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Filosofia della Musica
Nella storia della poetica occidentale ben prima che nascesse l’idea di una
comunione politica ed economica già la poesia aveva tessuto legami profondi fra le
sponde del continente europeo (Esposito): quando ancora il pensiero politico
soffriva delle crisi del nazionalismo e si preparavano le due grandi guerre, poesia
pittura e musica andavano di concerto da tempo, e con un entusiasmo documentato
dall’innesto felice di idee e progetti estetici, fra i quali quello della lirica merita un
momento di particolare interesse ai nostri scopi: nel primo ‘900 Firenze era la
capitale della poesia europea, una poesia dove la lirica trovava nuove forme di
espressione, soprattutto nei modi dell’ermetismo, rimettendo linfa vitale ai momenti
di un espressionismo un pò provato e come all’interno di un vicolo cieco. Lirica
come “suprema illusione di canto che miracolosamente si sostiene dopo la
distruzione di tutte le illusioni” (Solmi). Lirica significa legame indissolubile di voce e
canto, indispensabile nervatura della metrica, poesia come prima voce dell’Arte.
Proprio la tematica ben presente fin dal mondo antico, almeno per quanto possiamo
ricordarne: la poesia come voce della prima delle Muse, la Musica.
L’ultimo libro della Poetica di Aristotele è interamente dedicato all’educazione e ai
motivi che fanno ritenere importante quella musicale. Si pone l’accento sulle
proprietà e qualità etiche della musica, ritenute superiori alle altre forme di
espressione artisica, sempre però distinguendo la pratica musicale libera da quella
di mestiere, studiando soprattutto le regole dell’armonia e le proprietà dei ritmi. A
differenza di Platone, Aristotele riconosce la necessità di calibrare il tipo di ascolto
musicale sulle qualità e possibilità dei tipi psicologici, diremmo noi oggi,
dell’ascoltatore. Aristotele si pone un problema centrale: la musica è una forma di
piacere e basta, o tende a portare l’uomo all’elevazione? “Nelle melodie è una
proprietà naturale di imitare i costumi ... queste considerazioni possono essere
applicate anche ai ritmi: la musica influenza quindi il carattere”.
Aristosseno tenterà una mediazione fra le posizioni di coloro che attribuiscono alla
musica solo un potere suggestivo, i Pitagorici che la considerano solo sotto l’aspetto
dei rapporti numerici, coloro che sulla scia di damone pongono l’importanza sulla
teoria degli intervalli.
Musica e Medicina sono state strettamente unite fin dagli albori: un farmaco, il
rimedio, aveva effetto solo se veniva somministrato attraverso un rituale, in cui il
canto e il ritmo avevano valore fondamentale. La Musica poteva innfatti portare la
forza dei cieli superiori per un recupero (o una perdita, come nel veneficio) della
salute umana, secondo la dottrina della analogia, come andiamo adesso a vedere
più in dettaglio.
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La Medicina è veramente fra Umanesimo e Scienza, una metà divisoria che imponga
una scelta? Fra quello che chiamiamo passato e il tempo presente esiste un legame
che non poggia su un punto sicuro di osservazione, come dice S.Cirillo filosofo citato
da L.Zekov “Non si deve scrivere una conversazione sull’acqua”.Medicina non è
omogenea per pratiche e modelli, le sue anime sono da sempre molteplici, quella di
capire da una parte e quella di curare e possibilmente guarire dall’altra. Un’anima
riflessiva a carattere speculativo e un’altra che rimanda alla trascendenza di riti
collettivi di guarigione, alla transe.
L’umanesimo per regola si definisce come aspetto peculiarmente filologico del
Rinascimento, anche se i primi e non sempre incerti passi li muove fin dal XII secolo,
alla conquista di un sapere che rifletta una attività concreta della mente al fine di
portare a maturazione il completamento della personalità umana, nella coerenza di
un pensiero libero, con la forza della Bellezza, con una dottrina da far vivere come
morale e non come dogma scolastico. L’humanitas diviene educazione, disciplina
legata ad una certezza di crescita del complesso uomo mente spirito.
Petrarca, che polarizza questa idealità portandola a compiuta espressione scrive sì
la nota invettiva “Contra medicum” ovvero contro il materialismo delle propaggini
più o meno comprese delle scuole arabe, ma scrive in un mondo ancora diviso fra
arti liberali e meccaniche (e fra queste la Medicina, anche se tale divisione non era
poi così rigida: a Bologna uno studente di Medicina portava a termine gli studi in
quattro anni se possedeva un titolo nelle arti liberali, Musica compresa, oppure in
cinque se ne era privo). Nell’invettiva si muove il germe della nuova visione della
Medicina nell’Umanesimo: Petrarca scopre nelle biblioteche vaticane la naturalis
Historia di Plinio, e la apprezza per credere che sia veramente uno specchio della
natura in contrapposizione alle speculazioni di Galeno (anche se non sappiamo
quanto Petrarca conoscesse del metodo sperimentale di lui) al punto da acquistare
una copia della Historia per sé stesso nel 1350 e di suggerire una separazione fra i
medici e i chirurghi, ritenuti dei materialisti al seguito acritico di Ippocrate. La critica
di Petrarca, anche nel seguito delle lettere di risposta dei medici del tempo,
dell’amico Boccaccio e che si protrarrà per un decennio di scritti, è il preludio dello
“strappo” della Medicina umanistica dalla Scolastica. Eppure vale sempre la pena di
essere di larghe vedute, perchè le cose non sono mai così rigide, basti pensare al
circolo di Viterbo sotto Urbano IV fino a Giovanni XXI (egli stesso notevole medico) a
cavallo del 1260-70, dove si muovono passi importanti non solo sul problema di ben
capire Aristotele ma anche il mondo così come appare circondare l’Uomo, con
personalità del calibro di Giovanni Campano, Ruggero Bacone, Guglielmo di
Moerbeke, sembra anche Tommaso D’Aquino, Giovanni Peckam arcivescovo di
Canterbury e confratello di Bacone che prosegue il metodo sperimentale sulla
prospettiva e la catadiottrica, eredità di Alhazen, a lungo un caposaldo per
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l’insegnamento universitario dell’anatomia dell’occhio e la fisiologia del vedere. E’
interessante osservare come l’attenzione alla destinazione didattica del materiale
scientifico organizzato con i nuovi criteri contribuisse alla formazione di un’intera
classe di docenti, a partire dall’esempio veneziano (Vergerio, Guarini), e di lì per
gemmazione ferrarese e mantovano; romano (Valla e l’opuscolo di confutazione
della favola sulla donazione di Costantino); napoletano con Pontano; fiorentino con il
movimento neoplatonico di Ficino e Pico della Mirandola (il primo vero orientalista
dell’Umanesimo italiano); Federico Cesi poi a Roma fa impensierire gli augusti
genitori per i suoi contatti esoterici con il Della Porta, e ancor più quando attiva la
prima Accademia internazionale, quella dei Lincei, con la quale il nuovo spirito
scientifico, dotato di una acutezza visiva quale quella della lince, si irradia per tutta
Europa. E’ il trionfo del metodo umanistico, della critica coraggiosa di Flavio Biondo
nelle Decades, dell’affermazione del principio del libero esame: un concetto di
libertà intesa come costruzione di un rapporto fra condizione umana e vita spirituale
dell’uomo che rimanda ai criteri di proporzione dei costruttori di cattedrali, anche in
senso esoterico, ai principi delle corporazioni muratorie medievali. Bologna
soprattutto, da roccaforte dell’insegnamento scolastico diventa anche pioniera di un
processo di generale rinnovamento, non solo in Medicina ma anche nelle scienze
naturali; da una parte l’insegnamento audace dell’anatomia con Mondino dei Luzzi e
per un breve periodo del grande Vesalio, dall’altra l’Aldrovandi anticipatore della
sistematica di Linneo ma più in generale della scoperta di quanto un modello
sistematico possa condurre più facilmente all’elaborazione di teorie scientifiche, un
maestro che riportò in auge l’insegnamento pratico, il contatto tutoriale con gli
allievi, tutte cose che oggi sembrano quasi una idea nuova.
E’ inevitabile che la misura per l’apprezzamento delle tradizioni e della cultura
antica sia la nostra esperienza moderna, il nostro sentire cultura di oggi, un pò
come Ageno ricordando Planck che dice, nella sua “Autobiografia scientifica”: “ Una
nuova verità scientifica si afferma non perchè i suoi oppositori si convincono ma
perchè subentra per via naturale una nuova generazione che trova familiari i nuovi
concetti”, per cui aggiunge:” Planck non ha tenuto conto che l’esaurimento per
cause naturali può anche non favorire la parte migliore”.
Medicina allora, è solo una conoscenza specializzata a risolvere la natura e
possibilmente il rimedio ai disordini della salute umana, o è una vera e propria
conoscenza, scienza? A guardare il yuchs iatreion iscritto sul frontone di una
biblioteca egizia citato da Diodoro ci accorgiamo della polisemia del termine
Medicina: ramo del sapere-conoscenza, terapia, farmacologia, almeno fino all’epoca
romana. Solo che noi percepiamo l’attività della medicina antica come un modello
chiuso nella triade:modello metafisico, canone e pratica. Ma le cose non stanno del
tutto così, c’è un filo di lettura che rende ragione della passione degli umanisti per il
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platonismo come motore centrale di una certezza nella ragionevolezza della ricerca
scientifica ed in particolare medica, un qualcosa che appella la Medicina stessa
come arte e non come mestiere. In questa temperie si giustifica bene l’apparire del
metodo induttivo di Francesco Bacone, e la drammatica storia dell’insegnamento
padovano di Paracelso, che apre alla sperimentazione ma sotto la vista di una
integrazione fra Uomo e Natura che trascende la realtà fenomenica intesa come
mondo delle apparenze.
La malattia come rottura dell’equilibrio è forse il tema più interessante per la
speculazione della nuova arte medica nell’Umanesimo. La storia dei veleni corruttori
sembra possedere radici profonde, che al di là del fatto storico si approfondano
nella struttura del mito e della poesia. L’Odissea offriva a tratti una lettura diversa
da quella epica, ponendo in evidenza il ruolo magico delle piante, intese come
potenza in atto di virtù celesti. Una potenza che però si accompagna sempre con un
lato oscuro, mortale, opposto a quello salutifero, come a indicare che nel dominio
dell’esperienza sensibile data all’uomo non si può fuggire dalla prigione del
dualismo. Ulisse pertanto viene ad assumere anche il ruolo di prototipo del
navigatore su uno specchio d’acqua non marina ma simbolo perfetto dello stato di
coscienza, e in tal senso può assumere la veste di immagine forte e dolcemente
umana dello Psicopompo per eccellenza: come Mercurio manifesta il duplice
carattere dell’umana esperienza, così Ulisse, mediatrici le piante di Potere,
percorrerà tutti gli aspetti della manifestazione del divino nella prorpia vita, farà
proprie tutte le esperienze di contrapposizione nelle quali l’uomo si dibatte come
all’interno dei flutti marini, vero emblema della dignità del percorso di nascita ad
una nuova condizione di vita, superiore a quella con la quale si viene al Mondo. Il
secolo che segna il passaggio dal mondo Tradizionale al razionalismo moderno si
pone fra Erasmo da Rotterdam e Galileo, trascorrendone poco più di un secolo.
Erasmo ne rappresenta il primo segno, quasi percepito come coscienza di letterato
più che apertamente espresso, ma nel carteggio con l’amico Thomas Moore i semi
che germineranno nella Nuova Scienza ci sono tutti. Il Programma per il nuovo
umanesimo sarà accolto solo dopo il 1650, al declino della stella di Paracelso, alla
nascita della nuova scienza, madrina del razionalismo moderno. Per inquadrare il
contesto della nascita della nuova scienza, e in particolare l’opera dei precursori
della Medina, occorre ripercorrere l’ambiente culturale della fine ‘500, ereditato
senza soluzioni di continuo evidenti dal tardo medioevo e dal Rinascimento; una
cultura che aveva un concetto di Natura ben diverso da quello che conosciamo oggi,
una scena nella quale si rappresentò il dramma, non solo intellettuale e filosofico,
ma anche religioso e politico, di tutti coloro che, oggi “scienziati” nascevano allora
come “filosofi” (come si evince dalla lettera sul veneficio di Filippo Ingrassia del
1561), e dove concetti nati da una vita interiore diversa e lontana dalla nostra
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animavano un mondo di differente struttura, a noi ormai straniero. Non era
concesso separare Natura e Teologia, fino dal XIII°: Ars et Natura fanno scuola in
tutta l’Europa medievale, da Chartres a Cluny. Le frequenti accuse di magia che si
agitano all’interno di una attività culturale tutt’altro che tranquilla trovano origine
nel nesso tra astrologia e magia ovvero nella concezione dell’universo come vita,
come spiritus, vita universale; le sue rappresentazioni simboliche, il suo
concentrarsi in oggetti (virtù celesti e potenza delle immagini) creano un processo
di rimando di influssi che possono avvicinare fin troppo, per l’ortodossia scolastica,
ai neoplatonici. La contrapposizione degli opposti, tipica in Medicina, è il segno che
rimanda alla concezione che la divinità, come le sue manifestazioni, possieda
opposta valenza, un aspetto solare e favorevole contrapposto a quello sfavorevole e
notturno. Come il teurgo aveva il potere di conciliare i due aspetti del dio ponendo
fine al conflitto e raggiungendo la pace e l’equilibrio, così la Medicina teurgica
risanava dirimendo la contrapposizione fra salute e malattie. Il mondo è infatti
concepito come derivante dai reciproci contrasti e dalle affinità (Aristotele: Etica a
Nicomaco, Metafisica), per opera dei quali la salute è il risultato del bilanciamento
fra le forze (Fysis) che partecipano alla costituzione individuale (krasis o complexio
in Ippocrate, poi “temperie”) dove l’ampiezza di un determinante sugli altri
costituisce geometricamente una misura intesa come latitudine (o estensione del
temperamento) mentre la posizione zodiacale di nascita ne determina la
longitudine.
In questo universo il filosofo opera componendo e scomponendo (solve et coagula
alchemico), seguendo le tesi di Pico della Mirandola che aveva concluso: “Magicam
operari non est aliud quam maritare Mundum” e aveva scritto Ficino: “il filosofo
esperto delle cose naturali e degli astri, che vien detto mago, opportunamente
congiunge, con giuste lusinghe, le cose celesti alle terrene, non diversamente
dall’agricoltore attento agli innesti”
Non si tratta di una semplice riedizione di idee platoniche, ma di un contributo
originale di pensiero antimaterialistico e antistoico, già ben prima contestato da
Occam, primo dei nominalisti moderni con una grande influenza sulla scienza
attuale, costituzionalmente nominalista, dato che tutta una corrente
dell’epistemologia contemporanea lo considera infatti l’iniziatore della svalutazione
del segno, della separazione fra significante e significato, così come della posizione
sulla possibilità di cogliere l’essenza del mondo, o di giungere ad una teoria
unificatrice della Fisica. Il nominalismo di Occam appare nella sua epoca come
un’eresia, non rimandando più dai segni agli universali che essi dovevano
rappresentare, e non è capito il suo tentativo di comporre un sistema coerente
capace di liberare il pensiero scientifico dalle antinomie, che ponevano seri
problemi alla Logica. All’opposto, il realismo muove invece dalla convinzione che il
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mondo sia matematico in senso profondo; i concetti matematici esistono nella
realtà, scopribili dall’uomo e non creati dalla sua mente come asserito dal
formalismo nominalista. La connessione armonica fra i viventi si prolunga nella
storia, poiché ogni generazione implica una dissoluzione, una nuova combinazione
del vivente in un’altra forma; comprendere i valori qualitativi dati dal rapporto fra i
numeri significa quindi penetrare il segreto della Natura. Galileo eleverà la
matematica a regina del metodo, opporrà che le qualità non risiedono nei corpi,
oggettivamente, e che sono invece solo ciò che noi percepiamo. Mentre quindi il
metodo scientifico del ‘600 appare di tipo ordinato, ovvero per condurre una
osservazione distingue ogni oggetto dagli altri, analiticamente quindi, separandolo
dal contesto in cui si inserisce, permane viva, all’opposto, la tradizione ermetica e
occulta dell’Alchimia, legata all’indagine sulle verità velate, le virtù nascoste, intese
questa volta invece come un corpo unico, e concatenate in termini di simpatia o
antipatia, ovvero di affinità, nei tre regni della Natura che non sono quindi solo l’
inanimato, il vegetale e l’animale, bensì il corpo, l’anima e lo spirito; tali relazioni
sono note come “segreti della Natura” (Bolo di Mendes), legate linearmente al
principio emanatore che a sua volta è identificabile in un cielo di particolare grado
di spiritualità. Per il medico-alchimista non esiste un nesso causale in forma di
legge, Dio è unica causa direttamente origine di ogni effetto, la durezza e lo
spessore della materia delle cose è solo un’apparenza, un velo sulla visione del
profondo: una ninfa legata alla sorgente “è” la sorgente. Il mutamento è il
passaggio dell’emanazione attraverso i cieli e quindi i vari gradi di stato della Forza.
Pensiamo alla figura di Zenone nell’Opera al Nero di M.Yourcenar.
Il temperamento analogico dell’epoca tende a leggere e interpretare queste
relazioni di influsso spirituale come vie lineari, dette Seriae, rappresentate come un
rapporto fra gli abitanti dei cieli, i pianeti, e quelli della terra, i metalli. Il linguaggio
dei testi è volutamente oscuro, iniziatico, di difficile comprensione al di fuori del
codice del simbolismo gotico. Le Seriae, ponendo appunto relazioni in base alla
simpatia o antipatia, permettono a chi le conosca il controllo delle forze a partire da
oggetti semplici e apparentemente lontani o non congruenti con l’Ente che li
rappresenta all’inizio della catena: chi conosce questo modo segreto di operare è
quindi Magus (sacerdote, come ricorda Apuleio, e sapiente). Così si forma la base
della visione mitico-magica del mondo, dove il legame fra significante e significato,
il simbolo, diviene così stretto da diventare realtà autonoma. Solo verso la fine del
Barocco nell’iconografia simbolica i segni inizieranno a distaccarsi lentamente dai
significati, e da quel momento in poi prenderanno la via di un lento oblio. Così si
spiega l’importanza della musica sia per la speculazione che per la pratica mediche,
essendo concepita più secondo il modo pitagorico che come semplice espressione
melodica ( inizialmente monodica), dove il suono riflette le proporzioni secondo le
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quali il Logos manifesta continuamente il mondo. Anticamente medico, preparatore
di farmaci a partire dai corpi semplici (le nostre piante officinali), propinatore degli
stessi con rituale cantato erano un tutt’uno; ancora oggi ne rimane un’eco nel
termine incantesimo. la Musica è insegnata a Bologna nel quinquennio di
formazione del medico come arte per la terapia, sulla scia della tradizione araba. Le
regole tonali e armoniche si basano su scale ormai desuete:, formate secondo
l’armonia dei cieli (Cosmos): un tono fra terra e luna, un semitono fra luna e
mercurio, fra mercurio e venere; un tono e mezzo fra venere e il sole e uno fra il
sole e marte; un semitono fra marte e giove e fra giove e saturno; quindi un tono e
mezzo fino alla fascia dello Zodiaco. Partendo da saturno si genera una scala in stile
dorico, in stile invece frigio partendo da giove (Diapason pitagorico, secondo Plinio,
libro delle comete, Naturalis Historia, 21,4). Il divino funzionamento degli organi,
nell’essere umano, trascende la legge fisica perché è la natura dello spirito che
agisce, superiore ma non separata dal mondo fisico, come sarà da Cartesio in poi
alla luce del razionalismo moderno. La filosofia è allora anche il fondamento
dell’arte medica. Il medico deve procedere partendo dalla Natura che rappresenta
la filosofia visibile: colui che conosce il sole e la luna le porta dentro di sé, quando
chiude gli occhi, con Paracelso. La forza consiste non nel comporre, ma
nell’estrarre, nel conoscere a partire da un simplex unico; gli arcana a cui le cose
multiformemente e instabilmente si riferiscono sono collegati da una stessa vis, e
costituiscono la salute dell’uomo, sempre che vengano composti secondo le affinità
e le signature indispensabili a far sì che agiscano le proprietà dei cieli.
Il ‘600 che nasce alla luce sinistra del rogo di Giordano Bruno in Campo dei Fiori a
Roma è quindi il secolo della vertigine scientifica, come della solitudine personale
come unica e solitaria risposta al dogmatismo imperante. Malpighi: “lo sguardo
dell’uomo va dall’immensità delle viste di Galileo alle “mechaniche mirabili” del
mondo vivente microscopico”. La spiegazione comunque, anche se da una parte
tende ad ampliare la prospettiva di un mondo che si apre in successive osservazioni
senza mai permettere di toccare il fondo, rappresenta tuttavia il primo seme
dell’ulteriore e finale rivoluzione che inaugurando definitivamente la via empirica
aprirà alla scienza moderna.
Dopo le lettere di Robert Hook sui moti planetari, Newton, che per primo
presuppone un alto grado di organizzazione del mondo, tenta comunque di evitare
l’emergente meccanicismo. Interessante ricordare qui che la sua posizione, che nel
‘900 verrà sentita anche come dogmatica, viene potenziata dal Condillac come
liberazione dai sistemi di spiegazione imperanti e lontani dall’empirismo, come dire
che dopo la rivoluzione francese ancora ne era da fare di strada per l’entusiasmo
innovatore del primitivo umanesimo prerinascimentale. Il lavoro centrale di
Condillac per l’Encyclopédie riflette il Bacone della sua Scala intellectus sive Filum
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Labyrinthi:”la via faticosa attraverso la infinita varietà degli esperimenti”. tema e
immagine che ci fa pensare che il cuore segreto dell’Umanesimo era molto ospitale
nei confronti dell’Alchimia, e che l’umoralismo di Galeno contro il quale, preso alla
lettera, si ribellò tenacemente il primo Umanesimo, taceva entro di sé il regime
nascosto delle proporzioni-relazioni dell’esoterismo pitagorico. Tema antico, il cui
ricordo più remoto per noi risale ad una tavoletta caldea dove Amru, maestro del
giovane re Izar, insegna:” Come un labirinto ci sono molte vie come le molte teste
di un drago, e ogni testa ha innumeri occhi, e al tuo massimo sforzo ne potrai
vedere acceso solo uno per volta nelle tenebre”, e ancora:” L’isolamento
concettuale (idealizzazione) di un singolo fenomeno nel burrascoso mare dei
messaggi del mondo e la sua descrizione mediante supposte entità in divenire porta
alla realtà vera, perforando lo schermo illusorio generato dai sensi” Ma questo
sistema necessita delle approssimazioni, come vediamo a proposito del modello di
spiegazione in Hume, ovvero il modello viene adattato. L’osservazione in quanto
tale nel suo realismo non è a nostra portata di mano, mano che a sua volta non è in
grado di sentirsi toccata da ciò che non conosce o non ammette o che non può
arrivare come forma indagabile nell’orizzonte umano (problema di Kant sulla sintesi
aprioristica che vedremo dopo). Basti pensare a questo proposito allo “scandalo”
della meccanica quantistica. I sistemi di Condillac e di tutto il lavoro umanistico non
sono quindi reali ma idealizzati, tanto che porteranno alla distinzione di fatto in
scienze pure e applicate o di necessità, dove la medicina perde molti dei suoi
significati polisemici per acquistarne di incerti e confusi. Condillac insiste sulla
necessità sperimentale per poter raccogliere il massimo numero di informazioni che
si rivelino come connessioni per la loro costanza fra i fenomeni osservati, ma
sappiamo che questo caposaldo della legge scientifica e del successo delle
possibilità di previsione che svilupparono enormemente la parte applicativa del
pensiero è fragile, come vedremo nella critica a Hume sulla logica della spiegazione.
Comunque è da questo punto che si apprezza il successo e i vantaggi del metodo
sistematico, che porta alla fioritura in terra francese dell’Anatomia Patologica e
della Patologia speciale. Lo scrupolo nelle descrizioni scientifiche, che oggi ci appare
prolisso, testimonia il nuovo secolo, dove parla lo scienziato in opposizione al
filosofo, la strategia del ripiegamento su toni di modestia e l’uso di elementi
letterari minori (epistole, lettere, ecc.) oltre a nascondere la nuova Scienza
all’attacco dell’Inquisizione manifesta anche caratteri peculiari: rispetto al
dogmatismo filosofico lo scienziato adesso dice anche “non so”, e parla in volgare e
non in latino per catturare un uditorio aperto anche ai non specialisti. Le verità che
non potevano salire in cattedra sono proposte come semplici esperienze “ritrovati,
invenzioni e stromenti”, utili anche per vincere la battaglia non solo dell’opposizione
della Controriforma, ma anche della filosofia scolastica. Malpighi ad esempio fu ben
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attento alle conseguenze che potevano derivare dagli studi della rete mirabile che
portavano ad escludere nella circolazione del sangue l’intervento di spiriti e virtù. Al
“perché” della metafisica subentra il “come” della tecnica. E’ quindi con
l’affermazione della nuova scienza che si registra nel Seicento un notevole
incremento nella produzione letteraria: esposizioni sistematiche delle nuove idee e
delle nuove scoperte, ma anche libelli polemici, opere a carattere divulgativo,
celebrazioni poetiche. Il nuovo linguaggio adottato dagli scienziati, che risponde
all’esigenza di chiarezza e semplicità, incide profondamente anche sulla lingua
comune e sulla prosa letteraria non scientifica: il telescopio assume un valore
simbolico: è il mezzo che affina la vista, che acuisce i sensi imperfetti dell’uomo, e
che permette di vedere il vero del mondo, inaugurando la metafora letteraria, gli
scritti di morale.
Esperienza. E’ parola pronunciata spesso, magari con la sicurezza di averne raccolto
i significati essenziali, ma quelli più profondi sfuggono all’analisi di una ragione
velata, non iniziata. La radice della parola rimanda al concetto di un salto fuori dal
fuoco, un ex-pur, che dipinge il momento del contatto dell’Io col mondo attraverso il
corpo, il nostro grande mediatore. Il contatto produce esperienza, ma il fuoco che
riscalda e illumina è anche quello che distrugge. Perché il fuoco che segretamente
attiva e mantiene la nostra vita individuale, il fuoco segreto dell’Alchimia, si
fronteggia con quello esterno e distruttivo? Anticamente chi aveva fatto esperienza
veniva detto perito, ovvero istruito nel fuoco, daimon o voce spirituale dell’uomo. Il
sapere siede quindi solo nell’uomo che si salva nel fuoco, un uomo che viene
permeato, intriso dal dolore. Ecco la parola non detta oggi e che la Medicina
custodiva nel periodo umanistico.
Ma cosa è il dolore? La Biologia insegna che sono gli ormoni evolutivamente più
antichi, quelli proteici, a regolare le funzioni di base della vita e della sopravvivenza,
sotto forma di piacere o dolore: la procreazione, la cura della prole, alcuni elementi
della vita sociale, la rimozione del ricordo del dolore del parto, l’acqua disponibile
nell’organismo, i riflessi automatici per l’autoconservazione.
La fisiologia insegna quindi il dolore come forma di apprendimento, diverso dal
piacere solo a causa dei trasmettitori che attivano le due diverse vie; mentre però il
piacere si sviluppa lungo una curva di intensità sempre maggiore fino all’acme, una
vera e propria saturazione della soddisfazione, e quindi una posizione di immobilità,
lo stimolo del dolore porta alla ricerca di un’altra posizione, di un’altra condizione,
urge a salire ad una diversità. Piacere e dolore sono capaci di istruirci sulla realtà
psicologica, non su come questa sia effettivamente in termini di verità.
La conoscenza non può nascere invece per il Medico dell’Umanesimo dalla
separazione razionale, mentale degli opposti, non è sapere la presa in carico di un
elemento dopo l’eliminazione del suo opposto. Nel mondo vero della Natura ogni
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elemento si trasforma in un altro, dinamicamente, e nessuna sapienza potrà mai
fondarsi sulla rigidità di concetti separati dalla spada del logos, la Materia guarda
quindi alla Natura per il suo riscatto: è una allegoria corrispondente per Zolla agli
aenigmata, e non può essere diversamente: con il termine aitia si identificava la
causa ma anche la colpa, il bion della vita individualizzata nello spazio e nel tempo
che si ribellava colpevolmente al fluire senza spazio e tempo di zoh, la vita, una
colpa che bion poteva espiare attraverso l’amore che muta e redime tramite la
trasformazione. In questa frase è condensata tutta la radice della sapienza antica,
radice dell’arte medica.
La guarigione allora non è più l’esclusione, l’allontanamento dell’intruso (malattia) e
del dolore che lo manifesta, ma la soglia di una nuova dimensione acquisita
attraverso il veicolo delle affinità. L’affinità del mondo profano è una voce flebile e
sfumata, un sinonimo per accennare a elementi della vita legati non troppo
strettamente, è un diminutivo di eguaglianza e di identità; nella Tradizione indica
invece la dignità di un legame stretto, profondo e individuato personalmente con la
trascendenza; è quindi l’affinità che guarisce, non la rimozione del dolore. Basta
pensare con quante energie si operi con terapie sintomatiche, volte cioè
all’eliminazione del sintomo, identificato come una entità quindi a sé stante,
all’interno del percorso della malattia. La malattia stessa, si insegna in Medicina
legale, è un fatto evolutivo, mentre spesso nell’opinione profana prende l’aspetto
della staticità, dell’ostacolo da eliminare, del “diverso”, del fenomeno che non
dovrebbe appartenere al mondo così come psicologicamente se lo rappresenta
l’uomo di oggi.
Molti problemi si addensano ancora nascostamente accanto al dolore: cos’è
l’irreversibilità di un fenomeno fisico quando risieda entro un essere umano in
termini di malattia curabile ma non sanabile? Dobbiamo affrontare il paradosso che
mentre a livello subatomico tutti i fenomeni sono dal punto di vista cinetico
reversibili in quello macroscopico sono permessi dal II principio della termodinamica
solo quelli che comportano un aumento dell’entropia.
Il passaggio al modo moderno di intendere la Medicina è recente, e poco indagato:
avvenne quando Locke e soprattutto Hume si imbatterono nell’impossibilità di poter
arrivare all’universale come garanzia del vero scientifico, fino a posizione radicali
scettiche. Insomma l’a posteriori non era garantito da un a priori illuminante.
L’antitesi fra le due posizioni di logica sfocia nel tentativo di Kant di dare
fondamento logico sulla universalità delle leggi di natura dove l’esperienza non sia
da intendersi in senso empiristico, a posteriori, bensì come sintesi a priori di
contingente e necessario, di dato sensibile e di forma legati insieme ed emergenti
dalla attività di conoscenza.
Mach trova questa posizione dogmatica, perchè l’intelletto si trova
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irrimediabilmente circoscritto dall’esperienza: la sintesi delle scienze implica il dato
sperimentale e non possiamo però accedere a ciò che sperimentare non si può., e
ad essa si riferisce a proposito della massa inoltrandosi su posizioni
convenzionaliste, ma l’invarianza della massa su base sperimentale mostra la corda
della sua soluzione, tanto per dire quanto il problema dei concetti primitivi
inverificabili sia spinoso. Bisogna dire agli studenti che le teorie sono usate come
criteri organizzativi dell’esperienza o come strumenti per operare su di essa: in
pratica linee guida che non possono riflettere dati di fatto come pretendono gli
strumentalisti. Con il risultato che il giovane medico prende per buona una medicina
che confonde la vecchia semeiotica con quella moderna strumentale che è solo una
specializzazione applicativa. Al giovane medico non si chiede nemmeno più di
pensare: ci pensa l’Evidence Based Medicine a far conto di tutti i problemi della
filosofia e ad ammannire come verità quello che perlopiù sembra funzionare bene
dal punto di vista dei più e dei risultati riscontrati.
Nulla è detto sul fatto che molti termini teorici hanno la funzione di rendere ancor
più generale una teoria così da rendere più semplici le trasformazioni logiche e
matematiche, tanto da diventare uno strumento euristico per l’estensione
applicativa delle teorie. Così i ragazzi non si accorgono che le scienze più sintattiche
tendono a rinunciare ai modelli mentre le altre ne fanno largo uso. Non si insegna
qualcosa sulle basi della logica delle falsificazioni: esiste solo una differenza fra
tecnica di inferenze (la teoria è soddisfacente) o sviluppo di premesse (se la teoria è
falsa o meno) , ma tutto ciò mi risulta poco trattato in sede di facoltà scientifiche, al
punto che l’opinione comune è che siano i dati sperimentali gli elementi di prova
per una falsificazione di una teoria.
Il problema delle spiegazioni sistematiche e controllabili alla prova dei fatti nel solo
punto nostro di vista alla luce del determinismo ci riporta invariabilmente alle
polemiche sul realismo da parte delle posizioni dell’idealismo convenzionalista. Non
si insegna nulla ai ragazzi su questo drammatico confronto di pensiero, li
escludiamo dalla possibilità di rendersi conto. Il medico non tratterà solo cellule ma
esseri umani e quindi al “contatto” ci deve essere abituato, sensibile. Ecco che
rientra l’humanitas in altra veste, come antidoto alla stupidità che è vera e propria
mancanza di questa umanità, porta al rovesciamento delle forze positive per la
sapienza antica, e per noi in generale principio di insoddisfazione nei risultati
dell’Arte. E dire che la legge sulla riforma universitaria della Classe specialistica
medica parla esplicitamente di approccio transculturale al paziente. E’ la storia di
certi momenti che fa sì che una scienza sia riducibile o meno ad un’altra? Ad es. la
concezione statistica denuncia la fragile rigidità del neopositivismo anche nel
compito critico della filosofia nei confronti della scienza, aprendo la finestra sulla
moderna visione della causalità nella meccanica quantistica, del principio di
11
invarianza a seconda del fattore di scala (embriogenesi ed organogenesi spiegabili
con la teoria dei frattali), un mondo in cui la meccanica quantistica permette di
affrontare veri e propri tabù, soprattutto quello di accettare che l’ordine dei
fenomeni esista, ma che sia statistico. In questo ambito ritrovano spazio altre
Medicine prima rigorosamente escluse quali l’Omeopatia, che si distingue
dall’assunto quantitativo privilegiando gli aspetti qualitativi, e qui rientra a pieno
titolo l’Umanesimo prima visto.
Nelle figure del mito al Senex viene affidato l’aspetto della conservazione del poco
che si pensa di aver ottenuto, faticosamente; al Puer l’originalità della forza del
cambiamento. Al primo si attribuisce il volto della cupa rassegnazione e del
conservatorismo acido, al secondo la fresca espressione della piacevole libertà, ma
nel fondo è esattamente il contrario. Senex è l’orientamento alla stabilità con la
quale esprimiamo un desiderio, Puer il dolore della libertà della forza di
trasformazione. Senex e Puer si dice fossero rappresentati in pietra, insieme, nel
tempio di un rito mediterraneo scomparso anche alla memoria dei nostri antichi
padri, che ricordando qualche frammento di sapere, lo tramandarono come culti
Misterici in Eleusi.
Meditando sul pensiero di De Santillana, veramente occorre recuperare dal passato
i nostri padri, ai quali dobbiamo molto: Ossa vehementer sicca.
L’espressione “estetica musicale” è di uso comune nella comunità filosofica
internazionale e indica una tradizione problematica consolidata, mentre, al
contrario, “filosofia della musica” costituisce un’espressione al più vaga e
indeterminata. In effetti se Cartesio è ancora autore di un Breviarium musicae
fortemente orientato sulla dimensione strutturale della musica e in particolare sulla
matematica del campo sonoro, già in Schopenhauer troviamo solo una base
elementare di nozioni tecniche che fanno da supporto ad un preminente interesse
verso l’interpretazione metafisica della musica. Quel che è accaduto è insomma che
i due problemi del bello musicale e del significato della musica - metafisico o non
metafisico che sia - hanno ora occupato quasi interamente la scena, mentre si è
allentato il legame con tutta la riflessione dedicata alla dimensione strutturale del
musicale.
Del resto, nella seconda metà dell’Ottocento si assiste ad un’ulteriore evento
capitale: la nascita delle scienze della musica in ambito oositivistico e in territorio
tedesco. La teoria della musica e l’analisi musicale si fanno carico su basi nuove e
con interessi nuovi dell’intera problematica posta dagli aspetti strutturali della
musica. Unendosi alla sociologia, alla storia della musica, ecc., espropriano
progressivamente la filosofia della musica dei suoi temi classici, e agevolano, se
non determinano, un arroccamento dei filosofi all’interno dei due problemi del bello
e del significato musicale. Ma oltre a questa circostanza, un effetto profondo nella
12
stessa direzione è stato esercitato anche dalla crisi della musica tonale e
dall’inarrestabile moto centrifugo che fa della musica contemporanea una babele di
linguaggi musicali dotati ciascuno di regole proprie e ciascuno basato su risorse
differenti. Il risultato è stato infatti l’impossibilità per il filosofo di fare riferimento e
di appropriarsi della dimensione tecnica di un’unica musica. Del resto, proprio per la
stessa ragione, soprattutto la teoria della musica e l’analisi musicale esibiscono oggi
un apparato concettuale e una serie di strumenti estremanente complessi da
dominare e richiedono quindi un altissimo grado di specializzazione.
Non è un caso quindi che - fatte salve significative eccezioni - il nostro secolo abbia
visto grandi estetiche musicali concentrate sulla questione del significato della
musica. Certamente i problemi non si sono ridotti a questi due. Ad esempio ampio
spazio è stato dato ai quelli che si potrebbero riassumere come problemi di
ontologia dell’oggetto musicale: alla questione del suo “modo di esistenza” (reale,
ideale, ecc.); alla questione del rapporto che lega la varietà delle esecuzioni di un
brano alla sua identità; al rapporto fra la musica come oggetto artistico e il suono
come dato naturale; al problema posto dalla figura dell’interprete che si frappone
fra il compositore e la sua opera, ecc. Ma in ogni caso domina una quasi completa
assenza di riferimenti, e solo in pochi casi un debole richiamo, alla teoria della
musica, all’analisi musicale e alle altre discipline musicologiche. Spesso si apre
addirittura una decisa polemica frontale contro di esse.
In questo scenario, l’espressione “filosofia della musica” assume perciò un
significato specifico proprio riproponendo quello generico di riflessione globale sui
fenomeni musicali. Per la stessa ragione non può che farsi carico di un aspetto
programmatico. Senza contrapposizioni, facendosi anzi carico di tutti i problemi
della tradizione, tale espressione invita a riaprire tutti gli scenari del musicale che
erano stati chiusi, e ad affrontare anche gli aspetti filosofici della situazione
musicale e musicologica contemporanea. Che cosa realmente accomuni musica e
matematica ad esempio costituisce un problema ancora aperto. Allo stesso modo
proprio la teoria della musica e l’analisi musicale, come in generale le discipline
musicologiche, pongono problemi epistemologici che devono essere affrontati.
Ancora, le nozioni mediante cui queste discipline affrontano il loro oggetto
forniscono spesso l’occasione a compiti di chiarificazione concettuale. Più che
continuare con questo elenco bisogna riconoscere nell’esistenza di un’area di
studiosi che si riconosce nella cosiddetta musicologia critica un segno dell’oggettiva
necessità di questo ordine di considerazioni. L’aggettivo “critica” sta infatti ad
indicare proprio la consapevolezza da parte del musicologo del’esistenza di
questioni che non possono essere affrontate solo all’interno del quadro metodico e
concettuale di una disciplina scientifica consolidata. Ma nell’affrontare questi
ulteriori ordini problematici si ripropongono e si rinnovano quelle questioni relative
13
al significato della musica, all’ontologia dell’oggetto musicale, al rapporto fra
musica e uomo, musica e cultura, musica e storia, e così via, che spesso sono state
interpretate come un modo di chiudere invece che di aprire le porte alla riflessione
filosofica. (Roberto Miraglia SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia )
Il ruolo che la musica gioca nella filosofia di Leibniz non è facilmente riassumibile o
schematizzabile. Se da una parte è noto l’interesse del filosofo di Hannover nei
confronti di problemi molto specifici riguardanti la teoria musicale, l’acustica e le
pratiche esecutive, la musica rientra d’altro canto nel suo sistema logico e
metafisico come una sorta di termine di paragone privilegiato, di analogon del
rapporto tra logico e sensibile.
Per quanto riguarda il primo aspetto, è di fondamentale importanza la
corrispondenza di Leibniz con il matematico e musicologo Conrad Henfling sul
problema del temperamento, e quella con Christian Goldbach, che verte invece sul
problema del rapporto tra struttura matematica e fruizione estetica dell’oggetto
musicale. In entrambe, ad una analisi algebrica delle strutture intervallari si
accompagna la consapevolezza che tali strutture non rappresentano in sé la
bellezza e la perfezione dell’oggetto musicale, e che questo esiste innanzitutto
come oggetto uditivo, passibile di una fruizione estetica.
Nella lettera a Goldbach del 17 aprile 1712 è contenuta la celebre definizione della
musica come aritmetica incosciente: “musica est exercitium arithmeticae occultum
nescientis se numerare animi” (la musica è una pratica occulta dell’aritmetica, nella
quale l’anima non si rende conto di calcolare). La definizione apre la strada ad una
serie di nodi teorici fondamentali nel sistema leibniziano: in primo luogo, il legame
tra musica e matematica non è visto, come nella tradizione pitagorico-cabalistica, in
senso mistico o esoterico. La struttura numerica sottostante la musica è
innanzitutto il suo principio costruttivo, il quale tuttavia non viene analizzato nella
pratica dell’ascolto, ma solo intuito come molteplicità organizzata. In una tavola
allegata alla corrispondenza con Henfling, risalente al 1709, troviamo una
significativa definizione del bello musicale come “osservabilità del molteplice”, atto
di sintesi che coglie una molteplicità strutturata aritmeticamente senza la necessità
di analizzarne le singole componenti e le loro relazioni. L’analisi – compito del
teorico della musica - non serve a disvelare verità rimaste occulte all’ascoltatore,
ma a portare alla luce le ragioni che sottostanno al fatto uditivo.
Nella definizione della musica come calcolo inconsapevole è inoltre contenuto un
richiamo alla teoria delle piccole percezioni, che, non essendo esse stesse oggetto
di esperienza cosciente, garantiscono la continuità dell’esperienza fornendole una
struttura relazionale. L’analisi del teorico, che porta alla luce le regole del comporre,
ha dunque una innegabile importanza per Leibniz, ma non nega la spontaneità della
creazione artistica. Questa anzi, - fa notare il filosofo in un frammento preparatorio
14
ai Preceptes pour avancer les sciences, del 1680 - è determinata da un’applicazione
più o meno inconscia dei principi regolatori dell’arte musicale, da parte di un
soggetto che si trova in una sorta di corrispondenza immediata con le regole
dell’armonia: l’autentica opera d’arte è determinata dalla convergenza tra l’attività
analitica della ragione e quella sintetica dell’immaginazione.
Gli studi filosofici e scientifici non devono riguardare, per Leibniz, solo i loro oggetti
propri, ma mirare a universalità di ordine superiore. Fine della ricerca è, in ultima
analisi, la comprensione di quel principio armonico che governa il mondo. Ecco
quindi che la musica assume il ruolo di illustrazione privilegiata della struttura
armonica dell’universo. Il bello musicale viene in ultima analisi a coincidere con la
comprensione intuitiva dell’ordine sotteso alla composizione, e tale definizione si
applica nella filosofia leibniziana al concetto generale di bellezza. Ciò che determina
il piacere sensibile è “sentire harmoniam” (Confessio philosophi, 1672), e
quest’ultima non è altro che il principio unificatore della varietà. L’armonia sarà
peraltro tanto maggiore, quanto maggiore sarà la varietà delle componenti che essa
struttura.
Su questa base, dunque, come in una composizione tonale la presenza di
dissonanze ha un fondamentale ruolo dinamizzatore, in quanto crea tensione verso
la risoluzione consonante e con questa la possibilità di uno sviluppo armonico, così
ogni contrasto interno all’armonia del mondo viene ricondotto da Leibniz ad una
apparenza, originatasi da una concezione della realtà non abbastanza comprensiva.
La varietà è condizione fondamentale dell’armonia, tanto sul piano estetico che su
quello metafisico, e gli elementi apparentemente dissonanti contribuiscono al suo
arricchimento. L’ars inveniendi che guida il compositore è analoga all’attività
combinatoria che Dio esercita su una varietà infinita di elementi, obbligandoli “ad
accordarsi tra di loro” (Discorso di metafisica).
3) Sia l’ars inveniendi sia l’arte combinatoria divina esprimono una analoga
razionalità universale. La sua chiave viene rappresentata dalle leggi dell’ars
combinatoria. Ed è proprio nei tentativi del giovane Leibniz di elaborare una lingua
artificiale che la musica inizia ad assumere quel ruolo privilegiato che caratterizzerà
il suo intero sistema filosofico. Importante, in questo senso, è la corrispondenza che
il ventiquattrenne filosofo di Hannover intrattenne, nel 1670, con l’allora celebre
teorico gesuita Athanasius Kircher, autore di una vasta opera di teoria musicale dal
titolo Musurgia Universalis. Leibniz inviò a Kircher la sua opera giovanile De arte
combinatoria, per ottenerne un giudizio che in realtà il religioso – per mancanza di
tempo - non formulò che in modo vago. Più che il giudizio di Kircher su Leibniz, è
interessante il fatto che il giovane filosofo conoscesse le opere del gesuita, ed in
particolare apprezzasse il suo tentativo di elaborare un sistema combinatorio
finalizzato alla composizione di contrappunti a più voci anche da parte di chi fosse
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totalmente sprovvisto di cognizioni specifiche di tecnica musicale (tale sistema, cui
Kircher dà il nome di Arca musarithmica, è esposto nell’ottavo libro della Musurgia e
rappresenta un interessante tentativo di applicazione di un sistema algoritmico alla
composizione musicale). Il fondamentale punto in comune tra i due studiosi è
costituito dalla nozione di simbolicità del linguaggio musicale, che rappresenta
l’ordine dell’universo, e – conseguentemente - dalla concezione del bello musicale
come percezione della struttura numerica costituente l’armonia.
Strutturata aritmeticamente e dotata di una valenza simbolica che le deriva anche
dalla sua natura espressiva (espressione, afferma Leibniz nello scritto Quid sit idea,
del 1678, è “ciò in cui sussistono le strutture che corrispondono alle strutture
analoghe della cosa da esprimere”), la musica ha dunque le caratteristiche che la
rendono adatta a divenire strumento di costruzione della lingua universale, ovvero
di un sistema logico relazionale, e non gerarchico, la cui base è costituita da pochi
elementi da cui dedurne infiniti altri “come supplementi” sulla base di un metodo
combinatorio.
L’immagine principale di cui Leibniz si serve per illustrare tale sistema relazionale è
quella dell’organo, che richiede per la propria costruzione calcoli matematici e dà
origine a combinazioni contrappuntistiche molto complesse, realizzando una sorta
di combinatoria dei timbri e delle qualità sonore. Dall’immagine dell’organo si passa
sempre nel De Arte combinatoria, a tentativi di elaborazione della Characteristica
universalis attraverso le note musicali. Nella sua opera giovanile, Leibniz adotta un
modello aritmetico che si serve dei numeri primi a simbolizzare le nozioni semplici e
della moltiplicazione per la formazione delle idee complesse. In seguito alla
rilevazione di una non universale corrispondenza tra simboli e significati, pensò di
integrare tale sistema esprimendo i numeri per mezzo degli intervalli musicali,
integrando in tal modo il problema aritmetico con la valenza espressiva delle
combinazioni degli intervalli In altri scritti di argomento logico, il linguaggio
musicale viene strutturato al partire dal sistema binario (sistema che fa uso di due
sole cifre: l’1 e lo 0): rappresentando l’1 con il tono e lo 0 con il semitono, si può
esprimere il posto delle cifre con il posto di questi due elementi nella scala
musicale.
I tentativi di fare della musica una lingua universale vennero messi da parte, e la
volontà di Leibniz di costituire un catalogo di nozioni primitive correlate ad una
organizzazione sintattica in grado di far derivare da esse l’intero sapere venne
meno con la crescente esigenza di specializzazione delle scienze. La musica,
tuttavia, rimane la pietra di paragone del suo sistema logico e metafisico, la sola
arte in grado di esprimere compiutamente la fitta tessitura che tiene insieme, nel
sistema leibniziano, il piano della elaborazione razionale e quello della percezione
sensibile, e il fatto che a quest’ultima è riservato, in ultima analisi, il coglimento
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della verità, come l’orecchio dell’ascoltatore attento coglie, in un brano musicale, la
presenza di un ordine immanente. (Celeste Moratti: Leibnitz e la Musica)
Per quanto riguarda uno studio della percezione musicale, un modello cognitivo
assai proficuo è costituito dalla teoria modulare della mente, formulata da Jerry
Fodor. Nell’ambito della mente esisterebbero due tipi principali di sistemi: sistemi di
input che agiscono come trasduttori sensoriali o linguistici e sistemi centrali che
svolgono compiti di interfacciamento e di formazione-fissazione della credenza. La
natura modulare della mente riguarda in particolare i sistemi analitici di input, i
quali sono caratterizzati nel loro funzionamento dalla specificità di dominio (nel caso
della musica il dominio uditivo), dalla obbligatorietà delle loro operazioni, dalla
estrema rapidità e dall’incapsulamento informazionale ossia dall’impermeabilità
rispetto alle informazioni fornite dagli altri moduli o dai sistemi centrali. Sul piano
specificamente musicale lo stesso Fodor ipotizza sistemi computazionali “che
rilevano la struttura melodica o ritmica dello stimolo acustico”.
L’esistenza di due tipi distinti di sistemi, modulari e centrali, richiede l’indipendenza
di alcuni processi procedenti dal basso verso l’alto (bottom-up) rispetto a quelli
procedenti dall’alto verso il basso (top-down). Una spiegazione completa della
percezione musicale non può prescindere da alcuno di tali processi. Eugene
Narmour, per esempio, esponendo una teoria delle strutture melodiche basata sul
modello implicazione-realizzazione già proposto da Leonard Meyer, ha indicato
come nella formazione di attese durante l’ascolto di una melodia siano in azione
contemporaneamente sistemi bottom-up e sistemi top-down. I sistemi bottom-up
concernono “style shapes” che sul piano dei parametri sonori si configurano come
semplici (sono riferibili, in abstracto, solo all’altezza dei suoni, solo alla loro durata
ecc.). Essi procedono in modo del tutto subconscio e sono innati, costanti e
automatici. I sistemi top-down concernono “style structures” che invece si
configurano nella complessità dei parametri (sono riferibili a concrete interazioni fra
i vari parametri sonori). Essi procedono in modo ampiamente conscio e sono
appresi, variabili e passibili di controllo. I sistemi bottom-up sono relativi
genericamente a musica di qualsiasi stile; i sistemi top-down allo stile individuale
della singola opera o comunque a uno stile musicale specifico.
Alcuni aspetti della teoria modulare di Fodor sono stati ripresi dalla teoria della
mente computazionale di Ray Jackendoff, la quale include in sé la teoria generativa
della musica tonale di Fred Lerdahl e dello stesso Jackendoff. Ciò che Jackendoff
sostiene è una visione a grana fine della modularità, ossia l’idea che i moduli non
siano da intendere come interi sistemi di facoltà, bensì come singoli elaboratori i
quali, collocandosi a diversi livelli di rappresentazione (anche i processi centrali
sarebbero in tal senso, almeno in parte, modulari), traducono e integrano le
informazioni ricevute. Ogni elaboratore è innato, ma è passibile di una
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specializzazione mediante esposizione sufficiente. Per i suoi aspetti innati la facoltà
musicale è da ricondurre ad alcune proprietà specifiche che si aggiungono ad
alcune proprietà generali della mente computazionale. A sua volta tale componente
innata determina, in senso chomskiano, una grammatica universale della musica
cui, per ogni idioma musicale, si aggiungono specifici elementi acquisiti.
La teoria generativa della musica tonale postula cinque diversi livelli di
rappresentazione musicale, derivati uno dall’altro mediante regole generative. Il
primo livello è quello della superficie musicale, dove dal segnale acustico sono
codificati i suoni come eventi sonori discreti. Il secondo livello è quello della
struttura di raggruppamento, dove la superficie musicale è segmentata in una
gerarchia di frasi e sezioni. Il terzo livello è quello della struttura metrica, dove si
stabilisce una griglia di accenti metrici. Il quarto livello è quello della riduzione degli
intervalli di tempo, dove l’articolazione ritmica (struttura di raggruppamento più
struttura metrica) si raccorda a una gerarchia degli eventi melodico-armonici. Il
quinto livello è quello della riduzione dei prolungamenti, dove la gerarchia tonale è
precisata in termini di tensione e di rilassamento armonico. Ascoltare un brano di
musica tonale significa ricavare i cinque livelli di rappresentazione, i quali
corrispondono nell’ordine a un progressivo approfondimento della comprensione
musicale.
La teoria generativa della musica tonale è una teoria della comprensione della
struttura musicale e non una teoria della sua elaborazione. Essa infatti descrive la
forma assunta dall’informazione musicale come stato finale della computazione,
piuttosto che il modo in cui essa è via via elaborata. Per trovare ricerche che
affrontino quest’ultimo aspetto bisogna rivolgersi a studi più vicini alle
problematiche della Intelligenza Artificiale, di quell’ambito disciplinare cioè che si
prefigge di riprodurre le attività intelligenti dell’uomo tramite macchine ed
elaboratori elettronici. L’applicazione alla musica di programmi di simulazione
cognitiva segue ampiamente i principi formulati in sede generale dall’Intelligenza
Artificiale, con particolare attenzione alle idee di Marvin Minsky: dal concetto di
“frame” sino alla necessità di una programmazione euristica nella soluzione dei
problemi. Sono stati così realizzati programmi che simulano attività di
composizione, di analisi, di esecuzione, di percezione o di apprendimento della
musica.
Un’alternativa teorica al cognitivismo classico e alla stessa Intelligenza Artificiale è
rappresentata per molti versi dalla prospettiva connessionista, in base alla quale
all’analogia fra mente e computer tende a sostituirsi quella fra mente e cervello. Nel
tentativo di riprodurre sistemi che simulano l’intelligenza umana, il connessionismo,
anziché proporre come modello il computer organizzato linearmente secondo
un’architettura sequenziale, insiste invece sull’idea di rete neurale: un sistema
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dinamico, parallelo e distribuito, in cui un certo numero di unità, dette nodi, sono
collegate tra loro mediante connessioni capaci di attivare o inibire le altre unità.
Poiché le proprietà in gioco in una rete neurale sono essenzialmente relazionali e
quantitative (connessioni tra unità, peso e livelli di attivazione), il paradigma
connessionista, a differenza di quello simbolico tradizionale, si caratterizza per
essere sub-simbolico. Ciò vale anche in campo musicale dove, contro una
considerazione logico-razionale dei processi di elaborazione delle strutture, ci si
concentra piuttosto sui concreti comportamenti fisici del sistema. Tra le principali
conseguenze di tale concezione v’è la possibilità di intendere le reti come sistemi
che apprendono da sé a svolgere certi compiti, senza alcun bisogno di istruzioni e
regole prestabilite (per esempio le regole della grammatica generativa). La
maggiore flessibilità rispetto a un formalismo normalizzante consente inoltre di
pensare al tema dell’ambiguità delle risposte, tema certo di notevole interesse nel
caso della musica. (Augusto Mazzoni: Filosofia cognitiva e Musica)
Recentemente G.Sermonti ha pubblicato un bel commento sull’armonia che pone
un ponte arditissimo fra il mondo antico e la genetica moderna. Si tratta di un
commento al lavoro di Ohno, genetista, che nel 1970 pubblicò “Evolution by Gene
Duplication” fornendo un’idea sulla costruzione molecolare a partire da piccole
unità ripetitive piuttosto che da una serie di geni molto più estesa e complessa,
cosa del resto scoperta negli anni recenti, dove il numero di geni dal miliardo
ipotizzato è attualmente calcolato attorno alle 56.000 unità. E’ un concetto
“musicale” nel senso che a pari della musica la genetica del DNA opera sulla base di
unità di numero ridotto ma con grande fantasia. Persino i geni potrebbero essersi
formati a partire da più ridotti moduli sub-genici. Abbinando alle 4 basi del DNA una
notazione musicale è possibile ad es. ottenere sequenze armoniche di grande
interesse, e che iniziano a costituire quella che va sotto il nome di gene music. Se
dal DNA è possibile ottenere sequenze arminiche è anche possibile ottenere da
brani musicali noti sequenze di codifica per proteine, come Ohno vide a partire dal
notturno op.55 n°1 di Chopin che traslitterato descrive la sequenza per la codifica
iniziale dell’enzima polimerasi II del topo. I 4 nucleotidi del DNA formano 64 possibili
combinazioni tre a tre, i 64 codoni, perfettamente corrispondenti ai 64 segni dell’I
Ching (F.Capra); l’ottava musicale comprende 12 suoni (7 toni+5 semitoni); il codice
musicale adottato da Ohno è semivincolante, poichè i nucleotidi sono quindi meno
delle note, tuttavia da una partitura musicale si torna ad una e una sola sequenza
nucleotidica, che viene quindi generata univocamente.
Ruolo del mondo musicale nei nuovi riti di consumo
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Per completare l’analisi degli effetti che gli stimolanti di sintesi possono avere sugli
assuntori, è necessario conoscere l’ambiente, il contesto, nel quale queste sostanze
vengono consumate. Ovviamente le situazioni possono essere diverse: dallo
studente che vuole stare sveglio di notte per preparare un esame imminente,
all’autista che deve assolutamente arrivare l’indomani a una data destinazione;
dall’adolescente che viene trascinato dal suo gruppo o partner, al soggetto che
cerca una scappatoia a una vita piatta e anonima. In ognuno di questi casi (e in
tanti altri) si può fare ricorso a sostanze diverse, alcune lecite, altre illecite, e in ogni
caso le conseguenze possono essere variabili, a seconda della situazione in cui il
soggetto si trova, dalle sue condizioni fisiche e psichiche e, ovviamente, della
sostanza psicoattiva utilizzata.
Occorre porre l’accento su un fenomeno molto diffuso, di cui non si conoscono le
reali dimensioni, ovvero l’uso di extasy nel mondo delle discoteche. Come
anticipato, è proprio in questo ambito che l’MDMA in primis, ma anche altri derivati
anfetaminici, vengono prevalentemente assunti. Data la peculiarità di questo
contesto e considerando gli effetti empatogeni, entactogeni e simpaticomimetici
dell’extasy, è logico pensare che parte delle risposte del soggetto alla sostanza
dipenderanno dall’interazione con l’ambiente circostante. Prenderò pertanto in
esame le caratteristiche di ambiente e musica che sono implicate nella genesi di
quelli che vengono chiamati “stati alterati (o modificati) di coscienza”. Questi sono
stati “altri”, diversi dallo stato di coscienza ordinario, ma non per questo patologici,
che si ritrovano in tutte le culture e popolazioni, compresa quella Occidentale.
COSCIENZA
I modelli di coscienza:
coscienza come proprietà della cellula: è un trucco della nostra tendenza alla
identificazione ciò che ha fatto il successo di questa teoria: se i protozoi cercano il
cibo come noi vuol dire che ne vediamo un comportamento a noi simile, e quindi
attribuiamo loro una “coscienza” se pur rudimentale.
coscienza come apprendimento, in seguito alla comparsa della memoria
associativa. La modificazione del comportamento in base all’esperienza porta alla
coscienza. Ma la conoscenza e l’apprendimento sono cose diverse, come mostrato
dal fatto che il secondo si riflette nell’apprendimento condizionato, e quindi non
“cosciente”.
la teoria di Huxley, dove la coscienza si identifica col comportamento. Ma se la
coscienza fosse solo l’ombra dell’azione, perché si accentua quando l’azione diviene
esitante? Perché siamo meno coscienti quando facciamo invece cose abituali
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benissimo, cioè quando il comportamento si esprime al massimo come abilità e
altro? Da qui anche il comportamentismo.
teoria dell’evoluzione emergente: nuove combinazioni determinano nuovi tipi di
rapporti, che determinano a loro volta nuovi emergenti. La coscienza quindi pilota il
corpo e la sua evoluzione.
teoria della formazione reticolare, sotto il ponte di Varolio, detta anche coscienza
vigile. Ma noi conosciamo le funzioni nervose solo dopo che esse si sono riflesse nel
comportamento, per cui l’intera architettura nel suo insieme è ancora un problema.
Abbiamo anche problemi legati alla nostra immaginazione di coscienza, per es. che
essa sia continua, mentre non è detto; inoltre siamo coscienti meno a lungo di
quanto riteniamo, perché non possiamo essere coscienti dei momenti di assenza
della coscienza, ma solo rendercene dopo conto.
Per Locke la mente era una tabula rasa, e la coscienza veniva ad essere un
contenitore in cui si accumulavano esperienze, ripescabili come ricordi
nell’introspezione. Eppure si ripesca poco, mentre ci accorgiamo all’improvviso di
cose che non sospettavamo prima: erano sì in noi, ma non nella coscienza. Nella
retrospezione c’è ben poco delle sensazioni reali che sono state percepite all’epoca.
Una contemplazione terospettiva della memoria è quindi in gran parte una
invenzione, nella quale vediamo noi stessi come dall’esterno. Ciò che possiamo
richiamare coscientemente è ben poco rispetto a ciò che sappiamo “fisicamente”;
l’apprendimento è in gran parte una operazione inconscia, che si riflette anche di
conseguenza nelle capacità di abilità e linguistiche, dove il periodo conscio può
essere molto basso e ridotto, anzi, un momento vigile e conscio può disturbare e
peggiorare le performances.
La coscienza non è il luogo dove si formano i concetti: il linguaggio rappresenta un
concetto con una parola, ed è necessario perché il concetto non si trova nella
coscienza.
La coscienza serve ad impostare un metodo di soluzione di un problema ma la
soluzione non arriva come contenuto di coscienza. Vedi l’apprendimento inconscio
di cui sopra. Si può allora non essere coscienti e imparare a risolvere problemi? Ma
non solo come forme meccaniche di risposta condizionata?
Il processo di giudizio non è mai cosciente, il giudizio appare solo dopo che si è
formato nella coscienza. Il pensiero non è del tutto cosciente, e in parte è un
processo automatico su materiali e modelli operativi fino alla comparsa della
“soluzione”, inconscia e poi rappresentata alla coscienza.
La coscienza crea uno spazio dove collocare sé stessa e i suoi contenuti, ma
potremo collocare la coscienza fuori della stanza in cui siamo, anziché nella nostra
testa, e svolgere lì la nostra attività pensante anziché nella testa. Basta pensare agli
sciamani e al volo notturno, che era pensato come una uscita da sé demoniaca.
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I concetti astratti nascono dall’uso delle metafore e non risedono nella coscienza.
Spazi e tempi di narrazione sono frutto di meccanismi della coscienza, così come la
selezione di fatti, e poco hanno a che vedere con la realtà.
A destra sono infatti le funzioni riorganizzative, solistiche e sintetiche, che
indirizzano alla costruzione di metafore che sono il linguaggio per la parte sinistra.
Musica designer drugs e stati alterati di coscienza
Suoni e luci possono attivare specifiche risposte cerebrali: anzi, recentemente è
stato osservato (Shams e Coll.) come nell’abbinare uno stimolo continuo luminoso a
uno acustico periodico anche quello visivo venga percepito in tal modo (ad es. un
solo stimolo visivo verrà percepito come duplice in presenza di appropriata
stimolazione acustica), come dire che entro certi ambiti di potenza o di rilevanza di
significato non esiste una priorità assoluta data al sistema visivo, cosa creduta fino
a poco tempo fa.
Musica e frequenze luminose possono quindi comportarsi come sostanze psicoattive
nel modificare i comportamenti anche a livello profondo (P.M.Ricciardi).
La caratteristica delle forze elementari è di esprimere la massima forza nella
minima estensione, anto che il più importante è sempre il meno apparente, il più
nascosto, e si può esprimere solo come rchetipo, secondo la formula poetica del
mito. Ecco perché da sempre in tutte le culture umane si pone lapoesia alla base
della conoscenza, e la musica come voce della poesia. Al pari degli Universali
nonpercepibili dall’uomo nella loro totalità, anch’essa si manifesterà
dualisticamente, o come musica celeste ocome musica di oscura magia capace di
perdere l’uomo. Farmacista e incantatrice furono infatti sinonimiper un lungo
periodo, poiché in origine le sostanze erano somministrate con un rituale
cantato,preponderante per importanza.
La musica/poesia originaria permette di vivere nella fisicità del corpo, cioè la danza,
tutta questatematica, che oggi noi esploriamo con i mezzi dell’analisi psicologica,
ma che possiede radici benconsolidate in tutte le culture.
Il sacerdote antico che media fra la vita e la morte unisce in sé anche l’aspetto del
musico e del medicocreando un ponte di collegamento fra la vita individuale e
quella collettiva, e sarà, in tutte le culture, ilpontifex, il fabbricatore della via-ponte
fra umano e divino, e il ponte stesso, come simbolo del passaggio,prenderà vita in
forme architettoniche come nell’arte romanica e islamica (es. il tetto del mercato
diIsfahan che degrada secondo una scala tonale), nel disegno degli strumenti e dei
22
ponticelli delle corde,sempre all’ombra del mito di Apollo, che donò all’uomo la
corazza ricurva di una tartaruga sottesa dacorde, la Musica: la Musica trasforma, e
Marsia perderà la sua pelle, la sua precedente condizione umanaper assumerene
una nuova di più alta dignità. Le forme vegetali e animali scolpite sui capitelli dal
periodo romanico in poi sono quindi precisi
equivalenti tonali, e osservando una fila di questi potremmo ancora oggi leggere
uno spartito musicale,vere e proprie pietre che cantano, e come ogni cielo era
designabile dal solido platonico corrispondente,così la sua nota caratteristica
permetteva all’iniziato la composizione di musiche di ordine superiore. Contali
musiche ci si aspettava di poter convogliare le energie celesti sulla terra, sempre
grazie al principio dianalogia, e pertanto ecco che riappare il legame fra notazione
musicale astronomia e terapia, dove i poteriterapeutici o venefici delle piante, ad
es., sono dovuti all’influenza diretta dei cieli superiori sugliinferiori.
I riti di Medicina mediati da Musica e Piante di Potere
Musicalmente l’analogia si esprime quando un ciclo in maggiore o minore passa di
grado con un saltotonale a partire da certe note, come per esempio
nell’importantissimo salto Fa/Sol che dalla tradizionemegalitica scorre in quella
sciamanica. Per avvicinare l’uomo alla Natura occorre allora unire cantomusicale e
danza, trovare il giusto accordo tra utilizzo dinamico del corpo ed equilibrio della
mente; lacrescita interiore offre la possibilità di un contatto profondo con le
possibilità espressive del corpo, il grande mediatore fra il nostro Io e il Mondo (fra
tutti l’antichissima disciplina Bharata Natyam). Danza epiacere sono legati e
producono effetti ipnotici e stimolanti contrapposti, mediando anche il rilascio
diendorfine che rendono resistenti alla fatica e al dolore.Gli intervalli melodici sono
separati da quantità variabili, i toni e semitoni, tali da creare un saltofra le note, con
effetti ben diversi: un salto di 8° porta all’ascolto senso di potenza, di dramma, uno
di 6°,detto la voce del cuore, di espressione sentimentale, uno di 3° insiste sul
carattere di continuità, adatto astorie e filastrocche, gli intervalli di 4° e 5°
suggeriscono cadenze, e quelli di 7°, dissonanti, la tensione chenon riesce ancora a
risolversi; infine gli intervalli di 2°, detti di mezzo, legano i vari momenti.8L’orecchio
musicale si comporta diversamente da quello biologico nell’apprezzare o rifiutare i
generi,perché la cultura indirizza in modo determinante i risultati e gli effetti
dell’ascolto. Nonostante che laprogressione dei valori di altezza non sia regolare,
noi percepiamo il salire delle note nella scala comeperfettamente intervallato,
continuo. Ma quello di continuità ( e il collegato di proporzionalità) sono
concetti formatisi nell’ambito della cultura occidentale, mentre sono ben poco
rappresentati in Natura.
23
Mentre per noi nelle società di massa la parola e il suono sono veicoli portanti
dellacomunicazione/economia, in quelle antiche e tradizionali la parola è
celebrazione religiosa e strumentodi guarigione; la parola in musica era la La
scrittura dell’Universo.Il sistema musicale della Tradizione procede quindi dal
superiore all’inferiore, dall’alto al basso,dall’esterno all’interno. La musica barocca
introduce per la prima volta una inversione di direzionedando voce ai sentimenti.
Per barocco si intende una forma di espressione musicale all’inizio del ‘600 chetrae
nome dal termine portoghese “perla di forma irregolare”, ad indicare l’irrompere
nella musica dellastravaganza, dell’irrazionale, dello scontro dinamico, in una parola
dei sentimenti. La notazione musicalesi svilupperà nel tempo a favore degli effettivi
rapporti numerici fra le frequenze, indipendentementedalla “temperatura”, cioè
dalle regole necessarie per rendere tali intervalli graditi all’udito.Parallelamente si
apre l’interesse per altri tipi di esplorazione musicale, e si recuperano i sistemi
tonalitradizionali delle culture più diverse. Nascono i fenomeni di commistione di
generi, produttivi di formesempre nuove, come del resto accadeva nel mondo
antico a seguito di guerre e trasmigrazioni di popoli.La tecnologia apre nuove
prospettive permettendo di uscire dalle limitazioni prima indotte dallacostituzione
fisica degli strumenti, e dai limiti fisico acustici delle loro possibilità
espressive.L’apertura allo studio della musica delle più diverse culture umane
ripropone alcuni temi ricorrenti: ilprimo quello della ripetizione (di gesti o suoni) che
in parte apparì nel nostro Barocco sotto forma di“basso ostinato” e in tempi
moderni nella musica minimalista, l’altro la cura nella scelta delle pause di silenzio
fra i suoni. Il silenzio nelle Tradizioni è il momento del Tutto in potenza prima della
creazione.Le parole sono intervallate da pause: anche per noi la pausa è
fondamentale, senza di essa non sarebbepossibile una costruzione di note, facendo
eccezione per le musiche elettroniche sperimentali. D’altraparte senza pause non è
nemmeno possibile costruire le forme della ripetizione ciclica e del
ritornello,indispensabili a indurre gli stati di attenzione, e più a fondo, di
partecipazione emotiva, di transe. Il ritmoè nato come elemento portante del
percorso di ascesi estatica, di riunione con l’Assoluto, di guarigione.Come esempio
degli effetti del silenzio, riflettiamo su ciò che esso può produrre al termine di un
brano,quando fa scattare l’emozione catartica dell’applauso. Al Ghazzali diceva che
la musica permetteva diestrarre le cose segrete dal cuore. Ma tutte le Religioni
costituite hanno poi lentamente circoscritto,limitato e poi vietata la musica e la
danza, se non in forme canoniche, assimilandola agli stati di ebbrezzada sostanze,
da possessione diabolica. Così come, del resto, riti sacri sono stati mercificati, a
livelloprofano, da esibizionismo a fini di lucro, pur ottenendosi la stessa potenza di
indurre estasi, capacità diresistere al dolore nelle prove di resistenza o di
automutilazione (fenomeno che noi conosciamo per ilraro effetto dell’associazione
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di fenciclidina con cannabinoli o più frequente, in certe psicosi). Questeosservazioni
sono sovente riferite al mondo medio orientale, ma non dimentichiamo che la
struttura dellaforma musica-estasi-possessione è antichissima, come visto prima,
sia nell’area mediterranea che in tuttele culture umane dal Neolitico in poi, anche
se è delle prime che possiamo sapere di più.
K’elenco delle piante è veramente esteso, come dimostra l’elenco che segue, che
schematicamente raccoglie le indicazioni sull’uso come piante di Potere di specie
diffuse per tutta la superficie abitata:
Tabernante iboga
In Africa uno dei vegetali allucinogeni più importanti è la “Tabernanthe iboga”,un
arbusto che cresce nel Gabon e nel Congo. Lo sfruttamento delle radici riveste una
certa importanza nelle economie locali. Da esso la chimica è riuscita ad isolare
l’ibogaina , l’alcaloide con proprietà anestetiche che agisce sui centri respiratori.
Gli africani la usano nella caccia, nella pesca per stordire le prede ed in guerra per
rimanere intere notti senza muoversi, pur restando all’erta. Viene anche usata
come stimolante e come afrodisiaco. Infatti l’ibogaina causa gli stessi effetti di una
dose eccessiva di caffeina e allo stesso tempo produce allucinazioni. Ma per
ottenere quest’ultimo effetto la dose deve essere assai superiore.
Panchreatium triathum
Nel sud del continente, i boscimani ottengono visioni ed allucinazioni, i
caratteristici effetti dello stato psichedelico, strofinando i bulbi della
“Panchreatium triathum” sulle incisioni appositamente praticate nell’epidermide
dell’assuntore per permettere alla sostanza contenuta nel vegetale di raggiungere
i centri nervosi attraverso il sangue.
Mesembryanthemum
Sempre nell’Africa del Sud, nelle regioni steppiche o desertiche, gli ottentotti
fanno uso del “Mesembryanthemum” (delle “Aizoacee”). I fiori di questa pianta
hanno colori vivaci, splendenti, di grande effetto decorativo, L’alcaloide contenuto
nelle radici (la mesembrina) risveglia e accentua gli istinti più reconditi dei
guerrieri, provocando in essi una irresistibile gaiezza che si esprime con scoppi
incontenibili di risa. Presa in dosi eccessive, la radice provoca un terribile delirio.
Banisteriopsis caapi
Un’altra miniera di psichedelici è l’Amazzonia, l’oceano verde del Brasile, ancor
oggi, in parte, impenetrabile jungla. La pianta più studiata per i suoi effetti
allucinogeni è la “Banisteriopsis caapi” , un vegetale di cui peraltro si sa ancora
molto poco. Fu individuato nel 1851 dall’esploratore Richard Spruce che annotò
l’abitudine di alcune tribù del bacino dell’Uape di inebriarsi bevendo il succo
estratto dalle fibre di questa liana detta appunto “caapi”.
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Banisteriopsis inebrians
In Colombia, il botanico Klug osservò che gli indigeni bevevano un intruglio
chiamato “yage” derivato da un’altra liana classificata come “Banisteriopsis
inebrians” . L’alcaloide contenuto nei vegetali (armina ) produce inizialmente
sensazioni di vertigine e nervosismo seguite successivamente da nausea e vomito.
Da questo stadio esplode la rappresentazione psichedelica: lampi di luce che
squarciano una caligine azzurrina, visioni colorate sempre più variopinte. Segue un
sonno ristoratore e al mattino uno stimolo di diarrea. È usata nei riti magici dagli
sciamani che ne bevono prima di esercitare l’arte divinatoria e la somministrano
agli adolescenti della tribù nel corso di tradizionali riti iniziatici.
Virola
Anche altri stregoni, nell’alto Orinoco, fanno uso di droghe inebrianti derivate da
un altro albero che vegeta nella jungla brasiliana: la “Virola” (della famiglia delle
myristicacee). Gli indigeni (Puinivi) grattano la parte interna della corteccia
dell’albero, strappata all’alba, e la mischiano con l’acqua. La poltiglia essiccata
viene trasformata in una polvere marrone. Gli sciamani, a cui è riservato l’uso
della sostanza, se la inalano nelle narici con una cannuccia prima di emettere una
diagnosi di malattia o fare una profezia. La Virola impiegata per riti magici è detta
“calophilla” . La “Virola theiodora” , invece, è usata da altre popolazioni indiane
(Vaikas) dislocate nell’alto Orinoco per fini edonistici e per accrescere la libido. La
Virola contiene alcaloidi (triptamine) che danno dapprima eccitabilità, poi
contrazioni nervose, nausea e, quindi, allucinazioni visive. A tali effetti segue un
sonno agitato e popolato da incubi terrificanti.
Ayahuasca
In altre regioni del Brasile (Pernambuco e Paraiba), gli stregoni, nel corso di
funzioni religiose propiziatorie caratterizzate da un particolare rituale, erano soliti
somministrare droghe a base di triptamina ai guerrieri in partenza per la guerra
per aumentare in loro impeto e aggressività. La bevanda allucinogena che
propinavano, chiamata “ayahuasca”, era distillata con un estratto della “Mimosa
hostilis” (Jurema), un arbusto rampicante a fogliame pennato, leggero ed
elegante con fiori a piumetto o a capolini sempre di grazioso effetto decorativo, o
del “Desmanthus illinoensis” . Anche le tribù dei “fulnios”, originarie del Mato
Grosso, ottengono dalle radici di queste piante e dalla corteccia della “Psychotria
Ipecacuana”, una “Rubiacea” dal tenue odore e dal sapore amaro e nauseante,
bevande a base di triptamina ed emetina che provocano visioni fantastiche. Dalle
Rutaceae usate in oriente per la cardatura dei tappeti si possono ottenere varianti
a seconda della temperatura di estrazione: da qui il mito del tappeto volante?
Sassofras officinalis
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E sempre dalla corteccia cinerea che cresce in Brasile, il “Sassofras officinalis”, si
estrae un olio essenziale che ha largo impiego in farmacia e da cui, con un
processo chimico, si prepara il safrolo, il micidiale precursore impiegato per la
sintesi dell’MDMA.
Anadenanthera peregrina
Dalle fave di un’altra leguminosa, la “Anadenanthera peregrina”, i maghi di
diverse tribù brasiliane ricavano ancora oggi polvere da fiuto: la “cohoba”. Gli
effetti furono descritti già da Ramon Pane, incaricato da Cristoforo Colombo di
inventariare tutte le cerimonie religiose degli indigeni. La sostanza è talmente
potente che in pochi minuti l’assuntore perde coscienza e prova la viva sensazione
che gli oggetti e le pareti circostanti ondeggino e le persone camminino capovolte.
L’albero della Anadenanthera è coltivato anche da altri indigeni che mangiano
l’estratto mischiato a lumache arrostite. Queste, producendo calce viva, liberano
dal vegetale l’alcaloide triptamina. La cohoba non genera dipendenza fisica ma
solo psichica ed anche un suo omologo di derivazione semisintetica, il DMT,
produce effetti psicotropi del tutto simili.
Echinacea purpurea, Tethrapteris methystica
Vi sono poi in Brasile altre piante dalle proprietà allucinogene, di cui la
conoscenza scientifica è ancora incompleta, come la “Echinacea purpurea”
(Coneflower) del genere delle “Composite” e la “Tethrapteris methystica”, un
rampicante vegetale dai fiori gialli, simile alla liana “caapi”, con la cui corteccia si
prepara un infuso psichedelico.
Prestonia amazonica
A volte confusa con quest’ultima è la “Prestonia amazonica”, un’altra liana da cui
gli indiani traggono la già citata bevanda magica dello “yage”, i cui effetti sono
assai simili all’omonima sostanza tratta dalla “Banisteriopsis inebrians”.
Brunfelsia hopeana
Anche la “Brunfelsia hopeana”, una “solonacea” dai fiori celesti ed azzurrini, pare
venga adoperata come sostanza stupefacente in Colombia, Equador e Brasile,
sfruttando i diversi alcaloidi del tipo atropina .
Methysticodentrum amesianum
Gli indiani “kamsa” coltivano un albero di difficile classificazione botanica le cui
foglie contengono scopolamina: il “Methysticodentrum amesianum” sulle cui
proprietà allucinogene gli stregoni del luogo mantengono un impenetrabile segreto
che custodiscono gelosamente tramandandoselo ereditariamente di padre in figlio.
Datura
Nella Colombia cresce la “Datura aurea e candida” . L’estratto di questo vegetale
veniva somministrato agli schiavi e alle mogli dei capi morti: infatti, costoro
dovevano essere sepolti vivi col defunto e lo stupefacente serviva a prostrare e
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stordire le vittime sacrificali così che non si opponessero alla sepoltura. In
Amazzonia e in Cile, invece, la bevanda tratta dalla Datura veniva fatta bere ai
bambini disubbidienti affinché, attraverso la pianta sacra, gli spiriti degli antenati
provvedessero a renderli più docili. Anche gli indiani d’America “luisegno”
adoperavano la pianta Datura a scopo “didattico-pedagogico”: preparavano con
essa una pozione da far bere ai ragazzi nel corso di riti iniziatici notturni che li
immettevano nella società degli adulti. Gli indiani “zuni”, anch’essi conoscitori
delle proprietà psicodislettiche del tubero, ancora oggi consentono solo ai
sacerdoti di raccoglierlo. Gli effetti della “Datura metel” sono così violenti che
l’assuntore deve essere tenuto a forza fino a quando non piombi in un sonno
popolato da sogni colorati: sono le visioni psichedeliche concesse dagli spiriti
accorsi a visitare chi è sotto l’effetto della droga per permettergli di prevedere il
futuro, emettere vaticini e diagnosticare malattie.
Latua pubiflora
Un’altra “solanacea” che germoglia nel Cile, la “Latua pubiflora”, provoca delirio e
allucinazioni così violente che spesso causano un’alienazione mentale irreversibile.
Stipa
È detta tenacissima la “Stipa” che cresce negli arenili e sulle rupi calcaree delle
regioni meridionali del continente e che fornisce le preziose fibre per la
fabbricazione di cordami, stuoie, reti da pesca, tappeti e carta. La pianta è nota
anche per il principio psichedelico contenuto nelle foglie giunchiformi e nel rizoma
strisciante utilizzato dall’uomo ma considerato velenoso per i foraggi.
Agapanthus africanum
Viene, invece, usata a scopo decorativo ed ornamentale, oltreché psichedelico
l’”Agapanthus africanum” (Blue Lily), una pianta dai caratteristici fiori azzurri
disposti ad ombrello su lunghi steli di 75 - 80 cm e dalle foglie tozze, lunghe e
larghe circa 4 cm. Ne esistono diverse qualità tra cui alcune particolarmente
pregiate che si riconoscono per le foglie listate di bianco.
Nymphaea coerulea
Ugualmente caratterizzata da uno stupendo fiore azzurro è la “Nymphaea
coerulea” (Blue Lotus), una pianta ornamentale assai diffusa nell’Africa del Nord.
Aloe
C’è poi l’”Aloe vera” (dall’arabo “alloch” che significa letteralmente “brillante e
amaro”), notevolmente ricercata dall’industria farmaceutica per le proprietà
officinali del succo (“elixir” o “pilulae”) che gli indigeni ricavano attraverso
profonde incisioni nel tessuto vegetale. L’arbusto presenta lunghe foglie carnose,
spinescenti ai margini e grappoli di fiori pendenti di forma tubolare, di colore
giallo, arancione e rosso.
Myristica fragrans
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In Asia, un albero simile all’albicocco contiene un alcaloide (miristicina) con
notevoli effetti psicomimetici. È la “Myristica fragrans” , originaria dell’Insulindia,
di cui viene usata la noce moscata (Nutmeg). Pare che gli indonesiani la riducano
in polvere che poi inalano attraverso le narici (“sniffing”). In Europa e negli Stati
Uniti ha avuto un momento di celebrità e di particolare diffusione quando ne
facevano uso gli studenti e i detenuti soprattutto in sostituzione della marijuana.
Era assunta per bocca: un cucchiaino di noce moscata poteva provocare cinque
ore di allucinazioni visive e la perdita del senso del tempo e dello spazio. Anche la
produzione di paurose vertigini e tachicardia sono tra gli effetti piacevoli di questa
droga.
Brugmansia
Nelle isole di Giava e Sumatra, germoglia invece la “Brugmansia” , una pianta
appartenente al gruppo delle solonacee con effetti del tutto simili a quelli prodotti
dalla “Datura” originaria della Colombia e del Messico.
Peganum harmala
Molto più a nord, nell’Asia centrale, i mongoli attribuiscono un altissimo valore ad
un’erba che cresce in quelle aride steppe: la “Peganum harmala” i cui semi
contengono una sostanza rossa colorante usata industrialmente. È nota come
afrodisiaco e vermifugo ma sembra che l’alcaloide in essa contenuto (armalina )
abbia effetti anche allucinogeni.
Lagichilus inebrians
Pure nelle steppe aride, ma più a sud, nel Turkestan, cresce un arbusto chiamato
“Lagichilus inebrians”. Se ne beve l’infuso delle foglie secche. La sostanza
alcaloide contenuta (lagochilina) agisce sul sistema nervoso. I russi l’hanno
inserita nella loro farmacopea ufficiale.
Argyreia nervosa
In India, è particolarmente diffusa l’”Argyreia nervosa” (Hawaiian baby woodrose),
una convolvulacea a fusto volubile che raggiunge anche i 10 metri di altezza. Si
notano tra le foglie verdi dalla pagina inferiore argentata fiori campanulati di
colore intensamente roseo o bianco. Gli effetti che se ne traggono sono simili a
quelli dell’LSD.
Acacia
Analoghi effetti sono riconducibili all’uso dell’”Acacia” , un vegetale originario
dell’Australia e della Polinesia di cui esistono circa duecentottanta varietà, alcune
delle quali impiegate nella produzione della gomma. Germoglia nei luoghi aridi ed
è sfruttata commercialmente nell’industria estrattiva del tannino e nel
giardinaggio come pianta ornamentale. Comune nelle zone umide, pianta
officinale di notevole importanza. Il rizoma è ricco di acorina, una sostanza
psicodislettica dal sapore amaro.
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Amanita muscaria
In Siberia, invece, cresce l’”Amanita muscaria”, il fungo dal caratteristico cappello
color rosso vivo costellato di verruche bianche, non molto velenoso, contenente
alcaloidi (muscarina e psilocina ) allucinogeni, nota anche in Europa con il nome di
“ovolaccio” o “ovulo malefico”. Il micologo americano R. Gordon Wasson vi ha
identificato una pianta, chiamata “Soma” nella lingua sanscrita arcaica,
frequentemente richiamata nella letteratura di una popolazione ariana (o indo-
ariana) vissuta nella prima metà del II millennio a.C. in una vasta regione asiatica
che comprendeva l’Iran, l’Afganistan ed il Pakistan. In questi scritti sacri, i
cosiddetti “inni vedici” o “Veda”, giunti fino a noi, si fa riferimento ad un succo
divino dagli effetti inebrianti , caro al Dio Indra, tratto appunto dal “Soma” che i
sacerdoti bevevano durante le liturgie religiose. Forse si tratta della droga più
antica del mondo. In Europa, l’uso di piante psicoalteranti è connesso al fenomeno
della stregoneria e della magia che si è massimamente affermato nel corso del
Medioevo. Nei preparati che la tradizione rimanda alle antiche ricette di maghi e
stregoni ci sono quasi tutte le essenze dagli effetti allucinatori che crescono in
Europa.
Atropa Belladonna
Tra le più conosciute c’è l’”Atropa Belladonna” , una erbacea perenne dal fusto
eretto e ramificato, alta fino a 150 cm, comune nelle zone ombrose ed elevate del
centro-sud del continente. Presenta un grosso rizoma, grandi foglie ovali di odore
sgradevole, fiori ascellari, isolati e pendenti, di colore violaceo scuro e frutti in
forma di caratteristiche bacche sferiche di colore nero dalle proprietà medicinali.
Nelle foglie e nelle radici a fittone (inserite nella Farmacopea ufficiale italiana)
nonché nel rizoma e nei frutti è contenuta (dallo 0,30% allo 0,80 %) atropina, un
alcaloide che, somministrato oralmente o attraverso “sniffing”, provoca nausea e
vomito. In passato, sedicenti streghe che ne conoscevano le proprietà tossiche si
accreditarono straordinari poteri somministrandola sapientemente sciolta in
bevande e pozioni o diluita in unguenti che favorissero l’assorbimento cutaneo.
L’atropina determina eccitazione motoria e psichica oltre che offuscamento della
coscienza ed ingenera il desiderio incontenibile di muoversi e di parlare mentre si
sviluppano allucinazioni visive ed auditive accompagnate da riso convulso e
grande euforia. Se la dose è eccessiva sopravviene il coma e l’asfissia. L’Atropa
Belladonna contiene anche un altro alcaloide i cui effetti sono contrari a quelli
dell’atropina, la scopolamina. Determina sonnolenza, ottundimento, visioni
confuse, allucinazioni. Il sonno, che in breve sopraggiunge, è popolato da incubi.
Datura stramonium
Vegeta poi in quasi tutta Europa la “Datura stramonium” , cosiddetta “erba delle
streghe o del diavolo”. Gli alcaloidi (daturina e atropina ) contenuti nelle foglie e
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nei semi inducono una forma di estasi psichica, amnesia ed allucinazioni. Gli
intossicati sono colti da deliri di tipo schizofrenico; la loro capacità recettiva è
paralizzata nonostante l’apparente lucidità. Terminata la fase estatica, resta lo
stato confusionale e un vuoto riempito da confabulazioni.
Arctostaphylos uvaursi
Sempre nei boschi e nei pascoli montani del continente europeo crescono
spontanee l’”Arctostaphylos uvaursi” , una pianta officinale contenente arbutina, e
l’”Hypericum perforatum” , una “Guttifera” dalle sommità fiorite di colore giallo,
che forniscono materia prima per la preparazione di decotti ed infusi euforizzanti e
blandamente allucinogeni.
Hyoscyamus niger
Lo “Hyoscyamus niger” (Henbane) è, invece, una pianta biennale dai delicati fiori
bianchi piuttosto comune in Europa di enorme rilevanza farmaceutica per i
numerosi alcaloidi contenuti (iosciamina, atropina, ioscina, scopolamina) nelle
foglie, nei frutti e nei semi. Possiede qualità terapeutiche simili a quelle della
Belladonna dalla quale si differenzia per la capacità di indurre un maggior effetto
ipnotico e un minore eccitamento motorio.
Arundo donax
Anche l’”Arundo donax” (o canna di Provenza) possiede capacità blandamente
allucinogene ed è, inoltre, sfruttato nell’industria della cellulosa e nell’artigianato.
Particolarmente diffuso nelle regioni mediterranee, si caratterizza per il grosso
rizoma contenente triptamina e per il fusto eretto da cui dipanano grandi foglie
serrulate e fiori in pannocchia violaceo-argentea.
Phalaris
Il medesimo alcaloide è tratto dal rizoma di alcune varietà di “Phalaris”
(arundinacea), una “Graminacea” dalle spighette uniflore abbastanza comune in
alcune zone dell’Europa, dell’Asia e dell’America settentrionale.
Symphytum officinale
Spontaneo nella flora europea è il “Symphytum officinale” (Comfrey); cresce nei
luoghi umidi e ombrosi e presenta su di un fusto eretto, foglie ruvide, pelose ed
acuminate, fiori bianchi o violaceo-porporini ed acheni lisci e lucidi.
Mandragola
Non meno importante è la “Mandragola” (o “Mandragora”) (“Atropa mandragora”,
“Mandragora autunnalis”, “Mandragora vernalis”), pianta dai fiori bianchi e dalle
grosse radici bipartite, nere nella varietà “autumnalis”, giallastre in quella
“vernalis”, contenenti atropina . Proprio a causa della forma biforcuta delle radici
che sembravano riprodurre sembianze umane, Pitagora le conferì l’attributo di
“antropomorfa”. La sostanza vegetale, assai nota ed usata nella medicina
tradizionale, fu anche largamente impiegata nelle arti e nelle pratiche magiche. Su
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di essa gli antichi favoleggiarono con particolare compiacenza tanto che fu
all’origine di numerose leggende. Si affermò addirittura che la pianta germogliasse
ai piedi dei patiboli, nel luogo dove erano cadute le ultime stille dei liquidi biologici
del condannato. Studiosi ed esegeti ritennero che già nei testi biblici e nell’Odissea
fossero attribuite alla mandragola presunte virtù taumaturgiche tra cui la capacità
di rendere la fertilità alle donne sterili, mentre l’individuazione delle proprietà
narcotiche ed ipnotiche si fa risalire a Discoride e Galeno. Anche Bacone e
Shakespeare, nelle rispettive opere letterarie, celebrarono l’efficacia narcotica e
psicotropa della pianta. Machiavelli, tributando credito alla leggenda, incentrò
l’omonima opera teatrale sulle proprietà afrodisiache della mandragola. La pianta
ha ispirato perfino i disegnatori di fumetti: tutti ricordano il famoso eroe di una
celebre striscia di nome “Mandrake”.
Passiflora incarnata
Cresce, infine, in Europa e in Italia nonché in molte zone tropicali e subtropicali la
“Passiflora incarnata” (Passionflower), un grazioso rampicante con fusto legnoso
alto 6 - 9 metri. La pianta si caratterizza, oltre che per il frutto a forma di bacca
ovoidale verde-giallo, per viticci arrotolati e per i particolari fiori di colore bianco -
violaceo con cinque petali e cinque sepali nei cui stami, filamenti e stigmi rosso
porpora la tradizione popolare vede raffigurarsi i simboli della Passione di Cristo.
Con un miscuglio del materiale vegetale tratto da questa pianta si può
confezionare una sostanza psicotropa che agisce sul Sistema Nervoso Centrale
inducendo una notevole sedazione e allucinazioni. Non è ancora chiaro quale sia il
principio attivo responsabile degli effetti psicoalteranti.
Lolophora williamsii
Il paradiso degli allucinogeni sembra essere il Messico. Moltissimi vegetali che
germogliano in questo Paese contengono alcaloidi psicoalteranti. Il più famoso è
senz’altro il “peyotl” (“Lolophora williamsii” ), un piccolo cactus dal fusto
seminterrato simile alla radice tuberizzata di una bietola, lungo fino a 20 cm,
carnoso, privo di spine, di colore bluastro o verde-grigio, solcato e leggermente
incavato all’apice dove compare un ciuffo di peli e di fiori di colore rosa. Proprio
nelle infiorescenze apicali (buttons) è contenuto il principale alcaloide
(mescalina ). L’uso di questo fungo da parte delle popolazioni autoctone,
soprattutto come allucinogeno rituale, si perde nella notte dei tempi. Pare che gli
sciamani aztechi ne facessero uso da antichissimo tempo in riti religiosi e
cerimonie iniziatiche. La stessa raccolta del peyotl era un rito: durava 43 giorni e
solo gli uomini potevano coglierlo, purché per tutto il tempo della raccolta non si
fossero lavati e fossero rimasti digiuni. Gonzalo Hernandez de Oviedo y Valdés,
cronista spagnolo inviato nel 1571da Filippo II nella nuova colonia americana, lo
definisce la “radice diabolica”. Dal Messico settentrionale si è poi diffuso negli
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USA e in Canada dove viene chiamato in venticinque modi diversi. La mescalina,
contenuta anche nel “Trichocereus pachanoi” e nel “Trichocereus peruvians”
altre varietà di cactus presenti nelle aree subtropicali e temperate della regione
andina, è una sostanza allucinogena che ricalca il profilo delle feniletilamine.
Isolata da Speth nel 1918, deve il nome ai pellirossa mescaleros che per primi la
individuarono nel peyotl e contribuirono a diffonderne l’uso. Gli indigeni, una volta
convertiti al Cristianesimo, continuarono a consumare il peyotl nelle loro
cerimonie, non più magico-pagane ma magico-cristiane. Nel 1918 fondarono la
Native American Church (Chiesa indigena americana) che fu poi trasformata nella
Christian Peyotl Church (Chiesa cristiana del peyotl). Gli adepti di questa religione
(circa 250.000 oggigiorno) durante il rito sacramentale della Comunione
mangiavano i bottoni di peyotl, al posto dell’Ostia consacrata. Essi non solo hanno
resistito all’ostilità dei missionari cristiani, ma hanno ottenuto dall’episcopato una
deroga al divieto d’uso del cactus allucinogeno. Inoltre, la mescalina, attraverso
esperienze di psicosi indotte, ha ispirato l’opera letteraria (“Le porte della
percezione”) dello scrittore Aldous Huxley che riteneva la sostanza il mezzo più
efficace per fare luce su quelle zone della coscienza umana che la razionalità della
cultura occidentale aveva messo in ombra. Ne fu anche tentata la sperimentazione
nella cura della schizofrenia e di altri disturbi mentali. Il peyotl si assume
attraverso il fumo o ingerendo, dopo averli ammorbiditi con la saliva, i buttons
essiccati. Produce rapidamente una successione mutevole di visioni colorate:
disegni geometrici, luci variopinte, figure animate. Alle visioni, a volte, si
accompagnano sensazioni auditive e gustative. I lampi di colore sono
accompagnati da alterazione della percezione di spazio e tempo, da un senso di
gigantismo o di depersonalizzazione. Il “viaggio” dura dalle 5 alle 12 ore. Tra gli
effetti collaterali sono stati osservati ansia, eccitazione, tremori, aumento della
frequenza cardiaca. La quantità di mescalina capace di produrre tali prestazioni è
valutata intorno ai 350 - 500 mg per dose. Né il peyotl né la mescalina causano
assuefazione, dipendenza fisica o sindrome di astinenza ma generano una
fortissima tolleranza: la stessa quantità di sostanza assunta, a distanza di pochi
giorni, può non avere più il medesimo effetto. Sul mercato clandestino, dove
circola anche una versione sintetica della mescalina prodotta in laboratorio (metil-
mescalina), il peyotl è reperibile nella forma dei caratteristici buttons, mentre la
mescalina è contenuta in parti di pianta essiccata e polverizzata oppure in polveri,
compresse o capsule. Un’altra pianta messicana che incontrò i favori dei
pellirossa americani è la “Sophora secundiflora”, un arbusto ramificato, molto
decorativo, che produce bacche rosse chiamate “fagioli rossi” o “fagioli al
mescal”. Alcune di queste bacche sono state ritrovate in scavi archeologici datati
1000 a.C. L’alcaloide contenuto (citisina) provoca visioni allucinanti. L’abuso può
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condurre ad uno stato convulsionale ed anche alla morte. È probabile che il rito del
peyotl fosse stato preceduto, presso gli indiani apaches e comanci, dal rito della
“danza del fagiolo rosso” abbandonato poi, quando fu scoperto il meno pericoloso
e più efficace peyotl.
Rhynchosia
Un altro arbusto messicano dai fiori di colore giallo o bianco che produce fagioli
variamente e graziosamente colorati con proprietà allucinogene è la “Rhynchosia”,
nelle sue due specie di “phaseoloides” e “pyramidalis”. Ma l’alcaloide contenuto
non è stato ancora isolato.
Papilionacee
Anche l’”Erythrina”, pianta dai curiosi fiori porporini coltivata a scopo ornamentale,
dà ai messicani bacche rosse dalle proprietà psichedeliche. L’erythrina, la
rhynchosia e la sophora secuniflora appartengono al genere delle “papilionacee”.
Genista canariensis
Anche la “Genista canariensis” è una pianta delle pilionacee; fu importata in
America dal “Vecchio Mondo”, dove non fu mai usata per le sue qualità
psicoalteranti ma piuttosto per decorare i giardini in virtù dei caratteristici e vistosi
fiori, gialli o bianchi, presenti da soli o in grappoli, spesso delicatamente profumati.
Una volta impiantata in Messico è stata però adoperata soprattutto per le sue
proprietà allucinogene.
Rivea corymbosa
I frutti della “Rivea corymbosa” e della “Ipomoea violacea” (Morning Glory), due
arbusti messicani appartenenti alle “convolvulacee”, sono pure costituiti da
bacche allucinogene simili a fagioli di colore scuro. Pare che la Rivea debba
identificarsi con la droga azteca, sovente menzionata in documenti storici
chiamata “ololuiqui”; i sacerdoti, dopo averla mescolata con le ceneri di insetti
velenosi, ne cospargevano il corpo per procedere ai riti sacrificali. Gli officianti
bevevano anche un estratto liquido della sostanza che dava loro allucinazioni
visive così da far credere agli astanti di essere in comunione con gli dei. Studi
tossicologici condotti sull’Ipomea, usata invece dagli indiani zapotechi, e sulla
Rivea hanno consentito di verificare nelle fibre vegetali la presenza di un derivato
dell’acido lisergico.
Heimia salicifolia
Sempre in Messico, cresce l’”Heimia salicifolia” (appartenente alla famiglia delle
Lytharaceae), una pianta ancora poco conosciuta che sembra contenga un
alcaloide (criogenina) con effetti stupefacenti particolari : leggera vertigine,
perdita del senso del tempo e dello spazio e, soprattutto, allucinazioni auditive che
terminano in un sonno euforico. A differenza degli altri allucinogeni, non produce
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visioni. Se ne beve il succo (“sinicuichi”) tratto dalle foglie fermentate al sole. I
messicani la chiamavano “erba della vita”.
Calea zacatechichi
Chiamavano, invece, “erba amara” o “foglia di dio” (Leaf of god) la “Calea
zacatechichi” , un arbusto che germoglia nel sud del Messico e nel Costarica. Con
le foglie essiccate si prepara un infuso in cui precipita un principio psicoalterante,
peraltro ancora non identificato, che conferisce un senso di riposo e la sensazione
di avvertire il battito del proprio cuore e del proprio polso.
Psilocybe, Conocybe
Molto noti per l’elevato e caratteristico contenuto alcaloideo sono anche i funghi
messicani “Psilocybe” e “Conocybe”, appartenenti alla famiglia delle
Strophariaceae, di cui si conoscono più di 80 specie (“Psilocybe mexicana”,
“Psilocybe semilanceata”, “Psilocybe baeocystis”, “Psilocybe azurescens”
“Psilocybe cubensis”). Germogliano ovunque, dalle regioni artiche a quelle
tropicali ed, in special modo, nelle aree più temperate . Crescono spontaneamente
sul semplice suolo e su diversi substrati organici: humus, concime, sterco, letame,
torba, muschio. Le sostanze alteranti tratte da questi particolari funghi furono
usate per secoli dagli indios messicani e dagli abitanti dell’antico impero azteco
nei riti magici e divinatori. I sacerdoti e gli sciamani dei nativi pensavano che i
funghi psicotropi, detti “teonanacatl” (cioè “carne di dio”), permettessero di
entrare in comunicazione con gli dei e portassero ad acquisire facoltà magiche e
curative. La suggestione di poter usare tali sostanze psicotrope come veicolo per
un “viaggio” a ritroso verso una sorta di età dell’oro, oggi perduta, è ancora
fortemente avvertita nella cultura degli indiani mazatechi e zapotechi. L’uso
rituale del fungo psilocybe come viatico nella riscoperta della mistica è, infine, il
tema portante di alcune delle opere letterarie più famose di Carlos Castaneda,
l’antropologo brasiliano diventato uno dei guru spirituali della ribellione
antintellettualistica condotta da una frangia del mondo giovanile negli anni della
contestazione del ‘68. Dallo psilocybe e dal conocybe sono stati estratti due
alcaloidi: la psilocibina e la psilocina. Hanno entrambi effetti euforizzanti e
allucinogeni molto simili a quelli descritti per la mescalina, ma assai più potenti.
Non producono dipendenza fisica ma pare che cagionino una marcata tolleranza,
per cui si sente il bisogno di incrementare continuamente la quantità di sostanza
per ciascuna dose ed il numero delle somministrazioni. Attive in dosi di circa 20
mg, si assumono per via orale, raramente per endovena, e sono reperibili sul
mercato illecito, sul quale sono recentemente apparsi analoghi di sintesi prodotti
in laboratorio, in forma di reperti di materiale vegetale fresco o essiccato oppure di
polveri, compresse, capsule e di soluzioni trasparenti. Alcune popolazioni indigene
dell’antica Haiti erano solite far uso di queste sostanze per via inalatoria
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Datura ceroticaula, Datura inoxia
Alla famiglia delle “solanacee” appartengono anche varie specie di “Datura”
coltivate in Messico: la “Datura ceroticaula” , detta dagli indigeni “erba che rende
pazzi” (“torna-loco”), usata per proprietà narcotiche sprigionate dal suo alcaloide
iosciamina e la “Datura inoxia” di cui gli stregoni aztechi bevevano l’estratto per
diagnosticare più facilmente le malattie.
Salvia divinorum
Gli stregoni mazatechi, nel Nord-Est del Messico erano soliti predire il futuro ed
esercitarsi nell’arte divinatoria masticando le foglie e bevendo il succo della
“Salvia divinorum” , una lontana “parente” della umile salvia domestica, usata
soltanto per cucinare. Gli aztechi che l’adoperavano anche come allucinogeno
sacro, l’avevano soprannominata la “foglia divinatoria”. Produce la visione di colori
simili a quelli creati dal caleidoscopio e figure tridimensionali.
Argemone mexicana
E sempre in Messico e in tutte le zone tropicali del globo compreso quelle del
continente europeo, germoglia l’”Argemone mexicana” (Prickly Poppy), una
varietà spontanea del papavero comune (non a caso gli europei la chiamano
“papavero del Messico”) contenente una sostanza analgesica e vagamente
allucinogena. Mostra delicati fiori bianchi che ricordano molto quelli del più noto
papavero da oppio.
Ephedra vulgaris
Si colloca in questa categoria anche un altro gruppo di sostanze vegetali e, nella
maggior parte dei casi, di alcaloidi da esse estratti che producono effetti stimolanti
sul Sistema Nervoso Centrale: l’”Ephedra vulgaris”, da cui si estrae l’alcaloide
efedrina,
Catha edulis
la “Catha edulis” da cui proviene il “khat”, lo psicotropo contenente l’alcaloide
cathina e cathinone. Trovano posto in questo raggruppamento anche sostanze che
droghe non sono, per lo meno in senso giuridico:
Cola acuminata
la “Cola acuminata”, con cui si prepara la “cola” ma che si usa anche per
aromatizzare la celeberrima bevanda “Coca cola”,
Palma areca
la “Palma areca”, la pianta da cui si ricava il “betel” nonché le piante del caffè, del
tabacco e del tè che contengono rispettivamente tre diversi alcaloidi:
caffeina,nicotina e teofillina.
Theobroma cacao, Paullinia cupana, Paullinia yoco, Ilex paraguariensis
La caffeina, in particolare, è presente anche nel “cacao” e nel “guaranà”, bevande
prodotte rispettivamente con i semi della “Theobroma cacao” e con quelli della
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“Paullinia cupana”, nello “yoco”, preparato con la corteccia della “Paullinia yoco” e
nel “maté”, che si confeziona con le foglie dell’”Ilex paraguariensis”.
Tessuti animali
Sostanze allucinogene sono presenti non solo in piante e radici ma, meno
frequentemente, anche nei tessuti di alcuni animali. Nel 1902, Phisalix e Bertrand
scoprirono, per esempio, che in un particolare prodotto di secrezione sierosa delle
ghiandole cutanee dei rospi “Bufo vulgaris” e “Bufo marinus” e di alcune varietà
di pesci palla dell’ordine dei “Tetradontiformes”, sono contenute sostanze come
dopamina, adrenalina, serotonina, steroidi cardioattivi e, soprattutto, bufotenina ,
un alcaloide indolico estremamente tossico, equivalente all’acido lisergico (LSD)
ma cinquanta volte più potente. E proprio in Messico, nel deserto di Sonora ai
confini con l’Arizona dove questi batraci sono particolarmente numerosi, si è
sviluppato un “traffico di rospi” gestito da contrabbandieri senza scrupoli che
ricavano ingenti somme (fino a 800 dollari, circa 1,4 milioni di lire) dalla vendita di
quello che gli americani chiamano “the kiss toad trip”.
Trance
E’ impossibile fissare in una qualche epoca l’inizio dei fenomeni di trance: quel che
è certo è che in ogni cultura la trance “selvaggia”, che sorgeva del tutto inattesa, è
stata progressivamente collettivizzata e organizzata, messa quindi al servizio
dell’ordine costituito, con fini religiosi e terapeutici. Possiamo essenzialmente
distinguere due diverse forme di trance: quella sciamanica e quella di possessione.
Infatti, sebbene in entrambi i casi vi siano stati di trance, i meccanismi di induzione
e le interpretazioni date al fenomeno sono alquanto diversi. Lo sciamanismo è un
fenomeno religioso nel quale il sacerdote (lo sciamano appunto) è in grado di
controllare la propria entrata in trance, che viene usata come mezzo per l’uscita da
sé, per far viaggiare la propria anima e comunicare così con le anime dei defunti,
coi demoni, con gli spiriti della natura, allo scopo di aiutare coloro i quali si sono
rivolti a lui. Solitamente il cerimoniale è accompagnato da musiche e canti, che
sono sempre eseguiti dallo sciamano stesso, e solitamente ha lo scopo di aiutare un
ammalato o di accompagnare l’anima di un defunto nel Regno delle Ombre: il
pubblico assiste, ma non entra in trance. Lo sciamano entra in gioco solo quando si
ha a che fare con la sorte immediata dell’anima, in caso quindi essenzialmente di
morte o malattia, o quando sia necessario comunicare direttamente con gli spiriti:
per quanto riguarda invece il resto della vita religiosa, egli non è indispensabile.
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Nella trance di possessione, invece, sono gli dei ad entrare nelle persone, che
vengono quindi dominate, assumendo così le caratteristiche della divinità che
ospitano. L’entrata in trance è caratterizzata da una “crisi”, il più delle volte
rappresentata dalla caduta a terra, eventualmente accompagnata da convulsioni,
poi il posseduto inizia a muoversi e a comportarsi come farebbe la divinità che lo
possiede: spesso tale pantomima assume le caratteristiche di una danza, che
diventa sempre più frenetica mano a mano che il rito prosegue, fino a raggiungere il
culmine, quando finalmente il dio lascerà il corpo dell’ossesso. Essenzialmente la
trance è legata alla lotta di classe: è infatti tra gli emarginati e nelle fasce più
povere della popolazione che solitamente essa si manifesta. “Essa appare così
come un analizzatore naturale delle contraddizioni sociali.” (Lapassade, Dallo
sciamano al raver)
E’ l’Africa la culla di tali riti di possessione, che sono stati poi esportati nelle
Americhe a causa della tratta degli schiavi: in terra d’esilio, questi riti hanno
ricevuto un’elaborazione storica e culturale che ha accentuato il carattere di rottura
tra due stati psichici (lo stato di veglia e quello di trance) e che ha portato a forti
commistioni con la religione cattolica. Vudu, Derdeba e Macumba sono i principali
esempi dei riti di possessione che si sono sviluppati tra gli schiavi deportati ed essi
derivano da riti africani praticati nelle loro regioni di origine. Il Vudu è una “somma
di credenze e riti di origine africana che, strettamente mescolati a pratiche
cattoliche, costituiscono la religione della maggior parte della popolazione rurale e
del proletariato urbano della Repubblica di Haiti.” (A. Metraux) Durante la
cerimonia, uno spirito si impossessa del corpo del soggetto, che obbedisce
ciecamente a tale spirito: tutta la folla partecipa al rito con canti e balli e chiunque
può cadere in trance. La Macumba, invece, viene praticata in Brasile dai discendenti
degli schiavi: anche in questo caso abbiamo forti commistioni col rito cattolico, ma a
differenza del Vudu, lo spirito può discendere solo nel medium ad esso consacrato,
che è l’unica persona a poter mettere il proprio corpo a disposizione della divinità
celebrata, così che se qualcuno del pubblico cade in trance subito viene risvegliato.
La Derdeba viene invece praticata dagli Gnaua marocchini, ovvero i discendenti
degli antichi schiavi neri, e rappresenta la religione di tale classe sociale, in
contrapposizione all’Islamismo praticato dai ceti più abbienti. La preparazione al rito
prevede canti, musica e balli, che saranno seguiti dal silenzio e dalla successiva
musica suonata dal maestro, che permette l’entrata in trance del pubblico.
Vediamo quindi come, nelle diverse popolazioni, vi sia stata un’elaborazione dei riti
che portano alla trance, la quale viene in parte modificata dalla cultura entro la
quale si presenta: lo stesso accade nei confronti del significato che la società dà alla
trance. La trance primitiva, che si manifestava in modo disorganizzato, è stata
quindi elaborata dal potere, regolamentata da un rito, che la rende socialmente
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accettabile e al tempo stesso momento di socializzazione. C’è pertanto un
passaggio da trance primitiva a trance dispotica: dove comincia ad esistere
un’autorità, la trance collettiva assume la forma di una danza di possessione, dove
si crede che siano le divinità quindi a provocarla. Ma il dispotismo porta a regole,
pertanto la trance viene sottomessa a comandi e condizionamenti, a cui il corpo si
ribella. Allora nelle celebrazioni si infiltrano desideri individuali, così che la danza di
possessione assume valenza terapeutica, chiamata “catarsi” dai Greci.
Progressivamente si ha il declino del dispotismo e il raggiungimento di una
maggiore libertà individuale e la trance catartica, rappresentata principalmente dal
menadismo e dai riti dionisiaci, soppianterà la trance dispotica. Ma questi riti
popolari vengono condannati dalla cristianità, così che la trance catartica verrà
soppiantata dalla trance satanica (Dioniso viene trasformato nel Diavolo, il Principe
del Male), che assume quindi una connotazione negativa. La trance popolare
diventa così una pratica demoniaca e ciò rappresenta un assoluto sconvolgimento
della situazione: se fino ad ora potevamo considerare la trance come una sorta di
preghiera, un avvicinamento alla divinità, adesso invece ne rappresenta
l’allontanamento e la dedizione al Maligno. E’ in questo contesto che nascono la
figura della strega e il sabba, contemporaneamente creati e perseguitati dalla
Chiesa: “Si può supporre che i sabba del Medioevo sarebbero rimasti nella relativa
imprecisione della macumba se la Chiesa cattolica, con le sue persecuzioni, non
avesse creato la frattura e prodotto, in qualche modo, la messa nera: l’anti-messa.”
(Lapassade, Dallo sciamano al raver) Quindi, al termine di un lungo processo che
culmina nei secoli XVI-XVII, la trance è diventata maledetta: dal momento che il
cristianesimo sconfessa la trance, la respinge, la reprime, essa ricomparirà sempre
più come segno di malessere sociale, soprattutto nei momenti più bui, come in caso
di guerre, pestilenze e carestie. Gli storici hanno anche documentato in Europa
occidentale varie trance collettive, che si sono manifestate soprattutto nei momenti
di preghiera e raccoglimento e che, in alcuni casi, hanno assunto le connotazioni di
vere e proprie epidemie, nate essenzialmente in collettività emarginate. Tali trance
collettive vengono da alcuni viste come segni di elezione divina e da altri come
manifestazioni diaboliche, ma è comunque sempre il clero, alleato delle classi
dominanti, a reprimere la trance, la cui tradizione è però spesso conservata dal
popolo. Pertanto, la repressione cristiana ha spezzato le antiche istituzioni della
trance, anche se questo non è stato fatto ovunque, così che la corrente sotterranea
della trance non è mai morta del tutto, e questo spiega la sua progressiva
scomparsa dalla cultura popolare e la sua sostituzione con l’isteria, che si sviluppa
solo dopo il 1600, durante i processi di industrializzazione.
La storia della trance si può quindi riassumere in tre fondamentali momenti:
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_ la forma più arcaica è una trance collettiva di possessione, nella quale si incarna
una divinità, dalle caratteristiche ben disegnate dalla tradizione e radicalmente
diverse da chi la sta incarnando: la danza che ne deriva è quindi ipnotica e
sottoposta al terrore;
_ nel momento greco della trance si realizza una combinazione fra i ruoli divini e
quelli derivanti dalle pulsioni personali: per raggiungere tale scopo è necessario che
le divinità possano essere concepite in modo da coincidere con la personalità degli
invasati, per permettere così una danza catartica;
_ infine c’è la comparsa dell’isteria: Freud scopre che il corpo dell’isterico racconta
desideri repressi e che l’isteria rappresenta, in un certo senso, la realizzazione di tali
desideri.
Si può così vedere in queste tre fasi in quale modo evolva la rappresentazione
sociale del corpo in trance: nella fase iniziale esso racconta la vita delle divinità,
nella fase finale racconta invece la vita dell’inconscio. Freud si interessò molto alla
trance di possessione, osservando anche i legami esistenti con l’erotismo, dato che
la trance presenta sempre un rapporto ambiguo con la sessualità, come si può
notare da una ripetuta osservazione dei riti africani. Egli introdusse anche un altro
elemento, ovvero il gioco del bambino, e arrivò a considerare la trance di
possessione come un’esperienza simbolica della morte e dell’orgasmo, ma anche
come gioco che produce uno specifico piacere. Pertanto, si può considerare la
trance come un ritorno all’infanzia o, meglio, come l’infanzia che continua ad essere
in noi e che può ricomparire all’improvviso con la trance. Già questo ci dice che la
trance in Occidente non è un evento così insolito come si crede, ma si può
considerare ben più comune se si pensa che anche l’orgasmo ha le caratteristiche
di uno SMC:
“Infatti, il comportamento di una persona presa da un focoso rapporto sessuale,
soprattutto al momento dell’orgasmo, è notevolmente diverso da quello di altri
momenti ed è possibile ravvisare molte similitudini con quella crisi che si chiama
trance:
_ il turbamento di un ordine, che è quello del nostro comportamento abituale, ma
anche quello della nostre maschere, del nostro prestigio;
_ la rottura dell’unità psicobiologica, l’esplodere del corpo e della coscienza
abitualmente ben rassettata;
_ la “convulsione” della carne (…);
_ la “bestialità”: e la parola non è troppo forte dal momento che sembra indicare
una rottura con l’ordine culturale, un fatto primario, originario, primitivo (…);
_ infine l’oblio e la nozione d’oblio, legata a una perdita totale di coscienza, di
passaggio del limite e di una entrata in uno “stato secondo”, è anch’essa legata alle
descrizioni abituali delle trance quali vengono fatte dagli stessi protagonisti e
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riferite dagli osservatori.” (Bataille, L’erotismo (cit. “Lapassade, Dallo sciamano al
raver”)
Descrivendo un orgasmo si potrebbe anche introdurre l’idea della possessione, nel
senso di una “sostituzione di personalità”: una persona che non avesse mai avuto
esperienza di un trasporto sessuale intenso e che si ritrovasse ad osservarne uno
stenterebbe a riconoscere, ad esempio, la signora raffinata ed elegante conosciuta
precedentemente durante il suo stato di coscienza ordinario. La trance è un modo di
essere del corpo e le sue forme sono molteplici: la sua possibilità di prodursi in
ognuno di noi resta intatta, nonostante non venga riconosciuta come tale e possa
essere vissuta solo privatamente, nell’orgasmo appunto, anziché essere pubblica,
come accade per le trance rituali.
Tornando a Freud, è noto che egli dedicò parte dei suoi studi all’ipnosi e anche
questa tecnica presenta forti similitudini con la trance: per Gill e Brenman l’ipnosi è
“un caso particolare di processo regressivo, che può essere provocato sia da una
privazione sensorio-motoria e ideazionale, sia dalla stimolazione di un rapporto
arcaico con l’ipnotizzatore.” (cit. “Lapassade, Dallo sciamano al raver”) I fattori
fondamentali responsabili dell’insorgenza dell’ipnosi sono rappresentati da un
funzionamento modificato dell’Io e da un rapporto di transfert con l’ipnotizzatore: il
soggetto ipnotizzato è, temporaneamente ed entro certi limiti, controllato da
un’altra persona. Secondo S. Walker esisterebbero delle analogie fra ipnosi e trance
di possessione ad opera degli dei: in quest’ultimo caso, l’ipnotizzatore non è solo
una persona, ma è la cerimonia in sé a portare a una modificazione dello stato di
coscienza. Quindi l’ipnosi sarebbe più vicina alla trance cerimoniale, mentre l’isteria
lo sarebbe alla trance selvaggia, ovvero a quella trance che compare in un soggetto
improvvisamente e spontaneamente, al di fuori di un rituale. Per realizzare la messa
in stato di ipnosi e di trance, è innanzi tutto necessario tagliare i legami tra il
soggetto e la realtà materiale e sociale e per far ciò si inizia alterandone la
coscienza corporale, che costituisce una delle basi essenziali della coscienza di sé.
Pertanto il primo momento dell’ipnosi è quello della separazione dal mondo
abituale, soprattutto dall’ambiente sensoriale ordinario: ciò è essenziale per
l’entrata in trance.
Concludendo, si può affermare che la trance evoca i movimenti disordinati ed
esplodenti di un organismo che non ha ancora imparato l’integrazione e il controllo
dei gesti, che vive di puro istinto animalesco. Per dirlo con le parole di Lapassade:
“E’ questo tipo di momento a cui la trance allude: si tratta di un’animalità che va
disfacendosi e di una umanità che non ancora si è istituita: uno stato di passaggio
sul limitare di una cultura che ancora non si è separata dalla natura. (…) Il bambino
fa qualsiasi cosa col suo corpo prima della disciplina delle membra. La motilità del
bambino è polimorfa, come la sua sessualità. E questo polimorfismo embrionale,
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tanto nella motilità quanto nella sessualità, lo ritroviamo nella trance. Questa
indistinzione originaria e fusionale mette il corpo in connessione immediata col
mondo (…). Nella sua forma originaria e in noi sempre disponibile in qualche luogo,
la trance è godimento del sé e del mondo, in modo indistinto e, se si vuole, confuso.
Ma questa “con-fusione” deve essere intesa come una fusione originaria ritrovata.”
Il nostro mondo Occidentale ha il torto di concepire la trance come un fatto
enigmatico ed esotico, senza incidenza sulla vita quotidiana, che può prodursi solo
in società primitive, le quali se ne scorderanno una volta civilizzate. Ma l’assenza di
trance nell’Occidente è solo apparente: anche se non si verificano trance collettive
della stessa portata di quelle rituali africane, esistono comunque gruppi ristretti che
la praticano (basti pensare ad alcune sette religiose o al fenomeno del tarantismo
nel Salento) ed esperienze individuali legate all’uso di sostanze psicoattive. Queste
possono infatti essere responsabili dell’insorgenza di SMC anche molto intensi: nella
trance ritualizzata tali sostanze possono essere usate, ma non sono strettamente
necessarie per l’induzione della trance, mentre nel nostro mondo esse vengono
sfruttate per gli effetti piacevoli che provocano, i quali non sono solitamente
riconosciuti, da chi li sperimenta, come SMC. Tali esperienze in Occidente possono
essere considerate marginali, se raffrontate con quelle africane, ma quando le
droghe leggere cominciano a diventare prodotti di largo consumo, nonostante la
repressione, è difficile parlare di marginalità. Infine, una forma di rinascita della
trance, e degli SMC in genere, in Occidente è rappresentata dalle cosiddette
“tecniche del potenziale umano”, che prendono in prestito molte discipline
dall’Oriente (per es. yoga e meditazione) e che hanno lo scopo di permettere la
libera espressione corporea, mentale, artistica, permettendo un miglioramento della
salute psico-fisica dell’individuo. In particolare, la possibilità di espressione corporea
libera tramite la danza può essere ravvisata alla trance di possessione.
La musica nei riti di possessione
La musica accompagna quasi sempre i riti di possessione e in questo ambito viene
circondata da un alone quasi magico, come se la musica in sé fosse la responsabile
della insorgenza della trance; esistono comunque anche casi (alquanto rari) nei
quali la musica non partecipa al rito. Dal punto di vista del suo carattere formale, la
musica dei riti di possessione varia anche notevolmente da un Paese all’altro: se
veramente è la musica la responsabile dell’insorgenza di trance, è necessario che
essa abbia una o più caratteristiche comuni nelle diverse popolazioni. Analizzando i
diversi riti, si può notare che la musica di possessione è solitamente vocale e
strumentale insieme e l’importanza relativa di voce e strumenti varia a seconda dei
culti e dello svolgimento del rituale; vi sono comunque esempi di possessione
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accompagnata da solo canto ed esempi di possessione accompagnata da sola
musica (rarissimi, a Bali). Se poi si considera l’insieme delle musiche di possessione,
non sembra esistere uno strumento che prevalga su altri, anche se il tamburo
appare come lo strumento maggiormente utilizzato, forse perché può essere tanto
melodico quanto ritmico e quest’ultimo suo aspetto gli permette di inserirsi molto
bene in tantissimi complessi strumentali. Molti hanno invece voluto vedere in
questo strumento, o quanto meno negli strumenti a percussione, il vero fattore
scatenante della trance: varie ragioni fanno infatti sì che esso sia circondato da
un’aura di potere, a causa del carattere aggressivo, violento, brutale dei suoni che
se ricavano (non a caso è il tipico strumento di guerra) e del fatto che è lo
strumento per eccellenza del ritmo e quindi della danza. Ma non è sempre così:
esistono numerosi esempi di riti di possessione nei quali le percussioni non
intervengono affatto. Date queste differenze, risulta difficile credere che
l’insorgenza della trance sia semplicemente da attribuire alle voci o al canto o
all’uso di un particolare strumento, visto che in pratica se ne usa qualunque tipo.
Rimangono poi da esaminare i diversi aspetti di ritmo e melodia: in particolare, è il
ritmo ad esercitare il fascino maggiore sugli osservatori, ma anche in questo caso le
regole non sono assolute. Le caratteristiche ricorrenti che si trovano nella ritmica
della musica di possessione sono le rotture di ritmo e l’accelerazione del tempo, che
vanno solitamente di pari passo con l’intensificarsi del volume del suono. Ma la
ritmica che si crede provochi la trance in una regione sarà assolutamente inutile in
un’altra, dove la stessa funzione è svolta da una ritmica diversa. “Si trova così
contraddetta l’affermazione (…) secondo cui esisterebbero ritmi che avrebbero la
peculiarità di provocare in qualunque parte del mondo la trance. Se ciò fosse,
infatti, significherebbe che l’azione del ritmo, e quindi della musica, sullo
scatenamento della trance sarebbe di ordine fisiologico. Tutto indica invece che non
è così e che i rapporti fra ritmo e trance sono da collocare sul piano della cultura e
non già della natura.” (Rouget, Musica e trance) Quindi la ritmica deve essere
esaminata sotto un doppio aspetto: in sé, cioè in quanto messaggio ricevuto
dall’individuo, e in quanto danza da lui eseguita, la quale rappresenta la modalità
della sua percezione. Infatti, danzare su di una musica significa percepirla e viverla
in prima persona, riproducendo il messaggio che essa porta sotto forma di
movimento, e non limitarsi a riceverla: quindi il rapporto con la musica è attivo, non
passivo. In più, un altro aspetto che ci fa rifiutare l’affermazione che sia la musica a
scatenare la trance è che lo stesso ritmo che in un giorno di cerimonia è collegato
alla trance, risulta totalmente inefficace al di fuori di questo contesto.
In tutte le cerimonie di possessione, il compito di fare musica non spetta ai
posseduti, che invece ballano, incarnando così una divinità. La musica, o almeno
buona parte di essa, è suonata in funzione della danza, la quale ha lo scopo di
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fornire al soggetto il mezzo per assumere il proprio cambiamento di personalità e
per viverlo intensamente a livello motorio. Inoltre, la danza rappresenta una
importante forma di comunicazione con se stessi e con gli altri, oltre ad essere,
perlomeno in parte e malgrado le apparenze, piacere di danzare e di giocare col
proprio corpo. La danza astratta rappresenta un puro dispendio di energie e in tal
senso è già di per sé una catarsi; quando poi diventa figurativa (per es. erotica o
guerresca) serve chiaramente a scaricare le tensioni inconsce, come pure quando è
animalesca, solo che in questo caso tali funzioni vengono espletate in via simbolica.
Secondo Rouget: “Se è improbabile che la musica di possessione produca effetti di
ordine puramente fisiologico sul posseduto, si può invece affermare che la danza
determini certe modificazioni nello stato del danzatore, a livello tanto fisiologico
quanto psicologico. Ciò che viene ricercato sono questi effetti fisici, e questo spiega
perché si possa vedere la danza come un’ascesi, facendone così spesso una tecnica
della trance.” Ciò non significa però che sia la danza a scatenare la trance, come
invece pensano alcuni; secondo queste teorie, sarebbero infatti le “perturbazioni
dell’orecchio interno” a causare la caduta a terra che segna l’entrata in trance. Tali
perturbazioni sarebbero in parte dovute ai movimenti di busto e collo, che portano a
bruschi moti rotatori della testa e conseguentemente a perdita dell’equilibrio, e in
parte dovute agli elevati volumi sonori raggiunti, che genererebbero una tale
sovrasaturazione dell’orecchio da far cadere a terra il posseduto. Se così fosse
realmente, ai concerti rock e in discoteca dovrebbero cadere tutti a terra!
Esistono invece teorie che considerano assai più importante la manipolazione
psicologica del soggetto posseduto da parte dell’officiante, contemporaneamente
sacerdote e musicista. Per ogni soggetto esiste una “aria giusta”, ovvero una
musica particolare che è in grado di scatenare la trance: inizialmente vengono
suonate varie musiche, poi man mano che il rito procede, l’officiante valuta la
risposta del soggetto, che nel frattempo sta ballando, ad ognuna, scegliendo quella
più adatta, che darà il via alla crisi. E’ necessario quindi trovare il messaggio
musicale che abbia un impatto psicologico sul soggetto di cui si sta preparando la
caduta in trance. Un etnomusicologo africano, K. Kwabena Nketia, dice che si pensa
che lo stato di trance possa essere rapidamente scatenato e mantenuto da una
musica particolare, strettamente legata a specifiche forme di movimento, e che gli
dei siano sensibili a tale musica. Nel corso della danza, si cercherebbe quindi di
richiamare gli dei, nella speranza che essi possiedano i danzatori, i quali sono in
quel momento emotivamente preparati a riceverli. Pertanto, musica e danza hanno
lo scopo di creare uno stato emozionale favorevole alla trance e alla possessione da
parte di una divinità.
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Ruolo terapeutico della trance di possessione
Abbiamo visto, dunque, che per l’entrata in trance è necessaria una rottura con lo
stato di coscienza ordinario, rottura che è facilitata dalla musica e dalla danza, che
creano uno stato d’animo favorevole nel soggetto che si prepara ad accogliere una
divinità nel proprio corpo: ma perché la trance si manifesti è necessario che tale
soggetto desideri, più o meno consciamente, che ciò accada e che egli sia
circondato dal contesto appropriato. Tale contesto è rappresentato dal rituale, che
dà sicurezza a chi entra in trance e gli permette di avere comportamenti in quel
momento accettati da tutti i partecipanti, che sarebbero invece condannati in altri
momenti. In questo risiede la forte valenza terapeutica della trance di possessione:
la danza catartica permette l’espressione di disagi e pulsioni, che vengono così
“esorcizzati”, allontanati dal corpo, con il finale raggiungimento della calma e della
pace interiori, ovvero di uno stato di salute psicofisico.
Per capire meglio, si può portare l’esempio, a noi molto vicino, del tarantismo: tale
fenomeno era un tempo assai diffuso nelle popolazioni dell’Italia meridionale,
mentre oggi se ne ritrovano solo pochi casi nel Salento. In questa regione si crede, o
quantomeno si credeva, che il morso di un ragno (la “taranta” appunto) portasse a
un forte malessere: chi viene morsicato cade in uno stato di incoscienza a causa
dell’azione del veleno, non può alzarsi da letto, si agita, si lamenta. Nessuna
medicina è efficace contro tale stato e perché il tarantolato possa guarire è
necessario che esso balli fino allo sfinimento, per eliminare così il veleno che lo
logora. Si organizzano allora delle sedute terapeutiche in cui la medicina è
rappresentata dalla musica (la “tarantella”), la quale consente all’ammalato di
muoversi. I musicisti arrivano alla casa del tarantolato e iniziano a suonare: ha inizio
la “danza del ragno”, così chiamata perché i gesti, le movenze ricordano appunto la
taranta, poiché a un certo punto l’ammalato si getta a terra e inizia a strisciare
imitando il ragno, identificandosi con esso (si può quindi dire che il soggetto viene
posseduto, non da una divinità in questo caso, bensì da un animale, dal ragno). E’
interessante notare il rapporto che si instaura fra tarantolato e musicisti: egli è
fortemente attratto dalla musica, tanto che spesso si avvicina ai musici, come se
volesse assorbire dentro di sé le vibrazioni sonore, e manifesta spiccate preferenze
per alcuni tipi di melodie. Infatti, nonostante la tarantella possa apparire a noi
alquanto monotona e ripetitiva, sempre uguale a se stessa, essa è in realtà piena di
sfumature, facilmente percepibili dagli “addetti ai lavori” e dai tarantolati. I
musicisti iniziano pertanto a suonare un motivo e il tarantolato inizia a rispondere
ballando: l’abilità dei musici consiste nel riuscire a riconoscere, osservando la
risposta dell’ammalato, quale sia per lui il motivo più adatto, quello che meglio di
altri gli permette di identificarsi col ragno. Una volta trovata l’aria giusta, verrà
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suonata solo questa: il ritmo si farà sempre più incalzante, il volume si farà sempre
più intenso e la danza si farà sempre più frenetica. L’ammalato, che prima non
riusciva neppure ad alzarsi da letto, sembra avere inesauribili energie, è
instancabile, tanto che sono spesso i musici a doversi dare il cambio. Davanti alla
casa del tarantolato si riunisce una piccola folla, a volte anche tutto il paese, ma
nessuno viene scandalizzato dalle movenze del danzatore, anche se i riferimenti
erotici sono spesso assai evidenti, perché è il ragno che balla: il soggetto è in quel
momento posseduto dalla taranta, per cui gli è concesso di comportarsi in un modo
che, in altre situazioni, risulterebbe socialmente riprovevole. Solitamente sono
necessarie più sedute terapeutiche perché il tarantolato possa guarire e tornare
così al suo stato di coscienza ordinario e alla vita di tutti i giorni.
E’ importante notare che gli episodi di tarantismo colpiscono principalmente le
donne, le quali, soprattutto in passato, ma anche adesso nei piccoli paesi del
Meridione, vengono abitualmente represse socialmente: aspirazioni e desideri
possono quindi raramente essere esauditi, creando un malessere psicologico
difficilmente esprimibile. Il rituale della taranta permette invece tale espressione,
rendendola accettabile agli occhi della società; nel morso del ragno viene visto il
male da esorcizzare, la causa dello stato dell’ammalato: probabilmente questa
situazione si è venuta a creare perché in effetti il morso può essere a volte reale e
in tal caso produce uno stato tossico, con deliri, rigidità muscolare e difficoltà a
mantenersi in piedi, sofferenza e, talvolta, eccitazione sessuale. Ecco allora che il
malessere sociale prende le forme di un malessere fisico ben conosciuto da tutti gli
abitanti del luogo, pertanto accettato dalla collettività, la quale aiuta l’ammalato a
liberarsi dal veleno partecipando al cerimoniale e permettendogli di comportarsi in
pubblico da isterico. “Nel tarantismo, la funzione della tarantella (musica e danza)
non è di guarire la tarantata dall’isteria, bensì di darle l’occasione di comportarsi
pubblicamente da isterica, secondo un modello riconosciuto da tutti, allo scopo di
liberarla dalla propria sofferenza interiore. In che modo? Offrendole il mezzo per
uscire da sé e comunicare così con il mondo, con la società, con se stessa. In ogni
modo, (…) la possessione (…) si deve intendere sempre come risposta a un bisogno
di comunicare.” (Rouget, Musica e trance)
La danza del Peyote
E’ una danza a piccoli passi, che si sovrappongono sullo stesso spazio di terreno,
accompagnati da due tamburi in ¾.: uno piccolo tenuto dall’officiante e uno o più,
grandi, suonati dal cerchio dei partecipanti al rito. Lo sciamano accende l’incenso
nell’altare centrale, e offre il fumo alle quattro direzioni dell’Universo. La danza
inizia in modo centripeto, per tre ondate, in 4/4, quindi prosegue in posizioni di ballo
centrate lungo la circonferenza dello spazio sacro in ¾, con la sciamano al centro.
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L’officiante indossa pelli di leopardo, e piume di aquila, segno dello spirito; le piume,
altissime, mettono lo sciamano in collega,ento con le energie celesti. Al termine si
ripete il saluto centripeto in 4/4, salutando le sei direzioni dell’Universo (N,S,E,O,
sopra e sotto); per ogni direzione lo sciamano produce un suono lungo non
modulato tramite una conchiglia di mare. Al termine una donna del gruppo porta in
giro una brocca d’acqua da cui ogni partecipante attinge.
Il rito dell’Ayahuasca.
In Amazzonia presso la tribù degli Iquitos la danza dell’Ayahuasca si svolge
secondo un rito medico e musicale, in cui è fondamentale la capacità del
curandero di eseguire il canto di Potere, detto Icaro. Ve ne sono di diversi tipi, ma
tutti basati sul passaggio tonale Sol-Do, e divisi in due parti ciascuna
comprendendte l’enunciazione del tema cui segue l’esposizione rituale. La
malattia è intesa non solo come rottura di equilibrio con la natura, ma anche, o a
causa di, influssi di spiriti che si rivelano nel loro aspetto maligno. Al paziente
viene dato un infuso di Ayahuasca (ve ne sono di differenti tipi, comunque a base
di triptamine, harmina e harmalina) e dopo una prima fase dolorosa in cui il 70%
dei soggetti è prostrato da nausea e vomito, giunge lo stato visionario, dal quale i
pazienti ottengono indicazioni sulla etiopatogenesi della loro malattia e indicazioni
per la terapia. Il curandero si accompagna con un infuso di vino e foglie di
Schacapa (Cerbera peruviana) mentre esegue cerimonie magiche o canta.
Questa musica è utilizzata solo nel rito con l’Ayahuasca, accompagnata con
tamburi, flauto andino (quena) e un violino a quattro corde, di probabile origine
spagnola. Il metronomo segna 148, il che significa che questa musica può essere
ben percepita solo in uno stato di coscienza modificato.
Stati modificati di coscienza e transe moderna
Gli effetti della musica mediati dall’ intervallo tonale sono quindi indagabili, come
detto prima, sia da unpunto di vista fisiologico che secondo l’evoluzione dei modelli
culturali; e un aspetto in particolareemerge in tutte le tradizioni, quello dell’estasi e
della transe. E’ possibile ravvisare notevoli analogie tra itradizionali riti di
possessione e ciò che accade in discoteca: Thimoty Leary, pioniere della
culturapsichedelica degli anni ‘60, parla di “set” e “setting”, ovvero di disposizione
e dispositivo, entrambicontemporaneamente necessari perché insorga la trance in
un soggetto. La disposizione (set) èl’atteggiamento individuale, composto da
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attitudini interiori, personalità, motivazioni, aspettative, chespingono un soggetto a
desiderare la trance, anche se in modo inconsapevole, mentre il dispositivo(setting)
è rappresentato dai fattori ambientali esterni, ovvero contesto, ambiente fisico e
sociale, guide,che consentono al soggetto l’entrata in trance. Nello sciamanesimo
invece l’ alterazione di coscienza è ditipo estatico, finalizzata all’ uscita da sè e all’
ingresso nella sfera della divinità. Nella transe al contrariosono le forze esterne che
entrano nell’uomo, adesso posseduto o “ossesso”, quando l’alterazione sisviluppa in
un contesto muiscale e dinamico, ritualizzato, scandito ossessivamente. La
musicaaccompagna quasi sempre i riti di possessione e in questo ambito viene
circondata da un alone quasimagico, come se la musica in sé fosse la responsabile
della insorgenza della trance; esistono comunqueanche casi (alquanto rari) nei quali
la musica non partecipa al rito. Le caratteristiche ricorrenti che sitrovano nella
ritmica della musica di possessione sono le rotture di ritmo e l’accelerazione del
tempo, chevanno solitamente di pari passo con l’intensificarsi del volume del suono.
I suoni udibili riempiono lospazio e consentono al soggetto di integrarsi in esso. In
più, e questa è una caratteristica fondamentale, lamusica si svolge nel tempo e, in
un certo senso, ne può modificare la percezione. La musica infattidetermina il
tempo presente: una nota è nel momento in cui è.Per tale motivo la trance popolare
fu considerata una pratica demoniaca, ed è in questo contestoche nascono la figura
della strega e il sabba. Al termine di un lungo processo che culmina nei secoli
XVIXVII,la trance è diventata quindi maledetta: ricomparirà sempre più come segno
di malessere sociale,soprattutto nei momenti più bui, come in caso di guerre,
pestilenze e carestie.L’uso di sostanze di apertura verso l’inconscio (entactogene) e
verso gli altri (empatogene) tipiche deirituali dove la musica agiva da promotore per
stati modificati di coscienza ritorna nell’uso di sostanzeallucinogene e derivati della
metamfetamina, delle metossiamfetamine/triptamine, di funghi. Lasostanza
psicoattiva più utilizzata nella discoteca commerciale è l’alcool, mentre i
cannabinoidi, l’extasy ela cocaina (sempre con alcool, talora con metanfetamina o
ICE e LSD) sono presenti nei raduni ditendenza. Le sostanze vengono assunte anche
indipendentemente dalla necessità di raggiungere lo statodi transe, che può
arrivare anche per via solo musicale. Nella scenografia dei rave, e in forme
diverseanche nelle discoteche techno, si ritrova un insieme di effetti visivi che
possono essere considerati
induttori di transe. Effetti che spesso producono nel silenzio del dopo spettacolo
fenomeni di potenzialievocati, prevalentemente di tipo visivo, a contenuto quindi
allucinatorio, e la cosa non è di pocaimportanza pensando alla condizione di guida e
ai rischi correlati. Non è un mistero che le indaginitossicologiche su soggetti
deceduti per incidente stradale nei periodi di post discoteca non siano
semprepositive.Come precedentemente accennato, è opportuno indagare il ruolo
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del rapporto tra droghe e discoteca,luogo preposto al ballo e alla socializzazione:
nel tipo commerciale la musica è quasi completamentecomposta da canzoni
(melodia su ritmo di fondo), mentre in quella di tendenza la musica è
quasicompletamente costituita da “tracks”(tracce non melodiche di ritmi
campionati) emergenti su bassefrequenze (dai 20 ai 150 Hz); all’opposto il rave-
party si caratterizza come incontro illegale e saltuario,dove il fulcro dell’azione si
concentra sul fenomeno musicale puro piuttosto che nella ricerca di contattisociali.
La discoteca è un luogo preposto al ballo e alla socializzazione, dove la musica
viene gestita da uno o più disc-jockey (DJ); è la diretta discendente della “balera” e
può avere connotazioni diverse (locale all’aperto o al chiuso, circolo privato o ad
ingresso libero, ecc.), ma è sempre e comunque regolamentata da leggi. Il rave-
party è invece una festa illegale a carattere saltuario, che si tiene in aperta
campagna o in stabilimenti industriali abbandonati. Il luogo di questo party è però
ben organizzato, con generatori, luci e casse acustiche, che assolutamente nulla
hanno da invidiare alle discoteche più attrezzate.
In Italia non esiste una scena rave significativa, che è assai più caratteristica dei
Paesi Anglosassoni, ma si può comunque operare una separazione tra due tipi di
discoteca: quella “commerciale” e quella “di tendenza”. La musica e le aspettative
del pubblico in queste due tipologie di fruizione sono diverse: nella discoteca
commerciale la musica è quasi completamente composta da canzoni e il principale
fine del pubblico è la socializzazione, mentre nella discoteca di tendenza la musica
è quasi completamente costituita da “tracks” e il principale fine del pubblico è il
puro divertimento. Il principale fattore distintivo tra questi due generi che più ci
interessa è proprio il diverso tipo di musica suonata: mentre la canzone si può
definire come una composizione dalla struttura ben codificata, in cui è riconoscibile
un tema centrale (melodia) e un accompagnamento, per track si intende una
composizione dall’andamento stabile, nella quale non esiste una melodia (si può
pensare come una canzone costituita dal solo accompagnamento, che viene quindi
in questo caso ad essere il tema centrale esso stesso). Pertanto possiamo
distinguere due situazioni estreme: nella prima, prettamente commerciale, vengono
usate solo canzoni, nella seconda, estremamente di tendenza (come nel caso dei
rave-parties), vengono usati solo tracks. Solitamente ci si trova però di fronte a
situazioni intermedie, nelle quali c’è una commistione trai due generi, pertanto si
parla di discoteca commerciale o di tendenza quando prevalga la prima o la
seconda situazione. In entrambi i casi è fondamentale il lavoro del DJ, che sceglie i
pezzi musicali sulla base delle risposte del pubblico; tale importanza è però
massima nelle situazioni di tendenza, nelle quali un bravo DJ può costruire percorsi
e discorsi musicali sfruttando l’atmosfera che scaturisce da ciascun track.
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Possiamo riassumere come segue le caratteristiche principali dei ritrovi di consumo
musicale:
a) in entrambi i casi la musica ha volumi molto elevati, ma mentre nella discoteca
commerciale prevalgono le canzoni, solitamente conosciute dal pubblico, nella
discoteca di tendenza prevalgono tracks e brani sconosciuti, con un volume
sonoro maggiore di quello della discoteca commerciale e massima enfasi sulle
basse frequenze (tali caratteristiche sono ancora più accentuate nel rave-party);
b) in entrambi i casi abbiamo abbondanza di luce psichedeliche e stroboscopiche;
c) la coreografia e la scenografia sono particolarmente curate, soprattutto nella
discoteca di tendenza;
d) in entrambi i casi l’ambiente è caldo e affollato: a tal proposito sarebbe
interessante prendere in analisi la psicologia dei grandi gruppi (l’effetto di
gruppo è un tratto generale dei riti di trance e anche la moderna psicologia ha
notato come i partecipanti a gran raduni entrino in uno stato di coscienza
diverso da quello ordinario), ma tale lavoro richiederebbe una tesi a sé;
e) in entrambi i casi è il DJ a dirigere la musica e il suo lavoro è coadiuvato da LJ e
vocalist.
Tutto ciò rappresenta il “setting” della discoteca; ma perché insorga uno SMC è
necessario anche un “set” individuale adeguato, che renda possibile la frattura con
lo stato ordinario di coscienza. Ecco allora che assumono importanza l’attesa
dell’evento e le aspettative del soggetto che si accinge ad entrare in discoteca. Le
aspettative per la serata sono assai diverse nei ballerini commerciali e di tendenza:
mentre infatti i primi sono alla ricerca di socializzazione, i secondi sono alla ricerca
di divertimento. Allora le aspettative del pubblico commerciale sono di natura
sociale e vanno dall’incontrarsi con gli amici abituali, alla seduzione,
all’approfondimento di amicizie superficiali, anche si sicuramente c’è il desiderio di
ascoltare musica e ballare, altrimenti verrebbe scelto un locale di diverso tipo.
Invece il pubblico di tendenza, e ancora di più il raver, mette la socializzazione in
secondo piano e le sue aspettative sono rivolte al divertimento: che ne sia cosciente
o meno, desidera semplicemente riuscire a provare nuovamente le sensazioni,
sperimentate in precedenza, di uno SMC, nella fattispecie uno stato di trance, che
presuppone un dispositivo di iperstimolazione sensoriale. Secondo Fontaine e
Fontana, si possono distinguere tre categorie di raver, che hanno approcci diversi
alla trance: gli “adepti dello sballo”, gli “edonisti puri” e i “neo-mistici”. La maggior
parte dei raver appartiene alla categoria degli edonisti puri, alla ricerca
essenzialmente di piacere, in tal caso provocato dalla trance; gli adepti dello sballo
cercano invece una totale compenetrazione con la musica e un annullamento della
coscienza, più che una sua alterazione, assumendo grossi quantitativi di droghe di
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vario tipo; infine i neo-mistici, veramente rari comprendono di vivere uno SMC e
sono alla ricerca di “verità”, di fusione con l’universo o col divino.
Comunque sia, ci troviamo di fronte a persone che, nel week-end, cercano qualcosa
di diverso rispetto a ciò che hanno nel corso della settimana, vogliono sentirsi al
meglio, fare conquiste o divertirsi: per questi motivi si preparano meticolosamente,
lasciandosi i problemi alle spalle e pensando solo a quello che li aspetta i discoteca.
Il locale poi è così diverso dai grigi, monotoni e statici ambienti di lavoro o studio: le
luci, la musica, la gente, tutto punta al movimento, all’allegria, alla sensualità. E’
facile a questo punto capire come possa prodursi, in modo più o meno marcato, un
fenomeno di dissociazione tra due sé, quello diurno e quello notturno, ovvero la
frattura tra due stati di coscienza, quello ordinario e quello modificato.
La musica di tendenza si può suddividere in due filoni, house e techno, a loro volta
suddivisibili in varitipi. La musica house ha un ritmo che si aggira su 120-135
battute/min e circa il 50% dellaprogrammazione è costituito da canzoni. La musica
techno è molto più veloce ed ossessiva e circa il 90%della programmazione è
costituito da tracks. Tra le situazioni house e techno, sebbene entrambe siano
ditendenza, c’è una differenza significativa: nella prima predomina l’interesse alla
socializzazione, nellaseconda predomina l’interesse verso stati di alterazione della
coscienza, di fusione se vogliamo usare untermine psicodinamico.
La musica è in grado di modificare anche alcuni parametri ematici, elettrofisiologici
e cardiopolmonari.Innanzi tutto, bisogna specificare che è la melodia in sé a
determinare tali effetti, mentre le parole nonsembrano importanti. Un altro
elemento importante è il ritmo della musica ascoltata: difatti alcuni studiindicano
che si tende a preferire musica che abbia un tempo compreso tra 70 e 100 cicli/min,
ovverosimile alla frequenza cardiaca dell’adulto a riposo; la musica percepita come
rilassante tende a fardiminuire frequenza cardiaca e respiratoria, la musica più
scatenata, come il rock o la techno, tendeinvece a farle aumentare. Se per es. si fa
un paragone tra suoni della Natura e suoni sintetizzati, questiultimi sono in grado di
inibire il parasimpatico e di promuovere spiacevoli sentimenti di allerta,
conaumento della frequenza cardiaca e respiratoria. Inoltre, la frequenza cardiaca
viene modificata in modopiù significativo da musiche conosciute e familiari, rispetto
a musiche di uguale tempo ma mai ascoltateprima: ciò può far pensare che nella
genesi di tali modificazioni siano importanti i fattori psicologici eaffettivi.
L’attenzione psicologicamente distaccata ma che sia accompagnata da un senso di
disponibilità,permette di integrare come elementi musicali anche i suoni
normalmente considerati fastidiosi, comestudiò Cage a proposito dei suoni a
frequenza costante, da lui sentiti come vere e proprie sculture sonorenello
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spazio.Recentemente è stato notato come la musica di tipo melodico possa
riequilibrare lo sbilanciamento dilivello bioelettrico nelle aree cerebrali frontali,
disequilibrio che normalmente accompagna gli statidepressivi di tipo maggiore,
soprattutto nell’età avanzata.
La musica va a influire anche sulla concentrazione plasmatica di alcuni ormoni,
soprattutto ACTH, GH,cortisolo e noradrenalina, b-endorfine: la musica rilassante e
meditativa sembra associata a diminuzionedi cortisolo e noradrenalina, mentre la
musica pop sembra diminuire i livelli di prolattina aumentare glialtri parametri. Ma
tali effetti neuroendocrini sono, almeno in parte, correlati al background
professionale
e culturale nei confronti della musica: si può avere a seconda dei casi un aumento
dello stress, anziché aduna sua diminuzione.
La musica techno
Negli ultimi anni sono stati condotti diversi studi per mettere in evidenza gli effetti
neuroendocrini e psicologici della musica techno, anche per cercare una possibile
relazione con le cosiddette “morti del sabato sera”. In particolare è interessante uno
studio condotto a Parma, nato dalla collaborazione fra SerT e Clinica Universitaria,
che va ad indagare le possibili associazioni tra cambiamenti emozionali ed endocrini
favoriti da questa musica e cerca di definire i tratti di personalità che possono
predire tali cambiamenti. A tale scopo, a 16 giovani (8 maschi e 8 femmine), sani e
senza disturbi psichiatrici in famiglia, è stata fatta ascoltare musica classica e
techno in due diverse sessioni di 30 minuti ciascuna, poi sono stati valutati i
cambiamenti nella concentrazione plasmatica di noradrenalina, ACTH, cortisolo, -
endorfina, prolattina e GH, le modificazioni di pressione arteriosa e frequenza
cardiaca e lo stato emozionale. Per quanto riguarda le risposte psicologiche ai due
diversi tipi di musica, mentre l’ascolto di quella classica porta a sensazioni di
rilassamento, calma e serenità, la techno-music induce sentimenti opposti, come
tensione, ansietà, angoscia; inoltre 11 soggetti su 16 asseriscono di essersi sentiti
stanchi durante l’ascolto della techno. Per quanto riguarda i dati cardiovascolari,
mentre la musica classica non porta a modificazioni significative, durante l’ascolto
della techno si ha un aumento della frequenza cardiaca e della pressione sistolica,
mentre la pressione diastolica resta invariata.
Ma i dati più significativi sono quelli riguardanti i livelli plasmatici di ormoni; in
particolare si è rilevato un aumento della concentrazione di -endorfina,
noradrenalina e GH durante l’ascolto della techno, tanto che al termine dei 30 min
di ascolto i livelli plasmatici di tali sostanze sono assai più elevati di quelli rilevati
dopo l’ascolto della musica classica, la quale non induce invece modificazioni di tali
ormoni. ACTH e cortisolo seguono andamenti leggermente diversi: la techno porta
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infatti ad aumento di entrambi tali ormoni, mentre la musica classica ne determina
una diminuzione. Infine, adrenalina e prolattina non vanno incontro a variazioni a
seguito dell’ascolto musicale, a parte un leggero innalzamento (non statisticamente
significativo) della prolattina nelle femmine dopo la techno-music. Confrontando i
dati, si può quindi trovare una correlazione positiva trai picchi di noradrenalina, GH
e -endorfina, le modificazioni dello stato emozionale e l’aumento di frequenza
cardiaca e pressione sistolica dopo l’ascolto della techno.
Quindi, in accordo ad altri studi, sembra che la musica techno, come altre musiche
dai ritmi veloci, sia in grado di attivare il sistema simpatico e l’asse ipotalamo-
ipofisi-surrene. L’aumento di GH, -endorfina e ACTH può essere considerato NA-
dipendente, ovvero l’attivazione noradrenergica centrale può essere responsabile
del picco secretorio degli altri ormoni. Il pattern neuroendocrino indotto dall’ascolto
della techno è simile a quello prodotto dallo stress psicologico, con la differenza che
nel primo caso non c’è aumento della concentrazione plasmatica di adrenalina,
come avviene invece nel secondo. Ciò può suggerire che vi sia una diversa
percezione mentale degli stimoli stressori e conseguentemente vi sarebbe la
liberazione di neurotrasmettitori diversi.
Questo studio presenta però alcune limitazioni che vale la pena affrontare: oltre al
fatto che il campione è piccolo, per evitare gli effetti del diverso background
musicale e culturale, i soggetti sono stati scelti in base al fatto che non avessero
ricevuto un’educazione musicale, che non avessero specifiche preferenze musicali e
che non frequentassero discoteche. Nessuno dei soggetti esaminati gradisce quindi
questo tipo di musica; inoltre il peggioramento dello stato emozionale e i picchi di
NA, GH e -endorfina sono tanto più evidenti quanto meno la musica techno piace.
Sappiamo poi che la -endorfina aumenta in seguito a qualunque emozione
percepita come negativa o dolorosa: un soggetto obbligato ad ascoltare una musica
che trova fastidiosa percepirà sicuramente un’emozione negativa e quindi andrà
incontro a un aumento degli oppioidi endogeni. E’ possibile quindi che la risposta
all’ascolto della techno dipenda almeno in parte dal fatto che essa sia percepita
come piacevole o spiacevole: una persona che ami passare il proprio tempo libero
in discoteca non trova la musica che lì si suona fastidiosa, pertanto i risultati di
questo studio non possono a priori essere applicati ai frequentatori di discoteche.
Comunque, in questo studio sono state messe in evidenza alcune differenze nelle
risposte dei diversi soggetti alla techno, sulla base di diversità dei tratti del
carattere: quelli che erano stati catalogati come “novelty-sensation seeking
subjects” (soggetti sempre alla ricerca di nuove sensazioni) risultavano infatti meno
infastiditi degli altri da tale tipo di musica.
Riassumendo, sembra che la techno-music sia responsabile di un’attivazione
noradrenergica, che è più evidente quando tale musica sia percepita come
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fastidiosa; i frequentatori di discoteche potrebbero essere quindi meno sensibili a
tale effetto simpaticomimetico, in virtù del fatto che gradiscono tale tipo di musica.
D’altra parte però, studi eseguiti nell’ambito della medicina sportiva indicano che
l’ascolto di musica dal ritmo veloce, in soggetti non allenati, aumenta la resistenza
fisica e che l’esercizio, da parte sua, aumenta la sensibilità alla musica e ai rumori.
Questo potrebbe in parte spiegare la grossa resistenza fisica di chi balla tutta la
notte in discoteca senza assumere sostanze psicoattive. Non bisogna però
dimenticare gli altri fattori in gioco in questo ambiente, come i volumi sonori molto
elevati, le stimolazioni visive, l’eventuale uso di sostanze psicoattive e, infine,
l’assetto psicologico del soggetto, con i suoi problemi, le sue aspettative per la
serata e i suoi tratti del carattere; tutti questi sono fattori che possono favorire od
ostacolare le modificazioni correlate all’ascolto della musica in modo non
prevedibile.
La musica tecno induce un aumento della frequenza cardiaca, della pressione
sistolica e degli stati emotivi, un aumento dei valori di betaendorfine, ACTH,
norepinefrina, GH e cortisolo; l’ascolto di musica classica influisce solo sullo stato
emozionale. Epinefrina e prolattina non vengono modificate da alcun tipo di musica.
Sembra quindi che la musica tecno agisca sui neurotrasmettitori i peptidi e le
reazioni ormonali, indipendentemente dal sesso.
Concludendo, ma anche semplificando, si può considerare la musica veloce come
un fattore in grado di attivare il sistema simpatico e tale effetto è più accentuato
con la musica techno, che oltre a essere veloce è anche molto ripetitiva; pertanto,
soprattutto se associata a luci stroboscopiche, può indurre una sincronizzazione
delle onde cerebrali su frequenze legate alla tensione e allo stress. Se veramente
l’attivazione simpatica segue l’andamento della musica, considerando che in
discoteca i volumi e i ritmi, nella maggior parte dei casi, aumentano
progressivamente nel corso della serata, all’apice della stimolazione sensoriale si
avrà anche la massima stimolazione simpatica: quando poi la musica cessa,
diminuisce gradualmente la secrezione di noradrenalina e si fa strada l’esaurimento
fisico, come accade quando termina l’effetto di una sostanza stimolante. Da questo
punto di vista, quindi, la techno-music (tanto più se associata a luci stroboscopiche)
può essere considerata alla stregua di una droga stimolante ed euforizzante, i cui
effetti vengono accentuati dal ballo ed esasperati dalle sostanze psicostimolanti,
come extasy, cocaina e metanfetamina.
Se si sottopongono soggetti depressi (adulto-anziani) a programmi di musicoterapia
e rilassamento perun periodo di 8 settimane, si ha un grosso miglioramento del
tono dell’umore e degli indici diagnostici didepressione rispetto ai controlli e tali
risultati permangono per 9 mesi dopo la sospensione deltrattamento. ACTH e
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cortisolo seguono andamenti leggermente diversi: la techno porta infatti adaumento
di entrambi tali ormoni, mentre la musica classica ne determina una diminuzione.
Quindi, inaccordo ad altri studi, sembra che la musica techno, come altre musiche
dai ritmi veloci, sia in grado diattivare il sistema simpatico e l’asse ipotalamo-ipofisi-
surrene. Il pattern neuroendocrino indottodall’ascolto della techno è quindi simile a
quello prodotto dallo stress psicologico, con la differenza chenel primo caso non c’è
aumento della concentrazione plasmatica di adrenalina, come avviene invece
nelsecondo. Ciò può suggerire che vi sia una diversa percezione mentale degli
stimoli stressori econseguentemente vi sarebbe la liberazione di neurotrasmettitori
diversi.Infine, l’ascolto della musica si accompagna anche a modificazioni del
tracciato EEG: in genere si ha unaparziale sostituzione del ritmo a con ritmi b, q e
d.Tali modificazioni EEG si prolungano per alcune ore dopo il Trattamento. Nei
soggetti che hanno passatouna nottata in discoteca, si può notare come vi sia una
diminuzione del ritmo a e un aumento dei ritmi be q: appare un aumento dello stato
di vigilanza, dell’attività psicomotoria, del tono dell’umore e delleenergie, che si
accompagna anche ad aumento di frequenza cardiaca e pressione arteriosa;
all’inverso, c’èuna diminuzione di attenzione, di concentrazione, dei tempi di
reazione e della memoria.
Purtroppo però, sono poche le persone che, grazie ad adeguati set e setting,
possono raggiungere latrance senza l’ausilio di sostanze psicoattive. Nella maggior
parte dei casi invece tale stato vieneraggiunto con l’aiuto di droghe, prima fra tutte
la MDMA.
Se si considerano attentamente gli effetti neuro-psichici di tale sostanza, si può
osservare come buonaparte di essi rientrino nell’ambito degli SMC: alterazioni della
percezione del tempo, dispercezioni visive,modificazioni del pensiero con
spostamento dell’attenzione verso l’interno e l’inconscio, aumento dellacoscienza
delle emozioni, alterazioni nella percezione dei rapporti spaziali, perdita del limite
tra sé e glialtri. Il fatto che vi siano set e setting adeguati e il fatto che l’extasy porti
di per sé allo sviluppo di unSMC, favoriscono l’identificazione con la musica: i limiti
corporei sembrano sparire e tutto intorno alsoggetto diventa musica. A questo
punto, la trasformazione è completata e chi balla prova unintensissimo: molti raver
descrivono addirittura le proprie esperienze come mistiche, si sentono in armonia
con l’universo; per loro la trance è un’apertura verso qualcos’altro ed essa viene
vissuta come “rivelazione” metafisica.
In questo contesto lo SMC è ambigua, e predominano i contenutii mentali del
soggetto in trance che fanno da guida principale nella percezione della realtà, con
tutti i rischi che ne possono derivare. Pertanto esiste una grossa differenza tra la
trance che si manifesta all’interno di un rito ben codificato e sotto il patrocinio di
una guida esperta, e la trance che si manifesta per setting mediato magari anche
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da una anfetamina. Tale situazione può portare ad erronee interpretazioni degli
eventi e a grossolani errori di valutazione (nei riguardi di pericoli, proprie capacità,
intenzioni degli altri), con comportamenti pericolosi e reazioni eccessive, senza
considerare i pericoli derivanti dalla sottovalutazione delle condizioni di fatica, di
disidratazione, spesso di aumento della temperatura corporea, che può sfociare in
una ipertermia maligna, di stress da alti valori permanenti di catecolamine.
Non si può udire più la leggera voce della prima delle Muse.
La musica va a influire anche sulla concentrazione plasmatica di alcuni
ormoni, soprattutto ACTH, cortisolo e noradrenalina: la musica rilassante e
meditativa sembra associata a diminuzione di cortisolo e noradrenalina, mentre la
musica pop sembra diminuire i livelli di prolattina e la musica classica sembra
invece non influire significativamente su sistema simpatico e asse ipotalamo-
ipofisario.
Ma tali effetti neuroendocrini sono, almeno in parte, correlati al background
professionale e culturale nei confronti della musica: paragonando infatti le risposte
alle stesse selezioni musicali di due gruppi di soggetti, il primo rappresentato da
studenti di musica e il secondo da studenti di biologia, si può notare come nel primo
caso vi sia un aumento del cortisolo plasmatico, mentre nel secondo caso vi sia una
sua diminuzione. Questa risposta potrebbe essere spiegata dal fatto che gli studenti
di musica ascoltano in modo critico e analitico rispetto agli studenti di biologia e ciò
porterebbe a un aumento dello stress, anziché ad una sua diminuzione. Infine,
l’ascolto della musica si accompagna anche a modificazioni del tracciato EEG: in
genere si ha una parziale sostituzione del ritmo a con ritmi , q e d:
Queste modificazioni possono essere controllate mediante apparecchiature
particolari, Brain Machines e Biofeedbacks, le quali, tramite cuffie ed occhiali,
trasmettono determinate frequenze a orecchio e occhio, attivando nel cervello
reazioni controllate, visibili mediante modificazioni del tracciato
elettroencefalografico, poiché le onde cerebrali si allineano alle oscillazioni
acustiche e visive esterne. Pertanto si possono programmare tali macchine per
stimolare il ritmo , allo scopo di aumentare vigilanza e attenzione, o il ritmo a, allo
scopo di ottenere un profondo rilassamento, o ancora il ritmo q, per risolvere
anomalie del sonno oppure ottenere stati di coscienza modificata. Tali modificazioni
EEG si prolungano per alcune ore dopo il trattamento, come pure le associate
modificazioni del comportamento. Se per es. si vanno e studiare tali modificazioni in
soggetti che hanno passato una nottata in discoteca, si può notare come vi sia una
diminuzione del ritmo a e un aumento dei ritmi e q: ovvero c’è una netta
prevalenza delle onde cerebrali correlate alle situazioni di stress (onde ) e
correlate a sonno e meditazione (onde q), rispetto a quelle correlate alle situazioni
di rilassamento (onde a). Le onde rilevate con tecniche EEG
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(elettroencefalografiche) sono però da considerare solo una approssimazione di ciò
che avviene realmente a livello cerebrale. Molti fenomeni biologici infatti agiscono
all’interno di spazi multidimensionali, caratterizzati da funzioni matematiche di
ordine superiore; tanto che la nostra certezza di vivere in uno spazio
tridimensionale possiamo proprio considerarla una “decisione” della nostra
coscienza, piuttosto che una fedele rappresentazione della realtà. Negli spazi di
ordine 4 o superiori lo svolgimento di un processo biologico è pilotato da un
elemento detto attrattore strano, che può rapidamente modificare la condotta del
sistema biologico a partire da deboli variazioni delle condizioni iniziali. I sistemi
dinamici che dipendono poco dalle condizioni iniziali sono detti caotici, e
rappresentano il motore nascosto di molti processi relativi alla funzione cerebrale.
In figura su riporta in rosso l’attrattore di un’onda caotica, che, sezionata
idealmente e ricondotta in modo quindi parziale in uno spazio 3D, diverrà l’onda
EEG che conosciamo:
La modificazione delle funzioni prima descritte porta un aumento dello stato
di vigilanza, dell’attività psicomotoria, del tono dell’umore e delle energie, che si
accompagnano anche ad aumento di frequenza cardiaca e pressione arteriosa;
all’inverso, c’è una diminuzione di attenzione, concentrazione, tempi di reazione e
memoria rispetto al gruppo di controllo.
L’emisfero sinistro è sede del pensiero razionale e deduttivo, mentre quello
destro è sede del pensiero induttivo, dell’istinto e della creatività: i soggetti
depressi cronici mostrano uno sbilanciamento stabile dell’attività dei due emisferi,
con relativa attivazione frontale destra. Si può notare una diminuzione di tale
sbilanciamento, associata a diminuzione del cortisolo salivare, durante e dopo
l’ascolto di musica rock, anche se non si osservano modificazioni del tono
dell’umore. D’altra parte, sembra esserci una correlazione tra le preferenze musicali
rock e metal e la depressione endogena, soprattutto nel sesso femminile (il fatto di
sentirsi tristi dopo l’ascolto della propria musica preferita distingue il gruppo più
disturbato). Invece se si sottopongono soggetti depressi (adulto-anziani) a
programmi di musicoterapia e rilassamento per un periodo di 8 settimane, si ha un
grosso miglioramento del tono dell’umore e degli indici diagnostici di depressione
rispetto ai controlli e tali risultati permangono per 9 mesi dopo la sospensione del
trattamento.
Con musiche di tipo rock “duro” prevalgono gli aspetti di aggressività, di
abbassamento degli stati rilassati e di chiarezza mentale, viceversa esempi studiati
di designer musica ottengono l’effetto contrario (McCraty) come dire che il
peggioramento della performance non è dovuto al tipo musicale in sé, ma alla
struttura interna della musica: anche una di tipo “disegnata a tavolino” può quindi
produrre effetti di notevole interesse. L’arousal fisiologico si mantiene a livelli
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ottimali più per la struttura musicale del brano che non per il tipo di parte lirica
contenuta (Souson) coem dire che la parte melodica si riferisce più ai centri di
interpretazione o vvero del linguaggio, diversamente dalla parte ritmica, che agisce
prevalentemente sulle aree corticotalamiche e corticolimbiche (Zakharova,
Avdeev), con dominanza del ritmo q e d su quello acon differenze, sulle quali non
tutti i ricercatori concordano, sul ruolo eventualmente giocato dalle condizioni
individuali circa il grado di preparazione musicale. Certo è che musica di tipo
“meccanico” e aritmica induce sperimentalmente una inibizione del tono del
parasimpatico con induzione di stati di allerta e di disagio. Un riesame della
casistica di primo soccorso durante 405 grandi concerti ha rilevato come
mediamente il rischio di disturbi a livello cardiocircolatorio aumenti statisticamente
di 2.5 volte (Grange, Gree, Downs), assieme all’aumento di rischi connessi con
eventi di tripo traumatico. Fino al 1998 sono stati inoltre segnalati due episodi di
epilessia indotta da musica del genere pop (epilessia musicogena, Nakano, Takase,
Tatsumi). Sempre nella popolazione giovanile è stato osservato sperimentalmente
(Field e Coll.) che la musica si correla positivamente con un’attività alta a livello
frontale sn, e negativo con analoga iperattività a dx, tipica degli stati di depressione
cronica: comunque i livelli di cortisolo tendono a diminuire, così come l’attivazione
frontale sn, anche se il tono dell’umore non sembra migliorare. Similmente, la
musica è dimostrato ormai agire positivamente nei pazienti schizofrenici, inibendo
la formazione di allucinazioni uditive a dx (Gallagher, Dinan, Baker). Queste
considerazioni hanno fatto sì che la musica sia stata vista anche sotto l’angolo di
proposta terapeutica, al fine di facilitare il rientro della frequenza cardiaca, dello
stato generale e psicofisiologico di rilassamento, mediante la riduzione del livello
circolante degli ormoni stress correlati(adrenal corticosteroids, Watkins, Rider,
Floyd, Kirkpatrick); il fatto è considerato di notevole interesse per le correlazioni fra
ormoni stress correlati e sistema immunitario.
Anche se controversi, dai vari studi emerge dunque che la musica ha
importanti effetti su corpo e psiche e che la musicoterapia può rappresentare un
buon intervento nelle situazioni stressanti per diminuire ansietà, pressione arteriosa
e frequenza cardiaca, il che si associa anche a diminuzioni delle concentrazioni
plasmatiche degli ormoni di stress (noradrenalina, ACTH e cortisolo).
Ma i dati più significativi sono quelli riguardanti i livelli plasmatici di ormoni;
in particolare si è rilevato un aumento della concentrazione di -endorfina,
noradrenalina e GH durante l’ascolto della techno, tanto che al termine dei 30 min
di ascolto i livelli plasmatici di tali sostanze sono assai più elevati di quelli rilevati
dopo l’ascolto della musica classica, la quale non induce invece modificazioni di tali
ormoni. ACTH e cortisolo seguono andamenti leggermente diversi: la techno porta
infatti ad aumento di entrambi tali ormoni, mentre la musica classica ne determina
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una diminuzione. Infine, adrenalina e prolattina non vanno incontro a variazioni a
seguito dell’ascolto musicale, a parte un leggero innalzamento (non statisticamente
significativo) della prolattina nelle femmine dopo la techno-music. Confrontando i
dati, si può quindi trovare una correlazione positiva trai picchi di noradrenalina, GH
e -endorfina, le modificazioni dello stato emozionale e l’aumento di frequenza
cardiaca e pressione sistolica dopo l’ascolto della techno.
Quindi, in accordo ad altri studi, sembra che la musica techno, come altre
musiche dai ritmi veloci, sia in grado di attivare il sistema simpatico e l’asse
ipotalamo-ipofisi-surrene. L’aumento di GH, -endorfina e ACTH può essere
considerato NA-dipendente, ovvero l’attivazione noradrenergica centrale può essere
responsabile del picco secretorio degli altri ormoni. Il pattern neuroendocrino
indotto dall’ascolto della techno è simile a quello prodotto dallo stress psicologico,
con la differenza che nel primo caso non c’è aumento della concentrazione
plasmatica di adrenalina, come avviene invece nel secondo. Ciò può suggerire che
vi sia una diversa percezione mentale degli stimoli stressori e conseguentemente vi
sarebbe la liberazione di neurotrasmettitori diversi.
Gli studi effettuati per lo studio del rilascio ormonale presentano però alcune
limitazioni che vale la pena affrontare: oltre al fatto che il campione è sempre
piccolo, per evitare gli effetti del diverso background musicale e culturale, i soggetti
risultano scelti in base al fatto di non possedere un’educazione musicale, oppure
preferenze musicali, e che non frequentassero discoteche. Nessuno dei soggetti
esaminati gradisce quindi questo tipo di musica; inoltre il peggioramento dello stato
emozionale e i picchi di NA, GH e -endorfina sono tanto più evidenti quanto meno
la musica techno piace. Sappiamo poi che la -endorfina aumenta in seguito a
qualunque emozione percepita come negativa o dolorosa: un soggetto obbligato ad
ascoltare una musica che trova fastidiosa percepirà sicuramente un’emozione
negativa e quindi andrà incontro a un aumento degli oppioidi endogeni. E’ possibile
quindi che la risposta all’ascolto della techno dipenda almeno in parte dal fatto che
essa sia percepita come piacevole o spiacevole: una persona che ami passare il
proprio tempo libero in discoteca non trova la musica che lì si suona fastidiosa,
pertanto i risultati di questo studio non possono a priori essere applicati ai
frequentatori di discoteche. Comunque, in questo studio sono state messe in
evidenza alcune differenze nelle risposte dei diversi soggetti alla techno, sulla base
di diversità dei tratti del carattere: quelli che erano stati catalogati come “novelty-
sensation seeking subjects” (soggetti sempre alla ricerca di nuove sensazioni)
risultavano infatti meno infastiditi degli altri da tale tipo di musica.
Sul piano psicologico, la musica influisce sulla percezione che si ha del proprio
“essere”: i suoni definiscono lo spazio in cui un soggetto si trova come uno spazio
contenente altre persone, in cui il soggetto in questione viene ad assumere una
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certa collocazione. Il silenzio rappresenta uno spazio vuoto o immobile, mentre il
suono rappresenta uno spazio pieno o in movimento: i suoni udibili riempiono quindi
uno spazio e consentono così al soggetto di integrarsi in esso. In più, e questa è una
caratteristica fondamentale, la musica si svolge nel tempo e, in un certo senso, ne
può modificare la percezione. Infatti, la musica indica che qualcosa sta succedendo,
che il tempo è occupato da un’azione in svolgimento, ma contemporaneamente può
anche fermare il tempo stesso, cristallizzarlo sul presente. La musica sta infatti a
determinare il tempo presente: una nota è nel momento in cui è, poi svanisce
(rimanendo però impressa nella memoria di chi ascolta) o ricompare, ma sempre
nel presente. Il ciclico o continuo ripresentarsi di una nota crea un senso di
sospensione (basti ad es. pensare al rullo dei tamburi prima del salto di un
trapezista), ferma il tempo sul presente: niente passato, niente futuro. Quindi oltre
a inscrivere un soggetto nello spazio, la musica può anche inscriverlo nel tempo: “io
sono qui ora”, ovvero può orientarlo sia nel tempo che nello spazio.
Proprio per queste caratteristiche, la musica accompagna i riti religiosi, in modo più
o meno evidente a seconda delle religioni e delle culture considerate; i riti nei quali
la musica ha il ruolo più importante sono quelli di “possessione”, durante i quali si
raggiungono stati modificati di coscienza conosciuti col nome di “trance”.
Musica e Medicina
“La musica, in quanto fenomeno complesso, è allo stesso tempo soggetta ad
inesauribili letture di sempre diversi significati, essendo riconducibile a un vissuto
fondamentalmente individuale, e all’idea che esprima forme significanti disponibili a
letture non solo univoche e convenzionali.” (V. Gnocato). Ciò non significa quindi
che la musica abbia un intrinseco potere terapeutico, ma che, migliorando lo stato
psicologico del paziente, aiuta ad accettare più serenamente il disagio
dell’ospedalizzazione, che viene quindi vissuta con minor sofferenza. Soprattutto
negli Stati Uniti e nel nord Europa, la musica viene impiegata con successo in
diversi ambiti: in reparti di terapia intensiva, dove migliora la risposta dei pazienti e
l’efficienza lavorativa del personale, in unità coronarica, dove diminuisce l’incidenza
di complicanze post-infartuali, nei pazienti in ventilazione meccanica, dove induce
rilassamento e miglioramento dell’umore, durante gastroscopia, dove la
concentrazione plasmatica degli ormoni di stress (ACTH e cortisolo) aumenta in
modo assai meno marcato rispetto ai controlli. L’ascolto di musica migliora anche il
dolore postoperatorio e da cancro, permettendo quindi di diminuire le dosi di
analgesici, e favorisce in questi pazienti il riposo e il sonno. Tutto ciò può essere
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ricondotto ai benefici effetti psicologici prodotti dall’ascolto della musica: la
diminuzione dello stress e dell’ansietà migliora la risposta del paziente alla terapia e
i suoi rapporti col personale medico e paramedico, che, di rimando, sarà più
disponibile nei confronti del paziente, e ciò complessivamente si traduce in un
miglioramento della qualità di vita.
Ma oltre a questi evidenti effetti psicologici, si è rilevato come la musica sia in grado
di modificare alcuni parametri ematici, elettrofisiologici e cardiopolmonari. Innanzi
tutto, bisogna specificare che è la melodia in sé a determinare tali effetti, mentre le
parole non sembrano importanti. Un altro elemento importante è il ritmo della
musica ascoltata: difatti alcuni studi indicano che si tende a preferire musica che
abbia un tempo compreso tra 70 e 100 cicli/min, ovvero simile alla frequenza
cardiaca dell’adulto a riposo; inoltre, sia utilizzando toni puri, sia utilizzando brani
musicali, se al soggetto è data la possibilità di regolare il tempo, esso sceglie quello
che si accorda meglio col proprio battito cardiaco. Ma anche la musica può influire
sull’ascoltatore, modificandone la frequenza cardiaca: infatti mentre la musica
percepita come rilassante tende a far diminuire frequenza cardiaca e respiratoria, la
musica più scatenata, come il rock o la techno, tende invece a farle aumentare. Se
per es. si fa un paragone tra musica eseguita al sintetizzatore, canti di uccelli e
suoni di tipo meccanico, questi ultimi sono in grado di inibire il parasimpatico e di
promuovere spiacevoli sentimenti di allerta, con aumento della frequenza cardiaca
e respiratoria. Inoltre, la frequenza cardiaca viene modificata in modo più
significativo da musiche conosciute e familiari, rispetto a musiche di uguale tempo
ma mai ascoltate prima: ciò può far pensare che nella genesi di tali modificazioni
siano importanti i fattori psicologici e affettivi.
La musica, come detto prima, va a influire anche sulla concentrazione plasmatica di
alcuni ormoni, soprattutto ACTH, cortisolo e noradrenalina: la musica rilassante e
meditativa sembra associata a diminuzione di cortisolo e noradrenalina, mentre la
musica pop sembra diminuire i livelli di prolattina e la musica classica sembra
invece non influire significativamente su sistema simpatico e asse ipotalamo-
ipofisario. Ma tali effetti neuroendocrini sono, almeno in parte, correlati al
background professionale e culturale nei confronti della musica: paragonando infatti
le risposte alle stesse selezioni musicali di due gruppi di soggetti, il primo
rappresentato da studenti di musica e il secondo da studenti di biologia, si può
notare come nel primo caso vi sia un aumento del cortisolo plasmatico, mentre nel
secondo caso vi sia una sua diminuzione. Questa risposta potrebbe essere spiegata
dal fatto che gli studenti di musica ascoltano in modo critico e analitico rispetto agli
studenti di biologia e ciò porterebbe a un aumento dello stress, anziché ad una sua
diminuzione.
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Le bRain Machenes prima ricordate a proposito delle nuove frontiere della
modificazione di coscienza sono anche in grado di permettere il sincronismo dei due
emisferi cerebrali, il che sembra migliorare memoria, concentrazione e calma
interiore. L’emisfero sinistro è sede del pensiero razionale e deduttivo, mentre
quello destro è sede del pensiero induttivo, dell’istinto e della creatività: i soggetti
depressi cronici mostrano uno sbilanciamento stabile dell’attività dei due emisferi,
con relativa attivazione frontale destra. Si può notare una diminuzione di tale
sbilanciamento, associata a diminuzione del cortisolo salivare, durante e dopo
l’ascolto di musica rock, anche se non si osservano modificazioni del tono
dell’umore. D’altra parte, sembra esserci una correlazione tra le preferenze musicali
rock e metal e la depressione endogena, soprattutto nel sesso femminile (il fatto di
sentirsi tristi dopo l’ascolto della propria musica preferita distingue il gruppo più
disturbato). Invece se si sottopongono soggetti depressi (adulto-anziani) a
programmi di musicoterapia e rilassamento per un periodo di 8 settimane, si ha un
grosso miglioramento del tono dell’umore e degli indici diagnostici di depressione
rispetto ai controlli e tali risultati permangono per 9 mesi dopo la sospensione del
trattamento.
Anche se controversi, dai vari studi emerge dunque che la musica ha importanti
effetti su corpo e psiche e che la musicoterapia può rappresentare un buon
intervento nelle situazioni stressanti per diminuire ansietà, pressione arteriosa e
frequenza cardiaca, il che si associa anche a diminuzioni delle concentrazioni
plasmatiche degli ormoni di stress (noradrenalina, ACTH e cortisolo).
Stati di coscienza modificata
Nel concetto di “stato modificato di coscienza” (SMC) vengono raggruppate
esperienze fino ad ora disgiunte, come le transe di possessione, le estasi mistiche,
gli stati indotti da certe sostanze psicoattive o dalla meditazione, oltre a tutti quegli
stati che si possono definire ipnoidi. Gli SMC non sono necessariamente patologici,
ma sono semplicemente diversi dallo stato in cui solitamente un soggetto si trova,
chiamato anche “stato ordinario di coscienza”. Gli aspetti principali degli SMC sono i
seguenti:
_ modificazione del pensiero: l’attenzione si sposta verso l’interno, memoria e
capacità di concentrazione e giudizio subiscono dei disturbi;
_ disturbi della temporalità;
_ perdita del controllo della propria coscienza sull’inconscio;
_ mutamenti nell’espressione emozionale: a causa del minor controllo e della minor
inibizione, vengono vissute emozioni più primitive ed estreme;
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_ modificazioni dell’immagine del corpo e delle sensazioni che da esso provengono:
spersonalizzazione, scissione corpo-spirito, perdita del limite fra sé e gli altri o
l’universo, sensazione di integrità o di trascendenza;
_ distorsioni percettive e allucinazioni: natura e forma di tali alterazioni dipendono
dalla cultura, dal contesto e dal gruppo in cui il soggetto si trova e da fattori
individuali (neurofisiologici e psicologici);
_ modificazioni nel senso o nella significazione: maggior importanza e significato
vengono attribuiti alle esperienze soggettive, alle idee, alle percezioni, si
raggiungono spesso sensazioni di verità profonda, di grandi intuizioni, fino a
sensazioni di illuminazione divina; ciò costituisce uno degli aspetti più importanti
degli SMC religiosi e mistici;
_ esperienza dell’ineffabile: l’esperienza è talmente unica e soggettiva che risulta
assai difficile descriverla a chi non l’ha provata, con tendenza a non ricordarsene
dopo il suo termine;
_ impressione di ringiovanimento e/o di speranza ritrovata;
_ ipersuggestionabilità: maggior propensione ad accettare o a rispondere
automaticamente a ordini o istruzioni di un capo oppure a imperativi derivanti dalle
aspettative del gruppo culturale di appartenenza.
Nell’Occidente industrializzato, gli SMC sono disconosciuti e rimandano all’idea di
culture distanti, primitive o arcaiche: ma in realtà, anche se in forma modificata e
forse meno teatrale, tali stati sono rappresentati pure nella nostra cultura, si tratta
solo di riconoscerli. Innanzi tutto è necessaria una distinzione fra “trance” ed
“estasi”: sono entrambi SMC e possono anche portare alle stesse sensazioni chi le
vive, ma mentre la prima trae origine dall’iperstimolazione sensoriale e solitamente
si manifesta in riti di gruppo, la seconda trae origine dal meccanismo opposto,
ovvero l’ipostimolazione sensoriale (solitudine, silenzio, immobilità). Rimanendo
quindi all’interno di ciò che può accadere in discoteca, ci interesserà
essenzialmente la trance; ed è necessario sforzarsi di abbandonare il punto di vista
occidentale per affrontare e capire tale fenomeno: con la trance entriamo in un
ambito dell’esperienza che è allo stesso tempo psichico, culturale, religioso,
terapeutico.
Da quanto detto sulla trance, è possibile ravvisare notevoli analogie tra i tradizionali
riti di possessione e ciò che accade in discoteca (o, per meglio dire, nella discoteca
di tendenza e ai rave-parties), tanto che si può parlare qui di insorgenza di SMC, se
non addirittura di trance. I riti di possessione si basano su una cerimonia complessa,
comprendente, tra le altre cose, musica e danze, che facilitano la frattura con lo
stato di coscienza ordinario, e ciò è indispensabile per l’entrata in uno stato di
coscienza modificato, presupposto per la possessione da parte di una divinità
oppure, diremmo noi occidentali, per l’espressione dell’inconscio di un soggetto.
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Durante la cerimonia, i posseduti ballano seguendo la musica, che viene suonata da
altri, i quali esercitano una sorta di potere ipnotico sui primi. E’come se la musica,
e quindi chi la suona, potesse controllare lo stato di coscienza dei posseduti. Nella
insorgenza degli SMC ha quindi un ruolo importante la musica: come abbiamo visto,
è necessario che venga suonato “l’aria giusta”, che permette l’identificazione del
soggetto con una divinità o con un animale (il ragno nel tarantismo, per es.). Una
volta verificatasi tale identificazione, il soggetto la esprimerà tramite la danza, che
continuerà seguendo la musica, vivendola, assorbendola. Abbiamo anche visto che
la musica dei riti di possessione ha due caratteristiche ricorrenti, le rotture di ritmo
e l’accelerando-crescendo: entrambe si possono riconoscere anche nelle musiche
“di tendenza”, in particolare la techno. Con questo non voglio assolutamente
affermare che tale tipo di musica sia, di per sé, responsabile degli stati di trance:
penso semplicemente che possa avere un effetto facilitante l’insorgenza di SMC in
soggetti predisposti, insieme ad altri fattori ambientali.
Induzione della trance
Abbiamo visto quindi come set e setting possano favorire la frattura con lo stato di
coscienza ordinario, analogamente a quanto accade nelle cerimonie di possessione,
ma ciò non significa trovarsi già in uno stato di trance. Perché essa si manifesti è
necessario riuscire a “vivere” la musica, “sentirla” veramente ed interpretarla con
la danza: l’espressione corporea libera è un fondamentale momento di
trasformazione, poiché permette all’inconscio di impossessarsi del corpo e di
comunicare con gli altri tramite questo. Ciò è possibile anche perché non esistono
schemi fissi, diversamente dai balli di coppia o di gruppo, ed ognuno è libero di
muoversi come meglio crede.
Per l’induzione dello stato di trance è dunque necessario un bombardamento
sensoriale, prevalentemente costituito da luci e suoni (ma anche vibrazioni, odori e
sapori hanno una certa importanza), che favoriscono anche un’alterata percezione
del tempo, con cristallizzazione sul presente, la quale a sua volta fa ancora di più
dimenticare i problemi quotidiani, favorendo così ulteriormente la dissociazione del
soggetto. Dato che il setting della discoteca di tendenza è più curato e le
stimolazioni sensoriali sono più intense, sarà più probabile raggiungere uno SMC in
quest’ambito piuttosto che in quello commerciale; ma c’è anche un’altra importante
differenza: le diverse proporzioni tra canzoni e tracks nei due ambienti. Abbiamo
infatti visto che la situazione di tendenza è caratterizzata da un forte uso di tracks,
ovvero di segmenti musicali semplici e ripetitivi, dal ritmo assai sostenuto, il quale
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rappresenta la parte più importante del componimento. Il fatto che la techno-music
sia costituita prevalentemente da tracks, la rende ripetitiva e ossessiva: ogni
momento musicale è uguale o molto simile al precedente e al successivo e ciò
enfatizza la cristallizzazione del tempo sul presente. Abbiamo anche visto che la
musica da discoteca può agire in modo simile alle Brain Machines, soprattutto se
associata a luci psichedeliche, sincronizzando le onde cerebrali sulle frequenze
(13-30 cicli/sec) e q (4-7 cicli/sec), ovvero rispettivamente di tipo stimolante e
ipnotico: questo effetto di trascinamento, se così si può chiamare, prosegue per
tutta la notte e costituisce uno stimolo stressorio di notevole entità. Nel corso della
serata i ritmi accelerano e i volumi aumentano, fino ad arrivare a un acme,
analogamente a quanto accade solitamente nelle musiche di possessione: a un
certo punto ecco allora insorgere la trance, l’identificazione con la musica e il
movimento, la sostituzione della coscienza con l’inconscio.
Purtroppo però, sono poche le persone che, grazie ad adeguati set e setting,
possono raggiungere la trance senza l’ausilio di sostanze psicoattive. Nella maggior
parte dei casi invece tale stato viene raggiunto con l’aiuto di droghe, prima fra tutte
la MDMA. Se si considerano attentamente gli effetti neuro-psichici di tale sostanza,
si può osservare come buona parte di essi rientrino nell’ambito degli SMC:
alterazioni della percezione del tempo, dispercezioni visive, modificazioni del
pensiero con spostamento dell’attenzione verso l’interno e l’inconscio, aumento
della coscienza delle emozioni, alterazioni nella percezione dei rapporti spaziali,
perdita del limite tra sé e gli altri. Il fatto che vi siano set e setting adeguati e il fatto
che l’extasy porti di per sé allo sviluppo di un SMC, favoriscono l’identificazione con
la musica: i limiti corporei sembrano sparire e tutto intorno al soggetto diventa
musica. A questo punto, la trasformazione è completata e chi balla è letteralmente
posseduto dal proprio inconscio e ciò provoca un piacere a quanto pare
indescrivibile a chi non l’ha mai provato. Molti raver descrivono addirittura le
proprie esperienze come mistiche, si sentono in armonia con l’universo; per loro la
trance è un’apertura verso qualcos’altro ed essa viene vissuta come “rivelazione”,
più o meno sconvolgente.
Ma a questo punto sorge un problema: se nel corso di un SMC la realtà esterna è
ambigua, se non è presente una guida, sono i prodotti mentali del soggetto in
trance a costituirne la guida principale nella percezione della realtà, con tutti i rischi
che ne possono derivare. Pertanto esiste una grossa differenza tra la trance che si
manifesta all’interno di un rito ben codificato e sotto il patrocinio di una guida
esperta, che dà sensazioni di sicurezza e approvazione, e la trance che si manifesta
in soggetti allo sbaraglio, dovuta principalmente all’azione di una sostanza chimica.
L’assenza di guide può portare ad erronee interpretazioni degli eventi e a grossolani
errori di valutazione (nei riguardi di pericoli, proprie capacità, intenzioni degli altri),
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con comportamenti pericolosi e reazioni eccessive. Tali erronee interpretazioni, da
un punto di vista psicoanalitico, sono infatti da considerare momenti proiettivi, che
però vengono letti dal soggetto come esterni e quindi dotati di autonomia rispetto
all’unità dell’Io.
Per terminare, vorrei fare alcune brevi considerazioni sulle cosiddette “stragi del
sabato sera”, tanto reclamizzate dai mass media. Diversamente da quanto molte
persone possono essere indotte a pensare da un’informazione sommaria, le indagini
tossicologiche su soggetti deceduti per incidente stradale nel dopo-discoteca sono
solitamente negative per quanto riguarda la presenza di sostanze psicoattive (fatta
eccezione per l’alcool etilico che è presente oltre la soglia consentita di 80 mg
nell’8% dei decessi). Per tale motivo si è indotti a pensare che il principale
responsabile di tali incidenti sia la stanchezza, che si manifesta col colpo di sonno. E
ciò è piuttosto verosimile se si pensa che chi si mette alla guida ha ballato, o
comunque è rimasto sveglio, per tutta la notte, che gli amici che trasporta spesso si
addormentano lasciandolo così solo alla guida e che il più delle volte l’incidente
avviene lungo un rettilineo, dove la guida è monotona, senza segni di frenata. Non
sarebbe possibile che, nel silenzio del dopo spettacolo, il soggetto vada incontro a
fenomeni di potenziali evocati, prevalentemente di tipo visivo (quindi a contenuto
allucinatorio), causati dalla precedente iperstimolazione sensoriale, eventualmente
accompagnata da SMC? E’ un’ipotesi ovviamente tutta da dimostrare, ma non certo
da scartare visti i presupposti su cui si basa.
Anne J. Blood e Robert J. Zatorre hanno recentemente pubblicato una interessante
review di lavori propri e di ordine più generale sulla risposta cerebrale di piacere
alla musica, con riguardo al tema della gratificazione e dello sviluppo dell’emozione.
Dato che le risposte piacevoli note come “brivido di piacere” sono eventi chiari,
discreti e strettamente individuali in risposta all’ascolto musicale, anche sul piano
della obiettivazione neurologica, possono essere considerati un buon elemento di
giudizio per l’approccio sperimentale. Già è stato osservato tramite PET un aumento
dell’attività paralimbica correlato a stimoli musicali o visivi spiacevoli, con aumento
del flusso cerebrale regionale nel giro paraippocampale, essendo già noto che il
rinforzo e la motivazione all’uso di stupefacenti si correla con l’attività dello striato
ventrale (nucleo accumbens e pallido ventrale), del tegmento ventrale, amigdala,
ippocampo, corteccia prefrontale ventromediale, ipotalamo, sostanza grigia
periacqueduttale, tegmento peduncolopontino. Aumento della frequenza carduaca,
dell’elettromiogramma, della profondità del respiro sono in effetti associate con
l’ascolto di musica piacevole, indicando come sicuramente la musica possa
influenzare il sistema nervoso autonomo e altre attività psicofisiologiche. E’
interessante notare come all’incremento dello stimolo piacevole si registri una
diminuzione della funzionalità dell’amigdala, ovvero il flusso regionale mentre
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aumenta a livello dello striato ventrale sn e nel mediencefalo dorsomediale,
diminuisce invece nella amigdala a dx, nell’ippocampo a sn, e nella corteccia
prefrontale ventromediale. Simili aumenti di flusso si registrano anche a livello
ipotalamico, nelle regioni paralimbiche (insula, bilateralmente) e in sostanza nelle
regioni interessate alla dominanza del fenomeno della gratificazione in generale e
delle risposte motorie (ipotalamo e cervelletto).
Da un punto di vista recettoriale li neurotrasmettitore in funzione è la dopamina, ma
il fatto che sia attivo il nucleo accumbens, che proietta fibre ricche di recettori
oppioidi modulati dalle enkefaline, fa ritenere che questo meccanismo sia coinvolto
nella formazione dell’idea generale di piacere anche nell’ascolto musicale gradito.
La PET non riesce a sovrapporre con precisione l’attività registrata con i limiti
anatomici del nucleo accumbens, ma è probabile che sia come sopra descritto. Altre
ricerche infatti documentano una ridotta risposta di piacere all’ascolto musicale
dopo somministrazione di naloxone.
In conclusione, l’attivazione dei nuclei mediani e l’inibizione dell’amigdala
(responsabile della produzione delle emozioni di rifiuto o di allarme) è una ulteriore
dimostrazione che le emozioni complesse derivano dalla attivazione e interrelazione
di nuclei e aree diverse del SNC.
La risposta alla musica è quindi una proprietà emergente e complessa delle funzioni
del SNC, non direttamente connesse con il mantenimento delle condizioni vitali di
base, e proietatta casomai verso le funzioni più astratte.
Qui rientra il tema della lateralizzazione, ben esplorato dalla review di S.S. Shergill
R.M. Murray e P.K. McGuire, dove vengono discusse le più recenti acquisizioni sui
modelli cognitivi delle allucinazioni acustiche lateralizzate a destra nel SNC e gli
studi di imaging. Le allucinazioni uditive sono infatti esperienza comune per molti,
che però sviluppano un forte controllo della parte logico verbale (coerenza interna
del formalismo linguistico, ideazione astratta) sulla parte destra, che prevale invece
come manifestazione di allucinazione acustica soprattutto nei casi di schizofrenia.
L’emisfero destro è correlato col riconoscimento del ritmo o prosodia e agli aspetti
emozionali del linguaggio: un deficit a destra inibisce queste funzioni, al punto che
la “voce interiore” risulta in una esperienza di allucinazione uditiva.
Una allucinazione di tipo uditivo si suppone possa intervenire anche per un disturbo
sul sistema di analisi uditiva (“orecchio interno”), che non si collega più bene con
l’output dei fonemi (“voce interiore”), così che diviene problematico distinguere la
provenienza esterna da quella interna di un segnale. La PET evidenzia un aumento
di perfusione regionale durante le allucinazioni uditive nell’area di Broca
(produzione quindin del linguaggio) e una diminuzione della performance della
corteccia temporale sn e dell’area accessoria motrice.
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Slade e Bentall propongono una teoria per le allucinazioni che si basa su cinque
elementi, e evidenziano come la musica come stimolo uditivo complesso produca
più competizione fra aree cerebrali diverse, migliorando l’inibizione
dell’allucinazione uditiva.
Recentemente Beatty e Coll. hanno condotto un lavoro sperimentale
sull’impoverimento cognitivo nell’uso di designer drugs, osservando come il
significato e il modello interno dei brani musicali techno legati all’uso di tali
sostanze sia meglio compreso dai loro consumatori rispetto a un campione di
controllo; sembrerebbe quindi che alcuni deficit cognitivi in effetti rilevanti
soprattutto nei consumatori da lungo tempo di MDMA a livello di disturbi
dell’attenzione e della memoria (Schifano) si compensino, almeno a livello musicale,
con la ridotta necessità di acquisizione di informazioni, come dire che l’accesso al
contesto musicale, se facilittao, comporta poi una necessità ridotta di potenziale
cognitivo. Da un punto di vista neuropsichiatrico consumatori e non di MDMA si
porrebbero su piani differenti di bisogno quanto a informazioni dall’ambiente
musicale, “pareggiando” il deficit cognitivo indotto dall’uso di simpaticomimetici .
Analisi sociologica del consumo di droghe sintetiche
La ricerca di C.Baraldi pone l’accento sulle motivazioni: curiosità per nuove
esperienze e possibilità di poter interagire con il proprio gruppo, nel quale il
consumo non problematico, nel senso datogli da Cohen, tiene l’aggregazione.
Il consumo è individualistico quindi, non come nel rituale della cannabis, dove il
termine “popolo della notte” rompe i vincoli forti della interpersonalità, dove il
divertimento è inteso come strettamente personale, fisico e sensoriale, non
comunicativo; le droghe sintteiche si affermano quando il divertimento, il ballo e lo
sballo vengono affrancati dai vincoli imposti dalle regole della comunicazione, con
esasperazione verso l’amplificazione della propria parte interiore cognitiva. Ma sono
anche connesse con la prestazione, come in un rituale di iniziazione. Le droghe
sintteiche incidono quindi nella socializzazione individuale ma non nella
comunicazione di gruppo.
Strutture musicali da attrattori caotici
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Nei fenomeni naturali sono prevalenti i fenomeni non lineari e complessi Analizzabili
con dinamiche caotiche, dove gli attrattori sono postulati all’origine di tali eventi.
Strutture caotiche e musicali sono vicine: ricorrenze, pause, similarità; a basso
livello si possono direttamente tradurre sequenze di stato in notazione musicale, ad
alto livello intervengono metodi di derivazione su base statistica (cercare ad es. un
attrattore in una composizione polifonica).Tutto ciò permette di esplorare nuove
forme di complessità musicale Non linguistica.
Un filo uniforme o la turbolenza sono l’aspetto esterno di un attrattore Che
dall’interno del sistema “attira” ora una forma ora l’altra. Tutto ciò dipende
Scarsamente dalle condizioni iniziali (la pressione) Ecco quindi un sistema ai bordi
del caos. Il sistema è non-lineare, ovvero cause ed effetti non sono in proporzione.
Per piccoli cambiamenti all’inizio, si hanno drammatiche conseguenze: la “forma”
Con la quale il sistema si manifestava , la FASE, cambia bruscamente.
Attrattore strano: E’ quello che dipende poco dalle cause iniziali (rubinetto) e che
rende l’intero sistema non deterministico. A questo punto nessuna delle possibili
traiettorie di una variabile può intersecare un’altra (si creerebbe un bivio, una
scelta, e si tornerebbe al determinismo) quindi occorrono le necessarie dimensioni
oltre le 3 (minimo) per rappresentare il fenomeno.
Lo spazio delle fasi in cui si colloca l’attrattore, ovvero L’insieme delle “posizioni”
che un sistema volta volta può assumere Visto da vicino ha una struttura ai bordi di
tipo frattale: Ingrandendo si ottiene una replica in piccolo della forma del bordo
osservato, all’infinito.
I sistemi complessi sono quindi quelli non troppo sensibili alle condizioni iniziali, e
sensibilissimi all’ambiente come la vita biologica e le società umane. La struttura
interna di questi sistemi la troviamo anche nella Musica, nell’arte, in coloro che
vivendo ai bordi dello spazio delle fasi oscillano fra angeli e demoni,ai bordi del
Caos, in quella lacerazione di vita che ha tanto dato all’umnaità, rossa come il
drammatico rosso di Caravaggio. ProProgogine e Stenger:
Tutto altalena fra la competizione negli equilibrie la comunicazione e la instabilità
nelle fluttuazioni
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Cosa sono le frequenze “Binaural Beats”Se un tono costante di 359Hz (1 Hertz = 1 impulso al secondo), viene applicato all’orecchio sinistro, e un altro tono costante di 405Hz viene applicato all’orecchio destro, la differenza di 10Hz verra’ percepita dal vostro cervello; e cio’ lo stimolera’ in diverse maniere.
Le frequenze “Binaural Beats”, scoperte nel 1839 dal tedesco H. W. Dove, sono l’applicazione di queste differenze di frequenza fra un orecchio e l’altro, in modo che il cervello ne venga stimolato positivamente, queste riescono a stimolare il cervello in differenti maniere, agevolando il rilassamento, l’apprendimento, la meditazione e molti altri aspetti della vita.
Se lo stimolo esterno e’ applicato al cervello, diventa possibile mutarne la frequenza, da una sua condizione adun’altra.Per esempio, se una persona è nello stato Beta (allarme) ed uno stimolo di 10Hz e’ applicato al suo cervello per un certo tempo, e’ probabile, allora, che la frequenza dello stesso vari, sincronizzandosi a quella cui lo siespone.
Quando lo stato del cervello e’, gia’ in precedenza, vicino allo stimolo applicato, l’induzione agisce piu’ efficientemente. Infatti, se si vuole condurre le cellule cerebrali ad un certo stato di “emittenza” e’ necessario applicare ad esse una frequenza che corrisponda alla “lunghezza d’onda” in cui si trovano, in quel momento; poi, la si aumentera’, o diminuira’, con una velocita’ tale che il cervello sia sempre in sincronia con lo stimolo applicato; sino a che giungera’ allo stato desiderato.
E’ difficile stabilire in che condizione si trovi il cervello; ma, si puo’ supporre che, durante il giorno, si emettano, solitamente, delle onde Beta (20Hz); quindi, potrete iniziare da quella frequenza, per poi aumentarla, verso l’alto, o diminuirla, verso il basso.
Se, invece, la situazione neuro-cerebrale e’ piu’ rilassata, iniziate pure da 15Hz, o, meno; e viceversa.
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