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Luca . 3 12 /// allam /// amin /// mcqueen /// murgia /// pannella /// terragni agendacoscioni le nuvole////////////////////////////////////////// 2 l’enigma arabo intervista a Fouad Allam e Samir Amin///// 4 caso italia intervista a Michela Murgia e Marina Terragni//// 12 hunger di Steve McQueen: la sceneggiatura////////////// 18 marco pannella su Hunger////////////////////////22 cuore selvaggio cinema///////////////////////// 24 la badante televisione///////////////////////////// 26 diario europeo//////////////////////////////// 28 agenda coscioni /////////////////////////////// 30 cineteatro//////////////////////////////////// 34 IN QUESTO NUMERO Luca. Trimestrale dell’Associazione Luca Coscioni direttore: Andrea Bergamini design: Maurizio Ceccato | IFIX redazione: Valentina Stella, Alessia Turchi fotografa: Maria Pamini finito di stampare presso la tipografia: Sileagrafiche srl Treviso SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1 COMMA 2 DCB - BOLOGNA LE QUOTE DI ISCRIZIONE ALL’ASSOCIAZIONE COSCIONI • 100 Euro (Socio ordinario) • 200 Euro (Socio sostenitore) • 400 Euro (Socio finanziatore) • 590 Euro (Pacchetto iscrizioni alla “galassia radicale”). Anche per il 2012 è prevista una quota cumulativa che consente di iscriversi a tutti i soggetti dell’area radicale (Partito Radicale Transnazionale, Radicali Italiani, Associazione Luca Coscioni, Nessuno Tocchi Caino, Anticlericale.net, Esperanto Radicala Asocio, Non c’è pace senza giustizia, Certi Diritti). • È possibile iscriversi a rate. • Contatta il 0668979286 per sapere come. LE MODALITÀ DI PAGAMENTO • Online con Carta di credito: • Attraverso Banca Sella, lo standard di sicurezza più elevato per l’invio di informazioni sensibili attraverso la rete Internet. • Con bonifico bancario: intestato a Associazione Luca Coscioni presso la Banca di Credito Cooperativo di Roma ag. 21 Roma IBAN: IT79E0832703221000000002549 BIC: ROMAITRR • Con conto corrente postale: n. 41025677 intestato a “Associazione Luca Coscioni” Via di Torre Argentina, 76 – 00186, Roma www.associazionelucacoscioni.it/contributo Gli Stati Membri del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali si impegnano a “affermare la tutela degli inte- ressi morali e materiali scaturenti da qua- lunque produzione scientifica, letteraria o artistica di cui egli sia l’autore.” (art. 15, c) e in accordo con la Carta dei diritti Fonda- mentali dell’Unione Europea “le arti e la ri- cerca scientifiche sono libere” (art.13). Si evidenzia che: tra il 2007 e il 2013, attra- verso il settimo programma quadro di ricer- ca, l’Unione Europea assegna maggiori risorse al fine di ottenere risultati più rilevan- ti nella ricerca sul genoma umano, compre- se le nuove tecniche per il trattamento e la prevenzione derivante dalla ricerca sulle cellule staminali; uno dei campi maggior- mente in espansione per la ricerca biotec- nologica è quello relativo alle cellule stami- nali; i programmi di ricerca nell’ambito del settimo programma quadro offrono spe- ranze e prospettive a decine di milioni di cit- tadine e cittadini europei; Considerato quanto detto precedentemen- te si chiede al Parlamento europea di assi- curare che: l’ottavo programma quadro di ri- cerca confermi i fondi necessari per i pro- grammi di ricerca legati alle cellule staminali embrionali, così come quelle degli adulti o le cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs); I programmi di ricerca dovranno essere sottoposti a valutazioni legali, scientifiche ed etiche, come quelli compresi nel setti- mo programma quadro mentre dovrà esse- re abolita la valutazione politica che attual- mente si realizza attraverso il voto del par- lamento europeo (o dei rappresentanti na- zionali al parlamento europeo); dovranno essere presi in considerazioni anche pro- grammi di ricerca relativi al trasferimento del nucleo cellulare, erroneamente chiama- to clonazione terapeutica. PETIZIONE AL PARLAMENTO EUROPEO SULLE CELLULE STAMINALI

Luca. (due)

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Il secondo numero della rivista dell'Associazione Luca Coscioni: Luca.

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Page 1: Luca. (due)

Luca.3 12///

allam ///amin ///mcqueen ///murgia /// pannella /// terragni

agendacoscionile nuvole//////////////////////////////////////////2l’enigma arabo intervista a Fouad Allam e Samir Amin/////4caso italia intervista a Michela Murgia e Marina Terragni////12hunger di Steve McQueen: la sceneggiatura//////////////18marco pannella su Hunger////////////////////////22

cuore selvaggio cinema/////////////////////////24la badante televisione/////////////////////////////26diario europeo////////////////////////////////28agenda coscioni///////////////////////////////30cineteatro////////////////////////////////////34

IN QUESTO NUMERO

Luca.Trimestrale dell’Associazione Luca Coscioni

direttore: Andrea Bergaminidesign: Maurizio Ceccato | IFIXredazione: Valentina Stella, Alessia Turchi fotografa: Maria Paminifinito di stampare presso la tipografia: Sileagrafiche srl Treviso

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LE QUOTE DI ISCRIZIONE ALL’ASSOCIAZIONE COSCIONI

• 100 Euro (Socio ordinario)• 200 Euro (Socio sostenitore)• 400 Euro (Socio finanziatore)• 590 Euro (Pacchetto iscrizioni

alla “galassia radicale”).

Anche per il 2012 è prevista una quota cumulativache consente di iscriversi a tutti i soggetti dell’area radicale (Partito Radicale Transnazionale,Radicali Italiani, Associazione Luca Coscioni, Nessuno Tocchi Caino, Anticlericale.net, EsperantoRadicala Asocio, Non c’è pace senza giustizia,Certi Diritti).

• È possibile iscriversi a rate. • Contatta il 0668979286 per sapere come.

LE MODALITÀ DI PAGAMENTO• Online con Carta di credito:• Attraverso Banca Sella, lo standard di sicurezza

più elevato per l’invio di informazioni sensibiliattraverso la rete Internet.

• Con bonifico bancario: intestato a Associazione Luca Coscionipresso la Banca di Credito Cooperativo di Roma ag. 21 RomaIBAN: IT79E0832703221000000002549BIC: ROMAITRR

• Con conto corrente postale: n. 41025677 intestato a “Associazione Luca Coscioni”Via di Torre Argentina, 76 – 00186, Roma

www.associazionelucacoscioni.it/contributo

Gli Stati Membri del Patto internazionalesui diritti economici, sociali e culturali siimpegnano a “affermare la tutela degli inte-ressi morali e materiali scaturenti da qua-lunque produzione scientifica, letteraria oartistica di cui egli sia l’autore.” (art. 15, c)e in accordo con la Carta dei diritti Fonda-mentali dell’Unione Europea “le arti e la ri-cerca scientifiche sono libere” (art.13).

Si evidenzia che: tra il 2007 e il 2013, attra-verso il settimo programma quadro di ricer-ca, l’Unione Europea assegna maggioririsorse al fine di ottenere risultati più rilevan-ti nella ricerca sul genoma umano, compre-

se le nuove tecniche per il trattamento e laprevenzione derivante dalla ricerca sullecellule staminali; uno dei campi maggior-mente in espansione per la ricerca biotec-nologica è quello relativo alle cellule stami-nali; i programmi di ricerca nell’ambito delsettimo programma quadro offrono spe-ranze e prospettive a decine di milioni di cit-tadine e cittadini europei;

Considerato quanto detto precedentemen-te si chiede al Parlamento europea di assi-curare che: l’ottavo programma quadro di ri-cerca confermi i fondi necessari per i pro-grammi di ricerca legati alle cellule staminali

embrionali, così come quelle degli adulti o lecellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs);

I programmi di ricerca dovranno esseresottoposti a valutazioni legali, scientificheed etiche, come quelli compresi nel setti-mo programma quadro mentre dovrà esse-re abolita la valutazione politica che attual-mente si realizza attraverso il voto del par-lamento europeo (o dei rappresentanti na-zionali al parlamento europeo); dovrannoessere presi in considerazioni anche pro-grammi di ricerca relativi al trasferimentodel nucleo cellulare, erroneamente chiama-to clonazione terapeutica.

PETIZIONE AL PARLAMENTO EUROPEO SULLE CELLULE STAMINALI

Page 2: Luca. (due)

«Crediamo che le nubi siano vittime di ingiuste calunnie: senza di esse la vita sarebbeincommensurabilmente più misera».

Il manifesto della Cloud Appreciation Society

Le nuvole.

Page 3: Luca. (due)

È ormai trascorso un anno e mezzo da quando inTunisia hanno avuto inizio i movimenti di prote-sta, le rivolte, che hanno portato alla caduta deiregimi autoritari presenti nel Nord Africa. “La ri-voluzione dei social network”, “la rivoluzione deigiovani” e infine “la primavera araba”. Con que-ste espressioni si è tentato di definire un insiemedi eventi politici e sociali, che molti osservatoriinvitano a non considerare prossimi. Troppe le dif-ferenze tra i paesi coinvolti, troppo diversi i sogget-ti che hanno animato le singole rivolte. Con la con-clusione della vicenda delle elezioni presidenzialiin Egitto, le incertezze e i dubbi sembrano adden-sarsi. La lettura degli eventi appare complessa.L’impressione è che si sia messo in moto qualcosadi importante, ma non è ancora chiara la direzionené la sua reale forza. Rivolta o rivoluzione? Nuoviprotagonisti sociali al potere o semplice operazio-ne di maquillage politico? Democrazia o inediteforme di autoritarismo? Per cercare di capirne dipiù abbiamo scelto d’intervistare due intellettualioriginari di quell’area, e che vivono tra l’Africa el’Europa. Si tratta del sociologo Khaled FouadAllam, nato in Algeria, docente universitario in Ita-lia, e dell’economista marxista Samir Amin, egizia-no, che vive tra Dakar, dove è direttore del Forumdel Terzo Mondo, e Parigi, dove ha insegnato permolti anni. Due personalità che esprimono stiliintellettuali e punti di vista diversi, sebbene en-trambi sostengano l’impossibilità di considerare“le primavere arabe” un fenomeno unitario.

Abbiamo innanzitutto chiesto a FOUAD ALLAM:Quali sono stati gli sviluppi della cosiddetta “Pri-mavera araba”?

È passato più di un anno, ma molte delle coseche sono successe le avevo più o meno previste neimiei editoriali sul Sole 24Ore. Nel senso che eraevidente il fatto che questi movimenti giovanili,che sono stati all’origine delle rivolte-rivoluzioni(ricordo che in arabo la parola rivoluzione – al-Thûrât – è la stessa impiegata per indicare la rivol-ta, il che la dice lunga sulla valenza concettuale deltermine in arabo), fossero gruppi poco strutturatie dunque incapaci di formulare–formare una lea-dership. Questo fatto, insomma, era già presente in

un certo senso sin dall’inizio. Perciò quello che èavvenuto mi è apparso molto più come una rivol-ta che una rivoluzione. Tutto quello che è succes-so nelle settimane e nei mesi successivi, il fatto chei movimenti, i partiti, i gruppi fondamentalisti eneofondamentalisti siano subentrati al movimen-to iniziale, era già inscritto in qualche modo nelladinamica delle cose. Questi gruppi, cioè i movi-menti neofondamentalisti, sono molto più struttu-rati e già all’epoca erano molto più forti, con lea-dership ben consolidate. È evidente che questimovimenti si sono conquistati un ruolo, in un cer-to senso primario, come in una partita a scacchi.Poi c’è un altro aspetto, che spesso dimentichia-mo e che riguarda la stessa nozione di rivoluzione.Una rivoluzione ha bisogno, cioè presuppone,un’altra cultura, cioè una contro-cultura. Questacontro-cultura io non l’ho ancora vista. La si può

riconoscere solo in alcuni individui, ma non comemassa critica. Dunque, questi fenomeni di conte-stazione giovanile sono molto diversi da quelli cheha conosciuto almeno la mia generazione neglianni Sessanta. Proprio su questo sto scrivendo unaltro libro che si intitolerà: Avere vent’anni a Tuni-si e al Cairo.

Si può tecnicamente parlare – in Tunisia o in Egit-to – dell’esistenza di un regime democratico?

Già parlarne assieme, cioè paragonare tra lorola Tunisia e l’Egitto, è problematico. Si tratta didue paesi molto diversi a causa del loro passato,ma anche a causa delle diversità che esistono inquella che noi chiamiamo società civile. Questa,in Tunisia, è molto più forte che in Egitto, perdiversi motivi storici. In Tunisia c’è un serio ten-tativo di costruzione di uno Stato democratico.

In questo senso si possono evidenziare varie coseche ci permettono di capire le differenze e le si-militudini tra i due paesi. Una riguarda l’esercitoche in Tunisia, ad esempio, non si è mai intromes-so. Lì l’esercito è rimasto completamente fuori,nello stile di quel che dovrebbe essere un esercitoin una repubblica. Mentre in Egitto l’esercito nonè un corpo separato, ma interagisce e influisce sul-la politica. Quindi la situazione è totalmente diver-sa. Premesso ciò, l’unica cosa che mi sento di direriguardo alla primavera araba in generale, è cheesiste una questione posta da tutto il mondo ara-bo islamico, ed è la questione della democrazia.Questo mi sembra evidente, ma come la risolve-ranno e come la definiranno, o meglio come ver-rà a definirsi, questo è da vedere.

Si può sostenere che si sia sviluppato o si sta svi-luppando un nuovo concetto di cittadinanza nelmondo arabo?

Molti analisti lo sostengono. Olivier Roy, peresempio, anche grazie alla sua formazione filoso-fica, ha in un certo senso più capacità analitica diun semplice islamologo. Lui afferma che c’è unatendenza all’individualizzazione del politico, apartire dal fatto che uno dei termini più scanditidurante questa primavera è stata la parola kara-ma, che in arabo significa “dignità”. Roy spiegache la parola dignità rimanda all’individuo e nonalla comunità. Dunque, ecco che già nel linguag-gio possiamo intravedere dei cambiamenti. Ma ilproblema è la traducibilità politica di questi cam-biamenti. Si tratta di segnali, di segni, ma nonovviamente di cambiamenti da cui poter afferma-re: ecco, il mondo arabo va verso la democrazia.Questo anche perché il mondo arabo, cioè isla-mico, non ha risolto assolutamente il problemadella donna dal punto di vista del diritto. Proprioquesto è uno dei paradigmi della costruzione del-lo spazio democratico. Il paradigma della moder-nità, intesa come intrinsecamente connessa allademocrazia in Occidente, passa attraverso la vi-sione della donna che si inserisce nel dibattito pub-blico, poiché le viene data una struttura e dignitàgiuridica.

Si è modificato il rapporto fra élite e popolo inEgitto e in Tunisia?

Ovviamente qualcosa è cambiato. Insomma, averabbattuto un potere autoritario che utilizzava lapaura come fondamento ha permesso di superarequeste forme di legittimità politica. Dunque, la

DEMOCRAZIAREALE

Simone Sapienzatext

Marta Zucco Oteiimg

L’ENIGMAARABOINTERVISTA A FOUAD ALLAM E SAMIR AMIN

DEMOCRAZIAREALE

Luka Bogdanictesto

Marcia Zucco Oteiillustrazioni

Luca.5

Page 4: Luca. (due)

tradotto) un testo di Ibn Khaldun al-Muqaddima(Prolegomeni alla storia universale), dove si spie-gano le dinamiche politiche delle società arabe eil loro strutturarsi interno. Khaldun è stato il pri-mo a spiegare il group feeling, cioè lo spirito dicorpo e il ruolo della violenza nella strutturazio-ne della società araba. Michel Seurat è stato ilprimo ad applicare questi concetti alla realtà si-riana. Le sue tesi, di più di vent’anni fa, sono oggiancora valide.

Come giudica il processo democratico in Egitto?Va detto che in Egitto è iniziato un reale proces-

so democratico. La gente è stata chiamata al votoe a queste elezioni hanno partecipato varie forma-zioni politiche. È un primo passo e va sottolinea-to. Quello che mi interessa di più sono però i con-tenuti, ed è lì che si vede se la società è capace disuperare ostacoli, ad esempio, quelli socio-cultu-rali o antropologici. Per esempio, il problema del-la discriminazione tra uomini e donne o il proble-ma delle minoranze. Insomma, la democrazia siverifica su queste domande.

Quello che mi interessa in altre parole è cosafaranno e come si comporteranno riguardo a que-sti temi. Da questo si capirà cosa loro intendonoper democrazia. Sarà interessante vedere qualeapparato legislativo cercheranno di creare, tantoin Egitto quanto in Tunisia, o negli altri paesi chesono stati toccati dal fenomeno della primaveraaraba.

Che tipo di relazioni vede tra Europa e Maghrebdopo le rivoluzioni?

Io sono pessimista. Nel senso che l’Europa ècompletamente assente. L’Europa che non harisolto il problema dell’entrata o meno della Tur-chia e che non ha risolto il problema dell’immi-grazione, come può relazionarsi con il mondoarabo? Il rapporto è inesistente e questo è unparadosso.

Allora, mi permetta di rovesciare, in un certo sen-so, la domanda: le cosiddette primavere arabepossono diventare uno stimolo per le democrazieeuropee?

Non credo, perché vedo in Europa grande ras-segnazione. La rassegnazione degli intellettuali edella classe politica. Vedo una specie di enormedisincanto anche di fronte alla realtà della crisieconomica. Se l’Europa non ha una visione di sé,come può posizionarsi di fronte agli altri? Credoche questa sia una generazione che non saràcapace di costruire un bel niente. Oltretutto cisono altri attori che si stanno affacciando nel suddel Mediterraneo, mi riferisco ovviamente ai tur-

chi e anche al mondo asiatico. Ho scritto direcente un articolo sulla rivista Italiani europei incui ricordo che la stessa Tunisia è stata sotto ildominio dell’Impero ottomano dal 1541 al 1884.Questo fatto lo si dimentica troppo spesso, masoprattutto si dimentica che ha lasciato dei segni!

Il sud teme il collasso della democrazia in Europa? Il sud dovrebbe ripensare un pò a ciò che sono

i canali/vie che hanno fatto in modo, per esem-pio, che la Grecia sia stato un paese importante,un’interfaccia tra l’Asia e il resto dell’Europa. Ilsud del mondo dovrebbe ritrovare in un certosenso se stesso, però in una dimensione che ten-ga conto delle dinamiche di costruzione della de-mocrazia. Ma ci vuole un pensiero per arrivare aquesto. La Grecia, per esempio, deve riposizio-narsi e riqualificarsi combinando il suo carattereeuropeo e quello orientale, ovvero quello turco-bizantino. Noi dobbiamo sempre fare i conti conla storia. Quando non si tiene conto della storia, ilrischio è che si inventano mondi che non esistonoe i nodi prima o poi vengono al pettine. In gene-rale possiamo dire che la questione, la grande que-stione di questo secolo, sarà quella democrazia.Questo mi sembra evidente. Un’altra questione ècome si arriverà a sviluppare la democrazia neipaesi in cui non c’è, ma appunto questa è un’al-tra questione. Ripeto, la questione della democra-zia è la grande questione del secolo. Ogni secoloha la sua domanda iconica, attraverso la quale sicreano il lessico e i concetti tipici per quel secolo,la questione del XXI secolo sarà probabilmente laquestione della democrazia.

rivolta o rivoluzione ha riavvicinato, in un certosenso, il popolo alle dinamiche politiche. Il po-polo ha preso coscienza che il proprio destino,tutto sommato, poteva dipendere, almeno in par-te, da se stesso. Questo è un cambiamento enor-me, perché ovviamente viene meno tutto il siste-ma dell’autoritarismo politico tradizionale dellesocietà arabe, che sono fondate sull’autorità e lagerarchia. Questo è un cambiamento sociologiconotevole. Io, però, non sono del tutto entusiasta,nel senso che non siamo arrivati al punto d’arri-vo. In questo senso sono molto interessanti leanalisi comparate dei movimenti giovanili nelmodo arabo e di quelli nel mondo Occidentale.Si scopre la mancanza nel mondo arabo del con-flitto generazionale. A cosa serve questo conflit-to? Serve a far saltare il sistema d’autorità. Per-ché il sistema politico di tipo neopatrimoniale nelmondo arabo ricalca un po’ il rapporto gerarchi-co dell’autorità parentale. Finché non emergequesto, c’è sempre e comunque la possibilità diun ritorno dei demoni del passato. Ma c’è qual-cosa che è in corso, il mondo arabo è entrato inun nuovo ciclo della storia.

Quale è il ruolo dei media in Tunisia e in Egitto?Una cosa sono i media legati ad internet e un’al-

tra sono i giornali e i media tradizionali; i mediaoccidentali registrano questo fatto, però continua-no ad analizzare questi paesi con strumenti con-cettuali che sono inadeguati per cogliere la lororealtà. Malgrado siano presenti le televisioni satel-litari che rendono le informazioni disponibili pra-ticamente da subito, cioè nel momento in cui lecose accadono, io credo che siamo troppo prigio-nieri della notizia e non arriviamo a penetrare afondo questa realtà. Questo perché la conosciamopoco. Questi paesi li conosciamo poco perché nonsi conoscono le loro lingue in Occidente, e nel cor-so degli anni si è creato un muro che ha fatto sìche in pochi sono in grado di intrattenere rapporti

anche personali con questa società. Il Partito Radi-cale è l’unico partito che cerca di costruire reti dirapporti che sono fondamentali per capire ciò cheè la società araba. Non si può vedere una societàsolo attraverso lo strumento dei media. D’altraparte i media hanno avuto un ruolo importantenella primavera araba, cioè hanno accelerato l’ef-fetto domino. Non credo che un evento del gene-re sarebbe stato possibile cinquant’anni fa.

Quali media hanno contribuito a generare questieventi, quelli tradizionali o quelli nuovi?

Anche i media tradizionali, perché anche questisi commisurano con quelli nuovi. Però la questione

è più complessa e riguarda il problema di come sigoverna la notizia oggi. In questo senso sarebbeinteressante studiare come lavora internet in pre-senza di una notizia eccezionale.

Che ruolo hanno avuto i media nelle elezioni inEgitto? Hanno inciso anche nel ballottaggio alleelezioni presidenziali?

La faccenda tra l’esercito e i fratelli musulma-ni è in realtà una faccenda che dura praticamen-te da mezzo secolo, sono due corpi che si com-battono da più di cinquant’anni. Quello che nonriescono a fare i media riguarda proprio l’inno-vazione sociale, cioè i giovani. I media non sonoriusciti ad aiutare i movimenti a strutturare ciòche era la loro novità. Insomma, non sono riusci-ti ad aiutare i movimenti giovanili a strutturare lenovità che erano presenti al loro interno, acostruire un pensiero, a definire una metodolo-gia e una strategia politica. Da questo punto divista sono stati estremamente deboli, ma la fac-cenda del corpo a corpo tra esercito e fratellimusulmani è un continuum nella storia contem-poranea dell’Egitto, sin dai tempi del nazionali-sta egiziano Nasser.

Quali sono gli strumenti concettuali che potreb-bero aiutarci a capire quello che sta succedendo?

Partiamo, ad esempio, dalla faccenda della Si-ria, che è estremamente interessante. Negli scrit-ti postumi di Michel Seurat (un sociologo che èstato ucciso da Hezbollah nel 1985, e che ho co-nosciuto in quegli anni quando faceva il dotto-rato di ricerca sulla genesi dell’islamismo inLibano), recentemente ripubblicati in Franciacol titolo Syrie – L’Etat de barbarie (Puf, Parigi,2012), lui ricorreva alla teoria della società di IbnKhaldun. In particolare al concetto di spirito dicorpo. Consiglio, a tutti quelli che vogliono stu-diare il mondo arabo contemporaneo di leggere(in inglese o in francese, perché in italiano non è

MARCO GENTILI

Classe 1989, responsabile del nucleo promotore di

Viterbo dell’Associazione Luca Coscioni, Consigliere PD

del Comune di Tarquinia e responsabile alle politiche

sociali e i diritti dei Giovani Democratici di Viterbo.

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FOUAD ALLAM

Luca.76.Luca

SAMIR AMIN

Page 5: Luca. (due)

MARCO GENTILI

foto mmaarriiaa ppaammiinnii

SAMIR AMIN, esperto analista delle dinamichetra Nord e Sud del mondo, indirizza l’attenzionesulla crescente consapevolezza nelle popolazioniarabe rispetto al tema del diritto alla democra-zia sociale e politica. Nel caso specifico dell’Egit-to parla di farsa, con riferimento alle elezionipolitiche, funestate da fenomeni marcati di cor-ruzione, ma riconosce l’attivarsi di un movimen-to popolare di coscienza democratica che nonpotrà non avere conseguenze anche sul pianopolitico-istituzionale.

Quale è la specificità della rivoluzione di piazzaTahrir, ossia del caso egiziano rispetto alle altre ri-voluzioni nel Maghreb?

Ognuno di questi movimenti, che abbiamo vistoanche in altri paesi e non solo in quelli arabi, peresempio, in passato in America Latina – e proba-bilmente ne vedremo ancora –, si differenzia mol-to da un paese all’altro. Per questo parlare di pri-mavera araba in sé, dire che si tratta della stessacosa, ad esempio, in Marocco, Tunisia, Algeria,Libia, Yemen, Egitto o Siria, è un non senso. Sitratta di realtà veramente diverse, anche se esiste,ovviamente, una cornice generale, che però è glo-bale e non particolare del mondo arabo. Essa èpropria dell’attuale sistema globale capitalisticocosì come lo viviamo.

Dunque, per quanto riguarda l’Egitto, il movi-mento è forte ed è costituito da una varietà di com-ponenti. In particolare fanno parte del movimen-to la maggioranza dei lavoratori, i sindacatiindipendenti degli impiegati e della classe opera-ia, il movimento dei piccoli contadini, ma anchemovimenti delle classi medie, che lottano per lademocratizzazione del paese e per un certo gradodi secolarizzazione della società. Le componentisono diverse, ma condividono tre obiettivi princi-pali, che sono legati tra loro e che non devonoessere mai separati. Uno è la democratizzazione

della società, e dico democratizzazione poichénon ci sono grandi illusioni riguardo alle elezio-ni in Egitto. La gente in Egitto non riduce lademocrazia alla possibilità di partecipare a ele-zioni. Queste possono essere una farsa, l’abbia-mo visto, e la gente in Egitto lo sa bene. La demo-cratizzazione è concepita come il diritto dellagente, cioè come il diritto delle classi popolari adorganizzarsi liberamente, non solo nei partitipolitici, ma in sindacati e in varie organizzazionidella società civile, per difendere se stesse. Que-sto significa democratizzazione, ma include an-che altre sfide come la secolarizzazione dellasocietà e l’emancipazione delle donne. Questo èl’obiettivo principale. Il secondo è il progressosociale! La democratizzazione non può essere se-parata dalla lotta per conquistare migliori condi-zioni di vita. In particolare, il progresso socialeriguarda, per esempio, il miglioramento dellecondizioni di lavoro, l’aumento dei salari, dellepensioni e poi i problemi legati all’educazione ealle scuole, quelli relativi al sistema sanitario e aitrasporti. Infine c’è il terzo obiettivo, che collegai primi due. Noi in Egitto diciamo karama, chesignifica onore (dignità) della nazione. Insommail significato è che noi siamo una nazione anticae indipendente e non dobbiamo né vogliamo es-sere sottomessi alle strategie geopolitiche dellealtre potenze nella regione, e in particolare degliUsa e di Israele. Questi tre scopi sono chiaramen-te espressi dal movimento. Ovviamente, in baseall’appartenenza all’una o all’altra classe, ciascunobiettivo è più o meno accentuato, oppure è più omeno importante nella coscienza o nelle azioni diuna singola organizzazione. Così, ad esempio, ilprogresso sociale è più accentuato nelle rivendi-cazioni delle classi popolari, mentre la democra-tizzazione è sostenuta con più forza dai membridelle classi medie meglio scolarizzati. Comun-que, si tratta di tre obiettivi comuni alle diversecomponenti.

Chi sono i protagonisti della rivoluzione egiziana?Quale è la loro composizione sociale e come sirapportano con gli altri segmenti della società?

C’è una coscienza crescente da un anno e mez-zo a questa parte. Nel gennaio – febbraio 2011,questi obiettivi forse erano ancora un po’ confu-si nella mente della maggior parte delle persone,ma progressivamente si sono compresi perché èin atto un enorme processo di ritorno alla politi-ca. La gente lo sta dimostrando non solo con slo-gan in piazza, ma dibattendo continuamente.Questo processo di ritorno alla politica sta aiutan-do moltissimo a chiarire il senso di questi obietti-vi comuni. Questo ha avuto un riflesso anche alprimo turno delle elezioni presidenziali. HamdinSabahi, che era il terzo classificato, e per questoè stato eliminato dal secondo turno, è un uomoche sa parlare e che ha perfettamente compresoquei tre scopi, nonché la loro interconnessione.Nei suoi discorsi ha presentato in modo inequi-vocabile gli obiettivi dei movimenti o della cosid-detta rivoluzione. Il primo turno, comunque, èstato una farsa. Gli altri due candidati, MuhamedMorsi e Ahmed Shafiq, hanno avuto miliardi didollari e il sostegno dei media. Insomma, aveva-no tutto, mentre Hamdin Sabahi non aveva nul-la eppure, ufficialmente, tutti e tre hanno ottenu-to un numero di voti più o meno uguale,all’incirca tra i 4 e i 5 milioni. Questa è una gran-de vittoria per il movimento. Questo significache nonostante tutto, il movimento ha cambiatodelle cose. I fratelli musulmani hanno imbroglia-to parecchio, hanno distribuito quello che noichiamiamo abukartona: se votavi i fratelli musul-mani venivi ricompensato con una scatola di car-ne, una bottiglia di olio, un chilo di zucchero.Non è poca cosa in Egitto. Questa è la ragioneper cui io dico che le elezioni sono state una far-sa, e la gente questo lo sa. La cosa strana però,ma forse neanche troppo, è che nessuno degli os-servatori, né quelli europei né quelli americani,

hanno visto quello che hanno visto tutti in Egit-to, cioè che Sabahi ha avuto un grande sostegno.Insomma, ottenere tra i quattro e i cinque milio-ni di voti non è poco, significa avere dalla pro-pria parte quasi tutti quelli che sono attori attividella società, cioè la forza efficiente della societàegiziana.

C’è mobilità sociale in Egitto?La mobilità sociale in Egitto è finita parecchio

tempo fa. Di mobilità sociale si poteva parlare aitempi di Nasser, cioè precisamente dal 1955 al1970. A quell’epoca c’era un grande spostamen-to verso l’alto delle classi popolari, verso lo sta-tus delle classi medie. Questo grazie al successodi quel sistema, nonostante i suoi limiti e le suecontraddizioni. Questa mobilità era ciò che davalegittimità al sistema di potere di Nasser. Nono-stante fosse tutto imposto dall’alto, senza demo-crazia, per cui la gente era chiamata ad approva-re e sostenere, e non invece a contribuirepositivamente ed attivamente deliberando lepolitiche. Però, subito dopo la morte di Nasser,appena ha preso il potere nel 1970, Sadat haabbandonato completamente la linea nasseriana,sposando quella liberista. Così, in pochi anni lamobilità sociale verso l’alto si è fermata. Questoè probabilmente anche uno dei principali motiviper cui le classi medie, o larghi strati della popo-lazione, partecipano al movimento.

Lei ritiene che le elezioni siano state una farsa, maallora quale è stato il ruolo dei media?

Deve sapere che il sistema in Egitto è basato sulsostegno di due forze maggiori, l’Alto comandomilitare e i Fratelli musulmani. Si tratta di forzeche sono in realtà alleate tra loro e non sonoaffatto nemiche. L’Alto comando militare e i Fra-telli musulmani sono alleati, nonostante il con-flitto esistente tra loro riguardi il tema di chi deb-ba controllare in ultima istanza il potere. Non è

vero che i Fratelli musulmani erano all’op-posizione ai tempi di Sadat e di Mubarak. SiaSadat che Mubarak hanno affidato loro il control-lo della TV e il Ministero dell’educazione. Così,per esempio, è stato introdotto il velo nella socie-tà egiziana. Hanno dato loro anche il Ministerodella giustizia e cosi è stata reintrodotta la Sha-ri’a. Le sembra che si possano dare queste posi-zioni agli oppositori? la TV, il Ministero dell’edu-cazione e quello della giustizia. Loro sono soci.Ai tempi di Sadat e di Mubarak, erano soci, mai comandi militari erano al potere e i Fratelli mu-sulmani governavano solo quei particolari settori,anche se sono settori molto importanti della

società. Le elezioni, però, hanno introdotto il con-flitto tra gli alleati. L’Alto comando militare diffi-cilmente può riscuotere popolarità tra le masse.Hanno governato in modo silenzioso senza maidire cosa fanno e perché. Loro sono il potere agliocchi della maggior parte della gente. Per questomotivo la gente è spontaneamente contraria aloro. I Fratelli musulmani invece, con i lorodiscorsi religiosi possono avere un certo ascolto edi fatto lo hanno. In particolare, questo supportoè legato, io l’ho scritto più volte, al populismo.Così, se riflettiamo in questa prospettiva, al primoturno delle elezioni, possiamo dire, semplificando,che abbiamo avuto una situazione in cui la popo-lazione si è divisa in tre terzi. Da una parte abbia-mo Sabahi e la parte più attiva della popolazione.C’è una seconda parte di persone che sono sem-plicemente stanche. Per esempio, il turismo è crol-lato e ci sono milioni di persone che vivono divarie attività connesse al turismo. Queste personehanno votato Shafiq. Si sono dette: accettiamo ilsistema così com’è, sperando che non sarà più cosìduro o così poliziesco e non ci saranno più tortu-re. La terza parte è quella che sostiene i Fratellimusulmani, i quali però ricevono appoggi ancheper via della corruzione. E questo ha creato unacontraddizione.

Possiamo dire che più che dai media il fermentosociale nasce dal movimento, da luoghi come piaz-za Tahrir?

Si, però attenzione. Piazza Tahrir è solo uno deitanti posti, è un simbolo perché è una piazza alcentro della capitale del paese. Comunque, cisono tante piazze simili in Egitto, dove la gentesi raccoglie e discute. Insomma, la gente si radu-na anche nei quartieri di altre città. È moltomeglio parlare del movimento come parte attivadella società.

Luca.98.Luca

NICKOLASASHFORD & VALERIESIMPSON

“Cause baby,There ain’t no mountain

high enoughAin’t no valley low enoughAin’t no river wide enough

To keep me from getting to you”.

AIN’T NO MOUNTAIN HIGH ENOUGH

SOUNDTRACK

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Amr MoussaCandidato Independente

2.588.85011.13%

Il 10 maggio si è svolto il dibattito televisivo trai candidati che i sondaggi davano come favoritial primo turno delle presidenziali in Egitto pre-viste per il 23 e il 24 maggio: l’ex segretario del-la Lega Araba Amr Moussa e l’islamico modera-to Abdul Moneim Aboul Fotouh

I candidati ammessi al primo turno erano tre-dici. Il dibattito è stato trasmesso su due canaliprivati, l’ONtv e Dream, ed è stato organizzatoin collaborazione con due quotidiani, Al-MasryAl-Youm e Al-Shorouk.

I moderatori erano Yosri Fouda, ex corrispon-dente di al-Jazeera ed ora popolare anchorman perONtv e Mona al-Shazly, nota giornalista televisiva.

Ogni candidato disponeva di due minuti perrispondere a ciascuna domanda e aveva il dirittodi commentare la risposta dell’avversario. I duecanididati potevano anche rivolgere una doman-da al proprio avversario alla fine di ciascuna par-te del dibattito.

Nella prima parte si è parlato di costituzione edi poteri presidenziali, mentre nella seconda del-la piattaforma elettorale dei due candidati, delsistema giudiziario e di altri temi.

Il dibattito è durato tre ore.Al primo turno delle elezioni presidenziali i due

candidati che hanno partecipato al dibattito sono

stati superati da Mohammed Morsi e Ahmed Sha-fik, che poi si sono contesi la vittoria al secondoturno, e anche dal leader “nasseriano” del Parti-to della Dignità, Hamdin Sabahi.La legge egiziana impone ai candidati di dichiara-re le proprie spese elettorali e i finanziamenti rice-vuti. Nessuno dei candidati l’ha fatto.

Mohammed Morsi dei Fratelli Musulmani havinto il secondo turno delle elzioni presidenzialied è stato eletto nuovo presidente. Ha ottenutoil 51.7% dei voti contro il 48.3% dell’avversarioAhmed Shafik.

L’affluenza alle urne è stata del 51%. Il neo pre-sidente egiziano ha ottenuto 13 milioni di votimentre Shafik 12 milioni.

DEMOCRAZIAEGIZIANA

Mohamed MorsiLibertà e Giustizia

5.764.95224.78%

Abdel Moneim Aboul FotouhCandidato indipendente

4.065.23917.47%

Ahmed ShafikCandidato indipendente

5.505.32723.66%

Hamdin SabahiPartito della Dignità

4.820.27320.72%

illustrazione Stefano Guerriero

Luca.1110.Luca

I candidati.

Page 7: Luca. (due)

A trentaquattro anni dal varo della legge 194che ha regolato l’interruzione volontaria digravidanza, nel nostro Paese resta impossibileparlare di aborto senza toccare il tasto del-l’obiezione di coscienza. Un tema scottante,attorno al quale – nel mondo della politica,del femminismo, del cattolicesimo e nellasocietà in genere – si è sviluppato un accesodibattito, che però si è spesso mantenutoesclusivamente sul piano etico e teorico, so-speso tra le alte sfere della speculazione in-tellettuale. Materia per filosofi morali e pensa-tori, insomma, senza mai penetrare davvero lacarne viva dell’esperienza quotidiana.

Quella delle donne, in particolare, su cui siripercuotono con maggior forza gli effettidell’obiezione di coscienza, che con ritmocrescente vede ingrossare le sue fila di gineco-logi, anestesisti, infermieri e altri operatorisanitari a vario titolo coinvolti nella praticadell’interruzione di gravidanza, fino a sfiora-re punte regionali del novanta per cento. Edel cento per cento in alcune strutture ospe-daliere. È infatti dietro questi numeri, impres-sionanti, che va in scena il dramma muto didonne per le quali l’accesso all’aborto si rive-la via via più complicato, ostacolato o sbarra-to dall’obiezione dei medici. Mentre gli abor-tisti ancora sulla piazza – al pari di valorosieroi moderni – si fanno carico, insieme al pro-prio, del lavoro dei colleghi obiettori, conenormi costi personali e professionali. Già,perché se è vero che in una sanità come quel-la italiana – sempre più terreno di conquista e

controllo di potere – l’obiezione di coscienzaè diventata un viatico per la carriera, conti-nuare a effettuare aborti può compromettereogni prospettiva di promozione e avanzamen-to, e perfino trasformare l’interruzione di gra-vidanza in un ghetto professionale. Ecco per-ché quei dati sull’obiezione segnano unorizzonte, oltre il quale diventerà sempre piùcomplicato formare le nuove leve alla praticadi questo intervento, col rischio che quando imedici della vecchia guardia andranno inpensione ben pochi tra i giovani camici bian-chi saranno in grado di eseguire un aborto. Ma allora come far fronte ai gravi effetti colla-terali del conflitto tra i due diritti sanciti dalla

legge 194, ossia quello della donna a chiederel’aborto e quello dei medici a rifiutarsi di pra-ticarlo per questioni di coscienza?

“Quello all’obiezione è un diritto che vacertamente garantito. Obiettare però non do-vrebbe essere così semplice, è una scelta cheandrebbe argomentata”. La giornalista eblogger Marina Terragni, da sempre in primalinea nelle grandi battaglie al femminile, nonmette in discussione la legittimità della sceltadi fare appello alla propria coscienza, quan-to piuttosto le modalità di accesso a questafacoltà, specialmente se rapportate a quellecon cui le donne possono ottenere l’interru-zione di gravidanza. “Per abortire devo anda-re da uno psicologo che in un certo senso

decide se “merito” l’IVG gratuita e assistita.Invece un medico per obiettare basta che dica:io obietto. E il suo primario gli dice anche:bravo! Così non va bene, rendiamo questopercorso più complesso, ostacoliamo l’obie-zione e vediamo cosa succede. È chiaro chenon si può obbligare qualcuno a praticare l’in-terruzione di gravidanza, sarebbe violento,ma sono sicura che nessuno sia contento difare un intervento come questo, diciamoci laverità. È un gesto cruento e non si compie acuor leggero. Nessun medico si alza la matti-na contento di fare dieci aborti perché o li falui o non li fa nessuno. Però se uno si rifiuta,addirittura come anestesista, di prestare assi-stenza a una persona che abortisce, deve moti-varlo e forse non soltanto all’interno dellastruttura, altrimenti devi essere trattato comeuna specie di disertore di una legge naziona-le, come i disertori militari”. Ma fino a chepunto, poi, c’entra la coscienza? Su questoTerragni è ferma: “Sono convinta che tra gliobiettori c’è chi non è nemmeno mai stato bat-tezzato e che al massimo il 10 per cento del-l’obiezione sia riconducibile a una fede cosìferma da impedire di praticare un aborto.Intanto chi obietta voglio vederlo andare amessa tutte le domeniche e poi dovrebbepagare un prezzo in termini di carriera. Nonfai aborti? Allora non parteciperai neanche aquesto gruppo di lavoro, oppure a questaricerca. Insomma, sull’obiezione servirebbe-ro norme più severe e, nelle realtà in cui nonc’è nemmeno un medico che pratichi aborti,pensare magari a forme di precettazione”.

Per la scrittrice sarda Michela Murgia com-plicare la vita agli obiettori non serve. Anchelei impegnata con decisione sul fronte dei di-ritti delle donne, che chiama “sorelle”, Mur-gia vanta studi teologici e trascorsi da educa-trice nell’Azione cattolica. Tuttavia – spiega –la sua posizione sull’aborto la pone di fatto aldi fuori della dottrina cattolica, che in materia

DEMOCRAZIAREALE

Simone Sapienzatext

Marta Zucco Oteiimg

ABORTO:QUANDOIL MEDICOOBIETTAINTERVISTA A MICHELA MURGIAE MARINA TERRAGNI

CASOITALIA

Valentina Ascionetesto

Marcia Zucco Oteiillustrazioni

Luca.13

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accoglienza nei confronti delle madri e deibambini: “mentre siamo ancora in un Paesedove se tiri fuori una tetta per allattare ti cac-ciano fuori dal bar!”. “Ciò che spesso ostaco-la il desiderio femminile di mettere al mondoun figlio, infatti, sono le condizioni di lavoroe quelle affettive e sentimentali, perché ledonne devono contrattare la maternità coldatore di lavoro e col compagno che non èmai pronto. Ma anche con la società, che daun lato le colpevolizza se non fanno figli edall’altro se invece ne fanno, e le lascia com-pletamente sole. È necessario che sulla que-stione dell’aborto anche gli uomini si assuma-no le proprie responsabilità. Sono stufa diuomini che parlano di aborto in modo orri-bile, come il sindaco di Roma Alemanno allaMarcia per la vita o il giudice di Spoleto cheha sollevato l’eccezione di incostituzionalitàsulla 194 – continua Marina Terragni –. Ledonne sono sempre costrette a essere aderen-ti alla vita e loro invece, politici, giudici, sitengono lontani. Parlano dei massimi sistemie teorizzano del mondo dello spirito”. Secon-do Michela Murgia ogni volta che gli uominisono entrati in questo dibattito hanno fattodanni. “A quelli che vorrebbero decidere diquello che ho io dentro la pancia vorrei dire:ma in che mondo vivete? Noi donne, cattoli-che e non, possiamo anche essere molto indisaccordo, ma spetta a noi discuterne. Nondobbiamo ammettere invasioni di campo edifendere da questa pressione le nostre sorel-le che si trovano davanti a una scelta”. C’è unfortissimo potenziale simbolico che si muoveintorno al corpo della donna e al suo control-lo, “quasi fosse un patrimonio collettivo –osserva Terragni – lo dimostra il fatto che inguerra le peggiori nefandezze si esercitanoproprio sul corpo delle donne, ritenutoappunto patrimonio del nemico”. Su di esso«si sincretizzano tutti i simboli della nostracultura – spiega Murgia – ogni volta che sulcorpo femminile viene proiettato il simbolo

di qualcos’altro esso assume un valore pub-blico doppio, triplo, decuplicato, come nelcaso dell’aborto: dal punto di vista dell’im-maginario collettivo la donna che abortiscesta compiendo un atto contro l’umanità, per-ché simbolicamente sta abortendo l’interogenere umano”.

La soluzione per strappare la donna, con ilsuo corpo e la sua libertà di scelta, al terrenodello scontro politico e a diatribe di carattereetico, ma anche per arginare gli effetti deldilagante fenomeno dell’obiezione di coscien-za, sarebbe secondo Marina Terragni “sottrar-re l’aborto al diritto”. “La strada della depe-nalizzazione, indicata anche dai radicali primadell’approvazione della 194, era quella giustae mi domando se non valga la pena oggi di ria-prire il dibattito. La 194, con tutte le media-zioni dello Stato, non sta funzionando. Se in-vece stabilissimo che ciascuna può abortire

nella clinica che vuole, senza essere persegui-ta insieme al medico, elimineremmo moltiproblemi. Non so perché non sia mai accadu-to, e non vorrei suggerire una strada all’avver-sario, ma la vera obiezione che dovrebberosollevare i cattolici ferventi è quella fiscale,perché oggi si costringe l’intera cittadinanza acontribuire economicamente all’interruzionedi gravidanza. La depenalizzazione porrebbefine anche a questa ingiustizia. Ovviamenteandrebbero previste forme di assistenza ga-rantita per chi non ha i mezzi per rivolgersi aiprivati...”.

In proposito, invece, Michela Murgia è cate-gorica: “Questo varrebbe se fossimo tutteconsapevoli, strutturate, a conoscenza deinostri diritti e di tutte le alternative, ogni vol-ta che se ne presenta l’occasione. Ma come lametti quando ti trovi davanti a donne con si-tuazioni in cui non hanno il pieno controllodel proprio corpo, donne con mariti violenti...

è tutt’altro che elastica, configurandola comeun’eretica. Per lei, infatti, “il diritto garantitoalla donna dalla legge 194 di poter decidere seportare avanti una gravidanza, o se invece nonfarlo a determinate condizioni, va assoluta-mente tutelato”, però, “il suo mantenimentonon può essere scaricato su chi fa obiezione dicoscienza”. Ginecologo e abortista non sono,secondo Michela Murgia, due mestieri coinci-denti e quella dell’aborto non è una praticaautomaticamente prevista dall’esercizio dellaprofessione di ginecologo; è invece una possi-bilità stabilita della legge che però prevedeanche che a questa pratica ci si possa sottrar-re. “Si tratta di un tema estremamente delica-to e moralmente dibattuto, ci sono personeche in piena coscienza sono convinte che pra-ticare un aborto equivalga a eseguire un omi-cidio, per di più di una creatura innocente.Ritengo che chi abbia questa convinzione pro-fonda non possa essere obbligato ad agire in

maniera contraria e che ciò non significhi chedebba smettere di fare il ginecologo”. E non èimportante – osserva – se dietro la scelta del-l’obiezione “ci sia una questione di coscienzaoppure no. Di sicuro c’è una questione cultu-rale e su quella non si può sindacare”, ma nonè rendendo l’obiezione un percorso a ostacoliche si tutelano le donne, perché in questomodo “si rischierebbe una guerra tra loro e imedici obiettori. Sono invece le strutture sani-tarie a dover garantire alle donne il loro dirittoe lo Stato dovrebbe responsabilizzarle, anchecon norme coercitive”. Come? “Ad esempiostabilendo delle quote: se in un ospedale cisono 50 medici obiettori, gli altri 50 devononecessariamente essere non obiettori. Quandola quota di obiettori è satura, il cinquantunesi-mo cambia ospedale, oppure si mette in fila efinché non libera un posto non fa il medico”.A quel punto, quando obiettare diventa scon-veniente, è probabile che qualcuno cambi idea,

spiega Murgia: “È il medico che ha sceltol’obiezione a doversi spostare. Non la donna,che oggi è costretta ad affrontare un calvariodi ospedale in ospedale fino a trovarne unodove non siano tutti obiettori, con addossol’incubo delle settimane che passano. Se la-sciamo che l’obiezione di coscienza possaraggiungere e coprire l’intero organigrammaospedaliero di ginecologia stiamo di fatto di-cendo che quel diritto vale più di quello del-la donna, e non è corretto”.

Ed è proprio nel calvario descritto da Miche-la Murgia che si nasconde forse l’attacco piùviolento mai sferrato contro la 194. Tanto vio-lento, quanto sottile e più preoccupante dellesguaiate dichiarazioni di guerra che periodica-mente finiscono sulle prime pagine. Perché,invece di mettere palesemente in discussionel’impianto legislativo, o peggio la legittimità diuna libertà di scelta conquistata e da tempoacquisita, mira agli ingranaggi stessi della leg-ge con l’obiettivo di paralizzarne l’applicazio-ne. Se dunque la donna è condannata a parto-rire con dolore, non potrà che abortire conimmane fatica. Se proprio vuole.“Tutto ciò che riguarda la facilitazione dell’in-terruzione di gravidanza, come la famosaRU486 – ma anche la “pillola del giorno do-po” e la semplice contraccezione – viene osta-colato in tutti i modi, ma non è che se unadonna non riesce a trovare come abortire allo-ra non abortisce”, spiega Marina Terragni.“Tocca alle donne regolare la natalità, è uncompito che è stato dato a loro e quando unadonna, per le ragioni sue più personali, nonvuole un figlio è inutile cercare di frapporredegli ostacoli e aumentare la sofferenza, per-ché non cambierà idea, ma affronterà tutte lesofferenze di questo mondo pur di raggiun-gere il suo obiettivo”. Disagio e dolore, infat-ti, non sono certo deterrenti efficaci. Biso-gnerebbe invece lavorare su nuove politichedi welfare e di natalità, fatte di servizi e di

Luca.1514.Luca

MARINA TERRAGNI

MICHELA MURGIA

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ci sono migliaia di casi diversi e a quelle per-sone non basta rispondere: tu vai lì e chiedi diabortire. Bisogna invece offrire supporto edelle alternative, se togli questo meccanismoda un sistema, a quelle persone non resta altroche un atto burocratico”.

“La gravidanza – continua – ha a che fare conla volontà della donna, non è una malattia.Non valgono i principi che si applicano aiproblemi di salute, a meno che non sia arischio la salute stessa della donna. Noi peròdifendiamo anche il diritto della donna sanacon un figlio sano nella pancia a non volerlo».Il perimetro dell’assistenza pubblica è, secon-do la scrittrice, una forma di tutela e garanziaper le donne. Ecco perché sottrarre la praticadell’interruzione di gravidanza al controllodello Stato significherebbe lasciare le donnesole con il proprio problema: “mi spavental’idea che questa decisione, con tutto il suopeso, sia in carico esclusivamente alla donna.Quando invece una donna si rivolge a unastruttura pubblica, in quel momento la suarichiesta diventa “pubblica”, perché c’è un in-tero sistema che le viene incontro e c’è un di-ritto che le viene garantito”.

Il problema, secondo Michela Murgia, è lapiena applicazione della legge 194: “una leg-ge che non si limita ad autorizzare l’aborto,ma dovrebbe offrire alla donna tutta unaserie di servizi correlati che al momento nonle vengono offerti. Servizi di supporto psico-logico, economico, e anche un aiuto di tipoculturale. Ma perché una scelta delicata comel’aborto, che attiene alla sfera più intima del-la persona, dovrebbe essere considerata sot-to il profilo culturale? Due terzi delle perso-ne che conosco e che hanno interrotto unagravidanza – racconta Murgia – l’ha fatto pro-prio a causa della pressione culturale, in con-testi in cui quella gravidanza non sarebbe sta-ta accettata o sarebbe stata giudicata. Non so

se in casi come questi il singolo aborto sia frut-to di una decisione non solo individuale, oinvece collettiva. Probabilmente quelle donnein altre condizioni quel figlio l’avrebbero tenu-to. Ecco perché non si può considerare l’abor-to un fatto personale e basta: quando prendiquella decisione, lo fai sulla scorta di decinedi influenze esterne a te. Ci sono certamentedonne che pur non avendo problemi econo-mici, né la paura di essere giudicate o altricondizionamenti decidono comunque di nonportare avanti una gravidanza, ma non sonola maggioranza. La stragrande maggioranzaprende questa decisione perché si trova incondizioni drammatiche. Tu puoi dire a unadonna che decide di abortire perché ha pau-ra di perdere il lavoro: è un fatto privato?Non è un fatto privato, perché se esiste unalegge che consente a un datore di lavoro diportarti via il posto perché rimani incinta èun fatto pubblico”.

Se dunque Marina Terragni ravvisa nel po-tere di relazione, con la sua natura imperfettae il suo margine di errore, uno strumentoimportantissimo per colmare i vuoti di mec-canismi burocratici e legislativi da cui temicome la nascita e la morte si lasciano difficil-mente astrarre; e invita i medici degli ospeda-li dove non si praticano interruzioni di gravi-danza a confrontarsi insieme sulle proprieresponsabilità, mettendo in campo un impe-gno soggettivo e una testimonianza diretta (“ilRwanda si è riconciliato e rimesso in cammi-no dopo il terribile genocidio grazie alla giu-stizia tradizionale dei tribunali Gacaca”), dal-l’altro Michela Murgia mette in guardia dairischi che possono annidarsi proprio nellerelazioni: “il potere di relazione è importante,non dovrebbe essere lo Stato a incarnarlo edè sempre pericoloso quando lo fa, ma in unacomunità disgregata, quando hai venti anni,un contratto a progetto e rimani incinta, lacomunità diventa il tuo primo nemico. In quel

caso le relazioni non ti salvano, ma sono alcontrario ciò che ti condanna. Ho sentito tan-te donne dire: “quella è sempre incinta e mitocca lavorare al posto suo”. E in quelle con-dizioni, in una comunità che ti opprime, percerti versi diventa un atto di autodetermina-zione più forte tenerselo, il bambino, che nonabortire. Se scelgo di sfidare le pressioni con-trarie che mi suggeriscono che se faccio unfiglio divento giudicabile, inutile sul lavoro ese non ho marito anche moralmente additabi-le, paradossalmente la mia autodeterminazio-ne è più forte. Mentre abortire è come dire:va bene, avete ragione, un figlio non lo faccio.Parlare di autodeterminazione è come parla-re di libertà. Nessuno è mai davvero libero,anche al ristorante scegliamo tra dieci piatti enon tra tutti quelli possibili. Dipende da chidetermina le condizioni di scelta in partenza:a volte sono io, ma la maggior parte delle vol-te no e nel caso dell’aborto non sono quasimai io. Spesso la scelta dell’aborto è un atto diresistenza contro tutte le condizioni che cerca-no di determinarmi, perché per me può esse-re più importante tenermi un lavoro che tener-mi un figlio. E questo diritto deve essermiriconosciuto, però mi domando se sia giustoessere messi davanti a questa scelta”. L’abor-to, conclude Murgia, dovrebbe restare per unadonna l’ultima delle scelte possibili: “affinchéquando una donna lo chiede, e ha il diritto diaverlo, sia davvero dopo aver valutato tuttele altre strade. Allora sì. Ecco perché vogliovederla applicare tutta la 194”. Questa leggeche i cittadini italiani difesero a larghissimamaggioranza dal referendum abrogativo volu-to dalla Chiesa poco dopo la sua approvazio-ne; che fino ad oggi ha consentito di ridurregli aborti del cinquanta per cento senza maismettere di subire attacchi. Ma che parados-salmente, chiosa Marina Terragni, “davanti auna legge di depenalizzazione sarebbe difesacon un referendum, perché a questo punto èuna forma di controllo”.

16.Luca

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“IL PIÙ BEL FILM POLITICO DELL’ANNO,e forse del decennio, e anche il più grande filmreligioso dell’anno, e forse del decennio. Si trattadi Hunger, cioè Fame, esordio-capolavoro di Ste-ve McQueen.” Così il critico cinematografico Fa-bio Ferzetti ha descritto l’opera prima del nuovoenfant prodige del cinema inglese, Steve McQueen,uscita con quattro anni di ritardo nelle sale italia-ne, e che racconta le diverse forme di protesta (dal-lo sciopero dell’igiene allo sciopero della fame adoltranza) messe in atto nel 1981 all’interno di uncarcere di massima sicurezza nordirlandese daalcuni leader dell’Ira (tra questi Bobby Sands).Insuperabile e libero sul piano estetico, il film hauna sua indubbia solidità di scrittura. Lo dimostrala parte della sceneggiatura (di Edna Walsh e del-lo stesso Steve McQueen) che qui riproduciamo, eche riguarda il dialogo tra Bobby Sands e PadreDominic. Il primo, deciso a difendere le ragionidella scelta dello sciopero della fame ad oltranza, ilsecondo convinto dell’inutilità di una scelta cheimpedisce il dialogo.

PADRE DOMINIC: Che volevi dirmi? Cos’hai in mente? Il direttore ti è già andato di traverso?

BOBBY: (fuma) È questo gioco del negoziato.Fumo negli occhi. Questa gliela vendogratis.

PADRE DOMINIC: Ma tu capisci perché dovete farlo?BOBBY: Non siamo più una buona propaganda.PADRE DOMINIC: Secondo chi, quelli che comandano?BOBBY: È il momento. Una decisione va presa.PADRE DOMINIC: Secondo te è questo che i leader

pensano?BOBBY: Può darsi. Non lo so.PADRE DOMINIC: Non c’è un po’ di paranoia?BOBBY: In diecimila hanno marciato per i set-

te che facevano lo sciopero, giusto?PADRE DOMINIC: Giusto.BOBBY: Pressioni internazionali sul governo

inglese.PADRE DOMINIC: Ho presente.BOBBY: Perfino il Papa ha detto la sua, è inter-

venuto. Tutto il mondo ha cercato di spingere la Thatcher a fare marcia indietro. Ma non è servito a niente.

PADRE DOMINIC: Esatto.BOBBY: Lo sciopero della fame è fallito. Siamo

in prima linea. Noi abbiamo dato vita

alla protesta. È nostra la responsabili-tà. I leader sono stati molto chiari conme. Quattro anni e mezzo di “prote-sta sporca” è vero, sì, che hanno datorisalto al movimento Repubblicano, ma ci hanno distolto da un più ampio sviluppo dell’organizzazione.

PADRE DOMINIC: Questo perché i vostri sono bisogni specifici.

BOBBY: Certo, chiaro. Perché una donna che cresce tre figli a Belfast ovest dovreb-be fregarsene dei vestiti tipo-civile ocome cazzo chiamano quei costumida pagliaccio?

PADRE DOMINIC: (acc) Li ho visti.BOBBY: Giuro su Dio. Ci avevano promesso i

nostri vestiti! Sono trucchetti da bam-bini.

PADRE DOMINIC: E la leadership ne ha abbastanza di voi.BOBBY: In un mondo ideale, combatteremmo

le nostre battaglie da soli, ma siamo legati. Non è cambiato niente qui, nonsi è mosso niente. Il movimento è bloc-cato insieme a noi finché non ci sarà un passo concreto verso lo status poli-tico. Questa è la realtà. E secondo lei vado a trattare con quegli schifosi rin-negati bugiardi quando non c’è nien-te sul tavolo? È merda allo stato puro. Non ci penso proprio ad andare dal direttore… incastrarmi in una discus-sione inutile e imbecille… con quel supponente bastardo.

PADRE DOMINIC: Beh, lui è un tuo grande fan.BOBBY: Una noce ha più cervello di lui, mi

creda. È stupido. Come hanno fatto a

farlo direttore, cazzo? È un insulto all’umanità.

PADRE DOMINIC: Madre di Dio, dove le trovi tutte que-ste energie?

BOBBY: Facevo corsa campestre da ragazzo.PADRE DOMINIC: (sospira) Dovevo immaginarlo che

avevi un bel motore dentro. E così fa-cevi corsa campestre. Spiega molto dite, Bobby.

BOBBY: Mi piaceva un sacco. La campagna era quello per me. Dovevano tenermiquando arrivavo al traguardo, se no continuavo a correre. Eravamo dei gatti randagi in libera uscita. Spaven-tati dalle vacche. Fu un bel periodo.

PADRE DOMINIC: Spaventati dalle vacche?BOBBY: Eravamo terrorizzati. Pensare che

uscivano latte e hamburger da quei mostri? Cristo Santo. Nella prossimavita rinasco in campagna, garantito. La natura, gli uccelli. Sì, mi piace. Il paradiso.

PADRE DOMINIC: Già. E impareresti anche a rilassarti.BOBBY: Già. Può darsi, chi lo sa? Non ci ho

mai provato. Inizio uno sciopero dellafame il primo marzo. Per questo l’ho chiamata. Glielo volevo dire.

PADRE DOMINIC: Sì. Girava voce. La tua famiglia lo sa?BOBBY: Gliel’ho fatto sapere, sì.PADRE DOMINIC: Hai parlato con loro?BOBBY: Lo farò tra due settimane. Quando

verranno.PADRE DOMINIC: Come pensi che la prenderanno?BOBBY: Lei che cosa dice?PADRE DOMINIC: E il tuo bambino? E cosa rende que-

sto sciopero così diverso dall’ultima volta?

BOBBY: L’ultimo sciopero si è incrinato. Con-dizionato dall’emotività. Hanno ini-ziato in sette tutti insieme. Non han-no avuto la forza di lasciar morire il più debole, il che ha dato via libera agli inglesi per fregarci e così ci siamo ritrovati, fregati. Questa volta invece si parte a intervalli di due settimane unodall’altro; chi muore, viene rimpiazza-to. Siamo un discreto numero. 75 uo-mini si sono proposti.

PADRE DOMINIC: Oh, per l’amor di Dio!BOBBY: L’annuncio verrà fatto oggi. (fuma)PADRE DOMINIC: Quindi questa protesta è diversa per-

ché tu sei pronto a morire, Bobby?

Luca.19

HUNGER

Edna Walsh e

Steve McQueen

testo

Bimfoto

Page 11: Luca. (due)

Non dell’immolazione di qualcuno chesi rifiuta di negoziare, che cerca solo la resa totale della Thatcher. È una co-sa ridicola, Bobby. È distruttivo.

BOBBY: Cosa, cosa è successo qui negli ultimi quattro anni? Brutalità, umiliazioni. Privati dei nostri diritti fondamentali.Tutto questo deve finire.

PADRE DOMINIC: Attraverso il dialogo.BOBBY: E cioè? Accettiamo l’offerta, ci mettia-

mo quell’uniforme? Come non fosse successo niente? Potremmo farlo, co-me no? O comportarci come l’eserci-to che diciamo di essere e dare la vita per i compagni.

PADRE DOMINIC: Non c’è neanche un minimo spiraglioda parte tua, da cui ripartire per unnegoziato?

BOBBY: Non accadrà mai.PADRE DOMINIC: Bene, lasciamo perdere. Voglio sape-

re se la tua intenzione è semplicemen-te quella di suicidarti.

BOBBY: Vuole che ragioni sulla moralità di quanto sto per fare, se si tratti o no disuicidio? Intanto, lei lo chiama suici-dio. Io lo chiamo omicidio. E fa un’al-tra piccola differenza tra noi due. Sia-mo entrambi cattolici. Entrambi re-pubblicani. Ma mentre lei pescava difrodo su a Kilrea, la mia casa veniva bruciata a Rathcoole.

PADRE DOMINIC: (acc) Lo so.BOBBY: Siamo simili, per molti aspetti, ma la

vita e le esperienze hanno plasmato lenostre idee in modo diverso, capisce?

PADRE DOMINIC: Capisco, sì.BOBBY: Io ho la mia idea. E nella sua sempli-

cità c’è tutta la sua forza.PADRE DOMINIC: (fiato) Quindi a che servirebbe la tua

morte? A mettere sotto i riflettori l’in-transigenza inglese, a che cazzo ser-ve? Tutto il mondo sa come sono gliinglesi.

BOBBY: Bene.PADRE DOMINIC: Sì, è un bene. E non ha niente a che

fare con te. Hanno un curriculum di merda lungo centinaia di anni.

BOBBY: Avverto un certo astio, Padre.PADRE DOMINIC: Vuoi, vuoi diventare un martire?BOBBY: No.PADRE DOMINIC: Sei sicuro?BOBBY: Sì.

PADRE DOMINIC: Perché ti ho sentito fare l’elogio di Wolftone, Connolly, McSwiney, que-gli uomini. Mi viene da pensare che tuvoglia scrivere il tuo nome sui libri di storia.

BOBBY: Crede che sarebbe importante per me?

PADRE DOMINIC: Oh, io… lo so che è così.BOBBY: Beh, si sbaglia.PADRE DOMINIC: (fiato) Vi definite soldati, la parola

d’ordine è libertà. Ma non avete alcun amore per la vita, Bobby. Tutti voineanche più sapete cos’è una vita. Quattro anni passati in queste condi-zioni… come aspettarsi che siate nor-mali? Non c’è niente di normale in te.Ora come ora il movimento repubbli-cano è stretto nell’angolo. Voi dell’IRA

state subito dietro e guardate in quel-l’angolo. La nostra storia, tutti i morti quegli uomini, quelle donne. Di quel-lo non vedete niente. Da che la risposta per voi è stata uccidere, vi siete bendati gli occhi e… avete paura di fermarvi. Paura di vivere. Paura deldialogo, della pace. Certo, cosa sareb-be l’Ulster senza tutta questa merda? E la situazione qui? Il futuro del mo-vimento repubblicano è nelle mani diuomini che hanno perso qualunque…qualunque senso della realtà. Pensi che la testa ti funzioni? Rinchiuso qui24 ore tra il piscio e la merda? E tu prendi decisioni che potrebbero ucci-dere chissà quante persone? Faccia-mogli un monumento a Bobby Sands!Ma smettila! Soldati della Libertà?Quelli sono uomini e donne che lavo-rano nella comunità. E quello eri tu, tanto tempo fa, non è vero? Il lavoroche hai fatto a Twinbrook. Ecco dovec’è bisogno di te, Bobby. E sai benis-simo che ho ragione.

BOBBY: Che mi sto illudendo? Vuole che ri-sponda così?

PADRE DOMINIC: Sei una pedina, Bobby. Ti stanno in-gannando.

BOBBY: La strategia è già in atto.PADRE DOMINIC: Allora fermala. Di’ soltanto basta.BOBBY: (fiato) Lei non capisce, Padre.PADRE DOMINIC: Non sei in condizione di prendere

quella decisione.

BOBBY: È fatta. Non ci fermeremo.PADRE DOMINIC: Allora fottiti! La vita non vale proprio

niente per te.BOBBY: Dio mi punirà per questo?PADRE DOMINIC: Beh, se non dovesse essere per il sui-

cidio, dovrebbe punire te per la tuastupidità.

BOBBY: (fuma) Sì. E lei per la sua arroganza. Perché la mia è una vita reale, non un esercizio teologico, un trucco religio-so che non c’entra un cazzo con la vi-ta. Gesù aveva spina dorsale ma guar-di i suoi discepoli, tutti i suoi discepo-li. Lei sta solo saltellando a vuoto… tra retorica e semantica. Ha bisogno della rivoluzione, del soldato politicoper dare impulso alla sua vita, darle una direzione.

PADRE DOMINIC: (sospira) Che stupidaggini. Sei un il-luso.

BOBBY: Certo, se lo dice lei.PADRE DOMINIC: Sì. E cosa dirai a tuo figlio?BOBBY: Vaffanculo.PADRE DOMINIC: Non ti interessa?BOBBY: Vuole buttarla sui sentimenti? Tipico

di un prete.PADRE DOMINIC: Che ti dice il cuore, Bobby?BOBBY: Pensavo avesse già capito tutto di me.PADRE DOMINIC: Che cosa dice? Dimmelo. BOBBY: La mia vita è tutto per me, la libertà è

tutto. So che non vuole ingannarmi, Padre, non farò caso alle sue parole. È uno di quei momenti in cui si arri-va a una pausa, (al dunque) si man-tengono pure le proprie idee. Io cre-do che un’Irlanda unita sia legittima egiusta. Forse è impossibile capirlo perun uomo come lei, ma proprio perchého rispetto per la mia vita, un deside-rio di libertà e un amore incrollabile per quell’idea, posso mettere da par-te qualunque dubbio. Mettere la miavita in gioco non è solo l’unica cosa che posso fare… è la cosa giusta.

PADRE DOMINIC: E per questo mi hai chiamato qui? Ti serviva una platea? Non sei sicuro al cento per cento? Nutri per caso qual-che dubbio su di te?

BOBBY: Sì. Sono solo un uomo.

BOBBY: Si potrebbe arrivare a questo.PADRE DOMINIC: Quindi stai per dare inizio a uno

sciopero della fame, ma non parti già determinato a morire, o mi sono per-so qualcosa?

BOBBY: Dipende da loro. Il messaggio è chia-ro. Noi siamo determinati.

PADRE DOMINIC: Ci vorranno un paio di morti, cosa di-ci? Magari cinque o sei? Tanto, voglio dire, siete 75.

BOBBY: Sì, beh… non si arriverà a tanto.PADRE DOMINIC: Certo, magari dopo una ventina di

morti gli inglesi cederanno. Ma a te che importa? Tanto tu sarai già morto, giusto? (fiati) (verso) Hai provato a pensare a quello che stai chiedendo aquei ragazzi?

BOBBY: (fiati)PADRE DOMINIC: E non parliamo poi… del dramma

nelle famiglie di quei poveretti. (fiato)Dunque ti scontrerai con un governobritannico che disprezza i Repubbli-cani, che è da sempre irremovibile.Che può convivere con la morte diquelli che considera terroristi. E la po-sta è molto più alta stavolta.

BOBBY: Lo so questo.PADRE DOMINIC: E se non hai intenzione di trattare, al-

lora… vuoi la loro capitolazione, è giusto?

BOBBY: Esatto.PADRE DOMINIC: Quindi fallire significa la morte di

molti, tante famiglie distrutte. E il mo-vimento repubblicano demoralizzato.

BOBBY: Sì. Potrebbe accadere, nel peggioredei casi. Ma per poco tempo. Dalle nostre ceneri…

PADRE DOMINIC: (acc) Oh, per favore…BOBBY: È così! Una nuova generazione di uo-

mini e donne, ancora più forte, più de-terminata…

PADRE DOMINIC: (acc) Con chi credi di parlare?BOBBY: Questa è una guerra. Pensavo che a-

vrebbe capito. Parla come uno stra-niero.

PADRE DOMINIC: Tu mi parli come io fossi tale. Credi che non conosca l’Irlanda? Io ci vivo,amico.

BOBBY: Allora ci sostenga.PADRE DOMINIC: Io ho sostenuto il primo sciopero della

fame perché si trattava di una protesta.

Luca.2120.Luca

///per gentile concessione della Bim Distribuzione

Page 12: Luca. (due)

Luca.2322.Luca

Abbiamo chiesto a Marco Pannella di guar-dare insieme a noi il fim Hunger di SteveMcQueen. Armati di alcune fotocopie, doveera riportata parte della sceneggiatura delfilm, abbiamo incoraggiato Pannella a par-larci delle sue impressioni, della sua idea dilotta nonviolenta nel confronto con la scel-ta dello sciopero della fame a oltranza diBobby Sands.

Che ricordo hai della vicenda di BobbySands?

Ricordo che una persona che mi voleva be-ne, e che aveva capacità di essere amore civi-le, Indro Montanelli, alla notizia della mortedi Bobby Sands, dopo il suo sciopero dellafame ad oltranza, scrisse: ‘Adesso Pannellanon potrà continuare a fare i suoi scioperidella fame senza morire.’ Io gli risposi: ‘Bob-by Sands ha voluto rischiare la vita, ma inrealtà ha rischiato la morte. Io ho voluto ri-schiare la vita perché non ci siano più altriBobby Sands.’

Nel dialogo del film tra Padre Dominic eBobby Sands, la natura della lotta di BobbySands, ma anche il suo temperamento, sonomolto chiari. In lui rivedo la figura del picco-lo principe di Saint-Exupéry, l’innocenzaromantica. Non a caso, il giovane BobbySands, con i suoi occhi azzurri, evoca il para-diso, racconta di voler vivere nella natura,che considera buona. È alla ricerca dell’asso-luto. Assoluto significa sciolto da tutto, privodi relazione. È questa illusione fondamenta-lista il problema, illusione che riguarda anchei potenti. Penso a Obama e a Cameron, chein realtà sono gli eredi di Bush, nella loroimpotente devozione all’assoluto della ragiondi Stato.

Il ragionamento di Bobby Sands è chiaro:“Devo sparare questo mio corpo contro gli

inglesi. Morte a loro e morte a noi.” È il ro-manticismo, con anche visioni naturalisti-che e naturistiche. Mi ammazzo per colpireil nemico.

All’epoca in un’intervista definisti BobbySands un fondamentalista.

Non capiva Bobby Sands che la scelta asso-lutistica è perdente, e che per vincere occorrestabilire un dialogo con il potere, perché il pro-blema è disarmare il potere, togliendogli quel-lo che la grande tragedia greca e shakespearia-na ci dice, ossia che il potere rende impoten-ti e pazzi. Occorre rivolgersi al potere con lanonviolenza. La scelta nonviolenta è relazio-ne, è dialogo. Quella di Bobby Sands è il rifiu-to della relazione. È la purezza. È l’assoluto.

Si assassina per il bene. È l’illusione dellamorte salvifica. Dono la morte per il bene del-la comunità.

È bella la scena successiva al dialogo traBobby Sands e padre Dominic. Il poliziotto,non a caso di colore, pulisce la merda dei pri-gionieri irlandesi, toglie gli odori, e mentreBobby sta morendo, nell’immagine domina ilbianco, il nitore, la purezza.

Bobby Sands pensava: “Mi hanno preso, inemici mi tengono in galera, non posso piùsparare prima di loro, perché la lotta è mor-tale. O muoio io o muoiono loro. Mi ammaz-zo per colpirli.” È l’idea della morte salvifica.Ma è qui il punto. Nello statuto del PartitoRadicale il comandamento “Non uccidere”non può avere l’alibi nemmeno della legittimadifesa. All’inizio mi sembrava eccessivo. Però

c’è un problema semantico. Nella guerra laquestione è: ‘deve morire lui o io’. La guerraè appunto mortale, come pensava BobbySands. Invece nella nonviolenza devono vive-re tutti e due, io e il mio nemico. Come è pos-sibile? Perché ho la risorsa di non uccidere. Ilgioco è se hai la capacità di dare vita all’altroe lui di dare vita a te. Per l’oppresso la vio-lenza è sempre suicida, perché è l’apologiadella morte del nemico, ma con la morte delnemico è sicura anche la propria morte. L’op-presso sa che se usa i forconi, gli altri useran-no le mitragliatrici. Se usa le mitragliatrici, glialtri useranno la bomba atomica.

Consideri storicamente vincente la scelta del-la nonviolenza?

Credo che la logica della nonviolenza abbiavinto sulla scelta di Bobby Sands. Dove sonooggi i Bobby Sands? Dove stanno gli assassi-nati inglesi?

Con la lotta nonviolenta cerco di trasferirein te (potente), l’energia che ti manca, perapplicare e rispettare la tua stessa legge. Cer-co di darti la forza di farlo.

Non ti mostro i muscoli, non ti odio. Vogliosalvarmi con te e salvare te, perché il destinodel potere è quello di farti impazzire.

Sono passati dei decenni e noi siamo anco-ra qui, mentre sono scomparsi i Bobby Sands.Semmai adesso ho il problema di intervenirecon umiltà, non con modestia, che è una vir-tù squallida, per aiutare il Dalai Lama con itrentaquattro monaci che sono impegnati inuno sciopero della fame a oltranza, perché traloro si è diffusa l’illusione che la propria mor-te possa servire alla comunità. Tra i monacitibetani c’è un’esasperazione che li porta alladisperazione. Ma questa scelta è in contrad-dizione con il Dalai Lama e anche con RebiyaKadeer, che è la leader della minoranza degliUiguri, e che fa parte del direttivo del PartitoRadicale Transnazionale. Rebija Kadeer hadichiarato: “Noi lottiamo per la libertà degliHan, perché non vogliamo privilegi, voglia-mo i loro stessi diritti.” È quello che dice og-gi anche il Dalai Lama. Comprendono che ilproblema è quello della vita, e quindi della li-bertà e della democrazia.

Che la nonviolenza sia oggi vincente lodimostra anche la ragionevolezza popolaredei giovani africani o rumeni che praticano lo

sciopero della fame come forma di protestanelle nostre carceri. Sono loro stessi a dire:“Quando torneremo a casa lotteremo con lanonviolenza, rischiando la vita e non la morte.”

Il potere è impermeabile al dialogo? No, affatto. Mi viene in mente la figura di

Thomas Sankara, presidente del BurkinaFaso tra il 1984 e il 1987, a seguito di una ri-volta popolare scoppiata dopo la sua destitu-zione da Primo Ministro. Con lui discuteva-mo di Burkina Faso e di nonviolenza. Riusciia convincerlo a non fare quei processi chepiacciono tanto a Grillo. Il suo predecessoreera Jean-Baptiste Ouedraogo, un leader tra-dizionale, sospettato di connivenze con le expotenze colonialiste. Invece di processarlo,Sankara lo liberò.

Mentre poi discutevamo sulla sua possibili-tà di restare al potere, Thomas Sankara mi

disse che se anche i francesi avessero tentatodi destituirlo, nel giro di qualche ora, sareb-bero potute intervenire le truppe guidate dalsuo braccio destro, Blaise Compaoré, checonsiderava un fratello. Il suo braccio destro,il suo fratello, era anch’egli un puro, un pic-colo principe. Era un militare, quindi pulito,onesto, integro, con il senso della vita e dellamorte. Ed è stato lui ad assassinare ThomasSankara. Erano dei personaggi alla Saint-Exupéry. Non a caso cambiarono il nome delpaese da Alto Volta in Burkina Faso, chesignifica ‘Paese degli uomini integri e puri’.C’era anche in loro la purezza, come in Bob-by Sands. Ecco, vorrei aiutare i “compagni diBobby Sands” a lottare in modo diverso e farloro capire che il potere è impotente.

Come leggi i movimenti di protesta più re-centi? Qual è la loro capacità di dialogarecon il potere? Prendiamo il caso dei NO TAV.

Quando gli accordi internazionali sui corri-doi europei sono stati adottati a Bruxelles,con ratifiche di tutti gli Stati, nessuno ha fat-to la battaglia in parlamento, a Roma. A livel-lo regionale nessuno si è mosso. Se non seipresente con lucidità, prevedendo, poi è unaviolenza bloccare quel progetto. Un proget-to che prevede dei costi che sicuramente èingiusto pagare.

Governare è pre-vedere. È avere visione, enon solo punto di vista.

Mario Marchetti, un compagno radicale, ciaveva subito avvisato di quanto la soluzioneadottata sarebbe stata costosa. E io avevosubito parlato della necessità di trovare tutte

le compensazioni territoriali per sanare laparte di passività del consumo di territorio.

E delle forme di lotta degli iinnddiiggnnaaddooss?I ragazzi, come i vecchi, se sono indignados,

“lo prendono in quel posto”. Ci si indignasempre per i comportamenti altrui, mentre èpiù utile amare quello che si vuole. Il limite diqueste forme di lotta è che si tratta di una pro-testa perenne, animata dall’infelicità, ma chetende a non avere un obiettivo. Proprio perquesto è anche più manipolabile dal potere edal regime, che non la teme, e permette, infat-ti, che invada i mezzi di comunicazione.

foto Maria Pamini

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“HO VOLUTO RISCHIARELA VITA PERCHÉNON CI SIANO ALTRIBOBBY SANDS”INTERVISTA A MARCO

PANNELLA

Page 13: Luca. (due)

Luca.25

CUORE SELVAGGIOElena Stancanelli

illustrazione ZOO E CUCICATRAMI • Bcomics

Cinema.

Brandon è fuori, la vede. Perde tempo, viene a patticol suo desiderio di scappare e infine entra. Sono in

ritardo, scusa, stai molto bene. Anche tu. È l’ini-zio di un combattimento struggente, tra due

esseri umani adulti, pesanti come tutti noi, etra i due opposti desideri che li governano:

scappare o abbandonarsi, senza peròpiù alcuna innocenza all’illusione diun amore. Brandon è un uomo bellis-simo, ricco e realizzato, devastato dauna nevrosi compulsiva verso il sesso.Forse qualcosa è successo nel suopassato, più avanti sarà la sorella adalludere a una ferita comune, macosa esattamente non lo sapremo.Non ci sono spiegazioni, ma fatti,dolori, mancanze. Chiunque tu sia,sembra dire il regista, evitandotroppi riferimenti. Per quanto estre-ma sia la condizione di Brandon,deve entrare in risonanza con unadisperazione comune, dell’essereumano in quanto tale. Alla fine delfilm, come capita di fronte a ogniopera d’arte che centri il proprioobiettivo, si ha infatti la sensazioneche il tema, la vischiosa malinconiache ci avvolge dall’inizio alla fine,

non sia altro che l’incapacità di fronteggiare l’idea del-la morte. Anche Marianna ha un passato feroce, unarecente separazione da un marito sbagliato. Quellazavorra che ti trascini dietro, il monito inestinguibileche si mette tra e te e un’altra possibilità. L’inquietudi-ne latente di chi teme di scoprire che ogni gesto è unapromessa di fallimento, ogni slancio la preparazioneper una caduta. Seduti al tavolo di un ristorante elegan-te, un ristorante come mille altri ovunque nel mondo(siamo a New York, l’epitome dell’occidente) i due bal-bettano le loro biografie virate al meglio. Lo facciamotutti. La forza di Steve Mc Queen, il regista, è la capa-cità di non distogliere lo sguardo da questo disperatoteatrino dell’io per un tempo estenuante, un tempoche nella sua dilatazione ci inquieta, come ci inquietanella vita. Dura quasi venti minuti la scena in cui Bob-by Sands riceve in carcere la visita di padre Dominic,in Hunger, il suo film precedente. I due siedono a untavolo, fumano, parlano. Bobby, sempre interpretatoda Michael Fassbender, gli annuncia che sta per ini-ziare lo sciopero della fame, il prete gli chiede se ucci-dersi sia la sua idea di lotta politica. Ma non è questo,non è quello che si dicono il punto. Il punto è, comedicevamo, quel rimanere immobile della telecamera,e insensibile quasi, davanti all’imbarazzo del parlare,del dire di sé. Una liturgia codificata che però, difronte all’insistenza dello sguardo, finisce per rivela-re una sostanza incandescente, un residuo, un preci-pitato rimasto sul fondo dell’anima. Intanto il came-riere, implacabile, scandisce la conversazione con lasolita inopportunità. Le specialità del giorno. il vino

da scegliere e poi da assaggiare. Dove abiti, chiedeBrandon. A Brooklyn. Carino. Tu dove sei nato? In Ir-landa. Ci torni spesso? Ci sono tornato un paio di vol-te. Siete una grande famiglia? Ho una sorella. Io ne hodue. A questo punto la conversazione fa un piccoloscarto, si fa più intima e più goffa insieme. Succedecosì, che aggrappandosi a frasi insulse si finisce nostromalgrado per superare alcuni livelli di confidenza.Sembra davvero importante quando lui le chiede piùgrandi o più piccole. Una più grande e una più picco-la, io sono nel mezzo. Questa curiosità insensata, que-sto intestardirsi nel voler acquisire informazioni futilicome se fossero vitali, di colpo cambia l’atmosfera. I duesi bloccano. Dove siamo finiti, sembrano chiedersi, per-chè diciamo queste cose? C’è una lunga pausa. Marian-ne ride, che succede, chiede, sei nervoso? Dovrei? Èsolo un appuntamento. Non è grave. Marianne annui-sce e poi dice una cosa: mi c’è voluta un’ora per sceglie-re cosa indossare. E lo dice con un tono che non fa ride-re, anzi. Hai scelto molto bene, stai benissimo. Dice lui.Ma non basta. Poi, come al solito, arriva il cameriere.Mentre mangiano, lui e lei già si deludono. Lui non vuo-le relazioni, non capisce neanche perchè la gente si inte-stardisca a cercarle. Lei gli chiede perchè l’ha invitata acena. Poi invece escono, scherzano, ridono, si abbrac-ciano. Ci rivedremo, chiede lui? Si rivedranno, prove-ranno anche a scopare in un albergo meraviglioso. Inva-no, perchè per lui è impossibile scopare una donna chegli piace, che conosce. Non avrebbe mai dovuto chie-derle se le sue sorelle sono più grandi o più piccole dilei. Non avrebbe mai dovuto ascoltarla.

SHAMEMARIANNE È SEDUTA AL TAVOLO DI UN RISTORANTE.

di Steve McQueencon Michael Fassbender

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Page 14: Luca. (due)

Scherza coi fanti e lascia stare i santi: rimpro-vero di decenni remotissimi per restringerel’area delle persone e delle cose su cui si pote-va ridere senza problemi. I santi erano piùnumerosi di quelli venerati dalla tradizionecattolica. In privato si è sempre scherzato sututto, ma in televisione di santi che non pote-vano neppure essere nominati ce ne sono sta-ti fino a non tanto tempo fa. Poi si sono sdo-ganati molti Totem e Tabù. (Curiosità, per chilo ha dimenticato: la prima volta che il verbosdoganare divenne di uso popolare fu quandoBerlusconi sdoganò Fini).

Adesso si può scherzare liberamente anchesul Presidente della Repubblica e sul Papa. Ele parole nominabili sono praticamente tutte.In qualche eccesso di zelo si aggiunge un bip,che di solito le sottolinea invece di censurarle.

Abbattuti i vecchi steccati del Senso Comunedel Pudore, ci sarebbe da rispettare la nuovasegnaletica del Politicamente Corretto. Ad igno-rarla ci pensano I soliti Idioti. Qualche esem-pio? Il bambino tossico e obeso tendenzialmen-te criminale. I giovani inerti e afasici (minchia,figa, porco Dighe), sdraiati sui gradini di unapiazzetta o su una moto. I preti-manager zelanti,

con proposte per migliorare l’appeal della chie-sa, presentate a cardinali ogni tanto inseguiti daguardie svizzere furibonde. I padri grandi ustio-nati e fascisti, con progetti grevi e in romanescoper l’educazione del proprio figlio deamicisia-no. Un gay che in nome della parità dei diritti siprepara al parto in palestra e, sentendosi di-scriminato, grida ovunque scandendo le silla-be: omosessualeeeee! E lei! Lei, l’impiegatadelle poste, inaffidabile, inadempiente, distrat-ta, creativa, giocosa, seduttrice. Quella del “Di-caaa”. Di “Un attimo e sono subito da lei.” DiBertelliii. Anche nelle vesti di portiere d’alber-go, bagnina, navigatore truffaldino dell’utilita-ria. E lui! Lui, l’utente che ripete instancabilela richiesta di spedire un pacco, disponibile atutti i rinvii, arreso a tutti i soprusi, con casco,pizzetto, tono e accento da vittima designata.

Qualche volta si pensa al primo Verdone, bra-vissimo con la sua galleria di italiani tipici ericonoscibili, nella tradizione dei grandi imita-tori come Noschese e il talento di individuarenuove maschere emergenti già fra noi, nel pro-prio quartiere o tra i vecchi compagni di scuo-la. I personaggi di Francesco Mandelli e Fabri-zio Biggio (autori e attori della serie) hanno unrapporto ambiguo con la realtà. Più stereotipi

che persone, più esasperazioni che imitazioni.Nascono dal deposito di immaginario giovaniledi questi anni dove convivono fumetto e video-music, videogiochi e pubblicità, film di culto eYoutube. Le culture si mescolano. Le identitàmutano. Il Reale e il Virtuale si confondono. Icinesini, proprietari di un ristorante, ricevono iclienti in esasperato accento toscano, comunica-no fra loro in un cinese maccheronico e canta-no un italiano dove cuore si pronuncia cuole. Ilcapo di condominio, arrogante e invadente, èun nazista in divisa con i baffetti alla Hitler, haun plotone al seguito e in nome di un regola-mento da campo di sterminio, ordina sommariefucilazioni mentre irretisce un inquilino da cuiè attratto.

È un mondo insicuro e arbitrario, ma non bi-sogna spaventarsi. Lo spiegano in elegante tenu-ta da tennis Marialuce e Giampietro. “Nientepaura. È normale non essere normale. Norma-lissimo: normale.”

La normalità de I Soliti idioti, è il racconto diuna quotidianità apocalittica e sgangherata conepisodi non sempre irresistibili, ma il talento inpiù casi prevale. Non tutti li amano. Per chi sidiverte soltanto quando si ride contro qualcu-no, non è facile accettare l’idea che si possaridere di tutto. ///

Televisione.

DI COSA STIAMO RIDENDO.

Luca.27

LA BADANTEGilberto Severini

illustrazione NICCOLÒ PELLIZZON

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Luca.29

DIARIOEUROPEO

Marco Cappatotesto

Maurizio Ceccatoillustrazione

Se sei italiano non puoi entrare. Se sei olan-dese puoi entrare. Se però sei un olandeseresidente all'estero, non puoi entrare nean-che tu. Dove? In un bar di Maastricht,Olanda, quindi Europa. Un bar particolare,con i tornelli all'ingresso. Un bar particola-re, perché ci puoi fumare hashish: un cof-fee-shop, attrezzato come una dogana d’ae-roporto perché altrove, in Europa, quellafumata non si può fare legalmente.

I muri sono sempre il prodotto di fallimen-ti politici: dal muro di Berlino alla barrierain Israele, passando per i muri anti-immi-grati tra USA e Messico, quello in via Anel-li a Padova, la permeabile barriera navaledel Canale di Sicilia... ai quali potremmoaggiungere i promessi muri tra Turchia eGrecia, o i proliferanti muri di cinta a dife-sa di quartieri benestanti ovunque nel mon-do. Fallimenti delle politiche sui migranti osulle droghe, sulla pace in Medioriente, sul-l’allargamento dell’UE o sulla lotta controle povertà.Ma un muro dentro a un bar, nel cuore del-l’Europa, è qualcosa di nuovo, di meno serio,

forse, ma non per questo di meno insidioso.Quando il proprietario, Marc Josemans, miha dovuto negare l’accesso in ragione dellamia residenza italiana, foss’anche per anda-re in bagno o a prendere un tè, ho capito me-glio quanto sia fragile il principio della “libe-ra circolazione delle persone” prevista daiTrattati UE.

Maastricht è città simbolo di un Trattato cheaffermò l’illusione di costruire l’Europa daltetto della moneta unica senza le fondamen-ta delle libertà e della cittadinanza. OggiMaastricht è anche simbolo di un muro. Dafar crollare presto.

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SE SEI ITALIANONON PUOIENTRARE

Page 16: Luca. (due)

“Un Paese che rinuncia alla liberaricerca scientifica compie un’opera diautolesionismo. Un Paese che mandavia i suoi giovani ricercatori più bril-lanti all’estero si impoverirà mentre ilPaese che beneficerà degli studi deiricercatori otterrà sviluppi in molticampi e anche progresso economi-co”, così il Premio Nobel per la Me-dicina, Mario Capecchi, ai microfonidi Radio Radicale, subito dopo averfirmato la petizione al Parlamentoeuropeo per la ricerca sulle cellulestaminali embrionali, promossa dal-l’Associazione Luca Coscioni. L’Italiaappare un Paese incapace di promuo-vere la scienza e di investire in nuovescoperte. Con le sue leggi illiberali nonriesce ad intercettare i mutamentiscientifici e sociali e blocca la ricerca.Quali sono le conseguenze? Lo abbia-mo chiesto allo scienziato di famamondiale ed ex ministro della salutedel governo spagnolo, BERNAT SORIA.

Per la comunità scientifica e per la so-cietà quanto è importante oggi studia-re le cellule staminali embrionali?

Sono molti gli esempi dell’utilità del-la ricerca sulle cellule staminali embrio-nali. Il più ovvio ha a che fare con la ca-pacità delle cellule staminali embrionali

di differenziarsi in cellule che svolgonoun ruolo funzionale nell’adulto che nenecessita per contrastare alcune malat-tie. Per esempio, cellule che produco-no insulina per persone diabetiche,neuroni in grado di secernere dopami-na per i malati di Parkinson, e così via.In ogni caso, stiamo imparando attra-verso i modelli in vitro come alcunemalattie si sviluppano. Questi tipi distudi effettuati sul modello animalenon riescono ad ottenere risultati, adesempio, non permettono di capire

come si manifestano nei primi stadi ilmorbo di Huntington o la distrofiamuscolare.

Le cellule staminali embrionali per-mettono di sviluppare modelli sullatossicità dell’embrione. Ricordo a que-sto proposito la triste storia della tali-domide, un farmaco usato da donne ingravidanza che creava malformazioninel feto. Non sarebbe stato molto me-glio provare questo farmaco sulle cel-lule staminali embrionali, invece di te-starne la tossicità su tantissimi modellianimali?

Che malattie si possono sperare di cu-rare grazie alla ricerca sulle cellule sta-minali embrionali?

Le malattie candidate sono infini-te. La maggior parte delle situazioni

cliniche senza nessun trattamentocome la Sla. Il caso di Luca Coscioni.Abbiamo anche il morbo di Huntin-gton, una neurodegenerazione fami-liare che spesso porta alla morte didiversi membri della famiglia. È capi-tato con frequenza che uno dei duefratelli ha visto come è morto l’altro equando gli viene diagnosticato il mor-bo decide di suicidarsi.

In Italia la legge 40/2004 vieta la di-struzione degli embrioni per cui nonsi possono estrarre linee staminali em-brionali sul territorio italiano, e i ri-cercatori sono costretti ad acquistareall’estero tali linee per studiarle in Ita-lia. Questo è uno dei tanti paradossiche caratterizza l’Italia. Quali sono leconseguenze di queste proibizioni?

Questi Paesi, ispirati non da fattiscientifici ma da ideologie, stannorestringendo i diritti dei cittadini e laloro possibilità di cercare una solu-zione ai loro problemi di salute, soloperchè non condividono la stessa ideo-logia. Non è la prima volta che la reli-gione blocca il progresso medico. Ivaccini furono condannati dalla Chie-sa e anche l’anestesia fu condannatasulla base che “secondo la Bibbia ledonne devono partorire con dolore”.

Un noto storico della medicina e bioe-ticista, Gilberto Corbellini, nel suonuovo libro SScciieennzzaa,, qquuiinnddii ddeemmooccrraazziiaasostiene che negli ultimi anni nel no-stro Paese sono state emanate “leggiilliberali” che dimostrano accondi-scendenza verso politiche della ricer-ca arbitrarie e gradite solo alla ChiesaCattolica e ai suoi rappresentanti in

Parlamento. Lei è d’accordo con que-sta analisi?

Totalmente, è incredibile come ilPresidente Berlusconi si sia compor-tato da individuo che ha promossoleggi per compiacere la Chiesa e sestesso. Sono un estimatore dell’Italiae della sua cultura ma non possoincludere il fondamentalismo ita-liano tra le mie passioni.

E nel resto del mondo le cose vannomeglio che in Italia?

Molto meglio. L’Inghilterra, la Sve-zia e la Spagna hanno leggi che per-mettono la ricerca biomedica a scopiterapeutici. Lo Stato della California,negli Stati Uniti, ha chiesto ai cittadinise lo Stato dovesse investire 3.000milioni di dollari per promuovere que-sta ricerca e i cittadini hanno votato SÌ.Ci sono altri Stati negli USA, insiemea Paesi come l’Australia, Singapore ealtri, che stanno facendo progressi inquesto campo.

Dal suo punto di vista qual è illimite che la scienza non deve maivarcare? È pensabile l'individuazio-ne di un limite alla ricerca?

Ovviamente l’etica fissa dei limiti,non solo alla ricerca medica, ma an-che agli avvocati, ai giornalisti o ai po-litici. L’etica riguarda tutti. Nessuno,

cattolico, musulmano o di qualsiasi al-tra religione, può imporre il propriopunto di vista al resto dei cittadini.Nessuno può essere obbligato ad usa-re terapie basate su questa ricerca. Perintendersi, i testimoni di Geova nonpossono vietare le trasfusioni di san-gue al resto della popolazione, nono-stante loro possano non accettarle inbase alla loro religione.

Il Movimento per la vita in Italia halanciato una iniziativa ‘L’embrioneuno di noi’: una campagna di raccol-ta firme per la richiesta al diritto co-munitario di proteggere il riconosci-mento della dignità umana fin dalconcepimento. Cosa ne pensa?

Ancora una volta questo punto divista si basa non sulla scienza ma sul-la religione. Secondo il loro credo,l’anima è creata e inserita in una cel-lula embrionica. Se alcune cellule em-brionali fossero “uno di noi” dovrebbeessere per sempre. Tuttavia, a volte, po-

chi giorni dopo il concepimento, al-cuni embrioni si dividono in due e ap-paiono due gemelli. Cosa succede conl’anima? Anche questa si divide indue? Ci sono molte domande a cui idifensori di questa ideologia dovreb-bero rispondere prima di proibire adaltri di cercare una soluzione. Non so-no sicuro se Dio esista o meno, ma seesiste non può essere così ignorante.La Chiesa Cattolica cambierà, come ècambiata con Galileo, ma ci auguriamodi non dover aspettare quattrocentoanni questa volta.

traduzione Alessia Turchi

a sostenerlo È bernat soria, già ministro della salute spagnolo, pioniere nell’uso

delle cellule staminali embrionali a fini terapeutici. il primo scienziato a rispondere

all’invito di luca coscioni a partecipare alla campagna per la libertà di ricerca sulle

cellule staminali. costretto a emigrare a singapore per sfuggire al proibizionismo

europeo, rientra in spagna per riprendere la ricerca contro il diabete, forte del

sostegno di due milioni di firme su una petizione popolare.

LE CELLULE STAMINALIEMBRIONALI PERMETTONO DI SVILUPPAREMODELLI SULLA TOSSICITÀDELL’EMBRIONE.

NON È LA PRIMA VOLTA CHE LA RELIGIONE BLOCCA IL PROGRESSO MEDICO. I VACCINIFURONO CONDANNATIDALLA CHIESA.

Luca.3130.Luca

Valentina Stella

illustrazione Alessandra De Cristofaro

SE DIO ESISTE, NON PUÒ

ESSERE COSÌ IGNORANTE

L’ETICA FISSA DEI LIMITI, NON SOLO ALLA RICERCA MEDICA, MA ANCHE AGLI AVVOCATI, AI GIORNALISTI O AI POLITICI.

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32.Luca

Francesco è privo dispermatozoi a causa di

terapie effettuate nell’ado-lescenza e soffre di infertilità

totale e irreversibile. Laura, in-vece, è infertile per menopausa

precoce. Tuttavia sia Francesco cheLaura desiderano fortemente avereun figlio. La soluzione è una fecon-dazione di tipo eterologo, ovverocon un ovocita o spermatozoi appar-tenenti ad una terza persona estra-nea alla coppia. In Italia Francescoe Laura non possono diventare ge-nitori perché la fecondazione congameti esterni è vietata per legge.Le soluzioni sono due: o recarsi al-l’estero, a loro spese, per effettuarel’eterologa o rivolgersi ad un Tribuna-le italiano per sollevare il dubbio dilegittimità costituzionale che vietala pratica.

FECONDAZIONE

ASSISTITA

fecondazione eterologa

ART. 4. DELLA LEGGE 40/2004

(Accesso alle tecniche).1. Il ricorso alle tecniche di procreazionemedicalmente assistita è consentito soloquando sia accertata l’impossibilità di rimuo-vere altrimenti le cause impeditive della pro-creazione ed è comunque circoscritto ai casidi sterilità o di infertilità inspiegate documen-tate da atto medico nonché ai casi di sterilitào di infertilità da causa accertata e certificata

da atto medico. […]. 3. È vietato il ricorso atecniche di procreazione medicalmente assi-stita di tipo eterologo. In Italia se sei infertile o sterile puoi accede-re alle tecniche di procreazione medicalmen-te assistita ma paradossalmente la medesi-ma legge, dopo aver riconosciuto un dirittoad accedere a tecniche mediche a q coppieper poter provare ad avere una gravidanza,vieta loro l’applicazione dell’unica tecnica,quella eterologa, ovvero con donazione digameti, che potrebbe consentire loro di ave-re una gravidanza.

quadro normativoARTICOLO 32 DELLA COSTITUZIONE ITALIANALa Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse del-la collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato aun determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge nonpuò in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Art. 29. La Repubblica riconosce i dirittidella famiglia come societànaturale fondata sul matrimonio.Il matrimonio è ordinatosull’eguaglianza morale egiuridica dei coniugi, con i limitistabiliti dalla legge a garanziadell'unità familiare

Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce idiritti inviolabili dell'uomo, sia come singolosia nelle formazioni sociali ove si svolge lasua personalità, e richiede l’adempimentodei doveri inderogabili di solidarietàpolitica, economica e sociale.

Art. 13.La libertà personale èinviolabile. Non è ammessa forma alcunadi detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizionedella libertà personale, se nonper atto motivato dell’Autoritàgiudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Con l’udienza del 22 maggio la Consulta è stata chiamataa pronunciarsi sul dubbio di legittimità costituzionale

sollevato dai tribunali ordinari di Firenze, Milano e Catania circa il divieto di fecondazione eterologa e hadeciso di rimettere gli atti ai singoli tribunali. Significa

che i giudici dei tribunali civili dovranno valutarenuovamente la legge 40 in base ai parametri della CartaCostituzionale e a quanto espresso dalla Grande Camera

della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Dunque la Consulta non ha ribadito il no all’eterologa,

come molta stampa ha voluto intendere, altrimenti non avrebbe rimesso tutto in mano ai magistrati.

La Consulta, invece, con ordinanza n.150, ha preso atto di quanto espresso dalla Grande Camera della CorteEuropea dei Diritti dell’Uomo nel novembre 2011:

per legiferare gli Stati membri tengano contodell’evoluzione tecnica della fecondazione assistita e di quella sociale della comunità. Inoltre, la Corte

aggiunge che la cancellazione del divieto di cui alla art. 4c 3 non crea vuoto normativo e che già con sentenza

49/2005 aveva affermato che l’abrogazione del divietonon “è suscettibile di far venir meno un livello minimo

di tutela costituzionale”, ammettendo il quesitoreferendario proprio sul divieto di eterologa.

classifica delle mete

del turismo procreativo

o “esterologa”

SpagnaSvizzeraRepubblica CecaBelgioGreciaUcrainaGran BretagnaDanimarcaStati UnitiIsraeleIndia

l’eterologa in europae vietata

per legge

ItaliaLituaniaGermania

-

(Fonte: Osservatorio Turismo procreativo)

• 2004 Referendume abrogativo Legge 40.

• Assistenza giudiziaria alle coppie sterili e/o portatrici di malattie trasmis-sibili per fare ricorso nei tribunali di tutta Italia.

• Attraverso il servizio di “Soccorso civile”, l’email [email protected] e il telefono 06-68979286 forniamo informazioni anche a coloroche decidono di rivolgersi a centri di fecondazione assistita all’estero.

• Petizione al Parlamento europeo sulla fecondazione assistita per chie-dere l’accesso ai trattamenti contro la sterilità e l’infertilità sia conside-rato un diritto fondamentale in accordo con gli art 8 e 14 della Conven-zione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentalie con l’art. 26 della risoluzione del parlamento europeo sul futuro demo-grafico dell’Europa (http://fecondazioneitalia.it/petizione-al-parlamento-europeo-sulla-fecondazione-assistita/).

L’attività dell’AssociazioneLuca Coscioni

Luca.31

Page 18: Luca. (due)

MERCUZIONON VUOLE

MORIREb

PROGETTO, IDEAZIONE E REGIA: Armando Punzocon

Centinaia e centinaia di persone di tutte le città che attraversa…

FOTOGRAFIE1: CARLO GATTAI • 2-3-4-5-7-8-9-10-11: ALESSANDRO FANTECHI • 12: ANDREA SALVADORI

Cineteatro.

DEBORAPIETROBONO

MERCUZIO NON VUOLE MORIRE.

MERCUZIO ASCOLTA I SOGNI DI TUTTI.

CARTE BLANCHE/COMPAGNIA DELLA FORTEZZA/VOLTERRATEATRO 2012

LE MANI INSANGUINATE. UN’IMMAGINE TRATTA DAL CORO INIZIALE DI ROMEOE GIULIETTA: I CITTADINI CON LE MANI INSANGUINATE DEL LORO STESSO SANGUE. NELLA TRAGEDIA DI SHAKESPEARE MUOIONO TUTTI I GIOVANI, I FIGLI, IL FUTURO DELLABELLA VERONA VIENE UCCISO A CAUSA DEI CONFLITTI TRA MONTECCHI E CAPULETI.

I BAMBINI. RAPPRESENTANO LA PUREZZA, STANNO CON MERCUZIO, SONO LO SPIRITO DI ROMEO E GIULIETTA CHE NON VUOLE ESSERE SACRIFICATO.SONO LORO CHE ACCUSERANNO I GRANDI PER LE LORO AZIONI.

I DUELLI. MERCUZIO VIENE UCCISO IN UN DUELLO CON TEBALDO. IL DUELLO DIVENTA IL DUELLO CON NOI STESSI.

ROMEO E GIULIETTA. COPPIE DI ROMEO E GIULIETTAINNAMORATI CHE INVADONO TUTTI GLI ANGOLI DELLA CITTÀ.

FUMETTI E DIDASCALIE. USANDO LE TECNICHE DEI FUMETTI, LUNGO UNA STRADAE UNA PIAZZA, SI METTERANNO IN SCENA ALCUNE PARTI DEL ROMEO E GIULIETTA.

TUTTI CON UN LIBRO. NON RANE DAL CIELO, MA MILIONI DI LIBRI FINO A COPRIRELA CITTÀ REALE. QUANDO SI APRE UN LIBRO SI DÀ VITA A UN ALTRO MONDO.

LA GIORNATA DELLA PARTENZA. IN OGNI VALIGIA UNA LACRIMAVERSATA PER QUALCOSA CHE NON AMIAMO DEL MONDOIN CUI VIVIAMO, PER QUALCOSA CHE CI HA FERITI A MORTE.OGNI UOMO CON LA VALIGIA RAPPRESENTA UNA PARTE DIMERCUZIO CHE NON ACCETTA IL SUO DESTINO DI MORTE. TUTTI INSIEME SAREMO IL CORPO DI MERCUZIO.

L’INIZIO DELLA VITA. MERCUZIO AMBISCE

ALLA STESSA PUREZZA.CON LO SGUARDO

APERTO ARRIVA AL MONDOE TUTTO PUÒE TUTTO PUÒ SOGNARETUTTO PUÒ ANCORA

SOGNARENULLA DI QUELLO

CHE È STATO È MAI STATOTUTTO DEVE ANCORA

ACCADERETUTTO DEVE ESSERE

ANCORA PENSATOTUTTO DEVE AVERE

ANCORA UNA POSSIBILITÀCANCELLACANCELLA QUESTO MONDOCANCELLA CANCELLA.

GIULIETTA NELLA CRIPTA. UNA DISTESA DI GIULIETTE ADDORMENTATE PIENEDI SPERANZA PER IL FUTURO. APPAIONO NELLA CITTÀ, PER LE STRADE.

FINE