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ti racconta n. 2 - 25 novembre 2019 CAD M A che punto siamo CENTRO AIUTO DONNE MALTRATTATE Come tue sapete, a fine giugno abbiamo deciso di non firmare la convenzione con Regione Lombardia per il prolungamento fino al 31/12 del progeo Aemide. Per la firma della convenzione Regione Lombardia imponeva obbligatoriamente il conferimento del Codice Fiscale delle donne accolte, condizione per noi inacceabile. Abbiamo così dovuto lasciare le sedi decentrate di Lissone, Seregno e Brugherio, che sono stati affidati a White Mathilda e Telefono Donna; lo spoello di rete di Monza viene gestito congiuntamente da questi due enti. Questa decisione ha significato anche dover rinunciare, con grande rammarico, alla collaborazione delle nostre operatrici dell’accoglienza, che avevano così bene coordinato il lavoro delle sedi decentrate. Le tante e sgradevoli polemiche che si sono scatenate sui social non hanno ceamente aiutato a capire e a fare chiarezza sui reali mivi che ci hanno convinte ad uscire dal progeo; parallelamente, abbiamo ricevuto in questo passaggio così complicato anche molti aestati di stima e di solidarietà. A paire da luglio le volontarie che facevano accoglienza nelle sedi distaccate, hanno iniziato a svolgere la loro aività in sede. Ci è voluta tanta pazienza e spirito di adaamento per trovare spazi e tempi per rendere fluida la nuova organizzazione: da questo punto di vista, i risultati non sono ancora timali ma entro fine anno lo schema di orari e presenze nei gruppi di centralino sarà definito con precisione, anche in vista dell’ingresso delle nuove volontarie che stanno facendo il corso di formazione. Per fare chiarezza sulla situazione ed andare oltre le polemiche che sono inutili e creano malintesi, in data 30/09/2019 abbiamo inviato a tui i componenti del Tavolo di Governance della Rete Aemide, un documento in cui precisiamo le modalità con cui intendiamo continuare a operare nella Rete stessa: noi siamo uscite dal progeo, ma non ceo dalla Rete. Saremo presenti come centro antiviolenza meendo a disposizione le aività che abbiamo sempre svolto. Più precisamente: ͳ Colloqui individuali di accoglienza, su appun- tamento, per costruire un progeo personalizzato di uscita dalla violenza, apeo a tue le donne del territorio. ͳ Consulenze psicologiche e legali di suppoo. ͳ Coordinamento con gli altri soggei della Rete coinvolti e collaborazione con gli altri Centri convenzionati nel caso esista un pericolo immi- nente per la donna e sia necessaria la sua messa in prezione. ͳ Aività di formazione e prevenzione nelle scuole e nelle aziende ed incontri di sensibilizzazione organizzati in collaborazione con Comuni o as- sociazioni. Abbiamo stanziato fondi nostri per continuare a svolgere le aività di cui sopra; dovremo spender- li con oculatezza ma siamo convinte che non eere legate ad alcuna Convenzione ci darà una maggiore libeà di azione e ci permeerà di perseguire con più efficacia il nostro progeo.

n. 2 - 25 novembre 2019 A che punto siamoQuando un anno fa circa la Federazione Nazionale del - ... giornalista è evidentemente convinto che se un uomo non ti blocca i polsi, non

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Page 1: n. 2 - 25 novembre 2019 A che punto siamoQuando un anno fa circa la Federazione Nazionale del - ... giornalista è evidentemente convinto che se un uomo non ti blocca i polsi, non

ti raccontan. 2 - 25 novembre 2019

CAD MA che punto siamo

CENTROAIUTO

DONNEMALTRATTATE

Come tutte sapete, a fine giugno abbiamo deciso di non firmare la convenzione con Regione Lombardia per il prolungamento fino al 31/12 del progetto Artemide. Per la firma della convenzione Regione Lombardia imponeva obbligatoriamente il conferimento del Codice Fiscale delle donne accolte, condizione per noi inaccettabile. Abbiamo così dovuto lasciare le sedi decentrate di Lissone, Seregno e Brugherio, che sono stati affidati a White Mathilda e Telefono Donna; lo sportello di rete di Monza viene gestito congiuntamente da questi due enti. Questa decisione ha significato anche dover rinunciare, con grande rammarico, alla collaborazione delle nostre operatrici dell’accoglienza, che avevano così bene coordinato il lavoro delle sedi decentrate .Le tante e sgradevoli polemiche che si sono scatenate sui social non hanno certamente aiutato a capire e a fare chiarezza sui reali motivi che ci hanno convinte ad uscire dal progetto; parallelamente, abbiamo ricevuto in questo passaggio così complicato anche molti attestati di stima e di solidarietà.A partire da luglio le volontarie che facevano accoglienza nelle sedi distaccate, hanno iniziato a svolgere la loro attività in sede. Ci è voluta tanta pazienza e spirito di adattamento per trovare spazi e tempi per rendere fluida la nuova organizzazione: da questo punto di vista, i risultati non sono ancora ottimali ma entro fine anno lo schema di orari e presenze nei gruppi di centralino sarà definito con precisione, anche in vista dell’ingresso delle nuove volontarie che stanno facendo il corso di formazione.Per fare chiarezza sulla situazione ed andare oltre le polemiche che sono inutili e creano malintesi, in data 30/09/2019 abbiamo inviato a tutti i componenti del Tavolo di Governance della Rete Artemide, un documento in cui precisiamo le modalità con cui intendiamo continuare a operare nella Rete stessa: noi siamo uscite dal progetto, ma non certo dalla Rete. Saremo presenti come centro antiviolenza mettendo a disposizione le attività che abbiamo sempre svolto. Più precisamente:

ͳͳ Colloqui individuali di accoglienza, su appun-tamento, per costruire un progetto personalizzato di uscita dalla violenza, aperto a tutte le donne del territorio.

ͳͳ Consulenze psicologiche e legali di supporto.ͳͳ Coordinamento con gli altri soggetti della Rete

coinvolti e collaborazione con gli altri Centri convenzionati nel caso esista un pericolo immi-nente per la donna e sia necessaria la sua messa in protezione.

ͳͳ Attività di formazione e prevenzione nelle scuole e nelle aziende ed incontri di sensibilizzazione organizzati in collaborazione con Comuni o as-sociazioni.

Abbiamo stanziato fondi nostri per continuare a svolgere le attività di cui sopra; dovremo spender-li con oculatezza ma siamo convinte che non essere legate ad alcuna Convenzione ci darà una maggiore libertà di azione e ci permetterà di perseguire con più efficacia il nostro progetto.

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Credevamo che il problema fosse risolto, e invece no. Quando un anno fa circa la Federazione Nazionale del-la Stampa ha lanciato il Manifesto di Venezia, una li-nea guida per una corretta informazione sulla violenza sulle donne, eravamo certe che non avremmo più letto

ricostruzioni deviate dall’ignoranza e il maschilismo, sui nostri giornali. Ma poco è cambiato. Qualche settimana fa sul Corriere della Sera è stata pubblicata un’intervista a Maila Andreotti, cicli-sta 25enne, che ha abbandonato la nazionale dopo aver parlato di casi di molestie sessuali e psicologiche nel mondo del ciclismo. Più che di intervista, si tratta di un interrogatorio: tra le domande rivolte all’atleta ci sono insinuazioni, commenti e affermazioni volte a sminuire quanto raccontato. Tutto molto rappresentativo di come in Italia parlare apertamente di molestie sessuali è pra-ticamente impossibile.“Sei sicura che è una molestia? Non è che stai esagerando?”. Il giornalista è evidentemente convinto che se un uomo non ti blocca i polsi, non ti strappa i vestiti o ti obbliga a contatti non richiesti non si possa parlare di violenza, figuriamoci di mole-stie sessuali. Un’intervista del genere è inaccettabile e infatti i Comitati Pari Opportunità di Fnsi, Usigrai e l’associazione Giu-lia Giornaliste hanno sottolineato “il linguaggio sessista, il tono provocatorio e insinuante, l’approccio denigratorio nei confronti dell’intervistata e di tutte coloro che quotidianamente subiscono violenza”.

E’ stato il Giornale a definire “gigante buo-no” l’assassino di Elisa Pomarelli, nel piacen-tino ed è stato Bruno Vespa, nell’intervista a Lucia Panigalli, scam-pata per due volte a un tentativo di femmini-cidio da parte dell’ex compagno (e oggi sot-to scorta) a minimiz-zare ogni accusa della donna: Il conduttore ha pronunciato frasi come «lei è fortunata perché è sopravvissuta mentre molte donne vengono uccise» e ha chiuso dicendo «se avesse voluto ucciderla l’avrebbe uccisa».Esistono linee guida e strumenti a disposizione dei giornalisti per parlare di violenza domestica o sessuale e condurre intervi-ste a sopravvissute. Non si tratta solo di applicare regole, ma di sviluppare una certa sensibilità - anche quella serve per fare buon giornalismo - per porsi e porre le giuste domande. Altrimenti il rischio è diventare amplificatori della cultura sessista che giusti-fica gli abusanti.

Di cosa abbiamo bisogno, oggi

PIÙ INFORMAZIONE... per comprendere

Il 28 ottobre è stato pubblicato il primo rapporto ISTAT sui centri antiviolenza in Italia (istat.it/it/archivio/234874). Il rapporto riconosce la qualità del lavoro svolto dai centri antiviolenza nell’ambito dell’accoglienza delle donne che subiscono violenza, l’importanza della partecipazione dei centri alle reti territoriali, il valore dell’offerta formativa rivolta alle scuole e alle organizzazioni locali (personale sanitario, personale giudiziario, ecc.).

Emergono tuttavia forti criticità per quanto riguarda il numero dei centri e le risorse disponibili. L’indagine prende in esame il 2017:

Dal rapporto emerge inoltre una distribuzione disomogenea dei centri sul territorio nazionale. La fonte principale di finanziamento dei centri antiviolenza è pubblica, soprattutto al Sud. Secondo una rilevazione svolta da D.i.RE e riferita al 2017 (direcontrolaviolenza.it/wp-content/uploads/2019/01/Report-2017.pdf), i fondi regionali costituiscono il 28% delle risorse a disposizione dei centri mentre quelli comunali il 25% (dipartimento per le pari opportunità 13%; province 4%; UE 0,7%). Si tratta di finanziamenti erogati sulla base del numero delle donne accolte e, secondo ISTAT, sempre inferiori alle spese sostenute dai centri: dodici milioni di euro nel 2017 che, divisi per il numero di donne accolte, fanno 76 centesimi al giorno. Fin qui, i dati del 2017. Nella prossima indagine ISTAT, quali saranno i numeri dei centri lombardi della rete D.i.RE che hanno rinunciato ai finanziamenti regionali?

centri antiviolenza attivi (quelli che rispon-dono ai requisiti dell’Intesa stato regioni

del 2014), pari allo 0,05 centri per diecimila abitanti (la Convenzione di Istanbul individ-ua come obiettivo un centro ogni diecimila

abitanti)

le donne che si sono rivolte ai centri. 20137 si sono rivolte ai centri della rete D.i.RE

delle donne ha iniziato un percorso di usci-ta dalla violenza

281

43467

67,2%

63,7% delle donne ha figli

4403sono le professioniste (il termine include le operatrici dell’accoglienza) che operano nei centri. 1933 (43,9%) di loro sono retribuite mentre 2470 (56,1%) sono volontarie

72,8% delle donne ha figli minorenni

PIÙ SOLDI... per sostenere

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Serve anche, e moltissimo, una cultura adeguata per rapportarsi alla violenza. È indispensabile usare attenzione, delicatezza, empatia per riuscire a comprendere quando ci troviamo di fronte a una donna, o a una ragazzina, due volte in diffi-coltà: perché vittima, ma anche perché spesso sopraffatta dal timore di parlare. Sono molte le categorie di persone che in particolare andrebbero formate, educate perché particolarmente esposte a fatti di violenza che andrebbero riconosciuti, denunciati, stoppati e adeguatamente puniti.

È un fatto di cronaca recente quello che ha coinvolto un’insegnante di Pavia: la docente ha notato che sua alunna aveva dei lividi sulle gambe, oltre a manifestare comportamenti sospetti come frequenti pianti in classe. La maestra prima ha riferito tutto alla preside ma non essendo stato adottato nessun provvedimento ha deciso di rivolgersi direttamente alle forze dell’ordine che hanno subito segnalato la vicenda al Tribunale per i minori di Milano. A quel punto, il colpo di scena: la dirigente ha sospeso per un giorno (non retribuito) la maestra, per aver violato il segreto d’ufficio e aver arrecato un danno d’immagine alla scuola. “Non è possibile aspettare sempre che accadano le tragedie prima di trovare il coraggio di denunciare una violenza”, ha dichiarato l’insegnante.

Ancora più sconfortante, disarmante, il sapore di alcune sentenze emesse da giudici - uomini e donne indi-stintamente -: sentenze che nascondono i sintomi di una cultura che tende a minimizzare o addirittura a giustificare fatti gravissimi. È di pochi mesi fa la dichiarazione di un giudice che ha respinto una denuncia per stupro perché la donna era “troppo mascolina” e solo qualche giorno fa sono state revocate le attenuanti all’assassino di Olga Matei, che in un primo momento era stato quasi “giustificato” in quanto vittima di una “soverchiante tempesta emotiva”.

Sarebbe opportuno, come accade da un po’ con le forze dell’ordine e con gli operatori di Pronto Soccorso, che ci si preoccupi di dare una formazione adeguata ad affrontare la violenza. Insegnanti che guardino davvero i ragazzi (e le ragazze) che hanno di fronte, uomini e donne di legge che imparino a pesare con grande cura le parole che compongono una sentenza. Diversamente, a una donna già ferita, ogni parola arriverà come un pugnale. Uno di troppo.

150 uomini e donne hanno sfilato a Piacenza, fianco a fianco, condividendo rac-conti e testimonianze; un corteo degli uomini contro la violenza sulle donne e per difendere la libertà delle donne di scegliere. “Libere di scegliere (uomini per le donne)” è infatti lo slogan di questa manifestazione che ha visto anche la par-tecipazione di Associazioni, Sindacati e Movimenti. “Le donne devono essere li-bere di scegliere: di uscire la sera vestite come si sentono, di interrompere una gravidanza, di dire no, di esprimere la propria opinione, di chiudere una storia”, ha commentato Manrico Maglia, promotore dell’iniziativa, “La violenza culturale si traduce poi in violenza verbale, psicologica e fisica. Anche le mamme devono insegnare ai figli maschi il rispetto già da piccoli”. E a gennaio, dopo la manifesta-zione a Piacenza, anche a Milano gli uomini saranno in piazza contro la violenza maschile sulle donne in una manifestazione organizzata dall’ARCI di Corvetto.

Dalle suffragiste alle femministe, fino alle lotte più recenti, i movimenti politici delle donne nel passato e nel presente hanno chiesto agli uomini di cambiare. Per questo manifestare contro qualsiasi forma di violenza sulle donne è un modo per mettersi in discus-sione e percorrere una strada comune per una società migliore. Un segnale importante degli uomini che iniziano a prendere coscienza di un loro percorso, personale e collettivo, volto a colmare l’abisso tra universo femminile e maschile, un segnale di una nuova consapevolezza, una strada che, se percorsa fino in fondo, può fare la differenza. Ed è di grande sollievo sapere che in Italia sono diversi i centri che sostengono gli uomini maltrattanti: 59 attivi alla fine del 2017, alcuni caratterizzati da più sedi, per un totale di 76 punti di accesso, per lo più concentrati in Lombardia, Emilia Romagna e Tosca-na. Alcuni centri sono diventati nel tempo modello per altri. Il CAM (Centro Ascolto Uomini Maltrattanti) ha promosso la nascita di Relive (Relazioni Libere dalla Violenza), network nazionale dei centri per autori di violenza, che oggi conta 21 tra soci ed affiliati.Una strada in salita? Forse. Certamente un percorso lungo ed articolato.

PICCOLI UOMINI CRESCONO... ...E poi serve lavorare anche sui ragazzi nelle scuole, per la costruzione di un’alfa-betizzazione degli affetti e puntare ad una vera e propria “competenza amorosa” che metta i ragazzi, in futuro, al riparo dalle relazioni violente. Agire sulla quotidianità, per la conoscenza delle differenze di genere e comprendere che queste non comportano la superiorità di qualcuno a discapito di un altro. Spiegare ai bambini, usando termini semplici e comprensibili, che la violenza non è mai la risposta giusta, nemmeno come reazione ad un’offesa o ad una ingiustizia. Creare consapevolezza può rendere mi-gliori gli uomini di oggi, come formare i ragazzi nelle scuole oggi può rendere giusti gli uomini di domani.

PIÙ UOMINI... per trasformare

PIÙ CULTURA... per contrastare

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LE DISOBBEDIENTI - STORIE DI SEI DONNE CHE HANNO CAMBIATO L’ARTEdi Elisabetta RasyMalgrado la diversità di epoca storica, di ambiente e di carattere, un tratto es-senziale accomuna sei pittrici: il talen-to prima di tutto, ma anche la forza del desiderio e il coraggio di ribellarsi alle regole del gioco imposte dalla società. Ognuna di loro, infatti, ha saputo ar-marsi di una speciale qualità dell’anima per contrastare la propria fragilità e le aggressioni della vita: antiche risor-se femminili, come coraggio, tenacia, resistenza, oppure vizi trasformati in virtù, come irrequietezza, ribellione e passione.

MORGANA. STORIE DI RAGAZZE CHE TUA MADRE NON APPROVEREBBEdi Michela Murgia e Chiara TagliaferriControcorrente, strane, pericolose, esa-gerate, difficili da collocare. E rivolu-zionarie. Sono le dieci donne racconta-te in questo libro e battezzate da una madrina d’eccezione, la Morgana del ciclo arturiano, sorella potente e peri-colosa del ben più rassicurante re dalla spada magica.

ANCHE IO HO DENUNCIATOdi Sabrina LemboRacconta il dramma realmente vissuto da donne che subiscono violenza psico-logica, prima ancora che fisica, e la dif-ficoltà che incontrano nel denunciarlo. Scritto in lingua italiana e spagnola, sotto forma di sceneggiatura, il testo vuole essere un simbolo di riscatto e di incoraggiamento per coloro che resta-no soli, spesso sentendosi abbandonati e non creduti da nessuno.

IL GRANDE INGANNO di Marianna AprileChe relazione c’è tra le first lady ita-liane, invisibili o esposte ma silenti, e le donne che della politica scelgono di fare la propria missione? Apparen-temente nessuna. Ma basta grattar via la patina di glamour da copertina delle prime e guardare alle battaglie delle seconde per capire che un nesso c’è e ha a che fare col rapporto problemati-co che la politica ha con le donne in Italia.

LADIES FOOFBALL CLUB di Stefano MassiniIn un campo da calcio improvvisato un giorno di aprile del 1916 il destino di 11 donne si compie. E quando un desti-no si compie c’è una storia da racconta-re. Questa storia è quella della nascita del calcio femminile.

I FIGLI DEI NEMICI. EGLANTYNE JEBB. STORIA DELLA RIVOLUZIONARIA CHE FONDÒ SAVE THE CHILDRENdi Raffaela Milano

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La scomparsa di mia madreDocumentario in cui il regista raccon-ta la madre Benedetta Barzini, modella negli anni 60, musa di fotografi e arti-sti come Irving Penn, Richard Avedon, Andy Warhol e Salvador Dalì. Benedetta vuole riappropriarsi della propria im-magine autentica e sottrarla al sistema della moda e ad una rappresentazione convenzionale. Come dice lei stessa nel film, nelle fotografie di moda, la don-na è rappresentata come natura mentre l’uomo come pensiero, ragione.

Lou von SalomèIl racconto della vita di Lou von Sa-lomè, scrittrice, filosofa e psicanalista nata a San Pietroburgo nel 1861. Allie-va di Freud e “compagna” di Nietzsche e Rilke, lotta tutta la vita per la propria indipendenza percorrendo una strada spesso dolorosa. Ritiene che il matri-monio e i figli aumentino la dipendenza di una donna da un uomo relegandola in un ruolo subalterno.

Lunedì 25 novembre - ore 21:00Comune di OmateSerata organizzata dalle Ricamatrici di Omate con proiezione del film “L’affido - Una storia di violenza” di Xavier Le-grand. Interverranno per il Cadom Fran-ca Cavalazzi e Laura Crippa

Lunedì 25 novembre - ore 21Auditorium I.I.S. M. L. King - Muggiò“Amore senza violenza” inteverrà la Dr.ssa Francesca Santini

Giovedì 28 novembre – ore 20.45Salone di Apollo del Palazzo RasiniP.zza Libertà, 18 - Cavenago BrianzaL’amore, la paura, la rabbia, la consa-pevolezza, una serata di testimonianze, canzoni e immagini

Domenica 01 dicembre – ore 17/20Auditorium Comune di Bernareggio“Ritratti di Donna”, performance teatra-le, sarà possibile iscriversi ad uno dei tre turni messi a disposizione alle 17,18,19, max 20 partecipanti per turno. L’evento è gratuito ma è necessaria la prenota-zione specificando il turno desiderato, tramite mail a: [email protected]

Dal 10 al 25 novembreNei negozi del centro di SeregnoEsposizione delle illustrazione di Anar-kikka per la campagna “Non chiamatelo raptus”

Martedì 3 dicembre – ore 20Loft American Bar, via Borgazzi 147 MonzaCena per il 25° anniversario C.A.DO.M.

C.A.DO.M. O.d.V.Centro di Aiuto alle Donne MaltrattateVia Mentana 43 - 20900 Monza (MB)

Tel. 039 [email protected] - www.cadom.it

Questo notiziario è stato redatto da Antonella, Betty, Barbara e Lucia

con la collaborazione di Anna F.

Sostienici...Anche tu puoi fare alcune semplici cose: • puoi agire, oltre ad indignarti perchè la violenza

non è un fatto privato;• puoi chiedere aiuto a C.A.DO.M se non sai come

fare;• puoi sostenerci, con una donazione minima di

€20 (€15 se sei uno studente/ssa): riceverai la nostra T-shirt “si-può-fa-re!” e la Tessera Amici C.A.DO.M. 2019;

• puoi seguirci sulla nostra pagina Facebook face-book.com/cadom.monza per condividere idee e riflessioni.

UN PONTE DI LIBRIdi Jella Lepman

Una biografia e un’autobiografia. Due donne che hanno provato a risolleva-re l’umanità dalle macerie della guerra dedicandosi ai bambini e superando le barriere dell’odio. Eglantyne Jebb, in-glese, ha fondato Save the Children con l’obiettivo di portare sollievo ai bam-bini che morivano di fame a seguito dell’embargo che le potenze vincitrici della prima guerra mondiale mantene-vano nei confronti di Austria e Germa nia.

Jella Lepman, ebrea, nel 1945 fu in-caricata di condurre un programma di “rieducazione” delle donne e dei bam-bini tedeschi nelle zone occupate dagli Americani e fondò la Jugendbibliothek di Monaco e IBBY – International Bo-ard on Books for Young People.

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QUELLE COME ME

Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive.Quelle come me donano l ’anima,perché un’anima da sola è come una goccia d’acqua nel deserto.Quelle come me tendono la mano ed aiutano a rialzarsi,pur correndo il rischio di cadere a loro volta.Quelle come me guardano avanti,anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro.Quelle come me cercano un senso all ’esistere e, quando lo trovano,tentano d’insegnarlo a chi sta solo sopravvivendo.Quelle come me quando amano, amano per sempre.e quando smettono d’amare è solo perchépiccoli frammenti di essere giacciono inermi nelle mani della vita.Quelle come me inseguono un sognoquello di essere amate per ciò che sonoe non per ciò che si vorrebbe fossero.Quelle come me girano il mondo alla ricerca di quei valori che, ormai,sono caduti nel dimenticatoio dell ’anima.Quelle come me vorrebbero cambiare,ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo.Quelle come me urlano in silenzio,perché la loro voce non si confonda con le lacrime.Quelle come me sono quelle cui tu riesci sempre a spezzare il cuore,perché sai che ti lasceranno andare, senza chiederti nulla.Quelle come me amano troppo, pur sapendo che, in cambio,non riceveranno altro che briciole.Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso,purtroppo, fondano la loro esistenza.Quelle come me passano inosservate,ma sono le uniche che ti ameranno davvero.Quelle come me sono quelle che, nell ’autunno della tua vita,rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto dartie che tu non hai voluto… Ald

a M

erin

i

A 10 anni dalla scomparsa, lei rimane una traccia viva dentro ad ogni donna che lotta...