consentito di diventareper lo più prestatori su pegno (attività di cui detennero alungo il monopolio), mercanti, medici e proprietari terrie-ri. Le discriminazioni alle quali furono sottoposti li spinse-ro, naturalmente, ad aprire le porte ai seguaci di Maomettoal momento dell’invasione della penisola iberica e a contri-buire alla conquista islamica della Spagna. Da segnalare cheancora oggi Musulmani ed Ebrei condividono alcune usan-ze in Occidente considerate quanto meno ripugnanti, e cheferiscono la sensibilità delle persone e ledono i diritti deglianimali, come ad esempio la macellazione rituale, che com-porta l’uccisione della bestia previo sgozzamento in mododa provocarne il lento dissanguamento. Solo così la carne èliberata dal sangue, il cui consumo è vietato, e diventa ka-sher, cioè commestibile per gli osservanti. Inutile dire chetale pratica comporta una violenza senza pari sugli animali,che rimangono coscienti fino all’ultimo secondo di vita, evengono costretti a sopportare un’agonia che può durareanche parecchi minuti. Recentemente alcune forze politi-che e animaliste hanno chiesto di porre fine a questa prati-ca assurda e gratuita.

zione ormai berbera e araba. Chi non riuscì a fug-gire da qui fu comunque ridotto in schiavitù.

Mentre gli Arabi erano occupati negli assedi,una buona parte delle forze di invasione si di-sperdeva in saccheggi e razzie sull’isola e sullecoste del resto dell’Italia meridionale. L’occupa-zione della Sicilia, comunque, proseguì con lagraduale sottomissione di tutte le città maggio-ri, tranne Castrogiovanni (che cadde solonell’859 dopo un gran numero di assedi) e Sira-cusa (presa nell’878). Nel 902, con la caduta del-l’ultimo caposaldo, Taormina, la conquista arabadell’isola poteva dirsi conclusa. Da qui gli Isla-mici (che in Italia saranno detti Saraceni, voca-bolo che deriva dal greco sarakenós tramite illatino tardo saracenus) utilizzarono le coste co-me base per un’ulteriore espansione nell’Italiameridionale: nell’847 occuparono Bari (liberatadai Bizantini dell’871), Taranto, il Garigliano etennero sotto una morsa incessante praticamen-te tutte le città costiere. Ci volle addirittura una“crociata”, indetta da papa Giovanni X e allaquale parteciparono il re d’Italia Berengario I e iprincipi longobardi di Capua, Salerno e Bene-vento, per cacciare i Saraceni dal Garigliano

(915). Sul finire del secolo arriva-rono nel Mezzogiorno i normanniAltavilla, che progressivamentestrapparono agli Arabi i territorida loro occupati in Puglia e Cala-bria e vi si stabilirono in via defini-tiva. La riconquista dell’isola fu iniziatada Roberto il Guiscardo e da Rug-gero d’Altavilla, spronati da papaNiccolò II che aveva stipulato dapoco con i Normanni l’accordo diMelfi (1059). Richiamati dall’emirodi Catania, Noto e Siracusa, all’epo-ca in lotta con l’emiro di Castrogio-vanni e quello di Agrigento, essitentarono più volte di sbarcare aMessina senza successo, finchériuscirono a conquistare la città.Da lì dilagarono pian piano in tuttal’isola prendendo il controllo di Pa-lermo (1072), Trapani (1077), Taor-mina (1079), Agrigento e Siracusa(1086) e infine Noto (1091). Secon-do i cronisti coevi, la popolazione liaccolse come dei liberatori (anchese, in vero, alcune città come Taor-mina si rivoltarono).Roberto il Guiscardo si era fatto in-

vestire ufficialmente dal Pontefice e viveva l’im-presa come una vera e propria crociata ai dannidegli infedeli. Ecco cosa riferisce in proposito ilcronista Amato di Montecassino: «Quando il du-ca Roberto ebbe preso Troia, cominciò a medita-re nel suo onore come attaccare i Saraceni di Si-cilia che uccidevano i cristiani. Ma poiché senzala volontà divina nulla si può fare, attendevaqualche segnale per capire che l’attacco alla Sici-lia rispondeva al volere di Dio. Attese la vittoria,e così avvenne. Il duca gentile chiamò a sé i suoicavalieri e li esortò ad attaccare la Sicilia dicen-do: “Io vorrei liberare i cristiani che sono costret-ti alla servitù dei musulmani vendicandoli nelcontempo delle ingiurie che costoro hanno arre-cato a Dio”. Gli arditi e valenti Normanni rispo-sero che erano pronti a combattere questa batta-glia e promisero con l’aiuto di Dio di soggiogare iSaraceni. Per questo ricevettero ringraziamenti edoni dal duca» (19).

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(19) Amato di Montecassino scrisse una Historia Normanno-rum in 8 libri andata perduta, ma ne possediamo la tradu-zione francese.

Assedio di alcune città siciliane ad opera degli Arabi

Così il cronista Guglielmo di Puglia descrivela presa di Palermo, avvenuta nel 1072: «I Nor-manni e i palermitani combattevano con mede-simo sforzo, gli uni per conquistare la città, glialtri per difenderla; questi per loro stessi, quelliper far cosa gradita al loro comandante. Il de-stino fu propizio a Roberto. Un distaccamentodi Normanni si arrampicò all’improvviso sullescale e raggiunse il culmine delle mura; i difen-sori siciliani fuggivano per la paura. La cittànuova fu presa ed essi si rifugiarono in quellavecchia. Gli arabi, trovandosi allo stremo e sen-za alcuna speranza di salvezza, supplicarono ilduca di aver pietà della loro sorte e gli conse-gnarono tutto quello che avevano, chiedendo diessere risparmiati. Così con la loro resa otten-nero la protezione e la clemenza del duca, chepromise loro la vita e la sua benevolenza. Il du-ca non costrinse nessuno e, fedele alla sua pro-messa, benché questi fossero pagani, li trattòtutti con equità. Rendendo grazie a Dio, egliperò distrusse completamente la moschea e alsuo posto edificò una chiesa alla Vergine Maria.Fece inoltre munire il castello di robuste murae prese ostaggi per premunirsi contro eventualiattacchi da parte dei Saraceni» (20).

Morto nel frattempo il Guiscardo (luglio1085), il potere fu preso da Ruggero (morto nel1111), primo conte di Sicilia, che per motivi diconvenienza mantenne una parte degli ammini-stratori preesistenti. Grazie ai Normanni, quin-di, la Sicilia tornò nell’alveo delle cristianità. GliArabi che non erano disposti a convertirsi torna-rono in patria, e il territorio (eretto a regno conRuggero II) fu riorganizzato in diocesi.

Il resto del sud Italia fu invece gradualmentericonquistato dai Bizantini, che trassero vantag-gio dalla vittoria ottenuta a Bari dall’imperatorecarolingio Ludovico II nell’871 e riuscirono atornare in città nell’876. Successivamente Bi-sanzio rioccupò Creta e Cipro, parte della Meso-potamia e della Siria, e la Palestina ma senzaGerusalemme, ancora araba. E lentamente cac-ciò gli Arabi anche dal Mezzogiorno d’Italia, tor-nando a possedere la Calabria, Taranto, la Pugliae la Basilicata, che riorganizzarono in circoscri-zioni dette “temi”.

Federico II, il traditore dell’EuropaPersonaggio controverso di cui più volte si è

messo in luce il temperamento dispotico e la ma-niacale attrazione nei confronti del più rigidocentralismo soffocatore di ogni libertà (caratteri-stica, quest’ultima, che gli ha procurato l’ammi-

razione e l’adorazione da parte degli “accentra-tori” di ogni tempo e luogo, penisola italica inprimis), Federico II (21), nipote del Barbarossa,può essere a pieno titolo inserito nel novero deitraditori dell’Europa e del suo spirito.

Egli fu cresciuto ed educato da papa InnocenzoIII, un pontefice di certo non incline al lassismoné tantomeno troppo democratico. Nel 1215 Fe-derico divenne re di Germania e successivamenteImperatore con il sostegno del vecchio Papa, cheperò in cambio volle la garanzia che le coroneimperiale e siciliana - che pure spettavano a Fe-derico per discendenza - rimanessero separate.Alla morte di Innocenzo, però, il re si riprese tut-to quello che gli era dovuto e incominciò ad agi-re subito con polso di ferro, per reprimere le li-bertà non solo dei Comuni lombardi, ma anchedelle città siciliane, che grazie ai Normanni ave-vano conosciuto un momento di splendida fiori-tura commerciale.

Federico II è passato alla storia come un mo-narca liberale e colto, dalla visione del mondomolto ampia e dai molteplici interessi. Tuttaviaspesso dimenticò di essere il nipote di un grandeimperatore tedesco e di possedere nel codice ge-netico sangue e cultura mitteleuropea e cristia-na. Amante della civiltà, della lingua, della lette-ratura e dei costumi arabi, pare che amasse cir-condarsi di concubine e di eunuchi. Aveva inol-tre un vero e proprio harem di bellissime schiavee un serraglio con tutte le bestie esotiche alloraconosciute, e amava farsi accompagnare da que-sto pittoresco seguito durante i suoi viaggi attra-verso l’Europa. Memorabile, giusto per citare unesempio, il caravanserraglio orientaleggiante for-mato da scimmie, cammelli, prigionieri ed ele-fanti dal quale si fece accompagnare dopo la vit-toria di Cortenuova contro la seconda Lega Lom-barda attraverso le vie di Cremona. Una messain scena insuperabile: un grosso corteo con quelche restava del Carroccio milanese trascinato daun elefante bianco, il podestà di Milano (che erail figlio del doge di Venezia) incatenato all’alberodel Carroccio stesso, seguito da una lunga catenadi prigionieri. Il cronista parmense Salimbene deAdam, che nutriva per Federico una grande anti-

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(20) Guglielmo di Puglia, Gesta Roberti Wiscardi.(21) Federico II nacque nel dicembre 1194 dal figlio del Bar-barossa, Enrico VI re di Sicilia, e dall’ormai attempata (aveva41 anni) principessa normanna Costanza d’Altavilla. Morirànel 1250. Sulla sua fama e sulla sua figura inquietante si puòutilmente leggere Gilberto Oneto, “Federico II e il falso Car-roccio”, in Quaderni Padani n.12, pagg.26-31.

patia, nel narrare gli eventi che videro protagoni-sta l’imperatore si dimostra più volte sconcerta-to del suo contegno (22).

Più ancora dei suoi gusti sessuali e delle suemanie di grandezza sicuramente degne di unsultano più che di un principe di antica tradizio-ne cristiana, va sottolineato in questa sede il suorifiuto costante di partecipare alle crociate con-tro gli infedeli, rimandate accampando scusesempre diverse. Per questo - oltre per il fattoche girava voce fosse un eretico se non addirit-tura un epicureo (23) - fu richiamato più volte dapapa Gregorio IX e scomunicato nel 1228, fin-ché si decise a mandare - a malincuore - unaspedizione contro i suoi amici islamici. Tuttaviala sua condotta con gli Arabi non fu di guerra,ma di compromesso, e si espletò in una trattati-va col sultano di Siria ed Egitto che si conclusecon la temporanea restituzione di Gerusalem-me. Questo suo comportamento gli procurò fe-roci critiche da parte degli ambienti ecclesiasti-ci, che giudicavano Federico un “traditore dellacristianità” perché aveva preferito venire a patticon l’infedele piuttosto che passarlo a fil di spa-da.

Di certo è difficile ravvisare in Federico II lostesso sangue e la stessa tempra del nonno Fede-rico Barbarossa, che, malgrado avesse anch’eglicombattuto i Comuni lombardi (ma con ben altrepremesse e, soprattutto, con ben altra personalità

e statura morale chene fecero un personag-gio degno del massimorispetto anche agli oc-chi degli avversari), sidimostrò invece assaisensibile al pericolorappresentato dagli in-fedeli. Egli partecipòinfatti insieme a Ric-cardo Cuor di Leoned’Inghilterra e a Filip-po Augusto di Franciacon entusiasmo - seb-bene in tarda età - allaterza crociata, banditanel 1189 da papa Cle-mente III, e trovò lamorte in Anatoliamentre tentava di gua-dare il fiume Salef. Erail 1190 e l’imperatoreaveva quasi settant’an-ni. Chissà cosa avrebbe

pensato il buon Barbarossa se mentre si imbarca-va per la Terrasanta avesse potuto presagire le im-prese di suo nipote, sangue (per una parte, alme-no) del suo sangue? Per fortuna, nella sua vita,non fece in tempo a conoscerlo, e così poté mori-re col cuore in pace.

L’orgoglio nel sangue: la “Reconquista”spagnola

Di ben altre gesta si resero protagonisti pocotempo prima i Cristiani spagnoli, che a partiredai primi decenni dell’XI secolo, partendo daidue unici baluardi rimasti (il Paese Basco e lacontea di Barcellona), si impegnarono nella pro-gressiva riconquista della loro terra. Dal 1035 efino alla fine del secolo, Ferdinando I di Castigliae il suo successore Alfonso VI si ripresero la valledell’Ebro e Toledo, non senza il contributo delmitico Cid Campeador, il leggendario eroe cam-

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(22) È interessante a tal proposito leggere la cronaca di Sa-limbene de Adam, in M.G.H., Scriptores, Vol. XXXII. Descri-vendo l’imperatore, il cronista scrive «Bisogna notare cheFederico quasi sempre amò coltivare la discordia con laChiesa, e contro di essa, che pure l’aveva nutrito, difeso edesaltato, prese la armi varie volte. Non aveva alcuna fede inDio. Fu un uomo astuto, versatile, avido, lussurioso, furbo eincline all’ira». (23) Una fama di cui lo stesso Dante, pur ammirando il perso-naggio, non poté fare a meno di tener conto: vedi Dante, In-ferno, canto X, 119.

Federico II tratta con il sultano d’Egitto

pione della Cristianità contro i mori (24). Essi fu-rono però fermati da una nuova ondata di Berbe-ri musulmani provenienti dal Marocco, gli Almo-ravidi. La lotta riprese, dopo che nel 1118 Alfon-so il Battagliero ebbe riconquistato Saragozza,un secolo dopo le, nel frattempo ripopolate, cittàdella valle del Duero. I Cristiani seppero approfit-tare del rovesciamento degli Almoravidi da partedei militarmente più deboli Almohadi, e miseroin atto una tattica di accerchiamento. Partendodal Portogallo, dalla Castiglia e dall’Aragona, letruppe cristiane unite riuscirono a sconfiggereuna volta per tutte gli arabi a Las Navas de Tolo-sa (16 luglio 1212).

Quel giorno, un gran numero dei 400.000 isla-mici al comando dell’emiro Mohamed trovaronola morte sul campo di battaglia, battuti dai recristiani Alfonso VIII di Castiglia, Sancio VII diNavarra e don Pedro d’Aragona. Dopo la vittoria,gli Spagnoli si riappropriarono progressivamentedi tutta la penisola dando vita a una serie di re-gni indipendenti. L’ultimo nucleo islamico fucacciato per sempre dalla Spagna nel 1492,quando Ferdinando d’Aragona e Isabella di Casti-glia riconquistarono alla cristianità l’ultima roc-caforte araba di Granada.

Dracula e gli altriDopo la panoramica sulle terre d’Occidente,

conviene dare uno sguardo ora alla parte orien-tale dell’Europa, quella sicuramente più espostaal rischio di invasione diretta, data la contiguitàdei territori in mano cristiana con le terre giàconquistate dai Turchi ottomani (25).

A partire dal 1353, anno dell’occupazione dellapenisola di Gallipoli, la minaccia turca si fece in-fatti sempre più pressante per l’Europa. Gli isla-mici erano decisi a forzare le frontiere per dila-gare nel continente e sottometterlo, come impo-neva loro la religione che professavano, la leggedi Allah. Le forze cristiane, pontefici in testa, era-no ben consci del pericolo che l’Europa stavacorrendo. Non si contano, a partire da questi an-ni, gli appelli all’intervento armato contro gli in-fedeli, appelli che spesso e volentieri furono ac-colti, oltre che dai diretti interessati, anche dalleflotte veneziane e genovesi, che dovettero piùvolte intervenire sui mari orientali per arginareun’invasione sempre più incombente.

Nulla tuttavia si poté fare per salvare la città diAdrianopoli, che cadde in mano turca nel 1362.Da quella base partirono una serie di attacchisuccessivi, che produssero nel giro di pochissimotempo l’assoggettamento della Serbia e nuove

scorrerie in Macedonia, Tracia, Bulgaria e Valac-chia.

Per cercare di far fronte alla minaccia che or-mai stava per abbattersi sul suo regno, il red’Ungheria e futuro imperatore Sigismondobandì, in collaborazione con papa Bonifacio IX,una crociata alla quale parteciparono decine dimigliaia di Europei. Le forze cristiane tuttaviafurono sconfitte a Nicopoli nel 1396: a seguito diquesto episodio, la Bulgaria, caduta in mano aiTurchi, divenne una provincia dell’Impero otto-mano e rimase tale fino al 1878.

Con il sultano Maometto I e il suo successoreMurad II la progressiva erosione di territori per-petrata dagli Ottomani a danno dell’Impero bi-zantino provocò la conquista turca di quasi tuttii Balcani, e l’accerchiamento di Costantinopoli.Alle disperate richieste di aiuto degli imperatoribizantini Manuele II e Giovanni VIII le potenzeoccidentali risposero con la “Unione delle Chie-se”, approvata durante un concilio svoltosi aFerrara e Firenze tra il 1438 e il 1439. In que-st’occasione, per il bene di tutti, si misero daparte le tensioni tra le varie confessioni cristianeallo scopo di far fronte comune contro il turco.

Ma le lotte più dure furono combattute proprioladdove la situazione era ormai incandescente,ovvero nelle zone di confine tra i territori ormaiottomani e gli ultimi brandelli di Europa cristia-na. In questo inferno si distinse il principe VladIII di Valacchia (morto nel 1478), che pratica-mente da solo riuscì per anni a resistere ai tenta-tivi di invasione islamica. Vlad era amico di papaPio II (Eneo Silvio Piccolomini) e fu da lui inco-raggiato e ammirato, poiché sperava di farne ilcondottiero principale e il portabandiera dellaCristianità contro l’Islam. Un giorno, durante unagguato, il principe fu fatto prigioniero dai Tur-chi, e qui poté sperimentare sulla sua pelle leatrocità che gi Ottomani erano soliti infliggere ainemici. (26) Vlad imparò dai Turchi l’arte dell’im-palamento, cosa che in seguito gli fece guada-

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(24) Celeberrimo il Cantar de mio Cid, poema castiglianoscritto intorno al 1140, che si può utilmente consultare nel-la pratica edizione BUR Rizzoli.(25) Vedi in questo stesso numero dei Quaderni Padani sitrova l’elenco dettagliato degli scontri tra Islam ed Europa,data per data.(26) Per un campionario di tali atrocità e dei costumi a dirpoco disumani ai quali il principe valacco fu soggetto duran-te la sua prigionia, si può vedere (ma solo per stomaci forti)il recente romanzo dello scrittore romeno Marin Mincu, Ildiario di Dracula (Milano: Bompiani, 1992), in particolare lepagine 55-64 e 87-95.

gnare il soprannome truculento di “Tepes” (im-palatore). Personaggio controverso, egli passò al-la leggenda con il nome di Dracula (27), ma inrealtà non fece altro che ripagare i nemici dellastessa moneta. Il valore di questo principe, cuiva resa giustizia dopo una certa letteratura fuor-viante (28), è testimoniato dal fatto che combattéi Turchi fino alla fine, e trovò la morte propriodurante un ennesimo, sanguinosissimo scontro.

La caduta di Costantinopoli; la fine di un’epocaPochi anni prima, malgrado la crisi della coro-

na ungherese e i frequenti dissidi tra le varie fa-zioni nobiliari in lotta per il potere, i nobili ma-giari avevano deciso di accantonare le discordieinterne per combattere quello che concepivanoessere il vero nemico comune: il turco. Elesseropertanto il valoroso Giovanni Corvino Hunyadivoivoda di Transilvania. Egli cercò di difenderein tutti i modi le frontiere meridionali del Re-gno d’Ungheria, ma la battaglia fu più dura delprevisto. Si arrivò addirittura ad organizzareuna crociata su pressione del pontefice e sotto laguida del re di Polonia e Ungheria,Ladislao Jagellone. Tuttavia dopo qualche suc-cesso, le truppe cristiane furono sconfitte dura-

mente a Varna (1444) da Mao-metto II, che ebbe così la viaspianata per Costantinopoli. Nemmeno il figlio di Giovan-ni, Mattia Corvino (1458-90),riuscì a fermare l’inarrestabileavanzata turca. Anzi, dopoche lo stesso Vlad fu sconfittovicino a Tîrgovise, nel 1462,Mattia lo fece imprigionarementre cercava scampo versola Transilvania. Ormai priva didifese, l’antica capitale caddeil 29 maggio 1453 dopo un as-sedio durato quasi due mesi.Costantinopoli divenne Istan-bul, e la chiesa di Santa Sofiafu trasformata in un’enormemoschea. Finiva così, quasimille anni dopo la caduta del-l’Impero Romano d’Occiden-te, anche quello d’Oriente, equel che rimaneva della cul-tura europea fu costretto atrovare rifugio sul Continen-te. Negli stessi anni anche laGrecia fu conquistata comple-

tamente da Maometto II: così, nel giro di pochidecenni, quella che era stata la culla della civiltàindoeuropea cadde nelle mani dei Turchi, che nefecero un avamposto dell’Islam. Era davvero lafine di un’epoca.

La disfatta di Mohács: gli Asburgo diventano il baluardo della cristianitànell’Europa orientale

All’inizio del secolo successivo, quando il po-tere turco passò in mano a Solimano il Magnifi-co, la spinta islamica parve ancora più inconte-nibile. Nel 1521 egli conquistò Belgrado e l’anno

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(27) Il vocabolo, in romeno, è un patronimico e significa fi-glio di Dracul. Il padre di Vlad era infatti affiliato all’Ordinecavalleresco del Drago e il termine dracul significava lette-ralmente “il drago”. Tuttavia una radice del termine valaccoper “demonio” ha contribuito a creare l’immagine sinistradel personaggio. Ancora oggi, in Romania, diavolo si dicedrac.(28) La figura semi-mitica di Vlad III l’impalatore è protago-nista di numerose leggende della Transilvania (e non solo),ed è stata immortalata dallo scrittore irlandese Bram Stokercon il celeberrimo romanzo Dracula (1897), che basandosisu alcune suddette leggende ne ha fatto un vampiro e haquindi falsato completamente la storicità del personaggio.

Raffigurazione di battaglia tra l’esercito ungherese e i Turchi

dopo Rodi, costringendo i cavalieri dell’Ordinedi San Giovanni a trasferirsi a Malta. Il terrore sidiffuse ancora una volta a macchia d’olio pertutto il Continente. La preoccupazione maggio-re, dopo lo sfondamento dei Balcani, appartene-va però ai sovrani di quegli Stati che si trovava-no ormai di fronte ai Turchi. In prima linea, ora-mi esposta alle scorrerie, c’era l’Ungheria diLuigi II Jagellone.

Lo scontro inevitabile ebbe luogo il 26 (o 29)agosto 1526 intorno al porto danubiano diMohács (29). I Turchi, forti di oltre 100mila uo-mini comandati da Solimano il Magnifico nonebbero grande difficoltà a sbaragliare i 28.000messi in campo dai Magiari. La carneficina fuspaventosa: oltre idue terzi dell’eserci-to ungherese, il fiorfiore della nobiltàmagiara, fu uccisoin battaglia.

Tra i caduti, c’eraanche il giovane reLuigi, sovrano d’Un-gheria e di Boemia,che malgrado la gio-vane età aveva com-battuto da vero eroeper salvare la suaterra dall’invasione.

A seguito dellatremenda disfatta,quel che restava del-l’antico regno d’Un-gheria passava, il 10settembre, sotto lasovranità del princi-pe di TransilvaniaGiovanni Szapolyaia condizione che di-venisse uno Statovassallo dell’Imperoottomano. Il cogna-to di Luigi, l’arcidu-ca Ferdinando, si incaricò di vendicare il sovra-no ucciso, e poiché egli era fratello dell’impera-tore Carlo V d’Asburgo, la sua lotta diventò lalotta degli Asburgo, la più potente dinastia d’Eu-ropa, contro il turco invasore.

Solimano voleva arrivare a tutti i costi al cuo-re del continente, e nel 1529, dopo aver devasta-to le campagne, giunse sotto le mura di Viennacon 300.000 uomini e 400 cannoni. La resisten-za della capitale asburgica fu affidata al conte

Niklas Salm Reifferscheid, che con 20.000 fantie 2000 cavalieri riuscì, dopo settimane di san-guinosi contrattacchi (che costarono la perditadi 1500 soldati e oltre 700 civili), a respingere il14 ottobre gli invasori. Solimano fu costretto alevare l’assedio, ma si vendicò sui prigioniericristiani torturandoli e massacrandoli secondocostume, e devastò quel poco che fino a quelmomento si era salvato intorno a Vienna.

Poco dopo, nel 1532, una nuova offensiva tur-ca fallì, e il sultano fu costretto a chiedere la pa-ce. Ferdinando fu riconosciuto sovrano diun’ampia porzione di territorio ungherese anord-ovest (la cosiddetta “Ungheria imperiale”).Da questo momento in poi, gli Asburgo divente-

ranno i campionidella lotta controgli infedeli: ormai,infatti, erano loro ipadroni degli ulti-mi bastioni orien-tali della Cristia-nità, e avrebberoavuto il compitoarduo di protegge-re questa terra difrontiera dal peri-colo mortale del-l’invasione islami-ca.

Lepanto, il “trionfo dellaProvvidenza”E arriviamo così,dopo decenni di al-tre scaramucce, al-la battaglia di Le-panto. Essa fu pre-parata da una seriedi altre sanguinosescorrerie in tutto ilMediterraneo, trale quali vale la pena

ricordare l’assedio subìto dai cavalieri di SanGiovanni a Malta tra il 18 maggio e il 12 settem-bre 1565. In questa occasione, 200 navi turchecomandate da Alì Pascia si appostarono di fronteall’isola. Sessantamila uomini, continuamente

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(29) Per questa battaglia e per le altre si può utilmente ricor-rere a Elio Rosati - Anna Maria Carassiti, Dizionario dellebattaglie (Roma: Newton Compton, 1996), sub voce.

Soldati Turchi nel caratteristico abbigliamento

rinfrancati da nuovi rinforzi via mare, assalironoa più riprese le mura difese dai novemila cristia-ni, guidati dal Gran Maestro dei Cavalieri di Mal-ta Giovanni Parisot La Vallette, barricati entro lemura. I rinforzi mandati da ogni parte in aiutodegli assediati non erano sufficienti, così il 23giugno cadde il forte di Sant’Elmo. Quando tut-to sembrava ormai perduto, il 7 settembre giun-sero altri novemila rinforzi (il “Gran Soccorso”)che assalirono alle spalle i Turchi e li sbaraglia-rono, costringendoli a levare l’assedio. Così inquell’occasione Malta riuscì a salvarsi; non cosìCipro, avamposto orientale di Venezia e dellaCristianità, che nel 1570 fu conquistata da Se-lim II, e Tunisi, che ricadde in mano turca. Fuallora che Pio V, avendo compreso in tutta la suaportata il pericolo che incombeva sul Continen-te, costituì il 20 maggio 1570 la cosiddetta “Legasanta” allo scopo di organizzare un’ennesimacrociata contro il Turco.

La lega cristiana, capitanata dal papa, eracomposta da Filippo II di Spagna, dal duca diSavoia, dall’Ordine dei Cavalieri di Malta e dalleRepubbliche di Genova e Venezia. La flotta cri-stiana salpò dal porto di Messina al comando didon Giovanni d’Austria, figlio naturale di CarloV. Con lui, a comandare 207 galee, 30 navi, 6galeazze e 1815 cannoni, c’erano i veneziani Se-bastiano Venier e Agostino Barbarigo, il romanoMarcantonio Colonna e il genovese Gian AndreaDoria.

La flotta turca comandata da Mehmet Alì Pa-scià, era composta da 208 galee e 66 fuste ed eraquindi superiore di numero. Lo scontro avven-ne il 7 ottobre (stesso giorno della battaglia diPoitiers) del 1571, presso Punta Scropha, all’in-gresso del golfo di Patrasso. La battaglia fu fero-ce e terribile, e fu risolta dal grande accanimen-to con il quale i cristiani si batterono fino all’ul-timo sangue in estenuanti corpo a corpo con ilnemico sui pontili delle navi. In cinque ore, iguerrieri cristiani riuscirono ad avere la me-glio, pur perdendo 15 galee e 7500 uomini, tra i

quali lo stesso Barbarigo. Quasi ottomila furonoi feriti, tra i quali c’era anche lo scrittore spa-gnolo Miguel de Cervantes.

La sconfitta per i Turchi fu pesantissima: 100furono le navi catturate dagli Europei, e altret-tante quelle distrutte. Più di 30.000 gli infedelimorti, e circa 12.000 i prigionieri cristiani chefurono liberati e poterono così tornare alle lorocase.

Purtroppo le discordie che esistevano tra iprincipi cristiani non permisero di sfruttarecompletamente la vittoria; inoltre le condizionimeteorologiche non permisero, data la stagionein fase avanzata, di inseguire i Turchi al largo esbaragliarli definitivamente. Tuttavia la batta-glia di Lepanto fu decisiva perché sancì il fermoconclusivo degli ottomani nel Mediterraneo.L’eco in Europa fu immensa, e poeti e scrittoridi ogni Paese non mancarono di esaltare la vit-toria come il trionfo della Provvidenza che ave-va voluto salvare la Cristianità dall’avvento del-l’Anticristo, identificato - siamo in piena Con-troriforma, non dimentichiamolo - con il turcoinfedele ispirato dal demonio.

ConclusioniDopo Lepanto, ancora molti sono gli episodi

che vedranno coinvolta l’Europa contro la mi-naccia islamica. Quello che qui abbiamo tenta-to di fare è stato solo un riassunto dei momentipiù importanti di questa lotta perenne, nellasperanza che ricordarli possa in qualche modoservire oggi che questa minaccia è di nuovo alleporte. Come diceva Cicerone, non sapere cosa èaccaduto prima di noi significa restare semprefanciulli. Col rischio di pagare cara - aggiungia-mo noi - tale ingenuità. Per questo non voglia-mo, dopo quanto è stato detto, trarre una con-clusione vera e propria, ma anzi aprire una pro-spettiva e invitare alla riflessione, per evitare divedersi ripetere un domani non tanto lontanoscene ed episodi che pensavamo di aver definiti-vamente consegnato alla storia.

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Guglielmo EmbriacoParlando di Crociate, e pensando a un Padano

che in qualche modo vi si distinse, forse il primonome che viene in mente è quello del genoveseGuglielmo Embriaco detto “Testa di Maglio”,che il 15 luglio 1099 ebbe modo di parteciparecome primo attore alla conquista di Gerusalem-me (1). I Musulmani assediati all’interno dellaCittà santa furono infatti soverchiati anche gra-zie alla strenua resistenza della torre di legnoche avevano costruito i Genovesi, la quale, rico-perta di cuoio, sfuggiva al fuoco dei dardi incen-diati che gli Arabi lanciavano con veemenza suiCrociati. La torre degli infedeli invece prese fuo-co e arse in breve tempo, costringendoli a tenta-re il tutto e per tutto usando un ariete improvvi-sato contro la macchina da guerra dei Crociati;tale stratagemma tuttavia fallì: l’ariete cadde inmano genovese e fu da essi utilizzato come pon-te per passare sulle mura di Gerusalemme. Quelgiorno nel frattempo entravano in città, dopouna furibonda mischia durata sin dalle prime lu-ci dell’alba, Goffredo di Buglione, Tancredi d’Al-tavilla e Boemondo di Taranto, Raimondo di To-losa, Roberto di Fiandra e Roberto di Normandiae tutto l’esercito crociato, che si riappropriavadei luoghi santi e menava grande strage di infe-deli. Poco dopo la riconquista, i principi cristia-ni guidarono i Crociati a rendere omaggio alSanto Sepolcro, ringraziando san Giorgio il qua-le, proprio mentre l’assedio sembrava ormaisenza speranza alcuna di successo, era apparsoimprovvisamente sul monte Oliveto agitando loscudo come segnale a indicare il momento pro-pizio per entrare in città. Leggiamo un’appassio-nante ricostruzione di questo “miraggio colletti-vo” fatta da Joseph-François Michaud nel primoventennio del secolo scorso: “Goffredo e Rai-mondo lo scorgono per primi e insieme gridanoche san Giorgio è accorso in aiuto dei Crociati.Il tumulto non consente riflessioni: la vista delcavaliere celeste infiamma gli assedianti, chetornano al combattimento. Anche le donne, iragazzi, gli ammalati, si buttano nella mischia,portano acqua, viveri, armi, si uniscono ai sol-dati nello sforzo di accostare alle mura le torri

mobili. (…) Intanto si sparge la voce fra i Cro-ciati che il vescovo Ademaro e molti compagnimorti durante l’assedio sono apparsi tra le pri-me file degli assalitori e hanno piantato il ves-sillo della croce sulle torri di Gerusalemme. An-che Tancredi e i due Roberti, con un ultimosforzo, penetrano nella città, seguiti da una fol-la di valorosi combattenti, che entrano attra-verso la breccia semiaperta, o scalando le murao balzando dalle torri sui terrapieni. I Musul-mani fuggono da tutte le parti e Gerusalemmerisuona del grido crociato: “Dio lo vuole!”. Icompagni di Goffredo e Tancredi rompono acolpi di scure la porta di Santo Stefano e lacittà si apre a una calca di Cristiani, che si di-sputano l’onore di dare gli ultimi colpi agli infe-

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I Padani alle Crociatedi Elena Percivaldi

Baldovino di Fiandra, imperatore latino d’O-riente, in una miniatura del XIII secolo

(1) Sulle gesta di Guglielmo Embriaco ci informano con do-vizia di particolari gli Annales Caffari, consultabili nell’edi-zione critica appartenente alla serie Monumenta GermaniaeHistorica (M.G.H.), Scriptores, vol.XVIII.

deli. Soltanto Raimondo trova ancora qualcheresistenza, ma avvertito dalle grida dei Musul-mani della conquista cristiana, sprona i suoisoldati ancora una volta ed essi, impazienti diraggiungere i compagni, abbandonano macchi-ne e torri, che non hanno più la forza di muove-re, e si affrettano su per le scale aiutandosi l’unl’altro. Preceduti da Raimondo di Tolosa, conaltri capi, raggiungono la sommità delle mura eniente può trattenerli più: disperdono i Sarace-ni, che vanno a rifugiarsi con l’emiro nella for-

tezza di Davide, e in breve tempo tutti i Crociatisi abbracciano, piangono di gioia fra le mura diGerusalemme, non pensando più che a sfruttarela loro vittoria” (2).

Il 15 luglio 1099 era un venerdì; l’ora nellaquale i Crociati entrarono nelle città era le tredel pomeriggio: giorno e ora corrispondevano algiorno e all’ora in cui era morto Cristo.

Una leggenda narra che in tal frangente il pri-mo dei Cristiani a entrare materialmente nellacittà riconquistata fosse Giovanni da Rho, cheguidava il contingente milanese dell’esercitolombardo che aveva aderito alla Crociata. Secon-do la tradizione, Giovanni saltò sulle mura diGerusalemme ghermendo lo stendardo di san

Giorgio, simbolo che compariva sulle navi dellaRepubblica Genovese e che di lì a pochi decennisarebbe diventato il vessillo sotto il quale si sa-rebbero radunati i fanti e i cavalieri dei Comunicontro il Barbarossa.

Guglielmo Embriaco si distinse successiva-mente in altri episodi, tra i quali merita di esse-re ricordata almeno la vittoria sui rinforzi egi-ziani ad Ascalona il 12 agosto 1099. E molti altrierano i partecipanti lombardi (3) alla Prima Cro-ciata, dato che le terre dell’Italia padana erano

state, insieme aquelle del nord dellaFrancia e della Re-nania, le più gene-rose nell’aderire allospirito crociato. Ba-sti pensare ad esem-pio anche che allasola “Crociata deifanciulli” (1212)parteciparono deci-ne di migliaia digiovani, che partiro-no per l’Oriente daMarsiglia, Genova,Pisa e Venezia. Lostesso dicasi per lacosiddetta “Crociatapopolare”, la primaa partire nel 1096sotto la guida delpredicatore Pietrol’Eremita e di Gual-tieri “Senza Averi”,che aveva reclutatola maggior parte de-gli aderenti in Fran-cia e in Padania.

Forse in questa luce andrebbe leggermente ri-vista l’affermazione del Cardini che “l’apportoitalico alla Prima Crociata e alla fase della si-stemazione del Regno franco di Gerusalemmefu essenzialmente quello delle città marinare.L’unico tipo di contributo diverso fu costituitoda una strana spedizione lombarda che partì

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Pietro l’Eremita esorta i contadini a partecipare alla Crociata popolare.Dipinto ottocentesco di Francesco Hayez

(2) Joseph-François Michaud, Storia delle Crociate, volumeI, pagg. 151-152.(3) Ricordiamo che a quel tempo “Lombardi” significava inpratica “Padani”, dato che la cosiddetta Lombardia corri-spondeva all’incirca ai confini dell’antico Regno longobardo(Langobardia Maior), che comprendeva territori dal Friulial Piemonte, dalle Alpi alla Toscana.

nell’estate del 1100 alla volta dellaTerrasanta sotto la guida dell’arcive-scovo di Milano, Anselmo da Bovisio,e di alcuni membri di famiglie aristo-cratiche lombarde come i Conti diBiandrate. La spedizione - nella qualeè forse giusto scorgere gli ultimi ba-gliori del movimento patarinico lom-bardo - si dissolse comunque un annodopo sull’altopiano anatolico: la mag-gior parte dei suoi partecipanti fu fat-ta a pezzi dai Turchi, e solo alcunigiunsero fortunosamente in Pale-stina” (4).

I Marchesi Aleramici di Monferrato:la storia di una maledizione

Lasciando da parte i numerosissimiepisodi che videro coinvolti personag-gi padani (genovesi, veneziani, mila-nesi, eccetera), sui quali esiste co-munque una ricca bibliografia (5) e deiquali alcuni in questo stesso volumehanno parlato, vale la pena di riper-correre brevemente le vicende che eb-bero come protagonisti i Marchesi diMonferrato, antichissima famiglia piemontese diorigine franca, che alle Crociate sacrificò il fiorfiore della sua progenie (6).

Questa stirpe diede numerosi crociati e com-battenti valorosissimi, primo fra tutti GuglielmoII il Vecchio, che nel 1147 si imbarcò al seguitodi Luigi VII re di Francia per seguirlo alla secon-da Crociata. Ma egli non fu il solo degli Aleramicia distinguersi durante la lotta contro gli infedeli.Al centro di tutta la storia ci furono anche i suoiquattro figli, la cui fortuna in Oriente fu osteg-giata da una sorta di maledizione. La maggiorparte infatti morì di malattia (come del resto lostesso Guglielmo il Vecchio) o assassinata in se-guito a congiure di potere, cosicché l’autorità deiMonferrato non riuscì mai a imporsi in modopermanente e duraturo in Terra Santa.

Il primo a lasciare la vita in Oriente in circo-stanze misteriose fu Guglielmo Lungaspada, fi-glio dello stesso Guglielmo il Vecchio e uomoassai valoroso che si era più volte distinto in bat-taglia. Egli aveva fama di onestà in quanto simanteneva estraneo alle tresche che i nobili im-bastivano per spartirsi il potere.

Il suo momento, dopo tante battaglie, parvearrivare nel 1175, quando il povero il re di Geru-salemme, il giovane Baldovino IV d’Angiò, chereggeva il trono della Città santa riconquistata

quasi un secolo prima per mezzo della PrimaCrociata (1095-1097), morì a causa di una terri-bile forma di lebbra. Come suo successore fuscelto proprio Guglielmo, che grazie alla suapersonalità sembrava ai più l’uomo giusto perrisollevare le sorti del Regno che parevano assaicompromesse. Nell’ottobre 1176 dunque eglisposò la sorella di Baldovino e ricevette in inve-stitura le contee di Ascalona e Giaffa. Ma il desti-no era in agguato e Guglielmo non poté goderea lungo del suo ruolo: nel giugno 1177, infatti,si ammalò gravemente e spirò nel giro di pochigiorni, lasciando la moglie incinta.

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Lo stemma dei Marchesi di Monferrato

(4) Franco Cardini, L’Italia e le Crociate, in Le Crociate. L’O-riente e l’Occidente da Urbano II a San Luigi (1096-1270), acura di Monique Rey-Delqué, Catalogo della mostra di Palaz-zo Venezia, Roma, 14 febbraio-30 aprile 1997 (Milano: Elec-ta, 1997), p.87.(5) Ad esempio: G. Airaldi, I lombardi alla prima crociata, inAA.VV., I Comuni italiani nel regno crociato di Gerusalem-me, a cura di G. Airaldi e B. Z. Kadar (Genova: Istituto diMedievistica, 1986) o altra bibliografia citata in calce a Fran-co Cardini, op. cit. (6) Sui Marchesi di Monferrato e la loro storia in Oriente vediW. Hauberstump, Dinastie europee nel Mediterraneo orien-tale. I Monferrato e i Savoia nei secoli XII-XV (Torino: Scrip-torium, 1995). Un’utile sintesi è comparsa sulla rivista Me-dioevo edita da Rizzoli, n. 2 (25), febbraio 1999, pagg. 20-34.

La maledizione del regno d’Oriente parve con-fermarsi con Ranieri fratello di Guglielmo Lun-gaspada, che, dopo aver sposato nel 1180 la fi-glia di Manuele Comneno, imperatore d’Oriente,fu avvelenato con la moglie dal successore dellostesso Manuele, Andronico, in seguito ad unacongiura di palazzo.

Successivamente, tentò la fortuna anche Cor-rado di Monferrato, che dei precedenti era il ter-zo fratello. Dopo aver combattuto alacremente evalorosamente sui campi di battaglia della Pale-stina, egli sposò Isabella d’Angiò, sua cognata inquanto sorella della moglie di Guglielmo, nel1190, e subito dopo - non appena fu proclamatore di Gerusalemme - fu assassinato da un fanati-co della setta degli “Assassini della Montagna”,forse armato dal geloso Riccardo Cuor di Leone.

Ultimo dei quattro fratelli fu Bonifacio, che fi-no a quel momento era rimasto in Piemonte.Partecipando alla Quarta Crociata (1202-1204)alla guida delle truppe lombarde e tedesche, egliconquistò Costantinopoli e per un attimo parveottenere anche il titolo di imperatore latino d’O-

riente, ma all’ultimogli fu preferito il po-tente Baldovino diFiandra, spalleggiatoda Venezia. Il premio di consola-zione per Bonifacio fula corona di Tessaloni-ca. Pochi anni dopotuttavia anch’egli fuucciso in circostanzemisteriose: caduto inun imboscata tesaglidai Bulgari che preme-vano sui confini del-l’Impero, fu decapitatoe la sua testa fu inviataal capo bulgaro, cherabbrividì di gioia. Una storia sfortunata,dunque, quella deiMarchesi di Monferra-to, che - a onor del ve-ro - dovettero guardar-si più spesso da nemiciche professavano la lo-ro stessa religione chedagli infedeli.

ConclusioniQuelli che abbiamo ri-

cordato sono solo alcuni degli episodi che videroprotagonisti i Padani alle Crociate. La storia dascrivere, altrimenti, sarebbe immensa. Quel chepiù conta in tutto questo è estrapolare almenodue punti fermi. Il primo è che i Padani furonospesso decisivi, durante le Crociate come anchenei successivi (e precedenti) episodi della mille-naria lotta della Cristianità contro l’Islam; il se-condo è che durante le Crociate i Padani com-batterono uniti sotto l’insegna di san Giorgio,che fu adottata come emblema della Cristianitàtanto da diventare in seguito parte integrantedella simbologia araldica di tutti i Comuni guelfiche, nella lotta contro il potere imperiale, furo-no spalleggiati dai pontefici.

Durante le Crociate, perciò, diede i primi va-giti uno spirito che sarebbe destinato in seguitoa dare grossi frutti: qui per la prima volta i Pa-dani crociati combatterono uniti per la fede cri-stiana sotto quel vessillo di san Giorgio (la ban-diera più antica d’Europa) che ancora oggi, adistanza di tanti secoli, li rappresenta come co-mune sentire.

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Il ritorno dalle Crociate nell’interpretazione ottocentesca di Karl Frie-derich Lessing

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La storia quella vera, non certo le barzelletteinsegnate nelle scuole d’ogni ordine e gradodello stato italiano, non ha mai fretta: essa

ha infatti i tempi millenari dei popoli, che nelsusseguirsi di lotte cruente riescono a sopravvi-vere o soccombono, sparendo così dal suo sce-nario. Di una cosa possiamo essere certi: nessunconto per quanto apparentemente lontano neltempo, potrà mai essere lasciato eternamente insospeso, il suo saldo prima o poi avverrà e conesso una generazione verserà il suo tributo disangue e sofferenze; un popolo vile e senza ani-ma, può solo rinviare il giorno della sua fine, manon potrà evitarlo per nessuna ragione al mon-do, poiché già spiritualmente morto.

Quanto ho premesso ha valore ancora mag-giore per le grandi Tradizioni, prima fra tuttequella europea, la cui origine poggia su legamidi sangue antichissimi e su comunanze spiritua-li altrettanto remote, a cui il messaggio cristia-no ha saputo dare sviluppo e completezza nelcorso degli ultimi due millenni, rinsaldando cosìalmeno nella Fede, l’unione dei popoli del no-stro continente. E l’Europa, che lo voglia o no,ha da oltre 1200 anni un conto aperto con unsuo terribile vicino: l’Islam, ormai ben presenteanche al suo interno con milioni di Musulmani,che pacificamente l’hanno invasa negli ultimidecenni e che in maniera esponenziale conti-nueranno e farlo nel prossimo futuro, affinché siavveri la profezia di Maometto, che indica nellaconquista di Roma la fine della nostra Tradizio-ne su tutto il Continente. In questa lotta mille-naria, vi furono e vi sono popoli che per motivigeografici, si trovarono costretti in prima linea eche comunque da ciò seppero trarre maggiorforza e vigore, sino a essere tra i protagonisti as-soluti della liberazione dell’Occidente europeo edel Mediterraneo dagli Arabi e dal flagello delleincursioni dei pirati saraceni. Con ciò voglio ri-ferirmi in particolare ai Liguri, la cui lotta conl’Islam mi accingo a narrare nei suoi tratti es-senziali.

La fonte documentale più antica in proposito,ci narra di uno scontro navale presso la Corsica,

tra il conte di Genova Ademaro e i Saraceni, i pi-rati musulmani che proprio a partire dal IX se-colo, iniziarono a infestare il Tirreno e il Mar li-gure. Nell’849 il litorale dalla Provenza alla To-scana fu devastato dalle loro incursioni, che sispinsero sin quasi alle porte di Roma, tanto chepapa Leone IV aveva esortato i Cristiani alla lot-ta all’Islam senza esitazioni, in quanto: “L’Onni-potente sapeva quando qualcuno moriva per laverità della Fede, per la salvezza della sua patriae per la difesa della Cristianità”. Sempre più ar-diti, i Saraceni occuparono stabilmente Frassi-neto in Provenza nell’890, da cui salparono persaccheggiare San Remo e Taggia a cavallo tra ilIX e il X secolo. Le reliquie di S. Romolo, con-servate e venerate a San Remo, furono traspor-tate a Genova, ma anche qui terribile si abbattéil flagello musulmano, così che la città fu occu-pata e messa a ferro e fuoco nel 935: 5.000, si di-ce, i Genovesi che nell’occasione persero la vita.Fu forse questa la risposta a quello che quattroanni prima era stato il tentativo in parte fallito,compiuto da una flotta bizantina, appoggiata ap-punto da navi genovesi e liguri, di espugnare ilcovo dei Saraceni in Provenza. Il conto fu peròdefinitivamente saldato nel 972-73, da forze pro-venzali, a cui aveva dato il suo appoggio anche ilmarchese ligure Arduino. Genova nel frattempo,si era decisamente ripresa dal terribile sacco,tanto da esserle riconosciuto nel 958, di utiliz-zare il proprio diritto consuetudinario dai re d’I-talia Berengario II e Adalberto, primo importan-te passo verso la piena indipendenza. La crescitaeconomica e militare della città, le permetteràsotto la guida dei marchesi Obertenghi di libera-re Luni e la Sardegna insieme con Pisa, su invi-to di papa Benedetto VIII. Sarà così che in duescontri navali, nel 1015 e nel 1016, il re sarace-no Mughaid, detto Muscetto verrà definitiva-mente scacciato dall’isola e costretto a rientrarenella sua base di Denia in Spagna. Ancora insie-me, le due città, in un’ardita spedizione sino inAfrica, occuperanno Bona nel 1034. Seguirà unperiodo di relativa tranquillità, finché nel 1087Genovesi, Pisani, Amalfitani e altri rappresen-

I Liguri e l’Islamdi Flavio Grisolia

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tanti della Cristianità, sempre su invito di un pa-pa, Vittore III, non dovranno recarsi con 300 na-vi e 30.000 uomini a Mehedia, a calmare i bol-lenti spiriti del governatore zerida Temin, chenon voleva saperne di starsene in casa sua. Ilgiorno di S. Sisto, l’otto agosto, la città tunisinasarà conquistata e saccheggiata e il Governatorecostretto a liberare i Cristiani prigionieri e asborsare un bel po’ di denari. I Genovesi, con laloro tipica lungimiranza, otterranno inoltre chealle loro navi vengano per il futuro concessi di-ritti doganali e privilegi. Anche altri vassalli delCaliffo, come quelli di Tripoli e Tunisi, si vedran-no costretti a venire a patti coi combattenti cri-stiani, facendosi tributari della Santa Sede. Colricco bottino della spedizione, quale ringrazia-mento della buona riuscita dell’impresa, sarà poicostruita a Genova sulla marina di Pré, unachiesa dedicata a S. Sisto, propiziatore della vit-toria.

Siamo così giunti alla vigilia della Prima Cro-ciata (1095-1096), che vide la partecipazione, ol-tre a Genova di altre città liguri emergenti, qualiSavona, Noli e Albenga, a dimostrazione dellarinnovata vitalità e dell’inesauribile voglia di ri-vincita dei Liguri nei confronti dell’Islam, in ri-cordo dei periodi bui dei secoli precedenti. Nonstarò qui a dilungarmi sull’apporto determinan-te che i Genovesi, guidati da Guglielmo Embria-co e i Liguri tutti, diedero al buon esito dellaCrociata e in particolare alla conquista di Geru-salemme: basterà solo ricordare che in tredicianni Genova organizzerà otto spedizioni, tantoche il re e il patriarca della Città Santa, darannoun pubblico riconoscimento al contributo ligu-re, ordinando che sull’architrave della chiesa delS.Sepolcro, il massimo luogo di culto della Cri-stianità, siano scritte a lettere cubitali d’oro leseguenti parole: Praepotens Genuensium prae-sidium, vale a dire “Il molto potente aiuto deiGenovesi”.

L’alleanza con Pisa si era frattanto incrinata, acausa della concessione all’arcivescovo di que-st’ultima, dell’isola di Corsica da parte di papaUrbano II nel 1091. Ciò fu forse alla base delloscarso successo l’anno seguente, della spedizio-ne fatta insieme, in aiuto di Alfonso VI di Casti-glia contro Valencia, come pure di quella con reSancio di Navarra e Aragona, contro Tortosa,nella Spagna dominata dagli Arabi. Un po’ me-glio andò nel 1114, quando le due città andaro-no insieme in aiuto del Conte di Barcellona, an-ch’esso minacciato dai Mori. Altra musica invecenel 1136, allorché Genova da sola con dodici ga-

lee, espugna la città di Bugia, nell’attuale Alge-ria, ricavandone per il futuro la gestione di unfondaco, vale a dire di un magazzino merci, ol-tre naturalmente a un cospicuo “rimborso spe-se” in oro e a una nave, con tanto di Saraceni airemi. Presoci gusto, solo un anno dopo i Geno-vesi puntarono con ventidue galee direttamentesu Algeri, allora chiamata Garbo, a caccia diMohammed-ibn-Meimum, che di navi ne avevaben 110 e non avendolo trovato, si misero, pernon restare in ozio, a saccheggiare tutto quantodi saraceno gli si parava davanti.

Genova ormai stava facendo la sua Crociataprivata contro i Mori e fu così che tra il 1146 e il1147, organizzò due spedizioni contro il mondoislamico del Mediterraneo occidentale. La primaguidata dal noto annalista Caffaro e da ObertoTorre, con al seguito ventidue galee e sei navi dacarico, si diresse dapprima a Minorca, dove sbar-carono anche soldati a cavallo, che per quattrogiorni misero a ferro e fuoco l’isola, impartendoai Mori una pesante sconfitta in uno scontro incampo aperto. Da qui ripartirono per il porto diAlmeria nel sud della Spagna, dove ebbero mododi depredare numerose navi cariche di grandiricchezze. A questo punto decisero di sbarcareper assediare la città, i cui abitanti terrorizzatiproposero una tregua in cambio di una sommadi denaro, da versare in due volte. Da bravi le-vantini si scordarono però di pagare la secondarata, al che i Genovesi infuriati li misero imme-diatamente sotto assedio con l’aiuto di macchi-ne da guerra di cui erano esperti costruttori. Asalvezza dei Mori giunse l’inverno che costrinsei nostri a tornarsene a casa.

La seconda spedizione avviene un anno dopo,con ambizioni ancora maggiori: oltre ad Alme-ria, Genova ora vuole liberare anche Tortosa e -alleata col re di Castiglia e di Leon Alfonso VII, ilre di Navarra Don Garzia IV e il conte di Barcel-lona Raimondo Berengario IV - concorda chenel caso di vittoria, avrà in suo possesso un ter-zo di entrambe le città. La partenza, precedutada cinque mesi di preparativi, vede salpare a giu-gno del 1147, una flotta di ben 163 navi da cari-co, a cui si aggiungono 63 galee, per un totale di12.000 uomini imbarcati. Approdati a Capo diGata, presso Almeria, i Genovesi si arrestano inattesa delle truppe degli alleati: ma è solo ilConte di Barcellona a farsi vivo con - ironia dellasorte - un mini-esercito di 400 cavalieri e 100fanti. Davanti a questa situazione i Liguri nonhanno più dubbi e decidono l’attacco: il consoleBalduino, con quindici galee, si presenta dinanzi

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alla città, mentre il resto della flotta rimane die-tro il Capo. A tale vista i Saraceni escono a darbattaglia in gran numero ed è allora che il gros-so delle navi appare e sbarca i suoi armati. I Mo-ri cadono a migliaia, pare in 5.000, e sotto l’urtogenovese, cercano addirittura scampo in mare,dove però finiscono per soccombere sotto i tiridegli arcieri delle galee.

Fra tutti si erge la figura mitica di GuglielmoPelle, che - stando alle cronache del tempo - dasolo fa fuori ben 100 Musulmani. La vittoriacampale permette di iniziare adeguatamente lapreparazione dell’assedio, che nemmeno due di-sperate e infruttuose sortite degli Arabi, riesco-no a evitare.

A rinfocolare ulteriormente gli animi, giungo-no finalmente i tanto attesi alleati: il re Alfonsodi Castiglia e Don Garzia di Navarra, questa vol-ta con un numero adeguato d’armati. L’attaccoverrà iniziato il 17 ottobre 1147, vigilia di S. Lu-ca e quattro giorni dopo Almeria sarà definitiva-mente liberata dal giogo islamico, con la mortedi 20.000 Saraceni e la cattura da parte genovesedi altri 70.000.

Ricco il bottino, che stavolta comprenderàtutta la città, assegnata a Genova e da questa da-

ta in feudo per trent’anni a Ottone Buonvillano,uomo probo e sapiente.

Il successo dell’impresa spinse i nobili spagno-li e il conte Raimondo a richiedere ulteriormen-te l’aiuto dei Liguri per la conquista di Tortosa,ragion per cui, ritiratisi a Barcellona con gli al-leati, questi inviarono due navi col bottino a Ge-nova, insieme ai consoli Oberto Torre e AnsaldoDoria, con lo scopo di chiedere l’autorizzazionealla nuova impresa e aiuti. L’approvazione nonmancò insieme a rinforzi, così che nel luglio del1148, le truppe cristiane erano davanti a Torto-sa, dove si divisero in tre schiere per assalire lacittà da punti diversi.

Le macchine da guerra dei Genovesi entraro-no in azione, distruggendo le fortificazioniesterne, le torri e le case degli assediati, che pe-raltro opposero una strenua resistenza, finchénon gli rimase altra scelta che rinchiudersi nellacittadella, protetta da un largo e profondo fossa-to. Senza perdersi d’animo i consoli genovesi,ordinarono che la si riempisse, cosa che regolar-mente fu portata a termine in tempi eccezional-mente brevi. A questo punto entrarono nuova-mente in funzione le torri mobili dei Liguri, ingrado di resistere ai massi da 200 libbre, che i

Guglielmo Embriaco conquista Gerusalemme. Affresco del Tavarone

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Mori gli scagliavano contro. Vistisi persi, i Sara-ceni cercarono di scendere a patti e promiserodi arrendersi senza più colpo ferire, se entro 40giorni non avessero ricevuto aiuti. Nonostantela stranezza della proposta, i Cristiani accettaro-no e stavolta, rispettando la parola data, il 30 di-cembre 1149 i difensori arabi consegnarono laroccaforte senza porre altre condizioni. Forseper ciò, la città non fu saccheggiata e a Genovaspettò un terzo del bottino e di Tortosa, che ven-ne in seguito venduta al Conte di Barcellona.

L’eco della “Crociata genovese” non si era an-cora spento che un certo Lopez, signore arabo diValencia, pensò bene di verificare se i Genovesine avessero ancora lo spirito combattivo, andan-do a depredargli le navi mercantili. Un tentativod’accordo diplomatico, intrapreso dall’ambascia-tore Oberto Spinola, fu presto disatteso dal Mo-ro, ragion per cui lo stesso Oberto salpò da Ge-nova con cinque galee, con l’intento di risolvereuna volta per tutte la questione. Giunto a Denia,nei territori del Califfo, questi gli inviò un mes-so che per suo conto si impegnava a disarmaretutte le navi saracene e si rimetteva alle sue vo-lontà. Lo Spinola, consigliatosi con gli altri con-soli, Lamberto di Filippo Lungo e Ansaldo Scaliae i comiti delle galee, impose al Lopez di pagarela somma di 10.000 marabuttini in oro, in cam-bio della garanzia da parte genovese di noncombatterlo per dieci anni, salvo naturalmenteche lui non intralciasse i loro commerci.

A dimostrazione del timore che ormai la crocedi S. Giorgio infondeva a tutto il mondo islami-co, il Moro pagò senza fiatare, firmando l’accor-do col rappresentante genovese Guglielmo Casi-zio, figlio d’Ingo della Volta.

Confermando il prestigio raggiunto, Genovadiverrà il punto di raccolta e d’imbarco dei so-vrani e delle loro truppe per la Terza Crociatanel 1189: Filippo di Francia, Riccardo Plantage-neto, detto Cuor di Leone, re d’Inghilterra, ilDuca di Borgogna, sono solo alcuni di coloroche salperanno verso la Terra Santa su navi ge-novesi. Né mancherà un intervento diretto deiLiguri al tentativo, purtroppo vano, di riconqui-stare Gerusalemme alla Cristianità, dopo che ilturco Saladino l’aveva occupata: il console Gui-do Spinola, Nicola Embriaco, Fulcone di Castel-lo, Simone Doria, Balduino Guercio, Rosso dellaVolta, sono alcuni dei valorosi Genovesi checombatteranno in Palestina e che grazie alla giàcitata perizia nel costruire macchine da guerra,risulteranno determinanti nella riconquista diTolemaide e di S. Giovanni d’Acri; ancora nel

1190, ottanta navi partiranno da Genova, cari-che di Crociati, tra cui i due consoli Simon Ven-to e Marino di Rodano.

Rientrati dalla Terra Santa, i Genovesi ebberomodo di battere nuovamente i Saraceni, allor-ché liberarono Catania dalla loro presenza nel1194, durante la spedizione che fecero insiemecon i Pisani nel Meridione d’Italia e in Sicilia,per conto dell’imperatore Enrico VI.

A duecento anni dal sacco di Genova e dallescorrerie sulle Riviere, i ruoli tra Liguri e Mu-sulmani si erano sostanzialmente invertiti, alpunto che un prelato francese, Giacomo di Vitrypoteva scrivere, visitando la capitale ligure nel1216, di essere ammirato degli uomini potenti,valenti nell’uso delle armi e dallo spirito guer-riero che l’abitavano, osservando inoltre chepossedevano molto naviglio e ottime galee convalenti marinai e con le quali perseguitavano iSaraceni in mare e per terra, quando sbarcavanonei loro covi. “Non credo - continuava l’ecclesia-stico - che nessun’altra città possa come questaessere adatta alla liberazione della Terra Santa.Le loro navi affrontano il mare in qualunquetempo, senza temere naufragi e procelle”.

Questa doveva essere altresì l’opinione di papaOnorio III, che nel 1218 esortò i Genovesi insie-me ad altri feudatari francesi, a correre in soc-corso del re d’Ungheria, del duca d’Austria e delre di Gerusalemme, che partiti per la QuintaCrociata, erano da tempo impegnati nell’assediodi Damietta in Egitto. Il 23 luglio del 1219, diecigalee al comando di Giovanni Rosso della Volta edi Pietro Doria, tre guidate dal conte Savarigiodi Monleone e una del conte Alemanno della Co-sta, salparono da Genova, approdando in agostoa Damietta.

Il loro arrivo fu quanto mai tempestivo e prov-videnziale, poiché otto giorni dopo i Saracenisferrarono un poderoso attacco, che però nondiede esito per l’accanita resistenza dei Crociati,tanto che i Mori chiesero una tregua. Giungevaintanto la notizia, peraltro infondata, dell’arrivodell’imperatore di Germania, che gettò sconfor-to tra i Musulmani, tanto che il Califfo, pur diavere la pace, promise di liberare i prigionieri,consegnare il legno della vera Croce, rimetterein piedi le mura di Gerusalemme e restituiretutto il regno Gerosolimitano, tranne due forti.La proposta non fu accettata e i combattimentiripresero duramente, sinché il 5 dicembre 1220,non estraneo l’apporto genovese, la città caddein mano cristiana. L’eco della vittoria fu motivodi grande gioia e solenni celebrazioni in Genova

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e, sulla scia dell’entusiasmo, una nuova spedi-zione dalla città raggiunse Damietta nella pri-mavera seguente. Purtroppo le sorti dello scon-tro erano destinate a volgere a sfavore dei Cro-ciati: dopo aver nuovamente chiesto una tregua,stavolta per ben trent’anni e aver ricevuto un ul-teriore rifiuto, i Saraceni approfittavano conastuzia della collocazione della città nel delta delfiume Nilo per allagarla, rendendo così insoste-nibile la situazione dei Cristiani, che erano co-stretti a scendere a patti in situazione di svan-taggio, dovendo perciò rientrare in Europa, do-po aver scambiato i reciproci prigionieri. Ciònon significò però per Genova la perdita del re-verenziale timore che incuteva ai Musulmani,come dimostrano gli avvenimenti che ebberocome teatro la città di Ceuta, presso lo stretto diGibilterra. Fin dall’inizio del XIII secolo era in-

sediata in quella città una fiorente colonia geno-vese, tutta dedita ai commerci via mare. Il cre-scere della sua ricchezza e dei suoi beni, nonpassò purtroppo inosservato al sovrano di Sivi-glia, che pensò bene di inviare una flotta per im-padronirsene. Ma, come sempre ben informati, iGenovesi seppero per tempo delle brutte inten-zioni di Mori e in brevissimo tempo ecco partireda Genova, sotto la guida di Carbone Malocello eNicolino Spinola, esattamente il 5 giugno 1231,una squadra di dieci galee e cinque navi da cari-co. Bastò la loro semplice presenza a Ceuta, percalmare immediatamente ogni istinto bellicosodel signore di Siviglia, anzi per il disturbo arre-cato e per non subire maggiori danni, sborsòsenza fiatare 8.000 bisanti, oltre a un magnificocavallo arabo, ferrato con zoccoli d’argento e ri-coperto da una gualdrappa d’oro, che fu trionfal-

Raffaele Adorno conquista le isole Zerba (1338). Affresco del Tavarone

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mente fatto sfilare per le vie di Genova, dove laflotta rientrò alla fine d’agosto. Purtroppo però iproblemi per i Genovesi di Ceuta non erano an-cora finiti, poiché due anni dopo, il Cadì, vale adire il signorotto arabo di quella città, saccheg-giò il quartiere genovese, pur di non pagare lametà delle spese sostenute dai Liguri per averfatto giungere da Genova una flotta che avevadifeso Mori e Cristiani da un’accozzaglia di pira-ti inglesi, baschi e fiamminghi che li minaccia-vano. La risposta di Genova a un tale affronto fupronta e, col concorso di tutta la città, si allestìuna flotta di 100 navi, affidandola al comando diCarbone Malocello. Ceuta fu posta sotto assedioe alla fine dovette cedere, così che il Cadì fu co-stretto a firmare con Sorleone Pevere un tratta-to estremamente oneroso, che prevedeva il ri-sarcimento di tutti i danni sofferti dai Genovesie delle intere spese della spedizione.

Genova si poneva quindi come grande potenzamarittima e dominatrice assoluta del Mediterra-neo occidentale, nonché, all’occorrenza, baluar-do contro le orde islamiche. E’ quindi logico cheil re santo Luigi IX di Francia stipulasse con leiun accordo, il 10 ottobre 1246, al fine di orga-nizzare il trasporto, garantendosi altresì il sup-porto logistico e militare della Repubblica ligu-re, per quella che doveva essere la Sesta Crociatain Terra Santa, bandita da papa Innocenzo IV,dopo che Gerusalemme era nuovamente caduta.Due genovesi, Ugone Ferrari e Iacopo di Levan-to, divenivano inoltre ammiragli del Re, passan-do al suo servizio con un contratto di due anni,a partire dall’11 giugno 1247. Occupata Damiet-ta, senza incontrare resistenza, nel giugno del1249, i Crociati non sfruttarono l’effetto sorpre-sa puntando direttamente su Il Cairo e dandocosì la possibilità ai Saraceni di organizzarsi. Fa-me e peste, oltre a un’accanita resistenza, bloc-carono i Cristiani, che alla fine furono costrettia ritirarsi verso Damietta, presidiata da Genovesie Pisani, senza però riuscire a raggiungerla, poi-ché quasi tutti, compreso S. Luigi IX, furonocatturati. Per liberarsi, il Sovrano dovette paga-re un forte riscatto, ma ciò non valse a farlo de-sistere dai suoi propositi: tornato in Francia, nel1268 stipulò diversi accordi con i potenti d’Eu-ropa per una nuova Crociata. Genova si impe-gnò a fornirgli 10.000 uomini più le navi. Sbar-cati il 17 luglio 1270 nel golfo di Tunisi, i Cro-ciati conquistarono Cartagine, dove i Genovesi,guidati da Ansaldo Doria e Filippo Cavaronco,ebbero modo di distinguersi, divenendo deter-minanti. Ma di lì a breve, la peste, che causò la

morte dello stesso Re, pose fine all’ultima Cro-ciata. Nonostante ciò i Genovesi non sarebberocomunque tornati a mani vuote, avendo ottenu-to dal sovrano di Tunisi Al-Mostancir la restitu-zione del doppio della cifra che questi aveva loroprecedentemente sequestrato, se a complicar lecose non ci si fosse messa una terribile tempestadurante il ritorno, nelle acque di Trapani. Tuttociò che si poté salvare, finì nelle grinfie di Carlod’Angiò re di Sicilia, che sordo alle proteste ge-novesi, non restituì mai ciò che non gli apparte-neva.

Passano diversi decenni di relativa tranquillitàsui mari, dove i Genovesi continuano ad accre-scere i loro commerci temuti e rispettati da tut-ti, sinché intorno al 1340 i Mori di Granada e delMarocco, sconfitto Alfonso XI di Castiglia, pon-gono sotto assedio le città di Algesira e Tarifa,presso lo stretto di Gibilterra. Ancora una voltasarà Genova, allora più che mai “Signora di tut-to il Mediterraneo”, come ebbe a scrivere Fran-cesco Petrarca, ad accorrere in aiuto della Cri-stianità iberica, inviando per l’occasione ventigalee al comando di Egidio Boccanegra, fratellodi Simone, il primo doxe. I Musulmani venivanoquindi attaccati da terra da Castigliani e Porto-ghesi, mentre sul mare i Liguri avevano la me-glio, impossessandosi di dodici navi saracene,dopodiché sbarcavano assalendo alle spalle i Mo-ri. Per quest’ultimi la disfatta era totale e al so-vrano marocchino non restava che rientrarespeditamente nelle sue terre, mentre il suo col-lega di Granada fuggiva nella direzione opposta.Grande fu il bottino che i Saraceni nella ritiratalasciarono sul campo e di cui i Genovesi ebberouna cospicua parte, insieme alla nomina di Egi-dio Boccanegra ad ammiraglio di Castiglia, non-ché feudatario di Palma.

A migliaia di chilometri di distanza, oltre ilMediterraneo orientale, nel mar Nero, Genovaaveva fondato nella penisola di Crimea delle co-lonie, che col passare del tempo erano divenutesempre più grandi e prospere. I ricchi commerciche grazie ai Liguri attraversavano quel mare,non erano però passati inosservati ai Turchi, cheun po’ alla volta, stavano erodendo l’Impero bi-zantino ed erano ormai pronti a balzare in Eu-ropa. Dalla città di Sinope nell’emirato di Jan-dar, con dodici galee i Musulmani insidiavanonon solo i commerci genovesi, ma anche quelliveneziani, anch’essi attivi in quel mare. Fu que-sto il motivo per cui nell’estate del 1340, Simo-ne de Pomario, forse originario di Quarto, sipresentò a Sinope con dodici galee, dove l’Emiro

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non mancò di prometterglidi cessare ogni ostilità per ilfuturo. Come tutti gli Isla-mici però, egli era ferma-mente convinto che la paro-la data a un infedele, nonavesse alcun valore e perciòpoco dopo ricominciò a pi-rateggiare come se nientefosse. Il malcapitato ebbecosì modo di conoscere i Li-guri, come già da secoli liavevano conosciuti i suoicorreligionari occidentali eil risultato fu per lui unapesantissima sconfitta nava-le, con la perdita secca didieci galee su dodici e la fi-ne perciò di ogni sua atti-vità marinara. Che i Geno-vesi prediligessero partico-larmente (com)battere iMusulmani, lo dimostraquanto avviene in seguito,nel 1355, allorché FilippoDoria, inviato a liberare Al-ghero dagli Aragonesi consedici galee e non avendoportato a termine l’impresa,fa improvvisamente rotta suTripoli, dove - entrato nelporto con uno stratagemma- mette a ferro e fuoco lacittà, ricavandone circa duemilioni di fiorini d’oro e7.000 prigionieri. Dato peròche la Repubblica non l’ave-va ufficialmente autorizzatoall’impresa, il Doria pensòbene di cedere Tripoli e abi-tanti a un Saraceno per lasomma di 50.000 doppied’oro, con le quali dopo unacampagna contro i Catalani,se ne tornò a casa. Anche ildoge Antoniotto Adorno nel1387, credette opportunomandare suo fratello Raffae-le, con dodici galee a fare una crociera sulle co-ste nordafricane, dove insieme ad altre cinquenavi pisane e a tre siciliane, prese possesso del-l’isola di Djerba in Tunisia, che secondo tradizio-ne i Genovesi lasciarono volentieri in feudo alsiciliano Manfredo di Chiaramonte in cambio di

36.000 fiorini, giusto per far vedere che non era-no degli ambiziosi. Non sufficientemente soddi-sfatto, il Doge organizzò una grossa spedizionequesta volta col re di Francia, che inviò suo zioil duca di Borbone, cui si erano uniti numerosinobili inglesi oltre che francesi. L’obiettivo era

Miniatura turca illustrante l’assedio di Costantinopoli

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sempre il Nordafrica, verso cui una poderosaflotta, composta da 40 galee e 20 navi da carico,guidata da Giovanni Oltremarino dell’albergoCenturione, si diresse dopo aver salpato da Ge-nova. Lo sbarco avvenne il 22 luglio 1390 aMehedia, sempre in Tunisia, entrando quasi su-bito in contatto coi Saraceni, che opposero unadura resistenza, riuscendo a bloccare i Cristiani.Il sovrano tunisino però ritenne più saggio scen-dere a patti e acconsentì a liberare i prigionieri,frutto delle scorrerie sulle coste europee, impe-gnandosi a non ripeterle per il futuro e pagandoa titolo di indennizzo una cospicua somma. E’possibile vedere in questa spedizione, il tentati-vo fallito per Genova di ampliare il suo imperomarittimo nel sud del Mediterraneo, unica areadove all’epoca la presenza ligure era scarsa, oltrenaturalmente al tentativo di rimpinguare le cas-se della Repubblica dopo la lunga guerra con Ve-nezia e i disastri causati dall’epidemia di peste;stando così le cose, viene per la prima volta afermarsi quella spinta propulsiva che aveva fattodella città ligure la testa d’ariete della Cristianitànel Mediterraneo, al punto che in futuro tutto,anche le più ardite azioni offensive, avranno inrealtà solo uno scopo di contenimento: nel plu-risecolare scontro con l’Islam, l’uomo europeoiniziava proprio allora a evidenziare l’inizio diuna grave crisi morale, che l’avrebbe portatolentamente sino all’attuale sfacelo.

A oriente, frattanto, la minaccia turca si facevasempre più consistente e incombeva oramai di-rettamente sulle colonie di Chio, Lesbo e Pera,la quale veniva sottoposta ad assedio insieme aCostantinopoli nel 1396 e dal quale entrambe sisottraevano per un provvidenziale intervento ve-neziano. In seguito, la discesa del mongolo Ta-merlano nel 1402, fermerà provvisoriamente l’a-vanzata ottomana, dando ai Liguri l’illusione dipoter contenere, addirittura sfruttando com-mercialmente, oltre che in termini diplomatico-militari, la loro invadente presenza.

Finita sotto la signoria francese di sua sponta-nea volontà, a causa delle continue lotte intesti-ne, Genova ha un momento di riscatto nel 1403,allorquando sotto la guida del governatore Jeanle Maingre, signore di Boucicault (più semplice-mente detto dai Genovesi Bucicaldo), assale esaccheggia Beyrouth nel Libano e tenta, senzariuscirvi la conquista d’Alessandria d’Egitto.

Nel 1451 il giovane Maometto II succede alpadre Murad e per il millenario Impero d’Orien-te, inizia una sorta di conto alla rovescia; giàl’anno dopo il Sultano fa costruire un imponen-

te fortilizio a controllo del Bosforo, armandolocon potenti artiglierie. Il 13 marzo 1452, difronte alla richiesta d’aiuto trasmessa dagli abi-tanti della colonia di Pera, dinanzi a Costantino-poli sull’attuale sponda asiatica, il Gran Consi-glio della Repubblica di Genova, si limita a pro-porre l’invio di un ambasciatore presso i Turchi.Solo più tardi quando l’evidenza del pericolo ap-pare in tutta la sua portata, il doge Pietro Cam-pofregoso si decide a inviare un manipolo dimercenari, sotto il comando di Giovanni Giusti-niani Longo. Sarà a costui, valente uomo d’ar-me, che Costantino XII affiderà il comando su-premo della città, nel gennaio del 1453. Il 4aprile Maometto II è con le sue truppe sotto lemura di Costantinopoli e il 12 la flotta turcablocca la città anche dal mare, completandonel’accerchiamento. Duecentomila armati e alme-no 200 navi al servizio del Sultano vedono op-porsi poco più di 6.000 difensori con una trenti-na di imbarcazioni mercantili. Dopo due setti-mane di incessante bombardamento, viene sfer-rato il 18 aprile il primo assalto, che verrà peròrespinto con gravi perdite da parte turca. Ancoradue giorni dopo i difensori ottengono una nuovavittoria, guadagnandone se non altro nel mora-le. Sempre il 20, un ulteriore episodio sembraconfermare la fama di città inespugnabile, chenei secoli Costantinopoli si è costruita: quattronavi genovesi guidate dal giovane Maurizio Cat-taneo, con a bordo rifornimenti per gli assediati,si scontrano con l’immensa flotta musulmana.Incredibilmente hanno la meglio e, tra le impre-cazioni di Maometto II e le urla di gioia dei Cri-stiani, entrano nella notte nel Corno d’Oro, pro-tetto da sponda a sponda da una catena. Sempresotto continui bombardamenti, la città respingecomunque due attacchi in forze il 7 e il 12 mag-gio, grazie anche all’abilità del Giustiniani Lon-go, che però nulla può dinanzi all’assalto del 28,quando le grandi bombarde turche aprono di-verse brecce nelle martoriate mura di S. Roma-no. Lo stesso comandante rimane ferito mortal-mente ed è proprio allora che le linee difensivesono definitivamente sfondate, permettendo ildilagare degli Ottomani in città. All’alba del 29maggio, la chiesa di S. Sofia, cuore spirituale diCostantinopoli, è l’ultimo rifugio degli abitanti,che per tre giorni e tre notti saranno vittime delsaccheggio della millenaria capitale; lo stessoMaometto II entrerà a cavallo nella chiesa, di-struggerà l’altare e, salito sull’ambone, invo-cherà Allah e il suo profeta. Il danno per l’interaCristianità è enorme, ovunque si levano voci di

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terrore e meraviglia, ma solo papa Nicolò V riu-scirà profeticamente a inquadrare il fatto nellasua esatta dimensione metastorica, allorché di-chiarerà : “(...) misfatto orrendo, in cui tutti iCristiani dovranno dolersi e dovranno esecrareper tutti i secoli”. Il Sommo Pontefice, così co-me i suoi predecessori in passato, sarà l’unicoche richiamerà l’Europa cristiana al suo dovere,emanando una bolla che la inviterà a una nuovaCrociata contro i Musulmani, ormai saldamenteradicati nei Balcani. Né lui però, né il suo suc-cessore Pio II, che ripeterà pubblicamente l’invi-to nel 1460, riusciranno a smuovere gli animi diuomini che ormai non erano più quelli di quat-tro secoli prima.

In rapida sequenza dopo Pera, cadevano nellemani dei Turchi a una ad una tutte le coloniegenovesi: Focea nel 1455, Enos, Imbro e Samo-tracia nel 1456, Samastri nel 1461 e Lesbo nel1462 nonostante l’eroica resistenza del suo si-gnore Nicolò Gattilusio, che condotto prigionie-ro a Costantinopoli, veniva ucciso per ordine delSultano.

Ancora più a oriente Caffa, l’attuale Teodosijain Crimea, città ricca e prospera di 70.000 abi-tanti, l’altra Zena del Mar Nero, cadrà solo il 24agosto 1475 sotto un attacco combinato di Tur-chi e Tartari, dopo quasi tre mesi d’assedio e acausa del tradimento di un gruppo di Armeni,che apriranno una porta delle mura. A migliaia,donne e adolescenti saranno trasportati a Co-stantinopoli per essere venduti schiavi o per en-trare nell’esercito dei giannizzeri. Le chiese piùbelle saranno distrutte, le più semplici trasfor-mate in moschee. La triste sorte di Caffa è co-mune agli altri insediamenti genovesi in Cri-mea, quali Cembalo, l’odierna Balaclava, Inker-man (Sevastopoli), la Gozia, Cherson, Vosporo(Kertch), la Tana (Azof) e Soldaja (Sudak), dovela guarnigione decide di non arrendersi e vieneperciò totalmente annientata nella chiesa delfondaco, in cui si era rinchiusa per tentareun’ultima disperata resistenza. Pare che unaparte della popolazione riuscì però a sfuggire al-l’eccidio, rifugiandosi nel castello di Mangup,ultimo presidio a cadere nelle mani dei Turchi.Solo Chio, nell’Egeo, sopravviverà sino al 1566quale ultima colonia ligure d’Oriente, per il fat-to di essere ormai l’unico punto di collegamentodei Sultani con l’Occidente e per i pesanti tribu-ti in grado di fornire sempre agli stessi. Una vol-ta occupata l’isola, i Giustiniani, suoi signori,saranno condotti a Costantinopoli e poi a Caffa,dove 18 giovanetti della famiglia verranno bar-

baramente uccisi per aver rifiutato di abiurare lareligione cattolica.

Poco dopo i tristi fatti di Crimea nel 1480,l’arcivescovo di Genova, Paolo Fregoso, in per-sona, guida una spedizione di 24 galee che, suinvito del Papa, insieme a una squadra navalenapoletana va a liberare Otranto dai Turchi, cheormai con le loro scorrerie minacciavano diret-tamente l’Italia. L’alleanza di quel periodo con laFrancia era essenzialmente dovuta alle preteseche questa rivendicava sul Regno di Napoli, cheper Genova poteva rappresentare, in prospettiva,la base di partenza per la riconquista delle colo-nie d’Oriente. L’unico tentativo in propositoperò non diede risultati: una flotta formata daotto galee genovesi e dieci francesi, si unì nell’A-driatico a una veneziana e insieme tentarono lariconquista di Mitilino, sull’isola di Lesbo, nel

1501. L’assedio fu tolto l’anno dopo, a causa paredi disaccordi tra Francesi e Veneti, dovuti forseallo scarso impegno che costoro mettevano nel-l’impresa.

Nel Mediterraneo occidentale intanto i piratisaraceni si erano fatti sempre più minacciosi e,grazie alla crescente debolezza della Cristianità,erano giunti a minacciare la stessa Roma e l’in-columità del Papa. Anche la Liguria doveva subi-re le loro incursioni come nel più buio passato efu così che il doge Ottaviano Fregoso accettò dibuon grado l’invito scritto che Leone X gli feceil 5 maggio 1516, al fine di organizzare una flot-

Effige di Andrea Doria

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ta che eliminasse in modo definitivo il problemaalla radice. L’obiettivo era un certo Kirdògolidetto Curtògoli, che aveva come base Biserta inTunisia e al suo servizio 30 navi e 6.000 armati,favorito in ciò dal re di Tunisi Abdallah, che pureaveva firmato un accordo con Genova. La spedi-zione partì sotto la guida del Legato PontificioFederigo Fregoso, arcivescovo di Salerno e fra-tello del doge Ottaviano. Sbarcati di sorpresa nelporto di Biserta, i Cristiani non seppero appro-fittare dello smarrimento dei Mori, che gli eranosuperiori nel numero e finirono per subirne lareazione, riuscendo comunque a liberare moltiprigionieri e a recuperare una parte di bottino.Ripreso il mare entrarono nello stagno di Tunisi,dove recuperarono una galea che i Genovesi ave-vano perso l’anno precedente, quindi si diederoa costeggiare il Nordafrica, predando e affondan-do navi saracene, sinché ad agosto dello stessoanno, non rientrarono in Italia. Fra i molti Li-guri presenti in quell’occasione, ve n’era unodestinato a divenire l’incarnazione vivente dellospirito di rivalsa del suo popolo nei confrontidell’Islam, vale a dire il leggendario Andrea Do-ria, gran condottiero e ammiraglio, nato a One-glia il 30 novembre 1466. Il primo pirata che eb-be la sventura di verificarne le magistrali dotiguerriere e marinare fu Gad Aly, detto Gaddalì,che, reduce dall’impresa di essersi impossessatodi una galea pontificia e del suo comandante,che gli aveva fruttato 6.000 ducati d’oro comeriscatto, veleggiava baldanzoso presso l’isola diPianosa. Il Doria, all’epoca semplice capitano delporto, vale a dire comandante delle quattro ga-lee che i Genovesi tenevano costantemente ar-mate in caso di necessità, saputa della sgraditapresenza del pirata nell’Alto Tirreno, era salpatoda Genova e il 22 aprile 1519, vigilia di S. Gior-gio patrono della città, aveva avvistato il nemicoforte di otto navi. Nonostante i Saraceni fosseroil doppio di loro, il Doria e i suoi non esitavanoad affrontarli e in uno scontro furibondo li met-tevano in fuga, dopo esseri impossessati di cin-que delle loro galee e aver ucciso 500 Musulma-ni. La capitana pontificia fu recuperata e il truceGaddalì finì i suoi giorni marcendo in una pri-gione genovese. Nel 1530 Algeri, protettoratospagnolo, cadeva in mano al pirata turco Khizr,soprannominato Kair-ed Din (Ariadeno), il be-niamino della religione, ma da noi più triste-mente conosciuto come il Barbarossa. Con ciòla capitale algerina diveniva la base di partenzaper una possibile conquista ottomana dell’Euro-pa occidentale, mentre da subito i Turchi pote-

vano contendere ai Cristiani il dominio di quel-l’area del Mediterraneo. Il Doria, ammiraglio alservizio dell’imperatore Carlo V, fu allora inviatocon venti galee genovesi a presidiare le coste al-gerine, dove però il Barbarossa, informato daspie, lo attendeva con più di quaranta navi.Giunto in vista dell’Africa, Andrea si propose diattaccare Cercelli, il centro dove maggiormentesi approvvigionava il pirata turco. L’operazioneriusciva e i Liguri, una volta sbarcati, prendeva-no possesso della città, mentre la guarnigionemusulmana si ritirava nella fortezza. Come giàera successo a Biserta anni prima però, i Cristia-ni non seppero sfruttare appieno l’effetto sorpre-sa e come allora si dedicarono esclusivamente alsaccheggio, cercando di arraffare il più possibilee dimenticandosi totalmente delle forze nemi-che. Di questo si accorsero gli astuti Barbare-schi, che con una rapida sortita riuscirono a ri-cacciarli a mare. Il Doria che a questo punto eraanch’esso al corrente delle intenzioni dell’avver-sario, che con la sua flotta gli si stava dirigendocontro, decise di navigare nella direzione oppo-sta su Tunisi, andando a incrociare quattro va-scelli algerini, uno dei quali finì in suo possesso.Tenendo conto che i risultati ottenuti non eranocerto da disprezzare, vista soprattutto l’imparitàdelle forze in campo, Carlo V concesse all’ammi-raglio ligure l’Ordine del Toson d’oro, conse-gnandoglielo personalmente nella cattedrale diS. Lorenzo a Genova.

Sempre per l’Imperatore, Andrea andò a com-battere gli Ottomani in Grecia, dove ebbe mododi distinguersi nella presa e ripresa di Coron ePatras, destando la preoccupazione di SolimanoI, che richiamò a Costantinopoli il Barbarossa,conferendogli la nomina di Capoudan Pascià,proprio in funzione anti-Doria.

Col nuovo incarico il Turco, saccheggiò nel1534 l’Italia meridionale e conquistò Tunisi. Larisposta cristiana non si fece attendere e, il 29maggio 1535, una flotta composta da 62 galee e150 navi da carico, salpava da Barcellona conCarlo V e il fior fiore della nobiltà spagnola abordo, sotto la direzione di Andrea Doria. Il 16giugno la spedizione raggiunse Portofarina, do-ve sbarcò ponendo sotto assedio il forte dellaGoletta il quale resistette sino al 18 luglio. Il 21i Cristiani entravano in Tunisi senza combatte-re, saccheggiandola per due giorni e liberando30.000 schiavi.

Un nuovo pericolo musulmano si sarebbe peròdi lì a breve concretizzato per l’Occidente euro-peo e un altro temibile turco avrebbe insangui-

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nato le coste di Liguria. Il suo nome era Dragute il ricordo dei suoi terribili saccheggi è ancoraoggi presente nella tradizione orale del nostropopolo. La sua azione nel 1539 fu in grado, inpratica, di bloccare ogni commercio marittimo ele sue continue scorrerie erano l’incubo dei bor-ghi marinari. Fu papa Paolo III nel 1540 a inca-ricare il Doria di estirpare questa malapianta, di-mostrando ancora una volta l’importanza, nonsolo spirituale, di un Papato vero difensore dellaciviltà europea, al di sopra delle divisioni d’inte-resse che travagliavano i vari sovrani che, dopola Riforma, erano in contrasto tra loro anche sulconcetto stesso di Cristianità. Andrea iniziò lacaccia dislocando le sue forze su tre fronti: Era-smo Doria con dieci galee alle Baleari, Giannet-tino Doria, suo nipote e il conte dell’Anguillarain Corsica e Sardegna con ventun galee, Don Fe-derigo di Toledo con undici nel Golfo di Napoli,il conte di Requesens e i Maltesi a ponente dellaSicilia, mentre lui, con ventidue navi, incrociavadavanti all’Algeria. I conti furono saldati daGiannettino Doria che, nei pressi della Girolatain Corsica, incrociò il Dragut impartendogli unasonora sconfitta, tanto che il pirata stesso fupreso prigioniero e solo due delle sue navi riu-scirono a porsi in salvo.

Purtroppo a questo punto Andrea fece un gra-vissimo errore, dimostrando che quando il cal-colo sopravviene allo spirito, anche il più grandedegli uomini può dimostrarsi non all’altezza: li-berò cioè il prigioniero per denaro, addossandosicosì moralmente tutto il sangue cristiano checostui avrebbe ancora copiosamente versato infuturo. Tre mesi solo dopo la liberazione, Dragutera infatti già per mare in cerca di vendetta, de-vastando le coste da Reggio Calabria a Massa equelle di tutta la Spagna. La spedizione che Car-lo V gli inviò contro nel 1541, sempre sotto ilcomando di Andrea Doria, si bloccava nell’inuti-le tentativo di espugnare Algeri. Nel 1549, il pi-rata turco piombò sulla Riviera di Levante, deva-stando Rapallo il 5 luglio, dopo che negli anniprecedenti aveva insolitamente lasciato in pacela Repubblica. Fu forse a causa di ciò e dell’oc-cupazione da parte del Dragut del forte di Mehe-dia in Tunisia, che il Doria nel 1550, alla vene-randa età di 84 anni, si pose a capo dell’ennesi-mo tentativo di mettere fine alla piaga della pi-rateria musulmana. Salpato a marzo con ventigalee, imbarcò truppe a Napoli e in Sicilia, perpoi sbarcare in Tunisia, dove occupata Monastir,cinse d’assedio la fortezza di Mehedia, mentre ilDragut si rifugiava nell’isola di Djerba. L’assediofu lungo e difficile e si concluse solo il 10 set-tembre, con la presa della roccaforte. Grandi fu-rono i festeggiamenti al suo rientro a Genova,da dove però già l’anno dopo ripartiva per Mehe-dia, di cui rafforzava le strutture difensive, ten-tando poi di stanare il Dragut da Djerba, cheperò riusciva a sfuggirgli abilmente.

A dimostrazione della profondità della crisimorale in cui la nobiltà europea era sprofonda-ta, giunse la notizia dell’alleanza del re di Fran-cia Enrico II col sultano Solimano I, che nel1553 significò per la Repubblica di Genova l’in-vasione della Corsica da parte di truppe franco-turche; solo Calvi non fu presa, resistendo eroi-camente agli invasori. Ancora una volta il Gran-de Vecchio non si tirò indietro, assumendosil’incarico di organizzare la riconquista dell’isola.Iniziò inviando Agostino Spinola con 27 galee e3.000 armati in aiuto a Calvi, che così fu liberatadall’assedio; dopodiché partì egli stesso da Geno-va con 30 galee, 14 navi da carico e 8.000 soldaticon pesanti artiglierie, giungendo nel Golfo di S.Fiorenzo, dove lo raggiunse lo Spinola, con cuirioccupò Bastia e la stessa S. Fiorenzo, dove i Li-guri entrarono il 17 febbraio 1554. Il Doria sivide però costretto ad abbandonare la scena del-le operazioni a causa del solito Dragut, che, la-

Ritratto di Agostino Spinola. Opera di VanDick

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sciata la Corsica dove si era temporaneamenterifugiato, imperversava per tutta la penisola. Néfu risparmiata la Liguria negli anni successivi,poiché il 16 maggio 1556 Corniglia, Monterossoe Vernazza, furono saccheggiate; il 19 maggiodell’anno seguente fu la volta di Recco e dintor-ni. La pressione turca nel Mediterraneo occi-dentale e sulle sue coste europee si faceva or-mai insostenibile, per cui la voce di un papa,Pio IV, si levò ancora una volta a richiamare lanobiltà cristiana alla difesa dei popoli a lei affi-dati. Filippo II, successore di Carlo V, rispose al-l’appello e la Repubblica di Genova partecipòcon una sua squadra che il Doria volle affidareal pronipote Gian Andrea. Il 7 marzo 1560 i Cri-stiani sbarcavano a Djerba, sempre covo delDragut, cingendola d’assedio, ma in soccorsodei pirati il Sultano inviava una poderosa flottadi 120 navi che, giunta all’isola il 9 maggio,quasi annientava la spedizione imperiale: lostesso Gian Andrea riusciva a salvarsi a stento.Con questa spina nel cuore nella notte tra il 24e il 25 novembre 1560, il grande Andrea Doriacessava di vivere.

In seguito uno dei luogotenenti del Dragut,un calabrese rinnegato chiamato Ulug-Alì, saràl’artefice dei saccheggi di Moneglia, Lavagna e S.Giulia nell’aprile del 1563, a dimostrazione diun’impunità d’agire che molto somigliava aquella dei primi pirati saraceni.

A risollevare le incerte sorti della Cristianitàpensò un papa santo, Pio V, che vista la gravissi-ma minaccia che correvano l’Europa e la SantaFede, indisse nel 1570 una Lega Santa control’Islam a cui aderirono la Spagna, Venezia, i Sa-voia e la Repubblica di Genova; ancora una vol-ta la Francia tradiva l’Europa e Parigi prosegui-va sulla strada che da lì a due secoli l’avrebbefatta divenire il centro di ogni male. Lo scontrotitanico che nel golfo di Corinto, presso il portodi Lepanto, vide di fronte 243 navi cristiane con28.000 soldati a bordo e 274 imbarcazioni tur-che forti di 34.000 armati, è ricordato come lapiù grande battaglia navale del periodo della ve-la. Totale fu la disfatta degli Islamici che perse-ro circa 250 navi e quasi tutti gli uomini. Furo-no 15.000 i Cristiani liberati dal remo e 7.000quelli caduti combattendo eroicamente. La dataera quella del 7 ottobre 1571 e il Papa dedicòquel giorno alla Vergine in segno di riconoscen-za, istituendo la solennità della Madonna delRosario. La vittoria che tutti i Liguri, Padani edEuropei degni di tale nome dovrebbero degna-mente festeggiare, allentò la pressione turca sul

Mediterraneo occidentale, che da allora fu do-minato dalla marineria spagnola, ma non riuscìmai ad eliminare completamente il pericolodelle incursioni barbaresche. In Liguria tale mi-naccia fu presente sino a tutto il XIX secolo e sihanno notizie certe di scorrerie nel Levante an-cora nel giugno del 1749.

Nel frattempo, lontani dalla madrepatria, i Li-guri dell’isola di Tabarca in Tunisia, si eranoprogressivamente trasferiti nelle isole di S. An-tioco e S. Pietro in Sardegna a cominciare dal1738, a causa del peggiorare della loro situazio-ne economica. A ciò aveva fatto seguito l’occu-pazione della colonia da parte del bey di Tunisinel 1741, che aveva indotto in prigionia 900 Ta-barchini. Questi ultimi, liberati per interventodel re di Sardegna e di quello di Spagna, contri-buirono alla colonizzazione di Calasetta nell’i-sola di S. Antioco, dove erano giunti tra il 1769-70, guidati da Giovanni Porcile, guardacostedella marina sarda ma ligure d’origine. Purtrop-po però i problemi coi Musulmani non eranoancora terminati poiché una terribile incursio-ne di corsari tunisini, nel 1798, costringerànuovamente in prigionia per cinque anni 933Carolini. Tra gli innumerevoli episodi di atro-cità che ebbero come vittime i Liguri, basti ri-cordare quello di Maddalena Ageno, disperata-mente avvinta al cadavere del marito, dal qualei suoi assassini non riuscirono a staccarla e acui fu inchiodata dopo essere stata sgozzata; oquello di Rosa Parodi, che in attesa di un bimbofu selvaggiamente uccisa, proprio a causa di ciò.L’odio dei Tunisini per gli ex-Tabarchini nonsembrava però placarsi e così, nel 1805, un cer-to Mustafà si presentò con le sue galeotte di-nanzi a Calasetta, dove però trova la sorpresa diun forte che gli isolani si erano provvidenzial-mente costruiti nel frattempo e dentro cui tro-vano rifugio. Dopo sette ore di bombardamento,i difensori finiscono le munizioni, permettendocosì ai Musulmani di scendere a terra, dove as-salti e contrassalti dei difensori si succedono inrapida successione, lasciando alla fine sul cam-po il comandante della guarnigione con 28 deisuoi e circa 150 pirati. La strenua difesa dei Li-guri non impediva però che 158 di loro fosseropresi prigionieri, comprese otto madri di fami-glia e una bellissima fanciulla sorella del capodel presidio, che furono trascinate nude per levie di Tunisi nel segno di un ignobile trionfo.

Sempre agli inizi di quel secolo, un documen-to ci ricorda lo scontro a fuoco avvenuto il 16giugno 1815 tra il capitano recchelino Benedet-

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to Badaracco e una galeotta saracena che ebbe lapeggio, il tutto al largo di Anzio sul litorale la-ziale. Proprio in quell’anno la rinnovata marine-ria del Regno di Sardegna, che aveva ricevuto ilsostanzioso apporto di quella gloriosissima ap-partenente alla proditoriamente disciolta Re-pubblica di Genova, ebbe modo di verificare lesue nuove forze con i pirati tunisini, in tournéenel Mar Ligure.

Una squadra formata da cinque navi, tra cui lamezza galea Liguria, salpò da Portovenere ilmattino del 27 settembre 1815, sotto la guidadel ligure Francesco Sivori, dopo che due scia-becchi barbareschi avevano assalito due navi neipressi di Genova. I Musulmani puntavano peròal colpo grosso e convinti che Napoleone fosseancora esule all’isola d’Elba, avevano addiritturadeciso di rapirlo, in previsione di un riscatto dafavola. Gli incauti e malinformati pirati finironoperò per passare da suonatori a suonati, allor-quando sbarcati sull’isola a Porto Longone, fu-rono tratti in inganno dagli abitanti che glimentirono sulla presenza dell’Imperatore, riu-scendo poi a prendere prigioniero l’intero equi-paggio di uno sciabecco, mentre l’altro prendevail largo, inseguito dalle cannonate degli isolani.Tutto ciò avveniva il 30 settembre e permettevaal Sivori di avere via libera per occupare l’Isoladi Capraia, antico dominio genovese, che finitain mano ai Francesi, era un punto strategico peril controllo della pirateria barbaresca nei con-fronti del Regno di Sardegna.

L’ultima azione militare di cui si ha notizia èperò successiva ed è datata 26-27 settembre1825: quando una spedizione navale, guidatasempre dal comandante Francesco Sivori, entranel porto di Tripoli incendiando due navi e co-

stringendo a più miti consigli il bey Jassuf Pa-scià, che aveva osato dichiarare guerra allo Statosabaudo. La fine definitiva della pirateria islami-ca nel Mediterraneo, avviene comunque solo nel1830 con l’occupazione francese di Algeri, ulti-mo covo di predoni a chiudere. In precedenza,come abbiamo appena visto, Tunisi e Tripoli era-no, per l’intervento deciso degli stati europei,dovute scendere a più miti consigli.

Quanto finora scritto, nelle sua estrema sinte-ticità, non può evidentemente che dare una pal-lida idea di quello che per popolo ligure e pada-no, sono stati e hanno significato gli oltre mille-duecento anni di lotta con l’Islam. Una guerraquasi sempre condotta in chiave difensiva e maicercata, ma a cui migliaia e migliaia di nostriantenati non si sono sottratti, versando il lorosangue a fiumi per la libertà e per la civiltà. Co-me padani, come europei e quindi come cristia-ni, non dobbiamo rinnegare nulla di tale passatoe dobbiamo anzi trarne esempio e incitamentoper la difesa della nostra gente e della nostra ter-ra, con l’aiuto di Dio, nel Suo nome e in quellodell’Europa.

BIibliografia❐ Vittorio Emanuele Bravetta. I Pirati del Medi-terraneo. Bologna: Malipiero, 1959.❐ Rinaldo Panetta. I Saraceni in Italia. Milano:Mursia, 1979.❐ Rinaldo Panetta. Pirati e Corsari Turchi eBarbareschi nel Mare Nostrum. Milano: Mursia,1981.❐ Rinaldo Panetta. Il Tramonto della Mezzalu-na. Milano: Mursia, 1984❐ Sandro Pellegrini. Recco Avegno Uscio. Storiadi una Vallata. Recco: Microlito, 1983.

Descrivere i rapporti che sono intercorsi traVenezia e l’islam, significherebbe trattarecirca mille anni di storia e non basterebbe

una intera biblioteca per analizzarne ogni aspet-to, da quelli commerciali, a quelli religiosi, aquelli culturali eccetera.

Anche a voler circoscrivere l’argomento ai solirapporti militari, vi sarebbe da scrivere una en-ciclopedia, se bastasse: si pensi alle gesta vene-ziane per la difesa di Negro-ponte (l’attuale Eubea); la dife-sa di Cipro e della sua capitaleFamagosta, a opera dello stre-nuo difensore MarcantonioBragadin; i 25 anni della guer-ra di Candia (l’attuale Creta)con le gesta di Lazzaro Moce-nigo, morto mentre stava for-zando con la sua flotta i Darda-nelli; la guerra di Morea (l’at-tuale Peloponneso) con la per-dita del Partenone ad Atene, edil suo protagonista FrancescoMorosini.

Meno nota, ma forse ancorpiù importante è l’ultima guer-ra combattuta da Venezia con-tro il Turco, quella che si iniziòcon la pubblicazione della di-chiarazione di guerra intimata dalla SublimePorta a Venezia il 9 dicembre 1714.

L’antefatto: nel gennaio 1684 Venezia avevaaderito alla Sacra Lega (comprendente l’Impero,il Papa, la Polonia, Firenze e Malta) con lo scopodi abbattere in Oriente la potenza Ottomana, ene aveva tratto ampi vantaggi, avendo potutooccupare S.Maura, Prevesa, Corone, Navarino,Modone, Argo, Nauplia (Napoli di Romania) Pa-trasso, Corinto, Egina, sul Peloponneso, oltre aqualche altro porto in Dalmazia e Albania, maalla pace di Carlowitz (1699) la potenza ottoma-na non era stata distrutta.

Ma mentre la Turchia preparava la rivincita,Venezia, che aveva sostenuto il peso maggioredella guerra, iniziò una politica di neutralità,che la portò a isolarsi dal contesto delle potenze

europee e ad abbandonare le grandi spese di di-fesa. Dalla firma della pace, e sino al 1714 ven-nero varati in Arsenale solo 4 vascelli di 1° ran-go. Le finanze erano esauste e i recenti acquistiterritoriali rappresentavano soprattutto una spe-sa per la loro fortificazione, più che una rendita.

La Turchia dunque si stava preparando easpettava il momento propizio per riprendersiquello che aveva perso.

Il momento parve giunto nel 1714 quando itrattati di Utrecht e Rasdadt avevano pacificatol’Europa, e l’Imperatore doveva guardarsi controla politica francese, e quindi Venezia non avreb-be trovato alleati.

All’atto della dichiarazione di guerra, Veneziadisponeva di 7.000 uomini, ha milizie italiane,albanesi e tedesche, dislocate in Morea, e di unasquadra in Levante di 8 navi di linea (da batta-glia) e di 11 galere. Qualche scarso rinforzogiunse dalle isole ioniche.

I fatti: nel mese di aprile del 1715 il Gran Visirin persona si era mosso alla testa di un esercitodi 100 mila uomini, mentre Janun Hogia Capi-tan Pascià era uscito dai Dardanelli con unasquadra composta da 58 navi tra ottomane, bar-baresche (paesi della costa del nord Africa) ed

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Venezia e L’Islamdi Giovanni Fabris

Il leone di San Marco

egiziane, 5 brulotti (navi incendiarie) 30 galere,60 galeotte, oltre numerose navi ausiliarie.

Mai disparità era stata tanto accentuata.I risultati non si fecero attendere: mentre la

flotta veneziane si organizzava e lentamente sirafforzava con il varo di nuove unità (ma evitavail contatto con il nemico per ovvi motivi) unadopo l’altra cadevano le piazzaforti in Egeo, in-vestite da forze soverchianti. Cadevano quindiTino, il cui comandante Bernardo Balbi si arresee fu pertanto sottoposto a severo giudizio e con-dannato al carcere perpetuo. Ma tanta severitànon bastò d’esempio: il 7 luglio si arrese Egina,mentre il 20 giugno il Serraschiere, alla testadell’intero esercito inve-stiva Corinto, che - dopostrenua resistenza - capi-tolava il 29 giugno.

L’assedio di Nauplia,capitale del regno, iniziòil 9 luglio e dopo 9 giornila piazza venne occupatadi sorpresa e il Provvedi-tore Generale AlessandroBon fu fatto prigioniero edeportato in schiavitù.

La perdita di Nauplia,considerata imprendibilee ben munita di milizie,ebbe effetti nefasti: fu de-ciso di smantellare lapiazza di Corone, perconcentrare le difese suModone, la quale piazzasi arrese tuttavia senzacombattere, così comeMalvasia.

La riconquista dellaMorea era terminata, e iTurchi pensarono di pas-sare alla conquista delleisole Joniche, comincian-do da S. Maura, la piùprossima alla terraferma.Il suo comandante, sapu-to - mentre si apprestavaa preparare le difese - chesi stava dirigendo controdi essa un esercito di30.000 uomini, decise difar saltare la fortezza. Nelnovembre si arrendevanoanche Suda e Spinalongasu Candia, che non era

stato possibile rifornire. Uniche note positive intanto disastro vennero dal fronte in Dalmazia,ove gli attacchi furono brillantemente respinti.

Il Senato Veneziano, “vivamente contrariato”dall’esito della guerra pretese la testa del Capita-no Generale Daniele Dolfin, che fu rimosso dal-l’incarico.

Il suo posto venne preso da Andrea Pisani, alcui comando, nella primavera del 1716 erano 18galere, 2 galeazze, 12 galeotte, 26 navi di linea e2 brulotti.

Il Senato aveva nel frattempo aperto trattativecon l’Impero con il quale raggiunse un accordodi reciproco aiuto, e con il Papa, che inviò una

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La Battaglia di Lepanto, nella fantastica ricostruzione di GustavoDoré

sua squadra navale e convinse Spagna, Portogal-lo, Toscana e i Cavalieri di Malta a fare altrettan-to.

La flotta veneziana, lasciate le galere a guardiadi Corfù, che si sapeva essere il futuro obiettivoturco, si disposero per impedire l’ingresso dellaflotta turca nello Jonio, ma questa, per una con-comitanza di eventi, eluse il blocco ed entròinosservata il 5 luglio nel canale di Corfù. Nullapoterono le galere veneziane per impedire losbarco sull’isola dell’esercito ottomano forte di30.000 uomini e 3.000 cavalli. Ma il giorno stes-so si presentò davanti allo scoglio Cassopo lasquadra a vela veneziana, che senza esitazioni silanciò all’attacco dell’avversario che nel più as-soluto disordine salpò e fece vela. Lo scontrocessò solo a notte inoltrata, e le due flotte rima-sero ancorate nel canale di Corfù. Nel combatti-mento i Veneziani ebbero 70 morti e 130 feriti, eleggeri danni alle navi, mentre i Turchi contaro-no l’affondamento di due vascelli, di un galeone,e di due galeotte, oltre a un numero tra morti eferiti di circa 1.300 uomini. I Veneziani, pur nonessendo riusciti a impedire lo sbarco nemicosull’isola di Corfù, avevano però ripreso corag-gio e ora mostravano i denti.

Nel frattempo le operazioni di assedio andava-no intensificandosi, e il giorno 5 agosto KaraMustafà Serraschiere, comandante dell’esercitoassediante, invitò il Provveditore Generale delleisole, Antonio Loredan, a cedere spontaneamen-te la città, ma ne ottenne un netto rifiuto. Il 18 iTurchi eseguirono un attacco generale, che funettamente respinto dagli assediati comandatidal generale sassone Conte Matteo Schulem-burg.

Il giorno successivo vi fu un violentissimouragano che danneggiò il campo musulmano eil Serraschiere, che aveva nel frattempo avutonotizia della clamorosa sconfitta dell’esercitoturco a Peterwaradino per mano degli imperiali,decise di togliere l’assedio e riportare i resti del-l’esercito a Butrinto.

Dunque dopo 42 giorni i Turchi partirono dal-l’isola di Corfù dove lasciarono 15.000 morti, 56cannoni, 8 mortai da bomba e numerossissimomateriale da guerra. Per contro il presidio diCorfù perdette durante l’assedio 30.000 uomini.Ciò che spaventò il Serraschiere fu soprattuttola determinazione con cui si battevano le milizieveneziane, non più atterrite come l’anno primadalla grande massa dei Musulmani.

Le operazioni militari continuarono sul mare,dove la flotta turca, aprofittando del vento favo-

revole riuscì ad abbandonare il canale di Corfù edopo aver sostato a Corone, raggiunse Costanti-nopoli. Così finiva la campagna del 1716. Le sor-ti della guerra si erano capovolte.

Nel 1717 venne nominato Capitano Straordi-nario delle navi Lodovico Flangini, che alzata lasua insegna sul Leon Trionfante, aprofittò del-l’inverno per organizzare la squadra.

Nel campo turco Janun Hogià, Capitano Pa-scià della flotta venne aspramente criticato pernon aver saputo prendere Corfù e distruggere laflotta veneziana, e fu richiuso nel Castello delleSette Torri a Costantinopoli.

L’11 maggio 1717 la flotta a vela del Flanginisalpò da Corfù dirigendo a sud, e l’8 giugno die-de fondo a sud dell’isola di Imbro con l’intentodi impedire l’uscita della squadra musulmanadai Dardanelli: una tattica sperimentata consuccesso anche durante la guerra di Candia.

All’albeggiare del giorno 11, le navi di scoper-ta segnalarono il nemico all’altezza della puntadi levante di Imbro, e la flotta veneziana si lan-ciò sui bordi per raggiungere il nemico. Solo treore prima del tramonto del 12, venne scambiatoil tiro di disfida e iniziò il combattimento. Labattaglia durò vivace fino a 2 ore e mezzo dinotte, quando la flotta turca si allontanò dalla li-nea veneziana stringendo il vento.

Le perdite veneziane furono di 123 morti e 94feriti tra le milizie e di 160 feriti tra i marinai,ma i Turchi persero 2 vascelli e due galeotte. Pertutto il 13 le flotte furono in vista, senza che sipotesse giungere a un contatto, cosa che avven-ne al tramonto, quando la coda veneziana si tro-vo a contatto con una divisione turca, e, appro-fittando di un salto di vento, il Flangiani si pre-cipitò sul nemico, ma la notte e la bonaccia la-sciarono le cose senza vinti o vincitori. I duegiorni successivi furono di completa bonaccia esolo il 16 riprese la battaglia che continuò in-tensissima per 5 ore, segnando grandi momentidi eroismo.

I Turchi ebbero disalberato il vascello del Ca-pitan Pascià e così pure due altri vascelli, e unbrulotto incendiato. Poi, temendo di essere so-spinti in costa, i Turchi prima di sera misero al-l’orza e diressero su Lemno. Purtroppo durantela battaglia il Flangiani venne gravemente ferito,e il comando venne assunto dal Capitano Ordi-nario M.A. Diedo, che rimase nelle acque diMonte Santo.

I Turchi perdettero 2.500 uomini e 8 coman-danti di nave, mentre i Veneziani ebbero 129morti e 409 feriti nella milizia, e 139 morti e

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204 feriti tra i marinai. Ormai i Veneziani, purnumericamente inferiori, non hanno più com-plessi di inferiorità e attaccano appena possibilei Turchi.

Il 20 la flotta veneziana approdò a Termia perle riparazioni e per il rifornimento di acqua.

Il 19 luglio il Capitan Pascià mise vela cercan-do di sorprendere la armata sottile veneziana mala manovra non riuscì in quanto la armata gros-sa riuscì a coprire le galere. Il combattimento,sempre vivacissimo, durò 8 ore. All’alba del 20 ledue squadre cercarono nuovamente lo scontroma un violento vento di meltemi lo impedì. Laflotta veneziana si portò quindi a Corfù perrifornimenti di polvere e per le riparazioni, estava per riprendere il mare quando si seppe cheun ordine del Sultano aveva richiamato a Co-stantinopoli la flotta, e ciò a causa delle vittorieche il Principe Eugenio aveva colto sull’esercitoottomano a Belgrado.

La Consulta Veneziana decise allora di occupa-re Prevesa e Vonitza, dove furono catturate 8 ga-leotte, mentre Sebastiano Mocenigo, Provvedi-tore di Dalmazia si spingeva sino a Mostar in Er-zegovina e alla Narenta.

Si cominciava a parlare di pace, ma non ostan-te ciò nell’inverno 1717/1718 ogni campo fecepreparativi guerreschi. Il convegno di pace siriunì a Passarowitz, ma le due flotte nel mese dimaggio lasciarono i propri ormeggi e nel mese

di luglio erano in Morea a fronteggiarsi nuova-mente.

Lo scontro avvenne i giorni 20, 21 e 22 luglio,durante i quali i Veneziani inflissero pesanti per-dite al nemico, e alla fine i Turchi si allargaronoe si ritirarono maltrattati e si può dire rovinati.

Mentre queste azioni avvenivano in basso Ar-cipelago, la Armata Sottile si apprestava allaconquista di Dulcigno, quando giunse la notiziache a Passarowitz era stata raggiunta la pace.

Conclusioni: da questo momento i Turchi fini-rono di essere una potenza navale e anche terre-stre.

Ben possono vantarsi i Veneziani di aver con-tribuito in modo determinante a infrangere lesperanze dell’Islam di impadronirsi di tutta Eu-ropa, avendo i Turchi trovato sul loro camminouna flotta indomita anche se inferiore di forza, euna fortezza, quella di Corfù, che grazie ancheal suo comandante infranse per sempre le lorosperanze.

Al conte Matteo Schulemburg, comandante lapiazza di Corfù i Veneziani eressero, ancora invita, un bel monumento che ancora si erge sullaspianata di quella fortezza che con tanto ardireseppe difendere.

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Con notizie storiche tratte dalla Storia della Marina Vene-ziana da Lepanto alla caduta della Repubblica di Mario Na-ni Mocenigo

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La storia delle Crociate è stipata di padanità:erano padani i primi crociati che sono entratie Gerusalemme nel 1099 alla guida di Gio-

vanni da Rho e di Guglielmo Embriaco, era pada-nissimo lo stendardo di San Giorgio che li pro-teggeva, erano padane (veneziane e genovesi) lenavi che li trasportavano, era tutta veneziana laconquista di Costantinopoli nel 1204. Gran partedella lotta sul mare contro Saraceni e Turchi èstata sostenuta da Venezia e Genova, a Lepantogran parte dei vascelli cristiani erano padani.Sulla terraferma non è stato molto diverso: aPoitiers e a Sabart le forze d’urto contro le schie-re saracene erano longobarde, e anche Eugeniodi Savoia era dei nostri. Si tratta di fatti piuttostonoti nei quali i Padani erano importanti compri-mari. Molto meno conosciuto è invece il fattoche c’è stata una Crociata tutta padana, allestitae combattuta da Amedeo VI, Conte di Savoia eSignore del Piemonte, fra il 1366 e il 1367.

I fatti sono questi:Amedeo VI, detto il Conte Verde per la sua abi-

tudine a vestire costantemente di verde (maqualcuno potrebbe vederci un prodromico segnodi padanità cromatica) è stato un sovrano attivis-simo che ha costruito le basi dell’espansione sa-bauda in Padania, trasformando i suoi domini daun Paßstaat (“stato di valico”) un po’ perifericoin uno stato proteso verso la pianura.

Amedeo VI aveva conquistato il Canavese,Ivrea, Ciriè, Biella e Santhià, si era imposto comepotenza dominante del Piemonte occidentale,aveva raggiunto favorevoli accordi con i Viscontie posto le basi per ulteriori acquisizioni verso oc-cidente e verso il mare (che saranno concretizza-te dal figlio Amedeo VII, il Conte Rosso). Era, nel1364, nelle condizioni di potersene stare tran-quillo a rafforzare il suo stato e a porre le basiper altre espansioni, a dare impulso all’economiae alle relazioni dei suoi possedimenti ma la pacenon rientrava nella sua natura: Amedeo VI hatrent’anni e una grande voglia di avventure, diconquiste, di guerre e di spregiudicate trattativediplomatiche nelle quali è un maestro. È scossoda un’inquietudine che gli impedisce di stare fer-

mo. Se nei suoi Stati regna la pace, egli andrà acercare altrove l’avventura che gli dia gloria eguadagno.

Dopo i continui e inutili tentativi, protratti perquasi due secoli, di conservare una presenza cri-stiana in Terra Santa, la gloriosa epopea delleCrociate si era chiusa nel 1291 con la caduta diSan Giovanni d’Acri (Akko) che era l’ultimo ba-luardo europeo. Queste perdite non avevano peròaffievolito le speranze cristiane di liberare la Pa-lestina che venivano ancora più frustrate dallanascita e dalla prodigiosa crescita del potere tur-co che aveva spostato il centro del mondo islami-co nella penisola anatolica. Fra il 1250 e il 1280 iTurchi erano riusciti a spingersi fin sulle coste

Una Crociata colorata di verdedi Ottone Gerboli

Sigillo di Amedeo VI di Savoia, detto “il ConteVerde”

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dell’Egeo cacciando o sottomettendo le popola-zioni rivierasche elleniche che vi vivevano damillenni in comunione con i Greci della madre-patria e che erano parte dell’Impero d’Oriente. Ilsultano Osman succede al padre Erthogrul nellaguida dei Turchi e inizia nel 1281 la lotta controi Greci per la conquista della regione di Costanti-nopoli.

Dopo la quarta crociata (e l’occupazione vene-ziana), l’Impero aveva recuperato la propria capi-tale con Michele VIII Paleologo, che gli aveva fat-to ritrovare un po’ di energia, ma era di nuovodeclinato sotto il regno di Andronico II. L’arrivodei Turchi davanti alle porte della capitale avevaanche spinto quel che restava dei domini impe-riali in Europa a ribellarsi: si erano in pochi anniformati stati indipendenti di Greci, Serbi e Bul-gari che erano attivamente impegnati a combat-tere Costantinopoli e a farsi guerra fra di loro.Questa situazione di generale confusione avevaanche determinato nel 1302 il fallimento di unacrociata di Catalani guidati da Roger de Flor.

Da questa situazione di confusione e degradocontinuavano a trarre vantaggio i musulmani:nel 1299 Osman si era proclamato Emiro deiTurchi, nel 1308 cade Efeso, nel 1311 Khalil at-traversa i Dardanelli e si insedia a Sesto (Ece-bat). L’avanzata continua anche dopo la morte diOsman: nel 1326 i Turchi sono a Brusa (Bursa),nel 1329 a Nicea (Iznik), nel 1337 a Nicomedia(Izmit) e, dopo, tutta la Tracia cade in balia delleloro scorrerie.

L’Impero bizantino si riduce a una piccola stri-scia della costa asiatica del Mar di Marmara, allaTracia, al Bosforo e alla valle inferiore del Vardarcon Salonicco (Tessalonica). Non ha più esercito,non ha una flotta degna di questo nome, non haconservato nessuna efficiente base economica;tutte le superstiti attività commerciali si concen-trano quasi esclusivamente nella colonia genove-se di Galata e in quella veneziana di Pera, vicinoa Costantinopoli e difese da mura e torri podero-se, che costituiscono ciascheduna una sorta distato nello stato.

Le ultime energie dell’Impero si consumano inlotte fratricide per il trono fra Andronico II e An-dronico III (1322-1328), e fra Matteo Cantacuze-no e Alessio Apocauco (1341-1348). I contenden-ti si appellano di volta in volta ai Turchi o ai Ser-bi aumentando la confusione e accelerando la fi-ne dell’Impero.

Anche i Serbi traggono ampi profitti dalla si-tuazione: il loro re Stefano Duscian conquistavaste porzioni di territorio balcanico, si procla-

ma zar e imperatore dei Serbi, Greci, Bulgari eAlbanesi, conquista Adrianopoli e muore il 20dicembre del 1355 sulla strada per Costantino-poli dove sognava di farsi incoronare imperatorenella basilica bizantina di Santa Sofia. La suamorte pone fine alla crescita serba (e alla possi-bilità dell’Impero di sopravvivere grazie alla vi-talità dei popoli slavi), il suo dominio si frantu-ma in cento fazioni che iniziano sanguinoseguerre civili, tutti sono contro tutti. Ne approfit-tano ancora una volta i Turchi. Il successore diOsman si chiama Orkhan e smette il titolo diEmiro per assumere quello assai più prestigiosoe significativo di Sultano. Nel 1354 i Musulmaniprendono Gallipoli e si assicurano il controllodei Dardanelli nella colpevole indifferenza anchedi Genovesi e Veneziani che sono troppo occu-pati a litigare fra di loro. I Sultani successivi pro-seguono nell’avanzata e nella sistematica occu-pazione dei territori bizantini: Suleiman prendeDidimoteicon (Didimòtiho) nel 1357, Muradconquista Adrianopoli (Edirne) nel 1365.

L’Occidente si attarda in liti e discussioni, sivorrebbe aiutare Costantinopoli ma ci si ferma difronte all’eresia della Chiesa orientale, allo sci-sma ostinato dei Greci.

Nel 1343 Anna di Savoia (zia di Amedeo VI eReggente a Costantinopoli in nome del giovanefiglio Giovanni V Paleologo) chiede a papa Cle-mente VI di intervenire in difesa dell’Impero pro-mettendo di recedere dalle posizioni religiosescismatiche e di riconoscere l’autorità di Roma.Il Pontefice interviene militarmente con l’aiutodi Venezia e dei Cavalieri di Rodi organizzandouna spedizione che libera Smirne (Izmir) ma Co-stantinopoli non rispetta gli impegni presi e glialleati se ne vanno.

Nel 1347 Giovanni V ripropone ancora unavolta di ridiscutere l’unione religiosa, il Papa(stanco dell’atteggiamento dilatorio e levantinodella controparte) risponde solo nel 1350 manon ci si accorda sulla convocazione di un Con-cilio Ecumenico che dovrebbe dirimere definiti-vamente la questione.

La trattativa dell’Imperatore con Avignone ri-prende nel 1356 (i Turchi sono ormai alle portedi Costantinopoli) ma tutti i sovrani d’Europa ri-fiutano di aiutarlo per disinteresse o per stan-chezza nei confronti di un comportamento trop-po ambiguo.

L’iniziativa per salvare i pochi brandelli rimastidi un grande Impero viene ripresa da Pietro I diLusignano, re di Cipro (il solo che, assieme agliArmeni, dia prova di vigore nel combattere e re-

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sistere ai Turchi) che viene in Europa a sollecita-re l’organizzazione di una Crociata: a Lione, nelmaggio del 1362, riesce a convincere Giovanni IIdi Francia e Amedeo VI, conte di Savoia, a orga-nizzare una spedizione militare.

Il 1 aprile del 1364 Urbano V emana una seriedi bolle per favorire l’impresa. Secondo una ditali disposizioni, il conte di Savoia avrebbe avuto“tutti i proventi ecclesiastici, le decime sessen-nali, le elemosine, le donazioni e i legati dei suoiStati per un periodo di 12 anni”. (1)

La Crociata doveva partire il 1 marzo 1365. Mal’8 aprile del 1364 muore improvvisamente il redi Francia e tutti i piani vengono sconvolti. Il redi Cipro tenta allora di convincere Venezia aprendere l’iniziativa: la Serenissima però subor-dina la sua partecipazione all’aiuto da parte deiCrociati per reprimere una rivolta a Creta, ripro-ponendo un copione molto utilitaristico già spe-rimentato nella quarta crociata e che nessunovuole ripercorrere.

Pietro di Lusignano decide alla fine di fare dasolo e - appoggiato dai Cavalieri di Rodi - attaccae occupa per pochi giorni Alessandria d’Egitto(10 e 11 ottobre 1364). È una operazione dispe-rata e velleitaria, senza nessun supporto e vali-dità.

Nel frattempo i Turchi non smettono di avan-zare: nel 1363 Murad I aveva costretto Giovanni

V Paleologo a riconoscersi suo vassallo. Una nuo-va iniziativa viene intrapresa da Giovanni II Pa-leologo, Marchese del Monferrato e zio dell’Im-peratore, che spera di coinvolgere almeno Geno-va e la Savoia. Ma i Genovesi si tirano indietroperché minacciati da un tentativo espansionisti-co dei Visconti, e così alla fine Amedeo VI decidedi fare di testa sua e di correre da solo in aiutodel disgraziatissimo Impero. Era forse spinto an-che da una ambizione dinastica: come cuginodell’imperatore e nipote di sua madre, l’impera-trice Anna, poteva infatti affermare dei suoi dirit-ti su quel che restava dell’Impero, in contrastocon quelli dei Paleologo del Monferrato. Un anti-co contrasto locale fra la Savoia e il Monferratotrovava così un suo stravagante corollario in unaimprobabile manovra di successione dinastica.

Solo nel 1365 si riesce a concertare un pianooperativo: il Conte di Savoia avrebbe guidato unaspedizione marittima per portare aiuto all’impe-ratore per cacciare i Turchi dalla Tracia mentre ilre d’Ungheria avrebbe disceso con un esercito ilDanubio per attaccare il nemico alle spalle e perproseguire il combattimento di concerto.

Come sempre, agli entusiasmi iniziali non cor-

(1) Francesco Cognasso, Il Conte verde. Il Conte rosso (Dal-l’Oglio: Milano, 1989), pagg.134-135

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rispondono interventi concreti adeguati e i risul-tati dell’appello del Conte sono piuttosto scarsi:solo Venezia si decide a concedere due galee.

Per nulla scoraggiato e dimostrando incredibi-le coraggio e determinazione, il Conte Verde no-leggia 15 navi (6 a Venezia, 6 a Genova e 3 a Mar-siglia), fa imbarcare i suoi nel porto provenzale,si reca ad Avignone per ottenere appoggi e bene-dizioni dal Pontefice e lascia il giorno 8 febbraiodel 1366 il suo castello del Bourget. Si ferma aMilano (dove suo cognato Gian Galeazzo gli con-cede un mutuo di 20.000 fiorini e alcuni repartimilitari), e prosegue per Venezia dove arriva ilgiorno 11. Nella grande città lagunare (che eraallora una sorta di capitale mondiale della cultu-ra, degli affari, ma anche delle mode più frivole)si attrezza di un ricco guardaroba di abiti per levarie occasioni (ma tutti rigorosamente verdi) eparte il 20 giugno. Ecco come le Chroniques deSavoye descrivono la partenza: “Riunite le gentiin Venezia e fatta l’ordinanza, il Conte diede atutti i baroni e cavalieri giubbe di velluto verdeornate dei nodi d’amore delle sue insegne, rica-mati in oro: d’argento erano i nodi sulle giubbedate agli scudieri. Poi il Conte se ne uscì dal pa-lazzo: di velluto verde era vestito, e così i suoibaroni che lo seguivano a due a due. Al suonodelle trombe sfilarono davanti a San Marco; conammirazione li contemplavano i Veneziani e di-cevano: siano benedetti!”. (2)

Le due galee di Venezia con a bordo il Conte eil suo seguito (una era comandata da FedericoCorner) raggiungono Corfù il 6 luglio e il 17 del-lo stesso mese sono a Corone (Koròni), dove siriuniscono alle navi provenienti da Marsiglia. IlConte si dirige verso Negroponte con una squa-dra di 17 navi battenti bandiera sabauda. Unaformazione di avanguardia di 4 vascelli, al co-mando dell’ammiraglio Stefano de la Baume,precede di poche ore il grosso della flotta per av-vistare l’eventuale presenza di navi turche. Laspedizione si compone in tutto di circa 2.000 uo-mini: ci sono un centinaio di cavalieri savoiani,borgognoni, francesi e piemontesi, ci sono i bale-strieri, gli arcieri e i pavesari arruolati a Genovae ad Avignone e ci sono le milizie lombarde gui-date da Cesare Visconti, figlio naturale di Galeaz-zo. L’assistenza spirituale è assicurata da unbuon numero di religiosi, fra cui fra Bertrandoda Milano e fra Gregorio da Brescia. Nel com-plesso, un bel concentrato di padanità.

La flotta arriva a Negroponte (Eubea) il 2 ago-sto. Qui, come un fulmine a ciel sereno, giungela notizia che l’imperatore Giovanni V era stato

sequestrato dallo zar bulgaro Giovanni Shish-man per vendetta contro Greci e Ungheresi. E’una ulteriore prova dell’inconsistenza dell’Impe-ro il cui sovrano può venire rapito come un vian-dante qualsiasi. Ma è anche una inattesa compli-cazione che costringe Amedeo VI a modificare gliobiettivi della spedizione: non più una Crociatacontro i Turchi musulmani ma una campagnacontro i Bulgari cristiani per liberare il sovranofantoccio di un regno ormai agonizzante. LaCrociata viene privata della sua originaria idea-lità.

La sosta a Negroponte dura due settimane poisi viene a sapere che i Serbi stavano attaccando ilgrosso dell’armata turca ad Adrianopoli. (Edir-ne). Si decide di approfittare dell’impegno degliavversari per portare un colpo di mano controGallipoli (Gelibolu), il punto di collegamento suiDardanelli fra l’Anatolia e l’Europa, per inter-rompere il passaggio dei rifornimenti turchi alletruppe impegnate in Tracia. Alla flotta sabaudo-padana si uniscono alcuni vascelli inviati daFrancesco Gattilusio, signore di Mitilene (Mytili-ni). L’attacco ha inizio il 22 agosto, i nostri sbar-cano sulla penisola e attaccano le mura dellacittà con lunghe scale e con grande impegno evalore. Cadono molti cavalieri ma la città vienepresa e, nella notte del 25, i Turchi la abbandona-no precipitosamente e lasciano ai Cristiani ilcontrollo dello stretto. Dopo avere installato unaguarnigione a Gallipoli, la flotta arriva il 4 set-tembre al Corno d’Oro e attracca al porto di Peracon la collaborazione del Balivo veneziano e nel-la sostanziale indifferenza della Corte bizantina,ormai rassegnata al proprio destino, occupata infragorose dispute intestine e timorosa che ilConte Verde potesse trasformarsi in un altroconquistatore.

Amedeo VI tocca con mano la drammaticitàdella situazione e lo squallore decadente dellacorte imperiale (così diversa dalla sobria dignitàdel suo dominio alpino) e - se mai ha avuto qual-che ambizione dinastica - vi rinuncia velocemen-te e saggiamente. Chiarisce con veemenza la suaposizione con l’imperatrice Elena che, rassicura-ta, gli concede due galee e 12.000 iperperi d’oroin cambio dell’impegno a condurre una spedizio-ne per la liberazione dell’imperatore. La flottaviene ulteriormente rafforzata con alcune galeeveneziane di Pera e parte per la costa bulgara delMar Nero il 4 ottobre.

(2) Ibidem, pag. 139-140

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Il 6 ottobre il Conte è davanti a Lorfenal, il 17effettua uno sbarco a Sozopoli (Sozopol) e vi la-scia un presidio, il 20 occupa Anchialo (Aheloj),il 21 è davanti a Mesembria (Nesebar) e la assal-ta. Si tratta di località che erano cadute in manoai Bulgari nel 1307. Il 25 ottobre arriva a Varna,lascia un presidio a Eimone (Emieh) e mandauna ambasceria a Ternovo (Tarnovo), dove si tro-vava lo zar bulgaro, per trattare la liberazione diGiovanni V. Il grosso delle forze si installa il 24novembre a Mesembria, dove organizza i propriacquartieramenti invernali. Le trattative si pro-traggono per due mesi e comprendono gli sforziper liberare anche Antonio, figlio naturale diBernabò Visconti, finito chissà come in mano aiBulgari.

Finalmente, il 23 gennaio, si ottiene la libera-zione dell’imperatore che può tornarsene a Co-stantinopoli. Questo significa la fine della spedi-zione militare e il giorno 8 aprile il Conte lasciale città conquistate consegnandole ai Bizantini.

La flotta lascia Costantinopoli il 10 giugno, il14 è a Gallipoli. La città è consegnata ai Greciche poco dopo la ridanno ai Turchi che si eranofino a quel punto trattenuti dall’attaccarla per ti-more dei Crociati. Questo atteggiamento pavidoe rinunciatario dei Greci è alla base della decisio-ne del Conte di non far valere i suoi diritti dina-stici (come già detto) ma anche di porre fine allaspedizione. Abituato a lottare con coraggio e ca-parbietà per difendere e allargare i propri domi-ni, si sarà sicuramente trovato a disagio nel di-fendere uno stato che basava la propria esistenzasull’intrigo, il tradimento, il doppio gioco e lacorruzione. Il contatto con il verminaio bizanti-no lo avrà sicuramente spinto ad anticipare il ri-torno fra i suoi duri ma onesti montanari di stir-pe ligure e celtica.

Il 16 giugno è all’isola di Tenedo, il 22 a Negro-ponte, il 4 luglio arriva in Morea (Peloponneso),e poi viene trionfalmente accolto a Durazzo, (14luglio), a Ragusa (17 luglio), a Lesina (21 luglio),a Zara (24 luglio), a Rovigno (28 luglio) e il 29 aVenezia. Tutti corrono a festeggiare e a salutareil conquistatore di Gallipoli e il liberatore del-l’Imperatore. Il rientro in patria non è diretto, daVenezia si reca a Roma, da Urbano V, a riferiresulla spedizione e a lucrare vantaggi politici dalsuo successo militare e di immagine. Il Conterientra in Savoia solo il 10 dicembre 1367, quasidue anni dopo la sua partenza.

Quale è stato il bilancio di tutta l’operazione?La spedizione non è stata un disastro economi-

co solo grazie all’aiuto finanziario del cognato

Galeazzo e all’incameramento di un prestito del-l’imperatore che doveva servire come pegno perun viaggio a Roma per porre fine allo scisma,viaggio che non ci sarà mai.

L’avventura non ha portato nessun giovamentoall’Impero greco, né militarmente, né moral-mente. Come si è visto, Gallipoli è stata riconse-gnata ai Turchi subito dopo la partenza delle navicrociate e le città liberate sul Mar Nero sono sta-te perse nel giro di qualche anno. L’Impero eraormai logorato al suo interno e neppure l’esem-pio di un eroico manipolo di combattenti potevaservire a dare coraggio o energia a chi aveva or-mai rinunciato a combattere e a vivere, e nonaveva più nessuna forza interiore. L’impresa ave-va anche dimostrato la notevole qualità militaredei Padani che, pure in numero molto limitato,erano riusciti a incutere timore e rispetto a so-verchianti forze bulgare e turche. Resta la tri-stezza del pensare a quanti dolori e problemi sisarebbe risparmiata l’Europa (alcuni di questi siprotraggono fino ai nostri giorni) se avesse se-guito l’esempio di Amedeo VI bloccando in Asial’avanzata turca e mettendo ordine con le armiin tutta la turbolenta area.

È probabile che il Conte si fosse lanciato inquella spedizione per seguire una sua vitale pre-disposizione all’avventura, per il sincero deside-rio di difendere la Cristianità e un sovrano di cuiera stretto parente, ma anche nella speranza ditrarne vantaggi pratici personali. Non sappiamoquanto vigore di intenzionalità ci fosse nelleaspirazioni dinastiche al trono imperiale; in ognicaso queste ambizioni sono subito (come si è vi-sto) cadute di fronte alla presa d’atto delle cata-strofiche condizioni dell’Impero e della sua clas-se dirigente: non si aspira a un trono precario edisastrato. Amedeo VI era uomo troppo abile,pratico e pragmatico per subordinare i suoi inte-ressi concreti a dei sogni decadenti.

Il vero vantaggio acquisito dall’operazione èstato di prestigio personale. L’aureola di quelleavventure avrebbe circondato Amedeo VI, accre-sciuto il suo prestigio negli affari politici italiani,richiamato su di lui l’attenzione delle grandi po-tenze del tempo. Dalla dimensione di piccola po-tenza provinciale, i Savoia sono assurti - grazieal Conte Verde - per la prima volta alla grandepolitica mediterranea.

Una spedizione sul Mar Nero ha iniziato unpercorso che si è concluso con un’altra spedizio-ne militare, sullo stesso mare, cinque secoli do-po. In qualche modo l’espansione sabauda in Pa-dania è passata da Gallipoli.

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La battaglia di Lepanto che vide la vittoriadella Cristianità sulla flotta turca, non av-venne nella famosa località, rammentata da

tutti i libri di storia, bensì di fronte alla PuntaScrofa, mai citata per non sminuire con un no-me banale e forse un po’ ridicolo un fatto cosìimportante. In Piemonte, sono numerose le rap-presentazioni riguardanti l’infuriare dei combat-timenti: fuoco e fiamme ovunque, frecce e fumodagli archibugi, arrembaggi e cannoni, scene vi-vissime, tali da riportarci in pieno Mediterraneo,in mezzo ai flutti e ai gorghi provocati dal frene-tico moto dei remi. Soprattutto in provincia diCuneo si possono ammirare dipinti e affreschinelle Parrocchiali: di Demonte, di Carassone, diCaraglio, di Saluzzo e nella chiesa di Sant’An-drea a Bra. Altre raffigurazioni si trovano a Ca-sale, a Biella e nell’Alessandrino e generalmentesono ospitate nelle cappelle della Madonna delRosario, alla cui intercessione pare sia dovuta lagrande vittoria. Un quadro commemorativo sitrova nella Basilica di Bo-sco Marengo, paese nata-le di Antonio Ghislieri, ri-cordato coma Papa Pio V,unico Papa piemontese,organizzatore della SantaLega tra le Nazioni cri-stiane contro i Turchi. -Egli nacque nel 1504 dauna famiglia di umili ori-gini e da bambino porta-va al pascolo le pecore;un amico di famigliapiuttosto benestante siaccorse della sua viva in-telligenza e lo fece entra-re nel convento dei Do-menicani, sito in Voghe-ra, all’età di quattordicianni. Il futuro Papa di-mostrò subito un esem-plare zelo, specialmente

nell’osservanza della povertà. Studiò con passio-ne la teologia e fu ordinato sacerdote e 24 anni.Non si concesse mai alcun lusso e, pur se con-fessore del governatore di Milano, viaggiavasempre a piedi col suo sacco in spalla. Priore inun convento, mostrò una severità derivante inparte dal suo carattere subalpino, che per alcuniversi ci ricorda Elvio Pertinace, imperatore pie-montese, in parte dal desiderio di riportare laChiesa alla povertà iniziale. Nel 1557 Papa Pio Vlo nominò Cardinale e Grande Inquisitore, inca-rico che assunse con fermezza: rigoroso ma nonsuperbo, pregava e digiunava lungamente. Il Pa-pato non modificò il suo carattere e anche la suaincoronazione si svolse in tono dimesso poichéil denaro destinato ai festeggiamenti fu devolutoai poveri. Sotto gli abiti pontificali portava sem-pre il rozzo saio domenicano, dormiva per po-che ore su uno scomodo pagliericcio. Il suo ri-gorismo lo portò ad annullare lo sfarzo dellacorte pontificia e all’allontanamento dei parassi-

ti e dei corrotti; Cardinalie Vescovi, prescelti conun criterio strettamenteecclesiastico, avevanol’obbligo della residenzae per tutti, erano severele punizioni se si trasgre-diva alla Messa domeni-cale; era vietato l’accatto-naggio e per contro era-no generose le elargizio-ni per i veri poveri. Ilmatrimonio era tutelatomediante pubbliche fu-stigazioni per gli adulterie le cortigiane furonomesse al bando, in quar-tieri loro riservati. Fu as-sai duro contro gli ereticie combatté con veemen-za gli Ugonotti e tutti co-loro che si erano in qual-

Papa Pio V: il Papa piemontese e la Madonna del Rosario

di Mariella Pintus

Effige di papa Pio V

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che modo allontanati da Santa Romana Chiesa.Certo quello che agiva in lui non era un Dio mi-sericordioso, ma un Dio vendicativo, un Dio bi-blico che guidava le sue azioni. Nessuno comelui avrebbe potuto impegnarsi nella lotta agli in-fedeli Turchi ed egli certo superò ogni ostacolo,fornendo navi e denaro, affinché Veneziani, Ge-novesi e Spagnoli fossero uniti nella comuneCrociata. In realtà, per tutto il 1570, nessunaspedizione prese il largo per andare in soccorsodei Veneziani assediati in Famagosta; i Principinon riuscivano a mettersi d’accordo su chiavrebbe dovuto essere il comandante supremodella coalizione. In un primo tempo il Papa offrìquesto incarico a Emanuele Filiberto, Testa diFerro, che era un valente condottiero e soprat-tutto non avrebbe suscitato gelosie tra le poten-ze navali della Lega Santa, per l’appunto Veneziae la Spagna. Alla fine, il comando venne affidatoa Don Giovanni d’Austria, comandante in secon-da fu nominato Marc’Antonio Colonna, ammira-glio della flotta pontificia e a “latere”, l’ammira-glio veneziano Sebastiano Veniero. Andrea Pro-vana, ammiraglio piemontese, seguì con tre ga-lene: “La Capitana, La Piemontese, La Margari-ta”. Anche il 1571 vide enormi perdite di tempoda parte degli Spagnoli restii a difendere i posse-dimenti veneziani; il 18 agosto 1571 Famagostacadde e questo indusse la flotta cristiana a parti-re. Il 16 settembre, l’armata uscì dal porto diMessina per incamminarsi verso un destino di

gloria. All’annun-cio della vittoria, ilPapa scoppiò in la-crime, chiedendoal Signore di ab-bandonare la vitaterrena, essendosiormai conclusa lapiù grande impre-sa per la Cristia-nità. A perenne ri-cordo di questoavvenimento, PioV fissò la festa di“Nostra Signoradella Vittoria”, al 7di ottobre, giornoin cui avvenne loscontro. La ricor-renza fu spostata,dal suo successoreGregorio XIII, allaprima domenica

dello stesso mese e dedicata alla “Madonna delRosario”; questo spiega perché le raffigurazioni,di cui abbiamo detto prima, non siano propriocoeve al tempo della battaglia, ma appartenganoal secolo successivo. Pio V morì a Roma nel1572 e fu sepolto un primo tempo in San Pietroe trasferito in seguito da Sisto V in un mausoleodi S. Maria Maggiore. Fu canonizzato da Cle-mente XI nel maggio del 1712. È singolare comequesta figura sia tornata improvvisamente d’at-tualità e ci riporti a tempi che consideravamolontani; vi è però una differenza fondamentaleche distingue i due periodi: la Chiesa odiernaben lungi dal difendere “La Fede”, apre le porteall’Universalismo religioso, in nome forse di unapresunta solidarietà che ben poco ha a che vede-re con i principi del Cristianesimo. Abbiamol’obbligo di difenderci con tutte le nostre forze ein tutti i modi, non esclusa l’invocazione alla“Madonna del Rosario”. Una persona assai saga-ce (di cui lasciamo indovinare il nome), ci hafatto notare che ogni qualvolta si recita un rosa-rio, si invoca l’aiuto della Vergine contro l’inva-sore musulmano. La Storia replica se stessa e cimanda segnali di avvertimento.

La Padania non poteva attendere un altro Papapiemontese e già da tempo ha dato vita a unaSanta Lega a difesa delle nostre peculiarità. Laflotta è in viaggio e non abbiamo dubbi sull’esitodella battaglia poiché la posta, altissima, è la sal-vezza dei nostri popoli.

Dipinto raffigurante la battaglia di Lepanto, del 7 ottobre 1571

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“Tre secoli fa, il primo di Agosto 1664, Rai-mondo Montecuccoli, generale supremo dellemilizie imperiali, sul fiume Raab fermava e sgo-minava gli eserciti musulmani, calati nel cuored’Europa per distruggere la libertà e la cristia-nità. Montecuccoli, fiera d’avergli dato i natali,lo ricorda e ne glorifica la vittoria che segnauna data memorabile nella storia delle vicendee dei destini di Europa”.

La mattina del 6 settembre 1964, nella cintadel Castello di Montecuccoli del Frignano,dopo la Messa officiata dall’Arcivescovo di

Modena, la Marchesa Laderchi Sehloss di Lintz,discendente del grande condottiero, scoprivaquesta lapide commemorativa, alla presenza del-le maggiori autorità politiche, militari, ammini-strative della Provincia, di molti studiosi padanie foresti, di delegazioni ufficiali straniere e diuna copiosa rappresentanza dei diversi Comunidel Frignano, con i loro labari.

Il castello, la cui mole imponente e merlata,con l’alta torre che lo sovrasta, si profila nitidanell’azzurro del cielo dell’Appennino modenese,ben visibile per chi percorre la via nazionaleGiardini verso l’Abetone, vide nascere, il 21 feb-braio del 1609, colui che non solo fu un grandis-simo capitano, ma anche il nostro più espertoscrittore d’arte militare (Aforismi dell’Arte Belli-ca). Le origini dell’illustre famiglia si fanno de-rivare da un ramo della potente consorteria dinobili, o cavalieri, o “cattani” che dominarono,nell’Alto Medioevo, questa parte di Padania eche, dal feudo avito, trassero l’appellativo di “DaFrignano”. Nel sec. XII comparve il nome “Mon-tecuccoli”, tratto verosimilmente dal monte sucui fu eretto il castello, come recita un docu-mento del 1027 (“Mons qui dicitur Cuculi..”),citato da G. Tiraboschi. E il rampollo di questireguli dell’alta montagna modenese, gente fierae indomita che rispecchiava l’indole degli anti-chi dominatori di questi ardui gioghi, i LiguriFriniati, non tardò a onorare la sua stirpe.

Nel 1625 si arruolò nell’esercito imperiale e inbreve tempo, dai gradi più umili, durante laGuerra dei Trent’Anni, divenne capitano. Nel1631, si distinse nell’assalto di Neubrandeburg:per primo ne scalò le mura, consegnando lechiavi a Du Tilly. Fu poi ferito e fatto prigionierodagli Svedesi a Lipsia (1631). Liberato dopo seimesi, venne nuovamente ferito nella grande bat-taglia di Lützen, ma quattro anni dopo coprìbrillantemente la ritirata degli Imperiali a Witt-stock, pagando il suo valore con una nuova pri-gionia, di tre anni, presso gli Svedesi, che im-piegò dedicandosi ai suoi scritti.

Tornato in Padania combattè, a favore degliEste “suoi signori naturali”, contro i Farnese diParma, poi fu di nuovo in Germania per riso-spingere gli Svedesi in Pomerania. Conclusasi laGuerra dei Trent’Anni, il Montecuccoli, investitoda delicati impegni diplomatici, viaggiò attra-verso l’intera Europa lasciandone memoria nelvolume I Viaggi. Nel 1657 riprese le armi per li-berare la Polonia dagli Svedesi di Carlo Gustavo,questa volta col grado di Maresciallo dell’Impe-ro. E quando, a pochi anni dalla Pace dei Pirenei

Raimondo Montecuccoli, un grande condottiero padano

di Alina Mestriner Benassi

Lapide inaugurata nell’interno del Castello diMontecuccoli nel terzo centenario della Batta-glia della Raab

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(1659), si appressò una grave minaccia dall’O-riente, il Montecuccoli rimase l’unico ostacolocontro la furia ottomana, ma fu ostacolo insor-montabile.

La superba figura dello stratega, onore e glo-ria non solo del Frignano, ma dell’intera Pada-nia, di cui si sentì sempre figlio, anche se gene-rale dell’esercito imperiale austriaco, va celebra-ta, soprattutto oggi, perché, mai come ora, glieventi reclamano, per la nostra patria, uno spiri-to come il suo, una fierezza indomita, una chia-roveggenza di lavorare per una causa grande:quella dei singoli popoli d’Europa, che si do-vranno difendere strenuamente, colle opere ecol pensiero, per la salvaguardia dei valori dell’i-dentità, della libertà e della religione, contro ne-mici più temibili e feroci degli Ottomani della

Raab. L’antica battaglia, detta anche di S. Got-tardo, è un evento storico il cui significato puòtrascendere i tempi in cui avvenne e assumere,oggi, una valenza paradigmatica nel segno del-l’unificazione europea dei Popoli liberi: presso ilvillaggio ungherese di Mogersdorf, sulle rivedella Raab, avvenne davvero qualcosa d’incom-mensurabile portata per le sorti del nostro con-tinente e della sua civiltà.

Le armate musulmane, agli ordini del VizirAchmech Cupruhu, dilagate in Ungheria, punta-vano ormai su Vienna, preparandosi ad investiretutta l’Europa centrale. I governanti europei ac-colsero indifferenti l’immane dramma dell’inva-sione ottomana, resi ciechi dalle divisioni, dallecontinue guerre e dalle pestilenze. Montecucco-

li, sempre in marcia, sempre in azione, dalla Po-lonia alla Danimarca alla Francia, incurante del-la stagione avversa e delle notti insonni, riuscìfinalmente a smuoverli. Vienna, abbandonatadagli abitanti presi dal panico, era pressoché de-serta e, nelle immense pianure d’Europa, letruppe confederate dell’Impero, poco più di25.000 uomini, i fedelissimi del feudo Monte-cuccoli, “i fanti di Formigine”, i soldati del Papa,i Germanici, gli Ungheresi, gli Svizzeri, i Fiam-minghi, i Danesi, gli Svedesi e con essi “il fioredell’avventurosa nobiltà di Francia” si unirononella disperata, ma tenace volontà di salvare l’u-nico caposaldo dell’Occidente e dell’Europa cri-stiana, il simbolo di quei superiori concetti di ci-viltà a salvaguardia dei diritti dei Popoli, control’oscura minaccia dell’Islam. Al soldato frigna-

nese, circonfusoda un alone quasidi leggenda popo-lare, nel luglio del1664, venne affi-dato il compitoimmane di pla-smare un esercitoche potesse vince-re, con truppe ditanto diverse na-zionalità. Così laSchlacht bei Mo-gersdors (la batta-glia presso Mo-gersdors), com’èricordata ancoroggi in Austria,segnò l’inizio del-la riscossa e su-premazia d’Occi-

dente contro l’invasione e la potenza ottomana. Il 30 luglio 1664, 30.000 cristiani affrontarono

90.000 Turchi e il Montecuccoli mise a punto,per l’occasione, un piano di guerra degno deipiù grandi strateghi. L’esercito germanico tene-va il corno destro, quello imperiale occupava ilcentro mentre i Francesi, insieme agli altri al-leati, costituivano il corno sinistro. A tutti furo-no distribuiti i disegni dei 14 schemi da osserva-re nell’ordinanza e nel combattimento. Alle ore9 del 1 agosto, gli Ottomani, guidati dal Vizir,varcarono il fiume scagliandosi al centro e por-tando scompiglio, ma in breve il Maresciallo Im-periale vinse il timore dei suoi e, riunite le riser-ve, attaccò di fianco i Musulmani e li ricacciònella Raab. Poco dopo una moltitudine parve

Pavullo nel Frignano (Modena). Castello di Montecuccoli

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circondare i cristiani e la mischia divenne fero-ce, poi, all’improvviso, l’esercito d’Occidente sicurvò a forma d’arco e assalì il nemico di frontee di fianco.

Il Vizir, constatando la mala parata, fece retro-cedere i suoi, ma i gorghi del fiume, in queltratto angusto, assieme all’artiglieria imperiale,li decimarono. La battaglia durò sette ore e fusanguinosa, ma agli Ottomani vennero meno21.000 uomini e il fior fiore dei giannizzeri (co-me riferisce il loro storico Salabbery), mentre iCristiani contarono 1.800 morti e 700 feriti. Lagloria maggiore di questa vittoria fu ascritta aRaimondo di Montecuccoli, che non rimase indisparte a dirigere la pugna, ma stancò ben seicavalli, cinque dei quali gli furono uccisi sotto,per trovarsi di persona dove maggiore era il pe-ricolo. Il Vizir stesso, per giustificare la sconfit-ta, disse che “non era andato a combattere unuomo, ma un demonio, che i suoi si trovavanosempre di fronte, qualunque fosse il tentativoche facessero”.

Dopo questi eventi, l’impero musulmano se-gnò il passo: seguì una tregua di ventanni finchèla vittoria del Sobieski e di Eugenio di Savoiacontro una nuova invasione ottomana pose finealla potenza dell’Islam in Europa.

I Sovrani europei seppero onorare degnamen-

te il Montecuccoli: fu fatto Principe, prima daCarlo II di Spagna, poi dall’Imperatore, il Papalo nominò Ambasciatore, dal Re di Francia ebbel’investitura di Conte di Montfort, dal Re di Na-poli quella di Duca di Melfi e fu Cavaliere delToson d’Oro, che lo rendeva nominalmente“Cugino” dell’Imperatore. Grandi furono le ca-riche rivestite anche a Vienna, fino al sommoonore di essere ammesso al Consiglio Aulico.Finì i suoi giorni in Austria, a Lintz, il 16 otto-bre del 1680.

Durante il Risorgimento, si era costituito aModena un Comitato Civico che si proponeva dierigere un monumento al grande stratega e let-terato, ma molti dubitarono della sua italianitàe non se ne fece nulla. Meglio. Rimane il Castel-lo di Montecuccoli a ricordare che, tre secoli fa,un Padano disegnò per l’Europa un destino di-verso da quello che è ora alle porte.

Bibliografia❐ T. Sandonnini - Il Generale Raimondo Monte-cuccoli e la sua famiglia - Modena 1914❐ C. Campori - Il Generale Raimondo Monte-cuccoli, la sua famiglia e i suoi tempi - Firenze1876❐ G. Tiraboschi - Biblioteca Modenese - Modena1783

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Gli accenni degli storici latini riguardanti lepopolazioni alpine sono scarsi e a volte sisono dimostrati falsi alla luce di nuove

branche della scienza, come l’archeologia e lalinguistica.

La conquista delle Alpi da parte dei Romani èstata tardiva e si può ipotizzare che un sistemadi occupazione capillare e permanente del terri-torio non sia mai stato messo in atto. Certe vallirecondite, forse proprio quelle che interessanocome vedremo i nostri Saraceni, restarono sem-pre libere. Sulle Alpi successe un po’ quello chesuccede ora in alcuni stati africani o latino-ame-ricani dove il potere su tribù sperdute nelle fore-ste tropicali o situate in zone impervie è più fit-tizio o cartaceo che reale.

Fu solamente con il feudalesimo che si veri-ficò l’attacco decisivo e conclusivo nei confrontidei popoli alpini con la loro definitiva conquistae la loro acculturazione (abbandono della pro-pria lingua antica e latinizzazione). Tentativi diconquista delle montagne il feudalesimo ne fecesempre, ma all’inizio furono infruttuosi per l’ac-canita resistenza dei montanari. Solo dall’annomille in poi, i signorotti (nobili ed ecclesiastici)riuscirono invece metodicamente a sottomette-re villaggio dopo villaggio, instaurando oppres-sione politica; alle vecchie strutture di governoautonomo, libere e democratiche, si sostituiro-no le strutture gerarchiche feudali che cancella-rono poco a poco l’antica visione naturale delmondo, tipica degli indigeni, e la sostituironocon la visione del mondo cristiana, ibrido mi-scuglio tra una religione nata in Oriente e le re-ligioni autoctone d’Europa (greca, romana e cel-tica).

Secondo noi, dunque, dopo la colonizzazioneagricola e la successiva colonizzazione pastoraledell’età del bronzo, tutte le altre invasioni in-doeuropee (che il più sovente devono essereconsiderate come creazione di nuove struttured’oppressione sociale ad opera di minoranze enon come spostamenti di grandi masse umane),fino l’anno mille, si limitarono sempre a sfiorarele Alpi e mai le condizionarono se non superfi-

cialmente. Celti, Italici e Germanici indoeuro-pei, occuparono i piedi delle Alpi e mai le som-mità. I popoli di montagna, gli Arpitani e i Pire-naici, furono portatori di pre-indoeuropeità(meglio sarebbe a dire europeità) molto a lungo;molto più a lungo che gli altri popoli e comu-nità di pianura o collina che offrivano territoripiù appetibili. Non a caso sui Pirenei, i Baschiconservano ancora oggi una lingua che ha origi-ne nel lontano neolitico e che, a detta dei lingui-sti, era diffusa in tutta Europa fino al Caucaso.Tale lingua sulle Alpi fu parlata fin verso l’annomille. Verosimilmente gli ultimi a usarla furonoi nostri “saraceni o mori alpini”. E’ significativoche anche i Baschi, fino a poco tempo fa, sianostati considerati dalla storia ufficiale come morie saraceni: si credeva che a massacrare la retro-guardia di Carlo Magno che precipitosamente siritirava dalla Spagna, fossero stati i portatori discimitarra: furono invece montanari baschi chea Roncisvalle constrinsero il paladino Rolando asuonare invano il corno.

Fatta questa premessa, occupiamoci ora di unperiodo della storia alpina, più buio degli al-

tri, che va dal 700 all’anno 1000. Le cronache ecclesiastiche, che si riferiscono a

questo periodo storico e riguardano le Alpi occi-dentali, parlano di bande di briganti chiamaticon un’impressionante varietà di nomi: pagani,infedeli, unni, ungari, avari, alemanni, saraceni,barbari, salassiani, ginevrini, pennini, mori.Leggende relative a queste bande, che occupava-no le alte sommità ai piedi dei monti e abitavanoin luoghi inaccessibili con le loro famiglie, sononumerosissime. Tutti i villaggi, o quasi, ne tra-mandano alcune; certe comunità, addiritturacon fierezza, si onorano di discendere da questifamigerati individui: è il caso della comunità diNendaz nel Vallese svizzero.

Le cronache ecclesiastiche affermano che era-no pericolosissimi, sanguinari, razziatori, di-struttori di chiese e monasteri. Le leggende, in-vece, fortunatamente non passate attraverso ilfiltro della cultura cristiana, li dipingono come

Saraceni o Salaceni?di Joseph Henriet

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individui saggi, profondi conoscitori delle tecni-che agricole e pastorali e delle scienze naturali:a loro si deve la costruzione del complicato si-stema di irrigazione degli aridi prati alpini e laconoscenza delle proprietà delle erbe officinali,nonché raffinate tecniche di fusione dei metallie composizione di leghe. Già queste considera-zioni c’inducono a non poter assimilare i sarace-ni alpini ai predoni marittimi e maghrebini che,il buon senso lo dice, potevano sapere d’alghemarine ma non d’erbe officinali alpine.

Una flotta saracena insediò - come anchescritto dallo storico arabo Al’ Istari - una ba-

se a Frassineto da cui partirono per decenni in-cursioni piratesche anche verso l’interno.

Qualcuno ha sostenuto che questi arabi si sa-rebbero spinti molto dentro alle zone alpine e sisarebbero anche mescolati ai montanari costi-tuendo comunità saracene di montagna. Dob-biamo subito segnalare che è improbabile che iMusulmani sbarcati, già perdenti nei confrontidei Provenzali, siano potuti sopravvivere avven-turandosi presso le popolazioni montanare no-toriamente bellicose e xenofobe.

Appare dunque subito insostenibile che talebanda provenzale abbia potuto “occupare i collie le sommità alpine” per più di due secoli, come

dice certa storia ufficiale. Si sa che le conquisteavvengono prima nei confronti dei territori dipianura e di collina, poi nei confronti dei terri-tori più ostici come quelli montani. Nel caso deisaraceni alpini sembra che sia capitato il contra-rio: conquistarono (non si sa come) le alte som-mità e da qui tentarono di conquistare le cittàsottostanti e le ricche pianure. Ipotesi contrariaa ogni logica militare. Appare quindi assai piùsostenibile che i Saraceni alpini altri non fosseroche le popolazioni indigene che, nello stesso pe-riodo in cui l’Islam attaccava l’Europa, conti-nuavano ad opporsi alla conquista da parte diFranchi, Burgundi e Longobardi.

Come già avveniva presso i Greci, che chiama-vano con il vocabolo barbaro qualunque stranie-ro, senza distinzione di lingua o di religione, co-sì verosimilmente anche gli scrittori delle Cro-nache medioevali chiamarono saraceni sia i ne-mici musulmani sia i pagani alpini.

Un’ulteriore considerazione che avvalora lanostra interpretazione è d’ordine etimologi-

co. La parola saraceno, usata dai cronicari catto-lici, proviene da sarakenos, termine greco me-dioevale. Alcuni affermano che sarakenos derividall’arabo sharki- sharkiyin, nome di una tribùdi beduini. Altri lo fanno risalire al nome Sara,

Incursione saracena. Stampa del 1510

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moglie d’Abramo, da cui i beduini e Maomettoaffermano di discendere. Noi vogliamo qui pro-porre una terza etimologia, forse più giustificata;secondo noi sarakenos può derivare dal prein-doeuropeo kar-atz che attraverso tsar-atz, sar-azha prodotto saracino e saraceno. Da kar-atz pro-viene anche salas, nome della fiera popolazioneche abitava attorno al Monte Bianco così battez-zata dai Romani. Ci ritroveremmo dunque difronte al fatto che salasso o salassiano sia lostesso nome di saracio o saracino. Non è un casoche le leggende sui Saraceni siano soprattuttodiffuse sulle Alpi Occidentali che videro le gestaappunto prima dei Salassiani e poi dei Saracianio Saraceni.

In basco e in arpitano antico, kar significa pie-tra e atz casta, gruppo. Kar-atz e derivati signifi-cano dunque “casta delle rocce” o “tribù monta-nara”. L’interpretazione s’adatta benissimo allarealtà. La parola saraceno è dunque un terminedell’antica lingua alpina, in seguito usato ancheper denominare i popoli che con le montagnenon avevano nulla a che fare; poco a poco vennea significare stranieri e nemici della fede cristia-na.

Oltre alle motivazioni già accennate che ciportano a considerare come i saraceni alpininulla abbiano a che fare con gli omonimi berbe-ri maghrebini islamizzati o arabi beduini e chedebbano essere considerati come montanari pa-gani, di lingua e cultura ancora essenzialmenteneolitica e preindoeuropea, fieri oppositori delnuovo ordine sociale cristiano che il Feudalesi-mo stava impiantando in Europa, ne producia-mo altre, altrettanto significative.

Ai piedi delle Alpi, sia a Nord sia a Sud, esiste-vano intorno all’anno Mille numerosi marchesa-ti. I marchesati erano entità statali di frontierache avevano lo scopo di arginare gli attacchiesterni: è evidente dunque che i marchesati

prealpini avevano come nemici i montanari del-le alture ancora liberi e non soggiogati.

La gran frequenza di leggende, alcune dellequali attribuiscono origine saracena ad interivillaggi, l’ingens multitudo di saraceni di cuiparlano le Cronache, fanno scartare l’idea chefossero la banda sbarcata in Provenza.

Il fatto che le bande di Saraceni, che scendeva-no in pianura a distruggere e a razziare, prati-cassero un’evidente forma di guerriglia attac-cando di sorpresa e ritirandosi subito sulle mon-tagne, fa supporre che conoscessero perfetta-mente il territorio in cui si muovevano e che go-dessero della protezione da parte della popola-zione locale; non avrebbe potuto agire così ungruppo di stranieri conquistatori.

Nelle parlate neolatine delle Alpi (provenzaleoccitano, arpitano, ladino), sia nella toponimiasia nell’andronimia, non esiste la minima in-fluenza linguistica araba o berbera; ciò non sa-rebbe avvenuto se a conquistare le nostre monta-gne, e per due secoli, fossero stati i Musulmani.

Nelle cronache ecclesiastiche certi testi parla-no indistintamente di Mori, pagani infedeli, Un-gari, saraceni usandoli a volte come sinonimi dinomi storici: Salassi, Pennini, Ceutroni.

I nostri Saraceni sono descritti come paganiadoratori d’idoli mentre i Saraceni musulmani,pagani non erano, praticando essi una religionemonoteista simile alla cristiana.

Si attribuiscono ai Nostri sofisticate cono-scenze in campo edilizio, nell’industria caseariae nella botanica, conoscenze che inequivocabil-mente affondano le radici nella locale culturaneolitica della Gran rivoluzione agricola indige-na.

Si attribuiscono ai Saraceni alpini molti mo-numenti megalitici (dolmen, menhir): è un filoche li lega alle primitive popolazioni indigene,non certo ai Nordafricani.

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Matteo Maria Boiardo, conte di Scandiano,gravitò nella corte estense di Ferrara, escrisse, in una gustosa e curiosa lingua

“italiana”, piena di padanismi e emilianismi (adesempio “ziglio” e “panza” per “giglio” e “pan-cia”), il capolavoro Orlando Innamorato, chepresenta il pregio, tra gli altri, di unire la tradi-zione bretone conquella carolingia,arrivando a propor-re degli interessan-tissimi duelli tra pa-ladini cristiani eguerrieri musulma-ni.

Nell’Orlando, co-me osserva il criticoEmilio Bigi nel vo-lume La poesia delBoiardo, l’interessa-mento del poeta nonsi limita più alla na-tura ma abbracciatutto un grandemondo narrativocomposto dagli ele-menti più svariati,in cui si muovonoguerrieri, cavalieried eserciti ma anchemostri, giganti e fa-te, un mondo riccodi duelli, battaglie eincanti.

Orlando insegue l’amata Angelica, promessaal cavaliere che riesca a recar danno al maggiornumero di musulmani e pagani, e nel frattemporiesce a sconfiggere infedeli e birbanti, in nomedi una fede che riesce sempre a preservarlo dal-la follia e dalla disperazione sentimentale. Iltutto mentre si accavallano altre storie, che ve-don protagonisti re (cristiani e saraceni) e ma-ghi come Atlante.

Emergono due simboli cari alla tradizionenordeuropea: la spada atlantea e il cavallo delpaladino Ranaldo. La prima, chiamata “Durlin-dana”, è la magnifica erede della spada celtica diExcalibur, simbolo di energia sacra capace disconfiggere i nemici visibili e quelli invisibili,permettendo tra l’altro di esercitare la suprema

giustizia; il cavallo rappresenta invece il movi-mento nello spazio, la possibilità di conoscere ilmondo grazie alla guida di un cavaliere, il cava-liere del Graal, che si propone di portare ovun-que la religione cristiana dopo aver difeso stre-nuamente il santo sepolcro ed il sacro calicedall’insidia dell’Islam.

Così nel poema boiardesco le doti tipiche delcavaliere occidentale non si manifestano soltan-

Lo spirito antislamico nell’opera del Boiardo (1441-1487)

di Andrea Rognoni

Miniatura del XIV secolo

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to nella forza bruta ma si esercitano attraversoespressioni virtuose che finiscono per proporreun modello di uomo contrapposto ai vizi e alleipocrisie dei combattenti orientali.

Diametralmente opposta al fatalismo medi-terraneo e maomettano c’è un tipo di determi-nazione che riesce a superare qualsiasi ostacolomesso sul cammino dal cosiddetto “destino”. Lastessa fata Morgana, altra protagonista dellatradizione celtico-bretone, che Boiardo ponegiustamente nella sua trama come incarnazionedella cosiddetta “fortuna”, va a rappresentareun incentivo per Orlando più che una inelutta-bile resa dei conti.

I vari paladini sono dotati di una forza di vo-lontà che unisce la certezza della fede con unapiù laica “voglia di primeggiare”: non a casocon Boiardo siamo alle radici del personalismomoderno, quella valorizzazione cioè delle dotiindividuali che a sud e ad est di certe latitudinie longitudini non è mai stata esercitata compiu-tamente.

Tra i tanti duelli di cui i paladini sono prota-gonisti contro personaggi appartenenti a cultu-re diverse e pagane va sottolineato quello di Or-lando con il re Agricane.

Agricane vuole sfidare Orlando perchè lo vedecome un rivale nel tentativo di conquista di An-gelica. Orlando a un certo punto sospende leostilità per permettere ad Agricane di soccorre-re i suoi sudditi, in preda al terrore provocatoda un gigante.

Dopo un po’ Agricane finge di fuggire per at-trarre Orlando in un luogo in cui sa di poterlouccidere senza difficoltà: ecco emergere l’im-magine dell’infedele infido e privo di scrupoli,un prototipo che secondo noi non è affattoscomparso alle soglie del Duemila e viene in Pa-dania a proporsi come povera vittima indifesaper riuscire a ingannarci meglio.

Fermossi ivi Agricane a quella fonte, e smontò dello arcion per riposare,

ma non se tolse l’elmo dalla fronte, nè piastra, o scudo se volse levare;e poco dimorò che gionse il conte, e come il vede alla fonte aspettare, dissegli. - Cavallier tu sei fuggito, e sì forte mostravi e tanto ardito!

Di fronte a questa protesta di Orlando, Agri-cane gli spiega la finta fuga e gli offre salva lavita, pur di non avere ulteriori fastidi in camposentimentale e nel settore civile. Atteggiamentodi falsa magnanimità, che il paladino rifiuta conrabbia, tornando a duellare senza ulteriori re-more e avvisando l’infedele che dopo morto fi-nirà tra le anime dannate perchè non è cristia-no; al che Agricane, indispettito risponde:

- Se tu sei cristiano, Orlando sei.Chi me facesse re del Paradiso, con tal ventura non la cangiarei;ma sino or te ricordo e dotti avisoche non me parli de’ fatti de’ Dei, perchè potresti predicare in vano:diffensa il suo ciascun col brando in mano

Come si vede il nemico del paladino non ac-cetta la minima discussione in fatto di religionee preferisce morire pur di non accettare il pun-to di vista cristiano e occidentale. Si tratta diuna presa di posizione che i secoli non hannomutato e tuttora chi arriva in Italia e Padanianon accetta alcuna forma di dialogo rispetto auna Chiesa che sembra invece dimostrarsi al-quanto disponibile e comprensiva nei confrontidi individui pronti a tutto, anche a delinquere.

Il duello tra Orlando e Agricane va avanti an-cora per molte pagine e si conclude con la mor-te dell’ex-infedele, appena dopo il battesimo of-ferto da Orlando con l’acqua di una sorgente,esempio di una fede così convinta e profonda daavere a cuore il destino ultraterreno anche dichi fino all’ultimo si fa promotore della sua“guerra santa”.

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Torme di incursori provenienti dall’Africaavevano flagellato le coste d’Italia in varieondate dall’ottavo al diciottesimo secolo,

procurando alle genti della penisola un metic-ciato di cui oggi sarebbe arduo calcolare le pro-porzioni numeriche. Ma il primo meticcio adapparire clamorosamente sulla scena italiana edeuropea fu un bastardo dei Medici, quel casatodi banchieri, cardinali e papi affaristi che habensì propiziato glisplendori rinasci-mentali di Michelan-gelo, Bramante eRaffaello, ma ha pu-re cagionato all’Ita-lia alcune delle piùmostruose sventurequali il sacco di Ro-ma nel 1527, dovutoalla corruzione, al-l’intrigo e alla spa-ventosa leggerezzadi papa ClementeVII.

Dopo il sacco, Pa-pa Medici non si pe-ritò di chiedere aiu-to militare all’impe-ratore Carlo V, i cuisoldati (lanzi tede-schi e spagnoli) ave-vano per un mesetrasformato Roma inun’immensa cameradi tortura. Occorre-va infatti al Papaaiuto militare perinvestire suo nipoteAlessandro (alcunistorici dicono suo fi-

glio) del titolo di primo Duca di Firenze. Crude-le tiranno, Alessandro de’ Medici era nato dalgrembo di una serva negra.

Sangue africano ebbero altri personaggi comegli scrittori Puskin e Dumas, ma, per giungerea un ruolo consistente non di individui, bensì dimasse africane nelle vicende dell’Europa, biso-gna rifarsi alla seconda metà dell’Ottocento,quando, per supplire al calo demografico, la

Francia introdussenel suo esercito in-teri reggimenti dimercenari algerini.Era l’epoca dei co-siddetti “zuavi”, se-guiti via via da ma-rocchini, senegalesie altri difensori del-la nazione più civiledel mondo.La Francia è stata,come vedremo, ilprincipale veicolodell’invasione che,dapprima lenta econtrollata, ha por-tato all’attuale flus-so selvaggio e senzafreni, salvo quelliteorici sbandieratidai media.Chi frequenta a Mi-lano, il Parco Sem-pione, trova nell’e-lenco dei cadutifrancesi nelle batta-glie di Magenta eSolferino (1859), in-cisi sul basamentodella statua eque-

Schizzi alla brava sull’invasione del nostro continente

da parte dei popoli extraeuropeidi Mario Costa Cardol

L’Africa sta per spezzare le proprie catene. In que-sta vignetta apparsa sul Punch si delineano i pro-dromi di quanto sta ora accadendo: l’invasione del-l’Europa da parte del Terzo mondo

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stre di Napoleone III, nomi come Ahmed-Ben-Youssouf e Mohamed Djelloud, che costituisco-no un buon ventesimo del totale. Fra questi c’èforse un antenato di quel Zidane che nel 1998,nel gioco del pallone, ha assicurato alla Franciaun’altra gloria imperitura.

Il conflitto del 1870-71 contro i Prussiani,provocato dalla Francia che vorrebbe disfarel’unità germanica costituitasi (in forma federa-tiva) nel 1866, registra un impiego ancor piùmassiccio di truppe nordafricane. Tuttavia, la“globalizzazione” non essendo ancora né d’ob-bligo né di moda, i mercenari dell’Africa vengo-no raggruppati in unità a parte. Le comandanoesclusivamente ufficiali bianchi francesi.

Contando all’incirca lo stesso numero di abi-tanti della Germania (38 milioni) la Francia hacreduto di rafforzare il suo esercito con schieredi nordafricani che, sotto il nome di Turcos o diGums, destano raccapriccio in un’Europa e so-prattutto in una Germania non ancora abituatea quello che oggi si chiama il “pluralismo delleetnie”.» È interessante al riguardo il commentodel più autorevole storico militare dell’epoca,Wilhelm Rüstow. Due parole intanto per ricor-dare chi era Rüstow. Ex ufficiale prussiano im-prigionato e poi espulso dalla Prussia perchécomunista, Rüstow si era entusiasmato per Ga-ribaldi e si era aggregato alla spedizione deiMille: alla battaglia decisiva del Volturno (otto-bre 1860), Rüstow fungeva da luogotenente del-l’Eroe dei due Mondi. Si era quindi stabilito inSvizzera e i suoi libri andavano a ruba in tuttaEuropa.

Gli storici, sia di destra che di sinistra, lohanno poi volutamente dimenticato perché sco-modo, cioè imparziale. E Rüstow scriveva nel1871 circa gli ausiliari africani della Grandeur:«Nell’interesse della civiltà europea, i francesipotevano risparmiarci queste prove».

Dopo il 1871, l’Europa conobbe un buon qua-rantennio di pace. Gli ardori bellicosi si sfoga-rono nella conquista di nuove colonie; Inghil-terra e Francia fecero la parte del leone. Nonmancarono ingiustizie e soprusi da parte deibianchi, ma, almeno, i dominatori impedironoai dominati di scannarsi a vicenda, come aveva-no fatto prima della colonizzazione e come ri-presero a fare dopo la decolonizzazione, ossiadal 1960 fino a oggi.

Poche settimane dopo lo scoppio della guerra1914-18, i franco-inglesi si trovarono a mal par-tito, con gli ulani e i fanti germanici a pochichilometri dalla Ville Lumière. Molto eroica-

mente i poilus (fanti francesi) si difendevanosul fiume Marna, ma senza l’immediato rincal-zo di truppe fresche, Parigi e la Francia eranospacciate. Si attendevano col batticuore irinforzi algerini e marocchini, i quali si stavanoimbarcando nei porti nel Nordafrica. Due incro-ciatori tedeschi, il Goeben e il Beslau, tentaro-no invano di intercettare e distruggere i basti-menti salpati da Bona e Philippeville.

La Francia era salva. Quattro anni dopo, nelgiugno 1918, i boriosi comandi francesi visseroaltre giornate d’angoscia, quando l’esercito te-desco, pur stremato dalla fame per il blocco na-vale inglese, stava vibrando l’ultimo colpo di co-da. Ma il 10 giugno, l’avanzata era stroncata daun contrattacco sferrato dalle truppe francesi dicolore agli ordini del generale Mangin.

Anche gli inglesi avevano fatto largo ricorso atruppe di colore, indiane soprattutto. Nell’eufo-ria della vittoria, i governi di Londra e di Pariginon pensarono minimamente alla gravità del

Manifesto propagandistico francese che cele-bra la cosiddetta “intesa cordiale” tra Franciae Inghilterra contro la Germania. 1904

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fatto di aver inoculato in Europa un corpoestraneo. Nell’atmosfera caotica di quel primodopoguerra, si pensava che il miscuglio dellegenti si sarebbe limitato alle follie esotico-mu-sicali delle jazz-band di Londra e del famosoBal Nègre di Parigi, importati peraltro dai quar-tieri negri degli Stati Uniti piuttosto che dai tu-guri dell’Africa.

Poiché la società rifuggiva dall’equiparazionedelle razze, era stata una mossa da irresponsa-bili quella di ricorrere al sangue africano perschiacciare Germania e Austria. Le quali, giànel 1916, erano disposte a negoziare una pacesenza vincitori né vinti. Inghilterra e Franciavolevano invece distruggere l’unità e l’econo-mia della Germania. Delle terribili effusioni disangue dei soldati le classi dirigenti non si cu-ravano, o se ne curavano a parole. Il testardoobiettivo di una vittoria assoluta e dell’umilia-zione della Germania - causa non ultima delconseguente nazismo - rendeva indispensabileil ricorso ai mercenari extraeuropei. Una cam-biale psicologica che l’Europa intera è obbligataadesso a pagare.

Ma negli anni venti e trenta, Francia e In-ghilterra serbavano una mentalità rigidamentecolonialista. Per esempio un vietnamita, laurea-to al Politecnico di Parigi, quando rientravanella sua terra d’origine, doveva accontentasi diun posto subalterno agli ordini di un qualsiasifrancese bianco, magari idiota e incompetente.Da un eccesso all’altro: oggi la discriminazionetende a farsi all’inverso.

Grazie alle clausole giugulatorie e voluta-mente confuse del trattato di Versailles, la Fran-cia nel 1920 mirava ad annettersi, o comunquea staccare dalla Germania, tutto il territorio allasinistra del Reno. Queste mire comportavanoatti di violenza, intimidazioni e anche omicidi.

La Francia occupò il territorio sino al 1930.A quali unità dell’esercito venivano affidate dipreferenza le azioni delittuose? Alle unità for-mate da truppe di colore. «L’impiego di truppedi colore di bassissima cultura - proclamava ilsocialista Ebert, presidente della repubblica te-desca - è un’offesa delle leggi della civiltà euro-pea». Ma lo statista francese Clèmenceau, detto“il Tigre”, ridacchiava in pubblico: «Trovo piùbellezza nel corpo di un senegalese che nel cer-vello di tutti i professori di Colonia e di Berli-no».

È un peccato che gli storici omettano di cita-re tali provocazioni tra le cause dell’ascesa diHitler. Ed è strano che in Francia, dove l’umori-

smo abbonda, nessuno abbia pensato di ribat-tezzare Asino il Tigre.

Nel 1947 l’Inghilterra lasciò l’India, che or-mai le costava più di quanto le rendesse. In undecennio, l’orgogliosa Gran Bretagna, signoradel più vasto impero coloniale della storia, smo-bilitò quasi tutti i suoi possedimenti. Era inbolletta, si era indebitata per vincere la secondaGuerra Mondiale a fianco degli Stati Uniti e del-l’Unione Sovietica, e le spese causate da guerre

e guerricciole per tenere soggetti i popoli colo-nizzati l’avrebbero ridotta in mutande.

In Europa, l’idea base dei progressisti erasempre stata che l’auspicata indipendenza dellecolonie avrebbe dovuto giovarsi in loco delleminoranze colte di studenti - in genere figli direucci o capi tribù - formatisi nelle università diLondra, Parigi o Ginevra.

Furoreggiava negli anni Trenta il libro diLouis Bromfield intitolato La Grande Pioggia.Il protagonista, un giovane medico indiano,usava toni lirici per esprimere la fierezza e lafortuna di aver studiato in Europa per essereutile al suo popolo. L’intreccio narrativo eraemblematico, ma negli anni Sessanta era giàemblematico alla rovescia. Invece di tornare inIndia per curare ed educare i loro fratelli, lastragrande maggioranza dei medici laureatisi inInghilterra aveva preferito impiegarsi negliospedali di Londra, Liverpool, Birmingham.

Passando dalle minoranze colte alla turbe dei

La Germania affronta come una condanna amorte le condizioni di pace imposte dal Tratta-to di Versailles del 1919

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semianalfabeti, risulta che del proprio popolo,della propria terra, a ciascun extraeuropeo nonimporta un fico secco.

Mosca aveva dedicato a Patrice Lumumba lasua università per stranieri. L’ateneo era cosìchiamato dal nome del primo presidente delConsiglio del Congo dopo la conquista dell’indi-pendenza (1960); Lumumba veniva ucciso l’an-no seguente in circostanze oscure. Un amicosovietico, prendendomi bonariamente sotto ilbraccio, mi diceva negli anni Ottanta: «In confi-denza, voi europei siete dei coglioni. Vi lasciateimpressionare dalla nostra propaganda che tuo-na contro le vostre discriminazione razziali. Maa Mosca e all’Università Lumumba, le cose nonvanno come voi immaginate. Da noi, un medicoo un ingegnere, appena laureato, prende l’aereoe se ne torna al suo Paese. Là, sarà un nostrobuon amico politico e formerà una classe diri-gente schierata con l’Urss alle Nazioni Unite, al-l’Unesco, eccetera. Ma se uno studente africano,durante gli anni di studi a Mosca si prende la li-bertà di entrare in un ristorante o un bar conuna ragazza russa, gli si avvicinano subito duetipi vestiti in maniera comune che gli mostranoun tesserino. I nostri sbirri non sono bardaticome i vostri carabinieri con giberne e cimiero.Lo studente negro, lo fanno uscire senza tantespiegazioni, e alla ragazza sussurrano: “Se nonti garba un viaggetto al di là degli Urali, fa labrava”».

In Italia, Maurizio Costanzo esortava le pul-zelle ad accoppiarsi con un negro. E alla “scuoladi partito”, frequentata dal giovane D’Alema eda altri innocentini che allora si chiamavanocomunisti, le regole dell’Università Lumumbanon venivano insegnate.

La Francia, insieme all’Inghilterra, è il Paeseeuropeo che conta il maggior numero di islami-ci e di extracomunitari, anche proporzional-mente al numero degli aborigeni bianchi e cri-stiani. Alla Francia, nel 1955, era andata perdu-ta soltanto l’Indocina, dopo un conflitto cruen-to contro l’armata comunista di Ho Chi Minh eterminato con la sconfitta di Dien Bien Phu(1954), in un pianoro chiuso fra alte montagnedove truppe coloniali, ufficiali francesi e Legio-ne Straniera si erano fatti intrappolare.

Credendosi più furbi degli inglesi, i governi diParigi decretarono che della “repubblica indivi-sibile, laica, democratica e sociale” erano parteintegrante tutte le colonie, dall’Algeria al Mada-gascar, dal Togo al Camerun. Chi ne predicaval’indipendenza poteva, in teoria, finir fucilato

come traditore, al pari della spia Mata Hari nel1917.

L’Algeria contava 8 milioni di musulmanicontro un milione scarso di coloni francesibianchi: nel 1830-40, al momento della conqui-sta francese, i musulmani non arrivavano a duemilioni. Numericamente, adesso, la lotta eraimpari.

La nazionalità francese non ci protegge, dice-vano gli Algerini, dagli abusi e dallo strapoteredei coloni bianchi. E poi, occorreva uno Statoislamico, con leggi e statuti adatti al costumeislamico. I Francesi avevano violato la loro per-sonalità morale. Dovevano sloggiare.

Islamismo e Cristianesimo, fedeltà al Coranoe stile di vita occidentale, non potevano convi-vere. Con circa 60.000 guerriglieri intrepidi espalleggiati dall’intera popolazione musulmana,l’Algeria impegnò la lotta dal 1955 al 1962 e ob-bligò la Francia a mandarle contro tutti i400.000 soldati del suo esercito di leva. LaQuarta Repubblica “indivisibile” dall’Atlanticoall’Oceano Indiano si sfasciò nel 1958; ne ap-profittò De Gaulle, cambiando la costituzionefrancese (Quinta Repubblica) e cercando sulleprime d’intensificare lo sforzo bellico. Nel 1962,si arrese all’evidenza e accordò agli algerini tut-to quanto chiedevano. Capo della ribellione erastato un certo Ben Bella, ex sottoufficiale dell’e-sercito francese che, nel vecchio assetto colo-niale, non sarebbe potuto avanzare nemmeno algrado di tenente.

Ai coloni francesi bianchi fu proposta unagraziosa alternativa condensata nel motto: «Ola valigia, o la bara». Scelsero la valigia.

Ma a questo punto viene il bello. Se ai france-si in Algeria non è più concesso neppure di ge-stire una merceria, perché in Francia spuntanosubito tanti e tanti negozi di frutta e verdura,spacci alimentari, locali e ritrovi gestiti da nor-dafricani? Come si permette quel tipaccio chesino a poco fa sbraitava «Fuori da casa mia!»,d’installarsi adesso in Francia con armi, bagaglie tutta la smalah (famiglia in arabo)? I medianon se lo chiedono. I Francesi neppure.

Ma c’è il boom dell’auto, e la Francia dev’es-sere concorrenziale di fronte alla Germania, cheha chiamato i Turchi nelle sue officine. Le fab-briche Renault, Peugeot e Citroën si riempionodi Algerini, Marocchini e via dicendo: la leggedel mercato. Ma c’è da domandarsi come sianoriusciti i Giapponesi a dominare il mercatomondiale dell’automobile senza sottoporsi adalluvioni di non giapponesi.

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Per ripopolare la Francia in calo demografico,De Gaulle e il suo primo Ministro Debré vararo-no, tra il 1960 e il 1964, una serie di leggi ac-cordanti, alle famiglie numerose, sussidi e asse-gni familiari che ancor oggi figurano tra i piùgenerosi non d’Europa, ma del mondo. I Fran-cesi della madrepatria accolsero queste provvi-denza con un fervore - diciamo - moderato.

Ma tra gli arabi, si scatenarono allegrezza efecondità. Algerini, Marocchini, Tunisini, Sene-galesi e altri residenti dell’impero coloniale siprecipitarono sulla terra di Voltaire e Monte-squieu, dove la prodigalità valeva anche per lefamiglie straniere. Verso il 1980, a un’ora mat-tutina, mi trovano in un bar del ventesimo ar-rondissement (distretto cittadino) di Parigi, or-mai arabo per tre quarti, e nella scherzosa at-mosfera del locale un Marocchino sui qua-rant’anni celiava rivolto a quelli che si affretta-vano al lavoro: «Sì, sì, vai a sgobbare, che ti fabene...». Lui, placido, riposava tutto il giorno.Riscuoteva il sussidio di disoccupato e aveva no-ve figli.

Sino al 1980, nella mia beata innocenza, nonmi sembrava che la Padania stesse per venircolpita dall’onda extracomunitaria. Quanto horaccontato precedentemente mi pareva logicorimanesse circoscritto alle due potenze, Inghil-terra e Francia, che, nel 1914, possedevano cir-ca la metà del pianeta e che avevano affrontatola prima guerra mondiale scagliando tuoni efulmini contro il “germanesimo imperialista”formato da una Ger-mania che in fattodi colonie possedevasolo qualche rima-suglio dell’abbuffataanglo-francese (To-go, Camerun, Tan-ganika) e da un’Au-stria-Ungheria chepossedeva saggia-mente zero colonie,ma che aveva il tor-to di non tollerarel’espansionismo deiSerbi nei Balcani.

Per vincere in no-me della libertà deipopoli, le succitatepotenze si eranoservite di due grossepedine. Una pedinaera l’Impero russo

degli Zar, che in tema di libertà dei popoli van-tava il regime più reazionario e oppressivo delmondo. L’altra pedina, come abbiamo visto, eracostituita dalle truppe coloniali.

Se li son voluti, adesso se li godano, dicevotra me ogniqualvolta, a Parigi e a Londra, vede-vo frotte di negri e di indiani sdraiati sulle pan-chine dei parchi. E sogghignai quando, in HydePark, un ex sottufficiale della marina britannicami raccontò la sua disavventura. Si era licenzia-to dalla marina dopo quindici anni di serviziovolontario: volontario perché il governo di Lon-dra, poco dopo la fine della seconda guerramondiale, aveva soppresso la ferma obbligato-ria. Con i soldi della liquidazione, e col peculiodi una divorziata che lui aveva sposato appenafinito di navigare, aveva comprato una graziosavilletta nell’estrema periferia, ai margini dei bo-schi. Lavorava come capo reparto nei grandimagazzini Macy’s. Era felice.

«In pochi anni, la zona si è trasformata in unaccampamento indù. D’estate, gli indiani cena-no all’aperto fino all’una di notte. L’aria dei bo-schi è impregnata di curry e di altre spezie. Ilbaccano è infernale. Finirò col vendere, ma lequotazioni immobiliari della zona sono crollatedopo gli insediamenti dall’India». «Ma gli india-ni sono indipendenti, hanno persino la bombaatomica. Perché si riversano tutti qua?» interlo-quì mia moglie con ingenuità simulata. «Fran-camente non capisco. Dovrebbero esserci dellequote di immigrazione, ma tutto è poco chia-

Musulmani in preghiera: un’immagine di quello che potrebbe accadere diqui a poco in tutte le nostre città

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ro...» mormorò desolato l’ex nocchiero dellaRoyal Navy. Nella marina britannica si cantava“Britannia rule the wave”, la Gran Bretagna do-mina i mari, ma adesso gli Inglesi non sembra-vano più padroni nemmeno della terraferma.«We left the colonies, but the colonies followedus...». «Abbiam lasciato le colonie, ma le colo-nie ci son venute dietro», fu la rassegnata chiu-sa del discorso. Si era nel 1976.

Tornato in Padania, mi rallegrai pensando cheamarezze simili a quella dell’ex nocchiero in-glese non erano ipotizzabili. Pochi anni dopo,notai però sulle spiagge liguri degli inconsuetiassembramenti di gruppi neri di venditori dicianfrusaglie. Sui giornali si leggeva occasional-mente di “extracomunitari”, termine che filolo-gicamente poteva attribuirsi agli Svizzeri o agliAustriaci, non ancora facenti parte della Comu-nità Europea. Dovetti presto rendermi contoche l’extracomunitario non veniva dal Nord, eche la parola era un subdolo inganno linguisti-co, quasi che la Comunità Europea fosse statacreata apposta per fornire, grazie al prefisso“extra”, un comodo eufemismo atto a designaregli appartenenti a clan e tribù africane. D’al-tronde, quando mi occorse di esaminare un do-cumento delle autorità di polizia parigine, miavvidi che già da un ventennio la burocraziafrancese adoperava stampati con la richiesta aogni straniero, marocchino o svedese, algerinoo austriaco, senegalese o italiano, di specificarela “tribù di appartenenza”.

Intanto anche i Tedeschi venivano assaporan-do le delizie della società multirazziale. Oggi,con tre milioni di Turchi fra il Reno e l’Oder, lemamme tedesche non possono più mandare iloro bimbi all’asilo. La risposta è ovunque lamedesima: «In questo istituto i posti sono giàriservati. L’asilo è per i piccoli turchi. I vostri fi-gli hanno invece la possibilità di imparare il te-desco dai genitori».

Quale fatalità, quale “destino imprescindibile”della storia ha portato l’Europa a rinnegare per-sin la logica e il diritto naturale? Sentite que-st’ultima.

A Parigi, nel giugno 1990, su Figaro, leggevoogni mattina, in prima pagina ma senza gran ri-salto, i resoconti del processo a monsignor Lé-febvre, quel prelato tradizionalista che volevaconservare la messa in latino. Ma non si tratta-va né di messa né di latino. Il procedimento pe-nale si riferiva a un’allocuzione del prelato circabande di marocchini che sequestravano giovanidonne francesi destinate ai bordelli di Rabat e di

Casablanca. Il sultano del Marocco, sapendo cheera vero, non si prese la briga di protestare. Mail prelato non aveva fatto i conti con la magi-stratura francese. Questa si mosse da sola, fre-mente di sdegno. Si stava dunque processandomonsignor Léfebvre per “incitamento al razzi-smo”. Premesso che in Francia si applica lacondizionale anche fino ai cinque anni, la con-danna fu severa: cinque anni di carcere con lacondizionale.

Sui giornali, eccettuato il Figaro, neancheuna riga. Il prestigioso Le Monde, additato dagliintellettualoidi italioti come massimo esempiodi libertà e completezza d’informazione, nontrovò nessun cronista giudiziario da mandare intribunale.

Quanto ai Marocchini, è ovvio che non tutti sidedicano al lenocinio. Pare che nel Meridionemolte aziende agricole non potrebbero soprav-vivere senza il lavoro nero degli immigrati.

Però certi agricoltori del Piemonte hanno fat-to esperienze sconcertanti. Un anno che manca-va la manodopera per la raccolta delle pesche, sirivolsero a gruppi di marocchini che tutti igiorni passeggiavano riposati e pasciuti graziealle sollecitudini del nostro clero. «Gli alberistracarichi rischiano di subire danni irreparabi-li», implorarono. La replica dei fedeli di Allah fusprezzante: «Gli alberi li avete piantati voi. Nonè affar nostro».

Sette anni fa andai a visitare miei parenti inBelgio e trovai la Grande Place di Bruxelles irri-conoscibile. Lungo il perimetro delle facciatedei palazzi, gioielli dell’architettura fiamminga,stavano accosciati l’uno accanto all’altro uncentinaio di africani. Era in pieno giorno, e digiorno nelle fabbriche si lavora. Che fosserotutti operai dei turni di notte? Fui avvertito dinon fare commenti né sarcasmi ad alta voce,perché rischiavo noie con la polizia e la magi-stratura.

L’Europa è ancora in democrazia? C’è da du-bitarne, perché l’intolleranza degli esaltati, deiconformisti e degli stupidi ha fatto passi da gi-gante.

Nel 1993 uscì l’ultimo dei miei libri dedicatial Risorgimento. In un parallelo tra il passato eil presente, osservavo: «Culturalmente e spiri-tualmente, l’Europa oggi si sta suicidando». Ilcritico di un cosiddetto autorevole quotidianomilanese mi fece discretamente sapere che eraimpossibile recensire un libro contenente valu-tazioni del genere. Pazienza. Sempre meglioche cinque anni di galera.

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Da Siviglia a Stoccolma, passando da Colo-nia, Parigi, Bradford o Roubaix, nelle “peri-ferie dell’Islam”, dove le leggi e i costumi

dei paesi ospiti cedono via via il passo alla leggeislamica, si incontrano reti islamiche anti-occi-dentali che si organizzano ora nella clandesti-nità, ora con la connivenza dei pubblici poteri,il che fornisce le basi per parlare di una “isla-mizzazione volontaria dell’Europa”.

A Bruxelles, nei quartieri Scharbeek o Saint-Josse, la polizia non si azzarda più a metter pie-de e gli Islamici, che controllano i settori in cuihanno suddiviso la zona, proibiscono il consu-mo di bevande alcoliche. Nelle città-ghettofrancesi di Seine-Saint-Denis, Lille-Roubaix-Tourquoing o nei quartieri nord di Marsiglia,gli Islamici bloccano per strada le ragazze inminigonna e i bevitori d’alcol, mentre la carnedi maiale scompare poco a poco dal menù dellemense scolastiche così come da quello di alcunelinee aeree coperte dalla British Airways o dallaAir France. Nelle periferie musulmane, Imamstranieri celebrano matrimoni illegali secondola legge islamica (charia). La giustizia vieneamministrata da giudici musulmani (cadis). Iloro verdetti, basati sulla charia, vengono appli-cati immediatamente e sono molto più efficacidelle leggi statali. Tutti questi esempi mostranocome le “periferie” o le zone dette di “non dirit-to” si tramutino progressivamente in luoghi“d’immunità territoriale” dove la legge islamicasi sostituisce alle norme e ai costumi dei paesiospiti. Secondo gli integralisti, l’islamizzazionedell’Europe inizia da qui.

Tolleranza e immunità territorialeIn Francia, l’80% dei sacrifici rituali effettuati

in occasione della festa dell’Aïd al-Kébirr e nelresto dell’anno violano le norme nazionali edeuropee (Decreto Legge del primo ottobre1997), che vietano qualsiasi sgozzamento ritualeal di fuori di un mattatoio legale. In ogni festadell’Aïd i capifamiglia musulmani sgozzano cosìpiù di 120.000 animali in condizioni spesso orri-bili, a volte nella vasca da bagno delle case popo-lari. Accenniamo inoltre al fatto che molti gio-

vani francesi purosangue conoscono meno benela Quaresima o l’Ascensione dell’Aïd al-Kébir odel Ramadan, diffusamente annunciati dai me-dia nazionali, specie con le “notti del ramadan”.

Per quanto riguarda il mercato legato ai sa-crifici rituali, la Francia è diventata uno deiprincipali esportatori di carne hallal nel mondoislamico. Nel 1997 alle dogane francesi è statoregistrato il passaggio di una quantità di carnihallal pari a 125.614 tonnellate, dirette verso laTurchia, l’Arabia Saudita, lo Yemen, il Qatar,l’Egitto e l’Iran. Infatti tale commercio, valuta-to in circa 2400 miliardi di lire all’anno, vienecontrollato, a eccezione delle Moschee di Parigie di Lione, da organizzazioni islamiche radicalicome l’Unione delle Organizzazioni Islamichedi Francia (UOIF), o Al Vostro Servizio (AVS),

L’Islamismo contro l’Europadi Alexandre Del Valle

Negro americano abbraccia la Venere di Milo.Disegno di Gino Boccasile

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vera e propria organizzazione malavitosa uffi-ciale della moschea integralista di Evry. Secon-do gli esperti, gli introiti derivanti dal mercatohallal, che fanno guadagnare a chi celebra il sa-crificio fra le 60 e le 450 lire di commissioneper chilo, servirebbero a finanziare delle asso-ciazioni islamiche o addirittura dei gruppi ar-mati algerini. Quando non sono direttamentecontrollate dagli Islamici, le macellerie islami-che versano una “imposta” alle diverse reti inte-graliste algerine.

Le prigioni sono anch’esse “zone d’islamizza-zione privilegiata”. Alcuni gruppi di terroristi,come la rete “Kinaï-Saïki”, smantellata il 26marzo 1998, sono composti principalmente daindividui reclutati in prigione. Del tutto impo-tenti, le autorità penitenziarie non dispongonodi mezzi per isolare gli Islamici in una prigionespeciale dove la loro opera di proselitismo possaessere arrestata e neutralizzata. Il risultato èche il numero dei Francesi purosangue conver-titi cresce in modo impressionante. Nella pri-gione di Nantes, su 74 detenuti che osservano ilramadan, 27 (un terzo) sono dei “convertiti”. E’così che il terrorista francese David Vallat,membro della rete “Chasse-sur-Rhône”, è statoconvertito in prigione da alcuni islamici arre-stati in seguito agli attentati del 1995. Una voltaliberati, tali convertiti vengono protetti dai loroconnazionali, mentre per quanto riguarda i loroeducatori stranieri, gli esperti del Consiglio diStato respingono le richieste d’espulsione for-mulate dal Ministero degli Interni, persinoquando il motivo è l’appello alla Guerra Santa(Jihad). La ragione di questa nuova decisione èche essi sarebbero gravemente in pericolo nelloro paese d’origine, che riserva un trattamentopessimo agli integralisti islamici…

Con l’arrêt(1) del 27 novembre 1989, con cuisi stabiliva che “gli studenti che portano inse-gne religiose non commettono un atto incom-patibile con la laicità”, permettendo quindi diindossare il velo nelle scuole (cosa proibita inTurchia o in Tunisia), il Consiglio di Stato avevagià preso le difese delle rivendicazioni islami-che. Da allora, le associazioni mussulmane han-no moltiplicato i ricorsi. Dal 1992 le giurisdi-zioni amministrative hanno annullato numero-si provvedimenti di espulsione presi controalunni che continuavano a indossare il velo;l’arrêt più famosa è stata quella del tribunaleamministrativo di Nancy del settembre 1995,con la quale si condannava lo Stato a versare ri-parazioni per una cifra pari a circa 15 milioni di

lire al padre di Salwa Aït Hamad, una studentes-sa espulsa da una scuola media di Vandoeuvre.Con l’arrêt del 9 ottobre 1996, il Consiglio diStato darà ragione a sei altri studenti musulma-ni espulsi da un liceo di Strasburgo.

Le strategie dell’islamizzazione“Per una minoranza musulmana, il successo

consiste nel diventare un giorno una maggio-ranza. Questo fenomeno avviene attraversol’assimilazione reciproca fra la maggioranzanon islamica e la minoranza islamica; la mag-gioranza accetta poco a poco la morale e la re-ligione islamiche e finisce per identificarsi conl’Islam”, scrive Ali Kettani in un bollettino(2)pubblicato in Arabia Saudita.

23 nel 1974, 551 nel 1984, 1400 nel 1998:l’aumento del numero di moschee in Francia èuna manifestazione dell’islamizzazione dellenostre società. Quest’ultima è infatti il risultatodi una vera e propria strategia messa a puntodagli Stati e dalle organizzazioni islamiche.Ispirate dagli ordini dell’Arabia Saudita, le ri-vendicazioni delle organizzazioni islamichefrancesi ed europee sono le seguenti:1) Il diritto di creare delle libere scuole islami-che private, o, in mancanza, dei corsi d’istruzio-ne islamica, alcuni dei quali riservati alle fem-mine; la separazione dei sessi, la possibilità dinon adottare testi che offendano l’Islam; il dirit-to di indossare il velo.2) Il riconoscimento delle regole islamiche perquanto riguarda lo stato civile: matrimonio mu-sulmano, ripudio, poligamia, eredità (iniqua perle donne), cimiteri o colombai musulmani sepa-rati.3) Dei punti bonus nelle graduatorie dei con-corsi per posti di lavoro nell’amministrazionepubblica al fine di favorire l’assunzione dei Mu-sulmani.4) Il riconoscimento dell’Islam come secondareligione in Francia.5) La creazione di un partito politico islamico ola candidatura di persone che difendano gli in-teressi della comunità mussulmana.

(1) L’arrêt è una decisione del Consiglio di Stato francese cheindica genericamente ogni atto giurisdizionale civile e am-ministrativo (N.d.T.)(2) L’Islam oggi, un opuscolo pubblicato dall’Ufficio Organiz-zativo della Lega Islamica Mondiale (BOLIM), collegato alMinistero saudita che si occupa dell’organizzazione dei cultie della propaganda islamica nel mondo. Jeddith, Arabia Sau-dita, N°1, 1983.

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Che si tratti dell’affare Rushdie o dell’affareTaslima Nasreen, gli scandali resi noti dai me-dia e innescati periodicamente dalle organizza-zioni islamiche fanno parte di una strategia nel-la quale si organizzano finte prove di forza perottenere concessioni. Consideriamo il casodell’”affare Schiffer”. All’inizio del gennaio1994, in occasione della presentazione della col-lezione Chanel, Claudia Schiffer era apparsa inpasserella indossando abiti decorati con caratte-ri arabi raffiguranti dei frammenti del Corano.Subito le organizzazioni degli Stati islamici siindignarono e la consi-derarono una bestem-mia, lanciando poi unappello affinché venisse-ro boicottati i prodottiChanel. La Moschea diParigi si mobilitò e pre-tese un risarcimento,che venne accordato im-mediatamente dall’am-ministratore delegato,Claude Eliette. Que-st’ultimo pregò DalilBoubakeur, rettore dellaMoschea di Parigi, di“presentare le sue piùsentite scuse a tutta lacomunità musulmana”e si impegnò a elimina-re le scritte in questio-ne. Dalil Boubaker ag-giunse che “solo Dioperdona gli errori uma-ni”. In occasione dell’in-vito di Salman Rushdiealla trasmissione televi-siva “Bouillon de Cultu-re”, lamentandosi della“Francia di Voltaire eRousseau”, l’11 settem-bre 1994 il rettore inviòal quotidiano Le Mondeuna lettera con la qualeintimava a Bernard Pi-vot di eliminare dal pa-linsesto la trasmissione,giudicata “provocatrice”nel periodo del Rama-dan. Al di qua delle Alpi,la potente Unione delleComunità e delle Orga-nizzazioni Islamiche

d’Italia ha fatto del divieto di lettura della Divi-na Commedia nelle scuole e nelle universitàuno dei suoi principali cavalli di battaglia. Alcu-ni hanno addirittura minacciato le autorità ita-liane di riesumare Dante dalla tomba… Gli Isla-mici lanciano così degli appelli affinché venga-no boicottati i corsi di ginnastica o di biologia,e le opere di Voltaire e del “blasfemo” Dante,colpevole di aver relegato Maometto nel settimogirone dell’Inferno.

Citando un hadith di Maometto, nel quale ilprofeta afferma che le città cristiane convertite

Parte di un dipinto del XVII secolo, raffigurante l’assedio di Vienna.Museo dell’Arsenale di Vienna

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per prime all’Islam sarebbero state “dapprimaCostantinopoli, poi Roma”, il rappresentante inEuropa del Fronte Nazionale Islamico, OmarBakri, capo dell’Hizb-ut-Tahrir (“partito dellaLiberazione Islamica”), ha dichiarato sul quoti-diano La Repubblica del 14 settembre 1998:“Costantinopoli è stata islamizzata; nessun Isla-mico mette in dubbio che l’Italia lo sarà a suavolta e che la bandiera dell’Islam sventolerà suRoma”. Altri hanno invece optato per la Fran-cia: “Fra 20 anni, è sicuro, la Francia sarà unaRepubblica islamica”, dichiarò nel 1987, a Bei-rut, Hussein Moussawl, ex guida spirituale del-l’Hezbollah. Tali dichiarazioni possono sembra-re assurde, ma gli Islamici dispongono di mezziconsiderevoli e del sostegno di potenze esterneper condurre la loro battaglia. Ma soprattuttovedono chiaramente che negli stessi Stati euro-pei, indeboliti dai bassi tassi di natalità, si stan-no verificando due elementi che consideranocome i loro migliori alleati: la perdita dei valoripatriottici e spirituali e un’immigrazione isla-mica paragonabile a una colonizzazione di po-polamento. Infatti, in nome dei Diritti dell’Uo-mo e di una concezione particolare della “tolle-ranza”, i nostri governanti accolgono migliaiadi “rifugiati politici” islamici; si tratta talvoltadi terroristi, in generale di ricercati dalle auto-rità giudiziarie del loro paese. È così che dallaFrancia viene finanziato il GIA; che, allo stessomodo dei terroristi albanesi dell’OCK, gli Isla-mici turchi, a capo dei 17 più grandi Comunidella Turchia, finanziano dalla Germania le lorocampagne; che gli Islamici egiziani, tunisini al-gerini, libici, iracheni e persino siriani si espri-mono e si organizzano dall’Inghilterra e daipaesi nordici…

Ma bisogna anche insistere sulla minacciageopolitica più grande, costituita dai movimen-ti islamici transnazionali composti da “conver-titi”, come i Fratelli Musulmani in Svizzera,l’UOIF in Francia, o ancora l’ultra radicale Co-munità Islamica in Spagna (Al-Morabitoum),con sede a Siviglia. Al-Morabitoum venne crea-ta dai terzomondisti anglo-scozzesi emigrati inAndalusia e passati all’islamismo negli anni ‘70.Da allora i loro figli, accompagnati da convertitispagnoli, si muovono per l’Europa, da Londra aBarcellona, passando per Stoccolma, Milano eGenova, dove con conferenze pubbliche invita-no i giovani europei a compiere dei “pellegri-naggi di conversione in Andalusia” per trovare“l’Età dell’Oro della civiltà islamica europea”.

Infine, il fenomeno che preoccupa maggior-

mente gli esperti di terrorismo è quello dei con-vertiti “islamico-delinquenti” delle periferie, co-me Christophe Caze o Lionel Dumont, autori dirapine con spargimenti di sangue, convertiti da-gli Imam delle periferie e passati dalla Bosnia odal Pakistan per andare ad addestrarsi in vistadella Guerra Santa (Jihad). Anche un altro gio-vane convertito, Fabrice Delmont, provenienteda ambienti socialmente sfavoriti, faceva partedel commando islamico smantellato il 22 mag-gio 1997 a Londra. Infine, sono state recente-mente scoperte reti gestite da Beurs francesi(3)in Albania, Bosnia e Kosovo; esse fanno capo al

francese Claude Kader, legato a Oussama BinLaden, incaricato di organizzare dei commandoanti-serbi in Albania.

Secondo alcune stime, attualmente gli euro-pei convertiti all’Islam sono circa 60.000 in

Miniatura di un codice del 1630 che raffigurala decapitazione dell’ambasciatore di Ragusada parte dei Turchi (Venezia, Biblioteca Mar-ciana)

(3) Vengono chiamati con questo nome gli Islamici di originemagrebina nati in Francia da genitori immigrati.

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Francia, 30.000 in Gran Bretagna, da 10 a20.000 in Italia, 5.000 in Spagna e 3.000 in Bel-gio.

L’islamizzazione negli altri Stati europeiIn Svizzera, una decisione federale autorizza

le ragazze islamiche a indossare il velo nelle fo-tografie dei passaporti, il che era fino a pocotempo fa formalmente vietato. In Italia, gli Isla-mici hanno accolto con entusiasmo la recentelegge che permette di portare lo chador nellefotografie dei documenti d’identità, nei luoghipubblici e nelle scuole. Roma, la capitale delCattolicesimo, ospita dal 1995 la più grandeMoschea d’Europa, finanziata per il 75% dall’A-rabia Saudita, che intende farne “un polo da cuisi irradierà la luce tollerante dell’Islam”… InInghilterra, i principali capi islamici del mondo,fra cui il tunisino Rachid Ghannouchi, possonoesprimere il loro odio anti-occidentale in tuttalibertà, organizzare manifestazioni in favore delGIA o lanciare minacce di morte contro laFrancia. A Nottingham o a Bradford, la chariafa concorrenza alla legge inglese. Alla grandeMoschea di Finsbury Park vengono organizzatie annunciati pubblicamente dei corsi di adde-stramento per la Guerra Santa (Jihad). KalimSaddiqui, direttore dell’Istituto Mussulmano efigura di spicco dell’islamismo inglese a favoredella pena di morte per Rushdie, ha dato vitanel 1992 a un “Partito islamico inglese” e a un“Parlamento Musulmano” per incitare alla “di-sobbedienza islamica e per rivendicare un terri-torio separato per i Musulmani dove applicarela charia”. Il Direttore Generale della grandeMoschea di Londra ha avvisato le autorità bri-tanniche che i Musulmani inglesi avrebberosmesso di obbedire alle leggi se Londra avessecontinuato a “offendere i valori panislamici”.L’Imam di Bradford da parte sua insiste sul fat-to che il dovere di ogni mussulmano inglese èquello di “sostituire progressivamente i valoridello Stato laico con quelli dell’Islam”…

In Belgio, una legge del 1974, che mette ilculto mussulmano sullo stesso piano delle altrereligioni, prevede che la costruzione di mo-schee e la retribuzione degli addetti al cultovengano finanziati dallo Stato. La legge del1978 permette l’insegnamento dell’Islam neglienti pubblici. In Danimarca, dove le leggi ri-guardanti l’insegnamento della religione sonole più liberali d’Europa, sono state aperte seiscuole islamiche da organizzazioni legate aiWahhabites.

Nei Paesi Bassi, un decreto del 30 maggio1986 della Corte suprema di Stato mette gliImam sullo stesso piano legale dei preti e deirabbini, il che permette loro di ricoprire dellefunzioni nell’esercito, negli ospedali e nelle pri-gioni. La Costituzione permette alle comunitàreligiose di fondare le proprie scuole private,sovvenzionate dal governo; ciò ha dato luogo al-la creazione di una ventina di scuole islamiche.Vengono anche tenute lezioni secondo il siste-ma d’istruzione islamica all’interno delle scuolepubbliche. Si è fatto di meglio: nel 1987 il Par-lamento ha deciso, in virtù del diritto alla paritàdi trattamento fra i cristiani e le altre confessio-ni religiose, che la legge non avrebbe fatto di-stinzione fra il richiamo alla preghiera lanciatodalle moschee e le campane delle chiese… Allostesso modo, nel 1989 il Ministro degli Interni aricordato che la bestemmia, considerata un rea-to penale nei Paesi Bassi, deve essere persegui-bile anche nel caso della religione islamica. Inaltre parole, Salman Rushdie è condannabile,qui in Europa…

Islam e intolleranzaL’espansionismo e l’intolleranza dell’Islam

classico, per riprendere l’espressione coniata daBernard Lowis, il più grande esperto dell’Islamnel mondo, osteggiato dagli Islamici per la suaappartenenza alla religione ebraica, sono ri-scontrabili ovunque. In Indonesia, lo scorso 22novembre, sei cristiani sono stati linciati in unquartiere commerciale di Giacarta e una decinadi chiese sono state date alle fiamme da alcunebande di giovani musulmani. Nel Timor orien-tale (700.000 abitanti), inglobato dall’Indonesia,che coi suoi 190 milioni di abitanti risulta esse-re il più grande paese islamico, scene di questotipo sono all’ordine del giorno. Qualche setti-mana fa l’esercito indonesiano ha fatto uccidere80 cristiani indipendentisti del Timor. Dal 1945sono state circa 440 le chiese cristiane distruttedai musulmani. Fra il 1995 e il 1998, 132 chiesesono state attaccate e 38 sono state rase al suo-lo. In Sudan, da più di dieci anni gli Arabi mu-sulmani del nord stanno letteralmente massa-crando i neri cristiani e animisti del sud: un ve-ro e proprio genocidio, il cui bilancio è di 2 mi-lioni di morti fra i civili.

Ma le persecuzioni contro i Cristiani non so-no solo di natura fisica. Talvolta possono essereanche di natura finanziaria. Nel 1989, per esem-pio, il vescovo di Khartoum venne arrestato conla motivazione che la Chiesa doveva l’equivalen-

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te di 54 milioni di lire a un commerciante mu-sulmano. La Chiesa venne così condannata aversare un’ammenda di 1 miliardo e 200 milio-ni di lire.

I paesi in cui si può sgozzare un Cristiano ri-schiando al massimo di essere condannati adabbattere una delle proprie pecore sono all’in-circa i seguenti: Afganistan, Arabia Saudita,Egitto (dove gruppi islamici si spostano fino aldeserto del Nilo per sfregiare col vetriolo i mo-naci copti), Etiopia, Giava e Mindanao (doveCristiani e Musulmani sono in eterno conflitto),Pakistan, Sudan, Ciad, Malesia (appoggia dall’e-sterno agli islamici anti-serbi bosniaci e albane-si), Iran (dove i preti e i missionari protestantivengono regolarmente assassinati) e Algeria(dove i Cristiani costituiscono il capro espiato-rio per eccellenza che permette agli Islamici disfogare l’odio verso i Russi in Afganistan, accu-mulato quando la CIA li addestrava e li finanzia-va; il bilancio è di circa 200 occidentali di cui10 Italiani sgozzati e assassinati dal 1985).

I benpensanti ribattono a queste contestazio-ni allarmiste adducendo l’esempio di “tolleran-za” fornito da Turchia, Marocco e Tunisia, dovei Musulmani sarebbero “tolleranti”, pro-occi-dentali e rispettosi delle minoranze ebree e cri-stiane. Facciamo un po’ di chiarezza: la leggemarocchina rifiuta di riconoscere la cittadinan-za a ogni autoctono convertito al cristianesimo;la Turchia, stato in teoria laico che alcuni vo-gliono far entrare nell’Unione europea mentreminaccia ufficialmente l’Italia e Bruxelles dicompiere rappresaglie e mentre brucia bandiereitaliane per via dell’affare curdo, continua a ri-fiutare di riconoscere la propria responsabilitànel genocidio degli Armeni e nell’espulsione,avvenuta negli anni venti, di due milioni di gre-ci dalla Tracia e dall’Anatolia, una vera e propriaopera di pulizia etnica. Questi paesi tanto “ami-ci” dell’Occidente non sono dunque neppure lo-ro estranei alla legge che considera il Cristianoun essere inferiore, vile, un semi pagano chenon sarà mai sullo stesso piano dei Musulmani,i “veri credenti”. Un’altra “amica dell’Occiden-te” e fondatrice, insieme al Marocco, dell’Orga-nizzazione della Conferenza Islamica (OCI), ilcui capo in Francia si chiama M. Leclerc…Youssouf (ancora un convertito) è l’Arabia Sau-dita. Essa finanzia le moschee sparse per l’Eu-ropa in nome della “tolleranza islamica”, sulsuo territorio bandisce la più piccola croce evieta perfino che si pronunci il nome di Cristo.Alla luce di questi fatti incontestabili e verifica-

bili, appare particolarmente scandaloso vederepreti, come Padre Michel Lelong in Francia (exresponsabile dei rapporti con l’Islam per laChiesa di Francia) o Monsignor Ruppi in Italia(che osò trattare come “razzisti” ed “eretici” icristiani tradizionalisti vicini alla Lega Nordcolpevoli di aver organizzato di recente unamessa espiatoria di riparazione contro l’”inva-sione islamica” in Italia) prendere posizione infavore di una nuova crociata, osare affermareche “la Charia è una sistema giusto” e compor-tarsi ovunque come gli apostoli del “dialogo cri-stiano-islamico” e della “tolleranza dell’Islam”.In realtà, questo “dialogo cristiano-islamico”non ha mai avuto basi sane. Cristiani animatida buoni propositi e pronti a rinnegare la lorofede per ricevere la comunione nella grandemessa ecumenica, sono sempre stati abbindola-ti dai proseliti musulmani, che approfittano del-l’occasione per dire ai loro interlocutori: con-vertitevi all’Islam, la vergine Maria e Gesù sonopresenti anche nel Corano…. Questo ha fatto inmodo indiretto Mohamed Nour Dachan in pre-senza di Marco Formentini nel dicembre ‘98 inoccasione di un convegno sull’Islam e accantoal famoso italiano convertito Rosario Pasquini.

I Musulmani hanno ragione, non hanno maisaputo cosa siano il pentimento e il senso dicolpa. Ma sanno perfettamente colpevolizzare iCristiani e l’Occidente in generale. Se infattil’Europa fa il mea culpa per la colonizzazione,l’Islam da parte sua non ha mai mostrato alcunsegno di pentimento per le sue imprese colonia-li e imperialiste, sia che si trattasse della Spa-gna, della Sicilia, del Magreb o del VicinoOriente, per non parlare dell’Africa nera, l’ulti-ma frontiera dell’islamizzazione massiccia eviolenta (Sudan, Eritrea). Sono state emanatedelle fatwa contro Salman Rushdie, accusatocosì di apostasia e quindi passibile della pena dimorte. Alcuni Musulmani hanno più o meno di-rettamente condannato gli appelli alle uccisio-ni. Ma si è visto un solo Imam del mondo ara-bo-musulmano, o addirittura in Occidente,emanare un’altra fatwa contro i potenziali as-sassini di Rushdie o contro i membri del GIAche nel 1986 hanno ferocemente sgozzato settemonaci trappisti francesi? Si sono mai sentitedelle autorità religiose musulmane deplorare ilfatto che la maggior parte dei paesi islamici sisono anch’essi macchiati d’omicidio, con leguerre lo sterminio o la sottomissione degli in-fedeli, nella tradizione della Guerra Santa(Jihad)? Mai.

Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999 Quaderni Padani - 95

“…L’alba era già nelle cose, riusciva a scorge-re lontano dove il gruppo di alberi nasconde-va la vista del ponte sulla superstrada, alcu-

ne figure si stagliavano nette contro il cielo, disecondo in secondo, sempre più chiaro. Il cuorele batteva forte ma Suor Maria cercava di tener-lo sotto controllo, un respiro, pausa, un respiro,calma, calma, non è per me ma queste creaturedi Dio… Dove? Quando abbiamo sbagliato? Ah!pensieri inutili, meglio avere la testa sgombra,l’occhio vigile. Non voglio che sia questo l’ulti-mo dei giorni. La radio gracchia improvvisa, pa-role, parole dure. Nel chiostro una vocina pian-ge cerca conforto, calma, calma, le dita si strin-gono sul calcio, le nocche bianche ma non èpaura… Dove? Quando abbiamo sbagliato? Ilproiettile in canna il caricatore ricurvo e bensaldo, arriveranno. Prima o poi arriveranno. Vi-boldone…Viboldone, povera Abbazia, poveragente!...”

Melodramma? Cattiva letteratura? Fantascien-za? O cronaca di un futuro prossimo venturo?Chissà!

Siamo alle soglie di nuovo scontro frontale traOccidente cristiano e Islam? La storia di mille epiù anni di conflitti sta per scrivere nuove pagi-ne, questa volta più subdole, più pericolose? L’I-slam è così incompatibile con l’Europa, con lasua storia, con la sua cultura?

L’Islam, la religione nata dalle visioni mistichedi Maometto il prediletto, in diretto contatto conDio. Maometto il Profeta che, analfabeta, ha rice-vuto giorno dopo giorno le parole del Corano, ilLibro scritto da Allah, nella Sura VII: “Non c’èche Allah, il sovrano del cielo e della terra, cheda la vita e la morte. Abbracciate l’islamismo;seguite il profeta analfabeta, che crede in Allah ecamminerete nella via della salvezza” e ancoranella Sura LXII: “È Lui che suscitò, tra un popo-lo di illetterati, un apostolo scelto tra loro perspiegargli la fede, purificarlo ed insegnarli ladottrina del libro della sapienza”.

L’Islam, nato quattordici secoli fa, cullato dallesabbie roventi nella terra di Hegiaz, l’occidentedella penisola arabica, la terra dei beduini da cuiveniva lo stesso Profeta, sviluppatosi dapprima traMecca e Medina, si è allargato a macchia d’olio intutto il mondo arabo, dal Marocco alla Persia diZoroastro, dall’Africa nera al mar della Cina. L’I-slam, aggressivo, religiosamente intollerante, si èdiffuso a macchia di leopardo dovunque ma aiconfini d’Occidente per tanti secoli è stato ferma-to, sconfitto dalla forza delle armi (il nostro mon-do non sarà mai abbastanza grato a Venezia, allasua Repubblica, baluardo e difesa della cristianitàe del diritto alla libertà dei commerci) e dalla for-za delle idee nate in questo continente, votato al-l’arte, alla scienza; patria della libertà e delle de-mocrazie che a prezzo di sacrifici, a volte enormi,ha saputo tenere a bada un mondo che per noipiù alieno non potrebbe essere.

Ma la guerra che sembrava vinta per sempre -mai dormire sugli allori - sta per scoppiare dinuovo e questa volta non ai nostri confini maben dentro la nostra terra. Una nuova battagliache ha come potente alleato del nemico non ilmondo musulmano ma noi stessi, pigri, stupidi,grassi, arricchiti mercanti del benessere che inun’orgia di autodistruzione stiamo accogliendoin casa milioni di individui che non solo non siriconoscono nella nostra civiltà ma la disprezza-no per fede e hanno il compito di annientarla.

Pazientemente l’Islam ha aspettato che fosseproprio la corrotta e imbelle Chiesa cattolica adare l’imprimatur all’errore che il mondo Occi-dentale commette da sempre. Alcuni contenutidella nostra civiltà ci forzano ad attribuire aglialtri le nostre stesse reazioni.- Quando veniamoin contatto con altre culture pensiamo che chiabbiamo di fronte pensi e si comporti secondocodici e valori eguali ai nostri. Per esempio,umanizziamo i comportamenti degli animali.Pensiamo che il sorridere degli asiatici equivalgaal nostro essere felici o divertiti, non ci sfiora

Europa-IslamLe ragioni dell’incompatibilità per la difesa

della cultura dell’occidentedi Roberto de Anna

96 - Quaderni Padani Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999

neppure il dubbio che per loro è un modo di ma-nifestare imbarazzo e conseguente animositàverso che li costringe a questo sentimento. Cre-diamo che le parole aiuto, assistenza, solidarietàsiano applicabili a tutti indiscriminatamentementre per i Musulmani, ad esempio, hanno va-lore solo se dirette verso i credenti e non versogli infedeli.

Il Corano, il Libro Sacro dell’Islam, pretendeche tutto il mondo sia convertito alla fede in Al-lah e nel suo Profeta Maometto, e al rispetto diquanto scritto nelle sue pagine, quelle pagine cheprivano il credente del libero arbitrio pretenden-do dedizione assoluta in ogni azione della vita,quelle pagine che dividono il mondo tra Musul-mani e “infedeli”.

Ecco perché oggi l’Islam, sconfitto in guerraper secoli, rispetto all’Occidente si muove su duefronti: quello del terrorismo internazionale (peri-coloso specchietto per le allodole) e quello dellaconquista morbida, subdola, quasi omeopatica ot-tenuta attraverso la migrazione di milioni di di-sperati, poverissimi, fuori dalla storia del mondoper religione - il Corano non prevede la ricercascientifica e quindi il progresso - catapultati nelcuore della civiltà occidentale. Una forza per oraquiescente da risvegliare al momento opportunoche per colmo di ironia viene organizzata secon-do un progetto realizzato con i mezzi finanziariche noi, assetati di petrolio,forniamo costantemente agliArabi che vi galleggiano so-pra.

Ma se di pericolosità siparla, se, in un futuro cosìpoco lontano da essere giàdomani, dobbiamo temere imilioni di immigrati chestanno invadendo l’Europa amacchia d’olio è necessariocapire dove e in che misurasiamo incompatibili.

Il Corano, il Libro scrittoda Allah e affidato alla vocedi Maometto con la media-zione dell’Arcangelo Gabrie-le, conservato in cielo dagliangeli è scritto in arabo enon può essere tradotto.Ogni traduzione in lingueoccidentali o comunque di-verse per un credente è im-pensabile, un modo straordi-nario per legare a sé i cre-

denti costretti a studiare, pensare, leggere, scrive-re in arabo, formando un tutto compatto e disci-plinato.

Il Corano è il compendio stabilito una voltaper sempre di ogni conoscenza, contiene tutto,assolutamente tutto, ciò che è necessario e suffi-ciente alla conoscenza umana e per conquistarsiil paradiso. Tutto ciò che non è contenuto nelCorano è macchiato di sospetto confinante con ildiabolico.

Il Corano comprende la somma di tutte lescienze, ma non fa menzione della fisica, dellachimica, della metallurgia, della medicina, dellabiologia, delle scienze agrarie, semplicementeperché i beduini dell’anno seicento la scienzanon sapevano neppure cosa fosse. Per questo ilmondo arabo non partecipa allo sviluppo dellascienza, della ricerca, della tecnologia. Le cono-scenze e le conquiste astronomiche, matemati-che, che la tradizione attribuisce ai Musulmaniin realtà sono scoperte dovute a popoli arabi suc-cessivamente conquistati all’Islam.

Il Corano non fa menzione neppure della mu-sica, della pittura, della scultura, anzi la raffigu-razione dell’uomo in qualsivoglia forma è vieta-ta, “..solo a Dio è consentito di creare la formaumana”.

Dal Corano e dalla Sunna (la vita e le parole diMaometto interpretate dai sui discepoli) deriva-

Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999 Quaderni Padani - 97

no la legge coranica (sharìa), i cinque pilastri (laprofessione di fede, la preghiera rituale, l’elemo-sina, il digiuno nel mese di Ramadàn il pellegri-naggio alla Mecca) il sesto pilastro, la guerrasanta (gihàd), che ha il compito di unificare ilmondo per ora diviso in due: quello già islamicoe quello che è pur essendo di proprietà dell’Islam(tutto il resto del pianeta) è temporaneamente(beni e persone) occupato da non islamici.

Rispetto alle donne il Corano ci insegna “Gliuomini sono superiori alle donne perché Allahdiede loro il predominio sopra di esse.” “Le don-ne sono esseri imperfetti.” “Prescrivi alle tuespose , alle tue figlie e alle mogli dei credenti dilasciar cadere un velo sul loro volto, è un segnodi virtù”. “Le donne sono state create per mezzodi un uomo e per gli uomini”.

L’Islam, nelle versioni integraliste dell’Iran, Af-ganistan, Pakistan, ma anche Indonesia, Libiaper non parlare dell’Algeria e del Sudan, mostraal mondo la faccia crudele e terribile che disu-manamente si rivolge, con odio e fanatismo ri-buttante, contro la sua stessa gente costretta avivere incubi teocratici dove i più elementari di-ritti umani sono costantemente calpestati. La li-bertà di pensiero, la multiformità di comporta-mento, la laicità dello stato, che per noi sonouna conquista costata sangue e lutti e fanno par-te del nostro DNA, sono nel mondo islamico in-tegralista pure utopie.

Allora, come credere alla non pericolosità diuna religione siffatta, come credere che milionidi Islamici ignoranti e indifferenti, anzi ostili, al-la nostra storia, alla nostra cultura, alla nostraarte possano vivere tra noi senza pretendere pri-ma o poi il rispetto delle loro regole.

Appunto non possiamo, non dobbiamo credere.L’offensiva è già in atto e se non stiamo attenti ungiorno, non lontano purtroppo, ci sveglieremo escopriremo che le nostre Basiliche, con la com-plicità della Chiesa e dei suoi preti sono diventatemoschee, che la nostra arte, le straordinarie ope-re dell’ingegno e della cultura che fanno della no-stra civiltà un unicun irripetibile, non solo nonavranno più valore ma saranno diventate pecca-minose prove della nostra arroganza di uomini li-beri orgogliosi di modellare il proprio destino econ la pretesa di pensare con la propria testa.

Tutti noi abbiamo un compito preciso: apriregli occhi, non farsi sviare da sentimenti di fratel-lanza non condivisi, guardare in faccia la realtàsenza nascondere la testa nella sabbia, difenderela nostra cultura, la nostra arte, la nostra storia ele sue testimonianze sempre e comunque.

Serie di miniature ottomane che illustrano le“pittoresche” tecnologie impiegate per punire(e convincere) gli infedeli troppo riottosi nel-l’abbracciare la vera fede

98 - Quaderni Padani Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999

Dopo secoli di scontri, anche militari, traCristianità e Islam, oggi, per la prima voltanella storia, la Chiesa cattolica ha assunto

una posizione “tollerante” e “aperta” nei con-fronti dei Musulmani. A parte lodevoli eccezio-ni, le gerarchie ecclesiastiche sono sprofondatenella melma di un buonismo peloso e di una so-lidarietà senza limiti, esaltando l’immigrazioneextracomunitaria e non preoccupandosi affattodelle nefaste conseguenze dell’introduzione (inPadania, in Italia e in Europa) della societàmultirazziale che tanto piace alle sinistre e allelogge massoniche, per differenti motivi. LaChiesa ha quindi sposato le fino a pochi decennifa aborrite tesi dei suoi nemici storici: gli ateicomunisti e i massoni anticattolici. Come èpossibile questo ribaltamento radicale?

Lo abbiamo chiesto a don Ugo Carandino, sa-cerdote della “Fraternità San Pio X” del Priora-to Madonna di Loreto (Rimini), un religioso ri-masto fedele, insieme a tutti gli altri lefebvria-ni, alla tradizione cattolica ormai considerataun “surplus” dall’impostazione dottrinale mo-dernista del Vaticano.

Don Carandino, il primo grande argine difen-sivo della civiltà europea posto contro l’invasio-ne islamica risale all’epoca della battaglia diPoitiers, quando Carlo Martello, nonno di Car-lo Magno, impedì ai Musulmani di penetrarenel cuore del nostro continente. Si tratta diuna storia da dimenticare?

Noi non lo dimentichiamo per nulla. Anzi,pensiamo a quella data con riconoscenza versol’esercito europeo che salvò per la prima voltal’Europa cristiana. I sacerdoti progressisti at-tualmente, per giustificare il dialogo ecumenicocon l’Islam, sostengono gli immigrati anche dalpunto di vista religioso. Dicono che alla fine sianoi che loro adoriamo lo stesso Dio. Così facen-do falsificano la verità e insultano la tradizionee la dottrina della Chiesa.

Perché?L’Islamismo nega i due dogmi principali della

religione cattolica: la Trinità e la divinità di Cri-sto. Su questi due punti nacque lo scontro fron-tale tra noi e i Musulmani, fin dagli inizi dellastoria islamica. Fin dal suo fondatore, Maomet-to, di cui viene offerta un’immagine distorta.

In che senso?Maometto viveva in Arabia nel VII secolo, do-

ve era diffusa una forma molto primitiva di pa-ganesimo. Colui che divenne il fondatore dell’I-slam prese contatti sia con dei cristiani eretici,come i nestoriani, sia con i rabbini ebrei. Impa-stando le teorie eretiche di quei gruppi cristianicon il giudaismo talmudico nacquero i fonda-menti dell’Islam.

Una volta elaborato questo nuovo pensiero re-ligioso, Maometto e i suoi seguaci vollero im-mediatamente imporlo con la forza. Da qui lanecessità di contrastare e di opporsi, anche conla violenza, al Cristianesimo. L’Islamismo neiprimissimi decenni si diffuse infatti in due areeche all’epoca erano prevalentemente cristiane,ossia l’area nordafricana (Sant’Agostino, adesempio, era di Cartagine), nella quale eranopresenti 600 vescovadi, tutti distrutti dai Mu-sulmani, e l’area mediorientale, dalla Siria sinoalla Persia.

Tutta quella porzione di Cristianità andò di-strutta in poco tempo, spazzata via dall’aggres-sione islamica.

Si può affermare allora che quella di combat-tere il Cristianesimo sia una “vocazione storicadell’Islam?

Proprio così. Una “vocazione” che è propriaanche del Giudaismo e per questo motivo diver-si studiosi hanno sottolineato l’importanza del-le radici “rabbiniche” dell’Islamismo.

In particolare vorrei citare uno studio moltoapprofondito di Hanna Zakarias, pubblicato inFrancia, che si intitola Da Mosè a Maometto. Inqueste 600 pagine l’autore parla del travaglioche portò dal Giudaismo alla nuova religioneislamica, intrisa di avversione completa controla nostra religione.

Chiesa cattolica e Islamdi Gianluca Savoini

Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999 Quaderni Padani - 99

I Cristiani comunque non hanno certo portol’altra guancia ai Musulmani...

I Cristiani si sono sempre difesi dalle aggres-sioni islamiche per non essere spazzati via. L’I-slamismo accusò i Cristiani di essere idolatri, diadorare tre dei, un’accusa molto pesante e chescatenava ulteriormente l’odio contro i Cristia-ni. Nella Storia ecclesiastica, scritta da don Bo-sco, si può leggere che “il famoso impostoreMaometto nacque da madre ebrea a La Mecca,città d’Arabia”.

Don Bosco, come tutti i santi e i preti cattoli-ci non ancora cariati dal modernismo, volevasoffermarsi giustamente sull’Islam quale partodel Giudaismo. Senza affrontare questo argo-mento non si potrà mai comprendere a fondo leragioni musulmane della loro lotta contro dinoi.

Nelle trasmissioni televisive gli Islamici peròsi presentano bene. Spesso sono vestiti all’euro-pea, con giacca e cravatta. Oppure, quando in-dossano la loro veste tradizionale, parlano pa-catamente, inneggiano alla tolleranza e allafratellanza universale. Insomma, fanno la par-te delle vittime del razzismo o dell’integralismocattolico. Si tratta di una grossa sceneggiata?

Una sceneggiata che purtroppo ingenera inchi vi assiste errori di valutazione pericolosissi-mi. Vorrei ricordare che l’espansione islamica èinsita nelle radici ideologiche di quella religio-ne.

Dopo aver conquistato il Nord Africa massa-crando i Cristiani, i seguaci di Maometto non siaccontentarono e puntarono direttamente versoil cuore della Cristianità, l’Europa. Invasero co-sì la Spagna, attaccarono a più riprese le costedel Mediterraneo con le loro navi e la primagrande risposta difensiva europea avvenne gra-zie alle armate di Carlo Martello, nonno di Car-lo Magno, che a Poitiers fermarono la penetra-zione islamica nel nostro continente, ricaccian-doli verso la Spagna meridionale.

Le aggressioni dei fedeli di Allah sono conti-nuate nel corso dei secoli a più riprese, fino agiungere all’altra importantissima e storica vit-toria, quella di Lepanto, in un momento in cuil’area balcanica si trovava sottomessa agli Isla-mici.

Il movimento padanista si batte da tempocontro l’invasione extracomunitaria dell’Italia,della Padania e dell’Europa, evidenziando co-me siano numerosi, tra gli immigrati, i fedeli

del Corano e anche numerosi gli estremistipronti alla Guerra Santa.

Il movimento padanista e leghista ha questogrosso merito e gliene va dato atto. Non dimen-tichiamo che l’Islamismo è una religione teo-cratica, dove l’aspetto religioso è inscindibiledall’aspetto politico e sociale. Un islamico chearriva in Europa non è soltanto un possibile la-voratore, ma innanzitutto è credente di Allah,che deve seguire i precetti del Corano. E il Co-rano insegna che la terra è divisa in due parti:la terra islamica e la terra “da conquista”, ossiatutte quella aree non islamiche che vanno con-vertite a tutti i costi, anche con la violenza. IlCorano parla esattamente della “Casa dell’I-slam” e della “Casa della Guerra”. Naturalmenteanche la cosiddetta “Casa della Guerra” dovràdiventare “Casa dell’Islam”, proprio attraversol’aggressione e la vittoria finale.

Come mai allora la Chiesa cattolica sembranon accorgersi di questo pericolo e ha abdicatoal ruolo di difensore della Cristianità, affogandoinvece nel più mieloso e nauseante buonismo?

Purtroppo da circa due secoli nella Chiesa si èdiffuso l’ecumenismo, l’ideale del volersi tuttibene, derivante direttamente dal pensiero mas-sonico. Il culmine di questo allontanamentodalla tradizione millenaria si è avuto al ConcilioVaticano II dell’inizio degli anni Sessanta.

Secondo gli ecumenici, tutte le religioni sonouguali e rispettabili. Lo stesso pensiero dellamassoneria, che, dalla sua nascita, si batte percostruire un governo unico mondiale e mesco-lare indistintamente tutte le religioni e tutti ipopoli, senza preservare alcun tipo di identità.

L’ecumenismo quindi, alleato dell’Islam, di-mostra che la massoneria opera all’interno del-la Chiesa?

Il clero progressista ha aderito massicciamen-te ai dettami del Concilio Vaticano II e cerca di“dialogare” con gli Islamici. Dimenticando cheloro non vogliono dialogare con nessuno chenon sia islamico. Nei Paesi islamici è vietata lacelebrazione di riti cattolici, anche se vengonocelebrati in case private. Come vedete, non esi-ste alcuna possibilità di dialogo: noi dobbiamodifenderci dall’aggressione islamica, ieri comeoggi. Altrimenti verremo spazzati via, per lagrande gioia degli ambienti massonici e mon-dialisti dell’alta finanza, desiderosi di dominareil mondo e di celebrare l’adorazione del vitellod’oro, il denaro

100 - Quaderni Padani Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999

“La religione è incompatibile col sistemadella libertà”. D’acchito, questa frase diAlphonse Francois de Sade può sicura-

mente apparire eccessiva, ma dietro ogni iper-bole, o provocazione se si preferisce, c’è più cheun fondo di verità.

Del resto, all’interno del dibattito affrontatoin questo numero dei Quaderni Padani, nonpossiamo esimerci dall’essere spietati nell’ana-lizzare il confronto fra due civiltà (quella pada-na cristiana e quella mediorientale islamica),che ben poche comunanze hanno tra di loro.Evito, per questioni di competenza, di adden-trarmi nelle vicende storiche di questo aspro

confronto fra Padania e Islam, ma non possonoesimermi, invece, dal discutere uno degli argo-menti che maggiormente mi stanno a cuore:quello delle libertà individuali.

Ebbene, se è vero, come personalmente riten-go, che ideologia e teodicèa (1) sono due faccedella stessa medaglia, è altrettanto vero che trauna società di cultura cristiana (o cattolica sepreferite) e una di stretta osservanza islamica ledifferenze sono abissali.

Benchè la “Sacra Romana Chiesa” abbia allesue spalle un passato in parte quantomeno di-scutibile (e comunque non certo condivisibileda un laico), l’Islam è, da sempre, un Movimen-to politico e religioso di estrazione radicale, chetrova la sua forza nella netta definizione delcampo del conflitto: da un lato, il “Partito diDio” (Allah) formato dagli autentici credenti;dall’altro, il “Partito di Satana”, sempre piùspesso identificato con l’Occidente. Parafrasan-do Renzo Guolo, studioso del settore, questa èuna semplificazione del conflitto che, grazie an-che al fallimento delle ideologie progressiste,rende irresistibile il fascino insieme rivoluzio-nario e tradizionalista dell’integralismo islami-co.

Ora, se un’organizzazione sociale autentica-mente liberale non può non porre al centro del-le sue scelte l’individuo, in quanto portatore didiritti naturali inviolabili (secondo uno svilup-po coerente della dottrina di John Locke), neipaesi musulmani tutto ciò è inconcepibile. Ilpanislamismo, antica e al contempo nuova aspi-razione alla ricomposizione del mondo musul-mano in un’unica comunità di credenti (la Um-ma), è uno degli elementi più rilevanti dellaconcezione mediorientale, che punta alla pro-pria rinascita tramite il protagonismo di unmovimento islamista caratterizzato sì da due

Le libertà individuali di fronte all’Islam

di Leonardo Facco

Disegno di Gino Boccasile

(1) “Parte della teologia che tratta della giustizia di Dio espiega l’esistenza del male in rapporto ad essa”

Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999 Quaderni Padani - 101

anime (una radicale, o integralista, e una neo-tradizionalista), ma con un unico obiettivo: latotale contrapposizione all’Occidente, alla sueforme culturali, ai suoi dogmi religiosi.

È per altri versi, altrettanto vero che l’Islamnon si esaurisce nell’islamismo. Esistono diffe-renti Islam (da quello della civiltà a quello dellacultura; da quello popolare a quello laicizzato);tuttavia l’uso del termine Islam fonda la sua pe-culiarità sulla religione, intesa come principiodi organizzazione dell’azione collettiva umana.

Soprattutto tra quei movimenti di area sunni-ta (Egitto e Algeria tanto per intenderci, peral-tro oggi in forte espansione rispetto a quelli diarea sciita) è lapalissiano constatare che la ten-sione ideale verso l’utopia (il progetto di civiltàdivina in terra) si esprime in primo luogo pro-prio come lotta contro l’Occidente (al quale ap-partiene anche la Padania) e il suo sistema divalori. Citando ancora Guolo, “l’Occidente, per iveri credenti islamici, è responsabile, attraver-so l’imposizione dell’esperienza della moder-nità (che ha permesso agli individui di affran-care la propria esistenza dalla derivazione divi-na) dello stato di decadenza e di barbarie pre-islamica in cui versa l’antica comunità del pro-feta (Maometto)”. Ecco quindi spiegato il moti-vo per cui i movimenti islamisti (vere e proprieorganizzazioni di mobilitazione politica e socia-le che mirano a ristabilire l’ordine della Città diDio) vengono considerati gli interpreti più coe-renti e lucidi di questo rifiuto politico e religio-so, in vista di un riscatto individuale e di reden-zione collettiva.

Per sommi capi, anche per evitare di soffer-marci sulla complessità di questa ideologia, iseguaci dell’islamismo leggono nelle parole delCorano (testo fondante della legalità per comeessi la intendono) l’aspirazione al ritorno aduna comunità originaria. Termini come Sunna(tradizione), Wala (totale e assoluta obbedienzaal Signore), Umma (comunità), Rububiyya (as-soluta dedizione dell’uomo alla signoria divina),Imam (autorità religiosa), Da’wa (impegno nel-la predicazione del verbo), Jihad (combattimen-to per la fede) Fatwa (legge) e, per non dilun-garci, Harb al muqadaca (guerra santa) sonovere e proprie “parole d’ordine”. Ma attenzione:“ritornare a Dio”, quindi ristabilire l’unità diquanti credono nella sua unicità, diventa unimperativo per tutti i fratelli di fede sparsi aOriente e a Occidente e umiliati dagli stranieri.Il che sta chiaramente a significare che le ordedi adepti della Mezzaluna, che sono sparsi

ovunque (dai celebratori del Ramadan a Torinofino agli organizzatori di corsi alla guerra santaa Londra), vanno considerati come “nemici po-tenziali”.

Se, dunque, non è così difficile rendersi contodell’ostilità feroce che i Musulmani nutrono perla nostra civiltà (per loro il Corano è come, permolti di noi, la Costituzione) è bene sapere cheessi, rifacendosi proprio a “versetti e sure”,puntano al proprio riscatto attraverso il recupe-ro di una concezione “universale e totalizzante”dell’Islam, da loro concepito al contempo comefede e culto, patria e nazionalità, religione eStato, spiritualità e azione. Insomma, una con-gerie di asserzioni coercitive che risultano asso-lutamente inconcepibili per un qualsiasi libera-le che si rispetti.

Ancora: la stessa organizzazione sociale isla-mica (l’Umma musulmana) è, a dir poco, inac-cettabile in una società anche solo proto-libera-le. Se per noi, lo Stato è spesso considerato unodi quegli orpelli o marchingegni giacobini sortiper imbrigliare le libertà degli individui, neiprogetti degli islamisti, invece, l’orientamentopiù diffuso è che il potere dell’Imam non hascadenza. Non è casuale che la necessità dimantenere e riprodurre la comunità religiosa sifondi su una sorta di “individualismo olistico”(gerarchico) di macabra memoria, senza di-menticare, tra l’altro, l’assoluta innegabilità el’assoggettamento della donna al potere-voleredell’uomo.

In conclusione. Per i Musulmani, l’interpreta-zione religiosa del conflitto politico rende alcu-ne istanze non negoziabili: tradotto, questo si-gnifica che con l’Islam non si può discutere.Ora, non essendoci dubbi sul fatto che l’obietti-vo islamico è quello di espandere il proprio do-minio, in tempi come i nostri - in cui le conver-sioni di massa sono pressochè impossibili - l’u-niversalismo religioso islamico può espandersisolo attraverso l’annullamento della territoria-lità. Ciò significa prevedere e accettare non solol’annullamento degli Stati-Nazione già ricono-sciuti, ma anche l’annullamento delle Nazioniper consenso o di qualsiasi altra comunità abbiaintenzione di autodeterminarsi.

Riconsiderati, allora, tutti i concetti sopraesposti, è logico e ovvio considerare il conflittofra Occidente e Islam (o se vogliamo fra Padaniae Islam) come uno scontro totale o, peggio an-cora, come il tentativo islamico di abbattimentodi ogni libertà individuale, sociale e civile con-quistata in questi due ultimi millenni di storia.

102 - Quaderni Padani Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999

Possono così raccontare frottole i governantiitaliani, a partire da Livia Turco sino ad ar-rivare al ministro degli Interni Rosa Russo

Jervolino, in merito all’inesistenza di un lega-me fra incremento della criminalità e sbarchisconclusionati di extracomunitari.

Sarebbe troppo facile per il sottoscritto appel-larsi ai dati pubblicati dai mezzi di informazio-ne della Lega Nord per l’indipendenza della Pa-dania (peraltro tutti riscontrabili nei documentidei dicasteri competenti) per dimostrare quantosia vero che immigrazione e criminalità sonodue concetti tra loro indissolubilmente legati.

Ancor prima di rifarmi, però, alla fonte prin-cipale utilizzata per scrivere questo articolo,vorrei ricordare i fatti di alcuni giorni fa, allor-quando, proprio a Milano, durante un convegnosulle nuove mafie, la Commissione parlamenta-re presieduta da Ottaviano Del Turco ha denun-ciato che “le mafie transnazionali rischiano diessere la piaga del Duemila”. Non solo: “Crimi-nali cinesi, colombiani, nigeriani, ma soprattut-to albanesi si stanno adoperando per invadere ilricco mercato europeo, stringendo patti scelle-rati con le organizzazioni criminali nostrane”.Una minaccia che, ovviamente, passa attraversole frontiere colabrodo della penisola, frantuma-te ancor di più dalla folle legge “Turco-Napolita-no”. Ancora: anche le ecomafie, quelle che fan-no i soldi deturpando il nostro territorio, hannofatto incetta di “migrantes”, soprattutto musul-mani, per dare sfogo ai propri nefasti pruriti.Allora, torniamo al quesito principale: è vero ono che i fatti criminosi hanno subito un’impen-nata da quando la Padania, per colpa degli Ita-liani, è diventata terreno fertile per le invasioniextracomunitarie? Senza timore alcuno dismentita, la risposta è sì.

“Nell’ultimo decennio, la quota degli stranierisul totale dei condannati in Italia è fortementeaumentata. Ciò si è verificato non solo per lospaccio e la produzione di droga, ma un po’ pertutti i reati: furti, rapine, ricettazione, contrab-bando, stupri e omicidi. Il fenomeno è partico-larmente accentuato nel Centro-Nord, più con-

tenuto al Sud; è dovuto principalmente agli im-migrati irregolari, ma riguarda anche quelli re-golari. Ricerche condotte in vari paesi europeidenunciano una tendenza analoga per l’ultimoventennio, a differenza di quanto accadeva neglianni ‘50 e ‘60, quando - come dimostrano altreindagini - gli immigrati violavano le leggi pena-li meno degli autoctoni”.

Sono parole di Marzio Barbagli, sociologo al-l’Università di Bologna, uomo di sinistra, cheha scritto queste cose nel libro Immigrazione ecriminalità in Italia, edito da “Il Mulino”. Con-tro le fanfare del regime catto-comunista, Bar-bagli ha avuto il coraggio, diciamolo pure, diraccontare l’evidenza dei fatti, mettendo oltre-tutto in risalto quanto sia drammatica la situa-zione per la nostra gente.

Le parole di Barbagli (confermate da dati e ta-belle che danno ancor di più l’idea di quanto siadeprecabile e traumatico questo fenomeno) as-seriscono, inoltre, due fondamentali concetti:innanzitutto, è ora e tempo di smetterla di pa-ragonare l’attuale ondata migratoria con quellache vide Padani e Italiani lasciare il proprio pae-se negli anni addietro. L’emigrazione padana eitaliana non portava con sé quella propensionea delinquere che invece contraddistingue l’ordaextraeuropea di questi anni (tra l’altro mi pre-me evidenziare che tra Italiani e Padani, co-munque, non c’è mai stata comunanza perquanto concerne la stessa propensione a delin-quere). Poi, e anche questo è emblematico, gliextracomunitari che varcano le nostre frontierefiniscono quasi tutti per “accasarsi” in Padania.E anche questo non è certamente casuale, maha la sua ragione nella stretta interrelazione frai gestori del “commercio di carne umana” delSud (mafie varie) e gli “esportatori della stessacarne umana” (mafie transnazionali). Fatto sta,che chi ci rimette sono gli abitanti delle nostreterre.

Comunque tornando di nuovo all’analisi diBarbagli, “da una rilevazione a campione - scri-ve il sociologo - condotta su 5 significativi isti-tuti penitenziari, secondo un rapporto presen-

Immigrazione e criminalitàdi Giacomo Stucchi

Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999 Quaderni Padani - 103

tato al Senato il primo settembre del ‘97, l’83per cento (!) circa degli extracomunitari dete-nuti è risultato privo del permesso di soggior-no”. Il che la dice lunga sull’inefficacia dellenormative adottate dal ‘90 ad oggi dai governiromani (legge Martelli prima e Turco-Napolita-no oggi). Oltre a questo, però, comparando i da-ti relativi alla cittadinanza dei detenuti condan-nati per diversi reati, si ottiene la seguente gra-duatoria: - FURTO: Italiani condannati 51,9%; straniericondannati 68,8%- RAPINA: Italiani condannati 72,9%; straniericondannati 72,1%- STUPEFACENTI: Italiani condannati 59,9%;stranieri condannati 79,9%Questo nel 1989 (dieci anni fa). Vediamo i datidel 1995:- FURTO: Italiani condannati 10,8%; straniericondannati 17,2%- RAPINA: Italiani condannati 37,4%; straniericondannati 44,6%- STUPEFACENTI: Italiani condannati 36,1%;stranieri condannati 61%

Attenzione però; dall’89 al ‘95 la quantità direati nemmeno denunciati è aumentata in ma-

niera esponenziale. Ma c’è di più: analizzando idati riportati nel volume citato, solo ed esclusi-vamente con riferimento alle condanne esegui-te per furto (1995), si può notare con estremachiarezza quanto siano responsabili i paesi isla-mici nell’arricchire questa deprimente classifi-ca. Circa il 30 per cento dei reati è commessoda individui di provenienza africana. A questi,però, vanno aggiunti, in parte, anche quei de-linquenti di origine “ex-jugoslva”, tra i qualiuna buona parte è di religione islamica. In vero,con le statistiche si potrebbe continuare a lun-go, ma quei pochi dati, emblematici, esposti si-no ad ora sono sufficientemente significativiper capire la gravità del fenomeno che stiamopassivamente subendo.

In conclusione, mi pare di poter affermaresenza indugi che la vera tragedia non è “l’allar-me razzismo” lanciato da qualche idiota ideolo-gizzato, ma è che lo statalismo moderno, quellocatto-comunista tanto per intenderci, invadendogran parte della nostra società, ha quasi obbliga-to ogni emigrante a diventare uno squatter, ov-vero un occupante abusivo. E chi ne paga leconseguenze, al contrario, è il legittimo proprie-tario della terra in cui abita: il cittadino padano.

104 - Quaderni Padani Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999

Le figurine Lavazza sono oggi oggetto di colle-zione ma sono state nel passato un interes-sante fatto di costume, oltre che uno stru-

mento molto popolare di diffusione culturale. Sitrattava di piccoli cartoncini riportanti un bel di-segno a colori sul fronte e un testo descrittivo sulverso.

Verso la fine degli anni Cinquanta è stata pub-blicata una serie di figurine (Serie XXXIV) dedica-ta alle “Donne Eroiche”. Una delle sei immagini

era dedicata a Caterina Segurana. Ne riportiamoqui il disegno e il semplice testo di accompagna-mento:

“Eroina nizzarda, Caterina Segurana, era unapopolana ai tempi di Francesco I re di Francia, ilquale ambiva impossessarsi degli stati dei Sa-voia. Alleatosi con i Turchi, non ebbe scrupoli diservirsi dell’opera di un corsaro, il Barbarossa,che allora scorreva il Mediterraneo terrorizzandole popolazioni rivierasche. Vittima di queste scor-rerie fu Nizza che per opera del Duca Francescodi Borbone e del pirata Barbarossa, subì il dolo-roso assedio. Ma la popolazione di Nizza era bendecisa a difendere la sua città e al comando delConte di Monford si preparò alla difesa.

Nel 1543 Turchi e Francesi assalirono la città eil popolo passò momenti tragici e dubitò di potersostenere l’assalto. Fu allora che Caterina Segu-rana usci dall’ombra, con indomito coraggio sipose alla testa dei difensori e seppe fondere in es-si tale ardire e tale forza e fiducia, da farli riusci-re a strappare dalle mani degli infedeli la bandie-ra della mezzaluna e giungere alla vittoria. Nonad altro mirando, questa nobile ed eroica donnarientrò nell’ombra.”

Nelle cronache storiche si può trovare ben pocoda aggiungere a queste brevi ma significative no-te: solo che la Segurana era nata nel 1510 e avevaperciò 33 anni quando si rese protagonista diquell’atto di coraggio e che gli attaccanti francesierano comandati dal Duca d’Enghien e quelli tur-chi (in realtà “barbareschi”, e cioè maghrebini,ma al servizio dei Turchi) da Khay al-Din (oppu-re, Khair ad-din), detto appunto “Barbarossa”.

L’immagine è molto bella, pur nella sua sempli-cità un po’ oleografica, e non lascia dubbi sul chifossero i “buoni” e chi i “cattivi”: fortunatamenteper la società Lavazza (e per la storia) a quei tem-pi non c’era l’aberrante Legge Mancino…

Brenno

Eroismo e immaginario popolare

Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999 Quaderni Padani - 105

All’offensiva di Cassino, iniziata alle ore 23dell’11 maggio 1944 e che avrebbe portatogli «alleati» a Roma, occupata il 4 giugno,

parteciparono le truppe del Corp Expéditionnai-re Française, 3a Divisione Algerina, 2a e 4a Ma-rocchina.

Furono gli stessi «alleati» a menar vanto dellapresenza di forze di colore nelle loro Armate.Nel n. 2 (8) vol. II del periodico Victory che ilPWB diffuse a Roma dopo l’occupazione si pote-va leggere:

«Le truppe che combattono l’attuale vittorio-sa campagna d’Italia sono truppe “alleate” nelpiù vero senso della parola. Nella V e nell’VIIIArmata militano Inglesi, Indiani, Canadesi, Po-lacchi, Neo-zelandesi, Australiani, Americani,Francesi, goumiers marocchini, Senegalesi, Al-gerini, Italiani: tutti [questi soldati] uniti in unproposito comune. Fra i combattenti più valo-rosi e accaniti sono i Francesi al comando delGen. Juin. Assegnati al settore compreso fra lazona litoranea tirrena occupata dagli America-ni, e quella di Cassino occupata dagli Inglesi edai Polacchi, presero parte a combattimenti in-tensi... aprendo così una breccia, nella Linea diGustav. Furono tra i primi a prendere contattocol nemico sulla Linea di Hitler, ai piedi delMonte di Oro».

Un dettaglio - quest’ultimo - non era esatto.Le truppe «alleate» (bianche o di colore che fos-sero) ai piedi del Monte d’Oro non trovarono iTedeschi che si erano sganciati, lasciando il vuo-to dietro di sé, ma i disgraziati abitanti di Espe-ria, con le sue tre popolose frazioni (Esperia Su-periore, Esperia Inferiore e Monticelli). Furonoquelle popolazioni che il 18 maggio conobbero imarocchini.

In una sua obbiettiva inchiesta per il Meridia-no d’Italia, il giornalista Enrico De Boccard re-gistrò gli episodi più terrificanti dell’occupazio-ne di quel comune. Di ufficiale c’è un dato: laCommissione Medica Militare dell’Ospedale delCelio di Roma accertò essa sola, per Esperia, cir-

ca 700 casi di violenza carnale. A sua volta DeBoccard forniva dati raccolti (e documentati) sulposto: lo stupro di una ottantaquattrenne (RosaMoretti). Ma il medico di Monticelli, dott. Pa-lombo, dichiarava al giornalista che i Marocchi-ni passavano indifferentemente dalle vecchie al-le bambine: nella sua frazione s’era registrato lostupro di una bambina di nove anni. Le stessecircostanze venivano confermate dal dott. Pera-galli, di Esperia Inferiore: due donne non aveva-no resistito alle violenze subite ad opera di nu-merosi Marocchini, soccombendo sotto la bruta-le bestialità dei soldati; altre erano impazzite,come tale Spiriti Emilia. Il contagio s’era diffuso

Donne e bottino per i soldati di colore

Testo tratto da: Bruno Spampanato, Contromemoriale(Roma: C.E.N., 1974), volume VI, pagg. 1673 e 1674

Soldato di colore che aggredisce una donnabianca

106 - Quaderni Padani Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999

rapidamente nel paese (550 casi di blenorragia e20 di lue).

Né gli uomini erano stati risparmiati: massa-crato il vecchio Di Cuffa Achille, che tentava didifendere le figlie; ucciso il messo esattoriale As-sante Luigi, che difendeva le sorelle; seviziato efatto fuori l’arciprete vicario foraneo don Alber-to Terilli, postosi a scudo dei sacri arredi dellaChiesa: e quest’ultima sacrilega vicenda era sta-ta descritta dal parroco di Esperia superiore,presente ai terribili fatti.

Ma non fu quello il solo oltraggio fatto alla re-ligione. Devastata la chiesa di S. Maria Maggiorea Esperia Superiore. Lì ai Santi erano stati buca-ti gli occhi, e poi le statue accomodate attorno aun tavolo come per giocare a carte.

Altro saccheggio alla chiesa di Esperia Inferio-re, dove il parroco don Alberto D’Aviero, raccon-tato lo scempio fatto dai Marocchini e dai Fran-cesi degli arredamenti sacri, aggiungeva di averpotuto salvare solo un calice di nessun valore,ma sufficiente tuttavia a dire la Messa.

Ma solo Esperia? Nella valle del Liri, ad Auso-nia, a Pico, a Pastena, come a Pontecorvo, ilgiornalista De Boccard aveva potuto raccoglieretestimonianze di ogni genere su distruzioni piùmassicce, come su altre violenze e altri omicidi.Un marito fu sgozzato mentre inutilmente cer-cava di proteggere la moglie: Sardelli, di Ponte-corvo. Un altro a Pontecorvo, Agostino Perrella,ebbe la moglie finita sotto i suoi occhi. Un sa-cerdote di Pico, don Antonio Grossi, vide i suoiparrocchiani ammazzati perché difendevano leloro consorti. A quanto potette accertare il DeBoccard, tra i reparti che più si distinsero nelleatrocità e nei massacri fu il X Tabor, che aveva acapo il comandante Poulet-Desbarens.

Da un’altra inchiesta giornalistica (Il Secolod’Italia, 30/8/’55) si appresero altri particolari:

di una fanciulla dodicenne posseduta 42 volte eche al ventesimo Marocchino era già morta, noncessando con questo la violenza usatale dagli al-tri, e di una sessantenne fatta segno alle violen-ze di una ventina di Marocchini, e poi lapidatada loro.

Un altro servizio giornalistico (Roma,25/4/1952) portò alla luce altri episodi orribili,come di quella ragazza legata crocefissa primadi passare sotto la violenza dei soldati e cosìmorta: fine che sarebbe spettata alla stessa suasorella. Questo succedeva a Pico. A Monticelliinvece - si rileva da quel servizio - 153 donne ri-sultavano «marocchinate», e il venti per centoluetiche.

Ognuno dei paesi della valle del Liri conservòquei tremendi segni della guerra anche se traquella povera disgraziata gente di campagna siignoravano i nomi dei generali francesi respon-sabili per aver promesso e dato in premio ledonne delle terre invase ai propri soldati: gen.De Montsabert, comandante della 3a DivisioneAlgerina, gen. Guillame, comandante della 2aDivisione Marocchina, gen. De Hesdin, coman-dante della 4a Divisione Marocchina e infine delcomandante del Corpo di Spedizione gen. Juin.

Non si dimentichi però accanto a quei genera-li il nome di un maggiore: Grandmougin, che alparroco di Esperia Inferiore, don Alvise, risposecome quegli scempi non si potessero evitaregiacché i Marocchini non avrebbero mai rinun-ziato - dopo il combattimento - alle loro usanzedi guerra: le donne e il bottino. Il maggiore nel-la sua vita civile è monsignor Grandmougin,parroco di Attignéville, un comune del diparti-mento di Vosgi. Egli partecipò alla campagnad’Italia appunto col grado di maggiore (Coman-dant) nella riserva dell’esercito, e dopo la «libe-razione» di Roma fu ricevuto dal Papa.

Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999 Quaderni Padani - 107

Steven RuncimanGli ultimi giorni di Costanti-nopoli - Le otto terribili setti-mane che sconvolsero il Medi-terraneoCasale Monferrato: EdizioniPiemme, 1997279 pagine, 34.000 lire

Il 29 maggio del 1453, i Turchiguidati da Maometto II entrava-no a Costantinopoli mettendotermine a più di un millennio divita dell’Impero d’Oriente.Qualcuno pone a quella data lafine del Medioevo: in ogni casosi è trattato di avvenimenti cheprovocarono un tremendoshock al mondo occidentale cheaveva sempre, in realtà, pensatoche Costantinopoli fosse ine-spugnabile e che alla fine anchei Turchi avrebbero desistito dailoro assalti. L’Europa si sveglia-va invece improvvisamente coni Musulmani saldamente im-piantati nella penisola balcanicae lanciati verso il cuore del con-tinente. L’incubo turco termi-nerà solo alla fine del XVII seco-lo, quando la sanguinosa ondatadi piena si infrangerà sotto lemura di Vienna e comincerà adessere ricacciata dal PrincipeEugenio. Nel frattempo peròl’Europa cristiana si era svenatain questa lotta che aveva assor-bito gran parte delle energieimperiali e veneziane e che hacostretto molte nazioni europeea soggiacere sotto il despotismoislamico fino all’inizio del XXsecolo.La lotta contro i Turchi ha vistograndi momenti di coraggio, dieroismo e di unità delle nazionieuropee, ma anche viltà, tradi-

menti, vergognose alleanze distati cristiani con i Musulmanie divisioni che hanno costituitola vera grande forza dei nemici.La caduta di Costantinopoli èstata in questo senso esemplare:gli Stati europei erano troppoimpegnati a litigare fra di loro ehanno deciso di intervenirequando ormai era troppo tardi.Eppure, sarebbe bastato pocoper liberarsi di un pericolo chepoteva ancora essere eliminatocon una certa facilità pri-ma di assumere dimen-sioni molto più preoccu-panti ed essere causa dialtri cinque secoli di sof-ferenze. La Chiesa eratroppo presa a difenderequestioni di principio esubordinava ogni inter-vento alla rinuncia alloscisma; Genova e Venezia(ma anche Ancona, Ra-gusa e tutti gli altri statidi mare) si curavano a vi-cenda e badavano troppoai loro interessi commer-ciali, e gli altri stati te-mevano più i vicini e cheil lontano (ma non trop-po) pericolo ottomano.Sarebbe bastata una azio-ne militare limitata macoordinata per schiaccia-re i Turchi e salvare Co-stantinopoli. Ma i soccorsi cri-stiani arrivarono troppo tardi:alla caduta della città, la flottaveneziana di Jacopo Loredanera ancora nell’Egeo.Abbandonata a sé stessa, la città(che era tutto quel che restavadi un Impero glorioso) trovòperò la forza di morire con co-raggio e dignità: la resistenza fueroica e nella difesa si adopera-rono con relativa concordiaGreci, Veneziani, Genovesi, Dal-mati, Catalani, Cretesi e tutti glialtri che, per qualche ragione,erano presenti in città. Costan-

tinopoli, ormai stremata, cadesolo quando Giovanni Giusti-niani (l’energico genovese chene comandava le difese) vienecolpito a morte. L’imperatoreCostantino XI si lancia nella mi-schia e scompare, in una scenadegna di una pagina di Tolkien,fra masse di assalitori, crolli dimura, incendi e presenze magi-che. La gloriosa città viene di-strutta, le sue cento chiese sonoprofanate, i suoi abitanti resi

schiavi: diventerà Istambul, lacapitale dell’Impero ottomano esarà persa per sempre dall’Eu-ropa. Il libro descrive con chiarezza erealismo antefatti, accadimentie conseguenze, fa un quadroemozionante di uno degli avve-nimenti più importanti dellastoria dell’Europa cristiana edella sua lotta contro l’Islam echiarisce bene quale ne è statala vera causa: non la forza deiTurchi ma le divisioni e le viltàdegli Europei. Allora come oggi.

O.G.

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108 - Quaderni Padani Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999

Salvatore BonoCorsari nel Mediterraneo -Cristiani e musulmani fraguerra, schiavitù e commer-cioMilani: Mondadori, 1993243 pagine, 35.000 lire

Per tredici secoli il Mediterra-neo è stato teatro di scontrinavali continui fra Cristiani eMusulmani. Gran parte di que-sta guerra ha avuto l’aspetto diazioni di pirateria da parte de-gli assalitori islamici: con naviisolate, piccole squadre velocio intere flotte, essi hanno ter-rorizzato le coste europee conattacchi, sbarchi e azioni rapi-de e sanguinose che ne hannocondizionato la vita e le formestesse del territorio. I borghisono stati ricostruiti su alturee sono stati fortificati, la costaè stata punteggiata di torri diavvistamento e di difesa e granparte delle zone pianeggiantidel litorale hanno dovuto esse-re abbandonate per paura deglisbarchi pirateschi.Per difendersi da questo peri-colo sempre incombente, lenazioni cristiane hanno dovu-to fare ricorso a tutte le loroforze navali impiegando ener-gie enormi che avrebbero po-tuto essere utilizzate ben di-versamente. A volte i nostrihanno dovuto diventare essistessi dei corsari e hanno im-piegato le stesse tecniche diguerra, assalendo le coste nor-dafricane e attaccando le basidei pirati barbareschi.La guerra è veramente termi-nata solo con l’occupazione daparte degli Europei delle coste

del Nordafrica, dallaprima metà del XIX se-colo fino all’inizio delXX.Il libro descrive con co-lore e con particolarigli uomini, le navi, imetodi di corsa e moltidegli episodi più im-portanti di questoscontro più che mille-nario che è stato quasirimosso dalla memoriacollettiva e dimenticatodalla storia ufficiale.Vi vengono narrate legesta di alcuni dei piùsanguinari pirati mu-sulmani, come Dragut,Arug, Muscetto, Bra-chìmo e Khay al-Din,detto Barbarossa. Spe-ciale attenzione vienededicata ai cristiani rinnegatiche, “fattisi turchi”, diventaro-no fra i più feroci nemici dellapropria gente: sono lugubre-mente noti personaggi come ilcalabrese Uluj Ali e il genoveseOsta Morat. Quella della pre-

senza di traditori europei afianco dei Musulmani è unatristissima (e attuale) costantedello scontro più che millena-rio che oppone la Cristianitàall’Islam.

N.B.

Rinaldo PanettaI Saraceni in ItaliaMilano: Mursia, 1998302 pagine, 16.000 lire

E’ uno dei libri più interessan-ti e documentati dell’eternastoria dell’incontro-scontro fraEuropei e Musulmani. Vi ven-gono descritti tutti gli assaltiarabi alle coste della penisolaitaliana e tutti i più interessan-ti episodi della lunga guerrache ha opposto due mondi tan-to diversi. Capitoli molto inte-ressanti (e illuminanti) sonodedicati ai tradimenti di alcunistati meridionali e alle loroignobili alleanze con i nemicidella Cristianità: una costantevergogna nel mondo europeo.

Il lettore vi troverà una enor-me massa di informazioni sto-riche, oltre che molti punti diriflessione facilmente rappor-tabili alla situazione dell’attua-le momento storico.In particolare, l’autore si sof-ferma su due episodi impor-tantissimi ma anche poco noti:l’insediamento di colonie ara-be in Puglia ad opera di Fede-rico II e la quasi dimenticataopera degli Ordini religiosi chesi sono occupati del riscatto diuna moltitudine di infelici fini-ti schiavi dei Musulmani. Dalla lettura si comprende co-me la lotta fra le due contrap-poste culture sia sempre statainterpretata da parte islamicacome una guerra di conquista

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Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999 Quaderni Padani - 109

Alexandre Del ValleIslamisme et Etats Unis, unenouvelle alliance contre l’Eu-rope”Parigi: L’Age d’Homme, 1998302 pagine, 16.000 lire

L’immigrazione extracomuni-taria, il futuro dei popoli euro-pei, i rapporti con il mondoislamico e gli Stati Uniti, sonogli argomenti trattati dal libroIslamisme et Etats Unis, unealliance contre l’Europe scrit-to da Alexandre Del Valle. Pub-blicato in Francia dalle edizio-ni L’Age d’Homme (3 rue Fer-

rou, St. Sulpice, Parigi) egiunto in pochi mesi già allaquarta edizione. Il testo è stato prefato dal ge-nerale Gallois (ideatore della“force de frappe” francese) e daJean Pierre Peroncel-Hugoz,(corrispondente dal MedioOriente per Le Monde), susci-tando un ampio dibattito ol-tralpe. Per Quaderni Padani, abbiamointervistato l’autore, che ci haspiegato le ragioni delle tesiche ha avuto modo peraltro diesporre alla fine dello scorsoanno durante un dibattito or-

ganizzato dal Circolo “Padaniain Europa” all’Hotel Cavalieridi Milano.

Dottor Del Valle, lei sostienel’esistenza di un’alleanza “sog-gettiva” e “oggettiva” degliStati Uniti e dell’Islam in fun-zione anti-europea; in qualemaniera un’alleanza così cla-morosa starebbe operando?Al di là delle apparenze e dellapropaganda degli ultimi anni,vi è la volontà da parte degliStati Uniti di utilizzare un cer-to fondamentalismo islamicoper destabilizzare in futurol’Europa. Questa azione vienepreparata anche e soprattuttotramite l’immigrazione extra-comunitaria.A tale ipotesi si giunge analiz-zando l’aiuto diretto e indiret-to fornito dagli Americani al-l’Arabia Saudita e al Pakistan,che a loro volta sono i maggio-ri finanziatori degli islamistinel mondo. Dall’Algeria allaBosnia e al Kossovo, fino adarrivare ai Centri islamici edalle moschee disseminate intutta Europa, questa alleanza èoperativa. Non è un caso cheWashington appoggi incondi-zionatamente la Turchia nellasua politica di conquista deiBalcani e nella sua arrogante eparadossale richiesta di entra-re nell’Unione Europea, al finedi distruggerla dall’interno.Come non è un caso che il mi-liardario americano Soros ab-bia pagato il gruppo di giuristiche hanno affiancato la delega-zione albanese durante i nego-ziati di Rambouillet.D’altra parte le sanzioni USA

e di razzia, finalizzata a impos-sessarsi delle ricchezze accu-mulate dagli “infedeli”, a di-struggerne la civiltà e a tra-sformarli in masse di schiavi.L’incontro-scontro con l’Islamè stato l’elemento più trauma-tico e duraturo dell’intera sto-ria europea che era stato inqualche modo dimenticato ne-gli ultimi decenni per una sor-

ta di “rimozione storica”e perché il Novecento èsicuramente stato il se-colo che ha conosciuto illivello più basso dell’ag-gressività musulmana,contenuta dagli stati eu-ropei sulla sponda meri-dionale del Mediterra-neo, sia pur con grandisacrifici di sangue e dienergie. Oggi il proble-ma ricomincia a propor-si sul territorio europeoin una forma del tuttonuova - quella dell’inva-sione strisciante e appa-rentemente pacifica -che non ha precedentinel passato e che vede lasocietà europea del tuttoindifesa e impreparata.Proprio per questo è fon-

damentale la conoscenza dellalunga storia di uno scontro diciviltà che non è per nulla ter-minato ma che rischia di en-trare in una fase di preoccu-pante virulenza a causa dellaritrovata aggressività di unaparte e della (solita) debolezzae lentezza di reazione dell’al-tra.

N.M.

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110 - Quaderni Padani Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999

contro la Libia e l’Iran e laguerra di annientamento con-tro l’Iraq sono state dettatedalla volontà di attaccare gliinteressi geo-economici euro-pei e ad indebolire quegli statiche si differenziano dall’Islamsaudita.

Ma gli Stati Uniti sono o nonsono alleati dell’Europa?Gli Europei devono sapere chedopo la caduta del Muro diBerlino, sia per ragioni econo-miche che geopolitiche, gli in-teressi USA non collimano piùcon quelli dei loro cosiddettialleati (vassalli?) europei. Ilfatto in sé non è affatto sor-prendente visto che la diplo-mazia e la strategia internazio-nale non sono mai state fonda-te sulla filantropia universalebensì sulla difesa degli interes-si nazionali spesso al di là dellealleanze apparenti. Questa po-

litica aggressiva americana neiconfronti degli Europei è aper-tamente affermata e praticataper esempio nel campo delcommercio internazionale at-traverso la strumentalizzazio-ne dell’Organizzazione Mon-diale del Commercio (WTO).Dal punto di vista storico egeopolitico, spesso si dimenti-ca che sia la civiltà islamicache quella americana si sonoentrambe affermate “contro”l’Europa: la prima invadendo-ne e islamizzando varie nazio-ni prima della provvidenziale“Reconquista” spagnola, la se-conda imponendo il propriogiogo “liberatore”, a base disottocultura e di basi militari,e sostituendone l’egemonia alivello mondiale.

In questo quadro come si inse-risce l’immigrazione extraco-munitaria in Europa?Le comunità islamiche instal-late in Europa hanno un’im-portanza strategica fondamen-tale per gli Stati musulmani.Infatti una volta che questiavranno la nazionalità dei pae-

si di accoglienza potran-no costituire il nucleogiuridico autoctono diuna futura islamizzazionedell’Europa. Ricordiamo-ci infatti che il Coranovieta ai Musulmani di ob-bedire ai “poteri empii”non islamici e obbliga al-la Guerra Santa nel mo-mento in cui sia possibilesottomettere gli infedeli.Proclamando l’unità difatto dell’”Umma islami-ca” (la comunità dei cre-denti), l’Islam in futuropotrebbe reclamare lacreazione di “Repubbli-che Islamiche” in Europa,laddove i Musulmani so-no maggioritari rispetto

alla popolazione locale, pensia-mo ad esempio a Marsiglia.Tutto ciò è inaccettabile. Sottole mentite spoglie del “multi-culturalismo” si nasconde lavolontà di “libanizzare” l’Euro-pa. Sterile colpevolizzata emoralmente in ginocchio,l’Europa è stremata dalla sot-tocultura americanoide (Rap,MTV, Politically Correct, ecce-tera) ed edonista che imponela religione mondialista delVillaggio Globale, togliendociogni energia morale e ogni co-scienza tradizionale. In questoquadro “i nuovi Cavalieri di Al-lah” non si faranno pregareper imporci la loro legge. Ri-cordiamo che la storia nonperdona i popoli che abdicanoa sé stessi, come diceva PaulValery: “se non vengono difesefedelmente, le civiltà possonomorire”.

Simili discorsi, a causa di dog-mi imposti dalla sinistra mon-dialista vengono spesso taccia-ti di “razzismo”...Se si condanna in tal modouna presunta crescita di unnon ben definito “razzismo” inEuropa, non è certo perché l’o-dio per l’Altro sia più diffusoda noi che in altre parti delmondo, bensì perché in Euro-pa l’appartenenza etnica ècombattuta più che altrove.Non è certo in Cina, in Tur-chia, in Marocco o in Nigeriache i matrimoni inter-razzialie inter-religiosi sono praticatie presentati come un bene,tutt’altro! Perché dunque i po-poli europei sono bastonati peril loro presunto “razzismo”? Larisposta psicologica è che piùsi dubita di sé e più ci si giusti-fica, più l’avversario attacca erimprovera. È proprio la catti-va coscienza e la vergogna disé stessi instillata dallo spirito

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Anno V, N. 22/23 - Marzo-Giugno 1999 Quaderni Padani - 111

nichilista ereditato dall’ideolo-gia “sartriana” e sessantottinache procura ai nemici della ci-viltà europea la sensazione diavere già vinto. Purtroppo nel-le scuole e nei mass-media do-mina la dittatura del “politica-mente corretto”, la quale cri-minalizza ogni opposizione alMondialismo ispirando leggiliberticide che reprimono i pa-trioti europei. Voi in Italia ave-te per esempio la “Legge-Man-cino” che mira a impedire lanaturale difesa della preferen-za etnica, nazionale ed euro-pea. Come diceva lo strategacinese Sun-Tzu, a volte perconquistare una nazione non énecessario utilizzare la spada,basta distruggerne la cultura el’autostima di sé. Bisogna ave-re il coraggio di dire chiara-mente che l’arsenale giuridicoe ideologico del cosiddetto“antirazzismo”, che si concre-tizza nella condanna automati-ca di ogni sentimento patriot-tico e di appartenenza identita-ria assimilandoli arbitraria-mente al nazismo - la cosid-detta “reductio ad hitlerum”analizzata da Leo Strauss -non è nient’altro che un episo-dio della guerra psicologicacontro i nostri popoli in attoda vari anni. Questa guerra èportata avanti da ben indivi-duate lobbies internazionaliche si avvalgono spesso del-l’aiuto, non richiesto, di “utiliidioti”, censori ossessivi diun’inesistente “peste bruna”.Dal punto di vista semanticobisogna inoltre specificare cheper “razzismo” si intende un’i-deologia che propone la supe-riorità di una razza rispetto aun’altra (esiste dunque ancheun razzismo cinese, un razzi-smo negro, come anche unrazzismo ebraico) e ne giustifi-ca il dominio: è quanto si è ve-

rificato per esempio con il co-lonialismo. Esso sottointendeun’attitudine “aggressiva” e di“conquista”. I vari movimentipolitici che oggi invece si op-pongono all’immigrazione inEuropa, lo fanno in conse-guenza di un fenomeno - l’ar-rivo di milioni di extraeuropei- legittimamente sentito comeun’“invasione”. Oggi il FrontNational in Francia, Haider inAustria, il Vlaams Blok in Bel-gio, la Lega Nord in Padania,eccetera., sono il riflesso di unistinto di difesa dei propri po-poli, ecco perché la loro assi-milazione al “razzismo” rilevaesclusivamente della malafedeo dell’ignoranza pura e sempli-ce. Difendendo il proprio terri-torio e la propria gente, essipossono essere legittimamenteconsiderati semmai come mo-vimenti di liberazione nazio-nale. Dal punto di vista storicoe cronologico sono inoltre tut-ti movimenti che sono nati e sisono affermati quarant’annidopo la seconda guerra mon-diale.

Concretamente per far fronteal progetto mondialista cosabisogna fare secondo lei?Prima di tutto si deve creareun sistema giuridico e costitu-zionale che sia in grado di pro-teggere le nazioni e i popolieuropei. In tal senso si deveadottare lo “Ius Sanguinis” ilquale prevede che la cittadi-nanza e la nazionalità discen-dono dai genitori. In secondoluogo si deve favorire l’adozio-ne del principio di “preferenzanazionale”, prevedendo la prio-rità in tutti i settori per i citta-dini europei rispetto agli extra-comunitari. È necessario darevita a un sistema costituziona-le che favorisca l’emergere diuna democrazia organica, pre-

vedendo un ampio ricorso al-l’utilizzo dei referendum e allasovranità popolare in contrap-posizione allo strapotere delleCorti Costituzionali, le quali,applicando quasi esclusivamen-te la dottrina monista di Kel-sen, che prevede l’esistenza diun unico diritto mondiale, so-no spesso e volentieri la cin-ghia di trasmissione del Mon-dialismo nei vari sistemi giuri-dici europei. Ciò è particolar-mente evidente in Francia.L’obbiettivo è rimettere in di-scussione l’interpretazione ul-traindividualista e cosmopolitadei diritti dell’uomo che vengo-no usati come grimaldello perdistruggere i diritti dei popoli.Ugualmente bisogna riabilitarelo spirito civico e identitarionelle scuole, contrastando nelfrattempo l’egemonia afro-americana nei mass-media, iquali diffondono una sottocul-tura commerciale che agiscesubliminalmente (vedi Benet-ton, N.d.R.) come principio diinibizione psicologico e identi-tario.Non si deve inoltre avere timo-re a introdurre una politica fa-miliare generosa per gli autoc-toni, al fine di limitare l’invec-chiamento suicida dell’Europa.Dal punto di vista strategicobisogna rimettere in discussio-ne la NATO - che preferisce di-fendere gli interessi della Tur-chia piuttosto che quelli dellaMitteleuropa e del baricentrocontinentale franco-tedesco -dando vita a un sistema di dife-sa europeo autonomo e indi-pendente dagli Stati Uniti.

Giorgio Mussa

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