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Studio Tributario e Societario Tassazione del reddito: i soggetti passivi del tributo (residenti e non residenti) e le tipologie di reddito. Un approfondimento su redditi fondiari, di capitale e diversi. Il divieto di doppia imposizione economica. Dott. Francesco Pedrotti Master Tributario FY22

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Tassazione del reddito: i soggetti passivi del tributo (residenti e non residenti) e le tipologie di reddito. Un approfondimentosu redditi fondiari, di capitale e diversi. Il divieto di doppia imposizione economica.Dott. Francesco Pedrotti

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Lineamenti generali dell’imposizione redditualeheading

Presupposto oggettivo, soggettivo e territoriale del tributo. La determinazione della base imponibile e la liquidazione dell’imposta. Divieto di doppia imposizione.

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L’art. 1 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito (“Tuir”) identifica il presupposto oggettivo dell’Irpef nel “possesso di redditi”, in denaro o in natura, rientranti nelle categorie reddituali di cui all’art. 6 del medesimo Tuir. Il presupposto oggettivo è, a sua volta, scomponibile in un elemento materiale, rappresentato dal “reddito” e in un elemento soggettivo dato dal concetto di “possesso”.Pur in assenza di una definizione legislativa della nozione di “reddito”, la dottrina ha identificato quest’ultima in ogni incremento patrimoniale che viene ad aggiungersi ad una ricchezza già esistente, con esclusione degli arricchimenti aventi funzione risarcitoria o reintegrativa.

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Possibili elementi di contrasto con l’art. 53 Cost. sono stati ravvisati nel disposto dell’art. 67 comma 1 lett. h ter) del Tuir, secondo il quale costituisce reddito (diverso) un “risparmio di spesa” ossia un mancato decremento patrimoniale, dato dalla differenza tra valore di mercato e corrispettivo annuo, di cui beneficiano a soci o familiari dell’imprenditore in caso di beni d’impresa concessi in godimento. La dottrina ha, infatti, sostenuto che la nozione di reddito possa essere ricollegata solo a concreti incrementi patrimoniali espressivi di effettiva forza economica. Quanto invece al concetto di “possesso”, esso non è riconducibile al diritto civile, ma consiste nella relazione di diritto o di fatto esistente tra un soggetto e la fonte produttiva del reddito che è data, generalmente, da un atto, un’attività oppure un bene.

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In altri termini, è “possessore” del reddito il soggetto titolare di una o più delle fonti reddituali desumibili dall’art. 6 del Tuir. L’introduzione di tassative categorie reddituali comporta quanto segue:- sono soggette a tassazione le sole fattispecie previste da dette categorie. Secondo alcuna dottrina (Falsitta, Manuale dir. trib. Parte spec., 2014), fanno eccezione a questa regola generale: (a) le norme c.d. di “chiusura” in materia di redditi di capitale e di redditi diversi (artt. 44, comma 1, lett. h) e 67, comma 1, lett. l), del Tuir) (b) le norme in tema di tassazione di proventi derivanti da illecito civile, penale o amministrativo, secondo cui detti proventi, qualora non classificabili nelle categorie reddituali ex art. 6, comma 1, del Tuir, sono comunque da considerare redditi diversi.

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- è ad ognuna di queste ultime cui occorre fare riferimento per la qualificazione,determinazione quantitativa e imputazione a periodo (cassa o competenza) delle singole fattispecie reddituali contemplate dalla categoria medesima.

Per quanto concerne il presupposto soggettivo Irpef, sono annoverabili tra i soggetti passivi Irpef le persone fisiche residenti e non residenti nel territorio dello Stato.

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Per i soggetti residenti concorrono a formare la base imponibile i redditi posseduti ovunque prodotti (c.d. “worldwide principle”). Per i soggetti non residenti sono attratti a tassazione in Italia solo i redditi ivi prodotti (c.d. “principio di territorialità”).E’ quindi necessario che il soggetto non residente realizzi uno dei presupposti di cui all’art. 6 e che tale presupposto si verifichi nel territorio dello Stato.

Tali presupposti consistono, generalmente:(i) nel compimento di un’attività nel territorio dello Stato; (ii) nella localizzazione nel territorio stesso del bene produttivo del reddito (c.d.

“criteri di collegamento” analiticamente previsti dall’art. 23 del Tuir).

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Ad esempio, per i redditi di impresa è necessaria la presenza di una «stabile organizzazione» ai sensi dell’art. 162 del Tuir; per i redditi di capitale è necessario che il reddito sia corrisposto: dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato, da stabili organizzazioni istituite in Italia di soggetti non residenti, con esclusione degli interessi e altri proventi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali; per i redditi fondiari, occorre solo, naturalmente, che il bene immobile sia situato in Italia; per i redditi diversi, è necessario che le attività siano svolte dal soggetto non residente nel territorio dello Stato, oppure che i beni ceduti si trovino nel territorio dello Stato, oppure che si tratti di cessioni onerose di partecipazioni in società residenti.

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Sono invece sempre extraterritoriali: (i) le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni «non qualificate»

quotate; (ii) le plusvalenze derivanti dalla cessione onerosa di titoli, diversi da azioni e

quote, e certificati di massa quotati (art. 67 comma 1 c ter) del Tuir); (iii) i redditi derivanti dalla stipula di contratti derivati conclusi in mercati

regolamentati (art. 67 comma 1 c quater) del Tuir) e redditi di cui alla lettera c quinquies) del comma 1 dell’art. 67 derivanti da beni o rapporti quotati o conclusi in mercati regolamentati.

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Costituiscono, invece, eccezioni alle predette regole di territorialità, nel senso che si considerano prodotti nel territorio dello Stato, se corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato, da stabili organizzazioni istituite in Italia di soggetti non residenti:- i compensi per l’utilizzazione di opere dell’ingegno, di brevetti industriali, di

marchi di impresa nonché di processi, formule e informazioni relative ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico (eccezione alla regola di territorialità dei redditi diversi);

- i compensi conseguiti da imprese, società o enti non residenti per prestazioni artistiche o professionali effettuate per loro conto nel territorio dello Stato (eccezione alla regola di territorialità dei redditi di impresa).

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Di seguito un esempio relativo alla territorialità dei redditi di capitale. L’art. 26, comma 5, del D.P.R. n. 600/1973 prevede che i redditi di capitale corrisposti a non residenti, anche se conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali, sono assoggettati a ritenuta a titolo di imposta del 26%.L’art. 26 bis del decreto da ultimo nominato prevede, a certe condizioni, l’esenzione, tra l’altro, dei redditi di capitale, corrisposti a non residenti, derivanti da rapporti di conto corrente (esclusi quelli bancari e postali), con esclusione degli interessi e altri proventi derivanti da quei rapporti di conto corrente, i quali comunque «costituiscano lo strumento per la realizzazione di un’operazione di prestito di denaro» (cfr. Ris. Ag. Entr. n. 58/E/2002, n. 58/E).

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Premesso ciò, valga l’esempio di un contratto di «cash pooling», stipulato da una società italiana con altre società estere del gruppo, il quale prevede quanto segue:- ove il saldo del conto corrente bancario giornaliero della società italiana sia

positivo, la stessa provvede a trasferire detto saldo al c/c bancario della capogruppo;

- ove il saldo del c/c bancario giornaliero della società italiana sia negativo la capogruppo effettua dal suo c/c bancario una rimessa dello stesso importo.

In questo modo il saldo del conto corrente bancario della società italiana sarà sempre pari a zero. Contemporaneamente i predetti movimenti di tesoreria sono registrati in un rapporto di conto corrente non bancario con la capogruppo dal quale scaturiscono reciproche posizione debitorie e creditorie.

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La Ris. Ag. Entr. n. 58/E/2002 ha chiarito che questo rapporto tra la società italiana e la capogruppo estera – detto di cash pooling «zero balance system» –non sottende un prestito di denaro e ciò in quanto:- le rimesse attive della capogruppo estera non comportano un obbligo di

restituzione della società italiana;- le predette rimesse sono reciproche;- il saldo del conto corrente è indisponibile fino a chiusura del conto medesimo.

Di conseguenza gli interessi passivi corrisposti dalla società italiana alla capo gruppo estera, derivanti da un eventuale saldo debitorio della prima nei confronti della seconda, fruiscono del regime di esenzione di cui all’art. 26 bis del D.P.R. n. 600/1973.

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Diverse sono state le conclusioni della Ris. Ag. Entr. n.194/E/2003 in merito ad un contratto di «notional cash pooling» strutturato come segue: - le società del gruppo, residenti in Paesi diversi, stipulano singoli contratti di

conto corrente con la banca X sui quali transitano le operazioni di gestione;- i singoli conti correnti possono avere saldo negativo a condizione che il saldo

globale del conto del gruppo sia non inferiore a zero;- gli interessi originariamente calcolati per ogni società partecipante sono

ricalcolati facendo riferimento non ai saldi dei conti correnti di ciascuna società presso X, ma al saldo complessivo di tutte le società del gruppo nei confronti di X. Si tratta, in pratica, ad un sistema di compensazione degli interessi tra le società del gruppo;

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- la società capogruppo garantisce a X i debiti di ogni singola società partecipante.

In sostanza, non si verifica, come nel cash pooling zero balance, un azzeramento giornaliero dei saldi conto corrente delle diverse società, ma un azzeramento «virtuale» di tali saldi ai soli fini del calcolo degli interessi.Pertanto, ogni singola società può ottenere che il proprio conto corrente risulti a debito usufruendo nella sostanza di una forma indiretta di finanziamento, garantito dalla capogruppo, da parte di X.Per questo, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che gli interessi passivi corrisposti dalla società italiana ad X, derivanti da un eventuale saldo debitorio della prima nei confronti della seconda, non fruiscono del regime di esenzione di cui all’art. 26 bis del D.P.R. n. 600/1973, ma scontano la ritenuta a titolo di imposta prevista dall’art. 26, comma 5, del D.P.R. n. 600/1973.

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Una persona fisica è considerata fiscalmente residente nel territorio dello Stato se, per la maggior parte del periodo di imposta, (i) è iscritta nell’anagrafe della popolazione residente, oppure(ii) ha nel territorio dello Stato il domicilio ai sensi del codice civile, oppure(iii) ha nel territorio dello Stato la residenza ai sensi del codice civile (art. 2 del

Tuir).

Ai fini di contrastare il trasferimento fittizio della residenza fiscale all’estero il legislatore (art. 2, comma 2 bis, del Tuir) ha introdotto una presunzione relativadi residenza in Italia dei cittadini italiani

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(i) cancellati dall’anagrafe della popolazione residente (e generalmente iscritti all’Aire) e

(ii) che hanno trasferito la residenza in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (previsti da apposito D.M.).

Residenza ai sensi art. 43 c.c.: «luogo in cui la persona ha la propria dimora abituale». Rilevano sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo sia la volontà soggettiva di rimanervi. L’abitualità della dimora permane anche quando il soggetto lavori al di fuori del territorio dello Stato, purché conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri l’intenzione di mantenere le proprie relazioni familiari e sociali (Circ. Min. Fin. 1938/1986).Domicilio ai sensi art. 43 c.c.: «sede principale (…) affari e interessi». Prescinde dalla presenza fisica nel luogo. Rilevano non solo i rapporti di natura economica e patrimoniale, ma anche

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morali, sociali e familiari (da ultimo Risp. Ag. Entr. n. 294/2019).

Nel caso in cui una persona fisica sia considerata residente, in base alle relative normative domestiche, in due diversi Paesi, il possibile fenomeno di doppia imposizione giuridica è generalmente eliminato dalla Convenzione contro le doppie imposizioni (eventualmente) stipulata tra i detti Paesi. Esiste comunque una norma interna volta ad eliminare fenomeni di doppia imposizione giuridica dovuti alla mancanza, tra i due Paesi interessati, di una convenzione, ovvero, più in generale, dovuti alla tassazione dello stesso reddito in due Paesi diversi (ad esempio, stabile organizzazione all’estero di un’impresa italiana) (art. 165 del Tuir).

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Più in generale, in relazione al fenomeno della doppia imposizione si osserva quanto segue.La doppia imposizione può essere giuridica oppure economica.Nel caso della doppia imposizione giuridica, la stessa imposta colpisce due volte lo stesso soggetto sullo stesso bene o nell’ambito della stessa operazione. Ove lo stesso soggetto sia colpito da due imposte similari, in due ordinamenti diversi, sulla stessa operazione o sullo stesso bene, si è in presenza di una doppia imposizione giuridica internazionale.Nel caso della doppia imposizione economica, invece, la stessa imposta, oppure imposte similari, colpiscono due soggetti diversi (produzione del reddito e distribuzione dell’utile).

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In ambito domestico l’art. 163 del Tuir vieta il fenomeno della doppia imposizione. Altre norme sono volte ad eliminare od attenuare sia la doppia imposizione giuridica (ad es. art. 115 comma 12 del Tuir) sia quella economica (ad es. art. 87 del Tuir). L’art. 163 del Tuir prevede che «La stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi».Secondo parte della dottrina, la locuzione «stesso presupposto» va riferita non alla stessa materia imponibile in senso economico, bensì al singolo fatto fiscalmente rilevante, ossia quell’evento cui la legge ricollega effetti impositivi.In proposito si consideri il seguente esempio relativo alla donazione di azienda tra società di capitali.

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L’art. 163 non si applica – quindi l’operazione è soggetta ad Ires sia in capo al donante (art. 86 comma 1 c) del Tuir) sia in capo al donatario (art. 88 comma 3 lett. b) del Tuir) – in quanto i presupposti, cioè gli eventi fiscalmente rilevanti, sono diversi, ossia: (i) cessione gratuita in capo al cedente e (ii) conseguimento di una liberalità in capo al cessionario (cfr. Porcaro, Il divieto di doppia imposizione nel diritto interno, Padova, 2001, 89-91). La Cass. n. 27625/2018 non ha ritenuto trattarsi di «stesso presupposto» la plusvalenza da cessione immobiliare dichiarata da un soggetto «interposto», ex art. 37, comma 3, del DPR n. 600/1973 e quella accertata, in quanto non dichiarata, in capo al soggetto «interponente» cioè colui che ha effettivamente percepito il corrispettivo di vendita del bene immobile.

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Secondo la stessa dottrina la locuzione «stessa imposta» deve riferirsi al solo caso in cui sia applicato il medesimo tributo dal punto di vista nominativo (due volte l’Ires o due volte l’Irpef) e non in caso di imposta con identità di effetti, natura o ratio (cfr. Porcaro, cit., 96).Da quanto sopra discende che la locuzione «soggetti diversi» riguardi due soggetti che hanno realizzato lo stesso presupposto e sono stati colpiti dalla stessa imposta.

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Non può quindi rientrare nell’ambito applicativo della norma in questione la doppia imposizione (economica) degli utili societari.In ambito internazionale vi sono norme volte ad eliminare sia la doppia imposizione giuridica che economica (quelle contenute nella Direttiva UE n. 435/1990 c.d. Direttiva Madre-Figlia) sia norme che mirano ad eliminare la sola doppia imposizione giuridica (art. 23 Modello OCSE contro le doppie imposizioni).

Nella Direttiva Madre-Figlia il metodo di eliminazione della doppia imposizione è: quello dell’esenzione o del credito di imposta sui dividendi concessi nel Paese di residenza della società Madre (doppia imposizione economica), oppure quello dell’esenzione sui dividendi concessi dallo Stato della fonte (doppia imposizione giuridica).

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Nell’art. 23 del Modello OCSE il metodo di eliminazione della doppia imposizione è sia quello dell’esenzione sia quello del credito di imposta.

Il presupposto dell’Irpef – il possesso di redditi – è una situazione di fatto in grado di protrarsi per un periodo temporale anche lungo. Il legislatore ha suddiviso detto periodo temporale in frazioni rappresentate dai periodi di imposta, coincidenti, per quanto riguarda le persone fisiche e le società di persone e soggetti equiparati, con l’anno solare.Il principio generale è che ad ogni periodo di imposta è correlata un’obbligazione tributaria autonoma.Costituiscono deroghe a questo principio generale:- le norme in materia del riporto in avanti delle perdite fiscali realizzate dalle

imprese;- le norme in materia di “tassazione separata” (vedi infra).

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Con riguardo ad ogni singolo periodo di imposta, il soggetto passivo Irpef deve quindi: (i) determinare la base imponibile del tributo e liquidare ed assolvere l’obbligazione tributaria. Più in particolare, detto soggetto deve, all’interno della dichiarazione annuale dei redditi, effettuare le seguenti operazioni:1. Qualificare e determinare i redditi appartenenti alle singole categorie

secondo le norme previste per ciascuna di esse.2. Sommare algebricamente i redditi delle diverse categorie quantificando, in

tal modo, il “reddito complessivo”.Non concorrono a formare il “reddito complessivo”, tra l’altro:(i) i redditi esenti dall’imposta;(ii) i redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o ad imposta

sostitutiva;

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(iii) i redditi soggetti a tassazione separata.In ordine a questi ultimi, tassativamente elencati dall’art. 17 del Tuir, si osserva che:

(a) trattasi di redditi a formazione pluriennale essenzialmente divisibili nelle seguenti categorie:

(a1) redditi derivanti dalla cessazione di un’attività lavorativa; (a2) redditi conseguiti a seguito di eventi eccezionali;(b) ratio di questo regime impositivo è evitare che redditi formatisi in più anni, e percepiti in un unico periodo di imposta, subiscano un carico fiscale oltremodo penalizzante a causa della progressività dell’Irpef;

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(c) tali redditi, ad eccezione del TFR (art. 19 del Tuir), sono tutti tassati mediante il seguente schema: (c1) si sommano i redditi complessivi netti dichiarati nei due anni precedenti e si divide per due; (c2) si calcola l’aliquota media relativa all’ammontare da ultimo indicato; (c3) si applica questa aliquota al reddito soggetto a tassazione separata;(d) nel caso in cui il sistema di calcolo descritto nel punto (c) sia penalizzante per il contribuente, quest’ultimo può optare per la tassazione “ordinaria” del reddito percepito.

3. Sottrarre dal “reddito complessivo” gli oneri deducibili e giungere al “reddito imponibile”.

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A questo punto occorre notare che, attesa la personalità del tributo in questione, il legislatore consente di tener conto anche di oneri e spese attinenti la sfera soggettiva del contribuente anche se estranei alla produzione dei singoli redditi. Oneri e spese tassativamente indicati e di natura eterogenea. Tra le deduzioni dal reddito complessivo (art. 10 del Tuir), le quali favoriscono i contribuenti con reddito più elevato, figurano, tra le altre, i contributi previdenziali e assistenziali obbligatori, nonché alcuni di quelli facoltativi e integrativi.

4. Liquidazione dell’imposta lorda (con aliquote e scaglioni di cui all’art. 11 del Tuir) e scomputo dalla stessa delle detrazioni di imposta.

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Le detrazioni di imposta, in quanto provocano un risparmio quantitativamente identico per tutti i contribuenti, favoriscono quelli con redditi più bassi.

Vi sono diverse tipologie di detrazioni di imposta:(i) le detrazioni per oneri, pari al 19% dell’ammontare dell’onere stesso, tra le

quali sono comprese: (a) le spese sanitarie mediche e chirurgiche per la parte che eccede Euro 129,11

con la possibilità di ripartire la detrazione in quattro rate annuali ove l’importo ecceda Euro 15.493,71

(b) gli interessi passivi per l’acquisto dell’abitazione principale per un importo massimo di Euro 4.000 (art. 15 del Tuir).

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La Risp. Ag. Entr. n. 218/2019 ha analizzato il caso di una persona fisica residente in Austria, in possesso di un fabbricato sito in Austria adibito ad abitazione principale, la quale ha chiesto di poter detrarre in Italia, ai sensi dell’art. 24, comma 3, del Tuir, gli interessi passivi sul mutuo fondiario per l’acquisto di tale fabbricato e ciò a motivo del fatto che detto soggetto percepisce un reddito di lavoro dipendente da un ente pubblico italiano, soggetto ad imposizione solo in Italia ai sensi dell’art. 19 del Trattato Italia-Austria contro le doppie imposizioni, il quale concorre a formare il reddito complessivo in Italia ai sensi dell’art. 24, comma 1, del Tuir. L’Agenzia delle Entrate ha negato tale possibilità sostenendo che l’immobile è sitoin Austria.Obiezioni: l’art. 15, comma 1, lett. b), del Tuir non richiede che l’immobile adibito ad abitazione principale sia in Italia;

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Possibile violazione libertà di stabilimento ai sensi art. 49 TFUE ? Discriminazione del soggetto residente in Austria ?

(ii) le detrazioni per carichi di famiglia il cui importo decresce con l’aumentare del reddito complessivo del soggetto avente diritto. Trattasi della detrazione per il coniuge non legalmente separato, dei figli a carico e degli altri familiari per i quali sussiste l’obbligo di mantenimento (art. 12 del Tuir). Per “familiare” si intende, ai fini delle imposte sui redditi, oltre il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado (art. 5, comma 5 del Tuir).Per familiare «a carico», per il quale spettano le detrazioni di famiglia, si intende il soggetto con un reddito complessivo non superiore a Euro 2.840,51 elevato ad Euro 4.000 per i figli di età non superiore a 24 anni (cfr. art. 12, comma 2, del Tuir).

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Per i genitori, non legalmente ed effettivamente separati, la detrazione per figli a carico spetta al 50% ciascuno ovvero a quello con reddito complessivo più elevato. Per i genitori legalmente ed effettivamente separati, ovvero divorziati, la spettanza della detrazione dipende dall’affidamento dei figli;(iii) le detrazioni c.d. “oggettive” (art. 13 del Tuir) in presenza di determinati redditi: (a) redditi di lavoro dipendente (comprese le pensioni) se inferiori a determinati importi (b) redditi di lavoro autonomo e di impresa minore (c) redditi diversi derivanti da attività commerciali e professionali non esercitati abitualmente.

Anche l’ammontare delle detrazioni in parola diminuisce con l’aumentare del reddito.

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5. Dall’imposta netta si scomputano, nell’ordine, (i) l’ammontare dei crediti per le imposte pagate all’estero (ii) gli acconti Irpef (iii) le ritenute a titolo di accontosubite, anteriormente alla presentazione della dichiarazione dei redditi, sui redditi che concorrono a formare il reddito complessivo e su quelli tassati separatamente (art. 22, comma 1, del Tuir).

Con specifico riguardo agli acconti Irpef, merita rilevare che gli stessi sono stati previsti per avvicinare il pagamento dell’imposta al momento della produzione del reddito. Essi vanno versati nei mesi di giugno e novembre dell’anno precedente la presentazione della dichiarazione dei redditi.

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Approfondimenti

I redditi fondiari e i redditi diversi

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I redditi fondiari riguardano beni immobili, terreni e fabbricati, i quali soddisfino entrambe le seguenti condizioni (i) sono situati nel territorio dello Stato (ii) sono iscritti o iscrivibili nel catasto.

I beni immobili situati all’estero, oppure non iscrivibili in catasto, non producono redditi fondiari bensì redditi diversi. La regola generale è che i redditi fondiari non sono, generalmente, quantificati in base al reddito effettivo, ma in base ad un reddito medio ordinario, delle unità catastali elementari, il quale tende a coincidere con il reddito effettivo. Infatti, il reddito è «medio» in quanto basato sulla media dei canoni locativi e di affitto mediamente pattuiti sul mercato in un dato periodo ed è «ordinario» in quanto provento che tiene conto della destinazione ordinaria e permanente del bene e delle sue caratteristiche al momento del classamento.

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Con riguardo alle risultanze catastali si osserva, in sintesi, quanto segue:

- il catasto è una sorta di “inventario” nel quale trovano descrizione: (i) i beni immobili localizzati nel territorio dello Stato (ii) i relativi proprietari o titolari di diritto reale di godimento (iii) i redditi (catastali) dei beni stessi;

- le unità catastali elementari sono, per i terreni, la particella catastale e, per i fabbricati, l’unità immobiliare urbana.

La prima è una porzione continua di terreno appartenente allo stesso soggetto avente la medesima qualità e classe. La seconda è rappresentata da tutti i fabbricati e dalle costruzioni stabili idonei, di per sé stessi, a produrre un reddito autonomo;

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- ad ogni particella catastale e ad ogni unità immobiliare è attribuita una rendita catastale presa a base per la determinazione dell’imponibile delle imposte reddituali e le addizionali Irpef (per i fabbricati la norma è mutata dal 2012 vedi infra).

L’attribuzione di rendita alle particelle catastali avviene attraverso due distinte operazioni: (i) la misura e (ii) la stima (o classamento o estimo) delle stesse.

L’attribuzione di rendita alle unità immobiliari è effettuata mediante: (i) la determinazione della categoria (abitazione, ufficio, negozio, ecc.) e della classe di appartenenza (abitazione civile, popolare, di lusso, ecc.).

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Il reddito medio ordinario così determinato non coincide dunque con il reddito effettivo prodotto dal bene, ma con la astratta capacità a produrlo.

Questo metodo di determinazione della base imponibile – il quale potrebbe far sorgere dubbi di incostituzionalità – è stato giustificato dalla Consulta, fondamentalmente, da ragioni di carattere “agevolativo” quali: (i) l’incentivo alla produzione agricola e, in specie, al produttore più capace a scapito di quello meno efficiente (ii) evitare eccessivi adempimenti documentali ai coltivatori diretti (Corte Cost. 229/1985). Un esempio di modalità di determinazione dei redditi fondiari era dato dai fabbricati, e relative pertinenze, costituenti “abitazione principale” del proprietario o titolare di diritto reale.

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La rendita catastale dell’abitazione e pertinenze, reddito figurativo e non effettivo, concorreva a formare il reddito complessivo, ma non la base imponibile Irpef e relative addizionali per effetto della deduzione di cui all’art. 10 del Tuir.

Con l’art. 8 del D.Lgs. n. 23/2011, a decorrere dal periodo di imposta 2012, l’Imuha sostituito, per la componente immobiliare, Irpef e relative addizionali dovuti su redditi fondiari relativi a beni (fabbricati e terreni) non locati.

Con l’introduzione del menzionato art. 8 del D.Lgs. n. 23 del 2011 non si rende dovuta l’Irpef:- sul reddito fondiario dei fabbricati non locati;- sul reddito dominicale dei terreni non locati.

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Ai sensi dell’art. 9, ultimo comma, del D. Lgs. n. 23/2011 sono comunque soggetti ad Irpef gli immobili esenti da Imu come, ad esempio, i terreni posseduti da coltivatori diretti.

I redditi fondiari sono imputati, proporzionalmente alla durata del possesso nel periodo di imposta, ai possessori degli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale. In caso di usufrutto, il nudo proprietario non deve dichiarare alcun reddito fondiario.

Tutto ciò considerato, i redditi fondiari si distinguono in: (i) redditi dominicali dei

terreni (ii) redditi agrari dei terreni (iii) redditi dei fabbricati (art. 25, comma 2,

Tuir).

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Il reddito dominicale dei terreni deriva dal mero possesso del bene a titolo di proprietà o di altro diritto reale, indipendentemente dalla coltivazione o meno del fondo. Sono esclusi: i terreni pertinenziali a fabbricati urbani, quelli affittati per usi non agricoli, quelli posseduti da società commerciali di persone, società e enti commerciali soggetti Ires e stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti esteri.

La base imponibile è data, come accennato, dalle tariffe d’estimo e può variare, previa comunicazione del contribuente all’UTE, in caso di sostituzione della qualità della coltura del terreno o a causa della diminuzione, non transitoria o intenzionale, della capacità produttiva del terreno stesso.

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Concorre a formare il reddito la sola rendita catastale rivalutata anche se il proprietario del fondo percepisce somme per lo sfruttamento delle colture (affitto a coltivatore diretto). Se invece il proprietario del fondo concede in usufrutto, dietro corrispettivo, il terreno, il reddito dominicale è dichiarato dall’usufruttuario, mentre il proprietario dichiarerà un reddito diverso. Il reddito agrario dei terreni deriva invece dall’esercizio, sul terreno stesso, dell’”attività agricola” (il cui concetto vedremo tra breve).Se il proprietario del fondo svolge anche attività agricola esso dichiarerà sia il reddito dominicale sia quello agrario. Se il proprietario del fondo lo concede in affitto, il proprietario sarà titolare del reddito dominicale, mentre l’affittuario sarà titolare del reddito agrario.

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Anche nel caso del reddito agrario, la base imponibile è costituita da apposite tariffe d’estimo rivalutate, indipendentemente quindi dai costi e ricavi effettivi attinenti l’attività agricola.

Le rendite catastali, ai fini della determinazione della base imponibile Irpef del reddito dominicale e del reddito agrario, devono essere rivalutate, rispettivamente, dell’80% e del 70% (art. 3 comma 50 L. n. 662/1996).

Per il concetto di “attività agricola” si rimanda all’art. 32, comma 2, del Tuir. Al riguardo si osserva, in breve, quanto segue:

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- l’individuazione dell’attività agricola, ai fini delle imposte sui redditi, avviene in base a parametri qualitativi (tipo di attività svolta sul terreno es. allevamento o commercializzazione prodotti) e quantitativi (rapporto tra l’attività svolta e i prodotti ottenibili dal fondo o la superficie del terreno);

- al principio fissato nell’alinea precedente fa eccezione la coltivazione del fondo, la quale, presentando sempre una forte correlazione con il terreno lavorato, produce in ogni caso reddito agrario indipendentemente dei mezzi tecnologici utilizzati;

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- secondo alcuni autori, il superamento dei summenzionati parametri quantitativi attrae tutto il reddito derivante dall’attività agricola (determinato dalla differenza tra ricavi e costi effettivi) nel reddito di impresa. Secondo altri, invece, è attratta nella sfera del reddito di impresa la sola quota parte di reddito eccedente i parametri quantitativi suddetti con la conseguenza che la quota parte del reddito entro detti parametri concorre a formare il reddito complessivo del soggetto su base catastale (Falsitta) (vedi art. 55 comma 1 Tuir).

Se l’attività agricola, anche svolta entro i parametri quantitativi di cui sopra, è

esercitata da società o enti commerciali (di persone o di capitali), il reddito

effettivo prodotto costituisce sempre reddito di impresa (art. 55, comma 2, lett.

c) Tuir).

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In via agevolativa è previsto che società di persone, S.r.l. e società cooperative, considerate “società agricole” ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n. 99/2004, possano optare per la determinazione del reddito dell’attività agricola su base catastale.

Per quanto concerne il reddito dei fabbricati, già si è detto che esso è costituito dal reddito medio ordinario relativo ad ogni unità immobiliare urbana suscettibile di produrre reddito autonomo.Il reddito delle unità immobiliari non ancora iscritte in catasto è stabilito in base a quello delle unità già iscritte aventi caratteristiche simili.Non sono considerati idonei a produrre reddito di fabbricati:

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- fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto (questi immobili sono completamente detassati);

- i fabbricati rurali e relative pertinenze destinate ad abitazione delle persone addette all’attività agricola, oppure a ricevere animali o attrezzi agricoli;

- i fabbricati “relativi” ad imprese commerciali o utilizzati come beni strumentali nell’esercizio di arti o professioni.

Con riguardo ai fabbricati d’impresa si osserva che (art. 43 del Tuir) nonproducono redditi fondiari: (i) i fabbricati alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa (ii) i fabbricati strumentali per l’esercizio dell’attività dell’impresa.

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Tra questi ultimi troviamo quelli strumentali “per natura” (categorie catastali A10, C, D) e quelli strumentali “per destinazione”.

I fabbricati strumentali per natura sono quelli che, per loro caratteristiche, non sono suscettibili di diversa destinazione senza radicali trasformazioni. Essi danno sempre luogo a componenti reddituali attratti nel regime d’impresa anche se non utilizzati nell’esercizio dell’impresa stessa (anche se dati in locazione), a patto che, in caso di imprese individuali, essi siano iscritti nell’inventario (Cass. n. 772/2011).

I fabbricati strumentali per destinazione sono quelli che producono redditi di impresa solo se effettivamente utilizzati nell’esercizio dell’attività dell’impresa.

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In caso di locazione del fabbricato, concorre a formare il reddito il maggiore valore tra il canone di locazione (ridotto del 5% a titolo di deduzione forfetaria di spese o del 25% in caso di immobili di interesse storico o artistico) e la rendita catastale rivalutata del 5% (art. 37, comma 4 bis, del Tuir). I canoni locativi di fabbricati abitativi, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità.

I canoni relativi a fabbricati abitativi (e pertinenze) (art. 3 D.Lgs. n. 23/2011) e commerciali (categ. catast. C/1, negozi, art. 1, comma 59, L. n. 145/2018), posseduti da PF non esercenti imprese arti e professioni, sono assoggettabili, previa opzione del contribuente, in deroga al regime ordinario, ad imposta sostitutiva del 21%. Tale imposta sostituisce Irpef, relative addizionali e imposte registro e bollo dovute sul contratto di locazione.

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Venendo ora ai redditi diversi, categoria di carattere residuale, si nota come essa contempli presupposti tra loro eterogenei il cui unico punto in comune è di non ricadere nelle altre categorie reddituali. Tra i redditi diversi figurano, in primo luogo, le plusvalenze derivanti dalla cessione di alcuni beni. Trattasi di: (i) terreni lottizzati (ii) terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria (iii) fabbricati (iv) partecipazioni e altri strumenti finanziari. Nel primo caso viene effettuata la trasformazione della natura del terreno (ad esempio un terreno agricolo) attraverso:

(a) procedure formali previsti dalle norme (“lottizzazione”, cioè suddivisione di un terreno in parti autonomamente utilizzabili)

(b) attività che di fatto rendono possibile un’utilizzazione urbanistica dei terreni (“opere intese a renderli edificabili”) (cfr. art. 67, comma 1, lett. a), del Tuir e Cass. n. 6836/2001).

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Dopo la lottizzazione o le opere suddette la vendita di terreni e degli edifici, costruiti sui terreni stessi, può dare luogo a una plusvalenza determinata dalla differenza tra il corrispettivo percepito e il prezzo di acquisto o di costruzione, aumentato di ogni altro costo inerente al bene stesso.

Le plusvalenze sono imponibili anche se il terreno è stato acquisito per donazione o successione.

Secondo questo criterio sono imponibili anche le plusvalenze sulla vendita di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo il PGT comunale vigente al momento della cessione.

Infine, le plusvalenze derivanti dalla vendita dai fabbricati non sono tassate ai fini Irpef se:

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- il fabbricato è stato adibito, per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto e la cessione, ad abitazione principale;

- il fabbricato è stato acquisito per successione;- tra l’acquisto e la cessione sono trascorsi più di cinque anni.

La plusvalenza può essere soggetta, su opzione del cedente, ad imposta sostitutiva del 20%.

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CASO

Una persona fisica (PF), proprietaria di un fabbricato C/2 (uso commerciale), previa trasformazione in tre unità immobiliari e cambio di destinazione in A/3 (abitazioni), cede le tre unità realizzando una plusvalenza, la quale è stata annoverata tra i Redditi di impresa e non tra i redditi diversi in quanto l’intervento realizzato sull’immobile originario (C3) non è finalizzato al proprio uso o della propria famiglia, ma al fine di una vendita a terzi operando una destinazione d’uso avvalendosi di un’organizzazione produttiva idonea, svolgendo un’attività protrattasi nel tempo (cfr. Risp. Ag. Entr. n. 152 del 2010).

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Tra i redditi diversi figurano, inoltre:

(i) quelli derivanti da attività commerciale e lavoro autonomo non esercitate abitualmente (caso della vendita di beni non previsti dall’art. 67 del Tuir. Es. auto, opere d’arte. Concetto di «atto» o «attività»), nonché quelli derivanti dall’assunzione di obblighi di “fare”, “non fare” e “permettere”;

(ii) le vincite delle lotterie e dei concorsi a premio, dei giochi e delle scommesse;(iii) i terreni dati in affitto per usi non agricoli;(iv) usufrutto e sublocazione di beni immobili;(v) affitto e usufrutto di aziende.

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Approfondimenti

I redditi di capitale e i redditi diversi di naturafinanziaria.

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La riforma tributaria del 1997-1998 – posta in essere con la legge delega n. 662/1996 e il decreto delegato n. 461/1997 – ha meglio definito la distinzione tra redditi, rappresentati da un differenziale, derivante da uno “scambio” (redditi diversi di natura finanziaria art. 67 Tuir) e redditi, generalmente correlati al decorso del tempo, derivanti dall’impiego di un capitale (redditi di capitale art. 44 Tuir).

Per “impiego di capitale” si intende il passaggio del medesimo nella temporanea disponibilità di un altro soggetto, dal quale (passaggio) promani una “novella ricchezza”, una remunerazione, a favore di colui che si è privato di quel capitale. Rientrano in questa categoria reddituale i frutti o proventi ritraibili dall’impiego di capitale ancorché non predeterminati o predeterminabili (utili di partecipazione).

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Il legislatore ha inserito nel Tuir due norme residuali (l’art. 44, comma 1., lett. h) e l’art. 67, comma 1, lett. c-quinquies), le quali, oltre a rivestire funzione antielusiva, consentono di cogliere la differenza tra le categorie reddituali in esame.

Venendo ai redditi di capitale, il legislatore non ha fornito una definizione generale di tale categoria, ma ha previsto un’elencazione di tipo casistico dei proventi in essa rientranti. Ciò nonostante è comunque possibile suddividere i redditi di capitale nei seguenti macro gruppi:- gli interessi e altri proventi relativi a mutui, depositi e conti correnti bancari,

obbligazioni e titoli similari, certificati di massa ecc..E’ stata recentemente prevista una nuova fattispecie di reddito di capitale (art. 44, comma 1, lett. d-bis; del Tuir) costituita dagli

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interessi e altri proventi derivanti da finanziamenti su piattaforme non professionali (c.d. peer to peer lending), percepiti da persone fisiche, gestite da intermediari finanziari ex art. 106 TUB, oppure istituti di pagamento, ex art. 114 del TUB, autorizzati da Banca d’Italia. Questi redditi di capitale sono soggetti, ad opera dei predetti intermediari, ad una ritenuta a titolo di imposta del 26% (cfr. art. 1 comma 44 legge di Bilancio 2018). In caso di interessi percepiti, da persone fisiche residenti in Italia, su piattaforme estere, per la riscossione dei quali non interviene alcuno dei suddetti intermediari, essi sono da inquadrare tra i redditi di capitale di cui alla lett. a), del comma 1, dell’art. 44 del Tuir e devono essere indicati in dichiarazione dei redditi e concorrono a formare il reddito complessivo (cfr. Risp. Ag. Entr. n. 169/2020).

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- utili da partecipazione (in società o enti, associazione in partecipazione e cointeressenza artt. 2549 ss. del codice civile). L’art. 44 del Tuir assimila agli utili da partecipazione i proventi derivanti da strumenti finanziari partecipativi di cui all’art. 2346 c.c.

Quanto agli utili derivanti da contratti di AIP, ovvero di cointeressenza c.d. impropria (partecipazione agli utili, ma non alle perdite), per aversi «utile da partecipazione» è necessario che l’apporto del associato o del cointeressato sia di solo capitale o misto (capitale e opera). Se l’apporto è di sola opera, l’utile percepito costituisce reddito di lavoro autonomo e non di capitale.

Quanto alla remunerazione da strumenti finanziari partecipativi,

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per aversi assimilazione agli «utili da partecipazione» è necessario che essa sia costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente;

- altri proventi derivanti o meno da un impiego di capitale (proventi ritraibili da O.I.C.R., proventi derivanti da contratti di pronti contro termine, rendite perpetue, compensi per prestazione di fideiussione o di altra garanzia, redditi provenienti da trust, ecc.);

- la già menzionata norma residuale di cui all’art. 44, comma 1, lett. h), del Tuir.

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Il Tuir prevede alcune regole generali comuni a tutti i redditi di capitale in termini di: 1. Base imponibile;2. Imputazione a periodo; 3. Regimi impositivi.

1. La tassazione “al lordo” senza possibilità di deduzione di eventuali spese (art. 45 comma 1 Tuir). La logica di tale norma risiede nel fatto che la produzione dei redditi di capitale non avviene generalmente mediante lo svolgimento di un’attività che possa, come tale, dare luogo al sostenimento di costi.

2. La tassazione nel periodo di imposta in cui sono “percepiti”, ossia “incassati”.

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Fanno eccezione a tale regola:

(i) gli interessi sui capitali dati a mutuo che si presumono percepiti, salvo prova contraria, alla scadenza e nella misura pattuite per iscritto, oppure, in mancanza di atto scritto, nell’ammontare maturato nel periodo di imposta al tasso legale previsto dal codice civile (0,2% dall’1.1.2016) (art. 45, comma 2, Tuir);

(ii) i redditi di capitale rientranti nel regime del c.d. “risparmio gestito” costituito dall’affidamento di capitali a un intermediario finanziario per la gestione individuale di portafoglio.

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Particolarità di tale regime sono: (a) l’applicazione da parte dell’intermediario di un’imposta sostitutiva del 26% sul risultato netto della gestione maturato nel periodo di imposta (art. 7 D.Lgs. n. 461/1997) (b) la compensabilità tra redditi di capitale e minusvalenze o differenziali negativi rientranti nella categoria dei redditi diversi di natura finanziaria (c) il riporto a nuovo dell’eventuale risultato netto negativo della gestione di portafoglio; (iii) gli interessi su conti correnti e certificati di deposito sono tassati in base al criterio di maturazione;(iv) gli interessi su titoli sono tassati al momento della loro esigibilità, ossia quando sorge il diritto ad ottenerne la liquidazione (ad esempio, data di scadenza della cedola interessi o di rimborso del titolo per il differenziale tra il prezzo di rimborso e il prezzo di emissione).

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3. Quanto al regime impositivo va detto, in generale, che l’obbligo impositivo sui redditi di capitale (e sui redditi diversi di natura finanziaria) è assolto attraverso l’applicazione di una ritenuta alla fonte a titolo di imposta ovvero di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, ad opera del soggetto emittente o di quello che interviene nella riscossione (banca, società di assicurazione, ecc).

E’ invece raro che l’imposta sostitutiva sia liquidata in dichiarazione dei redditi (esempio: cessioni di partecipazioni “qualificate e non” in regime c.d. dichiarativo e alcuni redditi di capitale di fonte estera).

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A titolo esemplificativo:

(i) sono soggetti a ritenuta a titolo di imposta del 26% gli interessi su conti correnti e certificati di deposito, gli interessi e altri proventi su titoli italiani (ad esempio obbligazioni e titoli similari e cambiali finanziarie)

(ii) sono soggetti ad imposta sostitutiva del 26% gli interessi e altri proventi su titoli esteri e su titoli di banche e società quotate italiane

(iii) sono soggetti ad imposta sostitutiva del 12,5% gli interessi e altri proventi su titoli di Stato italiani, titoli di Stato esteri white list e titoli emessi da enti sovranazionali (BEI, Banca Mondiale, ecc.);

(iv) gli utili derivanti da partecipazioni “qualificate e non” sono soggetti a ritenuta a titolo di imposta del 26%.

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L’art. 47, comma 7, del Tuir considera “utile” – da partecipazioni “qualificate” o “non” – anche la differenza tra le somme ricevute, o il valore normale dei beni ricevuti, e il prezzo pagato per l’acquisto o sottoscrizione delle partecipazioni, in caso di: recesso ed esclusione da soggetti Ires, riscatto delle quote o delle azioni, liquidazione della società e riduzione del capitale sociale esuberante.Per quanto concerne la tassazione dei redditi di capitale corrisposti da O.I.C.V.M. si osserva in sintesi quanto segue:

- i redditi di capitale corrisposti dagli organismi di diritto nazionale (fondi comuni mobiliari aperti e chiusi e S.I.C.A.V.), nonché da quelli esteri autorizzati al collocamento in Italia ai sensi del D.L. n. 476/1956 (c.d. Fondi lussemburghesi storicamente autorizzati) sono soggetti a ritenuta a titolo di imposta del 26%;

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- i redditi di capitale corrisposti da O.I.C.V.M. di diritto estero, situati in Paesi U.E. o in Paesi SEE (Islanda, Norvegia e Liechtenstein) inclusi nell’elenco di Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazioni contenuti nei decreti di cui all’art. 11, comma 4, lett. c), del D.Lgs. n. 239/1996, le cui quote sono collocate in Italia ai sensi dell’art. 42 del T.U.F., sono soggetti a ritenuta d’imposta del 26%, prelevata dai soggetti incaricati dal fondo estero al pagamento di detti redditi, a condizione che:

(i) gli O.I.C.V.M. siano conformi alla Direttiva UE 13 luglio 2009 2009/65/CE, oppure

(ii) ove gli O.I.C.V.M. non siano conformi alla Direttiva UE 13 luglio 2009 2009/65/CE, se il relativo gestore, situato in Paesi U.E. o

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in Paesi SEE inclusi nell’elenco di Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazioni contenuti nei decreti di cui all’art. 11, comma 4, lett. c), del D.Lgs. n. 239 del 1996, è soggetto a forme di vigilanza nel Paese estero nel quale è istituito ai sensi della Direttiva UE 8 giugno 2011, n. 2011/61/UE (cfr. art. 10 ter, commi 1 e 2, L. n. 77/1983 e Circ. Ag. Entr. 4 giugno 2013, n. 19).

Se le quote o azioni degli O.I.C.V.M. di diritto estero sono collocate all’estero, o i relativi proventi sono conseguiti all’estero, la ritenuta a titolo di imposta è applicata dai soggetti di cui all’art. 23 del D.P.R. n. 600/1973 che intervengono nella loro riscossione. Se tali proventi non confluiscono in Italia il contribuente

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dovrà esporli in dichiarazione dei redditi ed assoggettarli ad imposta sostitutiva del 26%:- i redditi di capitale corrisposti da O.I.C.R. di diritto estero, diversi da quelli di

cui ai commi 1 e 2 dell’art. 10 ter della L. n. 77/1983, concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente in dichiarazione dei redditi (cfr. art. 10 ter, comma 6, L. n. 77/1983), previa applicazione di una ritenuta di acconto del 26% da parte dei soggetti che eventualmente intervengono nella loro riscossione da trusts soggetti passivi Ires con (cfr. art. 10 ter, comma 7, L. n. 77/1983).

Per quanto concerne, infine, i redditi di capitale derivanti dai trusts, sono tali quelli imputati, per trasparenza, da trusts soggetti passivi

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Ires con beneficiari individuati, in proporzione alla rispettiva quota di partecipazione. (cfr. art. 73, comma 2, del Tuir e art. 44, comma 1, lett. g sexiesdel Tuir).

Per quanto concerne i redditi diversi di natura finanziaria, il legislatore, ai fini del regime impositivo applicabile, ha suddiviso le plusvalenze su partecipazioni in due categorie: la prima di esse comprende le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni “qualificate e non” in società italiane, in società estere a regime fiscale ordinario e in società estere a regime fiscale privilegiato “non qualificate” quotate, mentre la seconda comprende le plusvalenze da cessione di partecipazioni in società estere a regime fiscale privilegiato non quotate.

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Ai fini di cui sopra sono “qualificate” le partecipazioni che rappresentano una percentuale superiore al 2% o al 20% dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria, ovvero al 5% o al 25% del capitale o del patrimonio, a seconda che si tratti, rispettivamente, di titoli quotati in mercati regolamentati italiani o esteri o di altre partecipazioni (concetto mercato regolamentato Risp. Ag. Entr. n. 308/2020).

Ai fini di cui sopra si considerano «privilegiati», ai sensi dell’art. 47 bis del Tuir, gli Stati o territori, diversi dai Paesi UE o SEE con i quali l’Italia ha stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, nei quali:- ove il soggetto estero sia sottoposto a controllo ai sensi dell’art. 167 comma

2 del Tuir, la tassazione effettiva è inferiore alla metà di quella che tale soggetto avrebbe scontato in Italia;

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- ove detto soggetto non sia controllato ai sensi dell’art. 167 comma 2 del Tuir, la tassazione nominale è inferiore alla metà di quella che tale soggetto avrebbe scontato in Italia.

Ai fini di evitare la tassazione integrale delle plusvalenze realizzate, il soggetto cedente residente nel territorio dello Stato può dimostrare, anche preventivamente mediante istanza di interpello di cui all’art. 167 comma 1 lett. b) del Tuir, che dalle partecipazioni detenute non consegue l’effetto di localizzare i redditi i Stati o territori a regime fiscale privilegiato (produzione del reddito per almeno il 75% in un Paese a fiscalità ordinaria).

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Dimostrando, invece, in alternativa, che il soggetto non residente svolge un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali, al soggetto cedente controllante, ovvero alle cedenti residenti sue controllare, spetta un credito di imposta ai sensi art. 165 del Tuir in ragione delle imposta assolte dal soggetto non residente sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione in proporzione delle partecipazioni cedute e nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali plusvalenze.Dalle suddette categorie derivano due “masse” in cui confluiscono e si compensano tutte le plusvalenze, le minusvalenze e le perdite realizzate nell’anno. Nell’ambito della prima massa si comprendono anche i redditi e le perdite derivanti dalle attività di cui alle lettere da c-ter a c-quinquies del comma 1 dell’art. 67 del Tuir.

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L’eventuale eccedenza, in ciascuna “massa”, delle minusvalenze o delle perdite rispetto alle plusvalenze e ai redditi realizzati può essere portata in deduzione dalle plusvalenze e dai redditi negli anni successivi, ma non oltre il quarto. Le plusvalenze e i differenziali positivi appartenenti alla prima “massa” sono assoggettati ad imposta sostitutiva Irpef del 26% e devono essere indicati in dichiarazione dei redditi (art. 5 D. Lgs. n. 461/1997). In alternativa, le plusvalenze e minusvalenze derivanti dalle cessioni e dai rapporti di cui alle lettere da c a c-quinquies dell’art. 67, comma 1, del Tuir, possono essere immesse in un regime opzionale, detto del “risparmio amministrato” (art. 6 del D. Lgs. n. 461/1997).

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