8
14 LATE FOR THE SKY 77 MAP MUSIC PAGES O ggi ci spostiamo a nord, verso le spiagge grigie di un Atlantico freddo e ventilato, in quei territori da sempre ricchi di pesce dalle bianche polpe e castigato da predicatori irsuti di nero vestiti. Lì si possono annusare i colori saturi dei relitti abbandonati ar- rugginiti tra reti rotte e coperte da scagazzate acide di gabbiani onnivori. Li si respira ancora quel tratto difficile da digerire composto dai riverberi silicei delle scaglie di triglie di scoglio incollate sui volti marmorei dei pescatori nascosti nelle cerate unte di nafta ed erose dalla sal- sedine. Tra quei maglioni di la- na grezza e quella pioggia che sa di lacrime e ketchup nasco- no le ballate marinare da tempi remoti. A difenderle e diffon- derle ci sono stati una…marea di folk singer legati alle loro scogliere per i natali e per quel timbro spirituale che non per- mette scelte diverse. Il significa- to di tradizione è radicato in fondo ai loro cuori più che in altri nel continente nordameri- cano. Tutto il nordest canadese è pervaso da quel rigido senti- mento derivato dai pionieri an- glo-francofoni che rende vana la ricerca nelle vene di quei po- poli di altri subbugli interiori. Bastano i racconti i libri e quel mondo di bianche balene a renderlo luogo comune per i nostri viaggi musicali e non. Il non, è difficile da sfidare. Ma chi si spinge da quelle parti? Appassionati di vela, scrittori eccitati in cerca di biro scorre- voli o disperati in fuga dalle sabbie mobili del peccato? Chi del nostro paese ha in pro- gramma un viaggio in Labra- dor e dintorni senza secondi fi- ni deve ricordarsi del proprio fisico. Non per fare a meno del- le comodità materiali, non ci vuole molto, anzi.. quello che rende il fiato corto è il confron- to con i limiti del nostro saper nulla e con gli immancabili uo- mini di Aran che ci aspettano agli incroci delle stradine coi muretti a secco. Una umida ar- monia assale il curioso inami- dato e riempito di dati televisivi quando il vento concede una lontana quanto soffocante lita- U na goccia nel mare. Questo, in sintesi, sarà il risultato della lettura di questa mappa, parti- celle solitarie di emozioni, spunti personali e consigli del cuore per arricchire qualche discografia arida di salsedine. Il mare è un tema che, come l’amore, la vita, i ricordi, appartiene a ognuno di noi. Nella nostra musica, poi, ne troviamo tracce ovunque e spesso è la raffigurazione della libertà, dell’avventura, della scoperta. La nostra goccia nel mare è quindi un viaggio nell’interiorità di ognu- no di noi più che un’indagine sulla presen- za del mare nella musica rock, pop o folk, che sarebbe opera da far invidia alla Trec- cani. Ho detto “parliamo del mare” e im- mediatamente negli occhi dei miei amici si poteva vedere la copertina di un disco, sul- le loro labbra il refrain di una canzone. Poi, come spesso avviene, quello che è stato scritto arriva dal cuore, in qualche caso dal- lo stomaco. Nessun diario di bordo del rock’n’roll, piuttosto qualche regata dell’a- nima verso i prossimi tranquilli porti dove am- maineremo le nostre vele di navigatori di terra- ferma. A occhio e croce – mentre scrivo i liberi contributi non sono ancora tutti arrivati - mancherà il folk inglese, so- prattutto quello irlandese che nelle storie del mare ha fon- dato la sua essenza. Barche che partono e che svaniscono ol- tre l’orizzonte, navi che lasciano moli di desolazione verso la speranza piene di gente che non ritornerà. Qui il mare è una storia di addii, ognuno con la sua tenerezza (ricordate il magnifico triplo album Bringing It All Back Home?). Manche- ranno i Beach Boys e il loro forsennato surf, mancherà an- che A Salty Dog per tacere di On The Beach. E poi Jimmy Buf- fett e le sue parabole che vanno a nozze con un sano fritto misto, all’ombra di una palma. Che c’è da leggere, allora, in questa mappa marinara? Un po’ di introspezione e un lavo- ro da brujo della stampa musicale come quello di Francesco Caltagirone che non so ancora dove sia andato a pescare tanta erudizione (per scherzo gli ho detto: “il tuo tema è: Bob Dylan e il mare che a Duluth non c’è ma nelle canzoni sì”, titolo bellamente inventato al momento, e lui mi ha det- to: “tu mi vuoi morto, però ce la faccio”. Immagino si sia ri- letto tutto il Vecchio Testamento, per semplificare), oppure la simpatica intrusione della saggezza marinaia di Antoine che Crazy ha diviso con il suo amore per i cetacei; oppure le libere divagazioni di un trapper come il nostro Blek, con i piedi a mollo nel bagnasciuga di Jesolo, credendo di essere in riva all’Ontario; o una lettera d’amore per Joni Mitchell (mi ha detto il Pezzoli: mi raccomando, metti la foto interna di For The Roses, tassativamente!), il consueto, serio approc- cio di Marco Tagliabue alla delicatissima poetica di Robert Wyatt. E i dischi? Ci sono, tanti, quasi tutti bellissimi, che ar- rivano da sogni e culture differenti, anche da chi non te l’a- spetti. “This Is The Sea” è, come tutti voi saprete, anche il ti- tolo di un disco dei Waterboys, uno dei più belli insieme a Fisherman’s Blues. Non me li sono dimenticati e alla loro leg- gerezza, al loro ritmo inconfondibile e alle straordinarie sto- rie di mare e di marinai che ci hanno lasciato dedichiamo queste riflessioni. Questo è il nostro mare, bello come milio- ni di altri. Roberto Anghinoni THIS IS THE SEA TRADIRE E IL FARO…. Boscaioli o marinai? Late_77 4-08-2005 14:53 Pagina 14

MAP MUSIC PAGES THIS IS THE SEA - Late For The Sky · Barche che partono e che svaniscono ol- ... tre ascoltavo le ballate di Stan Rogers. Da quelle parti il turismo non ... dratati

  • Upload
    buidang

  • View
    213

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

14

L AT E F O R T H E S K Y 7 7

MAP MUSIC PAGES

Oggi ci spostiamo a nord,verso le spiagge grigiedi un Atlantico freddo

e ventilato, in quei territori dasempre ricchi di pesce dallebianche polpe e castigato dapredicatori irsuti di nero vestiti.Lì si possono annusare i colorisaturi dei relitti abbandonati ar-rugginiti tra reti rotte e coperteda scagazzate acide di gabbianionnivori. Li si respira ancoraquel tratto difficile da digerirecomposto dai riverberi siliceidelle scaglie di triglie di scoglioincollate sui volti marmorei deipescatori nascosti nelle cerateunte di nafta ed erose dalla sal-sedine. Tra quei maglioni di la-na grezza e quella pioggia chesa di lacrime e ketchup nasco-no le ballate marinare da tempiremoti. A difenderle e diffon-derle ci sono stati una…mareadi folk singer legati alle loroscogliere per i natali e per queltimbro spirituale che non per-mette scelte diverse. Il significa-to di tradizione è radicato infondo ai loro cuori più che inaltri nel continente nordameri-cano. Tutto il nordest canadese

è pervaso da quel rigido senti-mento derivato dai pionieri an-glo-francofoni che rende vanala ricerca nelle vene di quei po-poli di altri subbugli interiori.Bastano i racconti i libri e quelmondo di bianche balene arenderlo luogo comune per inostri viaggi musicali e non.Il non, è difficile da sfidare. Machi si spinge da quelle parti?Appassionati di vela, scrittorieccitati in cerca di biro scorre-voli o disperati in fuga dallesabbie mobili del peccato? Chidel nostro paese ha in pro-gramma un viaggio in Labra-dor e dintorni senza secondi fi-ni deve ricordarsi del propriofisico. Non per fare a meno del-le comodità materiali, non civuole molto, anzi.. quello cherende il fiato corto è il confron-to con i limiti del nostro sapernulla e con gli immancabili uo-mini di Aran che ci aspettanoagli incroci delle stradine coimuretti a secco. Una umida ar-monia assale il curioso inami-dato e riempito di dati televisiviquando il vento concede unalontana quanto soffocante lita-

Una goccia nel mare. Questo, insintesi, sarà il risultato dellalettura di questa mappa, parti-celle solitarie di emozioni,spunti personali e consigli del

cuore per arricchire qualche discografiaarida di salsedine. Il mare è un tema che,come l’amore, la vita, i ricordi, appartienea ognuno di noi. Nella nostra musica, poi,ne troviamo tracce ovunque e spesso è laraffigurazione della libertà, dell’avventura,della scoperta. La nostra goccia nel mare èquindi un viaggio nell’interiorità di ognu-no di noi più che un’indagine sulla presen-za del mare nella musica rock, pop o folk,che sarebbe opera da far invidia alla Trec-cani. Ho detto “parliamo del mare” e im-mediatamente negli occhi dei miei amici sipoteva vedere la copertina di un disco, sul-le loro labbra il refrain di una canzone.Poi, come spesso avviene, quello che è statoscritto arriva dal cuore, in qualche caso dal-lo stomaco. Nessun diario di bordo delrock’n’roll, piuttosto qualche regata dell’a-nima verso i prossimi tranquilli porti dove am-maineremo le nostre vele di navigatori di terra-ferma. A occhio e croce – mentre scrivo i liberi contributinon sono ancora tutti arrivati - mancherà il folk inglese, so-prattutto quello irlandese che nelle storie del mare ha fon-dato la sua essenza. Barche che partono e che svaniscono ol-tre l’orizzonte, navi che lasciano moli di desolazione verso lasperanza piene di gente che non ritornerà. Qui il mare èuna storia di addii, ognuno con la sua tenerezza (ricordate ilmagnifico triplo album Bringing It All Back Home?). Manche-ranno i Beach Boys e il loro forsennato surf, mancherà an-che A Salty Dog per tacere di On The Beach. E poi Jimmy Buf-fett e le sue parabole che vanno a nozze con un sano frittomisto, all’ombra di una palma. Che c’è da leggere, allora, inquesta mappa marinara? Un po’ di introspezione e un lavo-ro da brujo della stampa musicale come quello di FrancescoCaltagirone che non so ancora dove sia andato a pescaretanta erudizione (per scherzo gli ho detto: “il tuo tema è:Bob Dylan e il mare che a Duluth non c’è ma nelle canzonisì”, titolo bellamente inventato al momento, e lui mi ha det-to: “tu mi vuoi morto, però ce la faccio”. Immagino si sia ri-letto tutto il Vecchio Testamento, per semplificare), oppurela simpatica intrusione della saggezza marinaia di Antoineche Crazy ha diviso con il suo amore per i cetacei; oppure lelibere divagazioni di un trapper come il nostro Blek, con ipiedi a mollo nel bagnasciuga di Jesolo, credendo di esserein riva all’Ontario; o una lettera d’amore per Joni Mitchell(mi ha detto il Pezzoli: mi raccomando, metti la foto internadi For The Roses, tassativamente!), il consueto, serio approc-cio di Marco Tagliabue alla delicatissima poetica di RobertWyatt. E i dischi? Ci sono, tanti, quasi tutti bellissimi, che ar-rivano da sogni e culture differenti, anche da chi non te l’a-spetti. “This Is The Sea” è, come tutti voi saprete, anche il ti-tolo di un disco dei Waterboys, uno dei più belli insieme aFisherman’s Blues. Non me li sono dimenticati e alla loro leg-gerezza, al loro ritmo inconfondibile e alle straordinarie sto-rie di mare e di marinai che ci hanno lasciato dedichiamoqueste riflessioni. Questo è il nostro mare, bello come milio-ni di altri.

Roberto Anghinoni

THIS IS THE SEA

TRADIRE E IL FARO….Boscaioli o marinai?

Late_77 4-08-2005 14:53 Pagina 14

15

L AT E F O R T H E S K Y 7 7

nia di qualche sirena in libertà.Una vecchia shanties che rac-conta di una Louisiana dimen-ticata o di una Galway mai piùrivista, riescono a distruggereogni ardore. Poi se c’è il sole,ma come sappiamo bene il cli-ma variabile di quelle latitudinicausa variazioni anche nellospirito di ogni avventuroso, tut-to si adegua al dilettevole tonodella virilità fai da te. Conti-nuiamo a immaginare questiacquerelli di mezza stagionedentro nei bar al pomeriggio,quando cominciano a radunar-si i pescatori alzati da poco. Lafusione tra carpentieri capoma-stri e osti crea un humus idealeper il nostro curioso occhialutoin vena di sapori autentici e infuga dagli amari lucani e mon-tenegrini. Ora si prodiga a sop-portare aringhe affumicate euova fresche nella birra nera,amara pure quella….Era amarapure quella. Se inseriamo an-che una Lei, la storia si conclu-de in bellezza in qualche cuci-na tappezzata dai vapori mille-nari stabiliti da quanto olio imerluzzi avevano in corpo. Èd’inverno che i mari del nordsono pescosi, la neve sui montinon si scioglie e l’acqua delmare resta salata. In estate do-po il disgelo la salinità diminui-sce, il pesce è meno saporito eil turista in estro lo abbina op-pure opta verso le patatine consenape e Fanta. Ma questo cosac’entra con il folk?Mi sono lasciato andare men-tre ascoltavo le ballate di StanRogers. Da quelle parti il turismo nonconcede visite musicali, non in-clude CD per i dotti sapientidella diapositiva. Difficile trova-re il tempo per fermarsi nei ne-gozi di dischi che si incontranonei vicoli silenziosi di ogni ag-glomerato basaltico dai coloridi ardesia domenicale. Provoca

che ha realizzato coi suoi dischiun patrimonio storico musicalee anche spirituale immenso. Hadato forza a numerosi quantosconosciuti nomi che maiavremmo potuto ascoltare quida noi. E se scaviamo ancoratroviamo altre minuscole labeldedite a questo compito che siergono a vessilli incontaminatidel suono restandone fuori da-gli inferni di vanità vizio e ipo-crisia, ma dove trovare quei di-schi? Nemmeno la rete del mil-lennio riesce a pescarli, alloraritorniamo ai moli dove ritro-viamo quelle puzzolenti scalda-te dal sole di un Mediterraneoinfreddolito. Il mare è bestiale,ai tempi quando navigavo riu-scivo a capire dove mi trovavosolo guardando il colore del-l’acqua, naturale allora provareverso questi suoni un rispetto edistacco simultanei. Ma le viedegli uomini sono lastricate distorie, unico sostegno al deperi-mento che erode la vita di tuttigli ascoltatori di dischi. Segnalitenui giungono dalle poppe diflotte scomparse, urla striduledalle prue arrugginite che ripo-sano in fondo agli abissi della

storia dimenticata. Noi ascoltia-mo sempre senza dimenticaremai di sentire quanto il mareabbia raccolto con la sua pa-zienza la pazzia degli uomini.Per calarsi nella parte in modovolubile e solubile ecco dischi acui bisogna riferirsi almeno inminima parte. Gordon Bok è l’ormeggio dadove si salpa per ogni regatacon rotta introspettiva. Da lui sisviluppa il sapore di questa ter-ra fatta di nebbie chiare e nottiscure, nelle sue canzoni si pro-trae il verbo della ballata silen-ziosa e capace di far risvegliareangoli nascosti del nostro ma-gazzino affumicato dai tubi discarico. Sono legato in partico-lar modo a Turning Toward TheMorning con Bok assieme agliinseparabili Ed Trickett e AnnMayo Muir, Folkways FSI 56 -anno 1975. Al Stan Rogers diFrom Fresh Waters su Cole Har-bour Music ltd. Anno 84 -CHM001 e a quell’album intito-lato Clearwater, raccolta di men-ti e spiriti puri autori di canzoni

dedicate alla ecologia e alla sal-vezza del fiume Hudson. Unaventina di nomi di cui conosco,oltre al Bok, il Don Mc Clean,Lorre Wyatt, Peter Wilcox,Jimmy Collier …Un disco dal valore intrinsecoe ricco di speranze che riuscìnel suo intento. Cioè quello difar rinascere il senso di rispettoverso la natura e l’ambiente diquei lidi anche alle personeestranee. La voce e il delicatoquanto delizioso accompagna-mento arrecano all’ascolto unacomprensione atta al contesto.In questa musica bastano pochiaccordi e poche soluzioni perottenere quel suono che superilo scoglio del crudo ascetismoacustico. Gli stati dove si svolsela rivoluzione nord americanasono tutti coinvolti, però scri-vendo di quel mare non si pos-sono tralasciare neppure i sen-tieri di Blek Macigno. Maine,New Hampshire e zone limitro-fe appartengono a tutti coloroche hanno anelato a quel sen-so di libertà fatta di cieli fore-ste e fiumi di acqua chiara, do-ve io berrò… Interiorismi disi-dratati compongono il telaio diqueste atmosfere eteree e im-palpabili, suoni non per tutti igiorni e nemmeno per tutte leboccucce, ma il risultato è me-raviglioso. Questa musica equesti autori non corrono die-tro alle bramosie del successo,anzi, riescono a farci capirecon queste atmosfere quantosia inutile la carota davanti al

sempre meraviglia il ritrova-mento di LP senza storia, nomimai letti su nessuna stampa dicasa. Sono questi i micro tripudi diogni appassionato di musicaautentica e pura da ogni inqui-namento commerciale. Su e inquesti album si possono forgia-re opinioni indistruttibili, scel-te granitiche senza divenire unsauro del folk. A monte di tuttodeve esistere un equilibrio di-stante e votato al rifiuto di ognivezzo superfluo, di soluzionitecniche che asciugano lo spiri-to del vero cercatore. Si correil rischio d’altra parte di diven-tare sordi al nuovo che avanza.E se vi chiedete cosa significhiil nuovo che avanza, immagina-tevi un magazzino di CD tech-no lounge house e free acidjazz che non riesce a svuotarsi.Ma diamo un taglio a questescoordinate e melense retori-che, penetriamo con triste lu-dibrio il velato mondo dei di-schi marinari, quelli con canzo-ni antiche incorniciate da stru-menti arcaici e voci baritonali.In ogni LP va preso in affitto esopportato un brano solo can-tato e, dulcis in fundo, una to-tale mancanza di quel brividoesaltante dato dai riflessi elet-trici delle chitarre e dalle suedue più classiche derivazioni,la steel e il dobro mentre il dul-cimer al contrario si erge a co-lonna portante del tutto. Civuole del fegato, ma se siamoarrivati sino a quelle latitudiniè da sciocchi protestare per learinghe salate! In passato lo sti-le del cantautore marinaio eradelineato nei circoli culturali enelle coffee house, i luoghi diascolto per questa musica. An-che oggi è così. Le etichette di-scografiche che abbracciavanoquesti bardi erano minuscolerealtà locali guidate da intellet-tuali e dotti personaggi a cuidobbiamo molto. Pensiamo aiconiugi Paton, fondatori dellaFolk-Legacy Records, la casa

MAP MUSIC PAGES

Gordon Bock

Don McClean

Ed Trickett

Jimmy Collier

Late_77 4-08-2005 14:53 Pagina 15

16

L AT E F O R T H E S K Y 7 7

somaro. Ma ritorniamo alClearwater, quel gruppo di folksinger si impegnarono per unamanifestazione atta a salvaguar-dare il fiume Hudson dall’in-quinamento. Con uno Schoo-ner restaurato organizzaronodei soggiorni a bordo ai bambi-ni con genitori per far capirein quale situazione si trovasseroquelle acque. Ne nacque un di-sco che restò preda solo dei na-viganti e divenne importantenel tempo sia per la nutritapartecipazione di artisti folkche per le poche copie stampa-te. Edito su label Hudson RiverSloop Restoration inc., contie-ne un libretto con disegni e te-sti, anno 1974. I temi cantatisono ecologici e i suoni coin-volgenti. Sentirsi boschivi omarinari non cambia la sostan-za, è un disco importante an-che dopo trenta e passa anni eresta purtroppo ancora attuale.Non saranno certo queste po-che righe a migliorare questosistema, ma qualcuno provan-do c’è riuscito.Trasferiamoci di botto in Nuo-va Scozia?

Dario Medves

BOB DYLANE IL MARECHE ADULUTHNON C’È, MA NELLECANZONI SÌ

Dylan, a prima vista, è unpoeta di terra. Storie,suggestioni, ricordi e re-

veries si snodano su strade e pi-ste, anche su binari, lungo an-gusti canyon, sostano ai crocic-chi, sfrecciano sulle highway, sirintanano nei vicoli fuligginosidegli “slum”. In prevalenza, lesue liriche attraversano territo-ri asciutti e polverosi, dove glistivali prevalgono sui sandali.Ma i laghi che presidiano i con-fini naturali fra Stati Uniti eCanada, l’Erie, il Michigan esoprattutto il Lago Superiore,dove si affaccia Duluth, nellaloro smisurata estensione, han-no un respiro marino e guarda-no all’Oceano senza acrimo-nia. Per il giovane Dylan quellierano gli unici mari possibili.Mettendo un po’ più a fuocol’obbiettivo, lo sorprendiamo

take dei primi tempi, informache un nichelino è sufficienteper il traghetto di State Island,là dove Mr Hudson lascia tra-sportare la vela sulla corrente.Torbido, putrescente di schiu-me, crudele, si è già levato lamaschera il mare dove galleg-gia il corpo di Emmett Till, ilragazzo di Chicago, torturato amorte dal KKK e consegnatodal Mississippi. È un’assenza ilmare, ma ne senti da lontanolo sciabordío. Così Farewell, de-via una speranza rivolta allabaia del Messico o alle costedella California per le landemessicane. È Blowin’ In TheWind, la prima personificazio-ne potente di un mare sempreostile, da trasvolare. “Quantimari una colomba dovrà sorvolareprima di poter riposare sulla sab-bia?” E ancora “quanti anni po-trà esistere una montagna primadi essere spazzata nel mare?” È unluogo improbabile per un ap-puntamento con l’innamoratadopo un lungo viaggio: “Well,meet me in the middle of theocean…” Un mare dispettosoche gli porta via Suzie e il cuo-re, “the ocean took my baby…”. È

un mare che invidia la vita, chese ne vuole appropriare comerisorsa di energia. Un marevampiro. “Dodici oceani morti” inA Hard Rain’s A-Gonna Fall. “Hosentito il ruggito di un’onda chepotrebbe affogare il mondo inte-ro…” “In piedi sull’oceano finchénon comincerò ad af fondare.”Quando scrive le note di coper-tina per la seconda parte delJoan Baez In Concert, Dylan sisente “un poeta atterrito, cammi-nando sulla spiaggia, scalciandodetriti con la mia ombra impauritadal mare.” In The Times They Are-A Changin’, il monito biblico al-l’umanità è perentorio: “ammet-tete che le acque intorno a voi sonosalite e accettate che presto sareteinzuppati fino all’osso” e pocodopo, “è meglio che nuotiate o co-me pietre affonderete”. È raro cheil mare sia colto come favolosaminiera di tesori. In Boots OfSpanish Leather, lui rifiuta qualisouvenir “i diamanti del piùprofondo oceano”. L’oceano èuno spazio romito e insidioso,che rapisce, si dissimula e nonsempre restituisce chi osa sol-carlo. Di tutte le canzoni di Dy-lan è probabilmente When TheShip Comes In la ballata più ab-bondante di metafore riferiteal mare. È il mare dell’Esodoquello che si aprirà, quando lanave lo fenderà e le sabbie tre-meranno. C’è un messaggio disalvezza nella canzone. Si evocaun “Età dell’Oro”, quando“ogni pesce riderà nuotando fuoridal corso e i gabbiani sorriderannoe gli scogli e la sabbia si alzerannofieri, nell’ora in cui la nave arri-verà.” “Le catene del mare sarannoinfrante nella notte e seppellite nelfondo dell’oceano.” È il Dylan mi-stico e avventista, una fede ada-mantina. Sulla spiaggia trasfor-mata in camminamento aureoil nemico sarà travolto dallamarea e punito come Golia.“Alzeranno le mani dicendo che so-no disposti ad accettare ogni richie-sta, ma da prua grideremo ‘avete igiorni contati” e “come il popolodel faraone saranno sommersi dal-la marea e come Golia sarannovinti”. (Esodo e 1 Samuele) Inquesti versi si coglie il differen-te livello di frequentazione del-le Sacre Scritture da parte de-gli artisti americani rispetto aquelli europei. Tutta la musicafolk americana e non solo, èpercorsa da citazioni bibliche,riferimenti che fanno partedella quotidianità (Linus do-cet), ma non frequentementeriempiono il bagaglio poeticodel vecchio Continente. L’o-ceano rimane una forza pri-mordiale: “il selvaggio oceano

piuttosto un cantore di fiumiche, come vene, sono spessocoro silente o tumultuoso deisuoi personaggi, compagni diinnumerevoli viaggi, reali o fit-tizi, tutti straordinari, “thou-sand miles from home”. Il Mis-sissippi River, il Pecos, i“creeks” che attraversano quasiinvisibili i mari a perdita d’oc-chio delle praterie. Parafrasan-do Lee Masters, mi piace pen-sare a un Dylan che “anela almare, eppure lo teme”. Le sueliriche, fin dalle prime profeti-che digressioni sciorinate neifolk club, mostrano visioni apo-calittiche del mare, con unospirito che sembra provenireda una lettura riferita più al-l’Antico che al Nuovo Testa-mento. Mutua dalla sua perso-nale esperienza della Torahun’immagine immane e casti-gatrice dell’elemento marino,strumento di giustizia e di ven-detta divina, talvolta simbololustrale per un’umanità chedovrà redimersi. Non è certo ilmare dei Beach Boys o diJimmy Buffett quello che inon-da i versi del giovane storytel-ler. Hard Times In New York, out-

MAP MUSIC PAGES

Late_77 4-08-2005 14:53 Pagina 16

17

L AT E F O R T H E S K Y 7 7

suonava come un organo” (LayDown Your Weary Tune), fuoriu-scita di The Times They Are A-Changin’. È un immagine anco-ra titanica e burrascosa. Per re-stare in ambiente anglosassoneil pensiero va ai quadri roman-tici del grande pittore londine-se Joseph Turner che predilige-va orridi e burrasche, mari cat-tivi e spumeggianti. Alcunecanzoni contengono anche ra-pide schegge correlate al maree ai suoi abitanti. In My BackPages, da Another Side, è scritto“la mia esistenza navigava su na-vi di confusione, ammutinamentoda poppa a prua”. Se non gene-ra terrore, il mare fomenta ri-bellioni. Lungo i dischi dell’a-pogeo simbolico e lirico di Dy-lan, sugli album che vanno daBringing It All Back Home a Blon-de On Blonde gli agganci con ilmare si fanno più enigmatici e

toli con pistole a canne mozze.Nella parata tridimensionale diDesolation Row, uno degli ultimiversi tira in ballo un Titanic inpartenza. Sogno e predestina-zione si alternano, poiché “frale finestre del mare galleggiano pia-cevoli sirene”. Ambiguità e ani-ma nera del mare sembranomomentaneamente placarsisoltanto davanti al “noumeno”della Bellezza, la Signora DelleVallate Dagli Occhi Tristi, di-spensatrice di baci di geranio,davanti al cui cospetto anchel’acqua si limita a lambire i pie-di della dama. Nei versi deglialbum successivi il ruolo delmare sembra ridimensionarsiin subitanei scorci, in flash piùo meno allusivi, ma senza la so-lennità e il plastico rilievo dellecanzoni del periodo folk. “Sol-cheremo l’oceano come haisupposto”, è un verso che si in-

MAP MUSIC PAGES

occasionali, sbrigliati da qual-siasi nesso che non appartengaal senso della trasfigurazione edell’incubo. Bob Dylan’s 115thDream è una cavalcata di non-sense che configura e confer-ma il flusso di coscienza espres-sivo che Dylan ha ereditato dal-la beat generation. Di “MobyDick” il poeta avrà tenuto inconsiderazione almeno le pagi-ne più salienti. Nel forsennatocarosello di immagini che flut-tuano e ruotano come le spiralidi un ipnotizzatore da fiera, ba-lenanti flash e dialoghi dissen-nati si accavallano, girandola inmoto perpetuo. “Navigavo sulMayflower quando mi parve discorgere terra, urlai al capitanoAchab. Voglio che sappiate che ar-rivò correndo sul ponte dicendo ‘ragazzi, lasciate perdere la balena,guardate laggiù, bloccate i motori,bloccate la vela, tirate le gomene’.

Noi cantavamo quella melodia co-me fanno tutti i marinai quandosono lontani, sul mare”. Unamulta affissa sul bompresso, iguardacoste che si rivolgono aun sedicente Capitan Kidd,completano il “pastiche” colo-rato dove il Pequod e la darse-na di Nantucket sono le partidi un crittogramma che ognu-no decifrerà come vuole. AlTambourine Man è richiesto ilcompito di portare “in viaggiosulla tua nave turbinante”, in ungioco di sottintesi dove può es-sere individuata una lettura li-sergica. Hanno le vele tatuatele navi di Gates of Eden e nelloscollamento sentimentale diIt’s All Over Now, Baby Blue “ma-rinai con il mal di mare remanoverso casa”. La loro condizionenon è certo preferibile a quelladei “pirati strabici” di FarewellAngelina che sparano ai barat-

Chi è stato bambino negli anni ’60 non dovrebbe faticare a ricordarsi di questo strambopersonaggio proveniente dalla Francia, che per un quinquennio o giù di lì imperversò an-che nel nostro paese con le sue scombinate canzoni. Emulo in un primo tempo del Dylan

elettrico (Les Elucubrations, Un Autre Autoroute e L’alienazione sembrano figlie di Blonde OnBlonde e risalgono allo stesso anno, il 1966), Antoine, ha un legame a doppio, triplo, quadru-plo filo col mare. Nel 1944, quando nasce, la sua famiglia abita in Madagascar, la Franciad’Oltremare, e per quanto ne venne via all’età di tre anni, e quindi con pochi ricordi, i suoi pri-mi passi li ha mossi su un’isola. Poi ci sono stati un paio di trasferimenti in Canada, con conse-guenti traversate dell’Oceano Atlantico (a quell’epoca i voli aerei erano un lusso). E poi ancorain Cameroun e di nuovo in Francia. Dopo le prime esperienze filodylaniane Antoine, decisa-mente più interessato alla musica che alla termodinamica, si lascia riconoscere per una serie dicanzoni surreali che oltre che in Francia vennero spesso tradotte e edite pure in Italia, sono glianni di Cannella, Taxi, Cosa hai messo nel caffè, La tramontana, tutti motivi facilmente assimila-bili, un po’ nouvelle vague (di questo periodo dovrebbe essere reperibile senza troppa fatica undoppio CD dal vivo registrato all’Olympia tra il 1966 e il 1969,edito dalla Arcade nel 1998), che ai festival di Sanremo di quel-l’epoca venivano cantate in coppia con gente del tipo RiccardoDel Turco o Gian Pieretti (con cui Antoine eseguì la celeberrima

Pietre). Poi, almeno per quanto riguarda le incursioni italiche, Antoine sparisce dalla circolazione, ri-manendo invece molto attivo nel suo paese, come cantante e come viaggiatore, anzi per la precisionenavigatore. Ed è proprio in queste vesti che lo abbiamo riscoperto anche noi negli anni ‘90, quandoin giro per le isole dell’Oceano Pacifico accompagnava i telespettatori di “Sereno variabile” (se lamemoria non mi inganna) da un arcipelago all’altro, facendo emergere questa sua sconfinata passio-ne per il mare, palpabilissima anche nelle sue canzoni (in francese) che non abbiamo avuto il piaceredi conoscere. Una specie di Jimmy Buffett en francaise, con le camice hawaiane e i lei (le corone difiori) attorno al collo. Antoine si fa chiamare Globe flotteur, nome che non ha bisogno di spiegazionie che è il titolo anche di una sua canzone e di un libro dedicato alle sue navigazioni. E di libri ne hapubblicati parecchi, e pure documentari sullo stesso argomento. Per non dire del suo sito www.antoi-neweb.com , in cui ci sono pagine di diario, foto di bellezze polinesiane (una nuova ogni settimana),

i testi delle canzoni e dibattiti ecologici, ed èperfino possibile seguire la navigazione della sua barca, il Banana Split. Eper concludere qualche titolo di canzone con riferimenti particolari al maree alla Polinesia: Touchez Pas A La Mere, in cui finge di essere stato incari-cato dal mare stesso di dire alla gente di essere meno idiota e di capire chesi fa ancora a tempo a salvare il pianeta, a risparmiare le balene e i gab-biani; Marinheiro, un adattamento in francese dell’omonima canzone diCaetano Veloso, Un petit air Gauguin con ovvi riferimenti al pittore del Pa-cifico, Bord a bord a Bora Bora, ancora sulla Polinesia (la stessa Polinesiache fu l’ultima fermata del suo più illustre collega e amico Jacques Brel), L’i-le flottante. Un personaggio da riscoprire. E da cui non si poteva trascen-dere parlando di mare e canzoni.

Paolo Crazy Carnevale

ANTOINE - Nocchiero e Musicista

Discografia consigliata(ovvero quella di cui sono in possesso):

- L’essentiel Antoine(Polygram 1994)- Les Concerts inedits de Musicorama: Antoine(Arcade 1998) (live 1966-1969)-Antoine elucubre au Petit Journal(Universal 2003) (live)

Late_77 4-08-2005 14:53 Pagina 17

18

L AT E F O R T H E S K Y 7 7

quadra senza alcuna scossa nelclima ottimistico e gaudente diOne More Weekend, da New Mor-ning. I Basement Tapes, dall’arca-dico eremo di Woodstock, indi-viduano il mare addiritturaquale spazio da villaggio-vacan-za, nel relax puro di Goin’ ToAcapulco. Sono lontani Giona eil leviatano, i flutti vendicatori.Il mare è lo sfondo di una car-tolina. Nel ciclo della produzione dy-laniana dell’ultimo ventennioil riferimento si rarefà e diven-ta mero e accidentale contor-no.Perdura un vago richiamo ro-manzesco ancora in Tangled Up

tiv quello delle barche a vela,retaggio certo della marineriaromanzesca, che solcano labaia davanti agli occhi del poe-ta in Golden Loom. Nella misticaEvery Grain Of Sands il narrato-re “ascolta gli antichi passi come ilmare in movimento”. Le navi ri-mangono uno strumento di li-berazione ai tempi dello “sparod’amore”, sotto il soffio deiventi che spirano da Nassau alMessico. Sono d’acciaio le on-de, oppongono una resistenzache la dolce brezza dei Caraibinon può mitigare. C’è un cane infernale, un Cer-bero che sorveglia, ma la Sal-vezza non è lontana. Più mode-stamente il mare di Atlantic Cityondeggia freddo e grigio,pronto a imbizzarrirsi quandoper Seeing The Real You At Last,da Empire Burlesque, l’Io narran-te veleggia nella bufera aggrap-pato all’albero, con un’imma-gine debitrice dei grandi ro-manzi di mare. Avrà letto Dy-lan il più straordinario roman-zo marinaresco nella letteratu-ra dell’800, “Two Years BeforeThe Mast” di Richard Henry

Dana? Il ragazzo di Clean Cut-Kid, sempre da Empire Burlesquesi tuffa nella China Bay dalponte del Golden Gate perchéla sua vita perduta non ha altrisbocchi. Un mare tomba e su-dario come altre volte è acca-duto nella poetica di Dylan. Ildiscusso Knocked Out Loadedpresenta Driftin’Too Far FromShore, segnalando quale perico-lo incontri chi si allontana dal-l’approdo. 2x2 da Under TheRed Sky offre una progressioneironica che ricorda le filastroc-che di Agatha Christie ed è an-cora in qualche modo riferitaalle Scritture: “three by three, theydanced on the sea, four by four,they danced on the shore, five by fi-ve the tried to survive”. Perchèancora una volta la prima curadell’uomo è la mera sopravvi-venza, in attesa di una salvezzaancora impalpabile, oltre il do-lore, oltre la dignità, oltre ilsenso apparente. “L’acqua èalta” minacciano i versi della fo-sca Man In The Long Black Coat.Siamo morti o vivi? “La gentesemplicemente galleggia”.

Francesco Caltagirone

In Blue, quando il protagonistadella canzone si impiega per uncerto periodo su un pescherec-cio, appena fuori Delacroix.Sempre su Blood On The Tracksla ricerca di Lei si sposta difronte al mare dove ogni velie-ro (biblicamente) tornerà. ÈSimple Twist Of Fate. Affonda co-me una nave il sole di Meet MeIn The Morning, il rimpianto e laricerca di Lei si fanno struggen-ti in If You See Her Say Hello, incui l’amata si è rifugiata a Tan-geri. È un lido esotico Mozambi-que, niente di più che un para-diso terrestre balneare dove cisi può cuocere al sole. Un temararo, ma non impossibile neiversi di Dylan. Un atto di fede è contenutonell’oscura asserzione di Oh Si-ster dove “il tempo è un oceano,ma finisce alla riva”. Affiora unsenso di imminente rovina inBlack Diamond Bay, con l’ultimavela che salpa nella luna calan-te della Baia del Diamante Ne-ro. L’imprendibile sfinge, la mi-steriosa Sara scende fra i morta-li e si concede al supermercatodi Savanna-la Mar. È un leitmo-

MAP MUSIC PAGES

Anni or sono mi capitòdi curare per la sedeRAI della mia città una

breve rubrica che raccontavadi musica rock e di animali ci-tati nelle canzoni, una sorta dibestiario o di giardino zoologi-co. Ma la mia vera passione,parlando di animali, sono pro-prio quelli che non è possibilerinchiudere in nessuno spazio,perché nessuno spazio è abba-stanza ampio per ospitarli. Parlo delle balene, e la miasimpatia va soprattutto allemegattere. Credetemi, non viè soddisfazione più grandeche andare a vedere gli anima-li più grandi del mondo nelloro ambiente naturale. Così,quando il direttore mi ha chie-sto qualche idea per questospeciale sul mare, è andato dasé che mi sia venuto in mentel’abbinamento tra la passioneper la musica rock e quellaper le balene e i cetacei in ge-nere. La mitologia rock abbonda dicanzoni ispirate agli animali, eanche quelle su balene e delfi-ni non mancano. Quanto se-gue non vuole essere un elen-co di tutte le canzoni dedicatea questi animali, si tratta solo

di una serie di cose in cui misono imbattuto, pensieri sul-l’argomento, ricordi e scoper-te fatte attraverso la rete. Lamemoria di ascoltatore mi ri-porta immediatamente ad unacanzone dei Byrds, la primache ricordo sull’argomento,una canzone firmata da DavidCrosby, non a caso un autoremolto legato al mare. Si intito-lava Dolphin’s Smile ed era con-tenuta in un disco che ascolta-vo moltissimo intorno al 1980(per motivi anagrafici non hopotuto ascoltare questa musicain tempo reale, ma l’ho sem-pre preferita a quella plastica-ta e fastidiosa degli anni ‘80).Una delle prime canzoni eco-logiche in assoluto, una delleprime dedicate ai delfini insie-me ad uno dei brani più notidi Fred Neil, tanto noto chenon si contano le rivisitazioni:Dolphins. La canzone di Neil è diventataquasi uno standard passandodi mano in mano, o meglio divoce in voce attraverso le ugo-le di Tim Buckley, Eric Wood,It’s A Beautiful Day (con tantodi Jerr y Garcia alla pedalsteel) fino a quella in duo diBeth Horton e Terry Callier.

Tornando a David Crosby, miviene in mente una prima di-vagazione: il film “CelebrationAt Big Sur” girato nel settem-bre 1969 sulla costa california-na. Vi è una scena in cui glihippies e i musicisti (CSN&Yerano della partita) si distrag-gono per correre a vedere ilpassaggio delle balene al largodel celebre promontorio de-cantato da Jack Kerouac. Neglistessi anni i Led Zeppelin de-dicavano un brano strumenta-le alla mamma di tutte le bale-ne, la balena bianca del ro-manzo di Herman Melville:Moby Dick. I brani strumentalidedicati ai cetacei si sprecano,non avete idea di quanti ci sisiano applicati, nella discogra-fia delle balene troviamo ditutto: gli Alice In Chains diWhale & Wasp, l’ispiratissimochitarrista dei Jefferson Star-ship Craig Chaquico con WhyThe Dolphin Smiles, Martin Tay-lor con The Dolphin, il velocistadella chitarra Joe Satriani conDolphin’s Tears, perfino L’Elec-tric Light Orchestra di JeffLynn aveva in repertorio unostrumentale intitolato TheWhale, e gli Yellowjackets han-no eseguito una Ballad Of The

Whale nella colonna sonora diuno dei più recenti Star Trek.Tornado alle canzoni propria-mente dette, quelle in cui c’èanche un testo, ci imbattiamonella bella Whale Song inter-pretata dai Pearl Jam nel terzovolume di Songs For Our MotherThe Ocean e recentemente in-clusa in una raccolta di raritàdel gruppo. Nei loro anni diffcili persinogli Yes avevano detto la oro suicetacei: in Tormato, disco di fi-ne anni ‘70, la seconda canzo-ne si chiamava Don’t Kill TheWhale, una canzone il cui invi-to a fermare la strage dei ceta-cei, ancora praticata da paesicome Giappone e Norvegia, ri-sulta sempre attuale. E a que-sto proposito, sul fronte dellecanzoni troviamo tracce nellecanzoni popolari dedicate aicacciatori di belene: Ballad OfThe Greenland Whalers o The

WIND ON THE WATER Laggiù soffia: balene, delfini e canzoni

Late_77 4-08-2005 14:53 Pagina 18

19

L AT E F O R T H E S K Y 7 7

MAP MUSIC PAGES

WOMAN ON THE BEACH

Cara Joni…

La spiaggia non è la sabbia calda e dorata che piace tanto a uomini, donne e bambini, anche solo come astrazione mentaledal quotidiano trantran. Non è la battigia sabbiosa dell’omonimo album dei Sea Level o il mar caraibico dei primi dischi diJimmy Buffett. È una costa aspra, rocciosa, impervia, in netto contrasto con l’idea che si ha del mare quale rilassante mirag-

gio estivo. Ma Joni è lì, di spalle, completamente nuda, radiosa nella sua carnale fragilità rispetto agli elementi naturali che lacircondano, e la sua aggraziata femminilità dà un senso vitale anche alla riva selvaggia dell’isola di Vancouver, all’estremitàdella British Columbia canadese, isola e costa irte di scogli e di pini, dove Joel Bernstein - “unico amico fotografo con cui mi sa-rei trovata a mio agio” - scattò la splendida foto. L’immagine, fortemente voluta da Joni, era destinata in origine all’esterno dellacopertina di For The Roses, ma poi finì all’interno su insistenza di qualcuno. Si narra che Elliot Roberts, manager della neonataAsylum e talent scout della Mitchell, abbia convinto l’amica a rinunciare all’idea con un’improvvisa battuta di spirito che colpìnel segno: “Joni, ti piacerebbe vedere un bollino $5.98 incollato sul culo?”. La scelta migliore quindi - oltre che per evitare i si-curi problemi di censura in un paese che aveva già ristampato Electric Ladyland di Jimi Hendrix senza la famigerata foto del-l’harem di modelle nude dell’edizione originale inglese, ed eliminato la minorenne a torso nudo dalla copertina dell’album omo-nimo dei Blind Faith - fu recuperare l’immagine riproducendola in modo più “riservato” all’interno del bellissimo packaging tri-ple-fold, svelata, come in un libro d’arte, da un autoritratto abbozzato a olio di Joni. Il nudo fotografico - in effetti un’innocentescena botticelliana che non scandalizzò neppure i genitori dell’artista - serviva, nelle intenzioni della cantautrice, a illustrare lastrofa di Lesson In Survival relativa alla contemplazione dell’oceano. La Mitchell è in effetti fra le pochissime donne cantautriciad aver adottato alcune volte nella grafica delle copertine uno scenario marino oppure l’acqua. Viene in mente il braccio di ma-re dipinto sulla copertina di Clouds, o ancora il corpo di Joni, stavolta in bikini, languidamente a galla nella piscina della suavilla a Bel-Air, in California, all’interno della copertina gatefold di The Hissing Of Summer Lawns. Da canadese avvezza allepiatte praterie, alle foreste innevate e alle stufe a legna, Joni ha inoltre disseminato le sue canzoni di fugaci rimandi ispirativi al-l’oceano, affermando così l’importanza poetica attribuita all’ambiente marino. Il gabbiano a cui dedicava Song To A Seagullnella sua prima opera, i galeoni e i corsari descritti in The Pirate Of Penance, la spiaggia su cui passeggiava spesso e di cuiparla in Banquet, e soprattutto il mare come condizione esistenziale immortalato in Blue (la canzone), vero e proprio abbando-no non solo simbolico alla dolorosa libertà garantita dall’oceano, con le sue implicazioni con la figura di James Taylor e il pro-blema di un rapporto sentimentale difficile con lo stesso (la conchiglia vuota, i gabbiani indifferenti, “incoronami e ancorami,oppure lasciami veleggiare lontano”). Cara Joni… nuda e abbronzata bellezza assopita, osservata amorevolmente da GrahamNash, altro suo grande ex, in Lady Of The Island. Non a caso, ancora il mare. E l’isola che ognuno di noi, in fondo, rimane.

Fabrizio Pezzoli

Late_77 4-08-2005 14:53 Pagina 19

MAP MUSIC PAGES

20

L AT E F O R T H E S K Y 7 7

Greenland Whale (quest’ultimarecuperata anche da RogerMcGuinn nel suo Folk’s Den.Uno dei brani rock più epocalidi fine anni ‘60 trae il titolo (etitola anche l’album in cui ècontenuto) da una manovrausata dai cacciatori dopo averarpionato i grossi cetacei, sitratta di Nantucket Sleighride deiMountain, di cui va ricordatala chilometrica versione live inRoad Goes On Forever. Sempredalle parti del rock sanguignoanche i Montrose hanno inci-so una Whaler, dedicata ai bale-nieri.E per rimanere in tema, par-lando di balene uccise, c’è undisco, con canzone omonima,di Jim Capaldi che macabra-mente si intitola Whale MeatAgain! Due belle canzoni inve-ce vengono dalla penna diCrosby e Nash e da quella delLou Reed di New York. La pri-ma è la mitica Wind On TheWater il cui titolo ha il medesi-mo significato del nostro “Lag-giù soffia!”, e la canzone è unadelle più belle incise dal duo,che in concerto negli anni ‘80la eseguivano con tanto diproiezione di immagini dedi-cate ai cetacei. Il brano di LouReed è invece Last Great Ameri-can Whale, che racconta degliavvistamenti di un’enorme ba-lena capace di colpire unamontagna con la coda e ren-derla come il Grand Canyon.Ci sono poi i Cocteau Twinscon Whales Tails, i Live conWhen Dolphins Cry e c’è perfi-no un gruppo di casa mia, gliStill Blind, che nel 1991 ha

Non soltanto il titolo diuna canzone. Non soloil teatro di una storia

d’amore dolcissima e struggen-te, al pari di quelle note som-messe e di quella voce flebileche ne illumina la via, nellaquale la donna è una misterio-sa creatura marina, affascinan-te e mostruosa al tempo stesso,le cui fattezze mutano al confi-ne fra il giorno e la notte. Nonsoltanto temibili profondità incui la luce si fa sempre più fio-ca, come gli abissi più torbidi edisarmanti della coscienzaumana, nei quali il sogno di-venta incubo, la sanità pazzia, ilpensiero dramma irrisolto, inu-tile fardello.Il mare, forse, è soltanto unpretesto: un tema come un al-tro per la copertina di un al-bum. Ma mi piace immaginareche non sia così. Dirò di più:ne sono assolutamente certo.Ho sempre provato emozioniprofonde e toccanti davanti aimorbidi tratti con i quali le ma-tite di Alfreda Benge, moglie,compagna, complice, entità in-dissolubile della cellula Wyatt,hanno tracciato, con purissimo

amore ed ingenua, infantilesemplicità, le immagini dellaVita e di un ritorno alla Vita.Non datemi del pazzo se posse-dete la recente ristampa diRock Bottom su Rykodisc, prezio-sa ed irrinunciabile finché vo-lete, ma colpevole di aver sosti-tuito la cover del vinile origina-le, forse troppo arzigogolataper il formato ridotto dell’ar-genteo supporto, con un altrotema marino raffigurante duecorpi che fluttuano sotto la su-perficie dell’acqua, fra alghe epesci colorati. Forse Alfreda havoluto rinnovare la sua pennaper il pubblico d’inizio millen-nio, ha pensato a colori che de-stassero maggiore attenzionenel grigio dei moderni super-mercati della cultura, ma la-sciatemi celebrare il mare, sor-gente di vita, con quel pallidobianco nero di oltre trent’annifa.Gioverà a questo punto, e spe-ro soltanto per i lettori più gio-vani, fare un po’ di storia intor-no a quel grande vecchio suuna sedia a rotelle, invitarequesti fortunati imberbi a pro-curarsi i primi quattro album

realizzato un bel disco dalleconnotazioni hard intitolatoWhales. Per concludere, ma ildiscorso potrebbe andareavanti oltre e sarebbe ancheinteressante riportare alcunidei testi sopra citati, ci sonotutti quei dischi basati sul can-to delle balene, che per quan-to interessanti, risultano abba-stanza noiosi per chi è avvezzoall’ascolto della musica rock.Si sa, rock e new age, non van-no troppo d’accordo, ma citia-mo per dovere di cronaca idue dischi di Paul Winter, incui il canto delle megattere èabbinato a composizioni ori-gnali: Whale Alive e Songs OfThe Humpback Whales . E inquesto senso non mancanoesperimenti anche nel cantau-torato americano, una raraWhale Song è stata registrata daJohn Denver che con la chitar-ra acustica e la voce segue ilcanto delle balene. Denver, al-fiere della canzone ecologistacanta delle balene anche nelbrano American Child e in Chil-dren Of The Universe. Una can-zone in cui il canto delle bale-ne è usato come base, è Fa-rewell To Tarwathie, di Judy Col-lins, e persino la famiglia Par-tridge non ha saputo resisterealla tentazione di una simileoperazione. Un ultimo appun-to per ricordare, infine, unacasa discografica dei tempi an-dati, la White Whale, balenabianca, che ha pubblicato di-schi dei Turtles e dei Rockets(i futuri Crazy Horse) tra glialtri.

Paolo Crazy Carnevale

Sembri differente ogni volta che vieniDall’acqua salata increspata di spumaLa tua pelle brilla dolcemente al chiaro di lunaUn po’ pesce, un po’ focena, un po’ cucciolo di balenaSono tuo? Sei mia? Per giocare insieme?Scherzi a parte, sei terribile quando hai bevutoMi piaci di più a tarda notte, quando dormi tranquillaMa non riesco a capire la persona differente che sei al mattinoQuando è tempo di giocare agli esseri umani per un po’ sorridi, te ne pregoSarai differente in primavera, lo so Sei una bestia stagionale come la stella di mare che si sposta con la mareaCosì, finché il tuo sangue scorre per incontrare la prossima luna pienaLa tua pazzia entra delicatamente in meLa tua follia si sposa graziosamente con me, nel più profondo di meNon siamo soli

(Robert Wyatt, Sea Song)

ROBERT WYATTIl mare: immagini in movimento

Late_77 4-08-2005 14:53 Pagina 20

21

L AT E F O R T H E S K Y 7 7

dei Soft Machine, i due deiMatching Mole, la prima operasolista del Nostro, ostica all’a-scolto come pure nel titolo(non dite che lui non vi avevaavvisati!), che celebra la fine diun orecchio. Poi costringerli aprendere un’enciclopedia qua-lunque, anche una di quelleche appesantiscono saltuaria-mente i quotidiani e, soprattut-to, le cassette dei resi delle edi-cole, e provare a leggere allavoce di Canterbury, per vederese di sola geografia si tratta. Unviaggio affascinante ed irripeti-bile, pieno di estro, di creati-vità e di sana follia, di luci stro-boscopiche e colori fluorescen-ti, ma anche di alcool, droghee festini troppo movimentati,che conduce invariabilmentealla casa di Lady June a MaidaVale, la notte del primo giugnodel 1973, e ad uno stramaledet-to volo dal quarto piano. La caduta in un buco nero chesembra non avere fondo: i lun-ghi mesi di ospedale, la consa-pevolezza che nulla sarà comeprima, che, come pensano tut-te le persone su due gambe, sa-rebbe meglio morire che…Anni dopo, con il fardello deltempo sulle spalle, di un tempocerto non trascorso invano, e la

saggezza dei fili d’argento checolorano barba e capelli, Ro-bert avrebbe candidamenteammesso che la sua vera vitaera cominciata quel giorno ed ivizi giovanili erano stati nullapiù che una sorta di esperienzaprenatale. Ma, almeno nel no-stro racconto, il presente è an-cora l’estate del 1973 ed il buiopesto di una corsia d’ospedaleche sembra un tunnel senza viad’uscita. Rock Bottom è la luce in fondo altunnel: il disco della resurrezio-ne, la celebrazione del ritornoalla vita. Ideato prima del tragi-co incidente come possibileterzo atto della saga dei Mat-ching Mole, nei lunghi mesi diforzata convalescenza vede stra-volgere completamente i pro-pri connotati sotto la pressionedi nuove istanze fisiche e men-tali per avviarsi, con infinitamalinconia ma senza alcunamestizia, verso quell’Olimpodal quale ci ammicca da oltretrent’anni, attraverso il mareed una spiaggia brulicante divita. Ma il mare non è soltanto im-magine di copertina: è, soprat-tutto, alveo naturale e cassa dirisonanza per le atmosfere li-quide e sfuggenti che avvilup-pano quei solchi, immensa sac-ca di liquido amniotico che re-stituisce la vita a Wyatt ed ani-ma gli strani personaggi dellesue canzoni. Accantonata senzatroppi rimpianti la vecchia bat-teria, Robert si concentra sulletastiere, che animano e gover-nano completamente il sounddell’album conferendogli tonimalinconici e sottili movenzeipnotiche: un movimento lieve,costante e reiterato come quel-lo delle onde fragili che si in-

frangono sulla battigia, deposi-tando talvolta qualche segretocarpito al mare in cambio diun pugno di sabbia da restitui-re al suo moto perpetuo. Quelle onde, nonostante la lo-ro apparente delicatezza, han-no abbastanza forza da trasci-nare i fantasmi ingombranti diun passato che non potrà piùritornare e del quale Wyatt, infondo, non sembra così dispia-ciuto di dover fare a meno. Ilmare, crudele e generoso altempo stesso, sa restituire ciòche prende e Robert scopriràche la sua nuova vita, nono-stante le limitazioni impostegli,o forse proprio grazie ad esse,è in realtà la sua vera vita. Lasua voce, così fragile e caratte-ristica, quel filo tenue che sem-bra sempre in procinto di spez-zarsi, è in realtà la barra di untimone che sa resistere alletempeste ed alle intemperie,che è in grado di governare lafuria degli elementi tracciandorotte sempre nuove, affascinan-ti e misteriose. L’equipaggio èscarno ma fidato: oltre ad Al-freda, amici vecchi (Fred Frith,Richard Sinclair, Hugh Hop-per, Gar y Windo) e nuovi(Mike Oldfield, Nick Mason),che hanno piena coscienza del-l’importanza di questo viaggioinaugurale e che per la suabuona riuscita sono pronti adare il meglio di se stessi, a sa-

crificare la bottiglia più pregia-ta per disperderne in mare ilcontenuto. Sulla copertina diRock Bottom la spiaggia ospitadue strani personaggi, la cuipresenza, in un simile conte-sto, è decisamente forzata e,proprio per questo, fortementesimbolica. Se aguzzate un po’la vista non dovreste farvi sfug-gire il profilo di un riccio e diuna talpa in costume da bagno:due animali tanto piccoli da

potere essere scorti sologuardando con atten-zione, mentre puntanoil mare con apparentediffidenza. E’ il passato(ricordate la copertinadi Matching Mole?) chesi affaccia timidamen-te sulla nuova realtàquotidiana, cercandoinutilmente un pontecon il presente o,quantomeno, recla-mando il proprio ruo-lo: un passato per ilquale ormai non c’èpiù posto, che è fuoriluogo come una tal-pa sulla spiaggia…Nel cielo, accanto ai

gabbiani, danzano i palloncinisfuggiti ad una bimba, che si li-brano nell’aria cullati dal ventomentre, in lontananza, un filodi fumo segue la scia di una na-ve. Tutto sembra rimandare adun concetto di dolcezza ed ar-monia. Un’idea di movimento che tro-va la sua definitiva consacrazio-ne nell’agilità delle figure chesi muovono sulla spiaggia, sal-tano, si piegano, si contorconocelebrando l’eleganza delleforme e la scioltezza delle pro-prie movenze: difficile nonrapportare questa libertà infi-nita alla prigione di una sedia arotelle ed al ricordo, ancorafresco, di ciò che non potrà piùritornare. Sotto la superficiedel mare, invisibile ed inimma-ginabile, una realtà misteriosa,paurosa e rassicurante al tem-po stesso, si dipana parallela aquella innocente e spensieratache si svolge in superficie senzaapparenti interferenze. E’ una vita diversa in cui pullu-lano creature di ogni tipo, ani-mali e vegetali, il cui aspettomette disagio, soggezione, osti-lità quando non aperto rifiuto.E’ un mondo diverso fatto diesseri diversi, una realtà sotter-ranea perché nascosta ai nostriocchi: qualcosa di più di unasemplice presenza nel grandemare dell’indifferen-za…

Marco Tagliabue

MAP MUSIC PAGES

¯

Late_77 4-08-2005 14:53 Pagina 21