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pag. zerouno a DAY IN FERRARA Rotonda Foschini e Piazza Municipale iNTO THE LIGHT Hope di Luceplan eSERCIZI DI STILE La luce mICROSCOPIO La cottura a induzione fREQUENT FLYER Salone del Mobile di Milano qUALITÀ MENEGATTI Seconda puntata N.2 - luglio 2011 [RIVISTA DI DESIGN, TENDENZE, ARREDAMENTO e STILI DI VITA A CURA DEL MOBILIFICIO MENEGATTI]

Mome numero 2

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Rivista di cultura, arredamento, design e stili di vita

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a DAY IN FERRARARotonda Foschini e Piazza Municipale

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1[RIVISTA DI DESIGN, TENDENZE, ARREDAMENTO e STILI DI VITA A CURA DEL MOBILIFICIO MENEGATTI]

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[Progetto a cura di Pierangelo Ranieri idea e impaginazione grafica: Dieci sas (Pieve di Soligo-TV) - fotografia: Amarcordstudio (Susegana-TV)]

Uno sta fermo soltanto se non sa dove andare. Noi siamo continuamente in movimento.

Non ci siamo fermati di fronte ad un coccodrillo che ci pendeva sulla testa o davanti ad un ufo bianco atterrato nella piazza del municipio e quando la meta è chiara la strada viene segnata dalla voglia di raggiungerla. Noi abbiamo indicazioni chiare, illuminate da luci che sembrano giavellotti, diamanti, lanterne, microfoni, pouf o dischi volanti in equilibrio su di un tubo.

Il viaggio consiste nell’avere nuovi occhi, abbiamo già scritto su queste pagine, quelli che serviranno per capire una tecnologia che diventa magia, perché non ci sono resistenze che diventano rosse o fiamme gialle e blu contemporaneamente, nulla quindi da vedere ma tanto calore da usare.

Tutte le strade portano a Roma ma ad aprile cambiano direzione e portano a Milano, dove si va per capire l’arredamento di domani da dove siamo tornati felici di sapere che tra un po’ dovremmo ricominciare a fare la punta a tutte le matite colorate e non soltanto a quattro o cinque.

Ogni tanto le strade si incrociano, così capita di trovare qualcuno che decide di costruire case con la stessa cura con cui noi vogliamo arredarle.

L’unico pericolo che corriamo, è quello di provare troppo orgoglio per l’amore con cui seguiamo la direzione che ci siamo dati, per questo, ogni tanto, facciamo finta che quello fatto fin’ora non sia mai esistito, per sentirci nuovamente umili apprendisiti alla scuola del bello e mantenere il cliente stabile al centro del nostro mondo.

N.2 - luglio 2011

mANIFESTO

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infatti, i rumori del trafficato Corso Giovecca giungono attutiti e ci si può soffermare ad osservare le nuvole che, sospinte dal vento, attraversano il quadro ovale in cui è incastonato il cielo. Qui il tempo sembra essersi fermato alle carrozze del settecento che accompagnavano dame e borghesi agli spettacoli; solo la scia di un aereo e, a settembre, qualche mongolfiera, ci riportano ai nostri giorni. Tornando a guardare davanti a noi ed incamminandoci verso l’arco che immette in Corso Giovecca, ci appare, perfettamente incorniciata, la facciata della chiesa di S. Carlo. Ci vorrebbe un regista, con un bel piano sequenza, ad immortalarne la bellezza. Chissà? Forse Cosimo Morelli, a fine Settecento l’aveva proprio immaginata così!

Della Rotonda Foschini, di quel cortile ovale, cioè, che sorge a ridosso del Teatro Comunale di Ferrara e che, in origine, era destinato al transito delle carrozze, si può parlare attraverso diversi linguaggi.Ad iniziare da quello della storia: ricca di vicende è, infatti, la genesi e lo sviluppo non solo della rotonda, oggi non più destinata al transito, ma divenuta zona pedonale, ma anche del grande teatro che la cittadinanza volle a fine settecento, forse per rivivere i fasti del teatro di corte rinascimentale che tanta fortuna ebbe a Ferrara anche dopo la devoluzione del ducato allo Stato Pontificio nel 1598.Certo è che, affidati i lavori di progettazione e direzione agli architetti Antonio Foschini e Cosimo Morelli nel 1773, solo cinque anni più tardi essi se li videro togliere a favore di un altro architetto, quel Giuseppe Campana che, tra accuse di incompetenza tecnica e cattiva gestione dei finanziamenti, perse ben presto l’incarico, nonostante una buona parte dei lavori fosse stata già eseguita.Tornati in mano ai due architetti originari, i lavori furono completati solo nel 1798 quando, il 2 settembre, il teatro fu ufficialmente inaugurato.La rotonda faceva parte del complesso architettonico e fu concepita, differentemente da quanto si possa pensare data l’intitolazione, da Cosimo Morelli, così come la

facciata del teatro. A Foschini, invece, che, a differenza di Morelli era ferrarese, spettò la progettazione del vestibolo, dello scalone d’onore e del piano nobile.Strana quindi la fortuna del Morelli, che fu, almeno dai più, dimenticato, a favore di quel Foschini le cui spoglie mortali riposano oggi alla Certosa.Ma della rotonda si può parlare anche attraverso il linguaggio delle arti: di quelle teatrali, per ovvi motivi, primariamente: il Teatro Comunale di Ferrara è, oggi, tra le realtà teatrali italiane più attive ed innovative sia nel campo della prosa che in quello della musica (qui nel 1987 Claudio Abbado ha voluto che “prendesse dimora” la Chamber Orchestra) e della danza. Ma anche le arti figurative (in special modo la scultura) hanno avuto un ruolo fondante nella vita contemporanea della Rotonda.In diverse occasioni è stato sfruttato il vuoto che esiste tra il suolo e la cornice superiore dell’edificio per “appendervi” sculture, le più diverse.E proprio quella cornice ovale che sembra racchiudere il cielo, quasi separandolo dal cielo universale rendendolo unico e privato, costituisce la base del terzo linguaggio attraverso cui raccontare la Rotonda: quello del sogno e del tempo. Attraversando quel cortile,

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di M. Govoni

Nel cuore della città Rotonda Foschini e Piazza Municipale

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Chissà se l’architetto ferrarese Pietro Benvenuto degli Ordini, peraltro maestro del ben più noto Biagio Rossetti, avesse immaginato che, ancora oggi, a distanza di quasi seicento anni, il suo scalone sarebbe stato percorso, ogni giorno, da centinaia di persone.Già perché quello scalone marmoreo

che, unico nel suo genere, fa bella mostra di sé nella Piazza Municipale, era in origine uno degli scaloni di accesso agli appartamenti ducali, situati nell’odierno Palazzo del Municipio.La piazza, di recente restaurata e con il bello (e contestato) restyling del pavimento, era in epoca estense il

cortile d’onore su cui si affacciavano, oltre alle finestre degli appartamenti ducali, anche la facciata della Cappella di S. Maria della Corte e i tre “volti” di ingresso alla piazza stessa.Utilizzata come cappella di corte, la chiesa era il luogo destinato, tra gli altri, all’esposizione delle salme dei duchi Estensi prima della sepoltura;

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pratica, quest’ultima, ancor oggi effettuata nel mondo in occasione della morte di uomini politici o personaggi dello spettacolo (la cosiddetta “camera ardente”).Nel Rinascimento la pratica di esporre pubblicamente il corpo del principe (non solo a Ferrara ma, in generale, in Europa) fu dettata dal valore taumaturgico (cioè guaritore) che assumeva la salma del potente di turno e dal ruolo politico della successione (a tal proposito si può consultare il bel libro di G. Ricci, “Il principe e la morte”, Bologna, Il Mulino, 1998).Di quella cappella favolosa, che aveva visto magnificenza e continui lavori di espansione,

oggi resta solo il bel portale marmoreo con colonne.L’interno è adibito a teatro pubblico (Sala Estense) dagli anni ‘20 del novecento quando sono stati costruiti il palco, la platea e la bella galleria in stile liberty.Una curiosità: qui Michelangelo Antonioni e Wim Wenders hanno girato alcune inquadrature del film

“Al di là delle nuvole”, in cui la sala rappresenta un cinematografo (funzione che la sala ha avuto realmente nei suoi primi anni da sala pubblica).I volti che danno accesso alla piazza sono l’antico Volto del Cavalletto, che porta in via Cortevecchia, il volto detto “della Colombina” che porta nella via Garibaldi e il più famoso “Volto del Cavallo” che si conclude in Piazza della Cattedrale ed alla cui fine sorgono le colonne con le statue bronzee di Niccolò III e Borso d’Este.“E s’io non fossi d’ogni cinque o sei mesi stato uno a passeggiar fra il Domo e le due statue de’ Marchesi miei, da sì noiosa lontananza domo già sarei morto, o più di quelli macro che stan bramando in purgatorio il pomo” ebbe a scrivere l’Ariosto nella sua Satira VII.Medesimo pensiero che coglie i ferraresi ad ogni partenza e ad ogni ritorno nell’amata città del silenzio con “le tue vie piane, grandi come fiumane, che conducono all’infinito chi va solo col suo pensiero ardente, e quel lor silenzio ove stanno in ascolto tutte le porte...” per dirla con D’Annunzio.

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In occasione della Giornata Nazionale dell’Innovazione, che si è svolta a Roma il 14 giugno, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito alla lampada Hope il ‘Premio dei Premi per l’Innovazione’, un importante riconoscimento promosso dalla Fondazione per l’Innovazione Tecnologica e istituito presso il Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione.

Promosso dall’Associazione per il Disegno Industriale-ADI, da Confcommercio e Confindustria, il Premio dei Premi riconosce annualmente le migliori capacità innovative e creative, al fine di favorire la crescita della cultura dell’innovazione nel Paese.

Il premio, ritirato dai due designer Francisco Gomez Paz e Paolo

Rizzatto e da Alessandro Sarfatti, Amministratore Delegato Luceplan, non fa che confermare il successo di un prodotto che in meno di due anni ha raccolto uno straordinario consenso di critica e di pubblico, realizzando sorprendenti dati di vendita in tutto il mondo.

Leggerissima e scomponibile, Hope ripropone la magia dei lampadari della tradizione, interpretandola con sofisticate tecnologie e materiali contemporanei.

Una serie di sottili lenti Fresnel, ottenute con microprismatura impressa su film di policarbonato dal potere diottrico equivalente a quello del vetro (senza tuttavia vincoli di ingombro, spessore e peso), moltiplica la luce della sorgente luminosa, ricreando un gradevole effetto sfavillante, festoso, punteggiato da tanti piccoli riflessi come il diamante da cui prende il nome: Hope.

Frutto di un brillante processo progettuale e produttivo, è predisposta per accogliere ogni tipo di fonte luminosa: alogene di nuova generazione, fluorescenti a risparmio energetico.

iNTO THE LIGHT

Hope by LuceplanLa lampada Hope di Luceplan si aggiudicail Premio dei Premi per l’Innovazione

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Design: Francisco Gomez Paz, Paolo Rizzato - 2009

Materiali: Struttura in acciaio inox lucido tranciato e piegato. Bracci in policarbonato stampato a iniezione. Lenti in policarbonato trasparente prismatizzato. Lucido e trasparente

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| 1 | Javelot Macro di Odine Decq per Luceplan. | 2 |

Balloon di Uli Budde per vertigo Bird. | 3 | Jinn di Mathias

Hahn per Vertigo Bird. | 4 | PK Led di Cattellani & Smith.

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| 5 | Room di Hettler / Tüllmann per Prandina. | 6 | Lucenera

207 di Cattellani & Smith. | 7 | Hope di Francisco Gomez Paz

e Paolo Rizzato per Luceplan. | 8 | Equilibre di Luc Ramael per

Prandina.

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L’induzione è una tecnologia nuova?

No. L’induzione è una tecnologia nuova solo per il mercato italiano. Nel Nord Europa, in Francia ed in Spagna i piani a induzione SIEMENS sono sul mercato da oltre 20 anni ed oggi sono già alla quarta generazione. L’Italia, quindi, ha il vantaggio di avere a

disposizione una gamma di prodotti estremamente avanzati in termini di prestazioni, innovazione, sicurezza e quindi affidabilità.

Posso utilizzare il piano a induzione con un contatore da 3 kW?

Sì. Solo grazie all’esclusivo sistema

powerManagement di SIEMENS ogni utente può impostare la potenza massima che il piano deve assorbire, per farlo funzionare anche contemporaneamente ad altri elettrodomestici. Questa regolazione si effettua al primo utilizzo, quindi viene memorizzata e non è necessario ripeterla ogni volta. La potenza minima

Mentre all’estero la cottura ad induzione esiste da oltre 20 anni, in Italia solo ultimamente si sta diffondendo come reale alternativa alla cottura a gas. Siemens e l’induzione hanno stretto un legame indissolubile e assieme rappresentano la vera innovazione in cucina. Ne è testimonianza il fatto che Siemens, per prima, è riuscita a rendere accessibile la cottura a induzione a tutti gli italiani grazie alla possibilità di limitare l’assorbimento elettrico del piano cottura, per cucinare partendo da solo 1 kW.

INDUZIONE OPPORTUNITÀ E FALSI MITI

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impostabile con powerManagement è 1 kW.

Cucinare a induzione costa di più rispetto all’utilizzo del gas?

No. I piani a induzione sfruttano al meglio la potenza dell’energia elettrica ottenendo il calore più velocemente rispetto ai piani a gas o elettrici. Cucinando a induzione si sfrutta il 90% dell’energia assorbita, mentre con un piano a gas se ne sfrutta solo il 55%. A parità di potenza, per cucinare con il gas si utilizzano oltre 2,2 kW, invece con l’induzione solo 1,2 kW. Dal punto di vista puramente economico possiamo affermare che, anche a fronte di un differente costo tra energia elettrica e gas, l’esperienza quotidiana delle migliaia di clienti che già stanno utilizzando l’induzione dimostra una sostanziale parità di

costo. Ciò con indiscutibili guadagni in termini di sicurezza e velocità.

Acquistando un piano a induzione devo cambiare tutte le pentole?

No. Per funzionare sul piano ad induzione SIEMENS, le pentole devono avere un fondo ferroso. Per questo l’80% delle pentole in acciaio, anche quelle anti-aderenti, e tutte le pentole e griglie in ghisa sono adatte. Molte pentole, sul fondo, riportano dei simboli che indicano su quali tipi di piani cottura possono essere utilizzate. Diversamente, è sufficiente prendere una normale calamita e provare ad appoggiarla sul fondo della pentola. Se aderisce, la pentola è adatta anche alla cottura a induzione.

Cosa succede se utilizzo una pentola non corretta sul piano a induzione?

Assolutamente nulla, non viene semplicemente emesso calore. L’indicatore di potenza sul piano continuerà a lampeggiare e dopo qualche secondo la zona cottura si spegnerà. Non vi saranno danni per la pentola e neppure per il piano.

Cucinare con il piano a induzione SIEMENS è semplice?

Sì. L’induzione concentra il calore solo sulla pentola e reagisce in modo preciso ed immediato ai comandi: trovata la corretta potenza, si ottiene sempre lo stesso risultato di cottura. Con il gas, invece, è necessario un costante controllo della fiamma, che non è mai uguale perché la sua intensità può variare in base alla miscela aria-metano, alla pressione atmosferica e alla posizione della manopola.

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Il piano è facile da pulire?

Sì. La superficie rimane sempre fredda ed in più è perfettamente liscia, cosa che agevola la pulizia del piano. Bastano una spugna umida e una goccia di detersivo per i piatti per far tornare il piano perfetto. Inoltre l’assenza di griglie e bruciatori rende la pulizia molto più veloce rispetto a quella di un normale piano a gas.

Sul piano a induzione SIEMENS sono disegnati dei cerchi. Devo utilizzare solo pentole con la dimensione indicata?

No. I piani SIEMENS hanno un sensore di riconoscimento della pentola: se la pentola è più piccola della zona di cottura si attiverà solo l’area sulla quale viene posizionata. Se invece la pentola è più grande della zona di cottura l’area indicata dal disegno sarà scaldata completamente ed in modo uniforme, mentre la zona eccedente

verrà scaldata per conduzione, come avviene sul piano a gas. Anche con il gas, infatti, la fiamma colpisce in prevalenza una zona della pentola, mentre la parte restante si scalda per semplice conduzione di calore.

Il piano a induzione è più sicuro di un piano a gas?

Sì. Il tema della sicurezza è una delle aree di maggior forza dei piani a induzione SIEMENS: rimangono freddi anche durante la cottura, tanto da poter appoggiare la mano vicino alla pentola senza correre alcun rischio. A differenza del piano a gas o di quello elettrico, che nel processo di cottura si scaldano, con l’induzione si scalda solo la pentola.

Se i bambini giocano in cucina possono accendere il piano? Possono scottarsi?No. Anche in caso di accensione accidentale, nel momento in cui

il rilevatore non percepisce la pentola sul piano, la cottura non viene attivata. Di conseguenza non viene prodotto calore e dopo alcuni secondi il piano si spegne da solo. Per una sicurezza ulteriore, tutti i piani ad induzione SIEMENS sono dotati di un dispositivo di sicurezza che permette di bloccare comunque l’accensione.

È possibile che posate o altri oggetti metallici lasciati sul piano a induzione possano scaldarsi?

No. Gli oggetti di piccole dimensioni lasciati sul piano a induzione non attivano il rilevatore di pentole e quindi l’emissione di calore. Il diametro minimo per l’attivazione della zona cottura è pari a 5 cm.

C’è il rischio di dimenticarsi il piano di cottura acceso?

No. Spostando la pentola dal piano a induzione, il rilevatore segnala lo spostamento ed il display inizia a lampeggiare, evidenziando la perdita del contatto. Dopo soli 30 secondi il piano si spegne automaticamente. In più, impostando il timer di cottura, al termine del tempo programmato il piano si spegne da solo, emettendo un segnale acustico.

Se non utilizzo più il gas per cucinare, posso chiudere il foro sul muro della cucina?

Sì. Se in cucina non vi sono altri

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apparecchi a gas, non solo è possibile ma è anche consigliato chiudere il foro di sicurezza presente sul muro. Il foro è infatti necessario per fornire aerazione al locale in caso di fughe di gas. Con l’induzione si elimina completamente il gas dalla cucina e, chiudendo il foro, si annulla anche una grande fonte di dispersione del calore nei periodi invernali.

L’induzione nuoce alla salute?

No. A garanzia possiamo portare l’esperienza pluriventennale di Siemens in questo settore. Alla base del funzionamento di ogni piano cottura a induzione c’è un processo fisico per la produzione di calore. Come tutti gli apparecchi elettrici che usiamo quotidianamente, anche il piano a induzione, quando

è in funzione, emette un campo elettromagnetico.Vediamone alcuni esempi:• un asciugacapelli = 20 μT*• un rasoio elettrico = 15 μT*• la terra nella sua rotazione = 4,5 μT*• il piano ad induzione SIEMENS = 0,07 μT*

*Si legge “microtesla” ed è l’unità di misura dei campi elettromagnetici.

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In un epoca che cambia continuamente i parametri per comprenderla, è naturale che Il Mobilificio Menegatti voglia andare oltre la tradizionale dinamica che prevede l’attesa passiva del cliente, e scelga di andare incontro alle domande ed alle richieste. Fedeli quindi all’insegnamento di un vecchio proverbio africano: “se vuoi andare veloce corri da solo, se vuoi andare lontano corri assieme a qualcuno”, abbiamo quindi cercato realtà con le quali “correre assieme”, condividendo la stessa passione per il

proprio lavoro e la stessa serietà con la quale ci proponiamo di farlo. Siamo felici quindi di poter ospitare nelle pagine del mome un servizio che racconti la storia ed il profilo di Donegà Costruzioni, un impresa edile, nata nel 1997 sull’esperienza decennale della precedente attività familiare, che mette passione e la qualità tra i parametri fondamentali della propria opera.Nel corso di questi anni l’azienda Donegà ha realizzato una rapida crescita, che ha consentito di aumentare le specializzazioni delle

categorie di lavoro originariamente acquisite, ottenendo l’Attestazione S.O.A. e vantando la CERTIFICAZIONE DEL SISTEMA DI GESTIONE PER LA QUALITA’ AZIENDALE UNI EN ISO 9001:2008. L‘esperienza acquisita ha consentito di selezionare, in maniera ottimale, fidati esperti collaboratori esterni (idraulici, elettricisti, decoratori, ponteggiatori, fabbri, serramentisti ecc. ecc.) per garantire un lavoro “chiavi in mano” di altissima qualità eseguito con competenza.

DONEGÀ COSTRUZIONI QUALITÀ ECOSOSTENIBILE

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Tutto ciò rende l’azienda competitiva, con basi adeguate per continuare la strada di un’affermazione professionale e qualitativa sempre più solida. Donegà Costruzioni è costantemente attenta alle novità che propone il mercato immobiliare e non dimenticando che il settore edilizio risulta essere il principale artefice di impatti sull’ambiente, la ditta ha deciso di spostare le proprie scelte costruttive verso strutture che seguano le normative per il Risparmio Energetico. Non perdendo di vista i bisogni e le necessità del cliente, costruisce quindi edifici eco compatibili, diminuendo i costi di gestione energetica e preservando l’ambiente.Abbiamo visto, in questa importante realtà Ferrarese, una mentalità che bene si sposa con la nostra, attenta a soddisfare i bisogni dei clienti senza però scendere facilmente a compromessi e cercando sempre di dare alla propria proposta anche un valore formativo e di divulgazione.

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Con questa sezione intendiamo creare un’occasione di riflessione per coloro che leggeranno queste poche righe (ma anche per noi) sulla possibilità di concepire nuovi spazi dell’abitare e sulla necessità di riappropriarci di quei modelli che la storia ci ha sempre offerto, ma che il costruire ‘di massa’ contemporaneo ha cancellato.

Oggi l’intento unico delle costruzioni sembra quello di raggiungere la miglior classe energetica (A, A+,

A+++ o quella che ci si inventerà tra non molto), di utilizzare i prodotti più innovati e con miglior prestazioni presenti sul mercato, non rinunciando alla maggior convenienza ma trascurando disegno e progetto. Il livello dell’abitare è talmente piatto che un qualsiasi generico committente si ritrova a vivere spazi talmente standardizzati che il cosmo casalingo si riduce ad un mero passaggio da una stanza all’altra, senza possibilità di godere di alcun luogo, né di alcun scorcio.

Stanze, semplici stanze a forma rettangolare di dimensioni adeguate a compensare le richieste e gli standard previsti dai regolamenti comunali e, in alcuni casi, addirittura mirabili configurazioni ‘creative’ che non danno al committente alcuna possibilità di arredamento, ma esaltano l’ego del progettista.Come architetti ci chiediamo se è davvero questo che vogliamo per i nostri committenti e per noi; se davvero costruire è far tornare semplicemente i conti, senza

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Case a corte proposta per abitazioni 01

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mettersi in discussione, senza cimentarsi in una ricerca progettuale e compositiva, senza appassionarsi e senza perseguire la soddisfazione dei propri committenti.Crediamo che ogni persona che abbia la possibilità di una propria abitazione (impresa ardua di questi tempi), abbia anche il diritto, concedeteci il termine, di gustarne e assaporarne gli ambienti nella loro pienezza, soffermarsi a scorgere un angolo insolito o una luce diversa, percepire che le proprie richieste si

sono finalmente materializzate. Forse un progetto è ben riuscito solo quando è possibile cogliere un’emozione sempre nuova pur vivendolo costantemente tutti i giorni.

Ora provate ad osservare le due foto: a sinistra un esempio di domus romana, dove gli ambienti e la vita familiare si scandivano attorno ad una corte centrale (atrium); a destra un concetto architettonico analogo realizzato ai nostri tempi. Entrambi gli esempi evidenziano la

ricerca dell’intimità e la necessità di appropriarsi dell’esterno come se fosse un luogo interno: il giardino diventa così parte integrante dell’abitazione e non un ritaglio che la circonda.Possibilità di cambiare ve ne sono tante ..... sta a noi coglierle.

STUDIO DI ARCHITETTURA [ in2 ] samantha patrocini samanthapatrocinilibero.it

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Milano 2011. L’appuntamento annuale, con il più importante evento di settore al mondo, non ha deluso le aspettative. Per una settimana Milano è stata la capitale mondiale del design offrendo ai suoi visitatori innumerevoli appuntamenti dove scoprire ogni giorno decine e decine di novità. Giorni fondamentali per capire le nuove tendenze dell’arredare e pianificare le nostre scelte per il futuro. Come di consueto, quando raccontiamo i nostri viaggi, lasciamo spazio ad un racconto per immagini dalle quali ognuno può ricevere gli stimoli che preferisce.

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QMNello scorso numero del mome abbiamo iniziato a raccontare il nostro percorso quotidiano per raggiungere una qualità sempre più elevata. In questa puntata ci occupiamo di tre aspetti: la prima elaborazione, il confronto e l’anteprima al cliente. Sono momenti diversi di un unico momento creativo fondamentale, quello che darà le basi, infatti, per il progetto definitivo e ne condizioneranno profondamente funzione ed estetica.

Prima Elaborazione Sulla base dei dati raccolti durante il sopralluogo, iniziano a formarsi le prime idee nella testa del progettista. Si alzano le pareti, si pensano i primi accostamenti, si fanno le prime ipotesi sui colori. È una fase fondamentale del processo creativo, in quanto è quella in cui si sceglie quale strada prendere e soprattutto quali abbandonare. Conseguentemente si materializzano i primi segni neri su foglio bianco. Matita in mano si disegnano le pareti, si costruisce una versione “grezza” dell’ambiente interessato dal progetto. I pensieri si formano velocemente nella testa del progettista e con essi

i primi schizzi che, a questo punto, matita in mano, cominciano a riempire un numero indefinito di fogli bianchi. Il tavolo di lavoro si riempie di campioni colore, di materiali, fotografie, cataloghi, tessuti e di ogni altro elemento in grado di definire il progetto. Si testano accostamenti di materiali, equilibri cromatici, funzionalità, resa estetica ed attraverso un paziente lavoro di selezione si giunge ad un’anteprima del progetto. Confronto Abbiamo elencato questo punto successivamente alla prima elaborazione soltanto per una questione di comodità. In realtà il confronto con i collaboratori viene svolto durante tutta la prima fase di creazione, in questo modo riceviamo un primo feedback sulle nostre idee e possiamo già predisporre le prime varianti. Il progetto d’arredo che stiamo elaborando, infatti, non deve corrispondere ai nostri gusti ma a quelli del cliente ed una condivisione delle proprie opinioni aiuta ad avere uno sguardo più oggettivo, in grado di intercettare più adeguatamente i desideri del cliente.

Presentazione cliente e definizione dettagli

Nei casi di progetti particolarmente elaborati, a questo punto viene coinvolto anche il cliente, è infatti importante, nei casi di molte variabili in gioco, ricevere un feedback sulle nostre scelte iniziali al fine di non pregiudicare i passi successivi che, in casi appunto complessi, sarebbe molto difficile sistemare se non al prezzo di ricominciare dai primi passi. La presentazione viene fatta mettendo sullo stesso piano estetica e funzionalità perché, come diceva William Morris, scrittore ed artista inglese di fine ‘800 considerato l’antesignano dei moderni designers: ”La regola aurea, valida per tutti: non avere nella tua casa nulla che tu non sappia utile, o che non creda bello.”

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divano e pouf “Print” designer Marcel Wanders

[Mobilificio Menegatti sncVia Po, 21 - 44030 Ro - Ferrarat. 0532.868150 - f. [email protected]]

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