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Mamma, mi racconti una storia della fantasia?

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Storie della buonanotte per bambini.

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Mamma, mi racconti una storia della fantasia?

Va bene, ma tu

inventi i personaggi…

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Il treno e la luce

C’era una volta un treno di nome Zuccherino che aveva sempre viaggiato di notte fin dalla prima volta che aveva messo le ruote sui binari. Usciva dal deposito quando il sole era tramontato e nel cielo c’erano già le prime stelle. L’alba non era ancora spuntata quando rientrava dal suo viaggio. Di giorno, dormiva in fondo in fondo al deposito dove la luce del sole non riusciva ad arrivare.

Nel corso dei suoi viaggi tra le campagne, le colline e le montagne, il treno viaggiava nel buio. Anche quando c’era la luna piena e splendente, Zuccherino non poteva vedere i colori: conosceva solo le sfumature del nero e del blu.

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Un giorno si svegliò un po’ prima del solito e sentì alcuni treni del deposito che chiacchieravano e raccontavano entusiasti i loro viaggi.

Un treno disse: - Ieri ho visto molti animali mentre passavo per la campagna: c’erano le mucche bianche con le macchie nere, i coniglietti con le orecchie rosa, le pecore con i loro agnellini. Ho visto anche uno splendido campo di fiori dai mille colori!

Oggi era proprio una giornata stupenda: il cielo era azzurro, il sole mi riscaldava con i suoi raggi e la mia carrozzeria brillava e scintillava.

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Un altro treno raccontò: - Io, passando tra le colline, ho visto un bosco bellissimo con gli alberi verdi. C’erano alcuni cespugli che avevano delle bacche rosse mentre altri erano pieni di frutti viola.

Tra le foglie degli alberi, i raggi del sole scendevano come spade lucenti!

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Un terzo treno disse: - Io sono andato in montagna. Ho attraversato un passo dove c’era la neve bianchissima; sono passato vicino a un torrente dalle acque trasparenti e ho potuto vedere dei pesci rossi che guizzavano felici.

Ieri, poi, sono stato fortunato: nel cielo ho visto volare due aquile innamorate!

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Zuccherino ascoltò stupito. Lui non aveva mai visto i colori. Non aveva mai visto tutti quegli animali di cui parlavano gli altri treni e il cielo azzurro… gli sembrava una bugia.

Zuccherino aveva sempre visto il cielo di un blu così scuro da sembrare nero e non riusciva a immaginare la luce e il calore del sole. Non poteva credere a tutto quello che aveva sentito raccontare.

Zuccherino era un treno giovane e un po’ timido, ma si fece coraggio e chiese: - Ehi! Sono tutte vere le cose che avete detto o sono storie della fantasia? Gli altri treni lo guardarono stupiti. Il più vecchio disse: - Amico mio, tu sei giovane e hai sempre viaggiato di notte. Non conosci il modo della luce, ma ti posso assicurare che quello che hai ascoltato è tutto vero! Il mondo della luce è un mondo magnifico!

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Un treno, che aveva ascoltato in silenzio la conversazione, disse: - Io ho sentito parlare della luna… Mi hanno detto che la sua luce è dolce e non ferisce gli occhi. Ho sentito raccontare della magia del buio che svela le cose solo da vicino e del silenzio della notte che fa ascoltare con più attenzione. Il buio permette alla fantasia di giocare. A me piacerebbe viaggiare di notte!

Zuccherino allora, suggerì: - Ho un’idea! Perché non facciamo cambio? Tu prendi il mio posto e viaggi di notte, io prendo il tuo posto e viaggio di giorno! - Perché no? - disse il treno - Mi sembra una bella idea!

E così fecero.

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Il giorno dopo, Zuccherino si mise sul binario dell’amico e si preparò a uscire piano piano dal deposito. Era molto emozionato e… quando sbucò fuori, rimase di stucco.

Il sole stava sorgendo e il cielo aveva i teneri colori dell’alba. Poi il sole si alzò all’orizzonte: era di uno splendido color arancione! Zuccherino non avrebbe mai potuto, nemmeno con la fantasia, immaginare che i colori fossero così belli! Il suo primo viaggio di giorno fu davvero speciale: si rese conto che l’erba, i fiori, gli alberi, i frutti non erano come aveva sempre creduto. Vide il cielo e le nuvole, gli animali e l’acqua di cui aveva sempre e solo sentito il rumore…

Vide la luce e tutti i colori per la prima volta nella vita. Un nuovo universo si era aperto ai suoi occhi.

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Zuccherino si rese conto che non sarebbe certo bastato quel viaggio per scoprire tutte le meraviglie del mondo e gustare quella nuova dimensione ricca di esseri, forme e colori. Al ritorno si mise d’accordo con l’amico: ogni tanto si sarebbero scambiati il posto. Zuccherino fece moltissimi viaggi di giorno e di notte. Ogni viaggio fu diverso dall’altro.

Zuccherino scoprì che dentro ad ogni mondo c’è un altro universo e ogni viaggio, se si tiene lo sguardo aperto e si ascolta davvero, è una nuova meraviglia.

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FILASTROCCA DELLA BUONANOTTE

Buonanotte orsetto blu dormi bene anche tu. Buonanotte orsetto bianco

anche tu sei proprio stanco.

Buonanotte orsetto verde chi lo prende non lo perde.

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Buonanotte orsetto giallo

fino a che ti sveglia il gallo.

Buonanotte orsetto rosso

che il sonno ti salta addosso.

Buonanotte orsetto marrone tu sei proprio un tenerone.

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Il ghepardo e il coccodrillo

Una mattina presto, un ghepardo si svegliò in un posto sconosciuto. Si era addormentato, come sempre, insieme alla sua famiglia sopra al suo albero preferito, ma quando aprì gli occhi gli si drizzò il pelo dal terrore: era in cima a un semaforo, nel bel mezzo della strada di una città. Diventò tutto nero dallo spavento.

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Per fortuna, non era ancora l’alba: c’erano pochissime persone in giro e poche auto per le strade. Il ghepardo, superato il terrore iniziale che lo teneva abbarbicato al semaforo, si decise a muoversi con molta cautela. Scivolò giù dal semaforo e, stando attento a non incrociare esseri umani, si mise alla ricerca di un riparo: - Ci sarà qualche cosa che assomiglia a un albero in questo strano posto!

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Si sentiva completamente disorientato: non riconosceva i luoghi e tanto meno gli odori. Le sue zampe dopo un po’ cominciarono a dolergli a causa del duro contatto con l’asfalto: era così diverso dalla piacevole sensazione cui era abituato quando si muoveva sulla terra e sull’erba. Dopo aver girato a caso tra le strade, si trovò di fronte a un posto che lo tranquillizzò un po’: era il Parco cittadino. Non era certo l’Africa, ma aveva almeno degli alberi. Entrò e trovò rifugio su un grande albero frondoso proprio vicino al laghetto.

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Quella stessa mattina, un coccodrillo si svegliò in un posto buio e puzzolente che non era sicuramente la riva del fiume Nilo dove viveva abitualmente.

Il luogo nel quale si era svegliato era sconosciuto, pieno di topacci dagli occhi gialli e acqua sporca: erano le fogne di una città. Si mosse con schifo tra quelle acque buie finché non vide una luce provenire da una grata.

Con un grande sforzo riuscì a sollevarla, ma quando fece per uscire, rischiò di essere travolto da un’auto e, per la paura, diventò a strisce nere e verdi.

Quando riprese coraggio e provò di nuovo a uscire, fu più fortunato: non passò nessuno.

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Per caso, la fogna da cui era uscito si trovava proprio all’entrata di un grande parco e il coccodrillo in pochi minuti giunse al laghetto pieno di pesci.

Si nascose nell’acqua in attesa del buio.

Il giorno passò velocemente e quando il parco chiuse i cancelli, i due animali uscirono dai loro nascondigli e si incontrarono. - Chi sei tu? - chiese il coccodrillo. - Io sono un ghepardo della savana! - rispose il ghepardo. - Non è possibile! I ghepardi… non sono neri! - esclamò il coccodrillo. - Certo, e tu allora? Non ho mai visto un coccodrillo a strisce! Sembri una zebra naturista! - aggiunse il ghepardo.

Il coccodrillo cominciò a piangere e raccontò che cosa gli era successo.

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- Non ci posso credere: anche a me è capitata una cosa simile! Come può essere? - domandò il ghepardo. Poi aggiunse: - Io comunque non voglio rimanere in questo posto pieno di animali a due zampe che fanno un chiasso insopportabile. Voglio tornare a casa mia! Qui mi sento proprio triste…

A quelle parole il coccodrillo ricominciò a piangere a dirotto. Il ghepardo allora, per tentare di consolarlo, disse: - Per fortuna ci siamo incontrati. Almeno noi ci capiamo: sappiamo cosa prova l’altro! Coraggio! Insieme troveremo la soluzione.

I due nuovi amici si salutarono e, accompagnati dalla loro tristezza, andarono a dormire.

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La mattina dopo, un bambino si sedette sotto all’albero vicino al laghetto; era triste e piangeva mentre sfogliava il suo libro di animali.

Il ghepardo lo osservò per un po’ e poi, commosso dalle sue lacrime, senza farsi vedere dalle altre persone, scese su di un ramo più basso e sussurrò: - Piccolo, perché piangi?

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Il bambino guardò verso l’alto, ma non vide il ghepardo e disse singhiozzando: - Per sbaglio il mio fratellino ha cancellato i miei animali preferiti dalle pagine del libro: erano un ghepardo e un coccodrillo.

Il ghepardo pensò subito che la coincidenza fosse veramente strana ed esclamò: - Ma siamo noi! Raccontò al bambino quello che era successo a lui e al suo amico e concluse: - Se guardi bene nell’acqua sotto all’albero, puoi vedere il coccodrillo.

Il bambino ascoltò, guardò tra le foglie cercando di vedere il ghepardo e poi, strizzando gli occhi, osservò la superficie dell’acqua del laghetto.

Quando li individuò, felice disse: - Ma allora siete i miei due amici animali! Che bello! Siete proprio dove vi avevo disegnato ieri! Mi mancavate molto e ho fatto un disegno del parco con voi due: il coccodrillo nel laghetto e tu su quest’albero! Ma perché sei tutto nero?

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Il ghepardo rispose: - Dalla paura! Anche il mio amico coccodrillo dallo spavento è diventato a strisce… Sai, per noi non è bello stare in questo posto e poi ci sentiamo tristi senza la nostra famiglia. Vogliamo tornare a casa!

Il bambino ci pensò un po’ e disse: - Se, quando vi ho disegnato sul foglio, siete apparsi qui, vi posso ridisegnare nel mio libro e forse tornerete a casa! - Ottima idea! Dai! Prova! - disse il ghepardo.

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Il bambino era titubante e il ghepardo domandò: - Perché non disegni? - Beh… – disse il bambino - io non so disegnare bene e ho paura di fare un pasticcio! - Non ti preoccupare. Se dovesse funzionare, preferisco avere la coda al posto del naso piuttosto che vivere lontano da casa e dalla mia famiglia!

- Sì, anche per me è così! – aggiunse il coccodrillo – E poi… adesso io sembro una lucertola con la divisa carceraria e lui pare un gatto nero terrorizzato con il pelo tutto spelacchiato! Forza, prova! Te ne saremo per sempre grati.

Il bambino disegnò i due animali sul libro e…come per magia, per la magia che solo i bambini e i libri sanno fare, il coccodrillo si ritrovò a casa sua, sulle rive del Nilo, mentre il ghepardo felice si ritrovò aggrappato al suo albero in Africa.

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Il piano aveva funzionato, ma i due animali non erano certo una bellezza.

Quando i membri della famiglia li videro, quasi non li riconobbero: erano veramente brutti e sproporzionati. Ai due animali non importava e anche le famiglie si abituarono presto al loro nuovo aspetto.

Nel corso del tempo, ogni tanto, succedeva che il ghepardo e il coccodrillo si svegliavano un po’ meno brutti: il bambino, infatti, migliorava le sue capacità di disegnatore e i due animali assomigliavano di più agli altri. La loro diversità era conosciuta e apprezzata da tutti e, a ogni cambiamento, gli animali organizzavano grandi feste.

Presto i due si fidanzarono e si sposarono. Anche i loro figli avevano la capacità di cambiare nel tempo ed erano proprio carini.

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Il bambino crebbe e divenne un bravissimo disegnatore; spesso si recava in Africa per ritrarre dal vivo gli animali e avrebbe potuto disegnare il ghepardo e il coccodrillo alla perfezione.

Invece, i due amici, ogni tanto, si svegliavano con qualcosa d’insolito: una nuova macchia, una striscia o una piccola mano di bambino…e sapevano così che il loro amico li pensava e voleva loro ancora bene.

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Filastrocca

SOFFIA IL VENTO LENTO LENTO

E POI FORTE IN UN MOMENTO

TUTTI QUANTI BUTTA A TERRA

E NESSUNO FA PIÙ LA GUERRA

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La mucca Vaccalù

La mucca Vaccalù viveva nel paese di su e aveva un amico nel paese di giù. La mucca Vaccalù faceva il latte rosa perché mangiava sempre lamponi. Ogni giorno andava a trovare il suo amico del paese di giù.

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Le altre mucche erano invidiose e così, lungo il tragitto che Vaccalù faceva, le combinavano molti scherzi. Quando la mucca Vaccalù passava per il bosco, le altre mucche si nascondevano dietro gli alberi e le tiravano manciate di fili d’erba. La mucca Vaccalù guardava di qui, guardava di là, sbirciava su e sbirciava in giù, ma non vedeva mai nessuno. Così continuava il suo viaggio per raggiungere l’amico. Qualche volta le altre mucche invidiose si nascondevano dietro alcuni massi e, quando Vaccalù passava, saltavano fuori all’improvviso e le facevano: - BUUUUU!

La mucca Vaccalù si spaventava sempre e il suo cuore batteva forte, ma, passato lo spavento, continuava il suo viaggio.

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Una mattina, la mucca Vaccalù arrivò nel paese di giù veramente spaventata e stanca. Il suo amico la vide così distrutta che le propose: - Senti, perché non andiamo a farci una bella vacanza? - Mi piacerebbe proprio tanto! - disse la mucca che faceva il latte rosa. - Perché non andiamo al mare? Un mio amico della valle di là mi ha

detto che a Rossano Calabro c’è un bel mare…possiamo chiedere a lui di prenotare! – propose l’amico del paese di giù.

- Bella idea! Se lui prenota, io mi occupo degli acquisti: dobbiamo comprare la crema solare perché io ho la pelle delicata. Che tipo di crema devo prendere?

- Mah! Visto il paese in cui abiti… prendi una protezione alta. - Ah, e per te allora una protezione bassa. Tu sai nuotare? - Certo che no! Sono sempre vissuto in questa valle… - Allora comprerò anche per te una ciambella salvagente.

Prendo anche un ombrellone, dei costumi e un bel prendisole per me.

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La mucca Vaccalù tutta contenta s’incamminò per raggiungere il suo paese dove si diede molto da fare per gli acquisti.

Il giorno dopo scese al paese di giù e, quando raggiunse l’amico, era felice: nemmeno gli scherzi delle mucche invidiose erano riusciti a farla arrabbiare. - Io ho comprato tutto! Hai i biglietti? – chiese eccitata per la vacanza. - Certo, Il mio amico ha prenotato! Si parte domani! – esclamò contento

l’amico del paese di giù. - Bene, allora ci vediamo alla stazione domani mattina!

Vaccalù tornò al suo paese e preparò la valigia. Quella notte non riuscì a dormire bene per l’agitazione e la mattina dopo si svegliò prima del previsto: controllò la valigia per l’ennesima volta e si diresse alla stazione. L’amico del paese di giù era già lì che l’ aspettava.

I due salirono in treno e si accomodarono in carrozza.

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Quando arrivò il controllore, mostrarono il loro biglietto e, non avendo mai fatto un viaggio né lasciato le loro valli, chiesero: - Quando dobbiamo scendere? Il controllore li guardò un po’ perplesso perché, vista la loro destinazione, gli sembrava strano sia l’abbigliamento sia il bagaglio, ma controllò i biglietti e rispose: - Dovete scendere alla stazione Centrale di Milano e prendere l’autobus. Arrivati alla stazione Centrale, scesero dal treno e, sempre mostrando il loro biglietto, chiesero indicazioni per l’autobus. Un gentile signore mostrò la fermata e i due amici si misero in attesa. L’autobus arrivò in fretta. Vaccalù e l’amico salirono con i loro bagagli e chiesero al conducente di indicare la fermata giusta. Dopo meno di un’ora, il conducente disse loro: - Ecco siete arrivati! Vaccalù e l’amico scesero dall’autobus e si trovarono di fronte il cartello che indicava il luogo in cui erano arrivati.

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Vaccalù lesse il cartello e rimase di stucco! Non era Rossano Calabro. Il paese dove erano arrivati si chiamava Rozzano!

La gente, alla fermata, li guardava stupiti: che cosa ci facevano in prendisole e con la ciambella salvagente a Rozzano?

Dovete sapere che l’amico del paese di là aveva un piccolo difetto di pronuncia e invece di prenotare per Rossano, con la sua pronuncia della valle di là, aveva prenotato per…Rotsano e l’impiegato dell’agenzia aveva capito…Rozzano!

La prenotazione e i biglietti erano proprio per Rozzano!

La mucca Vaccalù davanti al cartello non si diede per vinta e disse: - Niente potrà rovinare la nostra vacanza! Non importa dove siamo, l’importante è che siamo insieme e, anche se non c’è il mare, questa sarà la nostra vacanza!

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Il Delfino Blu, l’hotel prenotato, aveva una bella piscina e i due amici si godettero la loro vacanza a Rozzano. Al ritorno al paese, le mucche invidiose chiesero: - Com’è andata la tua vacanza? La mucca Vaccalù rispose: - Benissimo, mi sono rilassata e …ho anche imparato a nuotare!

Nessuna seppe mai che Vaccalù non era andata al mare. Le macchie rosse che aveva sulla pelle, dovute alla crema solare ad alta protezione che non aveva messo bene, dimostravano a tutte le mucche invidiose che … in vacanza aveva preso troppo sole!

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Il treno e il mare C’era due volte fa un giovane treno che non aveva mai visto il mare. Fin dal primo viaggio il suo percorso era sempre stato lo stesso: partiva dalla stazione Centrale di Milano e arrivava in montagna. Si fermava a dormire sotto le stelle in un piccolo paese; il mattino dopo ripartiva, tornava a Milano e riposava nel deposito della stazione. Faceva lo stesso viaggio tutti i giorni tranne qualche volta, quando lo dovevano riparare. Di solito, la sera, chiacchierava un po’ con gli altri treni. Una serata si lamentò: - Sono proprio stufo di fare sempre la stessa strada, tutti i giorni. Ho voglia di vedere il mare!

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- Eh, ti capisco! – disse un vecchio treno che si riposava vicino a lui – Anch’io muoio dalla voglia… Ho fatto moltissimi viaggi nella mia vita, ma non ho mai potuto vedere il mare. Lo sogno anche di notte!

Il giovane treno si stupì del fatto che un treno così vecchio non avesse mai visto il mare e si preoccupò: forse anche lui sarebbe invecchiato senza poter realizzare il proprio desiderio…

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Ci pensò un po’ e poi suggerì: - Senti, io sono giovane e forte. Tu sei saggio, conosci molte strade e hai tanti amici che ti possono aiutare. Insieme possiamo farcela, possiamo andare a vedere il mare! - Cosa intendi dire? – domandò il vecchio treno. - Io, da solo, non saprei come arrivare e tu, da solo, non avresti la forza di superare la fatica e non potresti viaggiare veloce. Se invece mettiamo insieme la mia forza e la tua saggezza possiamo arrivare al mare. Ne sono sicuro! Il vecchio treno, coinvolto dall’entusiasmo del giovane, disse: - Forse non ce la faremo, ma vale la pena tentare! Per realizzare il mio desiderio devo smettere di sognare e fare qualcosa. Forza, proviamo! Con il sorriso di un ragazzino che sta per compiere una marachella, aggiunse: - Per prima cosa dobbiamo chiedere al treno del mare la strada giusta. Lui è mio amico e ci dirà qual è la via più breve e sicura. Poi chiederemo aiuto agli amici della stazione in modo che ci coprano la fuga di notte, quando tutti dormono. Dovremo viaggiare veloci.

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Così fecero.

Quando fu notte fonda, uscirono dal deposito e fuggirono veloci per la strada che aveva loro indicato il treno del mare,.

Dopo alcune ore, il vecchio treno cominciò a sentire la stanchezza. Non ce la faceva più a sostenere quella velocità e disse:- Io non posso continuare! Vai pure da solo, tu riesci ancora a correre e ce la puoi fare!

- No, – disse il giovane treno – non ti lascerò da solo! Senza i tuoi amici che ci hanno aiutato, io non sarei nemmeno potuto partire. Andremo insieme! Attaccati a me e ti porterò io.

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Il vecchio treno si agganciò alla coda del treno più giovane e questo spinse la sua locomotiva con tutta la forza di cui era capace. Passarono in molte stazioni e, in ognuna, c’era un amico che li aiutava: indicava delle scorciatoie, segnalava la presenza degli umani e il modo di evitarli o semplicemente offriva loro un po’ d’acqua. Viaggiarono veloci, ma la notte passò presto.

Alle prime luci dell’alba si fermarono in un piccolo paese, dove alcuni treni amici li nascosero in un deposito quasi in disuso. Rimasero nascosti tutto il giorno e, quando finalmente fu di nuovo notte, si prepararono a ripartire. Tutti i treni li incoraggiarono e augurarono loro buona fortuna. Partirono e spinsero le locomotive al massimo per tutta la notte. Quando il vecchio treno non aveva più energie, il giovane lo faceva attaccare alla sua coda e, nella forte volontà di vedere il mare, trovava la forza per vincere la fatica.

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Anche la seconda notte era ormai alla fine e i due treni, allo stremo, stavano per arrendersi. La sfiducia si stava facendo strada nei loro cuori quando, proprio allo spuntare dei primi raggi di sole, alla fine di una lunga salita…videro il mare. Era bellissimo, grande e lucente. I due treni provarono una felicità e una meraviglia immensa come il mare. Rimasero a guardare mentre il sole saliva veloce e lasciava il mare senza confine. Quando la stella di giorno raggiunse il punto più alto del cielo, il vecchio treno disse: - Vale davvero la pena lottare per i propri sogni! - Sì! - confermò il giovane treno e con un po’ di tristezza chiese: - E adesso… cosa facciamo? - Beh… – rispose il vecchio con un lampo di gioia negli occhi – non ci fermeremo qui! Io voglio solcare il mare! - Ma è impossibile! – disse il giovane.

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- Niente è impossibile se ci credi davvero! E comunque… - aggiunse il vecchio treno strizzando l’occhio - meglio tentare che rimanere solo a sognare! Dai, proviamo!

Fu così che i due si rimisero in viaggio…, ma questa è un’altra storia.

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L’orcobaleno

C’era una volta un orco cattivo che viveva nel cielo tra le nuvole. Quando l’orco arrivava, tutti scappavano perché avevano paura di lui e nessuno lo voleva come amico. L’orco viveva solitario tra le nuvole nere, i temporali e la pioggia. Era stufo di stare sempre in mezzo al buio, al grigio e di sentire la voce delle nuvole brontolone che litigavano tra loro. Un giorno, mentre se ne stava triste e solo nascosto tra alcune giovani nuvolette, vide le nuvole prepotenti che cacciavano via il sole e non gli lasciavano spazio. Si arrabbiò tantissimo e, in un baleno, mangiò tutte le nuvole nere. Il sole, felice, lo abbracciò con amore e l’orco si trasformò in uno splendido orco colorato. Da quel giorno i due diventarono amici e tutte le volte che il sole ne ha bisogno, lui accorre in suo aiuto. Ancora oggi, quando i due amici si abbracciano, noi vediamo un bellissimo orcobaleno.

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Il drago Simone

C’era una volta un drago che si chiamava Simone. Ogni tanto, quando aveva fame, mangiava un cavaliere che aveva osato sfidarlo e poi sputava i pezzi dell’armatura. Nel villaggio vicino, tutti avevano paura di lui.

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Un giorno, il drago Simone aveva mangiato un cavaliere vanitoso che aveva pensato di sconfiggerlo, ma la lancia si era incastrata tra i denti e il drago con le sue zampacce non riusciva a toglierla. I denti gli facevano molto male e il drago piangeva giorno e notte. Gli abitanti del villaggio non ne potevano più perché le urla del drago non li facevano dormire di notte e, di giorno, non li lasciavano tranquilli. I bambini del villaggio, una mattina, decisero di andare a vedere.

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Giacomino, che era il bambino più piccolo, ma anche il più coraggioso, si avvicinò al drago Simone e gli chiese perché piangesse così. Il drago gli spiegò il suo problema e allora Giacomino disse: - Non ti preoccupare perché io ho uno zio dentista. Vado a chiamarlo! - Giacomino corse giù dalla collina e, arrivato dallo zio, spiegò il problema di Simone. - No, no, no! Io non vengo: non mi fido del drago Simone! – urlò lo zio. - Ma zio…il drago ha già mangiato e non ti farà nulla! – cercò di

convincerlo Giacomino. - Anche se lui non vuole mangiarmi, può sempre fare un ruttino e

arrostirmi in un momento! - rispose lo zio.

Giacomino salì di nuovo fino alla grotta dove viveva il drago Simone e gli spiegò quello che lo zio dentista aveva detto. Il drago Simone disse - Devi sapere che esiste il modo di spegnere il fuoco nelle pance dei draghi! È sufficiente girare la quarta cresta a partire dalla coda e il fuoco non esce più…

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Giacomino, insieme agli altri bambini, girò la cresta come aveva detto il drago Simone e poi corse giù dalla collina per dare la notizia allo zio. - No, no, no! Non mi fido del drago Simone: può sempre chiudere la

bocca e stritolarmi tra i suoi denti aguzzi! - concluse lo zio. Sconsolato, Giacomino risalì ormai stanchissimo fino alla caverna del drago e gli comunicò il dubbio dello zio dentista.

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Il drago Simone si mise a piangere a più non posso dicendo che sarebbe morto dal dolore per uno stupido stuzzicadenti di metallo.

Giacomino allora decise di tentare di togliere la lancia da solo: - Mi raccomando! Non chiudere la bocca o mi mangerai! - Ti prometto che non ti mangerò - piagnucolò il drago. Con coraggio misto a paura, Giacomino entrò nelle fauci del drago e con tutte le sue forze tolse la lancia dai denti.

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Il drago Simone, sollevato dal dolore, chiuse la bocca e Giacomino si ritrovò al buio. Per un momento pensò di essere stato tradito, ma poi si disse che non era possibile e urlò: - Simone, drago imbroglione, apri la bocca!

Subito il drago spalancò le sue fauci e con delicatezza appoggiò Giacomino per terra. – Scusa, ma ho chiuso la bocca per il sollievo che ho provato! Non ho pensato nemmeno per un momento di mangiarti! - disse Simone.

Da quel giorno il drago Simone andò a vivere nel villaggio e divenne amico di tutti i bambini.

Il suo migliore amico fu per sempre Giacomino, il più piccolo, ma il più coraggioso.

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La puzzella e il cavaliere C’era una volta una ragazza che viveva al limitare di un fitto bosco. Un giorno, la ragazza aveva litigato con la mamma ed era corsa via da casa. Era molto arrabbiata, camminava velocemente senza guardare intorno a sé, immersa nei propri pensieri; aveva imboccato un sentiero che s’inoltrava nella foresta e così si era perduta. La ragazza, dopo aver tentato invano, per ore, di ritrovare il sentiero verso casa, stremata, si era seduta su un sasso. Piangeva e si disperava: voleva ritornare dalla sua mamma, non le importava più nulla del litigio. Le lacrime scendevano copiose sul suo viso e lei non si dava pena di asciugarle: cadevano sul sasso e lo bagnavano.

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A un certo punto il sasso, ricoperto di muschio ed erbe, si mosse leggermente.

La ragazza con un urlo si alzò di scatto e andò a nascondersi dietro un albero. Osservò il sasso pensando di essersi sbagliata, ma quello si mosse ancora, ondeggiò leggermente e sussultò come per scrollarsi qualcosa di dosso. Poi, con un rumore di ferro arrugginito, si sollevò sradicando le piccole erbe da cui era quasi completamente ricoperto.

La ragazza rimase impietrita a guardare: quello che aveva di fronte a sé sembrava avere forma umana. Lo strano essere tentò di alzarsi, ma rimase bloccato a quattro zampe.

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Mosse a scatti la testa come per guardarsi in giro e disse: - Pulzella, o dolce pulzella dove sei tu che codesto mio corpo hai risvegliato con le tue calde lacrime? La ragazza pensò: - Dolce puzzella? Puzzella a chi? Ma come parla? Questo è tutto matto! Forse è meglio che me ne vada senza farmi vedere. - Mostrati a me o dolce pulzella! Vano è il mio risveglio da un sonno secolare se le mie pupille non possono gioire della luce del tuo viso! – disse piangendo lo strano personaggio. Intenerita dalle lacrime dell’uomo, spinta anche dalla curiosità e dopo aver valutato che, comunque, lo strano personaggio non riusciva a muoversi con agilità, la ragazza decise di avvicinarsi. Quando l’uomo la vide, parlò con una voce che lasciava chiaramente trapelare lo stupore: - Dolce pulzella il cui viso è rugiada per i miei occhi, perché mai tu vesti in siffatta foggia? Forse stai fuggendo sotto mentite spoglie? Aiutami ad alzarmi ed io ti difenderò con la mia vita!

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La ragazza non aveva capito quasi nulla di quello che l’uomo aveva detto e pensò che, forse, la stesse prendendo in giro. Essere presa in giro era una cosa che non sopportava assolutamente e in tono molto duro rispose: - Senti, io non sono una puzzella! Caso mai, tra i due, quello che puzza sei tu! Dall’odore direi che tu non abbia fatto una doccia da secoli! E poi che cos’hai da dire sui miei vestiti? Guardati! Sembri la pubblicità ambulante di una lattina di tonno puzzolente! Chi sei? Perché sei conciato così?

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- Doccia? Pubblicità? O dolce pulzella molte tue parole mi sono oscure… posso bensì svelarti chi son io e qual malvagia stregoneria in siffatto stato mi ha ridotto.

Fu così che l’uomo raccontò di essere un cavaliere. Un giorno, si trovava a passare per quelle terre e aveva incontrato una strega che maltrattava una ragazza in lacrime, costringendola a farle da serva. Il cavaliere aveva preso le difese della ragazza e cercato di liberarla. La strega, che non voleva perdere quella che trattava come schiava, con un crudele incantesimo, aveva trasformato il cavaliere in un sasso. - Solo le lacrime di una pulzella dolce e dal cuore coraggioso potranno liberarti! - aveva concluso la strega.

Erano così passati cento anni.

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Quando il cavaliere ebbe terminato di raccontare la sua storia, toccò alla ragazza spiegare perché si trovava in quel luogo e tentare di far capire alcuni degli innumerevoli cambiamenti avvenuti in quel secolo trascorso. Per il cavaliere era difficile comprendere cosa fossero la pubblicità, la televisione, le donne vestite con pantaloni, libere di andare in giro da sole, lavorare e parlare da pari a pari con un uomo. Con le parole era impossibile spiegare ciò che il cavaliere non poteva nemmeno immaginare.

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La ragazza prese una decisione e disse: - Ascolta, io ti aiuterò a liberarti da questa specie di lattina arrugginita che ti impedisce di muoverti e tu mi aiuterai a ritrovare il sentiero che conduce alla mia casa. - Non temere mia pulzella, io ti difenderò a costo della vita! - Va bene, va bene…, ma non chiamarmi più puzzella! Io sono Altea. Ah! E poi …Ehm… cammina lontano da me: puzzi come un caprone! Altea, turandosi il naso, aiutò il cavaliere a liberarsi dall’armatura. I due si misero quindi alla ricerca del sentiero che portava fuori dalla foresta. Dopo varie ore, quando ormai era giunto il tramonto, sbucarono nella radura vicina alla casa di Altea. La ragazza corse dalla madre che l’aveva cercata per tutto il tempo e la aspettava con ansia nel giardino di casa. Si abbracciarono e non parlarono nemmeno del litigio. Quando la madre vide il cavaliere, che si teneva a distanza e osservava con curiosità, chiese:- Chi è quell’uomo vestito in modo così strano? Sembra indossare il pigiama del tuo bisnonno! E poi, senti come puzza!

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La ragazza le raccontò tutto e decisero di accoglierlo in casa loro. Dopo un buon bagno, rasato e con un vestito nuovo il cavaliere sembrava davvero un’altra persona: era giovane e bello.

Ci vollero molti mesi perché il cavaliere si ambientasse nella nuova realtà, ma, grazie anche alla sua naturale curiosità, imparò in fretta. Ogni tanto, per scherzare, chiamava ancora Altea “mia dolce pulzella”, ma ormai i due si capivano benissimo.

Così bene che s’innamorarono, si sposarono l’anno successivo e vissero felici e contenti.

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Il pifferaio delle stelle

C’era una volta un pifferaio che viveva su una piccola isola in mezzo al mare. Il pifferaio suonava così bene che tutte le stelle del cielo si riunivano sopra di lui per ascoltarlo. Se il pifferaio si metteva a suonare sulla spiaggia, ecco che le stelle lasciavano il proprio posto nel cielo e si accalcavano tutte insieme. A volte scoppiavano veri e propri litigi per ottenere la posizione migliore. Gli abitanti cominciarono a lamentarsi perché, di volta in volta, una parte dell’isola, dove non c’era il pifferaio, rimaneva senza stelle. Il suonatore non poteva farci nulla: la sua musica era magica e attraeva le stelle come una calamita.

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Un giorno, gli isolani costrinsero il pifferaio ad andarsene pensando così di risolvere il problema. Quella notte, tutto il cielo dell’isola rimase al buio: le stelle erano scomparse! Erano partite alla ricerca delle magiche note che tutte le notti le avevano tenute aggrappate a quello spicchio di mondo.

Gli abitanti dell’isola attesero un po’ di giorni nella speranza che le stelle tornassero. Quando si resero conto che il loro cielo sarebbe rimasto buio per sempre, decisero di mandare qualcuno a cercare il pifferaio. Chiesero di lui per mare e per terra. Dopo mesi di ricerca, finalmente lo trovarono, ma dovettero faticare per convincerlo a tornare. Gli emissari degli isolani dovettero promettere al pifferaio che mai più nessuno gli avrebbe impedito di suonare. Il pifferaio sbarcò sull’isola accolto da una grande festa e per alcune notti continuò a suonare.

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Suonò senza fermarsi finché tutte le stelle tornarono a illuminare il cielo sopra di lui, accalcate le une sulle altre. Il pifferaio cominciò a camminare per tutta l’isola. Col suo strumento creò una melodia così dolce che le stelle, seguendolo nel suo percorso, rimasero incantate sul posto per sempre.

Ancora oggi, se andate su quell’isola e guardate il cielo di notte, potete vedere che le stelle sembrano disegnare le note di una musica bellissima.

Se poi riuscite a stare zitti zitti, potete ascoltare, nel silenzio profondo, una dolce melodia.