16
Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________ 1 Misure di Induttanza Generalità Si definisce induttanza L (e nel Sistema Internazionale si misura in Henry [H]) il fattore di proporzionalità tra la corrente che attraversa un conduttore ed il flusso di induzione magnetica che si concatena con le sue spire: L i (1) Derivando rispetto al tempo l’espressione appena scritta, si trova: d Li d dt dt (2) In dipendenza delle caratteristiche costruttive dell’induttore, L può mantenersi costante o variare nel tempo. Nel primo caso, è lecito riscrivere la (2) portando L fuori dall’operatore di derivata. Facendo riferimento alla Figura 1, classifichiamo i parametri costruttivi da cui dipende L in: parametri geometrici (diametro, numero delle spire, lunghezza dell’avvolgimento, modo in cui il conduttore è avvolto) e parametri fisici (permeabilità magnetica che rappresenta, in generale, la permeabilità del mezzo in cui si chiudono le linee di flusso). I parametri geometrici si possono considerare indipendenti dal tempo (anche se si potrebbe obiettare che variando la temperatura il materiale subisce una dilatazione che modifica le dimensioni geometriche dell’induttore!). La permeabilità può dipendere, e anche in maniera significativa, dal tempo. Infatti, il parametro lega il campo magnetico H applicato ad un conduttore all’induzione magnetica B: B H (3) Sostanzialmente il campo H è legato alla corrente che circola nel conduttore, mentre B descrive l’effetto prodotto dai dipoli magnetici nell’orientarsi secondo le linee del campo magnetico applicato. La relazione (3) tra B ed H è lineare o non lineare a seconda che sia una costante o meno. Se ad esempio l’avvolgimento fosse realizzato nel vuoto le linee di campo si chiuderebbero nel vuoto e quindi sarebbe una costante, pari a (permeabilità magnetica del vuoto). In tal caso L sarebbe costante e sarebbe lecito, nella (2), portarla fuori dall’operatore di derivata. La stessa cosa accadrebbe se le linee di flusso invece di chiudersi nel vuoto si chiudessero in aria, poiché la permeabilità dell’aria differisce di poco da quella del vuoto. Se, invece, le linee di campo si chiudono in un materiale ferromagnetico la dipende non solo dal tipo di materiale ma anche dai processi di magnetizzazione che lo stesso ha subito in precedenza e quindi non rimane costante, ne consegue che la relazione BH non è lineare e che non è lecito, nella (2), portare L fuori dall’operatore di derivata. Dall’equazione (2), notando che, per la legge di Lenz, la derivata del flusso rispetto al tempo è pari alla forza elettromotrice indotta ai capi dell’induttore e, supponendo L costante: dt t di L dt d t v ) ( ) ( (4) Moltiplichiamo ambo i membri della (4) per i(t) e integriamoli nell’intervallo di tempo t 0 ÷t 1 . Posto i(t 0 )=i 0 e i(t 1 )=i 1 si ottiene: 1 1 1 0 0 0 22 10 () 1 ()() () ()() () 2 t t i t t i d it v iitd tL it d tL itd itL ii d t (5) Il primo membro esprime l’energia assorbita dall’induttanza in corrispondenza della variazione di corrente (i 1 -i 0 ). Come si vede dalla (5) tale energia dipende solo dai valori iniziale e finale della Figura 1

Misure di Capacità - docente.unicas.it · origine alla circolazione di una corrente parassita nel supporto e quindi a dissipazione per effetto Joule. ... In questo modello,

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Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________

1

Misure di Induttanza

Generalità

Si definisce induttanza L (e nel Sistema Internazionale si misura in Henry [H]) il fattore di

proporzionalità tra la corrente che attraversa un conduttore ed il flusso di induzione magnetica che

si concatena con le sue spire:

Li

(1)

Derivando rispetto al tempo l’espressione appena scritta, si trova:

d Lid

dt dt

(2)

In dipendenza delle caratteristiche costruttive dell’induttore, L può mantenersi costante o variare nel

tempo. Nel primo caso, è lecito riscrivere la (2) portando L fuori dall’operatore di derivata.

Facendo riferimento alla Figura 1, classifichiamo i parametri

costruttivi da cui dipende L in: parametri geometrici (diametro,

numero delle spire, lunghezza dell’avvolgimento, modo in cui il

conduttore è avvolto) e parametri fisici (permeabilità magnetica

che rappresenta, in generale, la permeabilità del mezzo in cui

si chiudono le linee di flusso). I parametri geometrici si possono

considerare indipendenti dal tempo (anche se si potrebbe

obiettare che variando la temperatura il materiale subisce una dilatazione che modifica le

dimensioni geometriche dell’induttore!). La permeabilità può dipendere, e anche in maniera

significativa, dal tempo. Infatti, il parametro lega il campo magnetico H applicato ad un

conduttore all’induzione magnetica B:

B H (3)

Sostanzialmente il campo H è legato alla corrente che circola nel conduttore, mentre B descrive

l’effetto prodotto dai dipoli magnetici nell’orientarsi secondo le linee del campo magnetico

applicato. La relazione (3) tra B ed H è lineare o non lineare a seconda che sia una costante o

meno. Se ad esempio l’avvolgimento fosse realizzato nel vuoto le linee di campo si chiuderebbero

nel vuoto e quindi sarebbe una costante, pari a (permeabilità magnetica del vuoto). In tal caso

L sarebbe costante e sarebbe lecito, nella (2), portarla fuori dall’operatore di derivata. La stessa cosa

accadrebbe se le linee di flusso invece di chiudersi nel vuoto si chiudessero in aria, poiché la

permeabilità dell’aria differisce di poco da quella del vuoto. Se, invece, le linee di campo si

chiudono in un materiale ferromagnetico la dipende non solo dal tipo di materiale ma anche dai

processi di magnetizzazione che lo stesso ha subito in precedenza e quindi non rimane costante, ne

consegue che la relazione B↔H non è lineare e che non è lecito, nella (2), portare L fuori

dall’operatore di derivata.

Dall’equazione (2), notando che, per la legge di Lenz, la derivata del flusso rispetto al tempo è pari

alla forza elettromotrice indotta ai capi dell’induttore e, supponendo L costante:

dt

tdiL

dt

dtv

)()(

(4)

Moltiplichiamo ambo i membri della (4) per i(t) e integriamoli nell’intervallo di tempo t0÷t1. Posto

i(t0)=i0 e i(t1)=i1 si ottiene:

1 1 1

0 0 0

22

10

() 1()() () ()()()

2

t t i

t t i

ditviitdtLit dtLitditLii

dt (5)

Il primo membro esprime l’energia assorbita dall’induttanza in corrispondenza della variazione di

corrente (i1-i0). Come si vede dalla (5) tale energia dipende solo dai valori iniziale e finale della

Figura 1

Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________

2

corrente e quindi che, con una variazione di corrente opposta, l’energia

assorbita per caricare l’induttore verrebbe restituita integralmente.

In regime sinusoidale, passando nel dominio dei fasori, l’equazione

caratteristica dell'induttore diventa:

1

VjLI I VjL

(6)

Quindi, nel piano fasoriale, come mostrato in Figura 2, la corrente che

attraversa un condensatore ideale e la caduta di tensione ai suoi capi si

trovano in quadratura. Il rapporto tra i fasori rappresentativi di tensione e

corrente è dato da j L . Alla quantità

XL=L (7)

viene dato il nome di reattanza induttiva, che dimensionalmente è espressa in []; la quantità

ZL=jL è l’impedenza induttiva, dove il fattore j che tiene conto del fatto che la corrente I è sfasata,

in ritardo, di 90° rispetto alla tensione V.

Induttore reale

Il modello di un induttore ideale è schematizzabile col solo parametro L e, per quanto dimostrato

nel parametro precedente, è un sistema conservativo. Un induttore reale, invece, non è

conservativo per la presenza di inevitabili effetti dissipativi.

1. Perdite nel rame: il filo conduttore con cui si realizza l’avvolgimento ha una certa

lunghezza, sezione e resistività non nulla; dunque la circolazione di corrente in esso

comporta perdite per effetto Joule;

2. Perdite per correnti parassite: il nucleo ferromagnetico è sottoposto ad un campo

magnetico variabile nel tempo prodotto dalla corrente che circola nell’induttore; ciò

significa che il flusso che attraversa il nucleo è anch'esso variabile nel tempo. Per la legge di

Lenz, quindi, il nucleo è sottoposto ad una forza elettromotrice indotta che, a sua volta, dà

origine alla circolazione di una corrente parassita nel supporto e quindi a dissipazione per

effetto Joule. Tali correnti sono anche note come correnti di Focault;

3. Perdite per isteresi magnetica: il processo di magnetizzazione e successiva

smagnetizzazione a cui è sottoposto il materiale ferromagnetico non avviene senza

dissipazione di energia; in particolare, viene spesa una energia che dipende dall’area del

ciclo di isteresi magnetica del materiale impiegato.

Per tener conto degli effetti dissipativi derivanti dalle perdite nel rame, dalle perdite per correnti

parassite e dalle perdite per isteresi magnetica presenti in un induttore reale, si aggiunge una

resistenza al suo modello equivalente.

Perdite nel rame

Sono tenute in conto tramite il parametro resistivo R=l/S con

resistività del conduttore che realizza l’avvolgimento, l la sua

lunghezza e S la sua sezione. Nel modello equivalente

dell’induttore tale parametro può essere schematizzato in serie o in

parallelo. Nel caso della schematizzazione serie (Figura 3), il

diagramma fasoriale si modifica come in Figura 4.

La tensione risultante V ai capi del condensatore non è più sfasata

di 90° rispetto alla tensione come accade in un modello ideale di

induttore, ma è sfasata di un angolo . Lo sfasamento si discosta

tanto più dai 90° quanto più è elevata la componente VRs; nelle

condizioni ideali Rs tende a zero, ovvero VRs tende a zero, in modo

che I e V siano in quadratura.

Figura 2

Figura 3

Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________

3

Si definisce il fattore di perdita il termine:

1

X

Rs ss

L

V Rtg IR

V LI L

(8)

Quanto più è piccolo questo termine tanto minori sono i parametri

parassiti dell'induttore.

Nella schematizzazione con resistenza in parallelo (Figura 5),

invece, è la corrente che si divide in due aliquote: IRp nella

resistenza e ILx nell'induttanza.

In questo modello, il fattore di perdita diventa:

X

Rp

L p p

I VL Ltg

I RVR

(9)

In questo modello, quanto minori sono le perdite dell'induttore,

tanto maggiore è il parametro Rp. In questo caso, il diagramma

fasoriale diventa quello mostrato in Figura 6. Ripetendo i passaggi

matematici effettuati nel caso del condensatore, si può notare che il

fattore di perdita, anche in questo caso, rappresenta il rapporto tra

la potenza attiva e quella reattiva assorbite dal bipolo.

Le due scelte sono perfettamente equivalenti ai fini del calcolo

della potenza dissipata, ma la scelta tra il modello serie e quello

parallelo è dettata da esigenze e convenienze specifiche. Se si

sceglie il modello serie per misurare la L è possibile applicare il

metodo volt-amperometrico in prima istanza in corrente continua,

in modo da poter considerare puramente ohmico il circuito e

misurare agevolmente la Rs, e, poi, in alternata, così da misurare la

L. Infatti dal diagramma fasoriale di Figura 4 appare evidente che

note la Rs e la V totale sulla serie, si ricava la VL, caduta di tensione

sull’induttanza del modello serie, e quindi il valore dell’induttanza.

La scelta del modello parallelo, sebbene equivalente da un punto di

vista teorico, risulta molto meno conveniente dal punto di vista

misuristico. Infatti, per rendere il circuito ohmico, in modo da misurare la Rp col metodo volt-

amperometrico, occorre alimentare a frequenze molto elevate in modo che tutta la corrente di

alimentazione fluisca in pratica nella resistenza (la reattanza induttiva aumenta proporzionalmente

alla frequenza). Ma lavorando a frequenze elevate nascono ulteriori termini parassiti che andrebbero

tenuti in conto.

Perdite nel ferro per correnti parassite

Sono importanti quando il materiale con cui è realizzato il supporto ha una buona conducibilità.

Tali perdite sono dovute alla forza elettromotrice indotta nel supporto ferromagnetico dal campo

magnetico variabile. Poiché il supporto ferromagnetico è un materiale conduttore, le f.e.m. indotte

producono delle correnti che circolano all'interno del supporto le quali, per effetto Joule, dissipano

potenza. Dato che la potenza dissipata dipende dal quadrato della corrente circolante nel supporto,

queste perdite sono linearmente proporzionali al quadrato della frequenza con cui varia il campo

magnetico (ovvero il quadrato della corrente circolante nell'induttore).

Per ridurre le correnti parassite nelle macchine elettriche, si adottano degli accorgimenti in fase

realizzativa utilizzando, piuttosto che un unico blocco ferromagnetico, tanti lamierini separati da

materiale isolante, in modo da aumentare la resistenza alla circolazione delle correnti parassite.

Figura 4

Figura 5

Figura 6

Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________

4

Perdite nel ferro per isteresi magnetica

Si supponga di applicare, ad un materiale smagnetizzato, un campo magnetico H, facendo circolare

una corrente nell'induttore. Il legame tra campo magnetico e induzione magnetica può essere

descritto dalla Figura 7.

Essendo il materiale smagnetizzato il punto di partenza è l’origine degli assi. Aumentando il campo

H, l’andamento dell’induzione B aumenta, ma non in maniera lineare.

La curva così tracciata è detta curva di prima magnetizzazione. La pendenza della curva

rappresenta la permeabilità in funzione di H. Incrementando H, l’induzione B aumenta finché tutti

i dipoli magnetici del materiale sono orientati secondo il campo magnetico. In questa condizione, il

materiale ferromagnetico ha raggiunto la saturazione. Continuando ad aumentare il campo H,

l'induzione aumenta con pendenza =0, come indica la curva in Figura 8.

Se, a questo punto, il campo H viene ridotto, si

nota che l'induzione non assume gli stessi

valori del tratto di salita; in particolare, come

mostrato in Figura 9, quando il campo H torna

a zero, l'induzione B ha un valore non nullo

detto di magnetizzazione residua Br. Per

portare l'induzione di nuovo a zero, deve

essere applicato un campo opposto -Hc detto

campo coercitivo. Riportando il campo al

valore massimo si delinea un percorso diverso

dal precedente, ottenendo, alla fine, il ciclo di

isteresi magnetica.

Conoscere il ciclo di isteresi permette di

conoscere la dissipazione di energia ogni volta

che lo si percorre. In dettaglio l’area racchiusa

dal ciclo di isteresi rappresenta l'energia

specifica per unità di volume dissipata nel

materiale per percorrere un ciclo.

Infatti, eseguendo un'analisi dimensionale del

prodotto tra B ed H:

A

BH Tm

(10)

Ricordando che l'induzione magnetica è legata al flusso delle linee di campo attraverso la sezione

del materiale ferromagnetico:

Figura 7

Figura 8

Figura 9

Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________

5

2

WbB T

S m

(11)

Poiché la derivata del flusso rappresenta la forza elettromotrice indotta, l'unità di misura del flusso,

il Weber, può essere espresso come un integrale di una f.e.m. Rispetto al tempo. La (11) diventa:

2

V sT

m

(12)

Sostituendo nella (10) si ha:

2 3 3

Vs Ws JABH

mm mm

(13)

Dunque, il prodotto tra B e H è, dimensionalmente una energia per unità di volume. Se il periodo di

percorrenza del ciclo è noto, cioè se si conosce la frequenza della corrente circolante nell'induttore,

si può risalire anche alla potenza dissipata.

All'aumentare della frequenza il ciclo di isteresi si “allarga”, ovvero aumenta la potenza dissipata

per unità di volume; in particolare, il legame tra potenza dissipata per isteresi magnetica e frequenza

è lineare. In realtà, nell'area racchiusa dal ciclo di isteresi c’è una seconda aliquota di potenza

dovuta alle correnti parassite per le quali, come detto, la dipendenza dalla frequenza è quadratica.

L’area del ciclo rappresenta quindi entrambi i contributi. Se, però, il ciclo lo si percorre molto

lentamente, cioè a basse frequenze, la potenza legata alle correnti parassite è trascurabile. In questa

ipotesi si arriva a quello che si chiama ciclo di isteresi statico.

Se si modella l’induttore su ferro come serie (o parallelo) di una resistenza e di una induttanza,

come nel caso dell’induttore in aria, la resistenza deve tener conto di tutti e tre gli effetti di

dissipazione descritti.

Separazione delle perdite Con un wattmetro è possibile misurare la totalità della potenza dissipata nel materiale

ferromagnetico, quella dovuta alle correnti parassite e quella all’isteresi. Qualora si voglia

conoscere singolarmente il contributo dei due effetti, è possibile impiegare un metodo di

separazione che si basa sulla dipendenza delle perdite dalla frequenza che è quadratica per le

correnti parassite e lineare per le perdite per isteresi. Pertanto, la potenza complessivamente

dissipata nel ferro si può scrivere come somma di due aliquote:

2()Pf af bf (14)

Dove la costante a dipende dalle perdite per isteresi e la costante b da quelle dovute alle correnti

parassite. Il rapporto tra potenza e frequenza è:

( )Pf

a bff (15)

L'equazione (15) mostra che il rapporto tra potenza

dissipata e frequenza ha andamento lineare rispetto

alla frequenza. Separare le perdite significa

individuare le costanti a e b.

Teoricamente basterebbe eseguire due misure a

frequenza diversa per trovare detti parametri. Per

ridurre l’incertezza di misura, si preferisce eseguire più

misure a frequenze diverse ottenendo i punti mostrati

in Figura 10. Poi si esegue l’interpolazione lineare dei

punti ottenuti, in modo da individuare la retta che

meglio approssima (in termini di scaro quadratico) la

relazione tra P/f ed f.

L’intercetta della retta trovata con l’asse delle ordinate Figura 10

Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________

6

rappresenta il parametro a (il termine relativo alle perdite per isteresi), il coefficiente angolare,

invece, è il termine relativo alle perdite per correnti parassite b. Si noti che il valore dell'intercetta si

ricava per estrapolazione poiché la misura di potenza è eseguita sempre a valori di frequenza

maggiori di zero.

Metodo voltamperometrico

Induttore avvolto in aria

Ricavando l’induttanza dall’espressione (6) si ha:

2

VL

fI (16)

la quale suggerisce che per, misurare il valore di induttanza, è sufficiente un voltmetro, un

amperometro ed eventualmente un frequenzimetro disposti come in Figura 11.

Se si vuole caratterizzare l’induttore reale comprensivo dell’effetto dissipativo dovuto alla

resistenza non nulla dell’avvolgimento, viene effettuata una prima misura in continua. In queste

condizioni la reattanza induttiva è nulla ed il rapporto tra la tensione e la corrente misurate fornisce

il valore della Rs. Successivamente si alimenta in alternata ad una determinata frequenza e si valuta

il rapporto tra le letture dei due strumenti. Questo rapporto restituisce il modulo dell’impedenza:

22 LRI

VZ S (17)

Da cui segue

2

2

2

S

VR

IL

f

(18)

È opportuno che l’intensità della corrente di alimentazione sia sufficientemente elevata da

consentire una buona lettura degli strumenti, ma non tanto da provocare un riscaldamento eccessivo

dell'induttore.

Induttore avvolto su nucleo ferromagnetico

Rispetto al caso precedente è necessario anche l’impiego di un wattmetro, in modo da stimare la

resistenza equivalente Req da inserire al posto di Rs che tenga conto anche delle perdite nel ferro. Il

circuito di misura è mostrato in Figura 12. Quando il wattmetro è utilizzato per una misura in

continua segna una potenza attiva dissipata pari a RSI2, dove RS è la resistenza ohmica

dell’induttore; quando il wattmetro è usato in alternata, la potenza misurata è più elevata a causa

delle perdite nel ferro, come se la resistenza associata all’induttore fosse aumentata passando dal

valore RS al valore REQ. Dalla stima della potenza dissipata in alternata si ricava la REQ (P=REQ·I2) e

si procede come nel caso precedente, per cui:

Figura 11

Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________

7

2

2

2

eq

VR

IL

f

(19)

Essendo il carico fortemente reattivo, sono indispensabili alcuni accorgimenti nell’impiego del

wattmetro. Innanzitutto bisogna inserire nel circuito un voltmetro ed un amperometro allo scopo di

verificare che tensione e corrente nel circuito non superino le portate voltmetrica ed amperometrica

dello strumento. Una volta verificato che tensione e corrente sono entro le portate del wattmetro, il

voltmetro sarà disconnesso e l’amperometro sarà cortocircuitato per eliminare il loro effetto di

carico. Poiché il fattore di potenza del circuito è basso, verrà impiegato un wattmetro a basso cos.

Misura della cifra di perdita di un provino ferromagnetico Come precedentemente affermato, un materiale ferromagnetico sottoposto ad un campo variabile

dissipa potenza. È importante, in fase di progettazione di una macchina elettrica, conoscere

preventivamente quelle che saranno le dissipazioni in tale materiale. Proprio per definire le

caratteristiche di assorbimento dei diversi materiali ferromagnetici, viene misurata la potenza

dissipata in precise condizioni di magnetizzazione. A tale scopo viene definita la cifra di perdita,

come: la potenza (attiva) dissipata per unità di massa, quando il materiale è sottoposto ad

un’induzione magnetica sinusoidale di ampiezza massima pari a 1 Tesla e frequenza di 50Hz.

Per la misura della cifra di perdita esistono due tecniche:

1. Metodo wattmetrico

2. Visualizzazione del ciclo di isteresi tramite oscilloscopio e misura dell’area visualizzata.

Metodo wattmetrico

Il circuito utilizzato è quello in Figura 13.

Figura 12

Figura 13

Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________

8

Si realizza un provino del materiale ferromagnetico da caratterizzare sul quale vengono disposti due

avvolgimenti, primario e secondario, rispettivamente di N1 ed N2 spire. Nel circuito di misura

vengono impiegati un amperometro, un voltmetro ed un wattmetro a basso cos. L'alimentazione

proviene da rete elettrica, in modo da assicurare che la misura venga eseguita a 50Hz verificando,

quindi, la prima condizione per la determinazione della cifra di perdita. Subito dopo è presente un

autotrasformatore a presa centrale variabile con il quale si può variare la tensione di alimentazione

tra 0 e 220V (tensione di rete). La variabilità della tensione di alimentazione è resa necessaria dal

fatto che, dalla definizione di cifra di perdita, è necessario avere una Bmax=1T, ottenibile proprio

variando opportunamente la tensione di alimentazione.

Per capire perché viene impiegato un autotrasformatore si deve analizzare il circuito primario.

Innanzitutto, bisogna considerare il circuito equivalente di un trasformatore, mostrato in Figura 14.

R1 ed R2 modellano le resistenze degli avvolgimenti, rispettivamente primario e secondario; L1 ed

L2, invece, rappresentano le induttanze di dispersione e tengono conto del flusso disperso, ovvero

delle linee di campo che non si concatenano con gli avvolgimenti, ma si richiudono in aria.

Se, allora, si applica una tensione v1 al primario, la forza elettromotrice indotta sull'avvolgimento

sarà:

1

1 1 11 1

die v Ri L

dt (20)

Sull'avvolgimento secondario si avrà la f.e.m. del primario ridotta del rapporto di trasformazione:

2

2 1

1

Ne e

N (20)

Tornando al circuito di misura, dalla seconda equazione di Kirchhoff alla maglia del primario si

ottiene che la tensione applicata al circuito v1 si ripartisce nelle seguenti aliquote:

11

1111 edt

diLiRv (21)

Dove:

V1 e la tensione di alimentazione (supposta sinusoidale a 50Hz);

R1 è la resistenza complessiva del circuito primario e rappresenta la resistenza complessiva

offerta da wattmetro, amperometro, avvolgimento e generatore di tensione;

L1 è detta induttanza di dispersione primaria e rappresenta le componenti induttive dovute

alle linee di flusso che si chiudono in aria anziché nel ferro. Poiché il flusso disperso per

definizione si chiude in aria, il legame tra B ed H è lineare. Si può ritenere L1 costante

rispetto al tempo e, pertanto, si può portare L1 fuori dal simbolo di derivata.

e1 rappresenta la forza elettromotrice indotta sul primario secondo la legge di Faraday:

1 1

de N

dt

(22)

con N1 il numero di spire nel circuito primario, e il flusso concatenato con una spira

primaria.

Figura 14

Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________

9

Se la sezione S del provino può ritenersi costante e coincidente con la sezione del tubo di flusso

(ipotesi accettabile perché la permeabilità del ferro è molto maggiore di quella dell’aria) la (22)

diventa:

dt

dBSN

dt

SBdN

dt

dNe 1111

)(

(23)

La definizione di cifra di perdita impone che l'induzione B sia sinusoidale. Quindi, se la forza

elettromotrice e1 è sinusoidale a maggior ragione lo sarà B che, come espresso dall’equazione (23),

risulta essere proporzionale all’integrale di e1. A questo punto è necessario precisare che il circuito

in esame non è lineare. Infatti, proprio perché si opera con un provino ferromagnetico, la relazione

tra il campo magnetico H e l’induzione B non è lineare poiché non è costante. Visto che il campo

H è proporzionale alla corrente che attraversa l'avvolgimento e l'induzione B è proporzionale

all’integrale della forza elettromotrice ai capi dell'avvolgimento, si capisce che in questo circuito la

relazione tra tensione e corrente non è lineare. Questo significa che se il circuito è alimentato da una

tensione sinusoidale, la corrente sarà distorta, ovvero presenterà delle armoniche a frequenza

multipla di 50Hz sovrapposte alla componente fondamentale a 50Hz. Un esempio di corrente

circolante nell'avvolgimento primario è mostrato in Figura 15:

Osservando l’equazione (21) si nota che se la tensione di alimentazione v1 è sinusoidale, i termini

R1i1 e L1di1/dt sono, invece distorti; ciò implica, naturalmente che anche e1 distorta. Pere avere una

forza elettromotrice e1 sinusoidale, sarebbe necessario annullare i termini di caduta R1i1 e L1di1/dt.

Poiché non è possibile azzerare completamente i suddetti termini, si prendono degli accorgimenti

nella realizzazione del circuito di misura mirati a minimizzali.

Un primo accorgimento riguarda l’impiego dell’autotrasformatore per variare la tensione applicata

al primario. Se, infatti, fosse stato utilizzato un potenziometro, allora, sarebbe aumentata la

resistenza del circuito primario. Se fosse stato utilizzato un trasformatore a rapporto di

trasformazione variabile, sarebbe aumentata l’impedenza complessiva del circuito avendo inserito

la resistenza e l’induttanza di dispersione dell’avvolgimento secondario del trasformatore.

L’autotrasformatore, invece, pur avendo il difetto di non garantire l’isolamento galvanico tra

primario e secondario, presenta un’induttanza di dispersione molto piccola poiché il secondario è

costituito da una parte del circuito primario. In Figura 16 è mostrato il circuito di un

autotrasformatore. Le N1 spire primarie sono percorse dalla corrente I1; muovendo il cursore, si

selezionano N2 spire che, in realtà sono una porzione delle N1 spire primarie, ottenendo, in uscita,

una tensione pari a V2=E2=E1N2/N1.

Figura 15

Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________

1

0

Un altro accorgimento adottato per ridurre la resistenza

primaria consiste nel cortocircuitare l'amperometro per

eliminare il contributo della sua resistenza interna;

l’amperometro viene inserito solo per verificare che la

corrente non superi la portata amperometrica del wattmetro,

per cui, in un secondo momento, può essere cortocircuitato.

Per ridurre l’induttanza di dispersione, il provino è realizzato

di forma toroidale. In tal modo si riducono i flussi dispersi.

Se, infatti, il provino fosse realizzato con lamierini di

materiale ferromagnetico di forma rettangolare uniti tra loro,

inevitabilmente si introdurrebbero dei traferri nel circuito

magnetico; ci sarebbero zone, allora, dove le linee di campo si

richiudono in aria.

Dalla definizione di cifra di perdita, la potenza deve essere

misurata dopo aver portato l’induzione massima al valore di 1T. Per capire quando è stato raggiunto

questo valore, si dovrebbe misurare la f.e.m. e1. In realtà, non è possibile misurare la f.e.m.

primaria, perché se si disponesse un voltmetro nel circuito primario, si misurerebbe la tensione

primaria v, comprensiva delle cadute dovute alla resistenza ed alla induttanza di dispersione

primarie. È questo il motivo per cui si realizza un avvolgimento secondario di N2 spire sul provino

(avvolgimento esploratore). Questo secondo avvolgimento viene chiuso sul voltmetro; se questo ha

una resistenza interna molto elevata, allora nel secondario circola una corrente molto più bassa

rispetto al primario. Per tale motivo, al secondario le cadute sono trascurabili ed il voltmetro misura

una tensione v2 che è approssimabile alla forza elettromotrice indotta e2. La relazione che lega la

f.e.m. al secondario con l’induzione si ricava dalla legge di Faraday:

2 2 2

d dBe N NS

dt dt

(24)

Riportando l’equazione (24) nel dominio dei fasori e considerando i moduli si ha:

max

2 2 2 2max2 4.442

BENSBfNS fNSB (25)

Dunque, sapendo che la frequenza è di 50Hz, conoscendo la sezione del provino e ponendo Bmax al

valore di 1T, si ottiene il valore efficace E2 della f.e.m. che si deve misurare al secondario per

garantire che l'induzione massima è di 1T. Quindi, si regola la tensione applicata al primario,

tramite l'autotrasformatore, finché sul voltmetro al secondario non si legge il valore:

2 2222E NS (26)

Per annullare la corrente circolante al secondario, dopo aver verificato che l'induzione massima è

pari a 1T, il voltmetro viene disinserito. Anche la voltmetrica del wattmetro è collegata al

secondario del circuito, perché se fosse collegata al primario, sarebbe misurata anche la potenza

dissipata per effetto Joule nel rame dell’avvolgimento primario. Il wattmetro, quindi, fornirà

l'indicazione:

21cosWP EI (27)

La potenza dissipata nel provino si ottiene scalando il valore di potenza indicato dal wattmetro del

rapporto di trasformazione:

1 1

11 21

2 2

cos cos W

N NPEI EI P

N N (28)

La cifra di perdita è ricavata dividendo la potenza così misurata per il peso del provino.

Visualizzazione del ciclo di isteresi tramite oscilloscopio

Questo metodo si basa sulla misura della cifra di perdita attraverso la stima dell’area racchiusa dal

ciclo di isteresi del provino dopo che questo è stato visualizzato su un oscilloscopio. In questo caso,

Figura 16

Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________

1

1

vengono adottati tutti gli accorgimenti visti nel metodo wattmetrico e, in più, si deve realizzare un

circuito che consenta di inviare all’oscilloscopio due segnali, rispettivamente proporzionali al

campo H ed all'induzione B. L’oscilloscopio, infatti, viene fatto funzionare con i due canali in

modalità XY, ossia l’andamento del segnale del canale verticale viene visualizzato in funzione del

segnale sul canale orizzontale. Se, quindi, vengono inviati all’oscilloscopio due segnali

proporzionali a B ed H, sullo schermo dell’oscilloscopio sarà visualizzato proprio il ciclo di isteresi

del provino. In realtà, per diminuire l’incertezza di misura, si visualizza solo metà ciclo (sfruttando

la sua simmetria) e si moltiplica per 2 l’area misurata, per amplificare quanto più possibile i segnali

inviati all’oscilloscopio. Il circuito utilizzato è mostrato in Figura 17.

Per ottenere un segnale in tensione proporzionale al campo H, viene disposto, al primario, un

resistore antinduttivo e viene prelevata la caduta di tensione ai suoi capi. Il valore della resistenza

RV deve essere abbastanza basso per non introdurre una caduta di tensione che abbia effetti

distorcenti sulla f.e.m. e1, e sufficientemente elevato da rendere apprezzabile il segnale in ingresso

all’oscilloscopio. La caduta di tensione ai capi di RV è proporzionale alla corrente primaria che

dipende dal campo magnetico H, secondo la legge di Ampere:

2

NiH

r (29)

dove N è il numero di spire dell’avvolgimento. L’equazione (29) indica che il campo magnetico

all’interno del provino varia spostandosi lungo il raggio; in particolare, la variazione del campo

rispetto ad r è iperbolica. Per fissare il valore di campo corrispondente alla corrente primaria, si

realizza il provino in modo che la differenza tra raggio esterno e raggio interno del toro sia molto

minore del raggio medio:

est int

est int2

r rr r

(30)

In questo caso, come possibile notare dall'andamento del

campo di Figura 18, si può ritenere con buona

approssimazione che il campo abbia andamento lineare

con il raggio; per cui è lecito ritenere che in tutta la

sezione del provino il campo assuma il valore medio Hm

corrispondente al valore del campo nel raggio medio del

provino:

11

2m m

m

NiHr Hr

r

(31)

Allora, la relazione tra la tensione inviata

all’oscilloscopio ed il campo magnetico sarà:

Figura 18

Figura 17

Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________

1

2

1

2

Rm

m v

NvHr

rR (32)

Al canale verticale, invece, si deve inviare un segnale proporzionale all’induzione sul provino per

poter visualizzare il ciclo di isteresi; per tale motivo va inserito un blocco integratore

opportunamente dimensionato. Infatti per la tensione al secondario vale la relazione:

2 2 2

d dBe N NS

dt dt

(33)

con S sezione del provino, che di fatto può approssimare la sezione del tubo descritto dalle linee di

flusso. Integrando ambo i membri su di un periodo del segnale di ingresso:

2

2

1

T

B edtNS

(34)

Quindi integrando la f.e.m. al secondario si ottiene un segnale proporzionale all’induzione che deve

essere portato in ingresso al canale verticale dell’oscilloscopio. Per tale motivo, al secondario si

pone un circuito integratore. Il blocco integratore è realizzato con un circuito RC proporzionato

opportunamente. Il proporzionamento si avvale di diverse condizioni da tenere in considerazione:

Il circuito deve operare da integratore alla frequenza operativa (50Hz);

Il blocco RC, per ottenere la f.e.m. e2 non deve caricare eccessivamente il secondario,

ovvero la corrente circolante al secondario deve continuare ad essere trascurabile;

L’oscilloscopio come carico non deve influenzare il funzionamento dell’integratore (se

l’oscilloscopio assorbisse corrente, R e C non potrebbero più considerarsi in serie).

Esaminando il circuito integratore RC, in Figura 19, la relazione tra ingresso ed uscita, nel dominio

dei fasori, è data da:

2 1 1

1

1

1 1

jCV V V

j RCR

jC

(35)

Ricordando che, nel dominio dei fasori, l’operazione di integrazione è equivalente ad una divisione

per j, il circuito RC è un integratore se, nell'equazione (35) RC>>1.

Ovvero, a 50Hz:

msRC 3502

11

(35)

Quindi, quanto maggiore è la costante di tempo del circuito, tanto più esso si comporta da

integratore. Un valore della costante di tempo RC di 1s in genere può ritenersi adeguata (>>3ms).

Per quanto riguarda il secondo punto, si richiede che il circuito RC non carichi il circuito

secondario. Dire questo significa che l’impedenza equivalente del secondario deve essere molto più

piccola di quella complessiva associata alla serie di R e C. Avendo assunto RC>>1 (e quindi

R>>1/C) possiamo ritenere che l’impedenza offerta dal circuito RC sia uguale ad R.

Figura 19

Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________

1

3

1

RCZ Rj C

(36)

Allora per aumentare ZRC bisogna scegliere un valore elevato di R; (ad esempio R=1M e, avendo

scelto RC=1s, risulterà di conseguenza C=1F).

Per la terza condizione si richiede che il carico offerto dall’oscilloscopio non alteri il corretto

funzionamento dell’integratore. La corrente assorbita dall’oscilloscopio deve quindi risultare

trascurabile rispetto a quella che circola nella capacità e quindi deve essere:

C

ZOSC

1 (37)

Considerando che l’impedenza di ingresso tipica di un oscilloscopio presenta una resistenza di

1M ed una capacità di 20pF, il valore scelto di 1F per C è più che sufficiente per soddisfare la

condizione (37).

A questo punto, per visualizzare correttamente il ciclo di isteresi sull’oscilloscopio, è necessario

tarare gli assi orizzontale e verticale. L’oscilloscopio, infatti, suddivide lo schermo in 10 quadretti

(divisioni) orizzontali ed 8 verticali. È necessario, allora, sapere, sull’asse orizzontale, ogni

divisione a che valore di campo corrisponde e, sull’asse verticale, ogni divisione a che valore di

induzione corrisponde.

Per trovare la scala dell’asse verticale, il ragionamento è semplice, poiché prima di effettuare la

visualizzazione con l’oscilloscopio, comunque è stato inserito un voltmetro al secondario per

verificare che l’induzione massima fosse di 1T. Quindi il fattore di scala SB, espresso in Tesla/div si

ricava semplicemente andando ad osservare che il valore picco-picco visualizzato sull’oscilloscopio

è pari a 2T; se le divisioni abbracciate dal segnale sono B, si ha:

2pp

B

B B

BS

(38)

Per quanto riguarda l’asse orizzontale, la situazione è più complessa; infatti, sebbene sia stata

eseguita una misura di corrente primaria con l’amperometro, questa non fornisce indicazioni sul

valore picco-picco del segnale inviato all’asse X dell’oscilloscopio. Questo perché l’amperometro

misura il valore efficace della corrente, ma, poiché la corrente primaria non è sinusoidale, il valore

picco-picco non può essere ricavato moltiplicando la lettura dell'amperometro per 2 2 . Quindi, per

tarare l’asse X, si linearizza il circuito sostituendo al provino toroidale un resistore, come mostrato

in Figura 20. Sull’oscilloscopio sarà visualizzato un segmento orizzontale visto che sull’asse Y non

si sta applicando alcun segnale. Si amplifica, poi, il segnale di corrente in maniera tale da estendere

questo segmento sulle 10 divisioni e, in corrispondenza di tale condizione, si legge l'indicazione

dell'amperometro.

In questo caso la corrente è sinusoidale e ci si può avvalere della

lettura dell’amperometro per individuare il valore picco-picco

della corrente che si sta visualizzando sull'oscilloscopio. In

particolare, se I è la lettura dell’amperometro, il valore picco-picco

di corrente sarà:

2 2ppI I (39)

Guardando sull'oscilloscopio il numero di divisioni I ricoperte dal

segnale di corrente si ricava il fattore di scala SI:

22pp

I

I I

I IS (40)

Una volta impostata, la scala dello strumento non varia con la forma d’onda né con l’ampiezza del

segnale in ingresso, per cui la scala rimane inalterata quando si dispone nuovamente il provino nel

circuito.

R_var

canale

orizzontale

R

i

Figura 20

Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________

1

4

Nota la scala di corrente, moltiplicando per il numero di spire primarie e dividendo per la

circonferenza media del toro si può ricavare il fattore di scala del campo:

1

2H I

m

NS S

r (41)

dove SH è misurata in /Asp

divm

.

Effettuata la taratura dei due assi basta determinare l’area del ciclo con un procedimento qualunque,

e moltiplicare per i fattori di scala trovati, per risalire all’energia dissipata nel singolo ciclo per unità

di volume. Da questa energia si deve ricavare la cifra di perdita. A tale scopo si moltiplica l'energia

misurata per la frequenza alla quale è stata condotta la misura, ottenendo, così, la potenza dissipata

per unità di volume. Ricordando che la densità di massa è definita come il rapporto tra la massa

ed il volume di un materiale, la potenza dissipata per unità di volume, divisa per la densità specifica,

restituisce la cifra di perdita. Cioè, dimensionalmente:

3 3

3 3

3

3

_

_

11_

J W sArea ciclo

m m

W s WArea ciclo f Hz

m m

W WArea ciclo f

kg kgm

m

(42)

Per quanto riguarda il calcolo dell'area racchiusa dal ciclo, nei vecchi oscilloscopi analogici l’area

era misurata facendo una foto allo schermo dell'oscilloscopio e, poi, sovrapponendo della carta

millimetrata sulla foto. Attualmente la misura dell’area viene eseguita attraverso degli oscilloscopi

numerici. Questi presentano il vantaggio di memorizzare i campioni dei segnali sui due canali e di

restituirli attraverso un protocollo di comunicazione. L'operatore, avendo a disposizione i campioni

dei segnali di corrente primaria e f.e.m. secondaria, può, con elaborazione numerica, eseguire

l’integrazione numerica della f.e.m. secondaria e calcolare l’area del ciclo. Quindi, si può anche

evitare di caricare il circuito secondario con l’integratore, poiché l’integrazione si può eseguire per

via numerica.

Con l'oscilloscopio numerico, dunque, si ottengono due tabelle contenenti i campioni di tensione e

di corrente rispetto al tempo e da questi si può passare ai valori di campo e induzione. Il passaggio

da corrente a campo risulta molto semplice in quanto si ha una costante di proporzionalità, quindi

bisogna moltiplicare tutti i valori per questa costante.

In particolare:

1

12

m

m

NH i

r (43)

Per quanto riguarda il passaggio da f.e.m. al secondario a induzione, il discorso è un po’ diverso in

quanto la relazione che li lega, a meno di una costante, è un’integrazione:

2

2

1B edt

NS (44)

Questa integrazione deve essere fatta a partire dai valori dei campioni, quindi e1, e2, …,eN.

L'integrale indefinito (44) può essere approssimato, nel discreto, mediante una sommatoria:

12

1cost

i

i kc

k

B eTNS (44)

Dove Tc è il periodo di campionamento. Questo significa che si sta operando la somma dell’area dei

rettangoli di altezza pari a ek e larghezza Tc (integrale di Eulero), come mostrato in Figura 21.

Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________

1

5

Si ha un problema sulla costante da inserire nella (44). Essendo il segnale e sinusoidale, anche B lo

sarà, pertanto avrà valor medio nullo. Quindi se l’integrazione viene eseguita su un numero di

campioni che racchiude un multiplo intero del periodo della sinusoide, non tenendo conto della

costante iniziale, si avrà un integrale in generale a valor medio non nullo

Allora, si può definire la costante di integrazione da sommare, in modo da annullare il valore medio

dell'induzione in un numero intero di periodi. Il periodo è noto perché il segnale è a 50Hz, quindi

T=20ms. Tc è noto, per cui si può calcolare il rapporto T/Tc in modo da ottenere il numero di

campioni che comprendono un periodo di e e, quindi di B.

Ora per stimare l’area del ciclo basterà eseguire un integrale di B, anziché nel tempo, rispetto al

campo H. Stavolta anziché avere il tempo di campionamento Tc per cui moltiplicare ogni campione

si ha una quantità H=Hi+1-Hi.

Per ridurre l'incertezza, infine, il computo di quest’integrale può essere eseguito tramite il metodo

dei trapezi, linearizzando, in ogni tratto Hi+1-Hi la curva in esame.

Figura 21

Figura 22

Capitolo 4 – Misure di Induttanza____________________________________________________

1

6

Figura 23