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L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, giovedì 27 settembre 2018 anno LXXI, numero 39 (3.962) Messaggio ai cattolici cinesi

Messaggio ai cattolici cinesi · conto in caratteri cinesi e siriaci dell’arrivo, gi ... Pio XI a Roma i primi vescovi cinesi, mentre vent’anni più tardi è il suo successore

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L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 27 settembre 2018anno LXXI, numero 39 (3.962)

Messaggioai cattolici cinesi

L’Osservatore Romanogiovedì 27 settembre 2018il Settimanale

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L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

Città del Vaticanoo r n e t @ o s s ro m .v a

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GI O VA N N I MARIA VIAND irettore

GIANLUCA BICCINICo ordinatore

PIERO DI DOMENICANTONIOProgetto grafico

Redazionevia del Pellegrino, 00120 Città del Vaticano

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ÈUna datanella storia

certo destinata a entrare nella storia la data del22 settembre: per la firma, a Pechino, di unaccordo provvisorio sulla nomina dei vescovitra Cina e Santa Sede preparato da decenni dilunghe e pazienti trattative, mentre il Papa ini-zia la sua visita nei paesi baltici. Bergoglio èinfatti arrivato in Lituania proprio nelle stesseore in cui, a migliaia di chilometri di distanza,i suoi rappresentanti hanno raggiunto una tap-pa certo non conclusiva ma che già ora apparedi grande importanza per la vita dei cattolicinel grande paese asiatico.

L’intesa era annunciata e, anche se prevedi-bilmente non cesseranno interpretazioni con-trastanti e opposizioni, la notizia è molto posi-tiva e subito ha fatto il giro del mondo. IlPontefice riconosce inoltre la piena comunioneagli ultimi vescovi cinesi ordinati senza il man-dato pontificio, con l’intento evidente di assi-curare uno svolgimento normale della vitaquotidiana di molte comunità cattoliche. Co-me conferma il provvedimento simultaneo checostituisce a nord della capitale una nuovadiocesi, la prima dopo oltre settant’anni.

Si tratta dunque di una tappa davvero im-portante nella storia del cristianesimo in Cina,dove le prime tracce del Vangelo sono anti-chissime, attestate da una stele eretta nel 781 aXi’an, nel cuore dell’enorme paese. Sul grandemonumento, alto quasi tre metri e scopertoagli inizi del Seicento, si legge infatti il rac-conto in caratteri cinesi e siriaci dell’arrivo, giànel 635, sulla cosiddetta via della seta, di mis-sionari cristiani giunti probabilmente dalla

Persia. E i loro nomi sono incisi sulla rocciacalcarea, insieme all’annuncio della “re l i g i o n edella luce”, con una sintesi delle vicende diquesta minuscola comunità corredata da altredecine di nomi, e con un’esposizione delladottrina cristiana poi affidata a centinaia di li-bri tradotti e diffusi nei secoli seguenti.

La storia di questa straordinaria tradizionesi prolunga poi, oscillando tra fioriture inatte-se e persecuzioni, sino a incrociarsi con le mis-sioni, soprattutto francescane, inviate da pon-tefici e da sovrani cristiani europei, a partiredalla seconda metà del Duecento, per circa unsecolo. Agli inizi dell’età moderna è il nuovoordine dei gesuiti, punta di diamante della Ri-forma cattolica, a divenire protagonista dellemissioni in Cina, da Francesco Saverio a Mat-teo Ricci, per ricordare soltanto i nomi più no-ti di una serie che ha pochi paragoni nella sto-ria della diffusione del Vangelo.

Intromissioni politiche, irrigidimenti dottri-nali, invidie e contrasti tra ordini religiosicomplicano però notevolmente l’opera deimissionari. Questa viene ostacolata dalla disa-strosa controversia sui riti cinesi trascinatasi finverso la metà del Settecento, un secolo piùtardi dai condizionamenti imposti dalle poten-ze coloniali, e infine da ripetute persecuzioni,anche nel corso del Novecento.

Solo nel 1926 vengono ordinati dallo stessoPio XI a Roma i primi vescovi cinesi, mentrevent’anni più tardi è il suo successore a stabili-re la gerarchia cattolica nel paese. Questi «duefatti della storia religiosa della Cina», definiti«simbolici e decisivi», vengono ricordati il 6gennaio 1967 nell’omelia per l’Epifania, appas-sionato elogio del paese, da Paolo VI, che po-co più di un anno prima nel discorso alle Na-zioni Unite aveva chiesto l’ammissione dellaCina comunista nell’organizzazione. Ed è pro-prio Montini ad arrivare «per la prima voltanella storia», durante le ore trascorse a HongKong (allora sotto il controllo britannico), interritorio cinese. «Per dire una sola parola:amore» esclama il Papa. E aggiunge, vedendolontano: «La Chiesa non può tacere questabuona parola; amore, che resterà».

g. m .v.

Matteo Ricci (a sinistra)in una illustrazione del 1670

#editoriale

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di LUCIANOVIOLANTE

«Ci sbagliamo su quasi tutto». La lapidaria af-

fermazione è di Bobby Duffy, direttore dellasezione inglese di Ipsos, uno dei più stimatiistituti di ricerca, che ha sintetizzato in questomodo il lavoro svolto negli ultimi cinque anniin tredici paesi con il fine di verificare la di-stanza tra la realtà e la sua percezione. Secon-do questa ricerca, i due paesi che hanno lapercezione più distorta della realtà sono l’Ita-lia e gli Stati Uniti. Seguono in questa singo-lare classifica la Francia, l’Australia e il Belgio.Agli ultimi posti, perché hanno una visionemeno alterata della realtà, la Corea del Sud, laGermania e la Svezia.

Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Ita-lia, sottolinea come la cattiva posizionedell’Italia deriverebbe principalmente dal bas-so tasso di istruzione, che si può quantificarein poco più del 16 per cento di laureati sullaintera forza lavoro. Pagnoncelli ha inoltre rile-vato che la collocazione dell’Italia e degli StatiUniti al vertice di questa graduatoria dipende-rebbe dalle trasformazioni che in entrambi ipaesi stanno caratterizzando i rapporti tral’elettorato e la classe politica, con la tendenzadi quest’ultima ad alimentare le preoccupazio-ni dei cittadini, anche quando queste sono in-fondate.

Occuparsi di questo problema non è dun-que frutto di semplice curiosità. Ciascuno dinoi effettua le sue scelte, private o politiche,sulla base di quello che conosce della realtàche lo circonda. Ma se la percezione dellarealtà è sbagliata, lo saranno di conseguenzaanche le scelte che da quella percezione scatu-riscono. Di qui la necessità di riflettere sullecause di questo divario.

Alla base ci sono due fenomeni che si in-trecciano tra loro. Il primo fenomeno è che lapolitica ha rinunciato alla funzione di orienta-mento e guida della società e, come ha osser-vato lo stesso Pagnoncelli, spesso preferisce in-seguire le paure e le aspirazioni dei cittadiniprescindendo dalla verità. L’altro fenomeno èche nei cosiddetti social media non si cerca laverità, ma piuttosto la conferma dei propriorientamenti. Si tende perciò a trascurare le

informazioni che non corrispondono a quantogià si ritiene, mentre al contrario si è inclini aenfatizzare le notizie che confermano quelloche pensiamo. Così, per esempio, in politicatendiamo a seguire chi conferma i nostri timo-ri prescindendo dalla loro fondatezza.

Siamo su uno scivolo inarrestabile? Forse sipuò ancora porre un rimedio a questa situa-zione, pur senza nutrire l’ambizione, difficil-mente realizzabile, di correggere ogni perce-zione distorta. E il rimedio consiste nella ne-cessità di riabilitare il pensiero critico comepresupposto di una reale capacità di scelta.

Il pensiero critico si fonda infatti sulla rac-colta di più informazioni relative allo stessooggetto, sull’abbandono dei pregiudizi, sulladisponibilità a mutare opinione. Ma si fondasoprattutto sulla necessità di conoscere per de-c i d e re .

Per questa ragione dieci centri di ricerca indiverse città italiane da Treviso a Lamezia, e didiverso orientamento culturale, hanno decisodi dar vita ad altrettante scuole di formazionepolitica che hanno al centro proprio una cor-retta informazione sulle principali questionidella nostra epoca, dall’Europa all’intelligenzaartificiale. Il presupposto è dotarsi di un meto-do per conoscere, che aiuti a privilegiare la co-noscenza della realtà rispetto alla sua percezio-ne. Bisogna sperare che questa iniziativa abbiasuccesso, perché davvero potrebbe essere il se-me di una nuova pianta.

Ci sbagliamosu quasi tutto

Scott Denholm, «Abbandonarela realtà»

#ilpunto

Italiae Stati Unitial primo postosulla percezionedistortadella realtà

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Nei giorni scorsi ho compiuto un viaggio apo-stolico in Lituania, Lettonia ed Estonia, in oc-casione del centenario dell’indipendenza diquesti Paesi detti Baltici. Cento anni che essihanno vissuto per metà sotto il giogo delle oc-cupazioni, quella nazista, prima, e quella so-vietica, poi. Sono popoli che hanno molto sof-ferto, e per questo il Signore li ha guardaticon predilezione. Sono sicuro di questo. Rin-grazio i Presidenti delle tre Repubbliche e leAutorità civili per la squisita accoglienza cheho ricevuto. Ringrazio i Vescovi e tutti coloroche hanno collaborato a preparare e realizzarequesto evento ecclesiale.

La mia visita è avvenuta in un contesto assaimutato rispetto a quello che incontrò S. Gio-vanni Paolo II; perciò la mia missione era an-nunciare nuovamente a quei popoli la gioia delVa n g e l o e la rivoluzione della tenerezza, della mi-s e r i c o rd i a , perché la libertà non basta a daresenso e pienezza alla vita senza l’amore, amoreche viene da Dio. Il Vangelo, che nel tempodella prova dà forza e anima la lotta per la li-berazione, nel tempo della libertà è luce per ilquotidiano cammino delle persone, delle fami-glie, delle società ed è sale che dà sapore allavita ordinaria e la preserva dalla corruzionedella mediocrità e degli egoismi.

In Lituania i cattolici sono la maggioranza,mentre in Lettonia e in Estonia prevalgono iluterani e gli ortodossi, ma molti si sono allon-tanati dalla vita religiosa. Dunque la sfida èquella di rafforzare la comunione tra tutti i cri-stiani, già sviluppatasi durante il duro periododella persecuzione. In effetti, la dimensione ecu-menica era intrinseca a questo viaggio, e hatrovato espressione nel momento di preghieranella Cattedrale di Riga e nell’incontro con igiovani a Tallinn.

Nel rivolgermi alle rispettive Autorità dei trePaesi, ho messo l’accento sul contributo cheessi danno alla comunità delle Nazioni e spe-cialmente all’Europa: contributo di valoriumani e sociali passati attraverso il crogiolodella prova. Ho incoraggiato il dialogo tra lagenerazione degli anziani e quella dei giovani,perché il contatto con le “radici” possa conti-nuare a fecondare il presente e il futuro. Hoesortato a coniugare sempre la libertà con lasolidarietà e l’accoglienza, secondo la tradizio-ne di quelle terre.

Ai giovani e agli anziani erano dedicati dueincontri specifici: con i giovani a Vilnius, congli anziani a Riga. Nella piazza di Vilnius,piena di ragazzi e ragazze, era palpabile il

motto della visita in Lituania: «Gesù Cristo no-stra speranza». Le testimonianze hanno manife-stato la bellezza della preghiera e del canto,dove l’anima si apre a Dio; la gioia di serviregli altri, uscendo dai recinti dell’“io” per esserein cammino, capaci di rialzarsi dopo le cadute.Con gli anziani, in Lettonia, ho sottolineato lostretto legame tra pazienza e s p e ra n z a . Coloroche sono passati attraverso dure prove sono ra-dici di un popolo, da custodire con la graziadi Dio, perché i nuovi germogli possano attin-gervi e fiorire e portare frutto. La sfida per chiinvecchia è non indurirsi dentro, ma rimanereaperto e tenero di mente e di cuore; e questo èpossibile con la “linfa” dello Spirito Santo,nella preghiera e nell’ascolto della Parola.

Anche con i sacerdoti, i consacrati e i semina-risti, incontrati in Lituania, è apparsa essenzia-le, per la speranza, la dimensione della costan-za: essere centrati in Dio, fermamente radicatinel suo amore. Che grande testimonianza inquesto hanno dato e danno ancora tanti preti,religiosi e religiose anziani! Hanno sofferto ca-lunnie, prigioni, deportazioni..., ma sono rima-sti saldi nella fede. Ho esortato a non dimenti-c a re , a custodire la memoria dei martiri, per se-guire i loro esempi. E a proposito di memoria,

a Vilnius ho reso omaggio alle vittime del ge-nocidio ebraico in Lituania, esattamente a 75anni dalla chiusura del grande Ghetto, che fuanticamera della morte per decine di migliaiadi ebrei. Nello stesso tempo ho visitato il Mu-seo delle Occupazioni e delle Lotte per la Libertà:ho sostato in preghiera proprio nelle stanzedove venivano detenuti, torturati e uccisi gli

La libertàha bisognodell’a m o re

Nella catechesiil Pontefice parla

del viaggionelle Repubbliche

baltiche

#catechesi

Preghiamo perché nel mondoprevalgano i programmi

per lo sviluppo e non quelliper gli armamenti

(@Pontifex_it)

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Rappresentanti di cinquanta conferenze episcopali«metteranno insieme “le buone pratiche” sullaformazione dei laici per rilanciarne la missione nellaChiesa e nella società» e mercoledì mattina, 26settembre, sono venuti all’udienza generale inpiazza San Pietro a presentare a Papa Francesco illoro ordine del giorno prima di iniziare aconfrontarsi. Promozione e formazione dei fedelilaici: buone pratiche è infatti il tema dell’i n c o n t rointernazionale promosso dal Dicastero per i laici, lafamiglia e la vita. Sarà una due giorni intensa,focalizzata sul servizio concreto nelle parrocchie.«L’incontro — spiega Santiago Pérez de Camino,officiale del Dicastero — nasce a partire dallerisposte alla lettera inviata a tutte le Conferenzeepiscopali nel 2017 per conoscere le iniziative localiper valorizzare il ruolo e la vocazione dei fedeli laicinella Chiesa e nella società». Si tratta ora di«individuare insieme le migliori iniziative performare i fedeli laici, in modo che esprimano inpienezza la loro vocazione e missione battesimalesecondo la diversità di culture e le tradizioni di ognipaese». Inoltre, anche con il confronto diretto con ilcardinale presidente Kevin Farrell, la due giorniromana «sarà utile per approfondire le modalità diaiuto, sostegno e incoraggiamento che il Dicasteropotrà offrire a diocesi e Conferenze episcopali chenon abbiano ancora sviluppato iniziative diformazione, oltre a quella legata alla preparazionesacramentale».

Buone pratiche per i laici

oppositori del regime. Ne uccidevano più omeno quaranta per notte. È commovente ve-dere fino a che punto può arrivare la crudeltàumana. Pensiamo a questo. Passano gli anni,passano i regimi, ma sopra la Porta dell’A u ro -ra di Vilnius, Maria, Madre della Misericordia,continua a vegliare sul suo popolo, come se-gno di sicura speranza e di consolazione (cfrConc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gen-tium, 68).

Segno vivo del Vangelo è sempre la caritàconcreta. Anche dove più forte è la secolariz-zazione, Dio parla col linguaggio dell’a m o re ,della cura, del servizio gratuito a chi è nel bi-

sogno. E allora i cuori si aprono, e succedonomiracoli: nei deserti germoglia vita nuova.

Nelle tre celebrazioni Eucaristiche — a Kau-nas, Lituania, ad Aglona, Lettonia, e a Tallinn,Estonia — il santo Popolo fedele di Dio incammino in quelle terre ha rinnovato il suo“sì” a Cristo nostra speranza; lo ha rinnovatocon Maria, che sempre si mostra Madre deisuoi figli, specialmente dei più sofferenti; lo harinnovato come popolo scelto, sacerdotale esanto, nel cui cuore Dio risveglia la grazia delBattesimo.

Preghiamo per i nostri fratelli e sorelle dellaLituania, della Lettonia e dell’Estonia. Grazie!

Durante l’udienza, Francesco ha salutato ipartecipanti alle iniziative svolte a Roma dallafondazione vaticana Ratzinger Benedetto XVI, incollaborazione con l’Università Francisco de Vitoriadi Madrid, in occasione della seconda edizione delpremio Razon abierta.I contenuti dell’indagine Dio a modo mio «sullareligiosità dei giovani», condotta dall’IstitutoToniolo di studi superiori, sono stati presentatistamani al Pontefice «nella prospettiva del prossimosinodo dei vescovi», dedicato proprio alle nuovegenerazioni. Il futuro della fede. Nell’educazione dei giovanila Chiesa di domani è il titolo del volume a cura diPaola Bignardi e Rita Bichi.Un incoraggiamento particolare il Papa lo ha poirivolto alla gente di Robbio, cittadina del pavese, alconfine tra Piemonte e Lombardia, considerata «lacapitale italiana del volontariato»: sono infatti 1500le persone impegnate in iniziative solidali, pari alventi per cento dell’intera popolazione. «Un datoche non ha pari, quantomeno in Italia» fannopresente i robbiesi, venuti in gran numero, con ilsindaco Roberto Francese, a testimoniare la vitalitàdel loro paese. Da Alessandria, invece, è arrivatauna staffetta di podisti che, correndo giorno e notte,sono giunti a Roma per ricordare gli 850 anni dellaloro città, fondata da Papa Alessandro III.Oltretutto, hanno confidato a Francesco, «il borgomedievale più antico della futura Alessandria sichiamava proprio “B e rg o g l i o ”».

#catechesi

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Carissimi fratelli nell’episcopato, sacerdoti, per-sone consacrate e fedeli tutti della Chiesa cat-tolica in Cina... in questo momento riecheg-giano nel mio animo le parole con cui il miovenerato Predecessore, nella Lettera del 27maggio 2007, vi esortava: «Chiesa cattolica inCina, piccolo gregge presente e operante nellavastità di un immenso popolo che camminanella storia, come risuonano incoraggianti eprovocanti per te le parole di Gesù: “Non te-mere, piccolo gregge, perché al Padre vostro èpiaciuto di darvi il suo regno” […]» (Benedet-to XVI, Lettera ai Cattolici cinesi, 27-5-2007, 5).

Negli ultimi tempi, sono circolate tante vocicontrastanti sul presente e, soprattutto, sull’av-venire delle comunità cattoliche in Cina. Sonoconsapevole che un tale turbinio di opinioni edi considerazioni possa aver creato non pocaconfusione, suscitando in molti cuori senti-menti opposti. Per alcuni, sorgono dubbi eperplessità; altri hanno la sensazione di esserestati come abbandonati dalla Santa Sede e, nelcontempo, si pongono la struggente domandasul valore delle sofferenze affrontate per viverenella fedeltà al Successore di Pietro. In moltialtri, invece, prevalgono positive attese e rifles-sioni animate dalla speranza di un avvenirepiù sereno per una feconda testimonianza del-la fede in terra cinese.

Tale situazione si è venuta accentuando so-prattutto in riferimento all’Accordo Provviso-rio fra la Santa Sede e la Repubblica PopolareCinese che, come sapete, è stato firmato neigiorni scorsi a Pechino. In un frangente tantosignificativo per la vita della Chiesa, tramitequesto breve Messaggio, desidero, innanzitut-to, assicurarvi che siete quotidianamente pre-senti nella mia preghiera e condividere con voii sentimenti che abitano il mio cuore.

Sono sentimenti di ringraziamento al Signo-re e di sincera ammirazione — che è l’ammira-zione dell’intera Chiesa cattolica — per il donodella vostra fedeltà, della costanza nella prova,della radicata fiducia nella Provvidenza diDio, anche quando certi avvenimenti si sonodimostrati particolarmente avversi e difficili.

Tali esperienze dolorose appartengono al te-soro spirituale della Chiesa in Cina e di tuttoil Popolo di Dio pellegrinante sulla terra. Viassicuro che il Signore, proprio attraverso ilcrogiuolo delle prove, non manca mai di col-marci delle sue consolazioni e di prepararci auna gioia più grande...

Da parte mia, ho sempre guardato alla Cinacome a una terra ricca di grandi opportunità eal Popolo cinese come artefice e custode di uninestimabile patrimonio di cultura e di saggez-za, che si è raffinato resistendo alle avversità eintegrando le diversità, e che, non a caso, fin

dai tempi antichi è entrato in contatto con ilmessaggio cristiano... È anche mia convinzio-ne che l’incontro possa essere autentico e fe-condo solo se avviene attraverso la pratica deldialogo, che significa conoscersi, rispettarsi e“camminare insieme” per costruire un futurocomune di più alta armonia. In questo solco sicolloca l’Accordo Provvisorio, che è frutto dellungo e complesso dialogo istituzionale dellaSanta Sede con le Autorità governative cinesi,inaugurato già da San Giovanni Paolo II eproseguito da Papa Benedetto XVI. Attraversotale percorso, la Santa Sede altro non aveva —e non ha — in animo se non di realizzare le fi-nalità spirituali e pastorali proprie della Chie-sa, e cioè sostenere e promuovere l’annunciodel Vangelo, e raggiungere e conservare la pie-na e visibile unità della Comunità cattolica inCina...

Proprio al fine di sostenere e promuoverel’annuncio del Vangelo in Cina e di ricostituirela piena e visibile unità nella Chiesa, era fon-damentale affrontare, in primo luogo, la que-stione delle nomine episcopali. È a tutti notoche, purtroppo, la storia recente della Chiesacattolica in Cina è stata dolorosamente segnatada profonde tensioni, ferite e divisioni, che sisono polarizzate soprattutto intorno alla figuradel Vescovo quale custode dell’autenticità del-la fede e garante della comunione ecclesiale.

Allorquando, nel passato, si è preteso di de-terminare anche la vita interna delle comunitàcattoliche, imponendo il controllo diretto al dilà delle legittime competenze dello Stato, nellaChiesa in Cina è comparso il fenomeno dellaclandestinità. Una tale esperienza — va sottoli-neato — non rientra nella normalità della vitadella Chiesa... Vorrei farvi sapere che, da

Messaggioai cattolici cinesie alla Chiesauniversale

An n u n c i a t odal Ponteficee pubblicatoil 26 settembre

#copertina

Chu Kar Kui«Nostra Signora della Cina»

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quando mi è stato affidato il ministero petrino,ho provato grande consolazione nel constatareil sincero desiderio dei Cattolici cinesi di vive-re la propria fede in piena comunione con laChiesa universale e con il Successore di Pie-tro... Di tale desiderio mi sono giunti nel cor-so di questi anni numerosi segni e testimo-nianze concreti, anche da parte di coloro,compresi Vescovi, che hanno ferito la comu-nione nella Chiesa, a causa di debolezza e dierrori, ma anche, non poche volte, per forte eindebita pressione esterna.

Perciò, dopo aver attentamente esaminatoogni singola situazione personale e ascoltatodiversi pareri, ho riflettuto e pregato moltocercando il vero bene della Chiesa in Cina. In-

Cari fratelli e sorelle della Chiesa universale,tutti siamo chiamati a riconoscere tra i segnidei nostri tempi quanto sta accadendo ogginella vita della Chiesa in Cina. Abbiamo uncompito importante: accompagnare con unafervente preghiera e con fraterna amicizia i no-stri fratelli e sorelle in Cina. Infatti, essi devo-no sentire che nel cammino, che in questo mo-mento si apre di fronte a loro, non sono soli.È necessario che vengano accolti e sostenuticome parte viva della Chiesa... Ogni comunitàcattolica locale, in tutto il mondo, si impegnia valorizzare e ad accogliere il tesoro spiritualee culturale proprio dei Cattolici cinesi...

Mi rivolgo con rispetto a Coloro che guida-no la Repubblica Popolare Cinese e rinnovo

l’invito a proseguire, con fiducia, coraggio elungimiranza, il dialogo da tempo intrapreso.Desidero assicurare che la Santa Sede conti-nuerà ad operare sinceramente per crescerenell’autentica amicizia con il Popolo cinese.

Gli attuali contatti tra la Santa Sede e ilGoverno cinese si stanno dimostrando utili persuperare le contrapposizioni del passato, an-che recente, e per scrivere una pagina di piùserena e concreta collaborazione... In tal mo-do, la Cina e la Sede Apostolica, chiamatedalla storia ad un compito arduo ma affasci-nante, potranno agire più positivamente per lacrescita ordinata ed armonica della Comunitàcattolica in terra cinese, si adopereranno perpromuovere lo sviluppo integrale della societàassicurando maggior rispetto per la personaumana anche nell’ambito religioso, lavoreran-no concretamente per custodire l’ambiente incui viviamo e per edificare un futuro di pace edi fraternità tra i popoli.

In Cina è di fondamentale importanza che,anche a livello locale, siano sempre più profi-cui i rapporti tra i Responsabili delle comunitàecclesiali e le Autorità civili, mediante un dia-logo franco e un ascolto senza pregiudizi chepermetta di superare reciproci atteggiamenti diostilità. C’è da imparare un nuovo stile di col-laborazione semplice e quotidiana tra le Auto-rità locali e quelle ecclesiastiche — Vescovi, sa-cerdoti, anziani delle comunità —, in manieratale da garantire l’ordinato svolgimento delleattività pastorali, in armonia tra le legittime at-tese dei fedeli e le decisioni che competono al-le Autorità. Ciò aiuterà a comprendere che laChiesa in Cina non è estranea alla storia cine-se, né chiede alcun privilegio...

#copertina

La parte superioredella stele di Xi’an

fine, davanti al Signore e con serenità di giu-dizio, in continuità con l’orientamento deimiei immediati Predecessori, ho deciso di con-cedere la riconciliazione ai rimanenti sette Ve-scovi “ufficiali” ordinati senza Mandato Pon-tificio e, avendo rimosso ogni relativa san-zione canonica, di riammetterli nella pienacomunione ecclesiale. In pari tempo,chiedo loro di esprimere, mediante ge-sti concreti e visibili, la ritrovataunità con la Sede Apostolica econ le Chiese sparse nel mon-do, e di mantenervisi fedelinonostante le difficoltà.

Invito pertanto tutti iCattolici cinesi a farsiartefici di riconciliazio-ne... In questo spirito econ le decisioni prese,possiamo dare inizio aun percorso inedito, chesperiamo aiuterà a sana-re le ferite del passato,a ristabilire la piena co-munione di tutti i Cat-tolici cinesi e ad aprireuna fase di più fraternacollaborazione, per assu-mere con rinnovato impe-gno la missione dell’annun-cio del Vangelo... L’Accordo Provvisorio sigla-to con le Autorità cinesi, pur limitandosi adalcuni aspetti della vita della Chiesa ed essen-do necessariamente perfettibile, può contribui-re — per la sua parte — a scrivere questa pagi-na nuova della Chiesa cattolica in Cina. Esso,per la prima volta, introduce elementi stabilidi collaborazione tra le Autorità dello Stato ela Sede Apostolica, con la speranza di assicu-rare alla Comunità cattolica buoni Pastori. Inquesto contesto, la Santa Sede intende fare si-no in fondo la parte che le compete, ma anchea voi, Vescovi, sacerdoti, persone consacrate efedeli laici, spetta un ruolo importante: cercareinsieme buoni candidati che siano in grado diassumere nella Chiesa il delicato e importanteservizio episcopale. Non si tratta, infatti, dinominare funzionari per la gestione delle que-stioni religiose, ma di avere autentici Pastorisecondo il cuore di Gesù, impegnati a operaregenerosamente al servizio del Popolo di Dio,specialmente dei più poveri e dei più deboli...Un Accordo non è altro che uno strumento enon potrà da solo risolvere tutti i problemi esi-stenti. Anzi, esso risulterebbe inefficace e steri-le, qualora non fosse accompagnato da unprofondo impegno di rinnovamento degli at-teggiamenti personali e dei comportamenti ec-clesiali.

Sul piano pastorale, la Comunità cattolicain Cina è chiamata ad essere unita, per supera-re le divisioni del passato che tante sofferenzehanno causato e causano al cuore di molti Pa-stori e fedeli. Tutti i cristiani, senza distinzio-ne, pongano ora gesti di riconciliazione e dicomunione...

«Sabato scorso, 22settembre, è stato firmato a

Pechino un AccordoProvvisorio tra la Santa

Sede e la RepubblicaPopolare Cinese sulla

nomina dei Vescovi in Cina.L’Accordo è frutto di un

lungo e ponderato camminodi dialogo, inteso a favorire

una più positivacollaborazione tra la Santa

Sede e le Autorità cinesi peril bene della Comunitàcattolica in Cina e per

l’armonia dell’intera società.In questo spirito, ho deciso

di rivolgere ai Cattolicicinesi e a tutta la Chiesa

universale un Messaggio difraterno incoraggiamento,

che sarà pubblicatoquest’oggi. Con ciò, auspico

che in Cina si possa aprireuna nuova fase, che aiuti asanare le ferite del passato,

a ristabilire e a mantenere lapiena comunione di tutti i

Cattolici cinesi e adassumere con rinnovatoimpegno l’annuncio delVangelo. Cari fratelli e

sorelle, abbiamo un compitoimportante! Siamo chiamati

ad accompagnare confervente preghiera e confraterna amicizia i nostrifratelli e sorelle in Cina.Essi sanno che non sono

soli. Tutta la Chiesa pregacon loro e per loro.

Chiediamo alla Madonna,madre della Speranza e

Aiuto dei Cristiani, dibenedire e custodire tutti i

Cattolici in Cina, mentreper l’intero Popolo cinese

invochiamo da Dio il donodella prosperità e della pace.(Udienza generale, 26 ottobre)

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di DARIOFERTILIO

Sulle tracce di George Bernanos, molti temono,e denunciano, una incombente dittatura dellatecnica. Come mai, si chiedono, proprio men-tre vengono dati per acquisiti il relativismoculturale e l’eclissi delle religioni trascendenti,si affermano invece visioni del mondo allostesso tempo apocalittiche e salvifiche, con leloro liturgie e i fedeli disposti a credere in unparadiso terreno prossimo venturo, in grado diprolungarsi sino alle soglie stesse dell’immor-talità?

Ha un senso dare ascolto a simili dottrineipertecnologiche, che sembrano rispolverareutopie del primo Novecento, come il cosmi-smo sovietico di Nicolaj Fedorov, o i proclamifuturistici di Filippo Maria Marinetti sull’al-leanza fra mito e tecnica? Dobbiamo prenderesul serio le promesse dell’ingegneria genetica,della robotica, delle tecniche di ibernazionedei corpi e di ibridazione fra esseri umani emacchine, fino a immaginare un futuro domi-nio completo della scienza sui processi biolo-gici?

Su un simile terreno prossimo alla fanta-scienza si avventurano vari autori, come PaoloErcolani nel libro L’ultimo Dio (con prefazionedi Umberto Galimberti, edito da Dedalo), op-pure la divulgatrice scientifica Nunzia Bonifatiinsieme al teorico dell’informazione GiuseppeO. Longo (in Homo immortalis, Springer), eancora Emiliano Fumaneri in La liquidazionedell’uomo (I libri del Covile), fino a FrancescoBorgonovo (Fermate le macchine, Sperling &Kupfer).

Diverso è l’atteggiamento rispetto all’entu-siasmo mistico e tecnologico che sembra per-vadere l’occidente, ma comune il disagio. Er-colani analizza il cammino paradossale di unatecnica che, da un lato, «erode il trono diDio» appiattendo sul presente la nostra espe-rienza e, dall’altro, le impone un significatoobbligatorio, indiscutibile. Borgonovo paventala schiavitù dell’uomo ridotto a consumatore.Longo e la Bonifati si concentrano sulla fasci-nazione legata al “miglioramento” eugeneticodella specie, in grado di ottenere subito ciò

che la religione proietta nell’aldilà, cioè la libe-razione definitiva dalla morte.

Quanto a Fumaneri, denuncia la trasforma-zione della natura, privata della sua dimensio-ne trascendente ed eterna, in fabbrica dovetutto è possibile, compreso lo sradicamentodell’uomo. Privato delle sue origini, ridotto amateriale da costruzione, all’insegna «della pa-dronanza e della perfomance», esso è sottopo-sto a un controllo permanente, dalla nascitaalla morte (entrambe decise arbitrariamente se-condo parametri che si proclamano scientifici).Al posto della idea aristotelica di tecnica inte-sa come perfezionamento della natura allo sco-po di raggiungere maggiore libertà rispettoagli schemi prefissati, si impone un principiodi «ottimizzazione», cioè la riduzione al mini-mo dell’imprevedibilità della natura in favoredi un automatismo buono e salvifico.

Ma — è la tesi di Fumaneri — se Dio e lanatura non ci sono più, allora tutto è possibilee ugualmente legittimo: al posto della famiglia

naturale, ecco il “p oliamore”, i matrimoni ascadenza, lo scarto degli esseri imperfetti, per-sino il superamento dei generi maschile e fem-minile. Una nuova ingegneria sociale, insom-ma, in veste apparentemente democratica eportatrice di sempre nuovi diritti, ambirebbe araccogliere l’eredità delle grandi, e fallite, ideo-logie totalitarie novecentesche. Uno scenarioinquietante che fa rimpiangere l’idea di un di-ritto naturale illuminato dalla metafisica.

Sino alle sogliedell’immortalità?

I rischidel costruttivismo

tecnologico

La copertinadi «Homo immortalis»

#scaffale

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ÈPonte tra orientee occidente

motivo di gioia e di speranza iniziare questopellegrinaggio nei Paesi Baltici in terra lituana,che, come amava dire san Giovanni Paolo II, è«testimone silenzioso di un amore appassiona-to per la libertà religiosa»...

Questa visita avviene in un momento parti-colarmente importante della vita della vostraNazione che celebra i cento anni della dichia-razione d’indipendenza. Un secolo segnato damolteplici prove e sofferenze che avete dovutosopportare (detenzioni, deportazioni, persinoil martirio). Celebrare i cento anni dell’indi-pendenza significa soffermarsi un poco neltempo, recuperare la memoria del vissuto perprendere contatto con tutto quello che vi haforgiati come Nazione e trovarvi le chiavi chevi permettano di guardare le sfide del presentee proiettarsi verso il futuro in un clima di dia-logo e di unità tra tutti gli abitanti, in modoche nessuno rimanga escluso. Ogni generazio-ne è chiamata a fare proprie le lotte e le realiz-zazioni del passato e onorare nel presente lamemoria dei padri. Non sappiamo come saràil domani; quello che sappiamo è che ad ogniepoca compete conservare “l’anima” che l’haedificata e che l’ha aiutata a trasformare ognisituazione di dolore e di ingiustizia in oppor-tunità, e conservare viva ed efficace la radiceche ha prodotto i frutti di oggi. E questo po-polo ha un’“anima” forte che gli ha permessodi resistere e di costruire! Così recita il vostroinno nazionale: «Possano i tuoi figli trarre for-za dal passato», per guardare al presente concoraggio. «Possano i tuoi figli trarre forza dalpassato».

Nel corso della sua storia, la Lituania ha sa-puto ospitare, accogliere, ricevere popoli di di-verse etnie e religioni. Tutti hanno trovato inqueste terre un posto per vivere: lituani, tarta-ri, polacchi, russi, bielorussi, ucraini, armeni,tedeschi...; cattolici, ortodossi, protestanti, ve-tero-cattolici, musulmani, ebrei...; sono vissutiinsieme e in pace fino all’arrivo delle ideologietotalitarie che spezzarono la capacità di ospita-re e armonizzare le differenze seminando vio-lenza e diffidenza. Trarre forza dal passato si-gnifica recuperare la radice e mantenere sem-pre vivo quanto di più autentico e originale vi-ve in voi e che vi ha permesso di crescere e dinon soccombere come Nazione: la tolleranza,l’ospitalità, il rispetto e la solidarietà.

Guardando allo scenario mondiale in cui vi-viamo, dove crescono le voci che seminano di-visione e contrapposizione — s t ru m e n t a l i z z a n -do molte volte l’insicurezza e i conflitti — oche proclamano che l’unico modo possibile digarantire la sicurezza e la sussistenza di unacultura sta nel cercare di eliminare, cancellareo espellere le altre, voi lituani avete una parolaoriginale vostra da apportare: “ospitare le dif-f e re n z e ”. Per mezzo del dialogo, dell’ap erturae della comprensione esse possono trasformar-si in ponte di unione tra l’oriente e l’o ccidente

tà verso i giovani, verso gli anziani, che sonola memoria viva, verso i poveri, in definitiva,ospitalità al futuro.

Le assicuro, Signora Presidente, che potetecontare — come fino ad ora — sull’impegno eil lavoro corale della Chiesa Cattolica, affinchéquesta terra possa adempiere la sua vocazionedi essere terra-ponte di comunione e di spe-ranza.

europeo. Questo può essere il frutto di unastoria matura, che come popolo voi offrite allacomunità internazionale e in particolareall’Unione europea. Voi avete patito “sulla vo-stra pelle” i tentativi di imporre un modellounico, che annullasse il diverso con la pretesadi credere che i privilegi di pochi stiano al disopra della dignità degli altri o del bene co-mune. Lo ha indicato bene Benedetto XVI:«Volere il bene comune e adoperarsi per esso èesigenza di giustizia e di carità [...]. Si amatanto più efficacemente il prossimo, quantopiù ci si adopera per un bene comune rispon-dente anche ai suoi reali bisogni» (Lett. enc.Caritas in veritate, 7). Tutti i conflitti che sipresentano trovano soluzioni durature a condi-zione che esse si radichino nell’attenzione con-creta alle persone, specialmente alle più debo-li, e nel sentirsi chiamati ad «allargare losguardo per riconoscere un bene più grandeche porterà benefici a tutti» (Esort. ap. Evan-gelii gaudium, 235).

In questo senso, trarre forza dal passato si-gnifica prestare attenzione ai più giovani, chesono non solo il futuro, ma il presente di que-sta Nazione, se rimangono uniti alle radici delpopolo. Un popolo in cui i giovani trovanospazio per crescere e lavorare, li aiuterà a sen-tirsi protagonisti della costruzione del tessutosociale e comunitario. Questo renderà possibi-le a tutti di alzare lo sguardo con speranzaverso il domani. La Lituania che essi sognanosi gioca nella costante ricerca di promuoverequelle politiche che incentivino la partecipa-zione attiva dei più giovani nella società. Sen-za dubbio, questo sarà seme di speranza, poi-ché porterà ad un dinamismo nel quale l’“ani-ma” di questo popolo continuerà a generareospitalità: ospitalità verso lo straniero, ospitali-

In Lituaniail Papa esorta

a intraprenderela via

dell’apertura edella comprensione

Nella mattina di sabato 22settembre il Papa è giuntoin Lituania, prima tappadel venticinquesimo viaggiointernazionale del Pontificato.Nel piazzale antistante il palazzopresidenziale di Vilnius, haincontrato le autorità del paese,rappresentanti della società civilee il corpo diplomaticopronunciando il primo discorsoin terra lituana

#nei paesi baltici

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Prima di tutto, vorrei dire un sentimento cheprovo. Guardando voi, vedo dietro di voi tantimartiri. Martiri anonimi, nel senso che neppu-re sappiamo dove sono stati sepolti. Anchequalcuno di voi: ho salutato uno che ha sapu-to che cos’era la prigione. Mi viene in menteuna parola per incominciare: non dimenticatevi,abbiate memoria. Siete figli di martiri, questa èla vostra forza. E lo spirito del mondo nonvenga a dirvi qualche altra cosa diversa daquella che hanno vissuto i vostri antenati. Ri-cordate i vostri martiri e prendete esempio daloro: non avevano paura. Parlando con i Ve-scovi, i vostri Vescovi, oggi, dicevano: «Comesi può fare per introdurre la causa di beatifica-zione per tanti dei quali non abbiamo docu-menti, ma sappiamo che sono martiri?». È unaconsolazione, è bello sentire questo: la preoc-cupazione per coloro che ci hanno dato testi-monianza. Sono dei santi.

Il Vescovo [Linas Vodopjanovas, O.F.M., in-caricato per la vita consacrata] ha parlato sen-za sfumature — i francescani parlano così —:«Oggi spesso, in vari modi, viene messa allaprova la nostra fede», ha detto. Lui non pen-sava alle persecuzioni dei dittatori, no. «Dopoaver risposto alla chiamata della vocazionespesso non proviamo più gioia né nella pre-ghiera né nella vita comunitaria».

Lo spirito della secolarizzazione, della noiaper tutto quello che tocca la comunità è latentazione della seconda generazione. I nostripadri hanno lottato, hanno sofferto, sono staticarcerati e forse noi non abbiamo la forza diandare avanti. Tenete conto di questo!...

Tutta la visita al vostro Paese è stata incorni-ciata in questa espressione: «Cristo Gesù, no-stra speranza». Ormai quasi al termine di que-sto giorno, troviamo un testo dell’ap ostoloPaolo che ci invita a sperare con costanza. Equesto invito lo fa dopo averci annunciato ilsogno di Dio per ogni essere umano, di più,per tutto il creato: cioè che «tutto concorre albene di coloro che amano Dio» (Rm 8, 28);«raddrizza» tutte le cose, sarebbe la traduzio-ne letterale.

Oggi vorrei condividere con voi alcuni tratticaratteristici di questa speranza; tratti che noi— sacerdoti, seminaristi, consacrati e consacra-te — siamo chiamati a vivere.

Anzitutto, prima di invitarci alla speranza,Paolo ha ripetuto tre volte la parola «gemere»:geme la creazione, gemono gli uomini, gemelo Spirito in noi (cfr. Rm 8, 22-23.26). Si gemeper la schiavitù della corruzione, per l’anelitoalla pienezza. E oggi ci farà bene domandarcise quel gemito è presente in noi, o se invece

nulla più grida nella nostra carne, nulla anelaal Dio vivente. Come diceva il vostro Vescovo:«Non proviamo più la gioia nella preghiera,nella vita comunitaria». Il bramito della cervaassetata davanti alla carenza di acqua dovreb-be essere il nostro nella ricerca della profondi-tà, della verità, della bellezza di Dio. Cari, noinon siamo «funzionari di Dio»! Forse la socie-tà del benessere ci ha resi troppo sazi, pieni diservizi e di beni, e ci ritroviamo appesantiti ditutto e pieni di nulla; forse ci ha resi storditi odissipati, ma non pieni. Peggio ancora: a voltenon sentiamo più la fame. Siamo noi, uominie donne di speciale consacrazione, coloro chenon possono mai permettersi di perdere quelgemito, quell’inquietudine del cuore che solonel Signore trova riposo (cfr. S. Agostino,Confessioni, I, 1,1). L’inquietudine del cuore.Nessuna informazione immediata, nessuna co-municazione virtuale istantanea può privarcidei tempi concreti, prolungati, per conquistare— di questo si tratta, di uno sforzo costante —per conquistare un dialogo quotidiano con ilSignore attraverso la preghiera e l’adorazio-ne...

Ma l’Apostolo parla anche di costanza, co-stanza nella sofferenza, costanza nel persevera-re nel bene. Questo significa essere centrati inDio, rimanere fermamente radicati in Lui, es-sere fedeli al suo amore.

Voi, i più anziani di età — come non men-zionare Mons. Sigitas Tamkevicius? — sap etetestimoniare questa costanza nel patire, questo«sperare contro ogni speranza» (cfr. Rm 4,18). La violenza usata su di voi per aver difesola libertà civile e religiosa, la violenza delladiffamazione, il carcere e la deportazione nonhanno potuto vincere la vostra fede in GesùCristo, Signore della storia. Per questo, avetemolto da dirci e insegnarci, e anche molto daproporre, senza dover giudicare l’a p p a re n t edebolezza dei più giovani. E voi, più giovani,quando davanti alle piccole frustrazioni che viscoraggiano tendete a chiudervi in voi stessi, aricorrere a comportamenti ed evasioni che nonsono coerenti con la vostra consacrazione, cer-

Siete figlidi martiried è questala vostra forza

#nei paesi baltici

Nel primopomeriggiodi domenica 23s e t t e m b renella cattedraledi Kaunasl’i n c o n t rocon sacerdoti,re l i g i o s ic o n s a c ra t ie seminaristilituani

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cate le vostre radici e guardate la strada per-corsa dagli anziani. Vedo che ci sono giovaniqui. Ripeto, perché ci sono dei giovani. E voi,più giovani, quando davanti alle piccole fru-strazioni che vi scoraggiano tendete a chiuder-vi in voi stessi, a ricorrere a comportamenti edevasioni che non sono coerenti con la vostraconsacrazione, cercate le vostre radici e guar-date la strada percorsa dagli anziani. È meglioche prendiate un’altra strada piuttosto che vi-vere nella mediocrità. Questo per i giovani.Siete ancora in tempo, e la porta è aperta. So-no proprio le tribolazioni a delineare i trattidistintivi della speranza cristiana, perché quan-do è solo una speranza umana possiamo fru-strarci e schiacciarci nel fallimento; ma non ac-cade lo stesso con la speranza cristiana: essaesce più limpida, più provata dal crogiolo del-le tribolazioni.

È vero che questi sono altri tempi e viviamoin altre strutture, ma è anche vero che questiconsigli vengono meglio assimilati quando co-loro che hanno vissuto quelle dure esperienzenon si chiudono, ma le condividono approfit-tando dei momenti comuni. Le loro storie nonsono piene di nostalgie di tempi passati pre-sentati come migliori, né di accuse dissimulateverso quanti hanno strutture affettive più fra-gili...

Infine, guardare a Cristo Gesù come nostrasperanza significa identificarci con Lui, parteci-pare comunitariamente al suo destino...

Molte volte abbiamo posto così tanto l’ac-cento sulla responsabilità personale che la di-mensione comunitaria è diventata uno sfondo,solo un ornamento. Ma lo Spirito Santo ciriunisce, riconcilia le nostre differenze e generanuovi dinamismi per dare impulso alla missio-ne della Chiesa (cfr. Esort. ap. Evangelii gau-dium, 131; 235).

Questo tempio in cui ci siamo radunati, èintitolato ai Santi Pietro e Paolo. Entrambi gliApostoli furono consapevoli del tesoro che erastato loro dato, entrambi, in momenti e modidiversi, furono invitati a “prendere il largo”(cfr. Lc 5, 4). Sulla barca della Chiesa ci siamotutti, cercando sempre di g r i d a re a Dio, di esse-re costanti in mezzo alle tribolazioni e di avereCristo Gesù come oggetto della nostra speranza.E questa barca riconosce al centro della pro-pria missione l’annuncio di quella gloria spera-ta, che è la presenza di Dio in mezzo al suopopolo, in Cristo Risorto, e che un giorno, at-teso con ansia da tutta la creazione, si manife-sterà nei figli di Dio. Questa è la sfida che cispinge: il mandato di evangelizzare. È la ra-gione della nostra speranza e della nostragioia.

Quante volte troviamo sacerdoti, consacratie consacrate, tristi. La tristezza spirituale è unamalattia. Tristi perché non sanno... Tristi per-ché non trovano l’amore, perché non sono in-namorati: innamorati del Signore. Hanno la-sciato da parte una vita di matrimonio, di fa-miglia, e hanno voluto seguire il Signore. Maadesso sembra che si siano stancati... E scendela tristezza. Per favore, quando voi vi troveretetristi, fermatevi. E cercate un prete saggio, unasuora saggia. Non saggi perché siano laureatiall’università, no, non per quello. Saggio osaggia perché è stato capace o è stata capacedi andare avanti nell’amore. Andate a chiedereconsiglio...

C’è un’altra cosa che si collega con la tri-stezza: confondere la vocazione con un’i m p re -sa, con una ditta di lavoro. «Io mi impiego inquesto, lavoro in questo, mi entusiasmo conquesto..., e sono felice perché ho questo». Madomani, viene un vescovo, un altro o lo stesso,o viene un altro superiore, superiora, e ti dice:«No, taglia questo e va da quella parte». È ilmomento della sconfitta. Perché? Perché, in

quel momento, ti accorgerai di essere andatoper una strada equivoca. Ti accorgerai che ilSignore, che ti ha chiamato per amare, è delu-so da te, perché tu hai preferito fare l’affarista.All’inizio vi ho detto che la vita di chi segueGesù non è la vita di funzionario o funziona-ria: è la vita dell’amore del Signore e dello ze-lo apostolico per la gente. Farò una caricatura:cosa fa un prete funzionario? Ha il suo orario,il suo ufficio, apre l’ufficio a quell’ora, fa ilsuo lavoro, chiude l’ufficio... E la gente è fuo-ri. Non si avvicina alla gente. Cari fratelli e so-relle, se voi non volete essere dei funzionari, vidirò una parola: vicinanza! Vicinanza, prossi-mità. Vicinanza al Tabernacolo, a tu per tucon il Signore. E vicinanza alla gente. «Ma,padre, la gente non viene...». Vai a trovarla!«Ma, i ragazzi oggi non vengono...». Inventaqualcosa: l’oratorio, per seguirli, per aiutarli.Vicinanza con la gente. E vicinanza con il Si-gnore nel Tabernacolo. Il Signore vi vuole pa-stori di popolo, e non chierici di Stato! Dopodirò qualcosa alle suore, ma dopo...

Vicinanza vuol dire misericordia. In questaterra dove Gesù si è rivelato come Gesù mise-ricordioso, un sacerdote non può non esseremisericordioso. Soprattutto nel confessionale.Pensate a come Gesù accoglierebbe questapersona [che viene a confessarsi]. Già abba-stanza lo ha bastonato la vita, quel poveraccio!Fagli sentire l’abbraccio del Padre che perdo-na. Se non puoi dargli l’assoluzione, per esem-pio, dagli la consolazione del fratello, del pa-dre. Incoraggialo ad andare avanti. Convinciloche Dio perdona tutto. Ma questo col caloredi padre. Mai cacciare qualcuno dal confessio-nale! Mai cacciare via. «Guarda, tu nonpuoi... Adesso non posso, ma Dio ti ama, tuprega, ritorna e parleremo...». Così. Vicinanza.Questo è essere padre. A te non importa diquel peccatore, che lo cacci via così? Non stoparlando di voi, perché non vi conosco. Parlodi altre realtà. E misericordia. Il confessionalenon è lo studio di uno psichiatra. Il confessio-nale non è per scavare nel cuore della gente...

E voi, care suore... Tante volte si vedonosuore che sono brave — tutte le suore sonobrave —, ma che chiacchierano, chiacchierano,chiacchierano... Domandate aquella che è al primo postodall’altra parte — la penulti-ma — se nel carcere avevatempo di chiacchierare, men-tre cuciva i guanti. Doman-datele. Per favore, siate ma-dri! Siate madri, perché voisiete icona della Chiesa e del-la Madonna. E ogni personache vi vede, possa vedere lamamma Chiesa e la mammaMaria. Non dimenticate que-sto. E la mamma Chiesa nonè “zitellona”. La mammaChiesa non chiacchiera: ama,serve, fa crescere. La vostravicinanza è essere madre: ico-na della Chiesa e icona dellaMadonna.

Vicinanza al Tabernacolo ealla preghiera. Quella setedell’anima di cui ho parlato,e con gli altri. Servizio sacer-dotale e vita consacrata nonda funzionari, ma di padri emadri di misericordia. E sevoi fate così, da vecchi avreteun sorriso bellissimo e degliocchi brillanti! Perché avretel’anima piena di tenerezza, dimitezza, di misericordia, diamore, di paternità e materni-tà. E pregate per questo po-vero vescovo. Grazie!

#nei paesi baltici

Al Museodelle occupazionie delle lotteper la libertà

Da Kaunas nel pomeriggiodi domenica 23 il Papa è tornatoin automobile a Vilnius perpregare in silenzio davanti almonumento delle vittime delGhetto della capitale, eretto perricordare il genocidio ebraico inLituania. Successivamente si èrecato nel Museo delle occupazionie delle lotte per la libertà, dove hapronunciato la seguente preghiera.

«Dio mio, Dio mio, perchémi hai abbandonato?»(Mt 27, 47). Il tuo grido,Signore, non cessa dirisuonare, e riecheggia traqueste mura che ricordanole sofferenze vissute da tantifigli di questo popolo.Lituani e provenienti dadiverse nazioni hannosofferto nella loro carne ildelirio di onnipotenza diquelli che pretendevano dicontrollare tutto.Nel tuo grido, Signore,trova eco il gridodell’innocente che si uniscealla tua voce e si leva versoil cielo. È il Venerdì Santodel dolore e dell’a m a re z z a ,della desolazione edell’impotenza, dellacrudeltà e del non senso cheha vissuto questo popololituano di fronteall’ambizione sfrenata cheindurisce e acceca il cuore.In questo luogo dellamemoria, ti imploriamo,Signore, che il tuo grido cimantenga svegli. Che il tuogrido, Signore, ci liberidalla malattia spirituale dacui, come popolo, siamosempre tentati: dimenticarcidei nostri padri, di quanto èstato vissuto e patito.Che nel tuo grido e nellavita dei nostri padri chetanto hanno soffertopossiamo trovare il coraggiodi impegnarci condeterminazione nel presentee nel futuro; che quel gridosia stimolo per nonadeguarci alle mode delmomento, agli slogansemplificatori, e ad ognitentativo di ridurre etogliere a qualsiasi personala dignità di cui Tu l’hairivestita.Signore, che la Lituania siafaro di speranza. Sia terradella memoria operosa cherinnova gli impegni controogni ingiustizia. Chepromuova creativi sforzinella difesa dei diritti ditutte le persone,specialmente dei più indifesie vulnerabili. E che siamaestra nel riconciliare earmonizzare le diversità.Signore, non permettere chesiamo sordi al grido di tuttiquelli che oggi continuanoad alzare la voce al cielo.

il Settimanale L’Osservatore Romanogiovedì 27 settembre 2018

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A Messaggio al foruminterreligioso G20

Di fronte alle odierne«situazioni difficili che nonriguardano solo tanti nostrifratelli indifesi e dimenticati,ma minacciano il futurodell’intera umanità» il Paparibadisce che gli uomini difede non possono «restareindifferenti dinanzi a questeminacce». Lo ha scritto inun messaggio ai partecipantial forum interreligioso G20,svoltosi a Buenos Aires dal26 al 27 settembre.«Pensando alle religioni, —ha spiegato il Pontefice —credo che, al di là delledifferenze e dei punti divista diversi, un primoapporto fondamentale almondo di oggi sia quello diessere capaci di mostrare lafecondità del dialogocostruttivo per trovare,insieme, le soluzionimigliori ai problemi che ciinteressano tutti. Undialogo che non significarinunciare alla propriaidentità, bensì esseredisposti ad andare incontroall’altro, a capire le sueragioni, a saper intessererapporti umani rispettosi,con la convinzione chiara eferma che ascoltare chi lapensa in modo diverso èprima di tutto un’o ccasionedi arricchimento reciproco edi crescita nella fraternità».Perché, ha aggiuntoFrancesco, «non è possibilecostruire una casa comunemettendo di lato le personeche la pensano in mododiverso o ciò checonsiderano importante eche appartiene alla loroidentità più profonda».Insomma «occorre costruireuna fraternità che non sia di“lab oratorio”... Offriamo —è l’invito conclusivo delPapa — un modo nuovo diguardare agli uomini e allarealtà, non più con ansiamanipolatrice e dominante,ma nel rispetto della suanatura e della sua vocazionenell’intero creato».

Un cammino di dialogoSul volo di ritorno

il Papa parlaanche dell’a c c o rd o

con la Cinae dello scandalo

degli abusisui minori

#nei paesi baltici

l termine del viaggio nei Paesi baltici, du-rante il volo da Tallinn a Roma la seradel 25 settembre, il Papa ha incontrato igiornalisti a bordo dell’aereo. Dopo aver ri-sposto alle domande che gli sono state ri-volte, ha annunciato di voler dire «qualco-sa su alcuni punti del viaggio» che ha«vissuto con una speciale forza». Ecco al-cuni passaggi delle sue parole.

Il fatto della vostra storia, della storiadei Paesi baltici: una storia di invasioni,di dittature, di crimini, di deportazio-ni… Quando ho visitato il Museo, a Vil-nius: “museo” è una parola che ci fapensare al Louvre… No. Quel Museo èun carcere, nel quale i detenuti, per ra-gioni politiche o religiose, venivano por-tati. E ho visto celle della misura di que-sto sedile, dove si poteva stare soltantoin piedi, celle di tortura. Ho visto luo-ghi di tortura dove, con il freddo che c’èin Lituania, portavano i prigionieri nudie buttavano su di loro acqua, e lì rima-nevano per ore, per spezzare la loro resi-stenza. E poi sono entrato nella salagrande delle esecuzioni. I prigionieri ve-nivano portati lì con la forza e uccisicon un colpo alla nuca; poi fatti usciresu un nastro trasportatore e caricati suun camion che li buttava nella foresta.Più o meno ne ammazzavano quarantaal giorno. Alla fine, sono stati circaquindicimila quelli che sono stati am-mazzati lì... Poi sono andato nel luogodel Grande Ghetto, dove sono stati uc-cisi migliaia di ebrei. Nello stesso pome-riggio, sono andato al Monumento allamemoria dei condannati, ammazzati,torturati, deportati. Quel giorno sono ri-masto distrutto: mi ha fatto rifletteresulla crudeltà. Ma vi dico che la crudel-tà non è finita. La stessa crudeltà oggi sitrova in tanti luoghi di detenzione, oggisi trova in tante carceri; anche la sovrap-popolazione di un carcere è un sistemadi tortura, un modo di vivere senza di-gnità. Un carcere, oggi, che non prevededi dare al detenuto una prospettiva disperanza, già è una tortura. Poi abbia-mo visto, in televisione, le crudeltà deiterroristi dell’Isis: quel pilota giordanobruciato vivo, quei cristiani copti sgoz-zati sulla spiaggia della Libia, e tanti al-tri. Oggi la crudeltà non è finita. Esistein tutto il mondo.

Un’altra cosa che ho visto in questitre Paesi è l’odio [del passato regime]per la religione, qualunque sia. L’o dio.Ho visto un Vescovo gesuita che è statodeportato in Siberia, dieci anni, poi inun altro campo di concentramento...Adesso è anziano, sorridente... Tanti uo-mini e donne, per aver difeso la propriafede, che era la loro identità, sono statitorturati e deportati in Siberia, e nonsono tornati; o sono stati ammazzati. Lafede di questi tre Paesi è grande, è unafede che nasce proprio dal martirio...Inoltre, questa esperienza di fede cosìimportante ha prodotto un fenomenosingolare, in questi Paesi: una vita ecu-menica come non c’è in altri, così gene-ralizzata. C’è un vero ecumenismo tra

luterani, battisti, anglicani e anche orto-dossi.

Poi, c’è un altro fenomeno in questiPaesi: la trasmissione della cultura,dell’identità e della fede. Di solito, latrasmissione è stata fatta dai nonni. Neltempo in cui in Lituania era vietatol’uso della lingua lituana, era stata toltadalle scuole, quando andavano al servi-zio religioso — sia protestante sia cattoli-co — prendevano i libri di preghiera pervedere se erano in lingua lituana o inlingua russa o tedesca. E tanti — una ge-nerazione, in quell’epoca — hanno impa-rato la lingua madre dai nonni: che inse-gnavano a scrivere e a leggere la linguam a d re .

E adesso, mi riferisco all’incontro dioggi con i giovani. I giovani si scanda-lizzano: introduco qui la prima doman-da che era fuori dal tema del viaggio. Igiovani si scandalizzano dell’ip o crisiadei grandi. Si scandalizzano delle guer-re, si scandalizzano dell’incoerenza, siscandalizzano della corruzione. E inquesto della corruzione entra quello chelei sottolineava, degli abusi sessuali. Èvero che c’è un’accusa alla Chiesa, e tut-ti sappiamo, conosciamo le statistiche, ionon le dirò qui. Ma anche se fosse statoun solo prete ad abusare di un bambino,di una bambina, questo sarebbe comun-que mostruoso, perché quell’uomo è sta-to scelto da Dio per portare il bambinoal cielo. Io capisco che i giovani si scan-dalizzino di questa corruzione così gran-de. Sanno che c’è dappertutto, ma nellaChiesa è più scandaloso, perché si deveportare i bambini a Dio, e non distrug-gerli.

Prendo il Rapporto della Pennsylva-nia, per esempio, e vediamo che fino aiprimi anni 70 c’erano tanti preti che so-no caduti in questa corruzione. Poi, intempi più recenti, sono diminuiti perchéla Chiesa si è accorta che doveva lottarein un altro modo. Nei tempi passati,queste cose si coprivano. Si coprivanoanche a casa, quando lo zio violentavala nipotina, quando il papà violentava ifigli: si coprivano, perché era una vergo-gna molto grande. Era il modo di pen-sare dei secoli scorsi, e del secolo scor-so... Quando la Chiesa ha incominciatoa prendere coscienza di questo, ce l’hamessa tutta. E negli ultimi tempi io horicevuto tante, tante condanne emessedalla Congregazione per la Dottrina del-la Fede e ho detto: “Avanti, avanti”.Mai, mai ho firmato, dopo una condan-na, una richiesta di grazia. Su questonon si negozia, non c’è negoziato.

Quindi Antonio Pelayo di «Vida Nue-va» Antena 3, Spagna, ha fatto riferimentoall’Accordo tra la Santa Sede e il governodella Repubblica Popolare Cinese, chieden-do una risposta all’accusa di avere svendu-to la Chiesa al governo comunista di Pe-chino. Ecco la risposta di Francesco.

Questo è un processo di anni, un dia-logo tra la Commissione vaticana e laCommissione cinese, per sistemare lanomina dei vescovi. L’équipe vaticanaha lavorato tanto. Vorrei fare alcuni no-mi: mons. Celli, che con pazienza è an-dato, ha dialogato, è tornato… anni, an-ni! Poi, mons. Rota Graziosi, un umilecuriale di 72 anni che voleva fare il pretein parrocchia ma è rimasto in Curia per

aiutare in questo processo. E poi, il Se-gretario di Stato, il Cardinale Parolin,che è un uomo molto devoto, ma hauna speciale devozione alla lente: tutti idocumenti li studia punto, virgola, ac-centi… E questo dà a me una sicurezzamolto grande. E questa équipe, con que-ste qualità, è andata avanti. Voi sapeteche quando si fa un accordo di pace oun negoziato, ambedue le parti perdonoqualcosa, questa è la regola. Ambedue leparti. E si va avanti. Questo processo èandato così: due passi avanti, uno indie-tro, due avanti, uno indietro…; poi sonopassati mesi senza parlarsi, e poi… Sonoi tempi di Dio, che assomigliano al tem-po cinese: lentamente… Questa è sag-gezza, la saggezza dei cinesi. Le situa-zioni dei vescovi che erano in difficoltàsono state studiate caso per caso, e allafine i dossier sono arrivati sulla mia scri-vania e sono stato io il responsabile del-la firma, nel caso dei vescovi. Per quan-to riguarda l’Accordo, sono passate lebozze sulla mia scrivania, si parlava, da-vo le mie idee, gli altri discutevano e an-davano avanti. Penso alla resistenza, aicattolici che hanno sofferto: è vero, lorosoffriranno. Sempre in un accordo c’èsofferenza. Ma loro hanno una grandefede e scrivono, fanno arrivare messaggi,affermando che quello che la Santa Se-de, che Pietro dice, è quello che diceGesù: cioè la fede “martiriale” di questagente oggi va avanti. Sono dei grandi. El’Accordo l’ho firmato io, le Lettere Ple-nipotenziarie per firmare quell’A c c o rd o .Io sono il responsabile. Gli altri, che honominato, hanno lavorato per più didieci anni. Non è un’improvvisazione: èun cammino, un vero cammino.

E poi, un aneddoto semplice e un da-to storico, due cose prima di finire.Quando c’è stato quel famoso comuni-cato di un ex Nunzio Apostolico, gliepiscopati del mondo mi hanno scrittodicendo che si sentivano vicini, che pre-gavano per me; anche i fedeli cinesihanno scritto, e la firma di questo scrittoera del vescovo — diciamo così — dellaChiesa tradizionale cattolica e del vesco-vo della Chiesa patriottica: insieme,tutt’e due, e i fedeli di tutt’e due leChiese. Per me, questo è stato un segnodi Dio. E la seconda cosa: noi dimenti-chiamo che in America Latina — graziea Dio questo è superato! — dimentichia-mo che per 350 anni erano i re del Por-togallo e della Spagna a nominare i ve-scovi. E il Papa dava soltanto la giuri-sdizione. Dimentichiamo il caso dell’Im-pero austroungarico: Maria Teresa si èstancata di firmare nomine di vescovi, edava la giurisdizione al Vaticano. Altreepoche, grazie a Dio, che non si ripeta-no! Ma il caso attuale non è per la no-mina: è un dialogo sugli eventuali can-didati. La cosa si fa in dialogo. Ma lanomina è di Roma; la nomina è del Pa-pa, questo è chiaro. E preghiamo per lesofferenze di alcuni che non capiscono oche hanno alle spalle tanti anni di clan-destinità.

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Sono lieto di potermi incontrare con voi, inquesta terra che si caratterizza per realizzareun cammino di rispetto, collaborazione e ami-cizia tra le diverse Chiese cristiane, che sonoriuscite a generare unità mantenendo la ric-chezza e la singolarità proprie di ciascuna.Oserei dire che è un «ecumenismo vivo» e co-stituisce una delle caratteristiche peculiari del-la Lettonia. Senza alcun dubbio, un motivo disperanza e rendimento di grazie.

Grazie all’Arcivescovo Jānis Vanags peraverci aperto la porta di questa casa per realiz-zare il nostro incontro di preghiera. Casa Cat-tedrale che da più di 800 anni ospita la vitacristiana di questa città; testimone fedele ditanti nostri fratelli che vi si sono accostati peradorare, pregare, sostenere la speranza in tem-pi di sofferenza e trovare coraggio per affron-tare periodi colmi di ingiustizia e di dolore.Oggi ci ospita perché lo Spirito Santo conti-nui a tessere artigianalmente legami di comu-nione tra noi e, così, renda anche noi artigianidi unità tra la nostra gente, così che le nostredifferenze non diventino divisioni. Lasciamoche lo Spirito Santo ci rivesta con le armi deldialogo, della comprensione, della ricerca delrispetto reciproco e della fraternità (cfr. Ef 6,13-18).

In questa Cattedrale si trova uno degli orga-ni più antichi d’Europa e che è stato il piùgrande del mondo al tempo della sua inaugu-razione. Possiamo immaginare come abbia ac-compagnato la vita, la creatività, l’immagina-zione e la pietà di tutti coloro che si lasciava-no avvolgere dalla sua melodia. È stato stru-mento di Dio e degli uomini per elevare losguardo e il cuore. Oggi è un emblema diquesta città e di questa Cattedrale. Per il re s i -dente di questo luogo rappresenta più di unorgano monumentale, è parte della sua vita,della sua tradizione, della sua identità. Invece,per il turista, è naturalmente un oggetto arti-stico da conoscere e fotografare. E questo è unpericolo che sempre si corre: passare da resi-denti a turisti. Fare di ciò che ci identifica unoggetto del passato, un’attrazione turistica eda museo che ricorda le gesta di un tempo, dialto valore storico, ma che ha cessato di far vi-brare il cuore di quanti lo ascoltano.

Con la fede ci può succedere esattamente lastessa cosa. Possiamo smettere di sentirci cri-stiani residenti per diventare dei turisti. Dipiù, potremmo affermare che tutta la nostratradizione cristiana può subire la stessa sorte:finire ridotta a un oggetto del passato che,chiuso tra le pareti delle nostre chiese, cessa diintonare una melodia capace di smuovere eispirare la vita e il cuore di quelli che la ascol-

tano. Tuttavia, come afferma il Vangelo cheabbiamo ascoltato, la nostra fede non è desti-nata a stare nascosta, ma ad esser fatta cono-scere e risuonare in diversi ambiti della socie-tà, perché tutti possano contemplare la suabellezza ed essere illuminati dalla sua luce (cfr.Lc 11, 33).

Se la musica del Vangelo smette di essereeseguita nella nostra vita e si trasforma in una

bella partitura del passato, non saprà più rom-pere le monotonie asfissianti che impedisconodi animare la speranza, rendendo così sterilitutti i nostri sforzi.

Se la musica del Vangelo smette di vibrarenelle nostre viscere, avremo perso la gioia chescaturisce dalla compassione, la tenerezza chenasce dalla fiducia, la capacità della riconcilia-zione che trova la sua fonte nel saperci semprep erdonati-inviati.

Se la musica del Vangelo smette di suonarenelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luo-ghi di lavoro, nella politica e nell’economia,avremo spento la melodia che ci provocava alottare per la dignità di ogni uomo e donna diqualunque provenienza, rinchiudendoci nel“mio”, dimenticandoci del “n o s t ro ”: la casa co-mune che ci riguarda tutti.

Se la musica del Vangelo smette di suonare,avremo perso i suoni che condurranno la no-stra vita al cielo, trincerandoci in uno dei malipeggiori del nostro tempo: la solitudine el’isolamento. La malattia che nasce in chi nonha alcun legame, e che si può riscontrare negli

Se la musica del Vangelosmette di risuonare

#nei paesi baltici

anziani abbandonati al loro destino, come pu-re nei giovani senza punti di riferimento e op-portunità per il futuro (cfr. Discorso al Parla-mento Europeo, 25 novembre 2014).

Padre, «che tutti siano una sola cosa, [...]perché il mondo creda» (Gv 17, 21). Questeparole continuano a risuonare con forza inmezzo a noi, grazie a Dio. È Gesù che primadel suo sacrificio prega il Padre. È Gesù, Gesù

Nella mattinadi lunedì 24settembre, il Papaè giuntoin Lettonia,seconda tappadel viaggio.E nella chiesal u t e ra n adi Santa Maria,il Rigas Doms,ha partecipatoa un incontrodi preghieraecumenico

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Cristo che, guardando in faccia la sua croce ela croce di tanti nostri fratelli, non cessa di im-plorare il Padre. È il mormorio costante diquesta preghiera che traccia il sentiero e ci in-dica la via da seguire. Immersi nella sua pre-ghiera, come credenti in Lui e nella sua Chie-sa, desiderando la comunione di grazia che ilPadre possiede da tutta l’eternità (cfr. S. Gio-vanni Paolo II, Enc. Ut unum sint, 9), trovia-mo lì l’unica strada possibile per ogni ecume-nismo: nella croce della sofferenza di tanti gio-vani, anziani e bambini esposti spesso allosfruttamento, al non senso, alla mancanza diopportunità e alla solitudine. Mentre guardaal Padre e a noi suoi fratelli, Gesù non smettedi implorare: che tutti siano uno.

La missione oggi continua a chiederci e areclamare da noi l’unità; è la missione che esi-ge da noi che smettiamo di guardare le feritedel passato ed ogni atteggiamento autoreferen-ziale per incentrarci sulla preghiera del Mae-stro. È la missione a reclamare che la musicadel Vangelo non cessi di suonare nelle nostrepiazze.

Alcuni possono arrivare a dire: sono tempidifficili, sono tempi complessi quelli che ci ca-pita di vivere. Altri possono arrivare a pensareche, nelle nostre società, i cristiani hanno sem-pre meno margini di azione e di influenza acausa di innumerevoli fattori come ad esempioil secolarismo o le logiche individualiste. Que-sto non può portare a un atteggiamento dichiusura, di difesa e nemmeno di rassegnazio-ne. Non possiamo fare a meno di riconoscereche certamente non sono tempi facili, special-mente per molti nostri fratelli che oggi vivononella loro carne l’esilio e persino il martirio acausa della fede. Ma la loro testimonianza ciconduce a scoprire che il Signore continua achiamarci e invitarci a vivere il Vangelo con

gioia, gratitudine e radicalità. Se Cristo ci haritenuti degni di vivere in questi tempi, in que-sta ora — l’unica che abbiamo — , non possia-mo lasciarci vincere dalla paura né lasciare chepassi senza assumerla con la gioia della fedel-tà. Il Signore ci darà la forza per fare di ognitempo, di ogni momento, di ogni situazioneun’opportunità di comunione e riconciliazionecon il Padre e con i fratelli, specialmente conquelli che oggi sono considerati inferiori o ma-teriale di scarto. Se Cristo ci ha ritenuti degnidi far risuonare la melodia del Vangelo, smet-teremo di farlo?

L’unità a cui il Signore ci chiama è un’unitàsempre in chiave missionaria, che ci chiede diuscire e raggiungere il cuore della nostra gentee delle culture, della società postmoderna incui viviamo, «là dove si formano i nuovi rac-conti e paradigmi, raggiungere con la Paroladi Gesù i nuclei più profondi dell’anima dellecittà» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 74). Que-sta missione ecumenica riusciremo a realizzarlase ci lasceremo impregnare dallo Spirito diCristo che è capace di «rompere gli scheminoiosi nei quali pretendiamo di imprigionarloe ci sorprende con la sua costante creatività di-vina. Ogni volta che cerchiamo di tornare allafonte e recuperare la freschezza originale delVangelo spuntano nuove strade, metodi creati-vi, altre forme di espressione, segni più elo-quenti, parole cariche di rinnovato significatoper il mondo attuale» (ibid., 11).

Cari fratelli e sorelle, continui a suonare lamusica del Vangelo in mezzo a noi! Non cessidi risuonare ciò che permette al nostro cuoredi continuare a sognare e a tendere alla vitapiena a cui il Signore, tutti, ci chiama: esseresuoi discepoli missionari in mezzo al mondoin cui viviamo.

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Nella cattedrale cattolica di San Giacomo

Radici di un popolo«Voi qui presenti siete stati sottoposti ad ognisorta di prove: l’orrore della guerra, e poi larepressione politica, la persecuzione e l’esilio.E siete stati costanti, avete perseverato nellafede. Né il regime nazista né quello sovieticohanno spento la fede nei vostri cuori e, per al-cuni di voi, non vi hanno fatto desistere nep-pure dal dedicarvi alla vita sacerdotale, religio-sa, a essere catechisti, e a diversi servizi eccle-siali che mettevano a rischio la vita; avetecombattuto la buona battaglia, state per con-cludere la corsa, e avete conservato la fede».Lo ha sottolineato il Papa nel discorso rivoltoalla comunità cattolica lettone, incontrata nellatarda mattinata di lunedì 24 nella cattedrale diRiga, intitolata a San Giacomo.

«Voi, che vi siete spesi corpo e anima, cheavete dato la vita inseguendo la libertà dellavostra patria, — ha proseguito il Pontefice —tante volte vi sentite dimenticati. Benché suoniparadossale, oggi, in nome della libertà, gliuomini liberi assoggettano gli anziani alla soli-tudine, all’ostracismo, alla mancanza di risorsee all’esclusione, e perfino alla miseria. Se è co-sì, il cosiddetto treno della libertà e del pro-gresso finisce per avere, in coloro che hannolottato per conquistare diritti, la sua carrozzadi coda, gli spettatori di una festa altrui, ono-rati e omaggiati, ma dimenticati nella vitaquotidiana».

Da qui l’esortazione di Francesco «a nonabbassare la guardia» a non cedere «allo scon-

forto, alla tristezza», a non perdere «la dolcez-za e, meno ancora, la speranza! Vi incoraggio— ha detto — ad essere anche voi, in seno allevostre famiglie e alla vostra patria, esempio dientrambi questi atteggiamenti: sopportazione esperanza, tutt’e due impregnate di pazienza.Così continuerete a costruire il vostro popolo.Voi, che avete attraversato molte stagioni, sietetestimonianza viva di costanza nelle avversità,ma anche del dono della profezia, che ricordaalle giovani generazioni che la cura e la prote-zione di quelli che ci hanno preceduto sonogradite e apprezzate da Dio, e che gridano aDio quando sono disattese. Voi che avete at-traversato molte stagioni, non dimenticateviche siete radici di un popolo, radici di giovanigermogli che devono fiorire e portare frutto;difendete queste radici, mantenetele vive per-ché i bambini e i giovani si innestino lì, e ca-piscano che “tutto ciò che sull’albero è fiorito/ vive di ciò che giace sotterrato” (F. L. Ber-nárdez, sonetto Si para recobrar lo recobrado)».

Infine commentando l’iscrizione sul pulpitodel tempio — «Se ascoltaste oggi la sua voce!Non indurite il cuore» (Sal 95, 7-8) — il Papaha concluso spiegando che «il cuore duro èquello sclerotizzato, quello che perde la gioiadella novità di Dio, che rinuncia alla giovinez-za di spirito, a gustare e vedere che sempre, inogni tempo e fino alla fine, è buono il Signo-re » .

Dal Palazzo presidenzialedi Riga, nella mattina di lunedì24 settembre, il Papa è giuntoin automobile al Monumentodella libertà. Al suo arrivo,è stato accolto all’inizio del pontedal capo dello stato lettoneVējonis e insieme si sono direttia piedi verso il Monumento.Dopo gli onori alle bandiere,Francesco ha deposto una coronadi fiori, poi ha salutatouna decina di personetra bambini, giovani e famiglie

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Potremmo ben dire che ciò che San Luca narraall’inizio del libro degli Atti degli Apostoli siripete oggi qui: siamo intimamente uniti, dedi-cati alla preghiera e in compagnia di Maria,nostra Madre (cfr. 1, 14). Oggi facciamo nostroil motto di questa visita: “Mostrati Madre!”,manifesta in quale luogo continui a cantare ilMa g n i f i c a t , in quali luoghi si trova il tuo Figliocrocifisso, per trovare ai suoi piedi la tua saldap re s e n z a .

Il Vangelo di Giovanni riporta solo due mo-menti in cui la vita di Gesù incrocia quella disua Madre: le nozze di Cana (cfr. 2, 1-12) equello che abbiamo appena letto, Maria aipiedi della croce (cfr. 19, 25-27). Parrebbe chel’evangelista sia interessato a mostrarci la Ma-dre di Gesù in queste situazioni di vita appa-rentemente opposte: la gioia di un matrimonioe il dolore per la morte di un figlio. Mentre ciaddentriamo nel mistero della Parola, Ella cimostri qual è la Buona Notizia che il Signoreoggi vuole condividere con noi.

La prima cosa che l’evangelista fa notare èche Maria sta “saldamente in piedi” accanto asuo Figlio. Non è un modo leggero di stare,neppure evasivo e tanto meno pusillanime. È,con fermezza, “inchio data” ai piedi della cro-ce, esprimendo con la postura del suo corpoche niente e nessuno potrebbe spostarla daquel luogo. Maria si mostra in primo luogo co-sì: accanto a coloro che soffrono, a coloro daiquali il mondo intero fugge, accanto anche aquelli che sono processati, condannati da tutti,deportati. Non soltanto vengono oppressi osfruttati, ma si trovano direttamente “fuori dalsistema”, ai margini della società (cfr. Esort.ap. Evangelii gaudium, 53). Con loro c’è anchela Madre, inchiodata sulla croce dell’incom-prensione e della sofferenza.

Maria ci mostra anche un modo di stare ac-canto a queste realtà; non è fare una passeg-giata o una breve visita, e nemmeno è un “tu-rismo solidale”. Occorre che coloro che pati-scono una realtà di dolore ci sentano al lorofianco e dalla loro parte, in modo fermo, stabi-le; tutti gli scartati della società possono fare

L’accettazioneamorevole dell’a l t ro

Nel pomeriggiodi lunedì 24s e t t e m b reil Pontefice hacelebrato la messanell’a re adel santuariodella Madredi Dioad Aglona

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esperienza di questa Madre delicatamente vici-na, perché in chi soffre permangono le piagheaperte del suo Figlio Gesù. Lei lo ha imparatoai piedi della croce. Anche noi siamo chiamatia “to ccare” la sofferenza degli altri. Andiamoincontro alla nostra gente per consolarla e ac-compagnarla; non abbiamo paura di sperimen-tare la forza della tenerezza e di coinvolgerci ecomplicarci la vita per gli altri (cfr. ibid., 270).E, come Maria, rimaniamo saldi e in piedi:con il cuore rivolto a Dio e coraggiosi, rialzan-do chi è caduto, sollevando l’umile, aiutando aporre fine a qualunque situazione di oppres-sione che li fa vivere come crocifissi.

Maria è chiamata da Gesù ad accogliere ildiscepolo amato come suo figlio. Il testo ci di-ce che erano insieme, ma Gesù si accorge chenon basta, che non si sono accolti a vicenda.Perché si può stare accanto a tantissime perso-ne, si può anche condividere la stessa abitazio-ne, il quartiere o il lavoro; si può condividerela fede, contemplare e godere gli stessi misteri,ma non accogliere, non esercitare un’accetta-zione amorevole dell’altro. Quanti coniugi po-trebbero raccontare la storia del loro essere vi-cini ma non insieme; quanti giovani sentonocon dolore questa distanza rispetto agli adulti;quanti anziani si sentono freddamente accudi-ti, ma non amorevolmente curati e accolti.

È vero che, a volte, quando ci siamo apertiagli altri, questo ci ha fatto molto male. È an-che vero che, nelle nostre realtà politiche, lastoria dello scontro tra i popoli è ancora dolo-rosamente fresca. Maria si mostra come donnaaperta al perdono, a mettere da parte rancori ediffidenze; rinuncia a recriminare su ciò che“avrebbe potuto essere” se gli amici di suo Fi-glio, se i sacerdoti del suo popolo o se i gover-nanti si fossero comportati in modo diverso,non si lascia vincere dalla frustrazione odall’impotenza. Maria crede a Gesù e accoglieil discepolo, perché le relazioni che ci guari-scono e ci liberano sono quelle che ci apronoall’incontro e alla fraternità con gli altri, per-ché scoprono nell’altro Dio stesso (cfr. ibid.,92). Monsignor Sloskans, che riposa qui, dopoessere stato arrestato e mandato lontano scri-veva ai suoi genitori: «Vi chiedo dal profondodel mio cuore: non lasciate che la vendetta ol’esasperazione si facciano strada nel vostrocuore. Se lo permettessimo, non saremmo vericristiani, ma fanatici». In tempi nei quali sem-brano ritornare mentalità che ci invitano a dif-fidare degli altri, che con statistiche ci voglio-no dimostrare che staremmo meglio, avremmopiù prosperità, ci sarebbe più sicurezza se fos-simo soli, Maria e i discepoli di queste terre ciinvitano ad accogliere, a scommettere di nuo-vo sul fratello, sulla fraternità universale.

Ma Maria si mostra anche come la donnache si lascia accogliere, che accetta umilmentedi diventare parte delle cose del discepolo. Inquel matrimonio che era rimasto senza vino,col pericolo di finire pieno di riti ma arido diamore e gioia, fu lei a ordinare che facesseroquello che Lui avrebbe detto loro (cfr. Gv 2,5). Ora, come discepola obbediente, si lasciaaccogliere, si trasferisce, si adatta al ritmo delpiù giovane. Sempre costa l’armonia quandosiamo diversi, quando gli anni, le storie e le

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circostanze ci pongono in modi di sentire, dipensare e di fare che a prima vista sembranoopposti. Quando con fede ascoltiamo il co-mando di accogliere e di essere accolti, è pos-sibile costruire l’unità nella diversità, perchénon ci frenano né ci dividono le differenze, masiamo capaci di guardare oltre, di vedere glialtri nella loro dignità più profonda, come figlidi uno stesso Padre (cfr. Esort. ap. Evangeliigaudium, 228).

In questa, come in ogni Eucaristia, facciamomemoria di quel giorno. Ai piedi della croce,Maria ci ricorda la gioia di essere stati ricono-sciuti come suoi figli, e suo Figlio Gesù ci in-vita a portarla a casa, a metterla al centro dellanostra vita. Lei vuole donarci il suo coraggio,per stare saldamente in piedi; la sua umiltà,che le permette di adattarsi alle coordinate diogni momento della storia; e alza la sua voceaffinché, in questo suo santuario, tutti ci impe-gniamo ad accoglierci senza discriminazioni, eche tutti in Lettonia sappiano che siamo di-sposti a privilegiare i più poveri, a rialzarequanti sono caduti e ad accogliere gli altri cosìcome arrivano e si presentano davanti a noi.

Al termine della messa, il Papa ha cosìringraziato i fedeli presenti.

Cari fratelli e sorelle,al termine di questa celebrazione, ringrazio ilvostro Vescovo per le parole che mi ha rivolto.E voglio dire grazie di cuore a tutti coloro chein diversi modi hanno collaborato per questavisita. In particolare, esprimo viva riconoscen-za al Presidente della Repubblica e alle Auto-rità del Paese per la loro accoglienza.

Offro in dono alla Santa Madre di Dio, inquesta “Terra Mariana”, una speciale coronadel Rosario: la Vergine vi protegga e vi accom-pagni sempre.

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Cari giovani,grazie per la vostra calorosa accoglienza, per ivostri canti e per le testimonianze di Lisbel,Tauri e Mirko. Sono grato per le gentili e fra-terne parole dell’Arcivescovo della ChiesaEvangelica Luterana di Estonia, Urmas Viil-ma, come pure per la presenza del Presidentedel Consiglio delle Chiese dell’Estonia, l’A rc i -vescovo Andres Põder, del Vescovo PhilippeJourdan, Amministratore Apostolico in Esto-nia, e degli altri rappresentanti delle diverseconfessioni cristiane presenti nel Paese. Sonograto anche della presenza della Signora Presi-dente della Repubblica.

È sempre bello riunirci, condividere testimo-nianze di vita, esprimere quello che pensiamoe vogliamo; ed è molto bello stare insieme, noiche crediamo in Gesù Cristo. Questi incontrirealizzano il sogno di Gesù nell’Ultima Cena:«Che tutti siano una sola cosa, [...] perché ilmondo creda» (Gv 17, 21). Se ci sforziamo divederci come pellegrini che fanno il camminoinsieme, impareremo ad aprire il cuore con fi-ducia al compagno di strada senza sospetti,senza diffidenze, guardando solo a ciò cherealmente cerchiamo: la pace davanti al voltodell’unico Dio. E siccome la pace è artigianale,aver fiducia negli altri è pure qualcosa di arti-gianale, è fonte di felicità: «Beati gli operatoridi pace» (Mt 5, 9). E questa strada, questocammino non lo facciamo solo con i credenti,ma con tutti. Tutti hanno qualcosa da dirci. Atutti abbiamo qualcosa da dire.

Il grande dipinto che si trova nell’abside diquesta chiesa contiene una frase del Vangelodi San Matteo: «Venite a me, voi tutti che sie-te stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt11, 28). Voi, giovani cristiani, potete identifi-carvi con alcuni elementi di questo brano delVa n g e l o .

Nelle narrazioni che precedono, Matteo cidice che Gesù sta accumulando delusioni. Pri-ma si lamenta perché sembra che a quelli a cuisi rivolge non vada bene niente (cfr. Mt 11, 16-19). A voi giovani capita spesso che gli adulti

intorno a voi non sanno quello che vogliono osi aspettano da voi; o a volte, quando vi vedo-no molto felici, diffidano; e se vi vedono an-gosciati, relativizzano quello che vi succede.Nella consultazione prima del Sinodo, che ce-lebreremo a breve e in cui rifletteremo sui gio-vani, molti di voi chiedono che qualcuno viaccompagni e vi capisca senza giudicare e sap-pia ascoltarvi, come pure rispondere ai vostriinterrogativi (cfr. Sinodo dedicato ai giovani,

Instrumentum laboris, 132). Le nostre Chiesecristiane — e oserei dire ogni processo religiosostrutturato istituzionalmente — a volte si porta-no dietro atteggiamenti nei quali è stato piùfacile per noi parlare, consigliare, proporredalla nostra esperienza, piuttosto che ascoltare,piuttosto che lasciarsi interrogare e illuminareda ciò che voi vivete. Tante volte le comunitàcristiane si chiudono, senza accorgersene, enon ascoltano le vostre inquietudini. Sappia-mo che voi volete e vi aspettate «di essere ac-compagnati non da un giudice inflessibile, néda un genitore timoroso e iperprotettivo chegenera dipendenza, ma da qualcuno che nonha timore della propria debolezza e sa far ri-splendere il tesoro che, come vaso di creta, cu-stodisce al proprio interno (cfr. 2 Cor 4, 7)»(ibid., 142). Oggi qui voglio dirvi che vogliamopiangere con voi se state piangendo, accompa-gnare con i nostri applausi e le nostre risate levostre gioie, aiutarvi a vivere la sequela del Si-gnore. Voi, ragazzi e ragazze, giovani, sappiatequesto: quando una comunità cristiana è vera-mente cristiana non fa proselitismo. Soltantoascolta, accoglie, accompagna e cammina; manon impone niente.

Gesù si lamenta anche delle città che ha vi-sitato, compiendo in esse più miracoli e riser-vando ad esse maggiori gesti di tenerezza e vi-cinanza, e deplora la loro mancanza di fiutonel rendersi conto che il cambiamento che eravenuto a proporre loro era urgente, non pote-va aspettare. Arriva perfino a dire che sonopiù testarde e accecate di Sodoma (cfr. Mt 11,20-24). E quando noi adulti ci chiudiamo auna realtà che è già un fatto, ci dite con fran-chezza: «Non lo vedete?». E alcuni più corag-giosi hanno il coraggio di dire: «Non vi accor-gete che nessuno vi ascolta più, né vi crede?».Abbiamo davvero bisogno di convertirci, discoprire che per essere al vostro fianco dobbia-mo rovesciare tante situazioni che sono, in de-finitiva, quelle che vi allontanano.

Sappiamo — come ci avete detto — che mol-ti giovani non ci chiedono nulla perché non ciritengono interlocutori significativi per la loro

L’a m o renon è morto

Nella mattinadi martedì 25

settembre il Papasi è recato

in Estonia, ultimatappa del viaggio

nei paesi baltici.A Tallinn

ha partecipatoa un incontro

ecumenico con igiovani, svoltosi

nella KaarliLutheran Church

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esistenza. È brutto questo, quando una Chie-sa, una comunità, si comporta in modo taleche i giovani pensano: «Questi non mi diran-no nulla che serva alla mia vita». Alcuni, anzi,chiedono espressamente di essere lasciati inpace, perché sentono la presenza della Chiesacome fastidiosa e perfino irritante. E questo èvero. Li indignano gli scandali sessuali ed eco-nomici di fronte ai quali non vedono una con-danna netta; il non saper interpretare adegua-tamente la vita e la sensibilità dei giovani permancanza di preparazione; o semplicemente ilruolo passivo che assegniamo loro (cfr. Sinododedicato ai giovani, Instrumentum laboris, 66).Queste sono alcune delle vostre richieste. Vo-gliamo rispondere a loro, vogliamo, come voistessi dite, essere una «comunità trasparente,accogliente, onesta, attraente, comunicativa,accessibile, gioiosa e interattiva» (ibid., 67),cioè una comunità senza paura. Le paure cichiudono. Le paure ci spingono a essere pro-selitisti. E la fratellanza è un’altra cosa: il cuo-re aperto e l’abbraccio fraterno.

Prima di arrivare al testo evangelico che so-vrasta questo tempio, Gesù inizia elevandouna lode al Padre. Lo fa perché si rende contoche coloro che hanno compreso, quelli che ca-piscono il centro del suo messaggio e della suapersona, sono i piccoli, coloro che hanno l’ani-ma semplice, aperta. E vedendovi così, riuniti,a cantare, mi unisco alla voce di Gesù e restoammirato, perché voi, nonostante la nostramancanza di testimonianza, continuate a sco-prire Gesù in seno alle nostre comunità. Per-ché sappiamo che dove c’è Gesù c’è semprerinnovamento, c’è sempre l’opportunità dellaconversione, di lasciarsi alle spalle tutto ciòche ci separa da Lui e dai nostri fratelli. Dovec’è Gesù, la vita ha sempre sapore di SpiritoSanto. Voi, qui oggi, siete l’attualizzazione diquella meraviglia di Gesù.

Allora sì, diciamo di nuovo: «Venite a me,voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi ri-storerò» (Mt 11, 28). Ma lo diciamo convintiche, al di là dei nostri limiti, delle nostre divi-sioni, Gesù continua ad essere il motivo peressere qui. Sappiamo che non c’è sollievo piùgrande che lasciare che Gesù porti le nostreoppressioni. Sappiamo anche che ci sono mol-ti che ancora non lo conoscono e vivono nellatristezza e nello smarrimento. Una vostra fa-mosa cantante, circa dieci anni fa, diceva inuna delle sue canzoni: «L’amore è morto,l’amore se n’è andato, l’amore non vive piùqui» (Kerli Kõiv, L’amore è morto). No, per fa-vore! Facciamo sì che l’amore sia vivo, e tuttinoi dobbiamo fare questo! E sono tanti quelli

che fanno questa esperienza: vedono che fini-sce l’amore dei loro genitori, che si dissolvel’amore di coppie appena sposate; sperimenta-no un intimo dolore quando a nessuno impor-ta che debbano emigrare per cercare lavoro oquando li si guarda con sospetto perché sonostranieri. Sembrerebbe che l’amore sia morto,come diceva Kerli Kõiv, ma sappiamo che nonè così, e abbiamo una parola da dire, qualcosada annunciare, con pochi discorsi e molti ge-sti. Perché voi siete la generazione dell’imma-gine, la generazione dell’azione al di sopradella speculazione, della teoria.

E così piace a Gesù; perché Lui passò fa-cendo il bene, e quando è morto ha preferitoalle parole il gesto forte della croce. Noi siamouniti dalla fede in Gesù, ed è Lui che attendeche lo portiamo a tutti i giovani che hannoperso il senso della loro vita. E il rischio è, an-che per noi credenti, di perdere il senso dellavita. E questo succede quando noi credentisiamo incoerenti. Accogliamo insieme quellanovità che Dio porta nella nostra vita; quellanovità che ci spinge a partire sempre di nuovo,per andare là dove si trova l’umanità più feri-ta. Dove gli uomini, al di là dell’apparenza disuperficialità e conformismo, continuano a cer-care una risposta alla domanda sul senso dellaloro vita. Ma non andremo mai da soli: Dioviene con noi; Lui non ha paura, non ha pau-ra delle periferie, anzi, Lui stesso si è fatto pe-riferia (cfr. Fil 2, 6-8; Gv 1, 14). Se abbiamo ilcoraggio di uscire da noi stessi, dai nostriegoismi, dalle nostre idee chiuse, e andare nel-le periferie, là lo troveremo, perché Gesù ciprecede nella vita del fratello che soffre ed èscartato. Egli è già là (cfr. Esort. ap. Gaudeteet exsultate, 135).

Ragazzi e ragazze, l’amore non è morto, cichiama e ci invia. Chiede solo di aprire il cuo-re. Chiediamo la forza apostolica di portare ilVangelo agli altri — ma offrirlo, non imporlo— e di rinunciare a fare della nostra vita cri-stiana un museo di ricordi. La vita cristiana èvita, è futuro, è speranza! Non è un museo.Lasciamo che lo Spirito Santo ci faccia con-templare la storia nella prospettiva di Gesù ri-sorto, così la Chiesa, così le nostre Chiese sa-ranno in grado di andare avanti accogliendoin sé le sorprese del Signore (cfr ibid., 139), re-cuperando la propria giovinezza, la gioia e labellezza della quale parlava Mirko, della sposache va incontro al Signore. Le sorprese del Si-gnore. Il Signore ci sorprende perché la vita cisorprende sempre. Andiamo avanti, incontro aqueste sorprese. Grazie!

#nei paesi baltici

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Grazie per avermi accolto questo pomeriggionella vostra casa. Per me è importante farequesta visita e poter stare qui in mezzo a voi.Grazie a voi per la vostra testimonianza e peraver condiviso con noi tutto ciò che portatenel cuore.

Prima di tutto, vorrei congratularmi con te,Marina, e con tuo marito, per la bellissima te-stimonianza che ci avete donato. Siete stati be-nedetti con nove figli, con tutto il sacrificioche questo significa, come ci hai fatto notare.Dove ci sono bambini e giovani, c’è molto sa-crificio, ma soprattutto c’è futuro, gioia, e spe-ranza. Ecco perché è confortante sentirti dire:«Rendiamo grazie al Signore per la comunio-ne e l’amore che regna in casa nostra». Inquesta terra, dove gli inverni sono duri, a voinon manca il calore più importante, quellodella casa, quello che nasce dallo stare in fami-glia. Con discussioni e problemi? Sì, è norma-le, ma con la voglia di andare avanti insieme.Non sono belle parole, ma un esempio chiaro.

E grazie per aver condiviso anche la testi-monianza di queste suore che non avevano

paura di uscire e andare dove voi stavate peressere segno della vicinanza e della mano tesadel nostro Dio. Tu hai detto che erano comedegli angeli che venivano a visitarvi. È così:sono degli angeli.

Quando la fede non ha paura di lasciare lecomodità, di mettersi in gioco e ha il coraggiodi uscire, riesce a manifestare le parole più

belle del Maestro: «Che vi amiate gli uni glialtri; come io vi ho amato» (Gv 13, 34). Amoreche rompe le catene che ci isolano e ci separa-no, gettando ponti; amore che ci permette dicostruire una grande famiglia in cui tutti pos-siamo sentirci a casa, come in questa casa.Amore che sa di compassione e di dignità. Equesto è bello. [Guarda i nove figli di Marinaseduti su un’unica panca e li conta] Uno, due,tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove. Bellafamiglia! Bella famiglia!

La fede missionaria va come queste sorelleper le strade delle nostre città, dei nostri quar-tieri, delle nostre comunità, dicendo con gestimolto concreti: fai parte della nostra famiglia,della grande famiglia di Dio nella quale tuttiabbiamo un posto. Non rimanere fuori. E voi,sorelle, fate questo! Grazie.

Penso che questo sia il miracolo che ci hairaccontato tu, Vladimir. Hai trovato sorelle efratelli che ti hanno offerto la possibilità di ri-svegliare il cuore e vedere che, in ogni mo-mento, il Signore ti cercava instancabilmenteper vestirti a festa (cfr. Lc 15, 22) e per celebra-re il fatto che ognuno di noi è il suo figlioprediletto. La più grande gioia del Signore èvederci rinascere, per questo non si stanca maidi donarci una nuova opportunità. Per questomotivo, sono importanti i legami, sentire cheapparteniamo gli uni agli altri, che ogni vitavale, e che siamo disposti a spenderla per que-sto.

Vorrei invitarvi a continuare a creare legami.Ad uscire nei quartieri per dire a tanti: anchetu fai parte della nostra famiglia. Gesù hachiamato i discepoli, e ancora oggi chiama cia-scuno di voi, cari fratelli, per continuare a se-minare e trasmettere il suo Regno. Lui contasulla vostra storia, sulla vostra vita, sulle vostremani per percorrere la città e condividere lastessa realtà che voi avete vissuto. Oggi, Gesùpuò contare su di voi? Ognuno di voi rispon-da. Grazie per il tempo che mi avete regalato.E ora vorrei darvi la benedizione, perché il Si-gnore possa continuare a fare miracoli attra-verso le vostre mani. E, per favore, anch’io hobisogno di aiuto; per favore, non dimenticatevidi pregare per me. Grazie!

Fe d emissionaria

La messa celebrata da Francescoin piazza della Libertànella capitale estoneultimo appuntamentodel viaggio papale

Nel pomeriggiodi martedì 25nella cattedraledi Tallinn il Papaha incontratogli assistitidelle operedi caritàdella Chiesa

#nei paesi baltici

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di ZOUHIRLO UA S S I N I

«Una volta che il fanatismo ha incancrenito il

cervello, la malattia è quasi incurabile». Esem-pi che confermano le parole di Voltaire nonmancano, come un caso che sta suscitando unserrato dibattito nel mondo islamico. La di-scussione aperta su Sahih al-Bukhari, la fontepiù importante dell’islam dopo il Corano, me-rita una riflessione.

Sahih è la raccolta degli hadith (“detti”) delprofeta e la base dell’ideologia della morte.Proprio questo legame tra il testo e la violenzasta suscitando perplessità e dubbi su testi con-siderati fino a ieri “sacri”. Qualsiasi enciclope-dia descrive Sahih al-Bukhari (“Sana raccolta”o “Raccolta corretta”) come un’attenta cernitacompiuta tra circa seicentomila detti del profe-ta tutti considerati sommamente affidabili, tan-to da far legge qualora non debbano cedere ilpasso al prioritario dettato coranico. Non solo:per i musulmani sunniti fa parte del credo ri-tenere questa raccolta di origine divina, nono-stante sia stata realizzata quasi due secoli emezzo dopo la morte di Maometto.

Una lettura attenta della biografia dell’imamAl-Bukhari sta rivelando gravi anomalie chemetterebbero in dubbio non solo la veridicitàdi Sahih ma l’esistenza stessa di questa figura.Il confronto si è svolto soprattutto in rete e suicosiddetti social. C’è chi afferma che la primaprova della falsità di questa raccolta va cercatanel Corano stesso, dove si legge molte volteche Maometto altri non è che un uomo nor-male. L’unico miracolo riconosciuto è lo stesso

La malattiadel fanatismo

Il mausoleo di Bukhariin Uzbekistan

#dialoghi

Corano in quanto dettato da Dio. L’esattocontrario si legge negli hadith, dove Maomettoè descritto come una figura santa, eroica, checompie regolarmente miracoli.

La leggenda ampiamente diffusa per quasidodici secoli narra che Al-Bukhari sarebbe na-to nell’810, circa duecento anni dopo la mortedel profeta Maometto, e sarebbe riuscitonell’impresa sovrumana di raccogliere in circasedici anni quasi seicentomila hadith, attri-buendone al profeta duecentomila. Basta unsemplice calcolo matematico per concludereche seicentomila detti in sedici anni significache Al-Bukhari ne avrebbe raccolti circa quat-tro all’ora, cioè uno ogni quarto d’ora per ven-tiquattr’ore al giorno, senza interruzioni. Sup-ponendo che Al-Bukhari non abbia mai dor-mito, né mangiato, né lavorato per guadagnar-si da vivere.

A differenza del Corano, di cui esistono ma-noscritti fin dal tempo del terzo califfoOthman (574-656), su Sahih al-Bukhari nonesiste documentazione scritta né da lui né daisuoi seguaci. Tra la morte di Al-Bukhari el’apparizione dei primi scritti passano ben seigenerazioni. Tantissimi altri fatti mettono indubbio l’autenticità di questo complesso te-stuale, come mostra il libro Sahih Al-Boukhari:fine di una leggenda dello studioso RachidAylal, di cui si trovano in rete ampi stralci tra-dotti, con le posizioni di studiosi e le reazionidei lettori. Aylal mette in dubbio la sacralitàdi Sahih Al-Bukhari e cita alcuni detti che con-traddicono il Corano e talvolta sono addirittu-ra “blasfemi”. La risposta dei fanatici era pre-vedibile: il libro di Aylal fa parte di un com-plotto per distruggere i pilastri dell’islam.

Tutto prevedibile, certo. Non è normale pe-rò che un tribunale marocchino, paese consi-derato tra i più moderati, ha deciso di vietarela vendita e la distribuzione del libro di Aylalcon la motivazione che «alcune pagine di que-sta opera costituiscono un attacco alla sicurez-za spirituale dei cittadini e una violazione del-le regole religiose comunemente accettate».Una «sicurezza spirituale» che trema davanti aun libro prova che alcune certezze alla radicedi tanto male negli ultimi anni sono veramentebasate sul nulla. Questa è la vera tragedia.

Il dibattitosu Sahihal-Bukhariuna fontep ro b l e m a t i c anella tradizioneislamica

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di ENZOBIANCHI

L

Un annunciofatto in ginocchio

7 ottobreXXVII domenica

del tempoo rd i n a r i o

Marco 10, 2-16

Marc Chagall, «Adamo ed Eva»(1911-1912)

a parte più lunga del vangelo di questa do-menica ci testimonia un confronto di Gesùcon alcuni farisei, i quali lo mettono alla pro-va, lo tentano, cercando di sorprenderlo in er-rore riguardo alla tradizione dei padri, sul te-ma della possibilità del divorzio. Questo an-nuncio evangelico è esigente, chiaro: da unaparte ci scandalizza, soprattutto se conosciamola faticosa realtà della vicenda nuziale; dall’al-tra, lo stesso brano può essere utilizzato comeun bastone, per giudicare e condannare chi èin contraddizione con le parole chiare e pienedi parrhesìa pronunciate da Gesù.

Per questo, ogni volta che devo predicare suquesto testo mi metto in ginocchio non solodavanti al Signore, ma anche davanti ai cristia-ni e alle cristiane che vivono il matrimonio,per dire loro che, certo, rileggo le parole diGesù e le proclamo, ma senza giudicare, senzaminacciare, senza l’arroganza di chi si senteimmune da colpe al riguardo, memore di ciòche Gesù afferma altrove: «Chiunque guardauna donna per desiderarla, ha già commessoadulterio con lei nel proprio cuore» (Ma t t e o 5,28). Chi legge queste parole di Gesù non stadall’altra parte, in uno spazio esente dal pec-cato, ma innanzitutto si deve sentire solidalecon quanti, nel duro mestiere del vivere enell’ancor più duro mestiere del vivere nellacoppia la vicenda matrimoniale, sono cadutinella contraddizione alla volontà del Signore.Non posso dunque fare altro che offrire qui al-cuni semplici spunti di meditazione, eco dellaparola di Dio contenuta nelle sante Scritture.

Nel millennio dell’Antico Testamento lapratica del divorzio era comune in tutto il Me-dio oriente e il mondo mediterraneo. Il divor-zio era una realtà normata dal diritto privato,che lo prevedeva solo su iniziativa del marito.Il matrimonio era un contratto, neppure scrit-to, e dobbiamo riconoscere che nell’Antico Te-stamento non vi è nessuna legge sul matrimo-nio. Il brano del D e u t e ro n o m i o a cui certamen-te si riferiscono i farisei (cfr. 24, 1-4) in veritàappartiene alla casistica e non alla dottrina,perché mette a fuoco un caso particolare, e di

conseguenza deve essere recepito con dei limitiben precisi. Si legge in quel testo: «Quandoun uomo ha preso una donna e ha vissuto conlei da marito, se poi avviene che ella non trovigrazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato inlei qualcosa di vergognoso (‘erwat davar, lette-ralmente “nudità di qualcosa”), scriva per leiun certificato di ripudio, glielo consegni inmano e la mandi via dalla casa».

Viene dunque contemplato il caso in cuil’uomo trovi nella moglie «qualcosa di vergo-gnoso», espressione assai vaga che i rabbiniinterpretano in modi molto diversi; in tal caso,il marito ha la possibilità di divorziare. A certecondizioni, pertanto, il divorzio è permesso ene è prevista la procedura, ma da questo nonsi può concludere che nella Torah, nella leggedi Mosè vi sia una dottrina sul matrimonio euna sua precisa concorde disciplina. D’altraparte, i profeti, i sapienti e gli stessi testi esse-nici non offrono posizioni certe e chiare cheescludano il divorzio e proclamino che la leg-ge di Dio lo vieta. Solo il profeta Malachia te-stimonia una parola del Signore semplice maradicale: «Io odio il ripudio» (2, 16).

Ma ecco che Gesù è chiamato dai farisei aesprimersi proprio su questa possibilità: «È le-cito a un marito ripudiare la propria moglie?».Egli risponde con una domanda: «Che cosa viha ordinato Mosè?». Ed essi a lui: «Mosè hapermesso di scrivere un atto di ripudio e di ri-pudiarla». È come se gli dicessero: «Questa èla Torah!». Gesù allora interviene in modosorprendente: non entra nella casistica religio-sa a proposito della Legge; non si mette a pre-cisare le condizioni necessarie al ripudio, comefacevano i due grandi ra b b i del suo tempo,Hillel e Shammai; non si schiera dalla partedei rigoristi né da quella dei lassisti. Nulla ditutto questo: Gesù vuole risalire alla volontàdel legislatore, di Dio. In tal modo egli ci for-nisce un principio decisivo di discernimento

#meditazione

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nel leggere e interpretare la Scrittura: fare rife-rimento all’intenzione di Dio (e non a tradi-zioni umane; cfr. Ma rc o 7, 8.13!), che attraversola sua parola messa per scritto vuole rivelarcila sua volontà.

Questa dunque la replica di Gesù ai suoi in-terlocutori: «Per la durezza del vostro cuore(s k l e ro k a rd ì a ) Mosè scrisse per voi questa nor-ma. Ma nell’“in principio” (b e - re s h i t in ebraico,en archè in greco, Genesi 1, 1) della creazione

verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, nesposa un altro, commette adulterio».

Certo, Mosè ha cercato di umanizzare lapratica del divorzio, imponendo al marito dipercorrere una via giuridica di rispetto per ladonna. Ma Gesù, proprio guardando alla du-rezza di cuore dei destinatari della Torah, osaandare ben oltre, mettendo in evidenza la vo-lontà, l’intenzione del creatore. Del resto, loaveva già fatto altre volte, svelando, per esem-

Dio “li fece maschio e femmina” (Genesi 1, 27)e “per questo l’uomo lascerà suo padre e suamadre e si unirà alla sua donna e i due saran-no una carne sola” (Genesi 2, 24). Così non so-no più due, ma una sola carne. Dunque l’uo-mo non divida quello che Dio ha congiunto».Gesù risale al disegno del creatore, alla crea-zione dell’adam, il terrestre tratto dall’adamah,la terra (cfr. Genesi 2, 7; 3, 19), fatto maschio efemmina perché insieme i due vivano nellastoria, la storia dell’amore, la storia della vita,l’uno di fronte all’altra, volto contro volto, inuna reciproca responsabilità, chiamati nel loroincontro a diventare una sola realtà, una solacarne. In questo incontro di amore c’è la chia-mata a essere amanti come Dio ama, essendolui amore (cfr. 1 Giovanni 4, 8.16), di un amoredurevole, fedele, per sempre; in questo incon-tro c’è l’arte e la grazia del dono gratuito l’unoall’altra, a cominciare dal proprio corpo; c’èl’alleanza che fa sì che l’incontro sia storia neltempo e tenda dunque al «per sempre», finoalla morte, per andare anche oltre la morte.

Questa la volontà di Dio nel creare il terre-stre e nel porlo nel mondo quale sua unica im-magine e somiglianza (cfr. Genesi 1, 26-27). Èun mistero grande, ma tanto grande che è dif-ficile per gli umani fragili, deboli e peccatoriviverlo in pienezza. In verità, sappiamo quantamiseria si sperimenti in questo faticoso incon-tro, come sia facile la contraddizione, comequesto capolavoro dell’arte del vivere insiemenell’amore sia perseguibile, ma mai pienamen-te e solo con l’aiuto della grazia, con l’efficaciadel soffio santo del Signore. Eppure l’annun-cio di Gesù permane, in tutta la sua chiarezza:«L’uomo non divida quello che Dio ha con-giunto». Subito dopo, questa parola dura edesigente viene spiegata da Gesù ai suoi disce-poli, nella casa in cui la comunità si ritrovava.E viene spiegata con un’aggiunta straordinariaper la cultura del tempo, visto che Gesù mettesullo stesso piano la responsabilità dell’uomo equella della donna: «Chi ripudia la propriamoglie e ne sposa un’altra, commette adulterio

pio, la volontà di Dio sul sabato e sulla suaosservanza (cfr. Ma rc o 2, 23-28): sempre Gesùsi fa interprete autentico della Legge non at-traverso vie legalistiche, non attraverso inter-pretazioni fondamentaliste, ma annunciandoprofeticamente la volontà di Dio a tutti, inparticolare ai peccatori pubblici e agli esclusi,da lui sempre accolti, perdonati, mai condan-nati.

D all’annuncio dell’indissolubilità del matri-monio Marco, cambiando scena, passa poi altema dell’accoglienza dei piccoli. Vengonoportati e presentati a Gesù dei “bambini” (pai-dìa), affinché li tocchi, e dunque attraverso ilcontatto fisico comunichi loro forze benefichedi guarigione di benedizione. Nella culturagiudaica del tempo i bambini non contavanonulla, erano di fatto trattati da esclusi, come ledonne e gli schiavi. Il rapporto con un ra b b i èuna relazione importante che riguarda gliadulti, quelli che sono in grado di conoscere eosservare la Torah. Per questo i discepoli inter-vengono a sgridare i bambini, ma Gesù va incollera, si indigna e li rimprovera perché ibambini, come gli altri “esclusi” e “m a rg i n a l i ”,hanno un loro posto nel regno di Dio.

Proprio i bambini e quelli che sono simili aloro per la piccolezza e l’essere scartati e aimargini, sono i primi beneficiari e destinataridel Regno. Non vi è qui nessun ipotetico rife-rimento a un’innocenza dei bambini, ma vienemessa in evidenza la loro condizione di pover-tà, di esclusione, di piccolezza, che attira l’at-tenzione di Gesù. Semmai egli sa individuarein questi bambini una esemplarità nella loroaccoglienza del dono del Regno: stupore, me-raviglia, nessun merito vantato, ma la sempli-cità di chi accoglie il dono dei doni. E cosìGesù ammonisce quanti nella sua comunitàvorrebbero impedire agli esclusi, ai poveri, agliultimi l’accesso a lui. Proprio a questi ultimiva invece la sua tenerezza, la sua benedizione,il suo abbraccio, affinché non si sentano piùabbandonati o messi ai margini.

#meditazione

Gustav Klimt, «Adamo ed Eva»(1917-1918, particolare)

Nei giorni scorsi ho compiuto un viaggioapostolico in Lituania, Lettonia ed Estonia,in occasione del centenario dell’indipendenza

di questi Paesi detti Baltici. Cento anniche essi hanno vissuto per metà sotto il giogo

delle occupazioni, quella nazista, prima,e quella sovietica, poi. Sono popoli che hanno

molto sofferto, e per questo il Signoreli ha guardati con predilezione

Sono sicuro di questo

(udienza generale, 26 settembre)

#controcopertina