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Luisa Damiano
Unità in dialogoUn nuovo stile per la conoscenza
Bruno Mondadori
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Questo saggio, vincitore del Premio Maria Fiocco 2006, è stato pubblicato con il contributo della Fondazione Centro Studi Campostrini di Verona.
Tutti i diritti riservati© 2009, Pearson Paravia Bruno Mondadori S.p.A.
Per i passi antologici, per le citazioni, per le riproduzioni grafiche, cartografiche e fotografi-che appartenenti alla proprietà di terzi, inseriti in quest’opera, l’editore è a disposizionedegli aventi diritto non potuti reperire nonché per eventuali non volute omissioni e/o erro-ri di attribuzione nei riferimenti.
È vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, nonautorizzata.
Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di cia-scun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall'art. 68, commi 4 e 5,della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commercialeo comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di spe-cifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, corso di Porta Romana n. 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org
Realizzazione editoriale: Gottardo Marcoli
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Indice
1 Prefazionedi Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti
5 Introduzione generaleGenealogia e attualità di un oggetto teorico rivoluzionario
17 PARTE I – AUTONOMIA E CONOSCENZA.LA SCIENZA IN DIALOGO CON LA NATURA
27 SEZIONE 1 – L’auto-organizzazione e il dialogo con la natura. Un modello disegnato su uno sfondo epistemologico
29 1. L’eredità teorica della ricerca pioniera. Lineamenti genealogici e teorici dell’equazione tra autonomia e cognizione
69 2. L’eredità euristica della ricerca pioniera. L’autonomiacome esperienza, comprensione teorica e stile di conoscenza
113 Intermezzo I – Autonomia e metamorfosi della scienza: la genesi di nuovi alberi della conoscenza
131 SEZIONE 2 – Autopoiesi e descrizione di coordinazione.Costruzione del punto di vista interno, ricostruzione del concetto di cognizione
137 3. Teoria dell’autopoiesi ed euristica del dialogo. L’albero della conoscenza nato dalla trasposizione immaginativa nello spazio dell’altro
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157 4. Il dialogo con l’unità autopoietica. Costruzione teorica dello spazio dell’altro, simmetrizzazione dei rapporti di forza, descrizione di coordinazione
184 Intermezzo II – Enazione e dialogo
191 PARTE II – UNITÀ IN DIALOGO. LA CONOSCENZACHE CREA UNITÀ
197 5. Unità dialoganti. Impalcature di una mente radicalmente incorporata
221 6. Mirror neurons e meccanismi di mirroring. La neurofisiologia sperimentale incontra il soggetto emergente interindividuale
251 7. La conoscenza che crea unità. Angolazioni sulla regionedell’intellegibilità dialogica
259 Bibliografia
275 Ringraziamenti
22 Box 1 – Eteronomia e autonomia nella modellizzazione della cognizione naturale
33 Box 2 – Chiusura organizzazionale37 Box 3 – Emergenza51 Box 4 – Co-evoluzione
156 Box 5 – La definizione dialogica del vivente
56 Scheda A- Primo dominio paradigmatico di riferimento. Le strutture dissipative: l’auto-organizzazionefisico-chimica secondo la termodinamica prigoginiana
103 Scheda B – Un modello generico e dialogico di sistema auto-organizzatore
133 Scheda C – La teoria dell’autopoiesi nell’arcipelago dell’auto-organizzazione
179 Scheda D – Secondo dominio paradigmatico di riferimento. Accoppiamenti di unità cognitive nello scenario autopoietico
229 Scheda E – Auto-organizzazione e mirror neuron system
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A Geatra le menti del bosco
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Prefazionedi Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti
Negli ultimi decenni le scienze cognitive hanno riscontrato nume-rosi successi, da una conoscenza più approfondita dell’anatomiadel cervello umano, alla costruzione di computer estremamentepotenti, fino allo sviluppo di nuovi modelli della cognizione, piùraffinati ed elaborati, che sfruttano le possibilità concesse dal-l’evoluzione degli stessi strumenti tecnologici. Possiamo dire diessere di fronte a una rivoluzione scientifica? La risposta è comp-lessa e per molti versi sorprendente.
Le scienze cognitive ormai «classiche», quelle che si sono elabo-ratate a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, sono statecaratterizzate da una prospettiva fondamentalmente meccanicista,abbastanza simile a quella che ha contraddistinto la genetica primadel riorientamento teorico conseguente alla decifrazione delle se-quenze del genoma umano, insieme a quelli di molte altre specieanimali e vegetali. Nel caso delle scienze cognitive, quelli che a pri-ma vista sono stati celebrati come successi eclatanti di un paradig-ma di ricerca, ne hanno invece segnato il progressivo esaurimento,dovuto a una carenza di fertilità teorica. Spesso, infatti, si è tratta-to di un mero incremento quantitativo degli strumenti disponibili,che non ci permette di poter parlare di novità in senso «rivo-luzionario», cioè capaci di stimolare domande generatrici di ulte-riori filoni di ricerca.
Le scienze cognitive dei nostri giorni si trovano dunque nellanecessità di rivedere i propri fondamenti, basati su concetti comequello di rappresentazione, su metafore dei processi mentali diorigine computazionale e sull’ideale di una scienza che mira a unaconoscenza completa del suo dominio di studio. È necessario ripar-tire criticamente dalle domande centrali che avevano orientato la
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ricerca in questo dominio: che cos’è la conoscenza? Il computerpuò essere considerato davvero un modello adeguato della co-gnizione? Soprattutto, il punto focale è da ricercarsi nella scopertadi notevoli differenze tra modalità alternative di esprimere larelazione tra soggetto e oggetto.
Ciò che di rivoluzionario caratterizza le scienze cognitive attualinon consiste perciò nei conclamati successi del filone tradizionale,quanto nel riemergere delle domande teoriche fondamentali. Oggisi sta sempre più delineando la rilevanza di una linea di ricercaalternativa che, nonostante la sua ricca storia e la raffinatezza dellesue formulazioni teoriche, è rimasta a lungo nell’ombra. Si trattadella tradizione degli studi sulla natura e i comportamenti dei sis-temi complessi, in particolare del filone che ha avuto origine con lacibernetica, le teorie dell’auto-organizzazione e dell’autonomiabiologica, un filone che ha trovato una delle sue massime espres-sioni teoriche e formali nella teoria dell’autopoiesi formulata daHumberto Maturana e Francisco Varela nei primi anni Settanta.
Nel suo libro, Luisa Damiano si fa interprete di questa rivolu-zione, a cui apporta riflessioni e contributi fondamentali. Parti-colare attenzione è data ad aspetti nodali quali, primo tra tutti, ilcambiamento di prospettiva operato dalle scienze dell’auto-orga-nizzazione rispetto alla visione classica della conoscenza scientifica:quella visione che concepiva la conoscenza come rappresentazione,ovvero come registrazione di una realtà oggettiva e passiva, guida-ta dall’ideale di una tendenza verso l’onniscienza. L’insegnamentoereditato dalla tradizione di studi sui sistemi complessi consiste, alcontrario, in primo luogo, nell’elaborazione di un’epistemologiacostruttivista, all’interno della quale la realtà non è consideratacome punto di partenza e come criterio di giustificazione dellaconoscenza, bensì come il risultato dell’attività dell’osservatore; insecondo luogo, nel riconoscimento dell’impossibilità dell’onni-scienza, anche in linea di principio. L’elemento centrale non puòessere individuato nel soggetto né nell’oggetto della conoscenza,ma in un dominio relazionale di livello superiore, ovvero nell’inter-azione tra questi due poli della relazione conoscitiva. I sistemiosservati, infatti, resistono e rispondono attivamente ai tentativi di
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investigazione da parte dello scienziato, che a sua volta interagiscecon essi attraverso i propri filtri e categorie concettuali.
Al fine di sviluppare le implicazioni di questo cambiamento discenario epistemologico, l’indagine di Luisa Damiano procedecontemporaneamente su due livelli: teorico ed euristico. La lineaesplorativa da lei scelta consente dunque di mettere in luce unaspetto troppo spesso trascurato ma cruciale per quello che riguar-da la relazione tra filosofia, cognizione e scienza. Esso consistenella rilevanza non solo filosofica, ma anche operazionale che as-sumono le epistemologie di riferimento all’interno dell’attività sci-entifica. Soprattutto, viene posta in evidenza e analizzata la circo-larità tra produzione teorica e pratica scientifica, laddove questanuova visione dell’attività del soggetto conoscente, consistentenella sostituzione dell’epistemologia realista di riferimento con unadi matrice costruttivista, implica necessariamente un modo diversodi fare scienza.
Nel saggio la riflessione sui fondamenti viene applicata al do-minio della scienza cognitiva, dove questo approccio si mostra par-ticolarmente fertile. Il circolo creativo tra teoria ed euristica diven-ta infatti di fondamentale importanza quando l’oggetto della co-noscenza è anche lo stesso soggetto che conduce la ricerca. All’in-terno di questo orizzonte teorico ed epistemologico Luisa Damianopropone lo sviluppo dei modelli forniti dalla teoria dell’enazione diVarela, conosciuto con il nome di «sé emergente». Ma non si fermaal solo aspetto concettuale di questa rivoluzione. Affronta infatti uncaso di ricerca specifico, applicando il modello sistemico di cog-nizione da lei proposto – il modello dialogico – a ricerche neurofi-siologiche tra le più avanzate, quelle sui mirror neurons. È infattisignificativo come anche queste rendano necessario e allo stessotempo supportino il superamento delle assunzioni alla base dellascienza classica.
Ma la rielaborazione di questa prospettiva non costituisce che ilprimo passo verso una nuova esplorazione della rete di co-dipen-denze tra scienza, epistemologia e società umana. Lo sviluppo deimodelli di interazioni intersistemiche, supportato dall’«euristicadel dialogo», ha una portata ancora più vasta. Partendo dal prob-
Prefazione
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lema dell’autonomia naturale e biologica, e affrontando poi il prob-lema della cognizione, Luisa Damiano apre infatti la strada a unapproccio innovativo allo studio dei sistemi sociali, ancorandolialle loro molteplici radici fisiche, biologiche e cognitive. È inquesto senso che il suo libro costituisce un contributo fondamen-tale alla rivoluzione teorica ed epistemologica realizzata daglisviluppi delle scienze della complessità, nonché un passo neces-sario verso l’effettiva realizzazione di un ponte tra scienze naturalie scienze umane.
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Introduzione generaleGenealogia e attualità di un oggetto teorico rivoluzionario
Un processo circolare sottostante suscita una coerenza
emergente e questa costituisce il sé cognitivo a quel livello.
Varela
A queste linee concettuali minimali, libere da domini applicatividefiniti, Francisco Varela1 consegna il disegno di punta della suaproduzione – senza dubbio il più generativo. L’essenzialità dei trat-ti garantisce allo schema un’ampia operatività, facendone la matri-ce teorica di una modellistica capace di popolare i territori dellascienza cognitiva con un nuovo tipo di oggetto. Stilizzato in questasobria architettura concettuale c’è un attore cognitivo alternativo al«calcolatore input-output» classicamente adottato per la modelliz-zazione della cognizione naturale. Mentre quest’ultimo deriva daiprogetti della scienza dell’artificiale, il «sé cognitivo» di fatturavareliana ha una provenienza disciplinare di forte componente bio-logica, la quale gli assicura una prerogativa che manca all’elabora-tore. È una proprietà riconosciuta tipica delle strutture cognitivenaturali, definibile come la capacità di «prodursi da sé». Il sistemacognitivo ideato da Varela ne racchiude una forma estrema. Puògenerarsi spontaneamente a qualsiasi livello del reale mediante unmovimento di auto-definizione.2
Benché l’originale risalga al 1979, il disegno è tuttora avanguar-distico. L’attuale geografia teorica della scienza della cognizionerichiede di collocarlo nell’area post-classica della disciplina, tra laproduzione della direttrice riformista «anti-cartesiana» spesso defi-nita «embodied cognitive science».3 Il riferimento non va al reperto-rio modellistico di mainstream dell’emergente scienza cognitiva,nel quale, tipicamente, elementi di fattura «embodiment» vengonoinstallati su impianti descrittivi classici – computazionalisti. I linea-menti dello schema vareliano sono quelli che tipizzano le realizza-
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zioni del «radical embodiment», una linea minoritaria impegnata inun’interpretazione forte del nuovo approccio scientifico alla cogni-zione. Per il superamento della dicotomia tra mente e corpo – ladisgiunzione cartesiana ereditata dalla scienza cognitiva classica erifiutata dall’embodied cognitive science – quest’indirizzo estremistanon si limita a imporre vincoli corporei e ambientali a un sistemacognitivo che conserva sostanzialmente inalterata la fisionomia delcalcolatore. Il radical embodiment propone soluzioni non-compu-tazionali, svincolate dalla logica della rappresentazione, aperte anuovi modi di ripartire in oggetti il dominio della cognizione.Disegna una mente che, emergendo dalla struttura fisico-biologicadel corpo, eccede i confini definiti da «skull and skin» – «cranio epelle». Si dispiega tra reti corporee, rete neuronale e ambiente, per-dendo definitivamente i connotati classici di un’organizzazionecognitiva individuale e separabile atta a tradurre informazioni pre-confezionate esternamente in precise mappature interne del pae-saggio ambientale. Gli attori teorici deputati a esprimere l’«incor-porazione radicale» esibiscono architetture irriducibili a quella del-l’elaboratore, costruite non solo con nuovi concetti, ma anche connuovi «tagli».4
Questi sono gli standard soddisfatti dal disegno vareliano, ilquale consegna al radical embodiment una soluzione descrittivasemplice e creativa. Non articola l’«embodied mind» su un disposi-tivo deputato al calcolo informazionale. La imbastisce su un mec-canismo di «auto-individuazione», atto a generare il processo didifferenziazione di un’entità materiale da uno sfondo ambientale. Ilprospetto, ricavato dallo studio di strutture naturali indipendentida un’azione esterna di creazione, è piuttosto intuitivo. Una plura-lità sparsa di elementi si allaccia in un anello di relazioni funziona-li concatenate. Il processo coordinato elementare che ne deriva sichiude in un ciclo ricorsivo, costituendo una struttura attiva e per-sistente la quale esibisce i caratteri di un «sé cognitivo». Con il suomovimento ciclico di auto-differenziazione, non si limita a produr-re un’organizzazione propria, distinta da quella ambientale.Sviluppa anche – inseparabilmente – una forma d’intellegibilità.Può percepire alcuni eventi esterni come perturbazioni della dina-
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mica elementare interna. Tendenzialmente può reagirvi in modoconservativo, attivando schemi endogeni d’auto-regolazione. Èun’entità la quale, mentre definisce le proprie specificità organizza-zionali, genera significati operazionali interni che si connettono sta-bilmente alle variazioni esterne perturbatrici. Mentre solleva lapropria identità, scolpisce su uno sfondo perturbatore un mondostabile e significante – uno scenario per le sue interazioni ricorren-ti con l’ambiente.
Com’è tipico della produzione radical embodiment, l’innovativitàdello schema non si esaurisce in un impianto descrittivo che respin-ge recisamente i concetti del rappresentazionismo computazionali-sta – le idee di informazione esogena, di calcolo simbolico, di codi-fica interna della realtà ambientale... Oltre a un’inclinazione genui-namente costruttivista, il modello esibisce una fattura singolare.Varela non lo confina in un livello specifico del mondo naturale. Alcontrario. Gli offre una costruzione modellistica generica, adatta-bile a qualsiasi dominio del reale in cui sia possibile individuareuna molteplicità sparpagliata di elementi che si coordina in un’u-nità dinamica. L’idea inscritta nel disegno è quella di una strutturacognitiva polimorfa e trasformativa – aperta all’evoluzione. È l’im-magine teorica di una forma soggettiva che può muoversi tra diffe-renti livelli di organizzazione. Può partecipare a fenomeni di coor-dinazione simili a quelli che l’hanno generata. Può entrare in coe-renze comportamentali suscettibili di correlarla ad altre entità delsuo stesso tipo. Può inserirsi nel processo di strutturazione dinuove unità costruttrici di mondi – altre identità cognitive, di livel-lo superiore.
Quest’attore d’innovativa concezione – una forma soggettivacreatrice e interpretativa, dotata di un’identità intrinsecamentemetamorfica, policentrica e collettiva – nella produzione di Varelaè definito da una varietà di nomi: «unità conversazionale», «siste-ma autonomo», «sé emergente» … In queste pagine si ricaratteriz-za come l’«unità in dialogo»: l’oggetto teorico di cui il saggio siimpegna a prospettare genealogia e attualità – origini e potenzialità– percorrendo due diverse direzioni d’indagine, orientate l’unaverso le fonti scientifiche e l’altra verso le possibilità applicative
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dello schema. Sono due direttrici esplorative complementari, por-tatrici di due tesi che, articolandosi, inscrivono il modello in unaproposta epistemologica rivolta alla scienza cognitiva e a tutte lealtre scienze che studiano oggetti appartenenti alla stessa classe del-l’osservatore – «sistemi che osservano».5
La prima tesi individua nell’unità in dialogo un’alternativa al para-digma computazionalista più forte delle tipiche soluzioni radicalembodiment. È un’ipotesi nata dall’esigenza di sviluppare la mini-male mappa genealogica usualmente associata al disegno, centratasul legame di derivazione che allaccia la produzione individualevareliana – la «teoria dell’enazione», di cui lo schema è l’elementodi base – alla biologia autopoietica precedentemente strutturata daVarela con Humberto Maturana. I dettagli di realizzazione del mo-dello suggeriscono una tesi genealogica che ne complessifica l’a-scendenza, allargandola a un indirizzo della scienza novecentesca alquale spesso la biologia autopoietica viene connessa dall’imprecisasupposizione di mutue influenze teoriche. Si tratta della ricerca pio-nierististica sull’auto-organizzazione, un fascio unitario di linee d’in-dagine la cui produzione, a un esame accurato, esibisce un vincologenealogico diretto con l’enazione – un vincolo duplice.6
Questa direttrice minoritaria della scienza contemporanea – gene-ralmente conosciuta per l’eterodossia «anti-meccanicista» – non èsolo responsabile dei primi disegni del movimento ricorsivo natura-le che, riunendo elementi sparsi in unità coerenti, genera livelli d’or-ganizzazione di complessità crescente. I pionieri dedicati allo studiodi questi passaggi organizzazionali – «salti» ritenuti capaci di gene-rare la sfera biologica e quella antropo-sociale a partire dalla sferafisico-chimica del reale – hanno anche individuato nella natura unluogo della soggettività. Hanno descritto un mondo naturale che,fin dai livelli più elementari, ospita l’emergenza spontanea di strut-ture sensibili e reattive, capaci di accoppiarsi dinamicamente al pae-saggio ambientale perché in grado di attribuire ai mutamenti ester-ni significati operazionali interni di carattere conservativo. Le hannoqualificate come sistemi che, al pari dell’osservatore, sanno organiz-zare attivamente sé e i propri rapporti con l’ambiente. Coeren-temente le hanno collocate in una classe di oggetti – la classe dei
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«sistemi autonomi» o «auto-organizzatori» – in cui hanno inseritoanche il descrittore, ponendo le basi di una doppia innovazione.Non si tratta solo dell’opportunità teorica sviluppata prima dal«costruttivismo radicale» e poi dal radical embodiment: radicare lacognizione – quella che nasce dall’auto-individuazione – negli stra-ti più sommersi del mondo naturale.7 Si tratta anche di una trasfor-mazione stilistica: lo sviluppo di un’euristica atta all’esplorazione disistemi che, disponendo delle stesse modalità di esistenza dell’osser-vatore, sfuggono all’imperativo classico del fare scienza – più omeno: dominare panoramicamente la dinamica dell’oggetto esami-nato.8 Allo stile scientifico tradizionale dell’esplorazione «di sorvo-lo», le linee pioniere hanno sostituito un’euristica della «decifrazio-ne», la quale non prescrive più di confezionare rappresentazionitotalizzanti e neutre dell’alterità esplorata. Chiede di produrre per ilsistema studiato referenti oggettuali plausibili, disegnati in baseall’attenta considerazione delle condizioni che esso pone per la suainterpretazione. L’idea è quella di una «negoziazione» della caratte-rizzazione scientifica, in cui l’osservatore propone le categorie atte aconferire al sistema la forma di un oggetto ben definito d’esplora-zione e il sistema le giudica, indicandone i margini di modificazio-ne. È una procedura descrittiva la cui forza risiede nella permanen-te ri-categorizzazione: la strutturazione di una molteplicità crescen-te di livelli di descrizione, tra cui lo scienziato deve muoversi «inse-guendo» le manifestazioni dell’entità in esame. I pionieri chiamava-no questo stile di conoscenza «dialogo», evidenziandone la conver-genza con la «conversazione intersoggettiva». Lo pensavano pro-durre una relazione d’intellegibilità che non ha estremità rigide epredeterminate, ma le definisce mentre si sviluppa. Inserisce sogget-to e oggetto in un rapporto di co-specificazione che ne determina eridetermina le identità. Non consente alcuna conoscenza oggettivadell’alterità. Quello che produce è l’evolvere accoppiato dei polidella relazione conoscitiva, con le possibilità interpretative che que-st’evoluzione dischiude – opportunità condensate in categorie teo-riche e referenti oggettuali correlati.
A chi conosce quest’euristica costruttivista – la dimensione menonota della prima ricerca auto-organizzazionale – il modello enatti-
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vo rivela un legame solido con la produzione pionieristica. Il riferi-mento non va esclusivamente all’intento del disegno di trasforma-re l’immagine della conversazione – il quadro dell’evoluzione ac-coppiata di soggetto e oggetto – in una descrizione teorica genera-le della relazione conoscitiva. A un’esplorazione dettagliata, loschema si manifesta come l’esito di un progetto di valorizzazionepiù ambizioso: racchiudere in un unico strumento descrittivo ladoppia eredità dei primi esploratori. È la tesi cristallizzata nellanozione di unità in dialogo. Al prospetto del 1979 Varela consegnanon solo l’innovazione teorica, ma anche l’innovazione euristicadella ricerca pioniera. Quella che disegna non è semplicementeun’«unità creatrice di mondi» che nasce dalla coordinazione disotto-unità ed evolve sviluppando coordinazioni con altre unità. Èun’identità cognitiva le cui co-evoluzioni trasformative traduconoinnanzitutto dialoghi con il descrittore.9
Questa è l’ipotesi genealogica che attribuisce allo schema lo sta-tuto di un’alternativa forte per la scienza cognitiva, capace di costi-tuire una posizione esterna al territorio categoriale computaziona-lista. Con la doppia proposta riformista, il modello può confrontar-si con il paradigma classico non solo al livello della teoria, ma anchea quello dell’euristica. La rilevanza di questo secondo piano del-l’opposizione – il livello in cui l’antagonismo tra descrizioni rivalidella cognizione si declina in tensione tra stili di conoscenza – èdecisiva per la metamorfosi della scienza cognitiva. L’innovazionedella teoria di riferimento della disciplina, se non retroagisce sulmodo di concepire e praticare la conoscenza scientifica, non puòprodurre un’effettiva trasformazione. Lascia attivi i codici tradizio-nali del fare scienza, coerenti con la vecchia modellistica, esponen-do la ricerca al rischio di negare sul piano euristico il concetto dicognizione affermato sul piano teorico. È un pericolo che oggiminaccia significativamente l’embodied cognitive science, il cui sen-sibile spostamento concettuale in direzione del costruttivismo, noncomportando l’esplicita tematizzazione di un congruente modo difare scienza, costringe l’indagine a svilupparsi sul limite dell’incoe-renza – l’implicita adesione euristica al classico oggettivismo rap-presentazionista respinto dalla modellistica. È una difficoltà evita-
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bile solo con lo sviluppo di un’attitudine riformista che riconoscal’indissociabilità di innovazione concettuale e stilistica. L’enazionene costituisce un’espressione intensa, tesa a far convergere teoria estile di conoscenza della disciplina verso l’inclinazione costruttivi-sta strutturata dai pionieri dell’auto-organizzazione: il paradigmache interpreta la conoscenza, naturale e scientifica, come evoluzio-ne accoppiata – dialogo o «co-costruzione».
La plausibilità di questa soluzione è l’immediata conseguenzadella seconda delle due tesi strutturatrici del saggio, dedicata allepossibilità applicative del modello. Si tratta di un’ipotesi che loriconosce adatto all’interpretazione delle odierne acquisizioni sullacognizione intersoggettiva, diffusamente ritenute irriducibili alquadro computazionalista dei sistemi input-output che calcolanorappresentazioni dettagliate e fredde l’uno dell’altro. Tra le alterna-tive teoriche oggi disponibili, quella proposta dal modello varelia-no si distingue per una specificità. Riesce a offrire un’espressioneformale alle intuizioni sistemiche sull’intersoggettività, producen-do l’ipotesi di una conoscenza che crea unità.
[...] Vi è una più vasta Mente di cui la mente individuale è solo un sot-tosistema. (Bateson, 1972B)
Applicato alla cognizione intersoggettiva, lo schema vareliano rige-nera l’immagine della conversazione – dell’unità in dialogo.Descrive una relazione conoscitiva che allaccia i suoi estremi in unmovimento accoppiato: un processo di co-specificazione tantostretto da suscitare una nuova unità. L’idea è quella di un’identitàcognitiva interindividuale che transientemente si auto-distingue nelpaesaggio ambientale, sollevando il proprio mondo – un mondotransitorio, ma intrinsecamente partecipato, condiviso.
Fino a qualche anno fa – circa una decade – questa soluzione ete-rodossa poteva essere liquidata come un mero esercizio di specula-zione. Oggi si manifesta pertinente per la lettura dei nuovi riferi-menti neuroscientifici sull’intersoggettività. Sono le acquisizioniinerenti a mirror neurons, mirror neuron system e altri mirroringmechanisms, qualificati dalla letteratura specialistica come i mecca-
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nismi neurofisiologici di base di un’intellegibilità dell’altro che nonha i tratti ipotizzati dalla gnoseologia classica e dal computaziona-lismo.10 L’intersoggettività mirror non chiama in causa abilità logi-co-dichiarative e non si realizza nello spazio intraindividuale. Nonè una conoscenza dell’altro effettuata per analogia, in base allaconoscenza di sé. Ha la specificità di connettere i conoscenti me-diante una co-attivazione neuronale che ne «armonizza» le disposi-zioni all’azione, le sensazioni somatiche, le emozioni. Queste ulti-me sono le dimensioni esperienziali classicamente ritenute «noncognitive» perché legate alla corporeità. Gli insights sulle funzionimirror le ridefiniscono come gli ambiti dell’espressione di unaconoscenza incorporata – «realizzata a livello neuronale» – che nonnasce dal calcolo, ma dalla «sintonizzazione» – la condivisione del-l’esperienza soggettiva. Come rileva il dibattito odierno, è un’intel-legibilità affine ai disegni d’orientamento embodiment. E, come sitende a trascurare, esibisce una specifica compatibilità con gli sche-mi radical embodiment – una convergenza evidente nel caso delmodello enattivo. Le descrizioni attuali consentono di riconoscerenel mirroring una dinamica di co-specificazione che produce unostretto accoppiamento tra le reti neuronali dei conoscenti, portan-dole ad affrontare insieme la doppia ecologia dei corpi e dell’am-biente. L’immagine è quella di un accoppiamento di co-dipenden-za che destabilizza il confine sé-altro, a tratti lo sospende, facendoconvergere l’interindividualità con la più profonda intraindividua-lità. Sono i tratti di un’intellegibilità che si armonizza in modo sor-prendente con l’idea di un movimento co-evolutivo capace disuscitare una nuova unità. Più ampiamente, supportano l’ipotesiarchitetturale vareliana di una mente che è radicata nel corpo, manon risiede nella topologia dell’organismo individuale. Costituisceuna struttura di accoppiamento che connette reti corporee, reteneuronale e paesaggio ambientale, ma non solo. Nell’incontro in-tersoggettivo, coordina le reti degli organismi individuali in uncomplesso co-evolutivo coerente, allacciando sé e altro in un’unitàdi co-specificazione – un’unità interindividuale dinamicamenteaccoppiata all’ambiente.
Si tratta di convergenze che valorizzano il modello vareliano,
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appoggiandone la richiesta riformista. Promuovono il concettoenattivo dell’intersoggettività non solo a livello teorico, ma anche alivello euristico. Alla scienza cognitiva e a tutte le scienze dedicatea sistemi che osservano – scienze naturali o antropo-sociali – pro-pongono di orientare i quadri epistemologici nella direzione del«costruttivismo dialogico» che Varela ha ereditato dai primi espo-ratori: l’idea e la pratica di una conoscenza che non cattura, maaccoppia, non produce accessi totalizzanti, ma co-specificazioni,non rappresenta, ma crea unità.
Questa è la proposta che il saggio intende allacciare al modellovareliano dell’unità in dialogo. Le dà forma ripercorrendo integral-mente il duplice itinerario esplorativo appena tracciato, dalle fontiscientifiche dello schema fino al territorio applicativo dell’intersog-gettività mirror. La Parte I dello scritto torna ai primi movimentidella ricerca pionieristica sull’auto-organizzazione e segue lo svi-luppo del primario flusso di trasmissione della sua doppia eredità– teorica ed euristica. Si tratta di una direttrice che, secondo unadelle tesi laterali del saggio, passa attraverso la teoria dell’autopoie-si, connettendo le linee pioniere, la biologia autopoietica e l’enazio-ne in un’unica tradizione di ricerca. L’idea è quella di una tradizio-ne anti-classica, i cui elementi tipizzanti – tratti fortemente etero-dossi, di cui lo scritto tenta una definizione – sono articolati daVarela nell’unità in dialogo. La Parte II del saggio, dedicata all’e-spressione teorica dello schema e alle sue possibilità d’applicazioneagli insights sui meccanismi di mirroring, propone un esperimentodi rilettura di queste acquisizioni. L’obiettivo non è una modelliz-zazione enattiva dettagliata dell’intersoggettività mirror, per orafuori portata. L’intento è imbastire per questa forma di intellegibi-lità un modello enattivo di massima, prevalentemente a uso euristi-co. La trattazione lo lascia a un livello d’espressione grezzo eabbozzato, ma sufficiente a mostrarne i pregi che ne sollecitano losviluppo. Non si tratta solo dell’allacciamento all’evidenza empiri-ca, dell’impalcatura teorica dotata di una solida genealogia, dellavalorizzazione di alcune potenti intuizioni scientifiche sull’inter-soggettività. Si tratta anche e soprattutto della capacità di propor-re all’osservatore una collocazione salda e produttiva nella regione
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d’intellegibilità presso cui si incontrano oggetti che si sottraggonoirrimediabilmente alle ispezioni dall’alto. L’unità in dialogo non silimita a condurre il descrittore in questa zona incerta, ma gli offreuna soluzione euristica. Praticare la conoscenza scientifica non piùcome cattura, ma come lenta, sottile, multipla «costruzione parte-cipativa» – la decifrazione che nasce dalla co-evoluzione.
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Note
1 Cfr. Varela, 1995B. Un’esaustiva ricostruzione del percorso esplorativo com-piuto da Varela nell’area della scienza cognitiva è offerta da Rudrauf et al., 2003.Nel saggio l’espressione «scienza cognitiva» indica in generale l’indagine scientifi-ca sulla cognizione e non la sua corrente classica, riferita al modello del calcolato-re, spesso definita «cognitivismo». Per evitare fuorvianti sovrapposizioni, qui que-st’ultima è chiamata «computazionalismo».
2 La capacità di «prodursi da sé» cui ci si riferisce in relazione al modello vare-liano non coincide con la proprietà dell’«autopoiesi» definita da Maturana eVarela (1973) rispetto ai sistemi biologici, ma è interpretabile come una sua formagenerica, attribuibile anche ad altri tipi di sistemi. Cfr. i capp. 3, 4 e 5 del saggio.
3 La nascita dell’embodied cognitive science, o scienza cognitiva incorporata, puòessere fatta risalire alla fine degli anni Ottanta, l’epoca della diffusione di soluzio-ni descrittive post-classiche delineatrici di una mente non più indipendente dalcorpo, ma inscritta in esso (cfr. per es. Johnson M., 1987; Varela et al., 1991; Clark,1997; Gibbs, 2006). Oggi l’approccio embodiment è in ascesa, tanto da essere con-siderato il più promettente candidato alla sostituzione dell’approccio classico. Iltermine che lo definisce spesso viene tradotto con l’aggettivo «incarnato» o«incorpato». Qui si è preferito «incorporato» per evitare le risonanze religiosedella prima soluzione, ritenute «fuorvianti» da Varela, e quelle riduzionistichedella seconda. L’aggettivo incorporato vuole evidenziare che l’approccio in causanon intende né ancorare contingentemente la mente al corpo, né ridurla a esso.Vuole fare del corpo la dimensione da cui la mente emerge.
4 Andy Clark (1996, pp. 348-349) ha introdotto la differenza tra l’embodimentmoderato e quello radicale come divergenza tra «simple embodiment» e «radicalembodiment». Ha riferito quest’ultimo a tre opzioni teoriche: (a) l’adesione alla teo-ria dei sistemi dinamici non-lineari; (b) il rifiuto delle nozioni di rappresentazione ecomputazione; (c) il superamento della tradizionale ripartizione «cervello-corpo-mondo». Uno degli ultimi articoli di Varela esplicita che egli, nella sua produzioneindividuale, le sviluppa tutte e tre (cfr. Varela e Thompson, 2001). Cfr. il cap. 5.
5 Si tratta di una celebre espressione di Foerster (1987A), la cui pertinenza deri-va dallo stretto legame sussistente tra la produzione vareliana e quella auto-orga-nizzazionale. Nel saggio l’espressione unità in dialogo trova due sinonimi: «unitàdialogante» e «unità dialogica».
6 L’albero genealogico proposto nel saggio (cfr. Parte I) prevede grossomodoquesta successione cronologica: ricerca pionieristica sull’auto-organizzazione (cfr.Parte I, Sezione 1); biologia autopoietica (cfr. ivi, Sezione 2); enazione (cfr. Parte II,cap. 5).
7 Usualmente sono inseriti nella corrente del «costruttivismo radicale» i pionie-
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ri dell’auto-organizzazione che si sono specificamente occupati di cognizione(Heinz von Foerster, Gordon Pask, Georg Zopf, ...) e altri ricercatori che, percontaminazione o mediante collaborazione, hanno sviluppato le medesime moda-lità di concettualizzare l’attività cognitiva (Gregory Bateson, Jean Piaget, Ernstvon Glasersfeld, Humberto Maturana e Francisco Varela, …). In questa sede ilcostruttivismo radicale è considerato il primario antenato del radical embodiment eVarela viene ritenuto appartenere trasversalmente alle due correnti.
8 Alla definizione dell’euristica classica della razionalità scientifica e di quellasviluppata dai pionieri è dedicato il cap. 2 del saggio.
9 L’idea che il modello sia concepito e usato da Varela come un mezzo d’espres-sione dell’euristica del dialogo è sviluppata nell’Intermezzo II e nel cap. 5 del saggio.
10 Il riferimento va ai «neuroni specchio» e agli altri meccanimsi di mirroringindividuati dall’équipe di neurofisiologi di Parma guidata da Giacomo Rizzolatti(cfr. per es. Rizzolatti et al. 1999, 2002; cfr. il cap. 6). Molto schematicamente, lafunzionalità dei mirror neurons implica che nell’individuo che osserva un consimi-le compiere un’azione si attivino gli stessi neuroni che supportano l’esecuzionedell’azione nell’individuo osservato. Nel saggio con l’espressione «mirror neu-rons» ci si riferisce ai neuroni specchio individuati nelle scimmie, mentre con l’e-spressione «mirror neuron system» ci si riferisce al loro corrispettivo negli umanispecificamente legato all’azione (cfr. Gallese et al., 2004). Con l’espressione mir-roring mechanisms ci si riferisce ai meccanismi equivalenti, di recente identifi-cazione, la cui funzionalità si esprime in relazione a sensazioni somatiche e aemozioni (cfr. Gallese, 2005B). Quando la trattazione considera gli aspetti più tec-nici delle acquisizioni del gruppo di Parma, come nel § 1 del cap. 6, si riferisce aimirror neurons, anche se intende mantenere una prospettiva generale, inerente atutti i meccanismi di mirroring (mirror neurons, mirror neuron system e altri mir-roring mechanisms).
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