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mente M SSONICA Laboratorio di storia del Grande Oriente d'Italia Rassegna quadrimestrale online ISSN 2384-9312 n.3 Mag.-Ago. 2015

Massonicamente - Rivista del Grande Oriente d'Italia...Maestro dei Templari, Jacques de Molay che, come altri uomini, ha scelto di dive - nire un martire, un simbolo di un’idea

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menteM SSONICALaboratorio di storia del Grande Oriente d'Italia

Rassegna quadrimestrale online

ISSN 2384-9312

n.3 Mag.-Ago. 2015

Page 2: Massonicamente - Rivista del Grande Oriente d'Italia...Maestro dei Templari, Jacques de Molay che, come altri uomini, ha scelto di dive - nire un martire, un simbolo di un’idea

Direttore responsabileStefano Bisi

DirezioneSanti Fedele

Giovanni Greco

RedazioneIdimo CorteMarco CuzziSanti Fedele

Bernardino FioravantiGiovanni Greco

Giuseppe LombardoMarco Novarino

Art DirectorGianmichele Galassi

EditoreSocietà Erasmo s.r.l.

via San Pancrazio 8, 00152 Roma

Direzione e RedazioneMASSONICAmente,

Grande Oriente d'Italia,via San Pancrazio 8, 00152 Roma

Rassegna Quadrimestrale edita suwww.grandeoriente.it

Le opinioni degli autori, impegnano soltanto questi ul-timi e non configurano, necessariamente, l'orienta-mento di pensiero della rivista MASSONICAmente odi Società Erasmo Srl.La riproduzione totale o parziale dei testi contenutinella pubblicazione è vietata sotto qualsiasi forma,senza espressa autorizzazione scritta, secondo lenorme vigenti in materia.Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione ancheparziale se non autorizzata. Manoscritti e illustrazioni,anche se non pubblicati, non si restituiscono.

Laboratorio di storiadel Grande Oriente d'Italia

n.3 Mag.-Ago. 2015

Sommario

Saggi

Salvador Allende............................................................3

di Stefano Bisi

Templari: tradizione ed eredità in Massoneria..............5

di Gianmichele Galassi

L’ultima crociata antimassonica dei totalitarismi .........8

di Marco Cuzzi

La Rossa Avanguardia delle Argonne.........................14

di Sergio Bellezza

Benjamin Franklin e Filadelfia di Calabria ................20

di Giovanni Greco

Tra Sardegna, Sicilia e Tunisia: percorsi di un

antifascismo mediterraneo...........................................22

di Santi Fedele

La controversa figura del Conte di Mirabeau ..............26

di Flaviano Scorticati

Il paradigma igienico-filantropico del medico e

massone Luigi Pagliani ...............................................30

di Marco Novarino

Tra gli scaffali

Segnalazioni editoriali.................................................33

a cura di Bernardino Fioravanti

ISSN 2384-9312

menteM SSONICA

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Ènoto come nell’America centro-meridionale la storia della Masso-neria si sia storicamente intrecciata

con le lotte di liberazione nazionale con-dotte contro la dominazione colonialespagnola e quindi colle grandi battagliecombattute per l’affermazione dei prin-cipi di laicità e di democrazia nel piùampio contesto dei processi di moderniz-zazione politica e sociale prodottisi nel-l’America latina a partire dalla metàdell’Ottocento.Massoni erano i tre più rappresentativiesponenti del movimento per l’indipen-denza sudamericana: il patriota e militareargentino José de San Martín e i vene-zuelani Símón Bolívar e Francisco de Mi-randa, per la cui formazione culturale epolitica determinante fu la frequentazionegiovanile delle Logge massoniche statu-nitensi ed europee in cui vennero iniziati. Massone era altresì Benito Juárez, il pre-sidente della Repubblica messicana as-surto a simbolo della Massoneria del suoPaese e della tenace battaglia da essa con-

dotta per la secolarizzazione della societàmessicana, la nazionalizzazione dei beniecclesiastici, l’affermazione del principiodi uguaglianza di tutti i cittadini di frontealla legge. Un personaggio dai tratti leg-gendari, la cui notorietà si diffuse anchein Europa al punto da indurre taluni mi-litanti socialisti (tra cui il romagnoloAlessandro Mussolini) a dare il nome Be-nito ai propri figli. Non si comprenderebbe il rispetto di cuigode l’Istituzione massonica a Cuba(tanto da indurre Fidel Castro a consen-tirne la prosecuzione dell’attività anchedopo la sua ascesa al potere) se non sitiene conto che affiliato alla Libera Mura-toria era José Martí, leader riconosciutodella lotta di liberazione nazionale con-dotta dal popolo cubano contro l’oppres-sione coloniale della Spagna sino allaconquista dell’indipendenza. Massone era anche, venendo a tempi piùrecenti, Salvador Allende, statista prota-gonista della lotta condotta per l’emanci-pazione politica e sociale dei lavoratoricileni ma anche personaggio assurto neglianni Settanta a grande notorietà interna-zionale in tutti i settori della sinistra eu-ropea, per l’interesse suscitato dalla suaesperienza di Governo ma soprattutto inragione della morte tragica, testimonianzaesemplare di una dedizione ideale ai va-lori della libertà e della democrazia spintasino al sacrificio della vita. Molto si è scritto negli ultimi anni sulPresidente del Cile ma quasi mai è statodato giusto risalto a un aspetto tutt’altroche secondario del personaggio Allende:l’appartenenza alla Massoneria del suoPaese. Eppure, al pari della vocazionemedica e della fede socialista, l’intimacompenetrazione ideale con l’Istituzionemassonica rappresenta un dato fondantedell’esperienza umana e politica di Al-lende.

SALVADOR ALLENDEPrefazione a Juan Gonzalo Rocha

Allende Massone. Il punto di vista di un profanoEdizioni Mimesis

di Stefano Bisi

SAGGI

Salvador Allende

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“La presenza della Massoneria attraversal’intera esistenza di Salvador Allende, dal-l’infanzia all’ultimo istante di vita”. Taleè l’assunto da cui muove Juan GonzaloRocha nel suo saggio Allende, Masón: Lavisión de un profano, che pubblicato ori-ginariamente in Cile nel 2000 e successi-vamente tradotto in francese, vede orafinalmente la luce nell’edizione italianavoluta e realizzata dal Grande Oriented’Italia di Palazzo Giustiniani.“Profano” si autodefinisce l’autore, ma unprofano dotato non solo di una vasta cul-tura ma anche di una straordinaria sensi-bilità nel percepire come i principi diLibertà, Uguaglianza, Fratellanza e Tolle-ranza perseguiti dalla Libera Muratoriauniversale, abbiano costantemente ispi-rato la vita di Allende.L’appartenenza all’Istituzione massonica èil filo conduttore della parabola esisten-ziale di Allende, che lo vede ancor moltogiovane, ventisettenne appena, iniziatonel 1935 a quella Massoneria cilena cuierano appartenuti sia il nonno che ilpadre. Indubbia su Allende l’influenza diquest’ultimo, mentre affetto devoto e ri-spetto profondo per le di lei credenze re-ligiose contraddistinguono il suo rapportocon la madre, cattolica praticante.La decisione di intraprendere gli studi diMedicina scaturisce nel giovanissimo Al-lende da un vivo sentimento di solidarietàverso chi soffre, così come la scelta socia-lista si sostanzia di una tenace volontà dilotta contro le ingiustizie sociali e per il ri-scatto dei lavoratori cileni.Leader prestigioso di quel Partito sociali-sta cileno che lo ebbe nel 1933 tra i fonda-tori e lo vedrà nelle sue fila per unquarantennio: dagli esordi come dirigentedell’associazionismo universitario all’in-gresso in Parlamento, dall’assunzione delMinistero della sanità all’elezione a Presi-dente della Repubblica a capo di unoschieramento di Unità popolare compren-dente tutte le componenti storiche della si-nistra cilena: socialisti, comunisti, radicali,cattolici di sinistra, Allende rivendicheràsempre l’intima coerenza ideale del suoimpegno socialista col suo essere massone.

Due aspetti distinti ma complementari diun percorso di vita ispirato all’ideale dellagiustizia nella libertà, sorretto dalla pul-sione alla fratellanza e illuminato dallapratica della tolleranza. Pur nel costante intreccio con l’eserciziodella professione medica e con l’impegnopolitico, è ovviamente l’aspetto massonicodella vita di Allende a essere privilegiatodall’Autore del libro, che ne ripercorretutte le tappe principali. Dall’iniziazione,descritta non senza una qualche nota dicolore e della quale viene riportato il “te-stamento” massonico, alla lunga letterache egli inoltra nel giugno del 1965 alMaestro venerabile della sua Loggia, la“Hiram” di Santiago, da cui emerge il tor-mento interiore del socialista che rileva lacontraddizione tra i professati principi diLibertà, Uguaglianza e Fratellanza dellaMassoneria universale e le resistenze a ri-conoscere l’urgenza della questione so-ciale da parte di un’Istituzione, laMassoneria cilena, composta nella quasitotalità da appartenenti alla borghesia.Dall’intervista rilasciata nel 1970 a RègisDebray in cui Allende espone in manierachiara e pacata le ragioni intime della suaappartenenza alla Massoneria, all’allocu-zione da lui tenuta il 14 aprile 1970, pochimesi prima della sua elezione a Presidentedella Repubblica, nel Tempio massimodella Gran Loggia del Cile, della qualeviene riportato l’inedito testo integrale. Un percorso di vita, quello di Allende,contraddistinto dall’incessante ricerca delperfezionamento interiore del massone,dallo scrupoloso ed appassionato eserciziodella professione del medico, dall’impe-gno di lotta per il riscatto dei diseredati edegli emarginati del socialista, dell’azionedi governo per il progresso del proprioPaese dello statista; un percorso che ilgolpe dei generali felloni interromperàdrammaticamente.L’11 settembre 1973 Salvador Allende,Maestro massone, esce dalla storia per en-trare nella leggenda imperitura di coloroche hanno consacrato e, all’occorrenza, sa-crificato la loro vita al bene e al progressodell’umanità.

SAGGI 4

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Veggio il novo Pilato sì crudele,che ciò nol sazia, ma sanza decretoportar nel Tempio le cupide vele.

O Segnor mio, quando sarò io lietoa veder la vendetta che, nascosa,fa dolce l’ira tua nel tuo secreto?

(Purgatorio, XX, 90:97)

L’anno appena concluso ha visto le ce-lebrazioni per l’anniversario del-l’atroce morte dell’ultimo Gran

Maestro dei Templari, Jacques de Molayche, come altri uomini, ha scelto di dive-nire un martire, un simbolo di un’idea.Come Socrate, prima, e Giordano Brunopoi, ha percorso la strada dell’estrema coe-renza, fino ad esalare l’ultimo respiro tra lefiamme del rogo pubblico, nell’Ile deFrance.

Sacrificando la cosa più importante perqualunque essere umano, ossia la propriavita, ha comunque riportato una vittoriastorica imperitura che lo ha reso martire perla virtù, di fronte a quello che sarà ricordatocome un impietoso ed alquanto abiettopersonaggio che ha scelto denaro e ric-chezza materiale a scapito della “Gran-dezza”.Tutto ciò dovrebbe far riflettere anche moltidegli attuali governanti, che vanno sacrifi-cando la propria immagine storica a frontedi piccolezze degne della migliore tradi-zione satirico-comica.Come dicevamo, quando celebriamo ungrande personaggio della storia dell’uma-nità, ne celebriamo sovente le qualitàumane e le idee che sono la sola forza ca-pace di mutare l’intero corso dell’Umanitàe di influenzare attivamente le vite dellegenerazioni a venire.Jacques de Molay è quindi simbolo dellacoerenza e delle virtù umane, in quanto –sicuro della sua innocenza – ha scelto dinon rinnegare la propria dignità neppure afronte di una morte orribile.Le accuse mosse contro un innocente e laconseguente punizione, a volte non sonosufficienti a piegarne la fede nella giustiziae lo spirito.

La rivoluzione templare

Sicuramente, fino agli anni ’70 del secoloscorso, lo studio della Cavalleria Templareaveva prodotto solamente pochi testi serisulla storia generale dei Templari; nelle ul-time 4 decadi invece abbiamo assistito adun crescente interesse accademico, testimo-niato da numerose ricerche e pubblicazionisul tema che, vuoi per la scarsa documen-tazione vuoi per l’alone mitico che vela l’ar-gomento, rendevano assai difficile ai meno

TEMPLARI:TRADIZIONE ED EREDITÀ IN MASSONERIA

di Gianmichele Galassi

SAGGI

I Templari raccolgono i loro morti dal fiume.Ill. di G. Doré

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esperti un’analisi corretta. Un esempio diquesta situazione è ben stigmatizzata dalnoto studioso Anthony Luttrell (in “Tem-plari e Ospitalieri in Italia”, 1987): “Glistudi sugli ordini militari durante il bassomedioevo hanno continuato ad essere lar-gamente trascurati in Italia (….). Per ilTempio, a parte i recenti lavori di Tommasi,c’è poco di valore scientifico, anche se esi-ste una letteratura di carattere esoterico oscandalistico” e, più tardi, in “The Hospi-taller Priory of Venice in 1331”, aggiunge:“I templaristi tendono a trasformare le tra-dizioni locali in fatti, a mal interpretare itoponimi come “Tempio” o “Magione”, ederroneamente ad attribuire origini templarialle case degli Ospitalieri”.Se il grande successo dei Templari nell’im-maginario del pubblico è dovuto in granragione all’alone di mistero che circondal’Ordine e, soprattutto, la sua fine (su cuiperaltro numerosi romanzieri hanno co-struito la propria fortuna), l’inserimentosimbolico-iniziatico negli alti gradi dellaMassoneria, credo sia da attribuirsi ad unaserie di ragioni sostanzialmente diverse.Infatti, i “Poveri Cavalieri di Cristo” rap-presentarono un’assoluta novità nel pano-rama sociale dell’epoca, per la prima voltadue ordini sociali venivano fusi: i Templariintegrarono sia i bellatores, combattenti esignori della guerra laici, che gli oratores,ovvero i chierici, mettendo di fatto in di-scussione la struttura stessa della societàmedievale.I Templari si possono definire, a parer mio,come uno strano ibrido: sebbene religiosi,erano autorizzati a portare le armi edusarle, mentre - come cavalieri - si distin-guevano, vuoi per mentalità vuoi per prin-cipi fondanti, dalla Cavalleria classica edagli altri Crociati; tanto che, qualche chie-rico dell’epoca (ad es. Isaac, abate del’Etoile, nei suoi Sermones) giunse a defi-nirli un’orrenda novità che prevedeva lopossibilità da parte dei monaci di spargeresangue, benché degli infedeli, secondo laben nota teoria del “malicidio” escogitatada Bernard de Clairvaux.

Il dibattito sulla spiritualità, la religiositàe la laicità che questa novità indusse, oltread essere molto acceso, portò ad un risul-tato che ricorda da vicino quello odiernonel mondo islamico: sebbene San Bernardosembri distinguere abbastanza nettamentela religiosità del monaco dalla laicità delCavaliere, al Concilio di Troyes sembraprevalere l’idea del “guerriero sacro” por-tata avanti da Hugues de Payns, fondatoredell’Ordine. Tale idea, secondo alcuni im-portanti studiosi come Simonetta Cerrini,si baserebbe sul solo precetto “l’unico beneè quello di fare la volontà del Padre, anchese quest’ultima prende l’aspetto di un benespirituale inferiore” (S. Cerrini. La rivolu-zione dei Templari, pag.9).

L’ideale eredità dei Cavalieri Templari

Ciò che possiamo riferire è l’intento di A.M. Ramsay di nobilitare le origini dellaMassoneria attraverso una fantasiosa - inquanto non dimostrata o supportata daadeguata documentazione storica - originecavalleresco-crociata del nostro Ordine ini-ziatico; in tal modo, egli tentò di attirarel’attenzione della nobiltà francese. Infatti,attraverso i suoi notissimi discorsi del1736-37, in cui formulò questa nuova teo-ria sulle origini della Massoneria, egli spe-rava di coinvolgere, quale Gran Maestro diFrancia, Luigi XV: tentativo che fallì mise-ramente per il veto posto dal potente Car-dinale di Fleury.Altra faccenda, troppo complessa per esserecompiutamente trattata in questa sede, ètutta la messe di materiale riguardante iltemplarismo massonico del XVIII e XIXsec., così accuratamente dipanata da Le Fo-restier nella sua titanica opera in quattrotomi sulla “Massoneria Templare ed Occul-tista”.Comunque né Anderson né Ramsay feceroaccenno ai Templari o alla misteriosa finedell’Ordine, fu il sassone Von Hund, nellaseconda metà del settecento, che sancì ilmitico passaggio dalle crociate al templari-smo, creando ben quattro gradi massonici

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aggiuntivi. Mentre nel secolo successivo siassistette ad una vera e propria deriva: pro-babilmente – approfittando proprio del-l’oscurità della vicenda – molti, fra i qualiJ. B. Willermor, pensarono bene di sfrut-tarne la notorietà per creare nuove teorie esistemi occultistici in periodo assai in-quieto come quello vissuto in Europa neidecenni a cavallo dell’800.

Concludendo queste brevi riflessioni, vor-rei porre l’accento sul significato pretta-mente “simbolico” del “fenomenotemplare” in Massoneria: come avvenutoper molte altre tradizioni e movimenti,quali ad esempio i Rosa+Croce, l’allegoricaritualità latomistica svolge una funzionesincretica di quanto rappresentato cultural-

mente dal noto Ordine Cavalleresco medie-vale… ovvero l’assoluta novità che la viadella religiosità e della spiritualità nonfosse esclusivo appannaggio dei chierici,ma fosse percorribile anche dai laici. Inquesto senso, il templarismo massonico in-carna la tradizionale via iniziatica del guer-riero, assorbendo quindi l’idea che siapossibile giungere alla trascendenza vi-vendo al di fuori della casta degli Oratores.Infine, altro aspetto templare assai calzantenella dottrina massonica si rinviene nella,assai rara, tendenza ed apertura che tali Ca-valieri ebbero verso le altre culture, anchequelle più distanti: da qui la palese simi-glianza con quanto esposto nei nostri lan-dmarks che fanno del rispetto delladiversità culturale la base del dialogo fragli uomini.

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L’interrogatorio di Jacques De Molay. In “An Illustrated history of the Knights Templar” di James Wasserman. XIX sec.

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Milano, sabato 16 dicembre 1944.Lo storico teatro Lirico è gre-mito. All’esterno via Larga è let-

teralmente intasata di gente. C’è chi calcolache ci siano almeno quattromila persone.Molti vestono la camicia nera della Brigatamilanese “Resega”, altri l’uniforme grigioverde della famigerata Legione “Muti” divia Rovello. Sono giunti dal comando diPiazza Fiume anche i marò della X Mas,l’unità d’élite di quello stato collaborazioni-sta a sovranità politica e territoriale limitatache è la Repubblica sociale italiana. In bor-ghese, e con occhiuta aria indagatrice, si ag-girano tra la folla agenti di pubblicasicurezza e odiosi sgherri del “Servizio spe-ciale della polizia repubblicana”, la terri-bile Banda Koch. Temono un attentatocontro l’ospite d’eccezione che si accinge apronunciare il suo ultimo discorso pub-blico. Numerosi sono i civili, attratti dalla

notizia che l’EIAR ha trasmesso in queigiorni, in un battage pubblicitario senzaprecedenti. Parla il duce, e lo fa dopo unlungo silenzio, interrotto soltanto da quellaconico messaggio trasmesso nel settem-bre 1943 da radio Monaco, subito dopol’avvenuta liberazione dalla sua prigioniasul Gran Sasso. Il “recluso del Garda”,come si autodefinisce, il “Gauleiter d’Italia”come lo chiamano i tedeschi, è un uomostanco, sfiduciato, depresso. “Il mio sistema èdisfatto, la mia stella è tramontata per sempre”,aveva scritto durante la sua prigionia se-guita al colpo di Stato del 25 luglio. Allafine ha accettato di tornare in sella, sempreal fianco dei nazisti: lo ha fatto perché liteme ma anche perché li ammira. Forse, di-cono i suoi ultimi sostenitori, ha voluto li-mitare la sete di vendetta di Hitler, prontoa fare dell’Italia dell’armistizio “tabularasa”, come ha scritto il ministro Goebbels.Ma di certo ha creduto ancora di giocare lesue ultime carte, politiche e diplomatiche,più che militari. E poi come si fa a non darefiducia al Führer, che evoca armi segrete eprossimi ribaltamenti della situazione bel-lica a favore del sempre più traballanteAsse? Così, questo malato sessantunenneche sembra avere dieci anni di più, che perla prima volta nella sua lunga epopea di ar-ringatore di folle deve (clamorosamente)leggere un discorso pubblico, inforcando(ancora più clamorosamente) gli occhiali,quest’uomo che era nato socialista, rivolu-zionario e ateo, e che poi aveva deciso diallearsi con la monarchia, gli industriali eil Vaticano, ha voluto tornare al vertice diuno Stato che si autoproclama sociale e dellavoro, repubblicano e laico, se non anti-clericale. Perché con la Repubblica di Salò,si apre anche la stagione della vendettacontro i traditori del 25 luglio: il re, i mili-tari monarchici, i fascisti rinnegati, le alte

L’ULTIMA CROCIATA ANTIMASSONICADEI TOTALITARISMI

di Marco Cuzzi

SAGGI

Milano, 17 dicembre 1944,Mussolini davanti alla caserma della Legione Muti

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sfere d’Oltretevere. Tutti al servizio del ne-mico angloamericano. Una vendetta con-sumata a Verona, con la morte del generodi Mussolini e di altri secondari esponentidel passato regime, ma che sembra non es-sere ancora soddisfatta. E oggi, alla vigiliadell’ultimo, tragico inverno fascista, mentretutto crolla, mentre l’esercito della nuovaRepubblica si divide tra un’impossibilevittoria militare e una spietata repressioneantipartigiana, mentre gli inni marzialivengono coperti dalle strazianti urla deitorturati di Villa Triste, e mentre i tedeschicomandano su tutto, in spregio a ogni pul-sione patriottica, il vecchio duce cerca ilsuo riscatto. Un discorso lungo, diviso trauna visione del futuro a dir poco onirica,evocante armi segrete e certezze di vittoria,e un’attenta ricostruzione di quanto è acca-duto sedici mesi prima, nelle settimane im-mediatamente precedenti l’armistizioitaliano, emblema assoluto e infame del“tradimento”. “La valutazione degli avveni-menti” dirà Mussolini alla folla di sosteni-tori e curiosi che lo sta ascoltando nella saladel teatro milanese “ci pone, ancora una volta,questa domanda: chi ha tradito?... La resa a di-screzione annunciata l’8 settembre è stata volutadalla monarchia, dai circoli di corte, dalle correntiplutocratiche della borghesia italiana, da taluneforze clericali congiunte per l’occasione a quellemassoniche, dagli Stati Maggiori che non crede-vano più alla vittoria e facevano capo a Badoglio”.Ecco riapparire, dopo quasi vent’anni dalloscioglimento delle logge, il “Serpenteverde”: quell’ “enorme paravento dietro il qualegeneralmente vi sono piccole cose e piccoli uomini”,come Mussolini aveva dichiarato in un’ar-ringa del giugno 1921, quel “gruppo di uo-mini mediocri divenuti potenti solo perchémassoni”, come aveva ribadito durante il di-scorso di presentazione della legge sulloscioglimento, nel maggio 1925, quel “ser-pente gonfio” che sarebbe stato “sgonfiato” dalfascismo, come aveva confermato pochimesi dopo. La Massoneria, che pure avevavisto tra le colonne dei suoi templi nonpochi esponenti del movimento e poi delregime fascista (da Balbo a Farinacci, da

Acerbo a Starace), e che aveva inizialmentesostenuto i Fasci reputandoli un mero an-temurale al pericolo bolscevico e persinoun sostegno allo Stato liberale, salvo poiscoprirne la reale natura eversiva e dittato-riale; la Massoneria, che sciolta nelle sueprincipali Obbedienze (il Grande Orientee la Gran Loggia), pare dunque essere so-pravvissuta, magari con la complicità deivecchi fratelli-camerati e di Vittorio Ema-nuele o di Badoglio, non a caso più voltesospettati di simpatie se non di iniziazioni“coperte”. Che vi sia stato un certo ruolo dialcuni massoni, segnatamente formatinell’Obbedienza di Piazza del Gesù, nelcorso della congiura del 25 luglio, ha unfondo di verità: si pensi all’ambiguo “mes-saggero del colpo di Stato” (come lo ha de-finito in un recente libro AntoninoZarcone), il dottor Domenico Maiocco, suc-cessore di Ettore Busan alla guida di unaloggia proveniente da Piazza del Gesù e at-tiva sotto il regime, che aveva consegnatoin anteprima il testo dell’ordine del giornoGrandi al riformista e futuro presidente delconsiglio Ivanoe Bonomi, che alcune fontilo danno iniziato alla stessa Obbedienza edelevato al trentatreesimo grado del Ritoscozzese. Tra i firmatari del documentoGrandi, inoltre, numerosi sono stati coloroche avevano percorso valli massoniche, oranel Grande Oriente ora nella Gran Loggia.Anche un noto massonofobo e antisemitacome il “generale” Eugenio Coselschi,l’ambiguo presidente dell’ineffabile “Inter-nazionale fascista” degli anni Trenta (i “Co-mitati d’azione per l’universalità diRoma)”, poi repentinamente e astutamenteschieratosi con Badoglio, è stato arrestatodalla polizia repubblicana con l’accusa diaver partecipato alla congiura in collega-mento con circoli massonici dai quali parenon si sia mai del tutto separato. Ma al dilà di questi aspetti, che ci porterebbero lon-tano, e forse addirittura oltre Manica e oltreOceano, il dato è che nell’ora finale, mentreil fascismo e il suo duce si apprestano araggiungere la loro nemesi storica e anchebiologica, ecco rispuntare l’antico odio

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verso la Libera Muratoria, quella sinarchiacollegata al giudaismo internazionale chetutto può e tutto compie, alle spalle del po-polo ignaro. Non è certo un caso se la tristefigura dello spretato Giovanni Preziosi, dalsuo “Ispettorato generale per la razza” diVenezia, in quei giorni repubblicano-so-ciali rilancia la sua tradizionale campagnaantimassonica che lo aveva caratterizzatoper tutto il Ventennio, benedicendo conl’aspersorio dell’odio lo sterminio di tuttigli ebrei e i liberi muratori. E non è un casose uno dei corpi scelti delle forze armateneofasciste, le fanatiche “Waffen SS ita-liane”, pubblicano sul loro bollettino“Avanguardia” periodici articoli antimas-sonici. L’ultimo fascismo pare dunquequasi abbandonare la crociata anticomuni-sta, relegata in secondo piano (con anche lenote ambiguità di amore-odio verso l’Urssstalinista, evocate dall’ex dirigente bolsce-vico Bombacci e riprese dallo stesso Mus-solini nei suoi articoli della“Corrispondenza repubblicana”), e abbrac-ciare convintamente una nuova offensivacontro la liberaldemocrazia occidentale,vista come produzione plutocratica e, ov-viamente, massonica.Berlino, fine settembre 1944. Il “Reich mil-lenario” ha ancora otto mesi di vita. Da set-timane il “Bomber command” alleato stabersagliando a tappeto la Ruhr e i porti delnord, le città, le principali vie di comuni-cazione. La stessa capitale sta subendo pe-santi distruzioni. I morti sono decine dimigliaia. In agosto è stata liberata Parigi, eda pochi giorni anche Bruxelles. L’esercitotedesco tenterà un’ultima controffensivasulle Ardenne, ma il destino della GrandeGermania è segnato. Uno dopo l’altro, glialleati subalterni, Bulgaria, Romania, Fin-landia, si sfilano e addirittura si rivoltanocontro le truppe tedesche, sostenuti dallamicidiale avanzata sovietica. Nei Balcani leforze della Resistenza, appoggiate dagli Al-leati, stanno per debellare gli occupatoridell’Asse e i loro collaboratori. Anche inItalia, la lenta ma inesorabile avanzata an-gloamericana riduce sempre di più la te-

nace resistenza della Wehrmacht. Dell’al-leato fascista, ormai ininfluente a livellomilitare, abbiamo già detto. Entro pocomeno di un mese, con la battaglia di Oki-nawa, gli americani si appresteranno ad in-vadere l’altro partner dell’Asse, ilGiappone. I tedeschi vivono tutto questocon ansia, sconcerto, incredulità. E la fame,le privazioni che sino ad allora parevanolontane e di esclusiva pertinenza delle po-polazioni schiavizzate d’Europa, sta fa-cendo la sua comparsa nelle case deisudditi del Reich. Il regime, inoltre, ha di-mostrato di non essere affatto compatto: il20 luglio dello stesso anno si è verificatoun attentato al Führer, collegato a un tenta-tivo di putsch ordito da alcuni ufficiali dellostato maggiore e politici della ex Repub-blica di Weimar. La congiura è fallita, e ilministro della propaganda Goebbels hainaugurato la “guerra totale”: una stagionefinale e rabbiosa di nazismo integrale, gui-dato dai settori più fanatici del partito na-zista e dalle SS, che trasformerà lapopolazione in milizia armata o in ostaggi,mentre la violenta repressione manderà amorte almeno ottomila congiurati o pre-sunti tali. Nei Vernichtungslager, i campi diannientamento ad est, scatta inoltre l’or-dine di uccidere definitivamente tutti i pri-gionieri sopravvissuti all’infernodell’industria dello sterminio. È davverola zampata sanguinaria di una feroce bestiaferita: ogni sforzo deve essere concentratonella “guerra totale”. Non una risorsa, nonun’energia potrà essere deviata dagli obiet-tivi finali: la sconfitta del nemico, l’elimi-nazione degli Untermenschen, la fondazionedi un impero nazista europeo e di unNuovo ordine mondiale guidato dalla“razza superiore”. Ma ecco che la casa edi-trice ufficiale della Nsdap, la berlineseFranz Eher Nacht, si sforza – e si può im-maginare con quali sacrifici, visti i tempi –di pubblicare la sesta edizione di un vo-lume scritto da Dieter Schwarz, libellistadel partito esperto in questioni esoteriche.Il volume, nero e marchiato con le runedelle SS, si intitola “Die Freimaurerei. Weltan-

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schaung, Organisation und Politik”, ovvero “LaMassoneria. Ideologia, organizzazione epolitica”. Il testo, edito per la prima voltanel 1938 in quattro edizioni, poi ripubbli-cato nel 1942, riporta una breve prefazionedell’SS-Gruppenführer Reinhard Hey-drich, il capo di quell’”Alta autorità per lasicurezza del Reich” (RSHA) responsabiledella “soluzione finale” contro il popoloebreo, pianificata il 20 gennaio 1942 nellacelebre riunione di Wannsee. Heydrich,chiamato “il boia di Praga” (der Henker vonPrag) è stato governatore generale del pro-tettorato di Boemia e Moravia, ed è mortoil 2 giugno dello stesso anno, in seguitoalle ferite riportate in un attentato condottoda un commando partigiano cecoslovacco.In mancanza dello spietato gerarca nazistaè il suo successore, il dottor Ernst Kalten-brunner, ad occuparsi dell’edizione del1944. Austriaco, poco più che quarantenne,nazista fanatico ma gelido, impassibile,privo della pur minima umanità, come lodefiniranno i giudici di Norimberga che locondanneranno al patibolo, Kaltenbrunnerha molto da fare, nei giorni degli ultimi or-rori della Shoah. Ma trova il tempo per oc-cuparsi di Massoneria. Nella sua prefazionescrive: “Fra le forze spirituali che segretamenteoperano nel campo dei nemici della Germania edei suoi alleati in questa guerra, come nellaPrima, si trova anche la Massoneria, le cui peri-colose attività sono state evidenziate ripetutamentedal Führer nei suoi discorsi… Sebbene in granparte dei Paesi europei sia stata posta fine alle at-tività delle organizzazioni massoniche, una parti-colare attenzione dovrà essere prestata allaMassoneria, e in particolare ai suoi membri e aisostenitori dei disegni politici di questo potere al disopra dello Stato”. Il gerarca nazista, a titoloesemplificativo, fa un diretto riferimentoall’Italia: “Gli avvenimenti che si sono verificatiin Italia nell’estate 1943, indicano nuovamente illatente pericolo sempre legato alle iniziative deisingoli massoni, anche dopo la distruzione delleorganizzazioni massoniche. Sebbene la Massone-ria fosse stata proibita sin dal 1925, essa, attra-verso i suoi membri, ha mantenuto unasignificativa influenza politica, esercitata in se-

greto. Così in Italia, in un momento critico, i mas-soni sono stati in prima fila tra quei traditori chetentarono di sferrare un colpo decisivo al fascismo,tradendo con spudoratezza la nazione italiana. Loscopo di questa edizione è quindi quello di appro-fondire la conoscenza e il pericolo insito nella cor-ruzione massonica e di mantenere sempre alta lavolontà di difendersi”. Il libro prosegue arti-colandosi in tre parti: le fondamenta “giu-daico-orientali” della Libera Muratoria e lasua storia in Germania, Francia, Gran Bre-tagna, Italia, Stati Uniti eccetera; l’organiz-zazione, i metodi operativi e le finalitàdell’organizzazione; la Massoneria comeforma di opposizione al nazionalsociali-smo. Evitando un’analisi troppo specificadel testo, ricco di informazioni e di consi-derazioni ovviamente piegate all’ideologianazista (dalla Massoneria come poteremondiale, alla sua funzione incubatricedella disprezzata democrazia, del sociali-smo e della plutocrazia; dalla sua natura in-terrazziale ai suoi profondi legamicospirativi con l’ebraismo), vale la pena ri-cordare che nell’ultima parte l’autore si oc-cupa dell’impegno antimassonico delregime, tanto in Patria quanto nei Paesi oc-cupati (Schwarz aveva rimesso mano sulleedizioni successive al 1939 e alla guerra,aggiornandole), riportando le note afferma-zioni antimassoniche di Hitler sul MeinKampf (dove il futuro Führer parla di unaMassoneria strumento degli ebrei che “facadere in trappola” partiti e settori domi-nanti dell’economia e della politica) e del-l’ideologo razzista Alfred Rosenberg. Ilfinale è perentorio: “Tutti i camerati tedeschidevono riconoscere il pericolo della dottrina libe-ralistica della Massoneria. Qualsiasi tentativo diintrodurre di nuovo, in qualunque forma o appa-renza, le idee e i simboli massonici nella lettera-tura, nell’arte e nella scienza tedesche, così comenei presupposti politici tedeschi, deve essere subitoestirpato sul nascere”. Quest’ultimo vago rife-rimento ai rischi di un’infiltrazione politicadi massoni all’interno dello Stato integralenazista sembra contraddittorio, rispetto altrionfante elenco di “conquiste antimasso-niche” condotte dal regime e che hanno

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comportato la soppressione nei lager di mi-gliaia di liberi muratori tedeschi e di altriPaesi occupati. Ma si tenga conto che tra icospiratori del 20 luglio non pochi eranomassoni: dall’ex esponente della gloriosaassociazione democratica e antinazista del“Reichsbanner Schwarz-Gold-Rot”, JuliusLeber, al dirigente sindacale e socialdemo-cratico Wilhelm Leuschner, fino al redat-tore del piano insurrezionale, il capooperazioni del Gruppo armate centrali ge-nerale Henning von Tresckow, tutti truci-dati dalla repressione del regime. Ma dinuovo tralasciamo l’approfondimento sulruolo dei massoni nella congiura, ruolo pe-raltro importante anche se certo non deter-minante, viste le condizioni del momento.Il dato che deve fare riflettere è che, a pochimesi dalla fine di tutto, Kaltenbrunnersenta la necessità di ripubblicare un libelloapparentemente ancorato al periodo pre-bellico, scagliandosi con la violenza dellesue truci parole contro la “congiura masso-nica internazionale” ai danni del Nuovo or-dine hitleriano e della sua presunta civiltà. Come ogni incubo, anche quello nazista hauna fine. La sua nemesi avverrà a Berlino,il 30 aprile 1945, con il suicidio di Hitler,non dopo che abbia lanciato un ultimo ana-tema contro plutocrati (massoni, evidente-mente) ed ebrei. Ma qualche suo creaturasopravvivrà sino a tempi a noi più recenti.Il caudillo spagnolo Francisco Franco, aiu-tato a salire al potere dalle potenze nazifa-sciste e sopravvissuto per merito degliequilibri imposti dalla Guerra Fredda, nonha fatto mai mistero del suo fanatismo an-timassonico. Le stragi di massoni durantela guerra civile ad opera delle sue truppe edei falangisti suoi alleati sono cosa bennota. Una crociata che proseguirà ancoranel dopoguerra, negli anni Cinquanta eSessanta, e che avrà il suo culmine alla finedella lunga vita del dittatore. Madrid, 1° ot-tobre 1975, piazza di Oriente. Più di mezzomilione di persone inneggia rivolto versoil Palazzo Reale. Il vecchio generalissimo,al potere da trentasei anni, si affaccia al bal-cone, l’ultimo balcone dell’ultimo dittatore

fascista. È quasi cieco, non si regge inpiedi, da anni soffre del morbo di Parkin-son. Al suo fianco, il successore, futuro reJuan Carlos di Borbone. Il discorso è breve,e la voce di Franco risulta flebile e pococomprensibile. Ma una frase è significativa.Franco si riferisce a un attentato che ha col-pito l’ambasciata spagnola a Lisbona, doveda un anno una rivoluzione ha ribaltato lalocale dittatura; ma anche alle pesanti cri-tiche lanciategli dall’Europa e dagli StatiUniti dopo l’ondata repressiva seguita allamorte in un attentato del suo delfino, Car-rero Blanco. Forse, il riferimento è anchealla crisi economica che, investendo tuttaEuropa, sta rivelandosi devastante perl’isolata e fragile Spagna: “Tutto” dirà il cau-dillo, “obbedisce a una cospirazione massonica disinistra nella classe politica in complicità con lasovversione comunista-terrorista, che se noi nononora, loro degrada”. È l’ultimo suo discorsopubblico, che si conclude con il tradizio-nale “Arriba España!”: Francisco Franco,forse anche a causa di questa esposizione alfreddo autunno madrileno, morirà dopouna lunga agonia meno di due mesi dopo,il 20 novembre. Ancora una volta, le ultimeparole di un regime fascista in disfacimentosono dedicate alla Libera Muratoria.In conclusione, ci si può domandare per-ché. Perché Mussolini, Hitler, l’ultimo fati-scente epigono delle dittature degli anniTrenta, nel crepuscolo dei loro stessi si-stemi totalitari, si sono concentrati cosìtanto sul “Serpente verde”, sulla “Sinagogadi Satana”, insomma, sulla Massoneria?Cosa rappresentava per loro il sodalizio li-bero-muratorio al punto da mettere in se-condo piano gli altri nemici storici? Comesi fa a destinare risorse, ultimi sforzi, anchefisici, al “complotto” massonico? Forse, allafine di ogni totalitarismo, è apparso agliocchi del dittatore di turno ciò che la Mas-soneria ha per lui rappresentato: la tolle-ranza, l’eguaglianza, la religione laica dellademocrazia. Una democrazia pluralista, li-berale, sociale, che verso la fine della Se-conda guerra mondiale come nel 1975stava dimostrando di essere l’unica, reale

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vincitrice dell’immane conflitto del XX se-colo: a riprova di ciò, nel giro di un decen-nio anche il comunismo sarebbe entratodefinitivamente in crisi. L’odio e la rabbiacon la quale i dittatori, al termine del loropercorso politico e umano, si sono accaniticontro la Libera Muratoria, è la confermadella loro debolezza, ma anche di un’incon-sapevole certezza di stare per essere defini-tivamente sconfitti dal loro mortaleavversario: la Libertà.

Bibliografia

Roberto Chiarini, L’ultimo fascismo. Storia e memoriadella Repubblica di Salò, Marsilio, Venezia, 2009Gigi Ganapini, La Repubblica delle Camicie nere, Gar-zanti, Milano, 2010William L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, To-rino, 1990Dieter Schwarz, Die Freimaurerei. Weltanschaung, Or-ganisation und Politik, Franz Ehr Nacht GmbH, Berlin,1944Enzo Collotti, L’Europa nazista: il progetto di un nuovoordine europeo, 1939-1945, Giunti, Firenze, 2002Luigi Pruneti, La Sinagoga di Satana. Storia dell’Anti-massoneria 1725-2002, Edizioni Giuseppe Laterza,Bari, 2002Marco Novarino, La Massoneria spagnola in esilio, in:“Hiram”, n. 7-8/1990

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Milano, caserma di via Rovello, violenze su di un arrestato nell'ufficio della polizia politica della Muti (1944-1945).

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Il 28 giugno 1914 lo studente serbo Ga-brilo Princip assassinava a Sarajevol’arciduca Francesco Ferdinando, erede

al trono d’Austria, e sua moglie Sofia. Erala scintilla, il casus belli, che dopo anni distabilità e di pace, portava allo scoppiodella guerra.Un mese dopo Vienna apriva le ostilità con-tro la Serbia, a difesa della quale si schie-ravano la Russia e la Francia. L’invasionedel Belgio, neutrale, da parte dell’Esercitotedesco, provocava l’ingresso dell’Inghil-terra nel conflitto, che successivamente, colcoinvolgimento di Stati Uniti e Giappone,assumeva dimensioni mondiali. L’Italia ufficiale, impastoiata nella “Tri-plice”, approfittando del carattere difensivodell’alleanza, dichiarava la propria neutra-lità. Non così “l’altra Italia”, quella repub-blicana e garibaldina: nostri emigrati inFrancia, s’arruolavano a difesa della “So-rella latina”, minacciata dall’imperialismo

tedesco, Ricciotti Garibaldi lanciava unproclama alla gioventù italiana a difesadella Serbia. A spingere il Generale, piùche l’internazionalismo e l’autodetermina-zione dei popoli, era soprattutto il fuocodell’irredentismo e la “santa voglia” dicompletare i confini nazionali. Il suo dise-gno, di risorgimentale memoria, quello dipartire dai Balcani per risalire la Dalmaziae giungere alla liberazione di Trieste; lasperanza, che l’azione dei volontari risul-tasse anticipatrice di quella del Governonazionale “chiamato dalla storia passata edalla volontà dei propri figli” a ribaltare lealleanze e a schierarsi colle democrazie eu-ropee. In ogni caso, pensava, l’eroismo deigaribaldini, la loro audacia e il loro sacrifi-cio, avrebbero salvato agli occhi del mondol’onore e l’immagine della Nazione.Ad immolarsi per la libertà della Serbia ela gloria dell’Italia un manipolo di sette ar-dimentosi, un episodio poco conosciuto espesso sottaciuto dalla storiografia uffi-ciale. Il 29 luglio, per non dare nell’occhio,essi partivano alla spicciolata da Roma.Due giorni dopo si ritrovavano a Brindisi,dove sfuggivano ai controlli di polizia, fin-gendosi turisti americani. Potevano cosìimbarcarsi per la Grecia sul piroscafo Mik-sale. Dopo vari scali, il 5 agosto erano a Sa-lonicco, da cui raggiungevano Kragujevac,sede del Comando Militare Serbo a sud diBelgrado. Ignari che Ricciotti Garibaldi,annullata ogni mobilitazione, aveva consi-gliato il ritorno in patria, l’8 s’arruolavanocogli slavi per combattere il comune ne-mico asburgico. Il 12 agosto l’Austria attaccava la Serbia eil 20 cinque di essi cadevano nel corso deicruenti combattimenti sulla collina di Bo-bina Glava, nei pressi di Visegrad. I loronomi: Cesare Colizza, leader del Circoloanarchico di Marino e massone della loggia

LA ROSSA AVANGUARDIA DELLE ARGONNE

di Sergio Bellezza

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Copertina de “La Domenica Illustrata”

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di Montecompatri, Mario Corsivieri di Ca-stel Madama, Nicola Goretti di Sutri, Fran-cesco Conforti di Salerno e Vincenzo Buccadi Palermo1. Al braccio portavano una fa-scia rossa, per non smentire, come scrisseUgo Colizza2, il loro garibaldinismo. Poco conosciuta, e poco rappresentataanche in questo centenario della GrandeGuerra, anche la storia della Legione Gari-baldina, che combattè nelle Argonne a di-fesa della Francia repubblicana. Fallito l’accordo di Ricciotti colla Serbia,furono i figli a prendere in mano la situa-zione. Peppino e Ricciotti jr, provenienti daNew York, con Bruno che arrivava daCuba, si ritrovarono a Londra, dove pensa-vano di costituire un gruppo di volontari.Dopo il rifiuto delle autorità britanniche, sitrasferirono in Francia, dove a Parigi ven-nero raggiunti dagli altri fratelli, ad ecce-zione di Menotti jr., che non aveva potutolasciare in tempo la Cina. Già il 4 agosto Peppino Garibaldi propo-neva al Governo francese di organizzare uncorpo di volontari italiani, da arruolarsi siain patria che in Francia, e il 24 presentavaal Presidente del Consiglio Viviani un me-moriale, con cui auspicava la costituzionead Antivari di una brigata, da inquadrarenell’esercito regolare, che operasse in Dal-mazia, alla sinistra di quello serbo. Del disegno Peppino Garibaldi informavail 30 ottobre 1914 il Presidente del Consi-glio, On. Salandra, con una lettera, con cuicercava di legittimarlo agli occhi del Go-verno italiano3 in nome dell’irredentismo edell’unità nazionale. Lo stesso, il 23 agosto, aveva già scrittodalla Francia al Partito Repubblicano, cheaveva cominciato ad ammassare volontaria Nizza, compiacendosi colla decisionedello stesso e dichiarandosi disponibile perun’azione comune, mirata ad ottenere dalgoverno transalpino l’accettazione delpiano. La costituzione di un corpo volontario e ilsuo utilizzo sulle coste balcaniche controgli austriaci, rispondeva pienamente alleattese dei repubblicani, in quanto conci-

liava la francofilia del partito, il suo anti-triplicismo e la libertà d’azione rispetto allamonarchia. Di conseguenza essi cercarono in patria discongiurare l’intervento dell’Italia a fiancodegli Imperi centrali, dall’altra di sostenerela mobilitazione dei volontari dentro efuori la Nazione. A Parigi Luigi Campolonghi teneva comizitra gli immigrati a favore degli arruola-menti, in Italia il partito si schierava a fa-vore del conflitto col manifesto dettato daArcangelo Ghisleri: “O sui campi di Borgo-gna per la sorella latina o a Trento e Trie-ste”. La mobilitazione provocava la protestadegli alleati della Triplice e imponeva lapresa di posizione contro i volontari delGoverno italiano, che sulla Gazzetta Uffi-ciale del 28 settembre 1914 ricordava come“[…] i responsabili di tali iniziative, con loesporre lo Stato ad un pericolo di guerra,erano perseguibili penalmente e pren-dendo possesso presso una potenza estera,potevano essere privati del diritto di citta-dinanza.” Si intensificarono di concerto i controlli dipolizia, soprattutto ai confini liguri e pie-montesi, sulle coste toscane e a Bologna,nodo ferroviario e punto di transito obbli-gato dalla Romagna e dalle Marche. Intantoi nostri consolati all’estero, a cominciaredall’ambasciatore Tittoni, con chiaro in-tento diffamatorio, dipingevano i giovani,che sempre più numerosi giungevano dal-l’Italia, come “[...] esaltati e turbolenti [...]che vengono ad arruolarsi in Francia [...]poiché essi non vogliono combattere sottole insegne della monarchia [...]”. La stampaconservatrice e monarchica, a cominciareda “L’Idea Nazionale”, cercava da parte suadi ridicolizzare agli occhi dell’opinionepubblica Ricciotti Garibaldi e la mobilita-zione a favore della “Sorella latina”. Sullastessa testata Francesco Coppola ironizzavasulla convinzione dei fuoriusciti di con-trapporre all’autoritarismo lo spirito demo-cratico, all’imperialismo il principio dinazionalità, a quella di tipo dispotica e mi-

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litare una visione pacifica ed umanitaria.Giudicava inoltre scandaloso che giovaniitaliani rischiassero la vita per un altroPaese e denunciava l’incapacità da partedelle autorità di bloccarne l’espatrio.A dispetto delle intimidazioni e dei con-trolli di polizia molti giovani, repubblicanisoprattutto, ma anche radicali e qualcheanarchico, alla spicciolata piuttosto che conpartenze di massa4, sfuggirono alla sorve-glianza e raggiunsero a settembre del 1914la Francia. Parecchi di essi convogliarono a Nizza,dove, come anticipato, s’andava costi-tuendo la Compagnia Genova, da impe-gnare secondo il Partito Repubblicano inDalmazia a fianco degli alleati transalpini,aprendo così un altro fronte che avrebbemesso in difficoltà il nemico. In attesa dell’accordo col Governo francese,cominciava per i volontari un periodo di at-tesa snervante, ben fotografato nel suo dia-rio da Giuseppe Chiostergi “[…] E’ lapreparazione politica che ci tiene inchiodatia Nizza […] Non è più il garibaldinismod’un tempo: la burocrazia predomina […]”. In realtà la Francia cercava soprattutto dinon irritare l’Italia, che stava gradualmenteripensando le proprie alleanze. Inoltre nonpoteva accettare la collaborazione di chi, adetta dello stesso patriota di Senigallia,sentiva di rappresentare “[…] un Partito,cioè un’Idea […]”, che conteneva tra l’altrouna forte componente rivoluzionaria, comeavevano dimostrato a giugno in Italia i fattidella “Settimana rossa”. Non cedeva di con-seguenza alle sollecitazioni del PRI ed evi-tava formalmente d’impegnarsi perl’utilizzo sulle coste adriatiche della Com-pagnia, che nel frattempo aveva cambiatoin proprio nome da Genova in “Mazzini”,evidenziando ancor più la propria naturapolitica. Naufragata ogni possibilità d’accordo colgoverno francese, il 14 ottobre essa venivasciolta dal Partito, che lasciava però liberigli uomini di tornarsene a casa o rimanereal fronte. Dei circa duecento componenti, una qua-

rantina soltanto, per la maggior parte mas-soni, raggiunsero Montèlimar e s’arruola-rono coi garibaldini. Tra questi anche ilChiostergi, che motivava così nel diario lasua scelta, sofferta ma convinta “[…] Iocredo fermamente che è utile al mio Partitoe all’Italia l’affermazione del nostro Inter-nazionalismo, della nostra devozione allaFrancia che rappresenta l’idea superiore diumanità, di civiltà […]”. A fotografare in-vece i sentimenti degli anarchici, LiberoTrancredi5, che scriveva “[…] fra il morir daimbecille, dopo aver desiderato la rivolu-zione senza farla e il ricevere una palla inpetto sul campo di battaglia, è ancora piùdecente quest’ultima alternativa […]”. Il permesso di costituire una Legione erastato invece concesso ai fratelli Garibaldifin dal 7 settembre dai transalpini, nontanto per l’impatto che il loro nomeavrebbe suscitato sull’opinione pubblicainternazionale, ma perché non era consi-gliabile in un momento difficile per la Na-zione, impegnata a bloccare i tedeschi sullaMarna, rifiutare carne di cannone a buonprezzo, come quei volontari, che “chiede-vano solo di combattere lo straniero”. Daquel momento quanti affluivano dall’Italia,dall’esilio svizzero o dalla stessa Francia,anziché essere instradati verso la Legionestraniera, venivano reclutati e spediti a for-mare i quadri di quella garibaldina. L’accordo, ufficializzato a metà mese dalMinistero della Guerra, prevedeva la costi-tuzione di 4 battaglioni, due a Nimes e duea Montélimar, con inquadramento misto diufficiali italiani e francesi, sotto il comandoformale di Peppino Garibaldi nominato te-nente colonnello. Era vietato l’uso della ca-micia rossa, troppo visibile al nemico,come ben sapevano i transalpini, il cuiEsercito aveva iniziato le ostilità, indos-sando pantaloni dello stesso colore. In so-stituzione venne concessa ai legionari,come elemento di distinzione, dopo lunghetrattative, la possibilità di fregiarsi di unapposito distintivo.Solo più tardi, riconoscendone l’impor-tanza simbolica e la notevole spinta psico-

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logica, venne permesso ai volontari d’in-dossare la camicia rossa sotto la giubba. La legione prese il nome di “4° Reggimentodi Marcia del 1° Straniero”, con gli effettiviche non raggiungevano le 2.000 unità e ibattaglioni limitati a tre per ragioni politi-che. Il suo ridimensionamento numerico e l’in-serimento nella Legione Straniera furonogiustificati ufficialmente da difficoltà tec-niche legate alle capacità di mobilitazione;in realtà era dovuto all’opposizione dellealte sfere militari, che non si fidavano dicombattenti, appartenenti ad una Nazioneancora alleata alla Germania e sospettati diprofessare idee rivoluzionarie. Sopportaticon diffidenza dai francesi, i volontarierano guardati con ostilità in Italia, dipintida una certa stampa nazionale come “av-venturieri, mercenari o dei semplici man-giagavette”.A Novembre da Montélimar e Nimes ilReggimento venne spostato a Mailly e il 19raggiunse Florens e Claon, inquadratonella decima Divisione di fanteria francesee chiamato a sostituire, nei boschi delle Ar-gonne, ad ovest di Verdun, le truppe tran-salpine logorate da un’estenuante guerra ditrincea. Dopo una serie di scaramucce, laLegione sostenne il primo vero scontro afuoco il 26 dicembre nel Bois de Bolante inlocalità Abri de L’Etoile. L’azione, un assalto alla baionetta, dovevaessere protetta dai colpi dell’artiglieriafrancese, alcuni dei quali, per errore di git-tata, finirono per colpire gli stessi garibal-dini, accolti dal fuoco di sbarramento deitedeschi, preavvertiti dal suono della fan-fara, fatta suonare incautamente dal coman-dante di un reggimento francese. Dopo tre ore d’assalti essi dovettero ripie-gare sulle posizioni di partenza, lasciandosul campo di battaglia 33 morti, 23 dispersie 105 feriti. Tra i primi anche Bruno Gari-baldi, caduto mentre, in camicia rossa, gui-dava all’attacco i suoi, sotto il fuocoimplacabile delle mitragliatrici..10° figlio di Ricciotti a undici anni era statomandato a studiare a Canterbury in Inghil-

terra nell’istituto metodista, religione pro-fessata dalla madre, dove conseguiva unaspecializzazione in tecniche agricole. A 18anni, come consuetudine per i maschi dicasa Garibaldi, lasciava la famiglia e si tra-sferiva a Cuba, dove s’impiegava inun’azienda per la lavorazione della carta dazucchero, occupando presto incarichi di re-sponsabilità. Allo scoppio della guerra, la-sciava l’impiego e si precipitava adarruolarsi coi volontari della Legione gari-baldina. Era il primo dei Garibaldi a morire in bat-taglia ed unanime fu il cordoglio.L’”Avanti!” da sempre pacifista scrivevanell’occasione: “[…] Alcuni crisantemi ca-dranno anche da mani socialiste sullagrande fossa dei garibaldini uccisi nelleArgonne […] Noi combattiamo in nome deinostri ideali, ma facciamo il saluto dellearmi all’ideale […] I caduti delle Argonnehanno dato il crisma del loro sangue allabella dignità, alla natura idealistica dellaloro impresa guerresca”6.Il 6 gennaio i solenni funerali a Roma, connon meno di 2.000 persone in corteo egrappoli umani sui tram, sui lampioni, suitetti. Uno spettacolo, scriveva la “Stampa”,commovente e grandioso. Rimasti per un breve periodo nelle retro-vie, i garibaldini il 5 gennaio 1915 torna-vano all’assalto, presso Ravin deMaurisson, al comando di Peppino Gari-baldi. Il piano prevedeva che partisseroall’attacco dopo lo scoppio di una mina trale file tedesche. Non s’era ancora spental’eco dell’esplosione , che erano già balzatitra le file nemiche, sbaragliandole con vio-lenti corpo a corpo, facendo 120 prigionierie guadagnandosi l’ammirazione del gen.Francese Valdant “[…] Questi garibaldinisono meravigliosi […]”, ma anche dei tede-schi “[…] Ci vogliono gli italiani, voi fran-cesi non sareste mai stati capaci diprenderci […]”.Pesanti ancora una volta le perdite: 47morti, 240 circa i feriti, 108 i dispersi. Traquesti Giuseppe Chiostergi, che credutomorto, fu addirittura commemorato giorni

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dopo nella sua Senigallia; ferito invece inpiù parti, fu salvato dal dissanguamentodal freddo e dalle basse temperature. Fattoprigioniero dai tedeschi, evitava la fucila-zione come “franco tiratore”7 e cominciavale sue peregrinazioni da un ospedale mili-tare all’altro della Germania, finché nelmaggio del 1916 venne rilasciato in Sviz-zera, aggregato ad un gruppo di prigionierifrancesi. Tra i caduti Lamberto Duranti, anconetanodi nascita e segretario della sezione repub-blicana di Perugia, da cui il 19 agosto 1914,insieme a Guglielmo Miliocchi8 e CamilloMarabini, era partito per raggiungere Mar-siglia per arruolarsi nella Legione Garibal-dina . Il 1° gennaio in una lettera a PubblioAngeloni, parlando della battaglia del 26dicembre, aveva scritto, presagendo la pro-pria morte: “Ci siamo battuti da veri leoni”[…] Sono veramente vivo per miracolo. Ildiavolo non m’ ha voluto con sé. Abbiamocombattuto per due ore sotto un turbinio difuoco […] Presto riattaccheremo: forse do-menica. Sarò ancora fortunato? Ci credopoco ma avanti! […] Abbiamo sposato lasanta causa francese e per essa daremo l’ul-tima stilla di sangue”. Nell’attacco del 5 gennaio perdeva la vitaanche Costante Garibaldi. Penultimo figliomaschio di Ricciotti e Costance Hopcraft, sidiplomava alla scuola d’Arti e Mestieri diFermo. Nel 1912 combatteva a Drisco afianco del padre a difesa della Grecia. S’im-piegava poi alle Acciaierie di Terni, città incui “dava il proprio nome alla Gioventù re-pubblicana e alla loggia Petroni”. Era vicecapo officina quando ad agosto del 1914 ac-correva in Francia, distinguendosi comeMaresciallo nell’inquadramento e assi-stenza ai volontari. Sia Costante che Bruno furono dichiarati“Mort pour la France” e ricevettero la Lé-gion d’Honneur; i loro medaglioni ornanoa Nizza il monumento a Giuseppe Gari-baldi. A Parigi, nel cimitero di Père La-chaise un blocco marmoreo commemora igaribaldini caduti nelle Argonne e tutti ivolontari morti nella Grande Guerra per la

libertà della Francia. La Legione era stata appena inviata a Calonper riorganizzarsi dopo l’assalto, che il 46°reggimento francese venne quasi distruttoall’Abri de l’Etoile e fu quindi necessariorinviarla al fronte. L’8 gennaio attaccò conrisolutezza il nemico, dieci volte più nume-roso, ricacciandolo sulle posizioni di par-tenza e liberando i resti dell’unitàtransalpina, ch’erano rimasti accerchiati. Pesanti ancora una volta le perdite, 15morti, 54 feriti, 42 dispersi, ma tanta la glo-ria e grande la riconoscenza dei francesi.Venti giorni dopo Il 28 gennaio lo StatoMaggiore francese insigniva della Legiond’Onore Peppino Garibaldi e decorava ipiù coraggiosi tra i garibaldini. Tra questiRicciotti jr., il capitano Evangelisti e il te-nente Marabini. L’eco delle loro gesta arrivava anche in Ita-lia, dove, nel clima che andava montando,si cominciava ad esaltava il sangue versatonelle Argonne come prefigurazione diun’Italia più bellicosa e potente e a parlaredella Legione garibaldina come della“Rossa avanguardia delle Argonne”. Arrivava poi sul “Corriere della Sera” l’ar-ticolo di Luigi Barzini, che sotto un titoloestremamente significativo “Sangue ita-liano nella foresta”, rievocava con toni epicil’azione dei garibaldini, dipingendo la Le-gione come “un corpo d’impeto”, l’area deicombattimenti “un semicerchio di furore”,gli inni alla patria come “il grido dellarazza”. Spostata a La Grance le Comte per il meri-tato riposo, la Legione, già decimata suicampi di battaglia, venne assalita da malat-tie ed epidemie, che colpirono parecchi deisuoi componenti, procurando non pochidecessi tra i garibaldini.Il 6 marzo la Legione era sciolta. Il Governoitaliano stava richiamando sotto le armi al-cune classi di riserva e il ministro dellaGuerra francese, in base agli accordi, resti-tuiva la libertà ai volontari italiani, perconsentirgli di accorrere a difesa della Pa-tria. Si disse che furono gli stessi fratelli Gari-

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baldi a sollecitare la decisione, desiderosidi partecipare alla campagna interventista.In realtà i riconoscimenti ai volontari ave-vano suscitato gelosie nell’Armata, colpi ditesta e atti di insubordinazione irritazionenei comandi francesi. Accompagnava però il loro congedo conuna nota che ne riconosceva tutto il valore“[…] Formato dal tenente colonnello Gari-baldi, il 4° reggimento straniero di marciaha preso parte attiva alle operazioni che sistanno tuttora svolgendo nelle Argonne evi ha tenuto un contegno brillante scri-vendo un nuova pagina gloriosa nella sto-ria della Legione straniera[…]”.Dichiarazioni non formali, se successiva-mente fu coniata per i legionari una spe-ciale medaglia commemorativa e se aguerra conclusa, nel 1919, la Bandiera diparata della Legione garibaldina, un trico-lore con fiocco francese senza stemma sa-baudo9, fu fatta sfilare sui Champs Elyséea Parigi come riconoscimento ai volontariitaliani del ’14. I Garibaldini potevano così rientrare in pa-tria, guardati con sospetto dalle autoritàitaliane, cui la Prefettura di Roma a feb-braio avevano ancora una volta inviato rap-porti allarmistici sulle meneantimonarchiche di Ricciotti padre e deivari settori della sinistra interventista,mentre il nostro console a Lione gli riferivadi voci ricorrenti in Francia, che indicavanola Legione come supporto di un moto rivo-luzionario tendente a proclamare la repub-blica sulle coste adriatiche.Coll’ingresso dell’Italia nella GrandeGuerra, i reduci delle Argonne si arruola-rono con coerenza nell’Esercito, chiedendoper la maggior parte di finire nella BrigataAlpi, erede di quei “Cacciatori” di risorgi-mentale memoria, che tanto avevano con-tribuito all’Unità nazionale. Guidati ancora da Peppino Garibaldi, dal17 comandante della Brigata, e con i fratelliRicciotti jr., Sante ed Ezio, a capo di com-pagnie e battaglioni della stessa, rinnova-vano il loro impegno di lotta e di sanguecombattendo per la libertà del nostro

Paese, distinguendosi in particolare nellaconquista del Col di Lana e nella campagnadi Bligny in Francia.

Note

1) Tutti i volontari furono insigniti della Medagliad’Oro al Valor Militare dal Governo di Belgrado.2) Fratello di Cesare, completava con Arturo Reali,anch’esso di Marino (Prov. di Roma ), il drappellodei sette giovani volontari.3) “Sono sicuro che V. E. non vorrà considerare que-sta nostra azione come un atto di insubordinazionealle leggi del nostro Governo, ma semplicemente unvivo attaccamento da parte nostra verso i fratelli nonancora liberi e che da tanti anni combattono per laloro italianità”.4) Decisione presa il 21 settembre 1914 nel CircoloRepubblicano di Forlì nella riunione segreta presie-duta da Gaudenzi, Parolini e Comandini.5) Pseudonimo del giornalista Massimo Rocca6) F. Ciccotti,”Quelli che hanno pagato di persona”“Avanti! “ 2 gennaio 19157) I Tedeschi non riconoscevano ai Volontari la qua-lifica di combattenti8) Noto massone perugino, come del resto Duranti 9) La bandiera, per cui si sfiorò una crisi diploma-tica tra Italia e Francia, fu subito ritirata e presa daSante Garibaldi è oggi conservata al museo garibal-dino di Rio Freddo

Bibliografia- M.Antonioli, Gli Anarchici italiani e la prima guerramondiale, Rivista storica dell’anarchismo, II. 1995.- Ugo Bistoni, Paola Malachia, Due secoli di Massoneriain Umbria, Editrice Volumnia, Perugia 1975- E. Cecchinato, Camicie Rosse. I garibaldini dall'Unitàalla Grande Guerra, Laterza, Roma-Bari 2011- G. Chiostergi, Diario Garibaldino ed altri scritti e di-scorsi, a cura di E. Fussi Chiostergi e V. Parmentola,Associazione mazziniana italiana, Milano 1965- F. Coppola, Per la democrazia o per l’Italia. “L’IdeaNazionale”, 3 ottobre 1914- R. Garibaldi, I fratelli Garibaldi dalla Argonne all’in-tervento, Edizioni Garibaldine, Milano 1933- A. Mannucci,Volontarismo garibaldino in Serbia nel1914, Tip. Risorgimento, Roma s.d. (1960)- C. Marabini, La rossa avanguardia dell’Argonna: dia-rio di un garibaldino alla guerra franco-tedesca (1914-1915), Editoriale Libraria. Roma 1934

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Benjamin Franklin nasceva nel 1706a Boston, la città più puritana delNew England, da un venditore di

candele, divenendo protagonista della ri-voluzione nordamericana ed un eroe mo-derno contro l’ignoranza, la superstizione,la barbarie e il fanatismo. Franklin è statosempre alla ricerca di se stesso, e dopo unavvicinamento al quietismo quacchero (lapredicazione quacchera di George Fox a Fi-ladelfia, dove s’era trasferito dal 1728,aveva fatto tanti proseliti), s’inseriva nellaistituzione massonica. Infatti nel 1731venne fondata a Filadelfia la prima loggiamassonica, la St. John, in cui Franklinvenne iniziato. Nel 1734 fu eletto GranMaestro Provinciale della Pennsylvania;dal 1735 al 1738 fu segretario; nel 1750 di-venne Gran Maestro Aggiunto. È indubbioche la massoneria americana non avrebbeavuto tanta rigogliosa compattezza, tantoprestigio internazionale senza l’operato diun fratello eclettico, geniale e capace quale

Franklin, mente pratica e fattiva, costante-mente teso verso la virtù e il benessere:“Credo che la felicità delle sue creature co-stituisce per Dio la sua felicità più grandee più profonda” – ebbe a scrivere – “e poi-ché l’uomo non potrebbe essere felicenell’al di qua senza virtù, credo ferma-mente che questo Dio sia felice di vedermivirtuoso, e io sono felice quando mi vedefelice”. Franklin si dedicò alla diffusionedella cultura e dell’istruzione, nel 1776partecipò alla dichiarazione d’indipen-denza americana, nel 1785 fu presidentedello stato della Pennsylvania e deputatoalla Convenzione federale del 1787. Nella nostra penisola fu il tipografo cremo-nese Lorenzo Manini della loggia “SanPaolo celeste”, congiuntamente col fratelloIsidoro Bianchi, a ridestare l’interesse perle civiltà d’oltreoceano pubblicando le Let-tere americane (1780) di Gianrinaldo Carli,proprio con una bella prefazione di Fran-klin. In effetti, la diffusione della StrettaOsservanza in Lombardia prese avvio nonda Milano, ma da Cremona, dove alla finedegli anni Settanta nacque la loggia “SanPaolo celeste”, animata da quello straordi-nario organizzatore culturale che fu l’abateBianchi, autore di saggi su Rousseau e diun fortunato libretto intitolato Dell’institutodei veri liberi muratori (1786). Attorno a que-sta loggia si svolse gran parte dell’operamassonica lombarda del tardo Settecento,volta ad un’intensa attività editoriale checoinvolse librai e tipografi, e tesa ad instau-rare relazioni con la massoneria europea enordamericana, come dimostrano i fortis-simi legami con Franklin, a lungo alunnodiligente di un suo fratello tipografo. Fran-klin, nel suo soggiorno francese, s’inserìnella celebre loggia delle “Nove sorelle”.Infatti nel 1774 il cavaliere francese Beau-chenne aveva istituito quella famosa log-gia, che il Grande Oriente di Franciaaccolse poi favorevolmente, riconoscendola

BENJAMIN FRANKLINE FILADELFIA DI CALABRIA

di Giovanni Greco

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come loggia di adozione. La massoneriafemminile si divideva allora in due classi:la massoneria palladica e quella di ado-zione. In quest’ultima i riti erano quellidelle logge miste e prevedevano i gradi diapprendista, compagna, maestra, maestraperfetta, sublime scozzese. La più GranMaestra di quel rito fu la moglie del filo-sofo Claude Adrien Helvétius, il cui grem-biule venne poi utilizzato da Voltaireall’interno della loggia delle “Nove Sorelle”in cui s’era inserito proprio grazie a Fran-klin, che volle essere presente nel 1778 allasua iniziazione, e che verrà soprannomi-nato il Voltaire americano. Franklin feceparte della loggia “Nove Sorelle” con fra-telli del calibro di Lalande, Cabanis, PaulJones. Infatti la massoneria francese, nelperiodo 1773-1789, dimostrò una straordi-naria capacità d’attrazione in particolare trala nobiltà, l’alta e media borghesia, il cleroe gli intellettuali. In quel contesto Franklinintrattenne rapporti fraterni con DomenicoCirillo, medico e botanico, una delle vit-time illustri della repressione del 1799, im-piccato nella piazza del Mercato di Napoli.Domenico Cirillo apparteneva alla GranLoggia provinciale inglese, aveva la catte-dra di Medicina teorica prima, e di Medi-cina pratica poi, e fu autore, fra l’altro, delDe lue venerea del 1780. Esistono inoltre re-lazioni epistolari fra Franklin e il fratelloGaetano Filangieri, tant’è che, attraversoun banchiere di Parigi, Franklin comprò unnumero considerevole di copie di La scienzadella legislazione, uno dei massimi contributiitaliani alla scienza dello stato. Probabil-mente La scienza della legislazione sarebbe ri-masta semisconosciuta se non fosse statatradotta in francese, spagnolo e tedesco periniziativa di fratelli nelle logge di queipaesi. I legami epistolari tra Filangieri eFranklin furono molto forti, sia su que-stioni culturali che personali: Filangieri,infatti, gli scriveva per il suo grande amoreper Charlotte, con cui avrebbe voluto addi-rittura emigrare negli Stati Uniti. L’ultimalettera di Franklin arrivò a Vico Equensepoco dopo la morte di Filangieri, come sievince dalla bella lettera di risposta dellavedova.

Amico fraterno di Franklin fu anche Courtde Gobelin, conosciuto fra le colonne delle“Nove Sorelle”, inventore della omeopatia,oltre che dei moderni tarocchi, e forse noncasualmente la stella a sette punte è anchenell’acconciatura della statua della libertà.Nel 1776 venne fondato il cosiddetto Or-dine degli Illuminati, nell’ambito dellamassoneria egiziana, al quale partecipòanche Franklin con fratelli quali vonKnigge, Goethe, Weishaupt ed Herder.Inoltre, Franklin ebbe rapporti costanti edaffettuosi col vescovo di Potenza, il fratelloGiovanni Andrea Serrao, cultore della pu-rezza della religione, che verrà accusato digiansenismo e trucidato dai sanfedisti. Ser-rao era originario del paese di Castelmo-nardo, completamente distrutto dalterremoto del 1783, e che venne riedificato,dietro sua iniziativa, in una località vicinachiamata poi Filadelfia, Filadelfia di Cala-bria, in provincia di Vibo Valentia, proprioin omaggio a Franklin e agli aiuti da luiforniti avendo sinanco indicato gli stru-menti tecnici per orientare e impostare lapianta della ricostituita comunità, secondolo schema dato alla Filadelfia americanaalla fine del 1600, e tipico di centinaia dicittà americane. Nella Filadelfia italiana èancora viva la memoria del fr. vescovo Ser-rao, tant’è che attualmente esiste una loggiaintitolata a Giovanni Serrao. E certamenteanche Serrao fu d’accordo con le conside-razioni finali di Franklin: “La mia immagi-nazione s’innalza di là del nostro sistemadi pianeti, di là delle medesime stelle fisse,fino a quello spazio che mi sembra pienodi soli come il nostro, ciascuno circondatodal suo coro di mondi che gli girano eter-namente attorno. E questa piccola pallanella quale ci agitiamo mi sembra, anche allume della mia debole immaginazione,quasi un nulla. Ed io appaio a me stessomeno che niente”. Per Franklin, infine, lapiù grande conquista fu quella di se stesso,conquista che si realizzò anche grazie al-l’istituzione massonica, atta a modellare eperfezionare, secondo Guido Fornelli, “lasua vita interiore, la sua lenta, faticosa ederoica ascesa spirituale”.

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Ènoto come uno degli episodi più si-gnificativi di tutta la storia dell’op-posizione al fascismo sia stata la

fuga, nell’estate del 1929, dal confino di Li-pari di tre noti esponenti dell’antifascismoquali Carlo Rosselli, Francesco Fausto Nittied Emilio Lussu.Era durante il fascismo il confino di poliziauna riproposizione riveduta e corretta, valea dire adeguata alle peculiari necessità delregime, del vecchio strumento del domici-lio coatto, che prevedeva l’obbligo per ilsovversivo di soggiornare “in una coloniao in un comune del regno diverso dalla re-sidenza del confinato”. Il confinato, a parteil divieto di allontanarsi dalla colonia o dal

comune assegnatogli, andava soggetto atante e tali restrizioni della libertà perso-nale da trovarsi in una condizione nonmolto diversa da quella carceraria: dallaproibizione di allontanarsi dall’abitazionescelta o assegnatagli d’ufficio senza preven-tiva autorizzazione al divieto di ricevere ospedire corrispondenza se non subordina-tamente al controllo dell’autorità, dall’ob-bligo di presentarsi al commissariato dipubblica sicurezza in giorni e ore stabilitial dovere “di non discutere di politica”. Il fascismo, a partire dalla decisiva strettarepressiva delle leggi eccezionali dell’au-tunno del 1926, tende a fare largo uso del-l’istituto del confino, perché trattasi di unostrumento repressivo alquanto duttile,molto più facile da gestire rispetto ai pro-cessi davanti al Tribunale speciale per ladifesa dello Stato, che inevitabilmente ave-vano una loro risonanza a livello nazionalee talvolta anche internazionale. Invecequello del confino di polizia era un prov-vedimento amministrativo molto più “di-screto”, nel senso che veniva, senzapubblicità alcuna, irrorato da una commis-sione di cinque membri istituita presso laprefettura e investita del potere di commi-nare da uno a cinque anni di confino senzala necessità di procedimento giudiziario al-cuno. La vicenda di Emilio Lussu è emblematicaper quanto concerne l’utilizzo dell’istitutodel confino. Lussu viene arrestato il 31 ot-tobre 1926 perché si è difeso, armi inpugno, dall’assalto portato da circa 150squadristi alla sua abitazione in Cagliariuccidendo uno degli assalitori e mettendoin fuga gli altri. Nonostante trattasi palese-mente di legittima difesa e Lussu sia unparlamentare in carica, viene trattenuto incarcere e deferito all’autorità giudiziaria.Avviene però che una magistratura ancora

TRA SARDEGNA, SICILIA E TUNISIA:PERCORSI DI UN ANTIFASCISMO MEDITERRANEO

di Santi Fedele

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Emilio Lussu

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non del tutto fascistizzata assolve Lussu ri-conoscendo che ha operato per legittima di-fesa. Ma ecco che interviene l’istituto delconfino, in forza del quale al parlamentaresardo viene comminato il massimo dellapena prevista, cioè cinque anni di confino,da scontare nella maggiore delle isoledell’arcipelago eoliano: Lipari.Oggi Lipari evoca l’idea di un’ amena loca-lità di villeggiatura, di paesaggi suggestivie “barche” lussuose; allora era un’isolabrulla, con scarsa vegetazione, flagellatadai venti di Eolo. Lipari non solo era cir-condata dal mare ma era prossima a regionicome la Sicilia e la Calabria che non pote-vano essere ritenute delle potenziali rocca-forti dell’antifascismo. Ragion per cuiLipari era considerata dal regime una delleisole di detenzione più sicure, dove inviarealcuni dei suoi oppositori più pericolosi,come per l’appunto Carlo Rosselli, il bril-lante intellettuale allievo di Gaetano Sal-vemini che già si era messo in luce perun’impresa estremamente ardimentosa, al-lorché assieme a Sandro Pertini e FerruccioParri aveva convinto Filippo Turati, il piùnoto e prestigioso esponente del socialismoitaliano, a lasciare Milano ed espatriareclandestinamente salpando avventurosa-mente dalle coste liguri per raggiungere laCorsica e dalla Corsica la Costa azzurra equindi Parigi.Rosselli non tarda a stringere rapportid’amicizia con alcuni confinati ai quali sisente maggiormente accomunato dall’esi-genza pressante d’imprimere una svolta at-tivistica all’opposizione al fascismo. Tra diessi vi sono i futuri compagni di fuga:Francesco Fausto Nitti, singolare figura diintellettuale liberaldemocratico di famigliaprotestante affiliato al Grande Oriented’Italia di Palazzo Giustiniani, ed EmilioLussu.. Emilio Lussu è l’espressione di un antifa-scismo che non vuole essere sterile atten-dismo ma vuole confrontarsi col fascismosul piano della lotta e, se necessario, delloscontro armato. Sotto questo aspetto, Lussu

è colui che del movimento Giustizia e Li-bertà, cui, all’indomani dell’arrivo in Fran-cia, danno vita i fuggiaschi da Lipari inunione d’intenti con Gaetano Salvemini edAlberto Tarchiani che dell’impresa eranostati i principali fautori e i registi, megliodi ogni altro esprime la spiccata connota-zione volontaristica e attivistica. Non è uncaso che il motto di Giustizia e Libertà in-sorgere per risorgere, posto ai lati della rossaspada fiammeggiante assunta a simbolo delmovimento, venga per l’appunto coniato daEmilio Lussu. Insorgere per risorgere: ri-chiamo forte al tema dell’antifascismocome secondo Risorgimento nazionale eperò anche sottolineatura inequivocabiledella pulsione volontaristica, della spintaall’agire che anima il nuovo movimento.Ma torniamo alla fuga da Lipari, per sot-tolinearne due aspetti. Il primo è il mo-mento storico in cui si colloca, che è quellodell’avvio, dopo la stipula dei Patti latera-nensi, della parabola ascendente del “con-senso” al regime. Il secondo sono lemodalità dell’impresa: un motoscafo d’altomare, condotto da due audaci, Italo Oxiliae Gioacchino Dolci, che, con il favore delletenebre, riesce ad avvicinarsi alla spiaggiadi Lipari eludendo la stretta sorveglianzaapprontata dai dirigenti della colonia, im-barcare, dopo alcuni tentativi andati avuoto, i tre fuggiaschi che attendono inacqua e ripartire a velocità tale da sfuggireall’inseguimento delle motovedette dellamilizia fascista.Saranno per l’appunto le modalità dell’im-presa a colpire notevolmente l’opinionepubblica europea e americana. È soprat-tutto interessante notare come nell’opi-nione pubblica anglosassone quella nutritanei confronti dei fuggitivi fosse un’ammi-razione che stava a metà fra il gesto politicodegli oppositori e l’ “impresa sportiva” rea-lizzata mescolando astuzia, ardimento eutilizzo di mezzi tecnici di primordinequale per l’appunto il motoscafo adoperatoper l’impresa. Per valutare l’entità dellosmacco bruciante che per il regime rappre-senta la fuga da Lipari di Lussu e degli altri

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c’è un dato da tenere ben presente: il fasci-smo ha assorbito ed ereditato dal futurismoil culto dell’ardimento, l’esaltazione dellatecnica, il mito della velocità. Ed è propriosu questo campo che il regime è stato sfi-dato e clamorosamente battuto dagli arte-fici dell’impresa incredibile.Lo scenario territoriale in cui si svolge que-sta impresa è il Mediterraneo occidentale egeograficamente essa coinvolge la Sarde-gna, la Sicilia e la Tunisia. Perché il moto-scafo viene messo in acqua nel porto diTolone, ma la base di partenza per l’im-presa deve essere relativamente vicina al-l’obbiettivo da raggiungere. Perciò la sceltacade su Tunisi, il porto dell’Africa mediter-ranea più prossimo alle Isole Eolie, alla Si-cilia. E così il Dream V nel giugno del 1929parte da Tolone per Tunisi facendo tappeintermedie in Corsica e in Sardegna. Da Tu-nisi si produrranno i tentativi, l’ultimo deiquali coronato da successo, per accostarsinottetempo alla spiaggia di Lipari, prele-vare in acqua i confinati in attesa e quindivelocissimamente far nuovamente rottaverso Tunisi, dove il motoscafo approderàil 28 luglio del 1929. Da qui gli autori e gliorganizzatori dell’impresa audace si porte-ranno a Biserta per prendere un normalepiroscafo di linea che li porterà a Marsiglia,in libera terra di FranciaVi è in questa vicenda della fuga da Lipariun particolare poco noto e cioè che vi erastato il tentativo da parte dei protagonistidell’impresa di convincere a venire conloro un altro esponente estremamente pre-stigioso dell’antifascismo italiano a queltempo deportato a Lipari: il Gran maestroin carica del Grande Oriente d’Italia di Pa-lazzo Giustiniani Domizio Torrigiani. MaTorrigiani non accetta di associarsi all’im-presa. Non perché sia vecchio, come si dicein maniera molto superficiale in alcunilibri di storia. Torrigiani ha soli 53 anni eperò è afflitto da una gravissima infermitàagli occhi che lo condurrà a morire quasidel tutto cieco due anni dopo, nel 1932.Torrigiani, pur consapevole di quanto sa-rebbe stato importante, soprattutto presso

l’opinione pubblica anglosassone e quellastatunitense in particolare la testimonianzadi opposizione al fascismo resa all’esterodel Gran maestro della più numerosa ed in-ternazionalmente riconosciuta Comunionemassonica italiana, non è in grado, non ènelle condizioni fisiche di tentare la fugaassieme agli altri ed è costretto a rinun-ziarvi Ma se non ci sarà la fuga di Domizio Torri-giani, l’antifascismo massonico tunisino,che fa riferimento alla locale Loggia del GoiMazzini e Garibaldi avendo in Giulio CesareBarresi ed Enrico Forti i suoi principali ani-matori, riesce in un’altra impresa: quella difare espatriare clandestinamente da Firenzee dare ricovero a Tunisi alla moglie e al fi-glio di Giovanni Becciolini, il Segretariodella Loggia giustinianea “Lucifero” barba-ramente trucidato in Firenze durante il po-grom messo in atto dagli squadristinell’ottobre del 1925.In particolare, Barresi è antifascista, mas-sone, anarchico, componente autorevoledella sezione tunisina della Lega italianadei diritti dell’uomo, e come tale svolgeuna funzione strategicamente rilevante nelcontesto dell’organizzazione antifascista aTunisi. In forza della sua qualità di ispet-tore alle merci in arrivo nel porto di Tunisi,egli entra in contatto con tutta una serie diuomini di mare, capitani e marinai imbar-cati nelle navi facenti rotta abituale tral’Italia e la Tunisia e, in forza di queste suerelazioni, diviene il perno di un’organizza-zione clandestina, a cui collaborano mas-soni, anarchici, esponenti della Lega,militanti di Giustizia e Libertà, finalizzataall’introduzione di stampati clandestini an-tifascisti in Italia.In sintesi la rete clandestina è così struttu-rata: gli stampati di propaganda antifasci-sta, prodotti dal Grande Oriente d’Italia inesilio ma più ancora dalla direzione esteradi Giustizia e Libertà, vengono inviati daParigi a Tunisi. Qui vengono presi in caricoda Barresi che li affida ai suoi amici uo-mini di mare perché li vadano a imbucarenei vari porti italiani in cui andranno ad at-

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traccare. Era un sistema non privo di van-taggi, perché se la milizia postelegrafonicastava attentissima a tutto quello che arri-vava dall’estero, essa non poteva control-lare tutte le centinaia di migliaia di lettereche circolavano partendo dal territorio na-zionale. Quindi poter affidare a uomini dimare buste contenenti stampati antifascisticon i più svariati indirizzi e poterli imbu-care nei porti più diversi era procedura ido-nea a suscitare fondate speranze di riusciread aprire una breccia nell’apparato repres-sivo del regime. Una parte poi di questi stampati venivanofatti arrivare a un gruppetto di antifascisticatanesi affiliati a una Loggia clandestinain collegamento con l’estero. Tra questi ven’era uno, Giuseppe Caporlingua, che erail contabile di una ditta di esportazione diderivati agrumari e che si avvaleva dellebuste intestate all’azienda per spedire glistampati antifascisti a svariati indirizzi. Insintesi un’organizzazione imperniata sultriangolo Parigi-Tunisi-Catania con ulte-riori diramazioni a Palermo e altre localitàmeridionali che si sforzava di utilizzarevari porti italiani per lo smisto della corri-spondenza. Si trattava di un’organizzazione clandestinase vogliamo rudimentale, imperniata sulsistema tipico a triangoli che faceva sì che,fatta eccezione per Barresi, per Caporlinguae per pochi altri, ciascuno non conoscessepiù di due altri affiliati; con l’utilizzo di uncifrario segreto per cui, tanto per dirne una,gli opuscoli di Giustizia e Libertà erano “iprezzari della rinomata ditta GL”. Tuttoquesto oggi ci potrebbe anche fare sorri-dere, se pensiamo che la macchina repres-siva del regime era ormai alquantoperfezionata e già da diversi anni operaval’OVRA. E tuttavia sarebbe erroneo sottovalutare ilsignificato, per quel che rappresentavanoin termini di accanita volontà di resistenzaa un regime che si avviava a raggiungerel’acme della parabola del consenso, di que-ste poco note esperienze di un antifasci-smo, per così dire, mediterraneo. Perché

l’antifascismo non si sviluppa soltanto aTorino, a Milano, a Firenze; ha anche unadimensione mediterranea e in questa di-mensione vi sono personaggi della staturadi Emilio Lussu, figure meno conosciutema di notevole spessore come quella diGiulio Cesare Barresi e poi tanti altri oscuriartefici delle iniziative di testimonianza edi lotta antifascista che si produssero nelloscenario del Mediterraneo occidentale traSardegna, Sicilia e Tunisia.

Bibliografia

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Com’è noto, la Massoneria anderso-niana, filiazione diretta della GranLoggia di Londra, vietò esplicita-

mente ai fratelli di trattare di questioni re-ligiose e politiche durante le riunioni. Inquesto modo le logge sarebbero diventateluoghi di concordia civile per il supera-mento dei contrasti che avevano insangui-nato l’Inghilterra. La Libera Muratoriacontinentale, invece, si caratterizzò benpresto per due orientamenti fondamentaliche, allontanandosi in qualche modo dal-l’ortodossia anglosassone, inclinarono ilprimo verso la religiosità e il misticismo,con vari sconfinamenti di tipo occultistico,ed il secondo verso l’impegno politico-mondano al fine di trasformare l’intera so-cietà (è il caso dei famosi – o famigerati –

Illuminati di Baviera). La proliferazionedegli alti gradi fu al tempo stesso causa edeffetto di una simile evoluzione. All’interpretazione politica della Massone-ria è legata la figura di Gabriel Honoré Ri-queti, conte di Mirabeau, avventuriero,scrittore, statista, tra i più grandi oratoridella Rivoluzione francese. Discendente dauna famiglia della nobiltà provenzale, fi-glio di uno stimato economista della scuolafisiocratica, il giovane Gabriel fu destinatodal padre alla carriera militare. Il tempera-mento irrequieto e lo stile di vita dispen-dioso lo portarono a ripetuti scontri colgenitore che lo fece imprigionare per sot-trarlo ai creditori. Durante la detenzionenel castello di Joux scrisse il suo primotrattato politico, il Saggio sul dispotismo(1775), una vigorosa denuncia dell’assolu-tismo ispirata alle teorie di Rousseau. Dabuon libertino coltivò molti amori; la fugain Olanda con Sophie de Monnier fecescandalo, essendo entrambi già sposati, esi concluse con la condanna di Mirabeau atre anni e mezzo per ratto e seduzione,mentre Sophie, incinta, venne confinata inuna casa di correzione. Le lettere piene dipassione che da Vincennes, dov’era recluso,scrisse all’amata costituiscono uno dei piùcelebri epistolari sentimentali di tutta laletteratura francese. Riottenuta la libertà eseparatosi legalmente dalla moglie, si buttòa capofitto in un’intensa attività pubblici-stica contro le iniquità dell’ancien régime,senza trascurare nuove imprese galanti eviaggi all’estero. Tra il 1786 e il 1787 lo tro-viamo a Berlino in qualità di agente se-greto, incaricato dal ministro Vergennes diraccogliere informazioni sulla corte prus-siana. A partire dal 1789 la sua biografia fatutt’uno con gli eventi rivoluzionari: elettorappresentante del Terzo Stato, pone il pro-prio febbrile attivismo al servizio di un

LA CONTROVERSA FIGURA DEL CONTE DI MIRABEAU

di Flaviano Scorticati

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piano di riforme per l’abbattimento dellediseguaglianze e degli arbitrî del potere,pur nel mantenimento della forma monar-chica di governo. Questa posizione di equi-librio tra la Corona e le ragioni dellaRivoluzione lo esponeva però all’ostilitàtanto dei reazionari quanto dei radicali, nési può dire che fosse priva di ambiguità,giacché Mirabeau, come si scoprì solo dopola sua morte, lavorava in incognito per il re,dal quale riceveva un regolare stipendio.Le sue spoglie furono allora traslate dalPantheon, dove riposavano i grandi dellapatria, e deposte altrove. Una delle ultimefrasi del Demostene francese suona profe-tica: «Porto via con me il lutto della monar-chia; i suoi resti saranno preda dellefazioni».Per molto tempo l’appartenenza di Mira-beau alla Libera Muratoria è stata oggettodi controversie che hanno diviso gli stu-diosi in favorevoli e contrari. In due letteredel maggio 1779 indirizzate a Sophie deMonnier egli sembra alludere scherzosa-mente al fatto di essere massone: «Come,tu odi i liberi muratori che mi trattengonofino alle tre del mattino?»; «Odi con tuttoil tuo cuore il buon angelo: è libero mura-tore». In un’altra lettera, datata 19 novem-bre 1780, leggiamo questo passaggio: «Voidecidete un po’ leggermente che io non co-nosca affatto la luce; eppure qualche voltami è capitato in Inghilterra, in Olanda e inFrancia di stare a mezzogiorno per raffor-zare l’asilo dei miei fratelli; il mio posto èstato anche all’occidente; ma se contate ditrovare in me un pozzo di scienza masso-nica vi ingannate, fratello mio; perché hosempre assegnato molta poca importanza atutto ciò, a meno che non vi siano bravimusicisti in Loggia». Esistono inoltre quat-tro lettere alla municipalità di Rietz in cuiil conte aggiunge alla propria firma i trepuntini che spesso compaiono nella corri-spondenza massonica. Ma la prova decisivaè il manoscritto del discorso pronunciatodall’oratore della loggia parigina Le Nove So-relle in occasione dell’affiliazione di Mira-beau il 22 dicembre 1783. Questo

documento, oggi conservato a Lexingtonnegli Stati Uniti, dimostra in maniera ine-quivocabile che egli era libero muratore atutti gli effetti, poiché soltanto chi è statoprecedentemente iniziato può essere affi-liato a un’altra loggia. Trova così confermala testimonianza del figlio adottivo, nonchéesecutore testamentario, Lucas de Monti-gny, secondo cui Mirabeau era entrato pre-sto in Massoneria e ciò lo aveva accreditatoa frequentare poi una loggia olandese. Sempre de Montigny fece pubblicare nel1834 un testo singolare, attribuito a Mira-beau, dal titolo Memoria su una associazioneriservata da stabilire all’interno dell’Ordine deiLiberi Muratori per ricondurlo ai suoi veri prin-cipi e farlo tendere davvero al bene dell’umanità,redatta dal F. Mi. ora denominato Arcesilao,nell’anno 1776. L’autore della Memoria indi-vidua il fine supremo della Massonerianella felicità di tutti gli uomini, aggiun-gendo che tale fine può essere perseguitounicamente da un’associazione riservata,interna all’Ordine, formata dai fratelli mi-gliori, i più istruiti e virtuosi. Due i prin-cipî guida della loro azione: il primo, ditipo filantropico, consiste nella diffusionedel sapere in tutti gli strati della società,così da raggiungere anche i ceti popolari; ilsecondo, dalla fisionomia schiettamentepolitica, ha di mira la correzione dei go-verni e delle legislazioni vigenti. A questiprincipî corrispondono i due gradi dell’as-sociazione, di cui il primo è di preparazioneal secondo, dal momento che – nota Arce-silao – un uomo reso saggio dalla cono-scenza non può certo dirsi felice se èvittima di un potere dispotico.

Si può pensare, ad esempio, che un uomo,per quanto saggio e virtuoso sia, possa nonessere molto sventurato quando lo si strappaai suoi genitori, a sua moglie, ai suoi figli,alla sua amante, per mandarlo a farsi sgoz-zare in America? O quando è servo e legatoalla gleba, lui ed i suoi figli, per l’eternità;quando invece di poter lavorare per nutrirsi,lui, la sua famiglia, il suo bestiame, è obbli-gato ad andare in corvée; o quando, volendomettere in pratica qualche mestiere che ha

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imparato, e stabilirsi con la fanciulla cheama, non potrà farlo, perché non avrà di chepagare le spese per la sua emancipazione…o quando basteranno labili indizi per farloimprigionare e metterlo alla tortura; in-somma, un uomo saggio e virtuoso può es-sere felice, se può essere oppresso, esiliato,imprigionato, messo a morte da un potente acui sia risultato sgradito?

Soltanto i membri più meritevoli possonoessere ammessi al secondo grado, i cui mi-steri riguardano la riforma del sistema po-litico, una riforma da attuare in manieragraduale ed insensibile, per esempio attra-verso l’opera di fratelli che occupano posi-zioni influenti. Costoro, se ministri ofavoriti di un principe, dovranno orien-tarne le scelte in direzione della libertà distampa e dei commerci, della tolleranza re-ligiosa, dell’esercizio non arbitrario del po-tere. Occorre adottare lo stesso modusoperandi dei Gesuiti, scrive l’autore, volgen-dolo però all’emancipazione umana piutto-sto che al trionfo della superstizione e deldispotismo. Ogni ipotesi di azione vistosao rivoluzionaria è esclusa in partenza nontanto perché chimerica, ma perché rischie-rebbe, come la storia insegna, di imporreagli individui gioghi più pesanti di quelliche si intendevano rimuovere. Diversi sono i punti di contatto tra la Me-moria e gli Illuminati di Baviera: il mimeti-smo massonico, la pratica dell’entrismo, lapolemica antigesuitica, la cautela nella ri-velazione dei fini ultimi dell’organizza-zione. Si distingue tuttavia dalla societàsegreta di Weishaupt per l’ideologia difondo, che non è il comunismo, ma il libe-ralismo. Arcesilao – chiunque si celi dietroquesto pseudonimo – non desidera restau-rare una presunta eguaglianza primitiva, nésbarazzarsi dello Stato in quanto istitu-zione; il suo obiettivo dichiarato è invece larealizzazione di una comunità politica ba-sata sulla libera iniziativa dei singoli all’in-terno di uno Stato di diritto. Era questo ilprogramma del cosiddetto «partito filoso-fico», il gruppo di intellettuali illuministiche preparò da un punto di vista teorico la

Rivoluzione francese, ed era pure il pro-gramma di Mirabeau. Degno di nota è che la Memoria sia datata1776, anno di nascita degli Illuminati diBaviera, che inizialmente si chiamavanoPerfettibilisti. In quel periodo il conte sitrovava in Olanda e probabilmente entròqui in relazione con alcuni esponenti dellasetta. Gli scrittori antimassonici della Re-staurazione – l’abate Barruel su tutti – lo in-dicavano come il tramite tra gli Illuminatie le logge parigine, mentre il professorStarck, capofila della Massoneria templare,lo ascriveva ad essi col nome iniziatico di“Leonidas”, senza peraltro citare la propriafonte. Non esistono prove conclusive cheMirabeau fosse un illuminato, ma sap-piamo che al tempo della sua missione se-greta a Berlino ebbe stretti rapporti conpersonaggi vicini agli Illuminati di Ba-viera. Uno di essi, l’ufficiale e libero mura-tore Jacob Mauvillon, è ritenuto il coautoredel libro Sulla Monarchia prussiana (1788), incui Mirabeau spende parole di elogio pergli Illuminati, pur sottolineandone gli er-rori tattici.

Questo progetto [il miglioramento dei go-verni e della legislazione, nota mia] era bello,nobile, grande; ma si mancò di prudenzanella sua esecuzione. Si volle vederne quasisubitaneamente l’effetto; non si pensò chetutto l’edificio, per durare, deve innalzarsilentamente. Si moltiplicarono le ammissioni;vi si intrufolarono uomini malvagi e disone-sti. I sostegni del bigottismo e della super-stizione seppero in breve ciò che si tramavacontro di loro; subito essi armarono il bracciodel governo. Il conte Savioli, vecchio servi-tore della casa di Baviera, fu rimandato inItalia con una pensione assai modesta. Il sig.Weishaupt, professore a Ingolstadt, fu cac-ciato insieme a molti altri. Certi vennero im-prigionati, altri furono gettati in conventoper farvi penitenza: insomma, tranne lamorte e i tormenti corporali, tutto patironoquesti sventurati.

La repressione non riuscì a mettere comple-tamente fuori gioco la setta, le cui reti co-spirative continuarono a funzionare per

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tutti gli anni novanta. Un importante con-vegno massonico tenutosi a Parigi nel 1787e al quale presero parte anche esponentidegli Illuminati, fu l’occasione che permisea questi ultimi di insediarsi sul suolo fran-cese. Nelle logge sottoposte alla loro in-fluenza i liberi muratori propriamente dettisi distinguevano dagli iniziati illuminati,chiamati Filadelfi, i quali erano impegnatiin una battaglia politica che poco aveva ache fare con la Massoneria delle origini. Trai nemici giurati degli Illuminati, tedeschi ofrancesi che fossero, vi erano i Gesuiti, col-pevoli – a loro dire – di essersi infiltratinella Massoneria – o addirittura di averlacreata essi stessi – così da servirsene per ipropri scopi illiberali. Mirabeau condivi-deva questa lettura complottista, espostanel pamphlet di Nicolas de Bonneville I Ge-suiti cacciati dalla Massoneria e il loro pugnale in-franto dai Massoni (1788).

Vi si vede che i gesuiti hanno approfittato deitumulti intestini del regno di Carlo I per im-padronirsi dei simboli, delle allegorie e deltappeto dei massoni rosa-croce, i quali nonerano che l’antico ordine dei templari so-pravvissuto in segreto. Vi si vede grazie aquali insensibili innovazioni essi siano arri-vati a sostituire il loro catechismo all’istru-zione dei templari, e come essi non abbianofatto in generale di tutta la Massoneria euro-pea che l’emblema perfetto e completo deiquattro voti della loro compagnia, etc., etc.,etc. Quest’opera che fa molto onore alle co-noscenze, alla sagacia e anche al coraggio delSig. de Bonneville,… è una comparazionemolto completa e molto esatta dei fatti prin-cipali che hanno condotto in Germania al-l’importante scoperta sulla qualerichiamiamo l’attenzione di tutti i buoni spi-riti e dei veri amici dell’umanità.

Quella dell’infiltrazione gesuitica è una tesistravagante e del tutto infondata che fa ilpaio con l’altra, di segno opposto, secondocui la Massoneria, controllata dagli Illumi-nati, sarebbe stata l’occulto regista della Ri-voluzione francese. In realtà l’istituzionelibero muratoria fu sostanzialmente estra-nea alle turbolenze di quella fase storica;

ciò non toglie che non pochi fratelli ab-biano svolto in essa un ruolo di primopiano, come l’esempio di Mirabeau attesta.Per assistere ad un aperto, diretto coinvol-gimento della Massoneria francese nellavita politica della nazione si dovrà atten-dere la Comune di Parigi del 1871, quandoi labari delle logge svetteranno sulle barri-cate, e soprattutto il consolidarsi della IIIRepubblica (1870-1940), regime a cui i li-beri muratori forniranno quadri dirigenti esupporto ideologico.

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Mirabeau, Palais de Justice. Aix en Provence.

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Il medico e massone piemontese LuigiPagliani (nato a Genola, in provincia diCuneo, nel 1847 e che venne iniziato

nel 1888 nella loggia romana “Cola diRienzi”) dopo aver messo a punto la leggedel 22 dicembre 1888, n. 5849 - nota colnome di legge Crispi-Pagliani sulla «Tuteladell’igiene e della sanità pubblica» - e isti-tuita la Direzione generale della sanitàpubblica, di cui ne fu il direttore fino al1896, (si veda la breve ricostruzione su Era-smo notizie n. 3/2015) alla soglia del cin-quantesimo compleanno ritornò a Torinonon rinunciando però al suo impegno incampo medico e sociale.Infatti dopo aver ripreso i suoi studi e l’in-segnamento d’Igiene nell’Ateneo torinesevenne nominato preside della Facoltà dimedicina, carica che mantenne per 16 anni.Però il suo impegno non fu mai solo stret-tamente scientifico: i suoi studi, la parteci-pazione a numerose associazioniscientifiche, sociali, filantropiche rientra-vano in un complessivo paradigma che

metteva al centro la salute dell’uomo attra-verso il miglioramento delle sue condi-zione di vita e dell’ambiente dove lavoravae viveva.Gli strumenti erano l’igienismo, la preven-zione delle malattie infettive e di quelle so-ciali, attraverso l’educazione sanitaria, unaalimentazione corretta, l’igiene nelle case,nei luoghi di lavoro, nelle scuole e ultimo,ma non per ultimo, la diagnosi precocedelle patologie infettive.Utilizzando alcune ricerche e scoperte nelsettore batteriologico, auspicò la coopera-zione tra medici igienisti e ingegneri per il«trionfo delle nuove idee, che voglionol’ingegneria come la medicina elevate al-l’altezza di arti eminentemente umanitariee sociali» e fondò la «Rivista di igiene e sa-nità pubblica» , la «Rivista di ingegneriasanitaria» e «L’Ingegnere igienista».Impressionante fu il numero di prestigiosienti scientifici che fondò e presiedette: pre-sidente dell’Istituto di Magistero per l’edu-cazione fisica, delle Giurie d’Igienenell’Esposizione mondiale del 1898 e na-zionali del 1902 e 1911, della Reale Acca-demia di Medicina, fondatore e Presidentedella Società nazionale d’igiene e di quellapiemontese. La sua fama però non si fermòai patri confini ma le accademie di medi-cina di Bruxelles, Londra e Parigi lo nomi-narono proprio membro, mentre lepresidenze dei Congressi internazionali diigiene di Budapest, Washington, Berlino,Parigi, Bruxelles e Madrid lo «accolserocome rappresentante del governo italiano».Durante la Grande Guerra fu membro dellaCommissione scientifica interalleata visi-tando i fronti italiano e francese per cono-scere e perfezionare i sistemi di difesasanitaria contro le tradizionali malattie epi-demiche di guerra.Nel primo dopoguerra venne nominato

IL PARADIGMA IGIENICO-FILANTROPICODEL MEDICO E MASSONE LUIGI PAGLIANI

di Marco Novarino

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Luigi Pagliani

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vice-presidente della Commissione mini-steriale d’Igiene che ebbe il compito di ri-solvere i vari problemi igienici e alimentariprovocati dal conflitto.Autore di un centinaio di pubblicazioniscientifiche viene ancora oggi ricordato peril suo Trattato d’igiene e di sanità pubblica,uscito in varie riedizioni all’inizio del No-vecento, che gli valse, nel 1912, l’assegna-zione del Premio Riberi, prestigiosoriconoscimento dell’Accademia di Medi-cina di Torino.In campo sociale e filantropico sposò inpieno e fu l’artefice a Torino di quel impe-gno a favore dei più deboli che la masso-neria incominciò a svolgere a partire daglianni Settanta dell’Ottocento.Come abbiamo visto era entrato in masso-neria nel 1888 e aveva raggiunto in brevetempo i vertici del Grande Oriente d’Italiaricoprendo, all’inizio degli anni Novanta,l’incarico di Consigliere dell’Ordine emembro della Commissione SolidarietàMassonica ma nel 1906 si era messo insonno per solidarietà con Tommaso Villa ealtri senatori e deputati massoni, attivi e in“sonno”, che avevano appoggiato una listalocale insieme ai clericali ed erano statiespulsi con un decreto del Gran maestroEttore Ferrari «perché alleandosi coi cleri-cali per le imminenti elezioni amministra-tive in Torino, vennero meno ai principifondamentali ed all’indirizzo dell’Ordine,che neanche ai fratelli inattivi è lecito vio-lare» (Verbale del GOI del 25 gennaio1906). Nonostante la sua presa di posizionepoté ‘risvegliarsi’ nel 1907 dopo aver presouna pubblica posizione contro l’insegna-mento del catechismo nelle scuole elemen-tari e nel 1908 venne rieletto nel Consigliodell’Ordine del GOI e nominato membroeffettivo del Supremo Consiglio del RitoScozzese Antico ed Accettato.Pagliani ebbe un ruolo fondamentale nelprogetto complessivo, voluto dalla masso-neria subalpina, di costruzione di una mo-rale e di un associazionismo laico dacontrapporre alla forte presenza, in camposociale e assistenziale, del mondo cattolico.

Unitamente a Cesare Gold mann, un im-prenditore di origine trentina, Ario danteFabretti, archeologo e patriota perugino,Secondo Laura, medico e propugnatore dinuove iniziative in campo sanitario-assi-stenziale e Tommaso Villa, avvocato euomo politico, contribuì, direttamente e in-direttamente, a concretizzare le aspettativeche le logge torinesi riponevano nel pro-gresso scientifico visto come il motore fon-damentale per lo sviluppo dell’umanità,nell’educazione intesa come promozionedell’emancipazione morale e intellettualedegli italiani, fondato sui principi della li-bertà, dell’eguaglianza, della fraternità,della scienza e del progresso.In questo complessivo progetto Paglianicontribuì all’organizzazione delle Esposi-zione Nazionali e Internazionali, che si tenneronel capoluogo subalpino, iniziative deter-minanti per la ripresa mo rale ed economicadella città, concepita all’interno di quelprogetto di “mostrare il progresso”, pro-getto non solo massonico ma frutto di unaconvergenza con il pensiero positivista par-ticolarmente sviluppato a Torino. Peròprincipalmente si occupò della Società tori-nese per Abitazioni popolari che «costruì20.000 mila camere salubri e a buonprezzo»; delle Cucine popolari ( fondata in oc-casione dell’Esposizione del 1894 insiemeai “fratelli” Goldmann, Giovanni Roggero- presidente dell’Associazione generaledegli operai - Giuseppe Vinaj, FrancescoCorradini e Villa), e i Bagni po polari. Inoltrefu membro di numerosi istituti e opere pietorinesi tra le quali vanno citati l’Ospizioper i ciechi, l’Ospedale San Lazzaro el’Ospedale Infantile Regina Margherita, ilsifilicomio, il manicomio, l’Istituto di ma-ternità e la sezione torinese della Crociatacontro la tubercolosi.L’ultimo, non per importanza, tassello diuna rete associativa “dalla culla alla tomba”a cui si dedicò fu la Società per la cremazionefondata nel 1882.Fu proprio nel movimento cremazionistache Pagliani profuse maggiormente il suoimpegno sociale. Tra i primi ad aderire al

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comitato che avrebbe in seguito costituitola Socrem subalpina, Pagliani rappresentòil primo ministro Crispi all’inaugurazionedel Tempio crematorio, il 17 giugno 1888.Grazie al suo impegno le disposizioni rela-tive alla cremazione vennero riconosciuteper legge e su suo input vennero inseritiappositi articoli nel regolamento statale dipolizia mortuaria del 25 luglio 1892.Nel 1902 assunse la presidenza della So-crem di Torino, carica che manterrà finoalla morte, portando il sodalizio ad un con-siderevole sviluppo e raggiungendo laquota di 1900 soci attivi alla fine del 1925.Nel 1909 assunse anche la presidenza dellaFederazione Italiana per la cremazione, cheportò avanti fino all’avvento del fascismoun intenso lavoro di diffusione dell’idealecremazionista, cercando di allargare la basesociale degli iscritti sensibilizzandone iceti popolari. Il periodo della guerra e gli anni che im-mediatamente seguirono portarono natu-ralmente a un riflusso delle attività dipropaganda e a un sostanziale arresto dellerivendicazioni nei confronti dello Stato sulpiano della legislazione funeraria e del-l’agevolazione della cremazione. Pagliani,accorto ed esperto uomo politico capì che

con l’avvento del fascismo e soprattutto colriavvicinamento fra lo Stato italiano e il Va-ticano, sancito dai Patti Lateranensi, l’atteg-giamento nei confronti del mondocremazionista sarebbe peggiorato e quindiindicò ai suoi successori l’obiettivo minimodella salvaguardia delle conquiste acqui-site, limitando, se non abolendo, la pole-mica anticlericale e non presentando nuoverichieste in campo legislativo.Morì a Torino il 4 giugno 1932 e il giornodopo venne cremato presso il Tempio cre-matorio dove è tuttora esistente, nella Saladel Commiato, un monumento in suoonore. Gli vennero tributati solenni funerali e isuoi colleghi, collaboratori e amici volleroricordarlo costituendo una fondazione a luidedicata con lo scopo di incentivare pre-miare i migliori studi sull’igienismo. Allafine del 1933 con il concorso della “Fonda-zione Rockefeller” (organizzazione filantro-pica creata da John Davison Rockefeller eda suo figlio John Davison Jr., proprietaridella Standard Oil, con il fine dichiarato dimigliorare le condizioni di vita dell’uma-nità) venne costituito l’ Istituto internazio-nale igienico-sanitario sperimentale adesso intitolato.

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Vita avventurosa e rocambolescaquella del nobile bolognese Ales-sandro Savioli Corbelli (1742-

1811), come recita il titolo della biografiache Furio Bacchini dedica a questa interes-sante e poliedrica figura vissuta a cavallotra il Settecento e l’Ottocento, testimonedelle idealità riformistiche che agitarono lasocietà tedesca e italiana nel secolo dell’Il-luminismo e poi in quello del risvegliodelle aspirazioni nazionali. Impiegatopresso la corte dell’Elettorato di Bavieraper 32 anni nel ruolo di paggio e in seguitodi consigliere aulico, Savioli divenne vicepresidente della prestigiosa Accademiadelle Scienza di Monaco.

Imbevuto degli ideali dell’Illuminismo piùconsapevole e maturo, agli inizi degli anniOttanta del Settecento, entrò a far parte(con il nome di Brutus) dell’Ordine para-massonico degli Illuminati di Baviera, unasocietà segreta cui aderirono all’epoca nu-merosi intellettuali tedeschi e che si prefig-geva di inserirsi nelle strutture dello Statobavarese per modificarne la composizione– fino ad allora prevalentemente gesuiticae conservatrice – e proporre riforme di ca-rattere progressista dall’alto, al fine di con-tribuire, più in generale, al processo diammodernamento dell’intera Germania.Quando il principe elettore di Baviera, KarlTheodor, allarmato dalla sottile opera di in-filtrazione dell’associazione nella strutturastatale bavarese, bandì l’Ordine degli Illu-minati nel 1785, il Savioli, colpito da unapunizione esemplare e al centro di unamassiccia e meditata campagna diffamato-ria, fu condannato all’esilio e si trasferì, in-sieme ad altre figure di spicco della societàmassonica, a Trento.Dopo un periodo trascorso in Galizia al ser-vizio della corte imperiale austriaca, a ri-dosso dell’occupazione napoleonica tornòa Bologna e prese parte ai lavori del Senatobolognese. Fedele agli ideali massonici, li-bertari e repubblicani conosciuti e praticatiin Baviera, Savioli si fece mediatore dei va-lori e delle aspirazioni dell’Illuminatismoin Italia, dove fu organizzatore e ispiratoredella “Società platonica” e quella dei“Raggi”, prima setta cospirativa antinapo-leonica che aveva come principale obiettivol’unificazione nazionale della penisola.Attraverso una rigorosa ricerca archivisticasvolta sul lascito del conte (corrispondenzae scritti di carattere privato e pubblico)Furio Bacchini ripercorre con dovizia di

Furio BacchiniLA VITA ROCAMBOLESCA DEL CONTE

ALESSANDRO SAVIOLI CORBELLI (1742-1811)con prefazione di Annita Garibaldi Jallet

Pendragon Ed., Bologna 2011

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particolari le vicende autobiografiche eanalizza il pensiero “protoeuropeista” delSavioli, inserendoli sullo sfondo del conte-sto politico, economico, culturale e reli-gioso del tempo. Ripercorrendo la parabolaesistenziale di questa affascinante persona-lità, esaminando le ragioni dell’espulsionedalla Baviera (individuate soprattutto nelloscontro tra la corrente teosofica, conserva-trice, gesuitica della massoneria, rappre-sentata dai Rosacroce d’Oro, e quellaopposta, razionalista e progressista degli Il-luminati) e proponendo suggestive ipotesisui motivi delle peregrinazioni del Savioli,Bacchini ricostruisce lo sfaccettato universomassonico europeo nella seconda metà delSettecento. Due i meriti della monografia: da unaparte, partendo dal caso esemplare di Ales-sandro Savioli Corbelli, il libro contribui-sce a far luce sull’Ordine degli Illuminatidi Baviera, la cui esperienza – come diversiautorevoli studi tedeschi hanno dimostrato– fu determinante per la nascita di una cul-tura tedesca moderna, e riesce a smentire leodierne fantasie complottistiche, al confinetra fantapolitica e fantascienza, che prospe-rano nell’attuale mercato librario (si guar-dino i libri sugli Illuminati di Mario ArturoIannaccone, di Luca Bianchini e Anna

Trombetta, e più recentemente quello diLeo Lyon Zagami). Come lo stesso Bacchinievidenzia, sinistramente queste teorie trag-gono origine da più accreditate tesi storio-grafiche che, nel corso del Novecento,hanno preso per buone le affermazioni diAugustine Barruel e John Robison, che giàal termine del Settecento, individuavanonegli Illuminati di Baviera gli “occulti”promotori e organizzatori della RivoluzioneFrancese. Ma si sa che le teorie del com-plotto non sono altro che fumo negli occhie mirano spesso a “occultare” i più urgentimotivi che stanno alla base dei conflitti so-ciali. In tal senso Bacchini tenta altresì nellibro di risalire alle origini reali, di carat-tere sociale, politico e finanziario della Ri-voluzione in Francia. D’altra parte, lamonografia percorre le tracce di diffusionedell’Illuminatismo in Italia, dimostrandocome le prime dette cospirative a caratteremassonico della penisola presero a modellola struttura interna, le aspirazioni libertariee le pratiche rituali degli Illuminati di Ba-viera. Da questo studio si dipana cosìun’interessante linea di indagine sui le-gami massonici tra Italia e Germania neltardo Settecento che può aprire nuovi einediti scenari di ricerca e che deve assolu-tamente essere verificata e approfondita.

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Eccentrico già agli occhi dei contem-poranei, Pico è sempre stato un pen-satore difficile da collocare.

Ricco, esibizionista, uomo di mondo e “di-lettante di genio”, il Conte della Mirandolaè, dopo più di cinque secoli, una sorta diospite illustre e scomodo della cultura ita-liana. Lorenzo de’ Medici, tra i pochissimiche riuscirono a confrontarsi con lui (quasi)alla pari, lo definì “istrumento da saperefare il male et il bene” e Pico, di cui tantosi è parlato e scritto, ci appare ancora comeun enigma.L’Orazione sulla dignità dell’uomo è consi-derata uno dei testi più rappresentativi delRinascimento, ma il resto della sua opera –in tutta la sua lussureggiante erudizione –rimane quasi inaccessibile, tanto ricco dasconcertare e confondere.

Con questo libro viene per la prima voltaindividuata una chiave interpretativa forte,che pone al centro delle riflessioni pichianel’intreccio tra mito, magia e qabbalah: i tregradini più alti della scala sapienziale di-segnata dal Conte.Dal Bacio, al Vino, passando per Bacco,Muse e Veneri, il volume è organizzatocome un dizionario, per lemmi, e a ognivoce corrisponde una selezione di brani diPico sul tema. In un commento apposito sioffre poi un’analisi del “Pico visivo”, ov-vero del rapporto tra le idee del Conte e al-cuni capolavori dell’arte quattrocentesca. Con lo strumento dell’antologia, Busi edEbgi affrontano l’aggrovigliata matassa delpensiero di Pico. E riescono a districarlacome finora non era ancora successo.

Giulio Busi, Raphael EbgiGIOVANNI PICO DELLA MIRANDOLA.

MITO, MAGIA, QABBALAH

Giulio Einaudi Editore, Torino 2014

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