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Marco Cristian Vitiello - Le teorie interpretazioniste

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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da

copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e

per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Indice

1. ORIGINI E DEFINIZIONE DELLA PROSPETTIVA INTERPRETAZIONISTA..................................................... 3

2. CONCEZIONE INTERPRETAZIONISTA DI AMBIENTE ORGANIZZATIVO .................................................. 6

3. LA STRUTTURA FISICA E SOCIALE NELLE ORGANIZZAZIONI .................................................................. 8

4. LA TECNOLOGIA E LA CULTURA ........................................................................................................... 11

BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................................................. 13

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1. Origini e definizione della prospettiva

interpretazionista

L’interpretazionismo-simbolico in ambito organizzativo pone le sue origini intorno ai primi

anni ’80, quando entra in crisi l’idea di un’unica realtà oggettiva e l’antropologia inizia a mettere in

luce la presenza di molteplici culture con caratteristiche peculiari e differenti tra loro. In questo

periodo si apre un dibattito conosciuto come “crisi della rappresentazione”, in quanto molti

antropologi si rendono conto che non esiste un unico punto di vista da cui osservare ciò che

accade.

In questo periodo si fa dunque strada l’interpretazionismo, che si pone come una

prospettiva alternativa alla visione oggettivista del modernismo, capace di rendere giustizia, in

ambito organizzativo, delle complesse reti di significati costruite dai membri di un’organizzazione.

Si diffondono a tal proposito le idee dell’antropologo americano Clifford Geertz, che

incoraggia l’utilizzo del metodo etnografico, mettendo al centro l’importanza del contesto di

osservazione e la relazione dialogica tra lo studioso e il suo interlocutore. Geertz parla della

necessità di fornire delle “thick description”, descrizioni dense, ovvero basate su una prospettiva

che tiene conto del contesto di riferimento. Il termine thick description viene coniato dal filosofo

Gilbert Ryle e Geertz lo riprende in riferimento alla differenza, proposta da Ryle, tra il fare

l’occhiolino e l’avere un tic all’occhio: il primo comportamento ha un valore simbolico e indica un

ammiccamento, il secondo è qualcosa di involontario. Per capire se una persona che strizza

l’occhio sta ammicando oppure ha un tic bisogna contestualizzare l’azione, quindi la descrizione

densa è un approfondimento che consente di cogliere il significato simbolico di una situazione.

Su queste premesse si fondano gli studi simbolico-interpretativi in ambito organizzativo. Tale

prospettiva parte dall’assunto che le organizzazioni siano delle realtà socialmente costruite e che

quindi l’interazione tra i membri produca peculiari significati, frutto di specifiche negoziazioni e

attribuzioni di senso. Alla presenza di una molteplicità di individui, dunque, è strettamente legata la

presenza di una molteplicità di possibili interpretazioni, le quali vengono plasmate e influenzate dal

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contesto in cui si sviluppano. Per gli interpretazionisti non esiste un’unica realtà oggettiva, ma una

realtà complessa e legata agli occhi di chi la guarda. Ne consegue che anche il linguaggio

utilizzato è uno strumento prezioso, in quanto è il principale canale di comunicazione e costruzione

di senso tra i membri di un’organizzazione.

Tra le principali teorie che hanno contribuito allo sviluppo della prospettiva simbolico-

interpretativa è da annoverare la teoria della costruzione sociale della realtà, teorizzata dai

sociologi tedeschi Peter Berger e Thomas Luckman. Elemento centrale di questa teoria è una

visione del mondo come negoziato, organizzato e costruito sulla base delle interpretazioni costruite

nell’interazione tra le persone. La realtà quindi non è oggettiva, ma socialmente costruita e può

essere modificata solo lavorando sulle interazioni che la rendono tale. I due sociologi individuano

tre elementi attraverso cui si struttura il processo di costruzione sociale della realtà:

• l’esternazione, ovvero l’esteriorizzazione dei significati prodotti da ciascuno, che si

traducono in realtà personali e allo stesso tempo condivise;

• l’oggettivazione, ovvero la percezione di una realtà oggettiva da parte di chi la produce;

• l’interiorizzazione, ovvero la socializzazione con i nuovi membri, che vengono indotti ad

accettare le costruzioni sociali del gruppo ospitante.

In un’organizzazione il cambiamento viene prodotto quando i membri, prendendo spunto

da un altro gruppo, introducono nuovi significati che vengono integrati nel processo di costruzione

sociale di quell’organizzazione.

Un’altra teoria importante nella prospettiva interpretazionista è la teoria del sensemaking,

proposta dallo psicologo sociale americano Karl Weick. Secondo questa teoria, le organizzazioni

esistono nelle menti dei loro membri, che costruiscono delle “mappe” al fine di ordinare e dotare di

senso la loro esperienza. Queste mappe sono il frutto di cooperazione e consenso sociale e

attraverso un processo, definito reificazione, rendono reali le organizzazioni. Weick sostiene quindi

che siano i membri dell’organizzazione a costruire socialmente la realtà organizzativa, dandone

significato attraverso il processo di enactment. Con questo termine l’autore sottolinea proprio il

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fatto che l’ambiente organizzativo non è oggettivo, ma costruito dagli individui sulla base delle loro

azioni (en-act-ment).

La prospettiva interpretazionista, in generale, si serve del concetto di riflessività per spiegare

il modo in cui realtà organizzativa e sociale vengono costruite. Infatti, alla base della teoria circa

la costruzione sociale della realtà c’è l’idea che non si debba prendere per “data” una

spiegazione, ma che la conoscenza sia il prodotto di interazioni che danno luogo ad attribuzioni di

senso. In sostanza si tratta di guardare la realtà adottando una prospettiva situata, rispetto alla

quale anche colui che osserva è parte integrante e ha specifiche categorie di lettura del mondo

esterno.

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2. Concezione interpretazionista di ambiente

organizzativo

In chiave interpretazionista, l’ambiente organizzativo viene inteso come una costruzione

sociale. Ciò vuol dire che l’impatto dell’ambiente deriva dal significato che ne viene attribuito, in

base alle credenze e alle aspettative dei vari membri. L’impatto, quindi, da un lato è materiale,

dall’altro è simbolico perché è frutto di interpretazioni.

All’interno di tale prospettiva, si possono delineare due punti di vista principali, a seconda

che il comportamento delle organizzazioni sia interpretato sulla base della struttura organizzativa o

delle azioni umane.

A differenza della teoria dell’enactment, che dà importanza all’azione umana sostenendo

che l’ambiente organizzativo dipende dal modo in cui il manager lo percepisce, la teoria

istituzionale, fondata dal sociologo Philip Selznick, sottolinea come siano le istituzioni, in quanto

strutture sociali durevoli nel tempo, ad influenzare il comportamento degli attori di quel contesto

(individui, gruppi o organizzazioni). Tali attori, secondo la teoria istituzionalista, sarebbero spesso

inconsapevoli. A questo proposito, i sociologi Paul DiMaggio e Woody Powel evidenziano due tipi

di pressioni che gli ambienti possono fare sulle organizzazioni:

• tecniche o economiche, che spingono le organizzazioni a scambiare i propri prodotti sul

mercato;

• sociali e culturali, per cui l’organizzazione è spinta ad assumere un determinato ruolo e una

data immagine in una società.

In generale, mentre la teoria dell’enactment afferma che la risposta dell’organizzazione

dipenda dal modo in cui essa percepisce l’ambiente e che sia proprio l’organizzazione a creare

l’ambiente, la teoria istituzionale gira la prospettiva e pone l’attenzione sul modo in cui l’ambiente

si organizza per rispondere e ad adattarsi alle pressioni. Le pressioni individuate sono di tre tipi:

• istituzionali coercitive, quando la conformità nell’organizzazione viene incentivata dalla

presenza di leggi e regole;

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• istituzionali normative, quando derivano da aspettative culturali, promosse ad esempio

nella formazione professionale dei membri;

• istituzionali mimetiche, quando rispondono al desiderio di imitare altre organizzazioni.

Un ambiente organizzativo mette in campo pressioni istituzionali, ovvero azioni ripetute e

concezioni condivise che servono a rispondere a determinate domande sociali, politiche, culturali,

si dice istituzionalizzato.

Sono diverse le teorie intepretazioniste sull’ambiente organizzativo, ma in generale ciò che

le accomuna è la considerazione dell’ambiente come prodotto di ciò che gli individui fanno,

pensano, interpretano. Ciò vuol dire che a differenza dei teorici modernisti dell’organizzazione, che

descrivono le strutture come delle “cose” già definite a priori, i teorici simbolico-interpretativisti le

descrivono come il frutto di un processo di creazione sociale, di una costruzione dei significati

collettiva.

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3. La struttura fisica e sociale nelle organizzazioni

I teorici dell’organizzazione distinguono tra due tipi di strutture organizzative:

• la struttura fisica, legata alle relazioni spazio-temporali tra gli elementi dell’organizzazione

(edifici, tecnologie, layout…);

• la struttura sociale, inerente le relazioni tra le persone o i gruppi di un’organizzazione.

Per quanto riguarda la struttura fisica, gli interpretazionisti ritengono che gli spazi evochino

nelle persone differenti significati e che influenzino le interpretazioni che vengono costruite.

Nell'analisi dello spazio di un'organizzazione, cercano dunque i significati associati alle

caratteristiche fisiche dei luoghi di lavoro, come ad esempio quelli legati all'identità e allo status.

Gli edifici stessi hanno il potere di aiutare le persone a costruire pensieri e sentimenti sulle

organizzazioni. La struttura fisica, così come anche la dimensione estetica, sono altri simboli in

grado di veicolare le dimensioni di potere in un'organizzazione.

Per quanto riguarda la struttura sociale, essa viene descritta in ottica modernista come un

elemento oggettivo da analizzare, in ottica interpretazionista come il prodotto di una costruzione

sociale. In particolare, gli interpretazionisti adottano un’ontologia soggettivista, affermando che la

struttura sociale di un’organizzazione non è qualcosa che esiste a prescindere, ma che si costruisce

attraverso l’interazione sociale e le interpretazioni che ne seguono. Inoltre, la struttura sociale è in

continua costruzione perché le relazioni umane stesse sono in continuo divenire, quindi è parte di

un processo dinamico che non è mai generalizzabile. Questo è il primo punto di divergenza tra

rispetto all’approccio modernista: non è possibile fare generalizzazioni da applicare ad altre

organizzazioni perché la significatività di una relazione dipende dal contesto in cui è inserita. Il

secondo elemento di distinzione, connesso al primo, riguarda il fatto che le organizzazioni

debbano essere studiate assumendo una prospettiva culturale e non strutturalista, in accordo con

l’ontologia soggettivista e l’epistemologia interpretativa. evidenzia che i teorici di stampo

simbolico-interpretativo studiano le organizzazioni attraverso una prospettiva culturale, anziché

strutturalista.

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Prima di descrivere i contributi teorici in chiave interpretazionista, è bene fare riferimento a

due pratiche che sono rilevanti per quanto riguarda la struttura sociale:

• la routine;

• l’improvvisazione.

La routine è data da tutta quella serie di azioni, dalle modalità di utilizzo di alcuni strumenti

alle pratiche gestionali, che possono essere messe in atto nelle organizzazioni e che sono legate

alla presenza di una struttura sociale stabile. Tuttavia, le routine possono essere soggette a

cambiamento, in quanto dipendono dal contesto sociale e dalle situazioni contingenti, quindi sono

create e ricreate continuamente. Si parla a questo proposito improvvisazione organizzativa,

concetto che introduce la variabilità delle routine nelle organizzazioni e su cui si fonda la possibilità

per un’organizzazione di trarre o meno un beneficio da un cambiamento. In altre parole, se un

cambiamento interviene a modificare una routine e l’organizzazione è in grado di improvvisare,

adattandosi alle nuove esigenze della situazione, può considerare quel cambiamento come

un’opportunità evolutiva.

Per rendere il senso di un’improvvisazione organizzativa si può ricorrere alla metafora di un

gruppo jazz, in cui i brani vengono eseguiti con delle improvvisazioni sulla base delle quali tutti i

membri si devono coordinare.

In quest’accezione della struttura sociale come flessibile e legata alla dimensione culturale,

possono essere annoverate due principali teorie.

La prima, legata alla teoria istituzionale, mescola prospettiva modernista e prospettiva

interpretazionista, definendo le strutture sociali come influenzate da una serie di logiche istituzionali,

ovvero schemi mentali e modelli cognitivi che organizzano i sistemi. La seconda descrive le

strutture sociali come comunità di pratica. In quanto tali, alla base delle strutture sociali ci sarebbe

la condivisione di valori e conoscenze e una capacità di autorganizzazione attraverso il

coordinamento delle attività. Ogni persona può appartenere a più comunità di pratica, dunque la

struttura sociale di un’organizzazione può essere composta da diverse comunità di pratica. Queste

non sono caratterizzate da relazioni gerarchiche e formalizzate, ma da interconnessioni tra i

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membri, che usano un repertorio condiviso e legato alla loro appartenenza all’organizzazione. In

quest’accezione, i manager hanno un ruolo di integrazione e non di autorità, poiché devono

favorire la costruzione delle interconnessioni.

In sostanza, il concetto di comunità di pratica serve a spiegare i processi lavorativi e può

essere considerato, in un’ottica interpretazionista, come un sinonimo o un completamento del

concetto di struttura sociale. In questo senso, anche il linguaggio adottato assume una particolare

rilevanza, poiché veicola significati e interpretazioni su cui si fondano le comunità.

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4. La tecnologia e la cultura

Tra gli altri elementi caratteristici di un’organizzazione compare, oltre all’ambiente

organizzativo e alla struttura fisica e sociale, la tecnologia. Al contrario dei modernisti, per i quali la

tecnologia è tutto ciò che permette di passare dalle materie prime agli output, per gli

interpretazionisti essa include non solo oggetti fisici e strumenti, ma anche simboli e metafore, che

sono costruiti socialmente attraverso le interazioni tra gli attori di un particolare contesto.

Secondo gli interpretazionisti, le tecnologie influenzano e a loro volta sono influenzate dalle

norme culturali, dai rapporti di potere e dalla struttura fisica di un’organizzazione.

A questo proposito, Shoshona Zubof parla di alte tecnologie, per descrivere tutte quelle

tecnologie basate sui computer e che necessitano di un lavoro interpretativo maggiore rispetto a

quelle tradizionali. Questa complessità interpretativa viene ripresa anche da Weick, che individua

tre proprietà delle nuove tecnologie:

• stocastiche, ovvero possono essere soggette a problemi improvvisi, di cui non sono chiari

cause e effetti;

• continue, in quanto funzionano spesso ininterrottamente e per questo è indispensabile che

siano anche affidabili;

• astratte, in quanto i processi di funzionamento sono nascosti dietro al computer e altri

strumenti e dunque richiedono deduzione e immaginazione.

In generale, poiché le nuove tecnologie sono più complesse e meno routinizzate di quelle

tradizionali, necessitano una maggiore attenzione all’ambiguità e dunque alle possibili

interpretazioni che ne possono derivare. Più in generale, per gli interpretazionisti, sia la vecchia che

la nuova tecnologia non è qualcosa di prestabilito, ma anzi ha un significato che è socialmente

costruito.

Da ciò si evince come per gli interpretazionisti sia di centrale importanza il contesto, in cui si

trovano gli artefatti e i simboli che danno luogo alle interpretazioni. Tale contesto è ciò che viene

inteso come cultura.

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La cultura, in quest’ottica, viene studiata secondo un approccio narrativo, che utilizza le

descrizioni dense per descrivere la realtà organizzativa. Vuol dire, ad esempio, analizzare le storie

raccontate e condivise dagli attori di uno stesso contesto. Rispetto a questo lo studioso David Boje

ha definito la “storytelling organization” come quel sistema collettivo di storie frutto di una

condivisione di significati tra i membri dell’organizzazione, che sostituisce la memoria individuale

con quella collettiva.

Per gli interpretazionisti, quindi, comprendere la cultura vuol dire conoscere se stessi in

rapporto agli altri attori del contesto ed è uno strumento che facilita il coordinamento delle attività

e la significazione delle esperienze organizzative.

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Bibliografia

• Hatch M. J. (2009), Teoria dell’organizzazione. Tre prospettive: moderna,

simbolica, postmoderna. Bologna: Il Mulino.