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I QUADERNI DI SANTA GIULIA
N. 3 (Gennaio 2014) VOLUME SECONDO
MEDITAZIONI PER IL TEMPO DI PASQUA – ASCENSIONE - PENTECOSTE
a cura di don Mauro Peccioli
Arciconfraternita del SS. Sacramento e di Santa Giulia Livorno
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INDICE
VOLUME SECONDO
Parte seconda
VENTISETTE MEDITAZIONI
PER IL TEMPO DI PASQUA 4
Parte terza
SETTE MEDITAZIONI
PER IL TEMPO DI ASCENSIONE-PENTECOSTE 31
4
Parte seconda
VENTISETTE MEDITAZIONI
PER IL TEMPO DI PASQUA
(Adattamento dalla seconda lettura dell’Ufficio delle Letture della Liturgia
delle Ore secondo il Rito Romano).
I. LA DISCESA AGLI INFERI DEL SIGNORE
(Da un’antica «Omelia sul Sabato santo».
PG 43,439.451.462-463).
1. EGLI SCENDE A VISITARE QUELLI CHE SIEDONO NELLE TENEBRE. Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande
silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi. Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare Adamo ed Eva.
Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: «Sia con tutti il mio Signore». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: «E con il tuo spirito». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: «Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.
2. IO SONO LA VITA DEI MORTI. Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e
per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te
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comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un'unica e indivisa natura.
3. GUARDA TUTTO QUELLO CHE HO FATTO PER TE. Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho
rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.
Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle
dal peso dei tuoi peccati. Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che
un tempo avevi malamente allungato la tua mano all'albero. Morii sulla
croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel
paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. Il mio costato sanò il dolore del
tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell'inferno. La mia lancia
trattenne la lancia che si era rivolta contro di te.
Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del
paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul
trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io,
che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che
come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi
come Dio, anche se non sei Dio. Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini
sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l'eterna dimora è
addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli
eterni il regno dei cieli».
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II. L’AGNELLO IMMOLATO CI TRASSE DALLA MORTE ALLA VITA
(Dall’«Omelia pasquale» di Melitone di Sardi, vescovo. Cap. 2-7; 100-
103; SC 123,60-64.120-122)
1. MISTERO ANTICO E NUOVO.
Prestate bene attenzione, carissimi: il mistero della Pasqua è nuovo e
antico, eterno e temporale, corruttibile e incorruttibile, mortale e immortale.
Antico secondo la legge, nuovo secondo il Verbo, temporaneo nella figura,
eterno nella grazia; corruttibile per l'immolazione dell'agnello, incorruttibile
per la vita del Signore; mortale per la sua sepoltura nella terra, immortale per
la sua risurrezione dai morti.
La legge è antica, ma il Verbo è nuovo; temporale è la figura, eterna la
grazia; corruttibile l'agnello, incorruttibile il Signore, che fu immolato come un
agnello, ma risorse come Dio. «Come agnello fu condotto al macello, come
pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì bocca» (Is 53,7). La
similitudine è passata ed ha trovato compimento la realtà espressa: invece di
un agnello, Dio, l'uomo-Cristo, che tutto compendia.
2. TUTTO IN VISTA DI CRISTO
Perciò l'immolazione dell'agnello, la celebrazione della Pasqua e la
scrittura della legge ebbero per fine Cristo Gesù. Nell'antica legge tutto
avveniva in vista di Cristo. Nell'ordine nuovo tutto converge a Cristo in una
forma assai superiore. La legge è divenuta il Verbo e da antica è fatta nuova,
ma ambedue uscirono da Sion e da Gerusalemme. Il precetto si mutò in grazia,
la figura in verità, l'agnello nel Figlio, la pecora nell'uomo e l'uomo in Dio.
3. TUTTO SOFFRÌ PER NOI.
Il Signore pur essendo Dio, si fece uomo e soffrì per chi soffre, fu
prigioniero per il prigioniero, condannato per il colpevole e, sepolto per chi è
sepolto, suscitò dai morti e gridò questa grande parola: «Chi è colui che mi
condannerà? Si avvicini a me» (Is 50,8). Io, dice, sono Cristo che ho distrutto
la morte, che ho vinto il nemico, che ho messo sotto i piedi l'inferno, che ho
imbrigliato il forte e ho levato l'uomo alle sublimità del cielo; io, dice, sono il
Cristo.
Venite, dunque, o genti tutte, oppresse dai peccati e ricevete il perdono.
Sono io, infatti, il vostro perdono, io la Pasqua della redenzione, io l'Agnello
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immolato per voi, io il vostro lavacro, io la vostra vita, io la vostra
risurrezione, io la vostra luce, io la vostra salvezza, io il vostro re. Io vi porto
in alto nei cieli. Io vi risusciterò e vi farò vedere il Padre che è nei cieli. Io vi
innalzerò con la mia destra.
III. L’UNZIONE DELLO SPIRITO SANTO
(Dalle «Catechesi» di Gerusalemme. Catech. 21, Mistagogica 3,1-3;
PG 33,1087-1091)
1. BATTEZZATI IN CRISTO.
Battezzati in Cristo e rivestiti di Cristo, avete assunto una natura simile
a quella del Figlio di Dio. Il Dio, che ci ha predestinati ad essere suoi figli
adottivi, ci ha resi conformi al corpo glorioso di Cristo. Divenuti partecipi di
Cristo, non indebitamente siete chiamati «cristi» cioè «consacrati», perciò di
voi Dio ha detto: «Non toccate i miei consacrati» (Sal 104, 15). Siete diventati
«consacrati» quando avete ricevuto il segno dello Spirito Santo. Tutto si è
realizzato per voi in simbolo, dato che siete immagine di Cristo. Egli,
battezzato nel fiume Giordano, dopo aver comunicato alle acque i fragranti
effluvi della sua divinità, uscì da esse e su di lui avvenne la discesa del
consustanziale Spirito Santo: l'uguale si posò sull'uguale.
2. CONSACRATI CON L’UNZIONE DELLO SPIRITO SANTO.
Anche a voi, dopo che siete emersi dalle sacre acque, è stato dato il
crisma, di cui era figura quello che unse il Cristo, cioè lo Spirito Santo. Di lui
anche il beato Isaia, parlando in persona del Signore, dice nella profezia che lo
riguarda: «Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha
consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri»
(Is 61,1).
Cristo non fu unto dagli uomini con olio o altro unguento materiale, ma
il Padre lo ha unto di Spirito Santo, prestabilendolo salvatore di tutto il mondo,
come dice Pietro: «Gesù di Nazareth, che Dio unse di Spirito Santo» (At
10,38). E il profeta David proclama: «Il tuo trono, Dio, dura per sempre; è
scettro giusto lo scettro del tuo regno. Ami la giustizia e l'empietà detesti; Dio,
il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali»
(Sal 44,7-8).
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3. L’ANIMA VIENE SANTIFICATA.
Egli fu unto con spirituale olio di letizia, cioè con lo Spirito Santo, il
quale è chiamato olio di letizia, perché è lui l'autore della spirituale letizia.
Voi, invece, siete stati unti con il crisma, divenendo così partecipi di Cristo e
solidali con lui.
Guardatevi bene dal ritenere questo crisma come un puro e ordinario
unguento. Santo è quest'unguento e non più puro e semplice olio. Dopo la
consacrazione non è più olio ordinario, ma dono di Cristo e dello Spirito
Santo. È divenuto efficace per la presenza della sua divinità e viene spalmato
sulla tua fronte e sugli altri tuoi sensi con valore sacramentale. Così mentre il
corpo viene unto con l'unguento visibile, l'anima viene santificata dal santo e
vivificante Spirito.
IV. IL PANE DEL CIELO E LA BEVANDA DI SALVEZZA
(Catech. 22, Mistagogica 4,1.3-6.9; PG 33,1098-1106) (29.04.2011)
1. IL DONO DI DIO.
«Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e,
dopo aver reso grazie, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete
e mangiate; questo è il mio corpo. E preso il calice rese grazie, e disse:
Prendete e bevete; questo è il mio sangue» (1Cor 11,23). Poiché egli ha
proclamato e detto del pane:»Questo è il mio corpo», chi oserà ancora
dubitare? E poiché egli ha affermato e detto: «Questo è il mio sangue» chi mai
dubiterà, affermando che non è il suo sangue?
Perciò riceviamoli con tutta certezza come corpo e sangue di Cristo.
Nel segno del pane ti viene dato il corpo e nel segno del vino ti viene dato il
sangue, perché, ricevendo il corpo e il sangue di Cristo, tu diventi concorporeo
e consanguineo di Cristo. Avendo ricevuto in noi il suo corpo e il suo sangue,
ci trasformiamo in portatori di Cristo, anzi, secondo san Pietro, diventiamo
consorti della natura divina.
2. MANGIATE E BEVETE.
Un giorno Cristo, disputando con i Giudei, disse: Se non mangiate la
mia carne e non bevete il mio sangue, non avrete in voi la vita (cfr. Gv 6,53).
E poiché quelli non capirono nel giusto senso spirituale le cose dette, se ne
andarono via urtati, pensando che li esortasse a mangiare le carni. C'erano
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anche nell'antica alleanza i pani dell'offerta, ma poiché appartenevano
all'Antico Testamento, ebbero termine. Nel Nuovo Testamento c'è un pane
celeste e una bevanda di salvezza, che santificano l'anima e il corpo. Come
infatti il pane fa bene al corpo, così anche il Verbo giova immensamente
all'anima.
Perciò non guardare al pane e al vino eucaristici come se fossero
semplici e comuni elementi. Sono il corpo e il sangue di Cristo, secondo
l'affermazione del Signore. Anche se i sensi ti fanno dubitare, la fede deve
renderti certo e sicuro.
3. LA FEDE SALDA.
Bene istruito su queste cose e animato da saldissima fede, credi che
quanto sembra pane, pane non è, anche se al gusto è tale, ma corpo di Cristo.
Credi che quanto sembra vino, vino non è, anche se così si presenta al palato,
ma sangue di Cristo. Di queste divine realtà già in antico David diceva nei
Salmi: Il pane che sostiene il suo vigore e l'olio che fa brillare il suo volto»
(Sal 103,15). Ebbene sostieni la tua anima, prendendo quel pane come pane
spirituale, e fa' brillare il volto della tua anima.
Voglia il cielo che con la faccia illuminata da una coscienza pura,
contempli la gloria del Signore come in uno specchio, e proceda di gloria in
gloria, in Cristo Gesù, Signore nostro. A lui onore, potestà e gloria nei secoli
dei secoli. Amen.
V. NUOVA CREATURA IN CRISTO
(Dai «Discorsi» di Sant’Agostino, vescovo. Disc. 8 nell'ottava di
Pasqua 1,4; PL 46,838.841. Omelia ai battezzati).
1. RIVESTITEVI DI CRISTO.
Rivolgo la mia parola a voi, bambini appena nati, fanciulli in Cristo,
nuova prole della Chiesa, grazia del Padre, fecondità della Madre, pio
germoglio, sciame novello, fiore del nostro onore e frutto della nostra fatica,
mio gaudio e mia corona, a voi tutti che siete qui saldi nel Signore.
Mi rivolgo a voi con le parole stesse dell'apostolo: «Rivestitevi del
Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri» (Rm 13,14),
perché vi rivestiate, anche nella vita, di colui del quale vi siete rivestiti per
mezzo del sacramento. «Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete
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rivestiti di Cristo. Non c'è più Giudeo, né Greco; non c'è più schiavo, né
libero; non c'è più uomo, né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù»
(Gal 3,27-28).
2. LA FORZA DEL BATTESIMO.
In questo sta proprio la forza del sacramento. È infatti il sacramento
della nuova vita, che comincia in questo tempo con la remissione di tutti i
peccati, e avrà il suo compimento nella risurrezione dei morti. Infatti siete stati
sepolti insieme con Cristo nella morte per mezzo del battesimo, perché, come
Cristo è risuscitato dai morti, così anche voi possiate camminare in una vita
nuova (cfr. Rm 6,4).
Ora poi camminate nella fede, per tutto il tempo in cui, dimorando in
questo corpo mortale, siete come pellegrini lontani dal Signore. Vostra via
sicura si è fatto colui al quale tendete, cioè lo stesso Cristo Gesù, che per voi si
è degnato di farsi uomo. Per coloro che lo amano ha riserbato tesori di felicità,
che effonderà copiosamente su quanti sperano in lui, allorché riceveranno nella
realtà ciò che hanno ricevuto ora nella speranza.
3. CAMMINATE NELLA SPERANZA.
Oggi ricorre l'ottavo giorno della vostra nascita, oggi trova in voi la sua
completezza il segno della fede, quel segno che presso gli antichi patriarchi si
verificava nella circoncisione, otto giorni dopo la nascita al mondo. Perciò
anche il Signore ha impresso il suo sigillo al suo giorno, che è il terzo dopo la
passione. Esso però, nel ciclo settimanale è l'ottavo dopo il settimo cioè dopo il
sabato, e il primo della settimana. Cristo, facendo passare il proprio corpo
dalla mortalità all'immortalità, ha contrassegnato il suo giorno con il distintivo
della risurrezione.
Voi partecipate del medesimo mistero non ancora nella piena realtà, ma
nella sicura speranza, perché avete un pegno sicuro, lo Spirito Santo. «Se,
dunque, siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo
assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi, infatti, siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio.
Quando si manifesterà Cristo, vostra vita, allora anche voi sarete manifestati
con lui nella gloria» (1Cor 3,1-4).
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VI. CRISTO VIVENTE NELLA SUA CHIESA
(Dai «Discorsi», di san Leone Magno, papa. Disc. 12 sulla passione,
3,6,7; PL 54,355-357)
1. CRISTO VIVE IN TUTTI I BATTEZZATI.
Carissimi, il Figlio di Dio ha assunto la natura umana con una unione
così intima da essere l'unico ed identico Cristo non soltanto in colui, che è il
primogenito di ogni creatura, ma anche in tutti i suoi santi. E come non si può
separare il Capo dalle membra, così le membra non si possono separare dal
Capo.
E se è vero che, non è proprio di questa vita, ma di quella eterna, che
Dio sia tutto in tutti, è anche vero che fin d'ora egli abita inseparabilmente il
suo tempio, che è la Chiesa. Lo promise con le parole: «Ecco, io sono con voi
tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
2. UNA MOLTITUDINE DI FIGLI.
Tutto quello dunque che il Figlio di Dio ha fatto e ha insegnato per la
riconciliazione del mondo, non lo conosciamo soltanto dalla storia delle sue
azioni passate, ma lo sentiamo anche nell'efficacia di ciò che egli compie al
presente. E lui che, come è nato per opera dello Spirito Santo da una vergine
madre, così rende fecondala Chiesa, sua Sposa illibata, con il soffio vitale
dello stesso Spirito, perché mediante la rinascita del battesimo, venga generata
una moltitudine innumerevole di figli di Dio. Di costoro è scritto: «Non da
sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati
generati» (Gv 1,13).
È in lui che viene benedetta la discendenza di Abramo, e tutto il mondo
riceve l'adozione divina. Il Patriarca diventa padre delle genti, ma i figli della
promessa nascono dalla fede, non dalla carne. È lui che, eliminando ogni
discriminazione di popoli, e radunando tutti da ogni nazione, forma di tante
pecorelle un solo gregge santo. Così ogni giorno compie quanto aveva già
promesso, dicendo: «E ho altre pecore, che non sono di questo ovile anche
queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce, e diventeranno un solo
gregge e un solo pastore» (Gv 10,16).
3. TRASFORMATI IN CRISTO.
Sebbene infatti egli dica particolarmente a Pietro: «Pasci le mie
pecore» (Gv 21,17), nondimeno tutta l'attività dei pastori è guidata e sorretta
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da lui solo, il Signore. È lui che, con pascoli ubertosi e ridenti, nutre tutti
coloro che vengono a questa Pietra. Cosicché innumerevoli pecorelle,
fortificate dalla sovrabbondanza dell'amore, non esitano ad affrontare la morte
per la causa del loro Pastore, come egli, il buon Pastore, si è degnato di dare la
propria vita per le stesse pecorelle.
Partecipi della sua passione sono non solo i martiri forti e gloriosi, ma
anche i fedeli che rinascono, e già nell'atto stesso della loro rigenerazione. È
questo il motivo per cui la Pasqua viene celebrata, secondo la Legge, negli
azzimi della purezza e della verità: la nuova creatura getta via il fermento della
sua malvagità e si inebria e si nutre del Signore stesso.
La nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende ad
altro che a trasformarci in quello che riceviamo, a farci rivestire in tutto, nel
corpo e nell’anima, di colui nel quale siamo morti, siamo stati sepolti e siamo
risuscitati.
VII. IL DONO EREDITARIO DEL NUOVO TESTAMENTO
(Dai «Trattati» di san Gaudenzio da Brescia, vescovo. Tratt. 2; CSEL
68,30-32).
1. IL SACRAMENTO DELLA VITA ETERNA.
Il sacrificio celeste istituito da Cristo è veramente il dono ereditario del
suo Nuovo Testamento: è il dono che ci ha lasciato come pegno della sua
presenza quella notte, quando veniva consegnato per essere crocifisso. È il
viatico del nostro cammino. È un alimento e sostegno indispensabile per poter
percorrere la via della vita, finché non giungiamo, dopo aver lasciato questo
mondo, alla nostra vera meta, che è il Signore. Perciò egli disse: Se non
mangerete la mia carne e non berrete il mio sangue, non avrete la vita in voi
(cfr. Gv 6,53). E proprio al fine di non lasciarci privi di questa necessaria
risorsa, comandò agli apostoli, cioè ai primi sacerdoti della Chiesa, di
celebrare sempre i misteri della vita eterna. Così le anime redente dal suo
sangue prezioso, sarebbero state arricchite dei suoi doni e santificate dal
memoriale della sua passione.
È dunque necessario che i sacramenti siano celebrati dai sacerdoti nelle
singole chiese del mondo sino al ritorno di Cristo dal cielo, perché tutti,
sacerdoti e laici, abbiano ogni giorno davanti agli occhi la viva
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rappresentazione della passione del Signore, la tocchino con mano, la ricevano
con la bocca e con il cuore e conservino indelebile memoria della nostra
redenzione.
2. IL PANE, CORPO DI CRISTO.
Il pane è considerato con ragione immagine del corpo di Cristo. Il pane,
infatti, risulta di molti grani di frumento. Essi sono ridotti in farina e la farina
poi viene impastata con l'acqua e cotta col fuoco. Così anche il corpo mistico
di Cristo è unico, ma è formato da tutta la moltitudine del genere umano,
portata alla sua condizione perfetta mediante il fuoco dello Spirito Santo. Il
Paràclito esercita sul corpo mistico la stessa azione che esercitò sul corpo
fisico di Cristo. Il Redentore, infatti nacque per opera dello Spirito Santo e,
poiché era conveniente che in lui si compisse ogni giustizia, entrato nelle
acque del battesimo per consacrarle, fu pieno di Spirito Santo, disceso su di
lui, in forma di colomba. Lo dichiara espressamente l'Evangelista: «Gesù
pieno di Spirito Santo, se ne tornò dal Giordano» (Lc 4,1).
3. IL VINO, SANGUE DI CRISTO.
Per il sangue di Cristo vale, in un certo senso, l'analogia del vino,
simile a quella del pane. Dapprima c'è la raccolta di molti acini o grappoli
nella vigna da lui stesso piantata. Segue la pigiatura sul torchio della croce. C'è
quindi la fermentazione, che avviene, per virtù propria, negli anni, nel cuore,
pieno di fede, di coloro che lo assumono.
Liberandovi pertanto dal potere dell'Egitto e del faraone, cioè dal
diavolo, cercate di ricevere il sacrificio pasquale di salvezza, cioè il corpo e il
sangue di Cristo, con tutto l'ardente desiderio del vostro cuore, perché il nostro
uomo interiore sia santificato dallo stesso Signore nostro Gesù Cristo, che
crediamo presente nei santi sacramenti e la cui virtù dura nel suo inestimabile
valore per tutti i secoli.
VIII. LA CROCE DI CRISTO, NOSTRA SALVEZZA
(Dai «Discorsi» di san Teodoro Studita, abate. Disc. sull'adorazione
della croce; PG 99,691-694.695.698-699)
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1. O DONO PREZIOSISSIMO DELLA CROCE!
Quale splendore appare alla vista! Tutta bellezza e tutta magnificenza.
Albero meraviglioso all'occhio e al gusto. È un albero che dona la vita, non la
morte, illumina e non ottenebra, apre l'adito al paradiso, non espelle da esso.
Su quel legno sale Cristo, come un re sul carro trionfale. Sconfigge il
diavolo padrone della morte e libera il genere umano dalla schiavitù del
tiranno.
Su quel legno sale il Signore, come un valoroso combattente. Viene
ferito in battaglia alle mani, ai piedi e al divino costato. Ma con quel sangue
guarisce le nostre lividure, cioè la nostra natura ferita dal serpente velenoso.
2. CI GLORIAMO DELLA CROCE.
Prima venimmo uccisi dal legno, ora invece per il legno recuperiamo la
vita. Prima fummo ingannati dal legno, ora invece con il legno scacciamo
l'astuto serpente. Nuovi e straordinari mutamenti! Al posto della morte ci viene
data la vita, invece della corruzione l'immortalità, invece del disonore la gloria.
Perciò non senza ragione esclama il santo Apostolo: «Quanto a me non
ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per il quale
il mondo è per me crocifisso e io lo sono per il mondo» (Gal 6,14).Quella
somma sapienza che fiorì dalla croce rese vana la superba sapienza del mondo
e la sua arrogante stoltezza. I beni di ogni genere, che ci vennero dalla croce,
hanno eliminato i germi della cattiveria e della malizia.
3. PREFIGURAZIONI DELLA CROCE.
All'inizio del mondo solo figure e segni premonitori di questo legno
notificavano ed indicavano i grandi eventi del mondo. Stai attento, infatti tu,
chiunque tu sia, che hai grande brama di conoscere. Noè non ha forse evitato
per sé, per tutti i suoi familiari ed anche per il bestiame, la catastrofe del
diluvio, decretata da Dio, in virtù di un piccolo legno? Pensa alla verga di
Mosè. Non fu forse un simbolo della croce? Cambiò l'acqua in sangue, divorò i
serpenti fittizi dei maghi, percosse il mare e lo divise in due parti, ricondusse
poi le acque del mare al loro normale corso e sommerse i nemici, salvò invece
coloro che erano il popolo legittimo. Tale fu anche la verga di Aronne,
simbolo della croce, che fiorì in un solo giorno e rivelò il sacerdote legittimo.
Anche Abramo prefigurò la croce quando legò il figlio sulla catasta di legna.
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4. RIVESTITI DI CRISTO.
La morte fu uccisa dalla croce e Adamo fu restituito alla vita. Della
croce tutti gli apostoli si sono gloriati, ogni martire ne venne coronato, e ogni
santo santificato. Con la croce abbiamo rivestito Cristo e ci siamo spogliati
dell'uomo vecchio. Per mezzo della croce noi, pecorelle di Cristo, siamo stati
radunati in un unico ovile e siamo destinati alle eterne dimore.
IX. STIRPE ELETTA, SACERDOZIO REGALE
(Dal «Commento sulla prima lettera di Pietro» di san Beda Venerabile,
sacerdote. Cap. 2; PL 93,50-51)
1. STIRPE ELETTA.
«Voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale» (1Pt 2,9). Questa
testimonianza di lode una volta fu data all'antico popolo di Dio per mezzo di
Mosè. Ora ben a ragione l'apostolo Pietro la dà ai pagani perché hanno creduto
in Cristo, il quale come pietra angolare ha accolto le genti in quella salvezza
che Israele aveva avuto per sé. Chiama i cristiani «stirpe eletta», per la fede,
per distinguerli da coloro che hanno rigettato la pietra viva.
2. SACERDOZIO REGALE.
Poi «sacerdozio regale» perché sono uniti al corpo di colui che è re
sommo e vero sacerdote, il quale, in quanto re, dona ai suoi il regno e, in
quanto pontefice, purifica i loro peccati col sacrificio del suo sangue. Li
chiama «sacerdozio regale» perché si ricordino di sperare un regno senza fine
e di offrire sempre a Dio i sacrifici di una condotta senza macchia.
3. GENTE SANTA.
Sono chiamati anche «gente santa e popolo, che Dio si è acquistato»
secondo quello che dice l'apostolo Paolo, esponendo il detto del profeta: «Il
mio giusto poi vive di fede; se invece indietreggia, non si compiace di lui
l'anima mia, ma noi, dice, non siamo di quelli che si sottraggono per loro
perdizione, ma gente che sta salda nella fede per salvare l'anima propria” (Eb
10,38). E negli Atti degli Apostoli: «Lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi
a reggere la Chiesa del Signore, che si è acquistata con il suo sangue» (At
20,28).
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4. POPOLO DI SUA CONQUISTA.
Perciò siamo diventati «popolo che Dio si è acquistato» (1Pt 2,9) con il
sangue del nostro Redentore, cosa che era una volta il popolo di Israele redento
dal sangue dell'agnello in Egitto. Perciò nel versetto seguente, dopo di avere
ricordato misticamente l'antica storia, insegna che questa deve essere compiuta
anche in senso spirituale dal nuovo popolo di Dio dicendo: Perché abbiate ad
annunziare i suoi prodigi (cfr. 1Pt 2,9). Come infatti coloro che da Mosè
furono liberati dalla schiavitù egizia intonarono un canto trionfale al Signore,
dopo il passaggio del Mar Rosso e l'annegamento dell'esercito del faraone, così
bisogna che anche noi, dopo aver ricevuto la remissione dei peccati nel
battesimo, ringraziamo degnamente per i benefici celesti.
5. LA PATRIA DEFINITIVA.
Infatti gli Egizi, che angariavano il popolo di Dio e che significano
anche tenebre e tribolazione,simboleggiano bene i peccati che ci perseguitano,
ma che sono stati distrutti nel battesimo. Anche la liberazione dei figli di
Israele e il loro arrivo alla terra da tempo promessa, ben si addice al mistero
della nostra redenzione, per mezzo della quale aspiriamo alla luce della celeste
dimora, sotto l'illuminazione e la guida della grazia di Cristo; la luce di questa
grazia la dimostrò anche quella nube e colonna di fuoco che per tutto quel
viaggio li difese dall'oscurità della notte e, attraverso un cammino pieno di
indescrivibili peripezie, li condusse alla promessa patria definitiva.
X. CANTIAMO AL SIGNORE IL CANTO DELL’AMORE
(Dai «Discorsi» di Sant'Agostino, vescovo. Disc. 34,1-3. 5-6; CCL
41,424-426).
1. TESTAMENTO NUOVO, CANTO NUOVO.
«Cantate al Signore un canto nuovo; la sua lode nell'assemblea dei
fedeli» (Sal 149,1). Siamo stati esortati a cantare al Signore un canto nuovo.
L'uomo nuovo conosce il canto nuovo. Il cantare è segno di letizia e, se
consideriamo la cosa più attentamente, anche espressione di amore.
Colui dunque che sa amare la vita nuova, sa cantare anche il canto
nuovo. Che cosa sia questa vita nuova dobbiamo saperlo in vista del canto
nuovo. Infatti tutto appartiene a un solo regno: l'uomo nuovo, il canto nuovo, il
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Testamento nuovo. Perciò l'uomo nuovo canterà il canto nuovo e apparterrà al
Testamento nuovo.
2. EGLI CI HA AMATI PER PRIMO.
Non c'è nessuno che non ami, ma bisogna vedere che cosa ama. Non
siamo esortati a non amare, ma a scegliere l'oggetto del nostro amore. Ma che
cosa sceglieremo, se prima non veniamo scelti? Poiché non amiamo, se prima
non siamo amati. Ascoltate l'apostolo Giovanni: «Noi amiamo perché egli ci
ha amati per primo» (1Gv 4,10).
Cerca per l'uomo il motivo per cui debba amare Dio e non troverai che
questo: perché Dio per primo lo ha amato. Colui che noi abbiamo amato, ha
dato già se stesso per noi, ha dato ciò per cui potessimo amarlo.
Che cosa abbia dato perché lo amassimo, ascoltatelo più chiaramente
dall'apostolo Paolo: «L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori» (Rm
5,5). Da dove? Forse da noi? No. Da chi dunque? «Per mezzo dello Spirito
Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).
3. AMATEMI E MI AVRETE.
Avendo dunque una sì grande fiducia, amiamo Dio per mezzo di Dio.
Ascoltate più chiaramente lo stesso Giovanni: «Dio è amore; chi vive
nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1Gv 4,16). Non basta dire:
«L'amore è da Dio» (1Gv 4,7). Chi di noi oserebbe dire ciò che è stato detto:
«Dio è amore»? Lo disse colui che sapeva ciò che aveva.
Dio ci si offre in un modo completo. Ci dice: Amatemi e mi avrete,
perché non potete amarmi, se già non mi possedete. O fratelli, o figli, o popolo
cristiano, o santa e celeste stirpe, o rigenerati in Cristo, o creature di un mondo
divino, ascoltate me, anzi per mezzo mio: «Cantate al Signore un canto
nuovo».
4. CANTA CON LA VITA.
Ecco, tu dici, io canto. Tu canti, certo, lo sento che canti. Ma bada che
la tua vita non abbia a testimoniare contro la tua voce. Cantate con la voce,
cantate con il cuore, cantate con la bocca, cantate con la vostra condotta santa.
«Cantate al Signore un canto nuovo». Mi domandate che cosa dovete cantare
di colui che amate? Parlate senza dubbio di colui che amate, di lui volete
cantare. Cercate le lodi da cantare? L'avete sentito: «Cantate al Signore un
canto nuovo». Cercate le lodi? «La sua lode risuoni nell'assemblea dei fedeli».
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Il cantore diventa egli stesso la lode del suo canto.
Volete dire le lodi a Dio? Siate voi stessi quella lode che si deve dire, e
sarete la sua lode, se vivrete bene.
XI. IL LAVACRO DELLA RIGENERAZIONE
(Dalla «Prima Apologia a favore dei cristiani» di san Giustino, martire.
Cap. 61; PG 6,418-422).
1. CHIEDERE PERDONO DEI NOSTRI PECCATI.
Spiegheremo come noi, rinnovati per mezzo di Cristo, ci siamo
consacrati a Dio. Coloro, che arrivati alla certezza, hanno creduto alle verità da
noi insegnate e proclamate e hanno promesso di vivere in modo ad esse
conforme, vengono guidati a pregare, e a domandare a Dio il perdono dei
peccati. Noi insegniamo loro ad accompagnare la preghiera con il digiuno, ma
anche noi preghiamo e digiuniamo in piena solidarietà con essi.
Il profeta Isaia ha spiegato in quale modo si liberano dai peccati coloro
che li hanno commessi e fanno penitenza: Lavatevi, purificatevi, togliete il
male dalle vostre anime. Imparate a fare il bene, rendete giustizia all'orfano,
difendete la causa della vedova. Sù, venite e discutiamo, dice il Signore. Anche
se i vostri peccati fossero come scarlatto, li renderò bianchi come la neve. Ma
se non ascolterete, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha
parlato (cfr. Is 1,16-20).
2. RINASCERE DALL’ACQUA E DALLO SPIRITO SANTO.
Quindi li conduciamo al fonte dell'acqua e là vengono rigenerati allo
stesso modo con cui siamo stati rigenerati anche noi. Infatti allora ricevono il
lavacro dell'acqua nel nome del Creatore e Dio Signore di tutte le cose, del
Salvatore nostro Gesù Cristo e dello Spirito Santo. Gesù infatti ha detto: Se
non rinascerete, non entrerete nel regno dei cieli (cfr. Mt 18,3). Non si tratta,
ovviamente, di rientrare nel grembo materno, perché la nascita di cui parliamo
è spirituale.
Il lavacro si chiama illuminazione, perché coloro che imparano le verità
ricordate sono illuminati nella loro mente. Colui che viene illuminato è anche
lavato. È illuminato e lavato nel nome di Gesù Cristo crocifisso sotto Ponzio
Pilato, è illuminato e lavato nel nome dello Spirito Santo, che ha preannunziato
per mezzo dei profeti tutte le cose riguardanti Gesù.
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3. DOTTRINA APOSTOLICA.
Questa dottrina l’abbiamo ricevuta dagli apostoli. Nella nostra prima
nascita siamo stati messi al mondo dai genitori per istinto naturale e in modo
inconscio. Ora non vogliamo restare figli della semplice natura e
dell'ignoranza, ma di una scelta consapevole. Vogliamo ottenere nell'acqua
salutare la remissione delle colpe commesse.
Per questo su chi desidera di essere rigenerato e ha fatto penitenza dei
peccati, si pronunzia il nome del Creatore e Signore Dio dell'universo. È
questo solo nome che invochiamo su colui che viene condotto al lavacro per il
battesimo.
XII. CRISTO, BUON PASTORE
(Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno papa. Om. 14,3-6;
PL 76,1129-1130)
1. SIETE PECORE DEL SIGNORE?
«Io sono il buon Pastore; conosco le mie pecore», cioè le amo, «e le
mie pecore conoscono me» (Gv 10,14). Come a dire apertamente:
corrispondono all'amore di chi le ama. La conoscenza precede sempre l'amore
della verità. Domandatevi, fratelli carissimi, se siete pecore del Signore, se lo
conoscete, se conoscete il lume della verità. Parlo non solo della conoscenza
della fede, ma anche di quella dell'amore; non del solo credere, ma anche
dell'operare. L'evangelista Giovanni, infatti, spiega: «Chi dice: Conosco Dio, e
non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo» (1Gv 2,4).
Perciò in questo stesso passo il Signore subito soggiunge: «Come il
Padre conosce me e io conosco il Padre, e offro la vita per le pecore» (Gv
10,15). Come se dicesse esplicitamente: da questo risulta che io conosco il
Padre e sono conosciuto dal Padre, perché offro la mia vita per le mie pecore;
cioè io dimostro in quale misura amo il Padre dall'amore con cui muoio per le
pecore.
2. ASCOLTATE LA MIA VOCE.
Di queste pecore di nuovo dice: Le mie pecore ascoltano la mia voce e
io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna (cfr. Gv 10,14-16).
Di esse aveva detto poco prima: «Se uno entra attraverso di me, sarà salvo;
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entrerà e uscirà e troverà pascolo», (Gv 10,9). Entrerà cioè nella fede, uscirà
dalla fede alla visione, dall'atto di credere alla contemplazione, e troverà i
pascoli nel banchetto eterno.
Le sue pecore troveranno i pascoli, perché chiunque lo segue con cuore
semplice viene nutrito con un alimento eternamente fresco. Quali sono i
pascoli di queste pecore, se non gli intimi gaudi del paradiso, ch'è eterna
primavera? Infatti pascolo degli eletti è la presenza del volto di Dio, e mentre
lo si contempla senza paura di perderlo, l'anima si sazia senza fine del cibo
della vita.
3. S’INFIAMMI IL NOSTRO SPIRITO.
Cerchiamo, quindi, fratelli carissimi, questi pascoli, nei quali possiamo
gioire in compagnia di tanti concittadini. La stessa gioia di coloro che sono
felici ci attiri. Ravviviamo, fratelli, il nostro spirito. S'infervori la fede in ciò
che ha creduto. I nostri desideri s'infiammino per i beni superni. In tal modo
amare sarà già un camminare.
Nessuna contrarietà ci distolga dalla gioia della festa interiore, perché
se qualcuno desidera raggiungere la mèta stabilita, nessuna asperità del
cammino varrà a trattenerlo. Nessuna prosperità ci seduca con le sue lusinghe,
perché sciocco è quel viaggiatore che durante il suo percorso si ferma a
guardare i bei prati e dimentica di andare là dove aveva intenzione di arrivare.
XIII. SII SACRIFICIO E SACERDOTE DI DIO
(Dai «Discorsi» di san Pietro Crisologo, vescovo. Disc. 108; PL
52,499-500)
1. ASCOLTA IL SIGNORE CHE CHIEDE.
Vi prego per la misericordia di Dio (cfr. Rm 12,1). È Paolo che chiede,
anzi è Dio per mezzo di Paolo che chiede, perché vuole essere più amato che
temuto. Dio chiede perché vuoi essere non tanto Signore, quanto Padre. Il
Signore chiede per misericordia, per non punire nel rigore. Ascolta il Signore
che chiede: vedete, vedete in me il vostro corpo, le vostre membra, il vostro
cuore, le vostre ossa, il vostro sangue.
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2. CONTEMPLA LA PASSIONE DEL SIGNORE.
E se temete ciò che è di Dio, perché non amate almeno ciò che è
vostro? Se rifuggite dal padrone, perché non ricorrete al congiunto? Ma forse
vi copre di confusione la gravità della passione che mi avete inflitto. Non
abbiate timore. Questa croce non è un pungiglione per me, ma per la morte.
Questi chiodi non mi procurano tanto dolore, quanto imprimono più
profondamente in me l'amore verso di voi. Queste ferite non mi fanno gemere,
ma piuttosto introducono voi nel mio interno. Il mio corpo disteso anziché
accrescere la pena, allarga gli spazi del cuore per accogliervi. Il mio sangue
non è perduto per me, ma è donato in riscatto per voi.
Venite, dunque, ritornate. Sperimentate almeno la mia tenerezza
paterna, che ricambia il male col bene, le ingiurie con l'amore, ferite tanto
grandi con una carità così immensa. Ma ascoltiamo adesso l'Apostolo: «Vi
esorto», dice, «ad offrire i vostri corpi» (Rm 12,1). L'Apostolo così vede tutti
gli uomini innalzati alla dignità sacerdotale per offrire i propri corpi come
sacrificio vivente.
3. OFFRITE I VOSTRI CORPI.
O immensa dignità del sacerdozio cristiano! L'uomo è divenuto vittima
e sacerdote per se stesso. L'uomo non cerca fuori di se ciò che deve immolare a
Dio, ma porta con sé e in sé ciò che sacrifica a Dio per sé. La vittima permane,
senza mutarsi, e rimane uguale a se stesso il sacerdote, poiché la vittima viene
immolata ma vive, e il sacerdote non può dare la morte a chi compie il
sacrificio.
Mirabile sacrificio, quello dove si offre il corpo senza ferimento del
corpo e il sangue senza versamento di sangue. «Vi esorto per la misericordia
di Dio ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente». Fratelli, questo
sacrificio è modellato su quello di Cristo e risponde al disegno che egli si
prefisse, perché, per dare vita al mondo, egli immolò e rese vivo il suo corpo; e
davvero egli fece il suo corpo ostia viva perché, ucciso, esso vive. In questa
vittima, dunque, è corrisposto alla morte il suo prezzo. Ma la vittima rimane, la
vittima vive e la morte è punita. Da qui viene che i martiri nascono quando
muoiono, cominciano a vivere con la fine, vivono quando sono uccisi, brillano
nel cielo essi che sulla terra erano creduti estinti.
Vi prego, dice, fratelli, per la misericordia di Dio, di offrire i vostri
corpi come sacrificio vivente, santo (cfr. Rm 12,1). Questo è quanto il profeta
ha predetto: Non hai voluto sacrificio né offerta, ma mi hai dato un corpo (cfr.
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Sal 39,7 volg.). Sii, o uomo, sii sacrificio e sacerdote di Dio; non perdere ciò
che la divina volontà ti ha dato e concesso. Rivesti la stola della santità. Cingi
la fascia della castità. Cristo sia la protezione del tuo capo. La croce permanga
a difesa della tua fronte. Accosta al tuo petto il sacramento della scienza
divina. Fa' salire sempre l'incenso della preghiera come odore soave. Afferra la
spada dello spirito, fa' del tuo cuore un altare, e così presenta con ferma fiducia
il tuo corpo quale vittima a Dio. Dio cerca la fede, non la morte. Ha sete della
tua preghiera, non del tuo sangue. Viene placato dalla volontà, non dalla
morte.
XIV. L’ UNITÀ DEI FEDELI IN DIO MEDIANTE L’INCARNAZIONE DEL VERBO
E IL SACRAMENTO DELL’EUCARISTIA
(Dal trattato «Sulla Trinità» di Sant’Ilario, vescovo. Lib. 8,13-16; PL
10,246-249)
1. IL CIBO EUCARISTICO.
È indubitabile che il Verbo si è fatto carne (cfr.Gv 1,14) e che noi con
il cibo eucaristico riceviamo il Verbo fatto carne. Perciò come non si dovrebbe
pensare che dimori in noi con la sua natura colui che, fatto uomo, assunse la
natura della nostra carne ormai inseparabile da lui, e unì la natura della propria
carne con la natura divina nel sacramento che ci comunica la sua carne? In
questo modo tutti siamo una cosa sola, perché il Padre è in Cristo, e Cristo è in
noi. Dunque egli stesso è in noi per la sua carne e noi siamo in lui, dal
momento che ciò che noi siamo si trova in Dio.
In che misura poi noi siamo in lui per il sacramento della comunione
del corpo e del sangue, lo afferma egli stesso dicendo: E questo mondo non mi
vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete; poiché io sono
nel Padre e voi in me e io in voi (cfr. Gv 14,19-20). Egli è nel Padre per natura
divina. Noi siamo in lui per la sua nascita nel corpo. Egli poi è ancora in noi
per l'azione misteriosa dei sacramenti.
2. UNIONE A DIO PER MEZZO DI CRISTO.
Questa è la fede che ci chiede di professare. Secondo questa fede si
realizza l'unità perfetta per mezzo del Mediatore. Noi siamo uniti a Cristo, che
è inseparabile dal Padre. Ma pur rimanendo nel Padre resta unito a noi. In tal
modo arriviamo all'unità con il Padre. Infatti Cristo è nel Padre
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connaturalmente perché da lui generato. Ma, sotto un certo punto di vista,
anche noi, attraverso Cristo siamo connaturalmente nel Padre, perché Cristo
condivide la nostra natura umana. Come si debba intendere poi questa unità
connaturale nostra lo spiega lui stesso: «Chi mangia la mia carne e beve il mio
sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6,56).
3. LA VITA DIVINA.
Nessuno sarà in lui, se non colui nel quale egli stesso verrà, poiché il
Signore assume in se solo la carne di colui che riceverà la sua. Il sacramento di
questa perfetta unità l'aveva già insegnato più sopra dicendo: «Come il Padre,
che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che
mangia di me vivrà per me» (Gv 6,57). Egli vive in virtù del Padre. E noi
viviamo in virtù della sua umanità così come egli vive in virtù del Padre.
Dobbiamo rifarci alle analogie per comprendere questo mistero. La nostra vita
divina si spiega dal fatto che in noi uomini si rende presente Cristo mediante la
sua umanità. E, mediante questa, viviamo di quella vita che egli ha dal Padre.
XV. IL COMANDAMENTO NUOVO
(Dai «Trattati su Giovanni» di Sant’Agostino, vescovo. Tratt. 65,1-3;
CCL 36,490-492)
1. UN COMANDAMENTO NUOVO.
Il Signore Gesù afferma che dà un nuovo comandamento ai suoi
discepoli, cioè che si amino reciprocamente: «Vi do un comandamento nuovo:
che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13,34). Ma questo comandamento non
esisteva già nell'antica legge del Signore, che prescrive: «Amerai il tuo
prossimo come te stesso»? (Lv 19,18). Perché allora il Signore dice nuovo un
comandamento che sembra essere tanto antico? È forse un comandamento
nuovo perché ci spoglia dell'uomo vecchio per rivestirci del nuovo? Certo.
Rende nuovo chi gli dà ascolto o meglio chi gli si mostra obbediente. Ma
l'amore che rigenera non è quello puramente umano. È quello che il Signore
contraddistingue e qualifica con le parole: «Come io vi ho amati» (Gv 13,34).
Questo è l'amore che ci rinnova, perché diventiamo uomini nuovi, eredi
della nuova alleanza, cantori di un nuovo cantico. Quest'amore, fratelli
carissimi, ha rinnovato gli antichi giusti, i patriarchi e i profeti, come in seguito
ha rinnovato gli apostoli. Quest'amore ora rinnova anche tutti i popoli, e di
tutto il genere umano, sparso sulla terra, forma un popolo nuovo, corpo della
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nuova Sposa dell'unigenito Figlio di Dio, della quale si parla nel Cantico dei
cantici: Chi è colei che si alza splendente di candore? (cfr. Ct 8,5). Certo
splendente di candore perché è rinnovata. Da chi se non dal nuovo
comandamento?
2. SOLLECITI A VICENDA.
Per questo i membri sono solleciti a vicenda; e se un membro soffre,
con lui tutti soffrono e se uno è onorato, tutti gioiscono con lui (cfr. 1Cor
12,25-26). Ascoltano e mettono in pratica quanto insegna il Signore: «Vi do un
comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13,34), ma non
come si amano coloro che seducono, né come si amano gli uomini per il solo
fatto che sono uomini. Ma come si amano coloro che sono dèi e figli
dell'Altissimo, per essere fratelli dell'unico Figlio suo. Amandosi a vicenda di
quell'amore con il quale egli stesso ha amato gli uomini, suoi fratelli, per
poterli guidare là dove il desiderio sarà saziato di beni (cfr. Sal 102,5).
Il desiderio sarà pienamente appagato, quando Dio sarà tutto in tutti
(cfr. 1Cor 15,28). Questo è l'amore che ci dona colui che ha raccomandato:
«Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). A
questo fine quindi ci ha amati, perché anche noi ci amiamo a vicenda. Ci
amava e perciò ha voluto ci trovassimo legati di reciproco amore, perché
fossimo il Corpo del supremo Capo e membra strette da un così dolce vincolo.
XVI. PRIMOGENITO DELLA NUOVA CREAZIONE
(Dai «Discorsi» di san Gregorio di Nissa, vescovo. Disc. sulla
risurrezione di Cristo, 1; PG 46,603-606.626-627)
1. UNA NUOVA GENERAZIONE NELLA FEDE.
È venuto il regno della vita ed è stato distrutto il dominio della morte.
Una diversa generazione è apparsa, e una vita diversa e un diverso modo di
vivere. La nostra stessa natura ha subito un cambiamento. Quale è questa
generazione? Quella che non scaturisce dal sangue, né da volere di uomo, né
da volere di carne, ma è stata creata da Dio (cfr. Gv 1,13). Come può avvenire
questo? Ascolta e te lo spiegherò in breve.
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Questa nuova generazione viene concepita per mezzo della fede, viene
data alla luce attraverso la rigenerazione del battesimo, ha come madre la
Chiesa, succhia il latte della sua dottrina e delle sue istituzioni. Ha poi come
suo cibo il pane celeste. L'età matura è costituita da un alto stile di vita. Le sue
nozze sono la familiarità con la sapienza. Suoi figli la speranza, sua casa il
regno, sua eredità e ricchezza le gioie del paradiso. La sua fine poi non è la
morte, ma quella vita eterna e beata che è preparata a coloro che ne sono
degni.
2. UNA NUOVA CREAZIONE.
«Questo è il giorno che ha fatto il Signore» (Sal 117,24), giorno ben
diverso da quelli che furono stabiliti all'inizio della creazione del mondo e che
si misurano col trascorrere del tempo. Questo giorno segna l'inizio di una
nuova creazione. Poiché in questo giorno Dio crea un cielo nuovo e una terra
nuova, come afferma il Profeta. E quale cielo? Il firmamento della fede in
Cristo. E quale terra? Un cuore buono, come disse il Signore, una terra avida
della pioggia che la irriga e che produce abbondante messe di spighe.
In questa creazione il sole rappresenta una vita pura, e le stelle le virtù;
l'aria una buona condotta; il mare «la profondità della ricchezza della sapienzá
e della scienza» (Rm 11,33). Le erbe e i germogli sono la buona dottrina e la
Sacra Scrittura, di cui si pasce il popolo, gregge di Dio. Le piante da frutta poi
rappresentano l'osservanza dei comandamenti. In questo giorno viene creato il
vero uomo ad immagine e somiglianza di Dio. E non deve divenire il tuo
mondo questo inizio: «Questo giorno che ha fatto il Signore»? Questo giorno e
questa notte che il Profeta disse diversi dagli altri giorni e dalle altre notti?
3. HA VINTO LA MORTE.
Ma non abbiamo ancora spiegato quello che in questa grazia è più
importante. Questo giorno ha distrutto le sofferenze della morte. Questo giorno
ha dato al mondo il primogenito dei morti.
«Io salgo», dice «al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro»
(Gv 20,17). O confortante e splendida notizia! Colui che si è fatto per noi
uomo, pur essendo l'unigenito Figlio di Dio, per renderci suoi fratelli, si
presenta come uomo davanti al Padre, per portare con sé tutti coloro che gli
sono congiunti.
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XVII. IL MONDO INTERO È STATO SALVATO PER LA CLEMENZA DI DIO
CONCESSA A TUTTI
(Dal «Commento sulla lettera ai Romani» di san Cirillo d’Alessandria,
vescovo. Cap. 15,7; PG 74,854-855)
1.FORMIAMO UN SOLO CORPO.
In molti formiamo un solo corpo e siamo membra gli uni degli altri,
stringendoci Cristo nell'unità con il legame della carità, come sta scritto: «Egli
è colui che ha fatto di due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione
che era frammezzo, annullando la legge fatta di prescrizioni e di decreti» (Ef
2,14). Bisogna dunque che tutti abbiamo gli stessi sentimenti. Se un membro
soffre, tutte le membra ne soffrano e se un membro viene onorato, tutte le
membra gioiscano.
2. ACCOGLIAMOCI GLI UNI GLI ALTRI.
«Perciò accoglietevi», dice, «gli uni gli altri, come Cristo accolse voi
per la gloria di Dio» (Rm 15,7). Ci accoglieremo vicendevolmente se
cercheremo di aver gli stessi sentimenti, sopportando l'uno il peso dell'altro e
conservando «l'unità dello spirito nel vincolo della pace» (Ef 4,3). Allo stesso
modo Dio ha accolto anche noi in Cristo. Infatti è veritiero colui che disse: Dio
ha tanto amato il mondo da dare per noi il Figlio suo (cfr. Gv 3,16). Cristo fu
sacrificato per la vita di tutti e tutti siamo stati trasferiti dalla morte alla vita e
redenti dalla morte e dal peccato.
3. LA SALVEZZA OFFERTA AI CIRCONCISI.
Cristo si è fatto ministro dei circoncisi (gli ebrei) per dimostrare la
fedeltà di Dio. Infatti Dio aveva promesso ai progenitori degli Ebrei che
avrebbe benedetto la loro discendenza e l'avrebbe moltiplicata come le stelle
del cielo. Per questo Dio, il Verbo che crea e conserva ogni cosa creata e dà a
tutti la sua salvezza divina, si fece uomo e apparve visibilmente come tale.
Venne in questo mondo nella carne non per farsi servire, ma piuttosto, come
dice egli stesso, per servire e dare la sua vita a redenzione di tutti.
4. LA CLEMENZA ESTESA AI PAGANI.
Asserì con forza di essere venuto appositamente per adempire le
promesse fatte a Israele. Disse infatti: «Non sono stato inviato che alle pecore
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perdute della casa di Israele» (Mt 15, 4). Con tutta verità Paolo dice che Cristo
fu ministro dei circoncisi per ratificare le promesse fatte ai padri. L'Unigenito
fu sacrificato da Dio Padre perché anche i pagani ottenessero misericordia e lo
glorificassero come creatore e pastore di tutti, salvatore e redentore. La
clemenza superna fu dunque estesa a tutti anche ai pagani e così il mistero
della sapienza in Cristo non fallì il suo scopo di bontà.
XVIII. IO SONO LA VITE, VOI I TRALCI
(Dal «Commento sul vangelo di Giovanni» di san Cirillo
d’Alessandria, vescovo. Lib. 10,2; PG 74,331-334)
1. INCORPORATI E INNESTATI NELLO SPIRITO SANTO.
Il Signore dice di se stesso di essere la vite, volendo mostrare la
necessità che noi siamo radicati nel suo amore, e il vantaggio che a noi
proviene dall'essere uniti a lui. Coloro che gli sono uniti, ed in certo qual modo
incorporati e innestati, li paragona ai tralci. Questi sono resi partecipi della sua
stessa natura, mediante la comunicazione dello Spirito Santo. Infatti lo Spirito
Santo di Cristo ci unisce a lui.
2. LA DIGNITÀ DELL’ADOZIONE A FIGLI.
Edificati in Cristo Noi ci siamo accostati a Cristo nella fede per una
buona deliberazione della volontà, ma partecipiamo della sua natura per aver
ottenuto da lui la dignità dell' adozione. Infatti secondo san Paolo, «chi si
unisce al Signore forma con lui un solo spirito» (1Cor 6,17). Noi siamo
edificati su Cristo, nostro sostegno e fondamento e siamo chiamati pietre vive
e spirituali per un sacerdozio santo e per il tempio di Dio nello spirito. Non
possiamo essere edificati se Cristo non si costituisce nostro fondamento. La
medesima cosa viene espressa con l'analogia della vite.
3. LA VITA NUOVA.
Dice di essere lui stesso la vite e quasi la madre e la nutrice dei tralci
che da essa spuntano. Infatti siamo stati rigenerati da lui e in lui nello Spirito
per portare frutti di vita, ma di vita nuova che consiste essenzialmente
nell'amore operoso verso di lui. Siamo poi inseriti in lui, se ci atteniamo
tenacemente ai santi comandamenti che ci furono dati, se mettiamo ogni cura
nel conservare il grado di nobiltà ottenuto, e se non permettiamo che venga
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contristato lo Spirito che abita in noi, quello Spirito che ci rivela il senso dell'
inabitazione divina.
Il modo con il quale noi siamo in Cristo ed egli in noi, ce lo spiega san
Giovanni: «Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli
ci ha fatto dono del suo Spirito» (1Gv 4,13). Come la radice comunica ai tralci
le qualità e la condizione della sua natura, così l'unigenito Verbo di Dio
conferisce agli uomini, e soprattutto a quelli che gli sono uniti per mezzo della
fede, il suo Spirito e con lo Spirito concede loro la partecipazione alla natura
divina e la grazia di diventare santi e immacolati al suo cospetto nell’amore.
XIX. L’EUCARISTIA PASQUA DEL SIGNORE
(Dai «Trattati» di san Gaudenzio di Brescia, vescovo.Tratt. 2; CSL
68,26.29-30)
1. IL SACRAMENTO DEL PANE E DEL VINO.
Cristo è lui solo che è morto per tutti. È lui il medesimo che si trova nel
sacramento del pane e del vino anche se sono molte le assemblee nelle quali si
riunisce la Chiesa. È il medesimo che immolato ricrea, creduto vivifica,
consacrato santifica i consacranti. La carne del sacrificio è quella dell'Agnello
divino, il sangue è quello suo. Infatti il Pane disceso dal cielo ha detto: «Il
pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,52). Molto
giustamente il suo sangue viene indicato anche sotto il segno del vino. Lo disse
egli stesso nel Vangelo: «Io sono la vera vite» (Gv 15,1). Il vino offerto nella
Messa come sacramento della passione di Cristo è suo sangue.
2. LAVATI NEL SUO SANGUE.
Per questa ragione il patriarca Giacobbe aveva profetizzato di Cristo,
dicendo: Egli laverà nel vino la sua veste e nel sangue dell'uva il suo mantello
(cfr. Gn 49,11). Avrebbe infatti lavato nel proprio sangue la veste del nostro
corpo, di cui egli stesso si era rivestito. Egli, creatore e signore di tutte le cose,
produce il pane dalla terra e dal pane produce sacramentalmente il suo corpo,
poiché lo ha promesso e lo può fare. Egli inoltre che ha fatto dell'acqua vino,
dal vino fa il suo sangue.
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3. LA PASQUA DEL SIGNORE.
«È la Pasqua del Signore» (Es 12,11), cioè il passaggio del Signore.
Queste parole ti ammoniscono di non credere terrestre quello che è diventato
celeste. Il Signore «passa» nella realtà terrestre e la fa suo corpo e suo sangue.
Quello che ricevi è il corpo di colui che è pane celeste e il sangue di
colui che è la sacra vite. Infatti mentre porgeva ai suoi discepoli il pane
consacrato ed il vino, così disse: «Questo è il mio corpo, questo è il mio
sangue» (Mt 26,26-27). Crediamo dunque a colui al quale ci siamo affidati: la
verità non conosce menzogna. Quando infatti diceva alle turbe sbigottite che il
suo corpo era da mangiare e il suo sangue da bere, molti sussurravano:
«Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?» (Gv 6,60).Per cancellare con
il fuoco celeste quei pensieri aggiunse: «È lo Spirito che dà la vita; la carne
invece non giova a nulla. Le parole che vi ho dette, sono spirito e vita» (Gv
6,63).
XX. L’ALLELUIA PASQUALE
(Dai «Commenti sui salmi» di Sant’Agostino, vescovo. Sal. 148,1-2;
CCL 40,2165-2166)
1. LODE E SUPPLICA AL SIGNORE.
La meditazione della nostra vita presente deve svolgersi nella lode del
Signore, perché l'eterna felicità della nostra vita futura consisterà nella lode di
Dio; e nessuno sarà atto alla vita futura, se ora non si sarà preparato. Perciò
lodiamo Dio adesso, ma anche innalziamo a lui la nostra supplica. La nostra
lode racchiude gioia, la nostra supplica racchiude gemito. Infatti ci è stato
promesso ciò che attualmente non possediamo; e poiché è verace colui che ha
promesso, noi ci rallegriamo nella speranza, anche se, non possedendo ancora
quello che desideriamo, il nostro desiderio appare come un gemito. È fruttuoso
per noi perseverare nel desiderio fino a quando ci giunga ciò che è stato
promesso e così passi il gemito e gli subentri solo la lode.
2. I DUE TEMPI DELLA NOSTRA VITA.
La storia del nostro destino ha due fasi: una che trascorre ora in mezzo
alle tentazioni e tribolazioni di questa vita, l'altra che sarà nella sicurezza e
nella gioia eterna. Per questo motivo è stata istituita per noi anche la
celebrazione dei due tempi, cioè quello prima di Pasqua e quello dopo Pasqua.
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Il tempo che precede la Pasqua raffigura la tribolazione nella quale ci
troviamo; invece quello che segue la Pasqua, rappresenta la beatitudine che
godremo. Ciò che celebriamo prima di Pasqua, è anche quello che operiamo.
Ciò che celebriamo dopo Pasqua, indica quello che ancora non possediamo.
Per questo trascorriamo il primo tempo in digiuni e preghiere. L'altro, invece,
dopo la fine dei digiuni lo celebriamo nella lode. Ecco perché cantiamo:
alleluia.
Infatti in Cristo, nostro capo, è raffigurato e manifestato l'uno e l'altro
tempo. La passione del Signore ci presenta la vita attuale con il suo aspetto di
fatica, di tribolazione e con la prospettiva certa della morte. Invece la
risurrezione e la glorificazione del Signore sono annunzio della vita che ci
verrà donata. Per questo, fratelli, vi esortiamo a lodare Dio; ed è questo che noi
tutti diciamo a noi stessi quando proclamiamo: alleluia. Lodate il Signore, tu
dici a un altro. E l'altro replica a te la stessa cosa.
3. LODATE IL SIGNORE CON LA VITA.
Impegnatevi a lodare con tutto il vostro essere: cioè non solo la vostra
lingua e la vostra voce lodino Dio, ma anche la vostra coscienza, la vostra vita,
le vostre azioni. Noi lodiamo il Signore in chiesa quando ci raduniamo. Al
momento in cui ciascuno ritorna alle proprie occupazioni, quasi cessa di lodare
Dio. Non bisogna invece smettere di vivere bene e di lodare sempre Dio. Bada
che tralasci di lodare Dio quando ti allontani dalla giustizia e da ciò che a lui
piace. Infatti se non ti allontani mai dalla vita onesta, la tua lingua tace, ma la
tua vita grida e l'orecchio di Dio è vicino al tuo cuore. Le nostre orecchie
sentono le nostre voci, le orecchie di Dio si aprono ai nostri pensieri.
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Parte terza
SETTE MEDITAZIONI PER IL TEMPO DI ASCENSIONE-
PENTECOSTE
I. I GIORNI TRA LA RISURREZIONE E L’ASCENSIONE DEL SIGNORE
(Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa Disc. sull'Ascensione, 24;
PL 54,395-396).
1. I GRANDI MISTERI PASQUALI.
Miei cari, i giorni intercorsi tra la risurrezione del Signore e la sua
ascensione non sono passati inutilmente, ma in essi sono stati confermati
grandi misteri e sono state rivelate grandi verità. Venne eliminato il timore di
una morte crudele, e venne annunziata non solo l'immortalità dell'anima, ma
anche quella del corpo. Durante quei giorni, in virtù del soffio divino, venne
effuso su tutti gli apostoli lo Spirito Santo, e a san Pietro apostolo, dopo la
consegna delle chiavi del Regno, venne affidata la cura suprema del gregge del
Signore.
In questi giorni il Signore si unisce, come terzo, ai due discepoli lungo
il cammino, e per dissipare in noi ogni ombra di incertezza, biasima la fede
languida di quei due spaventati e trepidanti. Quei cuori da lui illuminati
s'infiammano di fede e, mentre prima erano freddi, diventano ardenti, man
mano che il Signore spiega loro le Scritture. Quando egli spezza il pane, anche
lo sguardo di quei commensali si apre. Si aprono gli occhi dei due discepoli.
2. LA CERTEZZA DEL SIGNORE RISORTO.
Perciò, o miei cari, durante tutto questo tempo trascorso tra la
risurrezione del Signore e la sua ascensione, la divina Provvidenza questo ha
avuto di mira, questo ha comunicato, questo ha voluto insinuare negli occhi e
nei cuori dei suoi: la ferma certezza che il Signore Gesù Cristo era veramente
risuscitato, come realmente era nato, realmente aveva patito ed era realmente
morto.
Perciò i santi apostoli e tutti i discepoli che avevano trepidato per la
tragedia della croce ed erano dubbiosi nel credere alla risurrezione, furono
talmente rinfrancati dall'evidenza della verità, che, al momento in cui il
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Signore saliva nell'alto dei cieli, non solo non ne furono affatto rattristati, ma
anzi furono ricolmi di grande gioia.
3. LA NATURA UMANA GLORIFICATA.
Ed avevano davvero un grande e ineffabile motivo di rallegrarsi. Essi
infatti, insieme a quella folla fortunata, contemplavano la natura umana mentre
saliva ad una dignità superiore a quella delle creature celesti. Essa oltrepassava
le gerarchie angeliche, per essere innalzata al di sopra della sublimità degli
arcangeli, senza incontrare a nessun livello per, quanto alto, un limite alla sua
ascesa. Infine, chiamata a prender posto presso l'eterno Padre, venne associata
a lui nel trono della gloria, mentre era unita alla sua natura nella Persona del
Figlio.
II. CRISTO È VINCOLO DI UNITÀ NEL CORPO MISTICO DI CRISTO
(Dal «Commento sul vangelo di Giovanni» di san Cirillo alessandrino,
vescovo. Lib. 11,11; PG 74,559-562).
1. UN SOLO CORPO IN CRISTO.
Secondo san Paolo quanti comunichiamo alla santa umanità del Cristo,
veniamo a formare un sol corpo con lui. Presenta così questo mistero di amore:
«Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come
al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello
Spirito: che i gentili cioè sono chiamati in Cristo Gesù a partecipare alla
stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della promessa»
(Ef 3,5-6). Se tutti tra di noi siamo membra dello stesso corpo in Cristo e non
solo tra di noi, ma anche con colui che è in noi per mezzo della sua carne, è
evidente che tutti siamo una cosa sola sia tra noi che in Cristo. Cristo infatti è
vincolo di unità, essendo egli al tempo stesso Dio e uomo.
2. UN UNICO E MEDESIMO SPIRITO.
Quanto all'unione spirituale, seguendo il medesimo ragionamento,
diremo ancora che noi tutti, avendo ricevuto un unico e medesimo Spirito
santo, siamo, in certo qual modo, uniti sia tra noi, sia con Dio. Infatti, sebbene,
presi separatamente, siamo in molti, ed in ciascuno di noi Cristo faccia abitare
lo Spirito del Padre e suo, tuttavia unico e indivisibile è lo Spirito. Egli con la
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sua presenza e la Sua azione riunisce nell'unità spiriti che tra loro sono distinti
e separati. Egli fa di tutti in se stesso una unica e medesima cosa.
3. SOPPORTIAMOCI A VICENDA.
La potenza della santa umanità del Cristo rende concorporali coloro nei
quali si trova. Allo stesso modo, credo, l'unico e indivisibile Spirito di Dio che
abita in tutti, conduce tutti all'unità spirituale. Perciò ancora san Paolo ci
esorta: Sopportatevi a vicenda con amore, cercate di conservare l'unità dello
spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo Spirito, come
una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra
vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio
Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti, ed è presente
in tutti (cfr. Ef 4,2-6)
4. UN UNICO PADRE.
Infatti dimorando in noi un unico Spirito, vi sarà in noi un unico Padre
di tutti, Dio, per mezzo del Figlio. Lo Spirito Santo riconduce all'unità con sé e
all'unità vicendevole fra loro tutti quelli che si trovano a partecipare di lui. E
tutti noi evidentemente siamo partecipi dello Spirito. Infatti abbiamo lasciato
la vita animale e obbediamo alle leggi dello Spirito. In tal modo abbandoniamo
la nostra vita, ci uniamo allo Spirito Santo, acquistiamo una conformità celeste
a lui e veniamo trasformati, in certo qual modo, in un'altra natura. Perciò
siamo chiamati non più uomini solamente, ma anche figli di Dio e uomini
celesti. Siamo resi cioè partecipi della natura divina.
Tutti siamo una cosa sola nel Padre e Figlio e Spirito Santo: una cosa
sola dico, per l'identità della condizione, la coesione nella carità, la comunione
alla santa carne di Cristo e la partecipazione dell'unico Spirito Santo.
III. NESSUNO È MAI SALITO AL CIELO, FUORCHÉ IL FIGLIO DELL’UOMO CHE
È DISCESO DAL CIELO
(Dai «Discorsi» di Sant’Agostino, vescovo. Disc. sull'Ascensione del
Signore, ed. A. Mai, 98,1-2; PLS 2,494-495)
1. CON LUI SALGA IL NOSTRO CUORE.
Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con lui salga pure il
nostro cuore. Ascoltiamo l'apostolo Paolo che proclama: «Se siete risorti con
Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio.
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Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3,1-2). Come egli è
asceso e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con lui,
benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che ci è promesso. Cristo
è ormai esaltato al di sopra dei cieli, ma soffre qui in terra tutte le tribolazioni
che noi sopportiamo come sue membra. Di questo diede assicurazione facendo
sentire quel grido: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9,4). E così pure:
«Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare» (Mt 25,35).
2. DIMORIAMO IN CRISTO PER MEZZO DELL’AMORE.
Perché allora anche noi non fatichiamo su questa terra, in maniera da
riposare già con Cristo in cielo, noi che siamo uniti al nostro Salvatore
attraverso la fede, la speranza e la carità? Cristo, infatti, pur trovandosi lassù,
resta ancora con noi. E noi, similmente, pur dimorando quaggiù, siamo già con
lui.
Cristo può assumere questo comportamento in forza della sua divinità e
onnipotenza. A noi, invece, è possibile, non perché siamo esseri divini, ma per
l'amore che nutriamo per lui. Egli non abbandonò il cielo, discendendo fino a
noi; e nemmeno si è allontanato da noi, quando di nuovo è salito al cielo. Infatti
egli stesso dà testimonianza di trovarsi lassù mentre era qui in terra: nessuno è
mai salito al cielo fuorché colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo, che
è in cielo (Cfr. Gv 3,13).
3. MEMBRA DI CRISTO.
Questa affermazione fu pronunciata per sottolineare l'unità tra lui nostro
capo e noi suo corpo. Quindi nessuno può compiere un simile atto se non Cristo,
perché anche noi siamo lui, per il fatto che egli è il Figlio dell'uomo per noi, e
noi siamo figli di Dio per lui.
Così si esprime l'Apostolo parlando di questa realtà: «Come infatti il
corpo, pur essendo uno ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte,
sono un corpo solo, così anche Cristo» (1Cor12,12). L'Apostolo non dice:
«Così Cristo», ma sottolinea: «Così anche Cristo». Cristo dunque ha molte
membra, ma un solo corpo.
Perciò egli è disceso dal cielo per la sua misericordia e non è salito se
non lui, mentre noi unicamente per grazia siamo saliti in lui.
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IV. L’ACQUA VIVA DELLO SPIRITO SANTO
(Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo. Catech. 16,
sullo Spirito Santo 1,11-12.16; PG 33,931-935.939-940).
1. SORGENTE DI ACQUA VIVA.
«L'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla
per la vita eterna» (Gv 4,14). Nuova specie di acqua che vive e zampilla, ma
zampilla solo per chi ne è degno. Per quale motivo la grazia dello Spirito è
chiamata acqua? Certamente perché tutto ha bisogno dell'acqua. L'acqua è
generatrice delle erbe e degli animali. L'acqua della pioggia discende dal cielo.
Scende sempre allo stesso modo e forma, ma produce effetti multiformi. Altro è
l'effetto prodotto nella palma, altro nella vite e così in tutte le cose, pur essendo
sempre di un'unica natura e non potendo essere diversa da se stessa. La pioggia
infatti non discende diversa, non cambia se stessa, ma si adatta alle esigenze
degli esseri che la ricevono e diventa per ognuno di essi quel dono
provvidenziale di cui abbisognano.
2. OPERA EFFETTI MOLTEPLICI.
Allo stesso modo anche lo Spirito Santo, può essendo unico e di una sola
forma e indivisibile, distribuisce ad ognuno la grazia come vuole. E come un
albero inaridito, ricevendo l'acqua, torna a germogliare, così l'anima peccatrice,
resa degna del dono dello Spirito Santo attraverso la penitenza, porta grappoli di
giustizia. Lo Spirito appartiene ad un'unica sostanza, però, per disposizione
divina e per i meriti di Cristo, opera effetti molteplici.
Infatti si serve della lingua di uno per la sapienza. Illumina la mente di
un altro con la profezia. A uno conferisce il potere di scacciare i demoni, a un
altro largisce il dono di interpretare le divine Scritture. Rafforza la temperanza
di questo, mentre a quello insegna la misericordia. Ispira a un fedele la pratica
del digiuno, ad altri forme ascetiche differenti. C'è chi da lui apprende la
saggezza nelle cose temporali e chi perfino riceve da lui la forza di accettare il
martirio. Nell'uno lo Spirito produce un effetto, nell'altro ne produce uno
diverso, pur rimanendo sempre uguale a se stesso. Si verifica così quanto sta
scritto: «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per
l'utilità comune» (1Cor 12,7).
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3. LUCE DELL’ANIMA.
Mite e lieve il suo avvento, fragrante e soave la sua presenza,
leggerissimo il suo giogo. Il suo arrivo è preceduto dai raggi splendenti della
luce e della scienza. Giunge come fratello e protettore. Viene infatti a salvare, a
sanare, a insegnare, a esortare, a rafforzare e a consolare. Anzitutto illumina la
mente di colui che lo riceve e poi, per mezzo di questi, anche degli altri.
E come colui che prima si trovava nelle tenebre, all'apparire improvviso
del sole riceve la luce nell'occhio del corpo e ciò che prima non vedeva, vede
ora chiaramente, così anche colui che è stato ritenuto degno del dono dello
Spirito Santo, viene illuminato nell'anima e, elevato al di sopra dell'uomo, vede
cose che prima non conosceva.
V. SE NON ME NE VADO, NON VERRÀ A VOI IL CONSOLATORE
(Dal «Commento sul vangelo di Giovanni» di san Cirillo di Alessandria,
vescovo. Lib. 10; PG 74,434)
1. CRISTO ABITA IN NOI PER MEZZO DELLO SPIRITO.
Cristo aveva compiuto la sua missione sulla terra, e per noi era ormai
venuto il momento di entrare in comunione con la natura del Verbo cioè di
passare dalla vita naturale di prima a quella soprannaturale. Ma a ciò non
potevamo arrivare se non divenendo partecipi dello Spirito Santo.
Il tempo più adatto alla missione dello Spirito e alla sua venuta su di noi
era quello che seguì l'ascensione di Cristo al cielo. Quando giunse il momento
stabilito di salire al Padre celeste, era necessario che egli fosse presente ai suoi
seguaci per mezzo dello Spirito ed abitasse per mezzo della fede nei nostri
cuori, perché, avendolo in noi, potessimo dire con fiducia «Abbà, Padre» e
praticassimo con facilità ogni virtù e inoltre fossimo trovati forti e invincibili
contro le insidie del diavolo e gli attacchi degli uomini, dal momento che
possedevamo lo Spirito Santo onnipotente.
2. LO SPIRITO CI ASSIMILA A CRISTO.
Che lo Spirito infatti trasformi in un'altra natura coloro nei quali abita e
li rinnovi nella loro vita è facile dimostrarlo con testimonianze sia dell'Antico
che del Nuovo Testamento. Samuele infatti, ispirato, rivolgendo la parola a
Saul, dice: Lo Spirito del Signore ti investirà e sarai trasformato in altro uomo
(cfr. 1Sam 10,6). San Paolo poi dice: E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo
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come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella
medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del
Signore. Il Signore poi è Spirito (cfr.2Cor 3,17-18).
3. I DONI DELLO SPIRITO.
Vedi come lo Spirito trasforma, per così dire, in un'altra immagine
coloro nei quali abita? Infatti porta con facilità dal gusto delle cose terrene a
quello delle sole cose celesti e da una imbelle timidezza ad una forza d'animo
piena di coraggio e di grande generosità.
I discepoli erano così disposti e così rinfrancati nell'animo dallo Spirito Santo,
da non essere per nulla vinti dagli assalti dei persecutori, ma fortemente stretti
all'amore di Cristo. È vero dunque quello che dice il Salvatore: È meglio per voi
che io me ne ritorni in cielo (cfr.Gv 16,7). Quello infatti era il tempo in cui
sarebbe disceso lo Spirito Santo.
VI. IL DONO DEL PADRE IN CRISTO
(Dal «Trattato sulla Trinità» di Sant’Ilario, vescovo. Lib. 3,1,33.35; PL
10,50-51.73-73)
1. BATTEZZATI NEL NOME DEL PADRE E DEL FIGLIO E DELLO SPIRITO
SANTO.
Il Signore comandò di battezzare nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo Il catecumeno viene battezzato professando perciò la fede nel
Creatore, nell'unigenito, nel Dono. Unico è il Creatore di tutto. Uno infatti Dio
Padre da cui hanno principio tutte le cose. Unico è anche l'unigenito, il Signore
Nostro Gesù Cristo, per mezzo del quale tutte le cose furono create, e unico lo
Spirito dato in dono a tutti. Tutto è ordinato secondo le sue virtù e meriti; una la
potenza da cui tutto procede; una la prole per la quale tutto è stato fatto; uno il
dono della perfetta speranza.
Non si troverà nulla che manchi ad una perfezione infinita. Nell'ambito
della Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, tutto è perfettissimo: l’immensità
nell'eterno, la manifestazione nell'immagine, il godimento nel dono.
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2. IL COMPITO DELLO SPIRITO SANTO.
Ascoltiamo dalle parole dello stesso Signore quale sia il suo compito nei
nostri confronti. Dice: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non
siete capaci di portarne il peso» (Gv 16,12). È bene per voi che io me ne vada,
se me ne vado vi manderò il Consolatore (cfr. Gv 16,7). Ancora: «Io pregherò il
Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre,
lo Spirito di verità» (Gv 14,16-17). «Egli vi guiderà alla verità tutta intera,
perché non parlerà da se, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le
cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio» (Gv 16,13-14).
Insieme a tante altre promesse vi sono queste destinate ad aprire
l'intelligenza delle alte cose. In queste parole vengono formulati sia la volontà
del donatore, come pure la natura e il modo stesso del dono. Siccome la nostra
limitatezza non ci permette di intendere né il Padre, né il Figlio, il dono dello
Spirito Santo stabilisce un certo contatto tra noi e Dio, e così illumina la nostra
fede nelle difficoltà relative all'incarnazione di Dio.
3. LUCE PER CONOSCERE DIO.
Lo si riceve dunque per conoscere. I sensi per il corpo umano sarebbero
inutili se venissero meno i requisiti per il loro esercizio. Se non c'è luce o non è
giorno, gli occhi non servono a nulla; gli orecchi in assenza di parole o di suono
non possono svolgere il loro compito; le narici se non vi sono emanazioni
odorifere, non servono a niente. E questo avviene non perché venga loro a
mancare la capacità naturale, ma perché la loro funzione è condizionata da
particolari elementi. Allo stesso modo l'anima dell'uomo, se non avrà attinto per
mezzo della fede il dono dello Spirito Santo, ha sì la capacità di intendere Dio,
ma le manca la luce per conoscerlo.
Il dono, che è in Cristo, è dato interamente a tutti. Resta ovunque a
nostra disposizione e ci è concesso nella misura in cui vorremo accoglierlo.
Dimorerà in noi nella misura in cui ciascuno di noi vorrà meritarlo.
Questo dono resta con noi fino alla fine del mondo, è il conforto della
nostra attesa, è il pegno della speranza futura nella realizzazione dei suoi doni, è
la luce delle nostre menti, lo splendore delle nostre anime.
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VII. LA MISSIONE DELLO SPIRITO SANTO
(Dal trattato «Contro le eresie» di Sant’Ireneo, vescovo. Lib. 3,17, 1-3;
SC 34,302-306).
1. NASCERE DI NUOVO IN DIO.
Il Signore concedendo ai discepoli il potere di far nascere gli uomini in
Dio, diceva loro: «Andate, ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome
del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). È questo lo Spirito che,
per mezzo dei profeti, il Signore promise di effondere negli ultimi tempi sui
suoi fedeli perché ricevessero il dono della profezia. Perciò esso discese anche
sul Figlio di Dio, divenuto figlio dell'uomo, abituandosi con lui a dimorare nel
genere umano, a riposare tra gli uomini e ad abitare nelle creature di Dio,
operando in essi la volontà del Padre e rinnovandoli dall'uomo vecchio alla
novità di Cristo.
2. UN’UNICA CHIESA IN CRISTO.
Luca narra che questo Spirito, dopo l'ascensione del Signore, venne sui
discepoli nella Pentecoste con la volontà e il potere di introdurre tutte le nazioni
alla vita e alla rivelazione del Nuovo Testamento. Sarebbero così diventate un
mirabile coro per intonare l'inno di lode a Dio in perfetto accordo, perché lo
Spirito Santo avrebbe annullato le distanze, eliminato le stonature e trasformato
il consesso dei popoli in una primizia da offrire a Dio.
Perciò il Signore promise di mandare lui stesso il Paràclito per renderci
graditi a Dio. Infatti come con la farina non si amalgama in un unica massa
pastosa, né diventa un unico pane senza l'acqua, così neppure noi, moltitudine
disunita, potevamo diventare un'unica Chiesa in Cristo Gesù senza l'«Acqua»
che scende dal cielo. E come la terra arida se non riceve l'acqua non può dare
frutti, così anche noi, semplice e nudo legno secco, non avremmo mai portato
frutto di vita senza la «Pioggia» mandata liberamente dall'alto.
3. GUARITI NELLO SPIRITO SANTO.
Il lavacro battesimale con l'azione dello Spirito Santo ci ha unificati tutti
nell'anima e nel corpo in quell'unità che preserva dalla morte. Lo Spirito di Dio
discese sopra il Signore come Spirito di sapienza e di intelligenza, Spirito di
consiglio e di fortezza, Spirito di scienza e di pietà, Spirito del timore di Dio
(cfr. Is 11,2).
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Il Signore poi a sua volta diede questo Spirito alla Chiesa, mandando dal
cielo il Paràclito su tutta la terra, da dove, come disse egli stesso, il diavolo fu
cacciato come folgore cadente (cfr. Lc 10,18). Perciò è necessaria a noi la
rugiada di Dio, perché non abbiamo a bruciare e a diventare infruttuosi e là dove
troviamo l'accusatore, possiamo avere anche l'avvocato.
Il Signore affida allo Spirito Santo quell'uomo incappato nei ladri, cioè
noi. Sente pietà di noi e ci fascia le ferite, e dà i due denari con l’immagine del
re. Così imprimendo nel nostro spirito, per opera dello Spirito Santo, l'immagine
e l'iscrizione del Padre e del Figlio, fa fruttificare in noi i talenti affidatici
perché li restituiamo poi moltiplicati al Signore.