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LO SVILUPPO LOCALE:
DAI MODELLI TEORICI ALLA
NUOVA PROGRAMMAZIONE
EUROPEA 2014 – 2020
di Barbara Nicolai
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INDICE
Premessa
CAPITOLO 1: La dimensione locale dello sviluppo. Caratterisitiche, ruolo,
modelli e processi
1.1 Caratteristiche del livello locale
1.2 Il modello SloT: Sistema Locale Territoriale
1.3 Dal modello SloT allo sviluppo territoriale: il livello locale
come attore nei processi di sviluppo
1.4 L'influenza dei livelli istituzionali nello sviluppo locale
1.5 L'evoluzione storica dei modelli di sviluppo locale in Italia
1.6 Dalle politiche top down alle politiche bottom up
1.7 Aspetti critici nell'applicazione del modello di sviluppo SloT
CAPITOLO 2: Il ruolo del capitale sociale nello sviluppo locale
2.1 L'importanza del capitale sociale
2.2 Quale capitale sociale per quale sviluppo locale
2.3 L'esperienza della concertazione negoziata nella
programmazione dello sviluppo locale: il caso dei Patti
Territoriali
CAPITOLO 3: Europa 2020 e la nuova programmazione 2014-2020
3.1 La strategia Europa 2020 e le politiche europee
3.2 I Fondi Strutturali Europei
3.3 La nuova politica europea di sviluppo e la nuova
programmazione dei Fondi Strutturali 2014 - 2020
CAPITOLO 4: L'approccio comunitario allo sviluppo locale
4.1 Elementi distintivi e ricadute sui Fondi Strutturali
4.2 L'approccio integrato allo sviluppo locale
4.3 I nuovi strumenti europei per lo sviluppo territoriale integrato
4.4 JAP (Joint Action Plan) Piano di Azione Comune
4.5 ITI Investimenti Integrati Territoriali
4.6 SLP Sviluppo locale di tipo partecipativo
Conclusioni
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Premessa
La programmazione di interventi per risollevare l'Europa e il nostro Paese dalla crisi strutturale che
stanno attraversando non può prescindere da una analisi attenta e puntale della situazione attuale al
fine di definire obiettivi, priorità, interventi, strumenti, monitoraggio costante e valutazione dei
risultati.
La crisi ha inciso in maniera trasversale in tutti i paesi europei ma le conseguenze sono diverse a
seconda delle condizioni di partenza di ciascun paese e di come si era già attrezzato per rispondere
alle sfide future di un'economia in continua evoluzione.
L'Italia in particolar modo ha risentito da un lato della trasformazione da punti di forza di alcune
caratteristiche del suo sistema produttivo proprie della fase espansiva (vedi la dimensione aziendale
e il concetto soprattutto per la nostra regione che piccolo è bello) in punti di debolezza in questa
fase recessiva e di crisi (difficoltà nel rispondere in tempi brevi ai cambiamenti e a sfruttare i fattori
positivi della globalizzazione).
La dimensione aziendale, la presenza di attività manufatturiera matura, la politica del credito
carente, la mancanza di infrastrutture anche immateriali e di servizi soprattutto a supporto delle
PMI, l'inesistenza decennale di una politica industriale di indirizzo delineata a livello nazionale, la
politica energetica, la difesa del territorio, hanno rappresentato, in un quadro di crisi come quello
attuale, elementi che ne hanno amplificato gli aspetti negativi e a cui si è risposto con azioni nel
breve periodo insufficienti con una totale mancanza di visione di uscita nel medio e lungo termine.
Le conseguenze sono all'ordine del giorno in una spirale negativa: il ricorso massiccio agli
ammortizzatori sociali e la carenza di queste risorse soprattutto verso le imprese più piccole, il
numero sempre più elevato di aziende delocalizate o chiuse soprattutto per fallimento, la
disoccupazione a livelli storicamente mai toccati e allarmante per particolari categorie di soggetti
(giovani, donne, ultra 40enni), la crisi di interi territori, settori e filiere.
Il rilancio del paese richiede quindi un cambio totale di passo a partire dalla individuazione di quale
sviluppo sia necessario e possibile avere in Italia, da declinare in termini di sistema produttivo
(quali settori, ampliamento e riqualificazione) e di territorio (tutela e valorizzazioni delle singole
realtà territoriali).
Se l'Italia vuole recuperare il gap e uscire dalla crisi deve individuare quelle che sono le priorità, le
sfide più importanti, le strategie perseguibili per il Paese in termini di sviluppo sostenibile,
competitività e qualità del lavoro.
La nuova programmazione comunitaria 2014/2020, nell'ottica degli obiettivi di Europa 2020,
rappresenta una grande occasione data anche al nostro paese per assumere e perseguire le scelte
strategiche di politica economica, industriale e sociale necessarie per il suo rilancio e per definire
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finalmente un nuovo modello di sviluppo economico innovativo, competitivo, inclusivo, distribuito
e ad alta intensità di lavoro. Ci si chiede una inversione totale di marcia basata sulla individuazione
e selezione delle priorità e del loro ordine, sull'orientamento della spesa, su un approccio integrato e
di sfruttamento delle sinergie esistenti a tutti i livelli partendo dalla valorizzazione delle risorse
disponibili e dalle creazione delle condizioni necessarie per il rilancio del paese.
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CAPITOLO 1: La dimensione locale dello sviluppo. Caratterisitiche, ruolo,
modelli e processi
L'importanza e il ruolo della dimensione locale nei processi di sviluppo ha subito notevoli
mutamenti legati al cambiamento nel rapporto tra il territorio, la produzione e i modelli di sviluppo.
Tale cambiamento, dato da un insieme di fattori (il passaggio dal fordismo al post fordismo, la
globalizzazione dei processi, l'integrazione tra sviluppo e ambiente, il federalismo e le autonomie
locali, il rapporto tra globale e locale) ha mutato nel tempo gli approcci, i modelli, le politiche e gli
strumenti dello sviluppo locale.
Oggi, quando si parla di sviluppo locale, non esiste un significato unico e condiviso ma spesso il
concetto di territorio e sviluppo raggruppa posizioni, azioni, approcci, pratiche ed esperienze anche
molto diverse. Per inquadrare il ruolo del territorio nei processi di sviluppo bisogna, partendo da
una definizione comune di sviluppo locale territoriale, individuarne le caratteristiche, gli elementi e
i requisiti costitutivi, le strategie e come queste si traducono poi in politiche da parte dei vari attori
istituzionali e non.
Parlare di sviluppo a livello territoriale significa:
partire dal presupposto che lo sviluppo non è la sola crescita economica ma crescita
qualitativa, declinata anche in termini di distribuzione della ricchezza e di benessere della
comunità
identificare i fattori di crescita locale (terra, capitale, lavoro ma anche capitale umano,
sociale e di conoscenza diffusa per l'innovazione)
definire l'ambito sociale e politico dello sviluppo a livello istituzionale sia formale che
informale
1.1 Caratteristiche del livello locale
Negli ultimi due decenni, in Italia il tema dello sviluppo locale, è diventato sempre più importante
non solo da un punto di vista teorico ma anche politico e operativo come risposta ai cambiamenti
economici e sociali a cui però è mancata la gestione strategica integrata che ha visto affermarsi una
pluralità di pratiche e di approcci.
Il punto di partenza è la definizione di territorio e delle sue componenti.
In natura il territorio non esiste, non è identificabile con una semplice area geografica ma è la
sommatoria di diversi elementi, materiali e immateriali che, stratificati nel tempo, individuano una
specifica realtà.
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Tali elementi sono rappresentati da tutte le risorse e valori individuabili come insieme localizzato di
beni comuni, patrimoniali, immobili e specifici in quanto legati alle caratterisitiche e alle condizioni
di un territorio e che, proprio perchè incorporati nel terriorio stesso, sono difficilmente trasferibili
altrove.
Tali fattori si suddividono in 4 classi: 1) condizioni e risorse dell'ambiente naturale, 2) patrimonio
storico culturale sia materiale che immateriale 3) capitale fisso dato da infrastrutture e impianti 4)
capitale umano locale inteso in tutti i suoi aspetti a livello relazionale, di professionalità, di capacità
istituzionale.
Il territorio è individuato, quindi, oltre che dalle risorse e dal patrimonio, anche dalla rete di
relazioni economiche, sociali, culturali, istituzionali che gli attori di tale ambito hanno stabilito nel
corso del tempo e che nel corso del tempo si sono trasformate e sedimentate radicando pratiche,
conoscenze e saperi difficilmente trasferibili altrove.
Ogni territorio avrà una propria peculiarità derivante dalla storia come patrimonio di identità e
differenze.
Presupposto alla individuazione di qualsiasi modello di sviluppo territoriale è il concetto di milieu
definito come “... l'insieme di condizioni interne e di risorse che definiscono l'insieme di caratteri
peculiari di un territorio dai quali dipendono i possibili cambiamenti e la concreta diffusione dello
sviluppo ...(De Matteis, 1994); “... è costituito da un insieme di elementi, di tipo fisico e socio-
culturale, sia materiali che immateriali, che si sedimentano nel tempo, in un certo luogo, attraverso
l'evolversi storico di rapporti intersoggettivi …” (Governa F., 1997)
1.2 Il modello SloT: Sistema Locale Territoriale
Il sistema locale è definito come “un aggregato di soggetti che in determinate circostanze si
comporta come un soggetto collettivo... E' un insieme dotato di una propria identità, ... un sistema
che interagisce con l'esterno … capace di riprodursi nel tempo ...” (De Matteis, 1994).
Il sistema locale territoriale (modello SloT) è un ambito territoriale definito dalla rete di relazioni
degli attori locali di quel determinato spazio geografico e connesso con reti di attori dell’ambiente o
degli ambienti esterni; è definito come un “sistema locale che, coincidendo stabilmente con
determinati luoghi, si caratterizza per gli specifici rapporti comuni che i soggetti costituenti
intrattengono con un certo ambiente o milieu locale..” (De Matteis, 1994)
Da un punto di vista analitico il modello Slot è individuato da diverse componenti:
la rete locale come insieme di relazioni e interazioni tra diversi soggetti, singoli o come
aggregazioni territoriali di soggetti pubblici e privati, presenti in un'area uniti dall'impegno
di programmare e realizzare progetti che possano trasformare, sviluppare e riqualificare il
territorio;
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il milieu locale cioè l'insieme delle risorse materiali e immateriali specifiche del territorio.
Tali componenti interagiscono tra di loro trasformando i fattori del milieu in valori e modificando
così l'ambiente.
Il sistema territoriale locale perciò configura sia il luogo fisico che il luogo in cui si intersecano
relazioni dirette ad affrontare e risolvere i problemi posti alle aziende, alle istituzioni, agli attori e
alla comunità locale dalla competizione globale in termini di accumulo e diffusione delle
conoscenze, di organizzazione della produzione, di riproduzione delle competenze professionali e di
governance socio-istituzionale.
Il modello SloT analizza e cerca di capitalizzare le risorse territoriali, le relazioni e le dinamiche che
si instaurano tra i soggetti territoriali, anche in rapporto con gli altri livelli istituzionali, ritenuti
capaci di produrre cambiamenti in diversi settori locali al fine di perseguire gli obiettivi di sviluppo
in senso lato prefissati.
Un'importanza fondamentale assume, nel modello SloT, l'analisi di partenza e cioè
i progetti attivati, i settori interessati e gli strumenti normalmente utilizzati
l'individuazione del capitale sociale cioè gli attori coinvolti, la loro natura, le forme di
partnership esistenti
le risorse territoriali di cui si dispone, il loro utilizzo, le loro caratteristiche e tipologie
Definita l'analisi come punto di partenza, il modello SloT confronta il “patrimonio” territoriale dato
con l'organizzazione del territoro in ambito politico, economico, sociale, di offerta di servizi, ecc.
Il modello SloT parte quindi dall'identità del passato ma è definito soprattutto dalla capacità
organizzativa e di autoriproduzione del sistema.
Tale modello teorico non è però esente da limiti e criticità legate a:
il rischio di enfatizzare gli attori locali e il loro ruolo dimenticando che il sistema territoriale
locale opera sempre e comunque in un contesto più ampio
le competenze necessarie e le capacità degli attori locali di individuare e analizzare tutte le
risorse territoriali intese in senso lato
la difficoltà di rendere concreta l'azione collettiva territoriale in termini di sinergia che un
territorio può esprimere
il rapporto con le politiche urbane, territoriali e le sostenibilità ambientali
1.3 Dal modello SloT allo sviluppo territoriale: il livello locale come attore nei processi
di sviluppo
Nell'economia globalizzata molti sono i fattori che influenzano lo sviluppo.
La domanda di consumo finale, la mobilità dei capitali, l'innovazione sono fortemente soggetti a
variabili globali; altri come l'attività delle piccole e medie imprese e la richiesta di servizi pubblici e
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privati possono avere una dimensione più nazionale e/o regionale.
Nell'economia globalizzata, per favorire una competizione basata non sui costi, ma su qualità e
innovazione, sono proprio le risorse, i fattori e gli elementi del territorio che assumono importanza
sempre maggiore nel definire quale politica e strategia di sviluppo locale adottare.
Lo sviluppo locale è definito come un un processo di interazione tra soggetti locali (pubblici,
privati, ecc) che condividono, in modo esplicito o implicito, una idea di sviluppo basata sulla
valorizzazione delle risorse e delle ricchezze, materiali e non, di cui quel territorio dispone. Tali
soggetti locali, radicati nel territorio sia per vicinanza che per conoscenza, possono riuscire meglio a
comprendere, attivare, modificare e gestire le dinamiche socioeconomiche locali in modo più
efficace e duraturo rispetto a interventi esclusivamente esterni.
Il territorio quindi sarà tanto più competitivo, anche a livello globale, quanto più sarà capace di
individuare e perseguire una propria strategia di sviluppo che massimizzi le specificità locali nel suo
complesso, il cosiddetto milieu locale.
Ne deriva che, data la capacità degli attori locali di individuare potenzialità e limiti del sistema
locale territoriale, obiettivi da definire e strategie da assumere, lo sviluppo locale non può essere
settoriale ma legato a politiche multidimensionali, integrate e intersettoriali in cui il territorio è
elemento centrale.
In questo modo il territorio diventa soggetto distinto attivo nello sviluppo con un proprio
patrimonio, valori e capitale e lo sviluppo locale è il processo di progettazione che il territorio
individua assumendo un ruolo tanto più attivo quanto maggiori e varie sono le risorse, i valori
territoriali, gli attori locali e la loro capacità di azione e di autorganizzarsi.
1.4 L'influenza dei livelli istituzionali nello sviluppo locale
Se è vero che “...lo sviluppo locale è inteso come progetto locale...” (Magnaghi, 2000) è anche vero
che il territorio, da solo, non può garantire autonomamente il proprio processo di sviluppo in quanto
intervengono delle dinamiche globali, non solo a livello economico ma anche istituzionale e sociale.
Il territorio è sempre parte integrante di un sistema più ampio, non è di per sè autonomo in quanto
risente, in modo integrato, di scelte assunte ai livelli più alti e quindi è anche influenzato da input
esterni.
Il modello teorico SloT presuppone che la “rete” entri in relazioni con altre reti, con altri sistemi
territoriali, anche sovralocali, in un intreccio e influenze reciproche continuo.
Il sistema locale territoriale opera si come soggeto collettivo autonomo e distinto ma comunque
obbligato a interagire con altri livelli locali e sovralocali.
La stessa programmazione economica territoriale intreccia tutti gli interventi attuati di soggetti che,
a vario titolo, possono perseguire anche obiettivi diversi: la crescita economica, l'utilizzo ottimale
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delle risorse, la riduzione del divario tra territori, la sostenibilità ambientale e sociale, sempre però
nell'ottica di una finalità più generale che è quella dello sviluppo locale.
Tale rapporto è evidente se si analizza, ad esempio, il ruolo che lo Stato ha assunto nelle politiche di
sviluppo locale, i cambiamenti legati alla sua organizzazione e articolazione, i rapporti con gli altri
livelli di intervento e come si sono modificate le strategie, i modelli e gli obiettivi di sviluppo,
anche terrioriale.
Il livello statale non è più l'unico o il principale luogo e livello di intervento ma se ne possono
individuare altri verso il basso (per esempio le reti di impresa che superano i livelli nazionali), verso
l'alto (l'influenza sempre maggiore di istituzioni e organismi a livello sovranazionale come ad
esempio la UE), tra livello centrale e periferico con forme di cooperazione tra enti pubblici sia
verticale che orizzontale, tra pubblico e privato (vedi l'affemarsi di forme svariate di partenariati),
Il rapporto, i ruoli e le relazioni dei diversi livelli istituzionali non sempre sono di tipo gerarchico
ma sempre più di cooperazione, integrazione e complementarità al fine di indirizzare azioni e
strategie verso un unico obiettivo condiviso che è lo sviluppo.
Se guardiamo poi esclusivamente alla distribuzione di funzioni e poteri tra Stato, Regioni e Enti
Locali in materia di sviluppo, gli interventi e le politiche possibili sono sempre più condizionate
dalle scelte che l'UE adotta attraverso specifiche azioni comunitarie (vedi programmi come il
Leader) e con l'adozione di principi comuni ai tutti i Paesi Ue (sussidiaritetà, semplificazione della
burocrazia, autonomia delle autorità locali, ecc).
1.5 L'evoluzione storica dei modelli di sviluppo locale in Italia
Nel corso del tempo gli approcci allo sviluppo territoriale sono cambiati perchè sono cambiati i
presupposti, gli attori, le metodologie e gli obiettivi rispetto alle politiche tradizionali di sostegno
allo sviluppo.
I modelli sono cambiati a seconda del ruolo e dell'influenza che, nel corso dei decenni, la variabile
territorio ha assunto nelle politiche di sviluppo locale.
Tra il dopoguerra e gli anni '70, nei paesi ad economia capitalista il modello di sviluppo dominate
è stato quello fordista, basato su una forma specifica di organizzazione della produzione e del
lavoro, sul ruolo centrale della grande impresa: il territorio rappresentava un fattore, nelle scelte
produttive, diretto a definire la localizzazione delle attività legata alla variabile distanza. Il
confronto è tra economie nazionali e quindi anche lo sviluppo, e le sue dinamiche, interessano tale
livello. E' lo Stato che assume un ruolo forte, in modo gerachico e piramidale, che interviene con la
programmazione economica territoriale sia come soggetto regolatore che come soggetto diretto nel
definire e finanziare la promozione della crescita (approccio top down). Il territorio è destinatario
passivo di interventi e risorse decise a livello superiore, elemento non derimente nelle scelte
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aziendali e di sviluppo in cui prevalgono le variabili del mercato e della tecnologia.
Lo sviluppo di un'area è quindi legato, a parità di risorse materiali date, solo a fattori esogeni al
sistema, alla capacità di espansione della grande impresa e all'organizzazione fordista del lavoro;
ciò ha comportato un elevato sviluppo urbano, l'aumento delle differenze tra città e campagna, il
divario tra nord e sud, gli squilibri tra centro e periferia.
Tale modello entra in crisi con l'affermarsi di nuovi fatti economici e sociali: l'avvento delle nuove
tecnologie, la diversificazione della domanda di merci per soddisfare anche bisogni immateriali, il
cambiamento del mercato del lavoro e la diversificazione delle competenze richiesta dalle imprese.
Il cambiamento del sistema economico con la crisi del fordismo porta dagli anni '70 in avanti a
considerare, oltre all'aspetto economico, anche l'importanza dei fattori sociali e culturali e del loro
ruolo nelle relazioni tra impresa e territorio. Il sistema economico si integra a livello mondiale, i
mercati diventano sempre più globali, aumenta la competizione tra i luoghi. Cambia
l'organizzazione delle produzioni: entrano in crisi la grande impresa e le aree tradizionali di
sviluppo, si riorganizza il mercato del lavoro, si affermano nuovi settori e territori.
La dimensione locale dello sviluppo acquista sempre più importanza sia a livello mondiale, nel
rapporto tra Paesi industrializzati e Paesi sottosviluppati, che nel rapporto tra aree o regioni in crisi,
in ritardo o in declino (vedi in Italia il Mezzogiorno).
Una forte spinta alla dimensione locale inizia ad essere data anche dalla Ue tramite l'istituzione di
fondi strutturali destinati allo sviluppo e alla coesione dei diversi Paesi e delle loro regioni.
Lo spostamento verso il livello territoriale cambia le scale di riferimento, le competenze dei diversi
livelli istituzionali che si spostano verso il basso e l'approccio stesso alla questione dello sviluppo
che parte dal locale e dal basso (bottom up).
Il territorio diventa protagonista, capace di attrarre imprese e contribuire al loro sviluppo e lo
sviluppo locale diventa vera alternativa strategica come risposta alla globalizzazione.
Diminiuscono gli interventi di programmazione centralizzata, cambiano i contenuti e le modalità di
intervento: diventano prevalenti gli obiettivi di sostenibilità e di coesione rispetto a quelli di
riequilibrio; l'intervento diventa indiretto, di indirizzo e incentivo per la promozione di forme di
governance del territorio.
Si passa allo sfruttamento dei vantaggi, non più comparati, ma competitivi prima fino ad arrivare
allo sfruttamento dei “vantaggi collaborativi” nelle scelte di programmazione economica locale.
Le politiche diventano multidimensionali, integrate e intersettoriali; aumenta il numero degli attori
istituzionali e non, compresi quelli sociali, e si modifica il loro ruolo con l'individuazione di un
coinvolgimento più partecipativo.
Ne sono esempi l'affermarsi delle PMI, i distretti industriali, l'affermarsi delle prime forme di
partenariato.
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Le modifiche possono essere così riassunte
Impresa localizzata Impresa radicata
Competizione del sistema di imprese Competizione delle imprese e del territorio
Politica industriale Politica di sviluppo territoriale
Territorio come contenitore Territorio come spazio relazionale
Lo sviluppo locale diventa sinonimo di politica integrata, basata sulla valorizzazione delle
specificità del territorio, del rapporto tra i diversi settori di intervento, del coordinamento dei
differenti livelli istituzionali, della cooperazione tra soggetti pubblici e privati e della partecipazione
ai processi decisionali.
1.6 Dalle politiche top down alle politiche bottom up
Il passaggio dalle politiche di sviluppo tradizionali a politiche di sviluppo locale è caratterizzato da
modifiche nei presupposti, negli attori, negli approcci, nelle metodologie, negli obiettivi che
possono essere così riassunte:
Politiche di sviluppo tradizionali Politiche di sviluppo locale
Presupposto Approccio top-down in cui le decisioni relative alle aree in cui intervenire sono prese dal centro in base a risorse territoriali date
Promozione dello sviluppo in tutti i territori con iniziative che spesso partono dal basso legate alla valorizzazione del milieu locale
Attori Gestione delle politiche unicamente da parte dello Stato centrale secondo procedure standard e centralizzate
Cooperazione e condivisione verticale, fra diversi livelli di governo e orizzontale, tra attori pubblici e privati non legata a rapporti gerachici
Approccio Approccio settoriale allo sviluppo basato sulla competizione globale
Approccio territoriale allo sviluppo (multidimensionalità dello sviluppo locale)
Metodologie Definizione di grandi progetti industriali, intesi come attività motrici in grado di promuovere lo sviluppo anche di altre attività economiche
Valorizzazione del potenziale di sviluppo specifico di ogni luogo al fine di stimolare un rapporto positivo fra locale e globale
Obiettivi Le politiche forniscono supporto finanziario, incentivi e sussidi diretti alle attività economiche
Le politiche forniscono prevalentemente le condizioni di contesto a supporto per lo sviluppo delle attività economiche e l'accrescimento delle capacità radicate nel territorio.
1.7 Aspetti critici nell'applicazione del modello di sviluppo SloT
Il dibattito tutto teorico sui modelli e approcci di sviluppo territoriale, nel corso degli ultimi
decenni, nonostante l'enfasi data all'ambito locale come nuovo livello di programmazione strategica
in risposta anche alla globalizzazione, ha incontrato notevoli difficoltà poi applicative soprattutto
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perchè poco si è fatto per promuovere le politiche di sviluppo territoriale, soprattutto a livello
nazionale.
Infatti, pur essendo modificato il rapporto tra i livelli istituzionali, il Governo Italiano centrale
rimane soggetto fondamentale e necessario in quanto titolare a garantire e fornire il quadro di
riferimento nazionale, legislativo, di risorse, di strategie, di politiche industriale e del loro
coordinamento (vedi infrastrutture e altri interventi) la cui mancanza rende qualsiasi intervento a
livello locale insostenibile.
L'inesistenza di scelte di politica industriale e di individuazione degli obiettivi principali in presenza
di risorse limitate da parte dei Governi degli ultimi anni è stata una delle cause che ha amplificato
gli effetti della crisi attuale.
Il rischio è che lo sviluppo locale sia determinato, ancora oggi, solo dalle poche risorse finanziarie e
non da vere dinamiche locali rivolte alla valorizzazione delle specificità dei territori: tale
valorizzazione presuppone una visione chiara, a tutti i livelli istituzionali, sul tipo di sviluppo e
modello da attuare in Italia (quali aree, quali settori, quali lavori, quali investimenti) e su una reale
capacità della politica di individuare obiettivi, strategie, strumenti e mezzi.
Gli stessi interventi della UE poco valgono se, accanto all'unità monetaria, non si raggiunge presto
anche l'unità economica e politica affinchè le politiche scelte siano realmente condivise e attuate.
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CAPITOLO 2: Il ruolo del capitale sociale nello sviluppo locale
2.1 L'importanza del capitale sociale
Qualsiasi intervento sul territorio e nelle politiche allo sviluppo ha come presupposto il
coinvolgimento di diversi soggetti e organizzazioni (ambito plurisoggettivo), le relazioni che tra
loro si instaurano e la necessità di governarle (ambito relazionale).
Questi ambiti rappresentano l'elemento centrale attorno a cui si cerca di formalizzare e
istituzionalizzare i rapporti affinchè si concretizzino in processi di pianificazione aperti, decentratri,
basati sulla collaborazione e partecipazione.
Tutto ciò ha portato, nel tempo, a costituire strutture in partenariato, forum partecipativi, seminari
consultivi ormai diffusi per qualsiasi piano di intervento soprattutto in via preventiva.
Il capitale sociale è definito come “ la rete di relazioni che lega soggeti individuali e collettivi e
che può alimentre la cooperazione e la fiducia, e la produzione di economie esterne, ma che può
ostacolare anche gli esiti favorevoli per lo sviluppo locale” (Trigilia 2001). Tale concetto di capitale
sociale come fattore positivo nel favorire gli scambi si inizia ad affermare negli anni '90 quando
anche il concetto di territorio e di politiche locali per lo sviluppo subiscono uno stravolgimento
concettuale.
La partecipazione allo sviluppo locale del capitale sociale (attori locali e loro relazioni) risponde a
diverse esigenze o utilità:
un'utilità strumentale in quanto, essendo soggetti locali, conoscono il contesto in cui operano
e quindi, fornendo informazioni più ampie, permettono di avere più elementi per definire la
strategia più efficace; inoltre la loro partecipazione diretta nel definire le necessità locali,
attraverso la mediazione e la negoziazione tra i vari interessi di cui sono portatori, permette
di costruire il consenso e di tentare a ridurre preventivamente i conflitti legittimando la
strategia adottata
un'utilità costruttiva perchè gli attori locali tutti, non solo le istituzioni, in quanto
rappresentanti delle varie componenti locali sono portatori di interessi diversi; evidenziando
le posizioni autonome, anche diverse, nel definire le priorità, le strategie di intervento, gli
strumenti di controllo, gli attori locali diventano parte attiva nei processi di sviluppo
garantendo la partecipazione democratica.
un'utilità diretta in quanto la collaborazione, l'apprendimento collettivo, la partecipazione
permettono di rafforzare il capitale sociale, quindi gli attori locali sono sia mezzo che
obiettivo per lo sviluppo.
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Se la partecipazione e il coinvolgimento degli attori locali è necessaria bisogna poi, calandosi nella
realtà, individuare:
cosa si intende per partecipazione e cioè definire in quali forme, con quali atti garantire il
coinvolgimento di una pluralità di soggetti; significa individuare quali strumenti il soggetto
politico e istituzionale, oltre a colmare il gap di risorse, tecnologia, competenze e
infrastrutture, possa adottare per garantire la governance di tutto il processo
quali soggetti (stakeholders) portatori di interessi più o meno diffusi nel territorio si voglia
coinvolgere nel processo di sviluppo locale sapendo che possono avere una influenza sulla
gestione dell'intervento e sui suoi risultati, negativa o positiva
quale è la finalità della loro partecipazione se esclusivamente consultiva o meno.
Ne deriva che bisogna trovare il punto di equilibrio tra la necessità della partecipazione in termini
di soggetti e ruolo a loro riconosciuto da un lato e i costi di concertazione, le capacità e
responsabilità di ognuno, la fiducia che si instaura tra i vari attori.
Non è però possibile definire a priori le variabili che influenzano in modo positivo o negativo le
conseguenze del capitale sociale sullo sviluppo.
In linea teorica un sistema locale sarà tanto più ricco di capitale sociale quanti più soggetti
individuali e collettivi sono coinvolti nel territorio.
L'importanza del capitale sociale come fattore di sviluppo locale è stata molto limitata nel periodo
fordista (separazione economia e società, ruolo ridotto del contesto istituzionale locale, autonomia
dell'impresa rispetto alle condizioni esterne ambientali, sviluppo legato alla sola capacità
organizzativa dell'impresa e alle politiche di stato sia come incentivazioni che per regolare al
domanda).
E' solo periodo postfordista, con la necessità di gestire il fattore flessibilità inteso in seno lato, che il
capitale sociale acquista importanza sempre maggiore; è il periodo della diffusione dei distretti e
delle prime reti di impresa in cui il fattore cooperazione è fondamentale per ottenere flessibilità e
qualità della produzione.
Da solo il capitale sociale non assicura lo sviluppo locale ma può influenzare positivamente gli altri
fattori: il capitale finanziario, umano (conoscenze), fisico (infrastrutture) favorendone la crescita, la
valorizzazione e l'aggiornamento.
Il capitale sociale non è quindi la sommatoria di generiche disponibilità a cooperare ma la
costituzione di una rete di relazioni sociali in cui tutte le risorse comuni sono utilizzate sia dal
singolo attore locale che dalla rete complessivamente intesa che diventa essa stessa risorsa positiva
comune per lo sviluppo, anche in risposta alla globalizzazione e i vantaggi competitivi cosiddetti
relazionali si distribuiscono, oltre che sul terriorio, a tutti coloro che partecipano alla rete.
Il capitale sociale è inoltre strettamente legato sia al ruolo della politica che al mercato e alla
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pressione della concorrenza. E' la politica condizione necessaria per la valorizzazione delle reti
sociali; il suo ruolo sarà tanto più efficace quanto maggiore è la sua capacità di trasformare il
capitale sociale in risorsa positiva per lo sviluppo locale; questo richiede però una grande capacità
della politica (che purtroppo oggi manca) di modernizzarsi, di fornire le condizioni appropriate, di
favorire lo sviluppo di nuove reti.
Al mutare del mercato, della politica e della sua capacità di mediare il rapporto tra reti e mercato,
muta anche nel tempo il rapporto tra capitale sociale e sviluppo.
2.2 Quale capitale sociale per quale sviluppo locale
Normalmente gli attori locali coincidono con forme di organizzazione collettiva istituzionale e non,
dagli enti locali alle associazioni di categoria o a partnership tra attori.
Gli attori locali che costituiscono il cosiddetto capitale sociale possono essere distinti in base alla
loro natura (pubblica o privata o mista), all'ambito tematico (economico, istituzionale, sociale, ecc),
al ruolo assunto nei processi di sviluppo (promotore, partner), al territorio di appartenenza (locale,
sovralocale, translocali, ecc).
Nel modello teorico SloT gli attori sono generalmente soggetti collettivi considerati nel loro
complesso. Il singolo individuo in quanto tale incide se ha una posizione privilegiata per il potere
(economico ma non solo) o per il ruolo di decisore (sindaco, amministratori pubblici e privati).
Nella realtà, anche se gli attori sono spesso collettivi (associazioni, movimenti, enti locali) e
rappresentano gli interessi e gli obiettivi che li individuano come soggetti distinti (rappresentanza e
rappresentatività) molto spesso, essendo fondamentale il confronto, il dialogo, la negoziazione e la
concertazione, la fiducia di cui gode il singolo individuo che rappresenta il soggetto collettivo
locale è precondizione per l'intero processo. Spesso cioè la differenza la fa chi partecipa e come
partecipa e non solo l'aspetto formale di rappresentanza.
Particolari soggetti collettivi nel modello SLoT di sviluppo locale sono i sindacati, le associazioni
imprenditoriali e gli altri partner sociali.
L'individuazione di tali soggetti implica un modello particolare di relazioni sociali e di regolazione
della rappresentanza e della partecipazione che è quello corporativo. In tale modello le relazioni tra
i soggetti sono più stabili e formalizzate, prevedono ruoli definiti e procedure di negoziazione di
tipo sistemico. Il soggetto regolatore (di norma il livello istituzionale locale) crea o almeno
dovrebbe creare luoghi di concertazione con l'obiettivo di mediare gli interessi di cui i diversi attori
sono portatori.
Sono modelli di tipo chiuso, rispetto a quello pluralista che tiene dentro anche gruppi di interesse e i
movimenti sociali, e con un numero limitato di attori: partiti politici, OOSS, associazioni
imprenditoriali ai quali viene riconosciuta un “monopolio” di rappresentanza nelle rispettive
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categorie. Più è ampio il numero di soggetti riconosciuti come rappresentativi tanto maggiore è la
probabilità che le relazioni tra i singoli soggetti siano dirette ad incentivare lo sviluppo e non a
perseguire interessi propri. Tale modello è in parte messo in discussione dalla crescente
globalizzazione e segmentazione del mercato del lavoro.
I livelli di partecipazione si distinguono in :
forti quando c'è una delega in toto o in parte di responsabilità agli attori locali nella
pianificazione, gestione e valutazione degli interventi o comunque si instaurano rapporti di
partenariato concreto con il potere decisionale
deboli quando la partecipazione si sviluppa solo tramite strumenti di consultazione e di
informazione.
2.3 L'esperienza della concertazione negoziata nella programmazione dello sviluppo
locale: il caso dei Patti Terrritoriali
Dopo la chiusura dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno, l'azione pubblica diretta alle aree
svantaggiate si è orientata verso una programmazione negoziata e partecipata, attraverso la
concertazione e il partenariato pubblico/privato.
La concertazione acquista nuovi obiettivi e funzioni, non più solo complementari ma sinergiche, al
fine di attuare, oltre alla mediazione, alla distribuzione del reddito, alla negoziazione, la creazione
di reddito e la cooperazione.
La concertazione negoziata nella programmazione dello sviluppo locale ha visto nel corso degli
anni passati l'utilizzo di diversi strumenti, senza un modello comune, ma con elementi caratteristici
centrali:
- coinvolgimento degli attori economici, sociali ed istituzionali presenti nel territorio,
- concertazione degli obiettivi di sviluppo territoriale,
- integrazione delle misure e delle risorse finanziare
- condivisione degli impegni da parte di tutti gli attori locali,
- fattibilità e sostenibilità dell'iniziativa.
Il punto centrale è stata l'idea che la concertazione tra attori locali, portatori di interessi diversi,
avrebbe potuto contribuire in modo significativo allo sviluppo economico con idee innovative,
attraverso un approccio bottom up.
In particolare il principale strumento, dalla loro introduzione nel 1996, sia per quantità di
finanziamenti pubblici che per popolazione coinvolta, sono stati i Patti Territoriali.
Il PT è un “contratto” firmato dai rappresentanti delle amministrazioni pubbliche, delle associazioni
di categoria, di un gruppo di comuni caratterizzati da vicinanza geografica, con la finalità di
incrementare la cooperazione tra i soggetti economici locali, aumentare il flusso di investimenti
16
privati nelle aree interessate e innescare un processo di crescita in territori economicamente
arretrati.
I risultati ottenuti da tale strumento dimostrano però, nonostante siano molto eterogenei, che i PT
non hanno modificato in modo significativo il sistema economico sia in termini di occupazione che
di stabilimenti creati.
Le motivazioni possono trovarsi nella mancanza di scelte strategiche e di indirizzo puntuali, nei
numerosi ritardi e discontinuità normative, nell'eccessiva burocrazia, nella lentezza delle erogazioni
per i finanziamenti, nella presenza di altri programmi utilizzabili, nella mancanza del contributo da
parte imprenditoriale, ma soprattutto nell'incapacità del soggetto istituzionale, nel suo ruolo di
facilitatore, a creare le condizioni per una concertazione diffusa al fine di creare o rafforzare il
“capitale di fiducia” nel territorio.
17
CAPITOLO 3: Europa 2020 e la nuova programmazione 2014-2020
3.1 La strategia Europa 2020 e le politiche europee
Europa 2020 è la strategia di medio lungo termine adottata dall'UE per promuovere una crescita
intelligente basata su un'economia della conoscenza e dell'innovazione (investimenti nell'istruzione,
ricerca e sviluppo), sostenibile in termini di risorse e competitività (competitività dell'industria ed
economia a basse emissioni di Co2), inclusiva e solidale in termini di coesione sociale e territoriale
(crescita occupazione e riduzione della povertà) al fine di lasciare alle spalle la crisi e creare le
condizioni per rilanciare l'economia. Per raggiungere queste 3 priorità la UE ha definito 5 obiettivi
prioritari, interconnessi e di reciproca utilità, da raggiungere entro il 2020, nelle cinque aree
principali indicate di seguito:
1) Occupazione innalzamento al 75% del tasso di occupazione (fascia 20 64 anni)
2) Innovazione e ricerca aumento al 3% del PIL dell'UE per gli investimenti in Ricerca e
Sviluppo
3) Cambiamenti climatici e sostenibilità energetica raggiungimento degli obiettivi “20/20/20”
per il clima e l'energia (- 20% emissioni gas serra + 20% fabbisogno energetico da fonti
rinnovabili + 20% efficienza energetica)
4) Istruzione riduzione dei tassi di abbandono scolastico precoce al di sotto del 10% e aumento
al 40% dei 30 - 34enni con un'istruzione universitaria
5) Inclusione sociale, lotta alla povertà e all'emarginazione almeno 20 milioni di persone a
rischio o in situazione di povertà o emarginazione sociale in meno
Questi obiettivi, rappresentativi delle tre priorità e connessi tra di loro, dovranno essere tradotti poi
in obiettivi e percorsi comunitari e nazionali.
La Commissione europea ha declinato quindi 7 iniziative prioritarie dirette a stimolare ognuna delle
tematiche prioritarie definendo il quadro entro il quale l'UE e i Governi nazionali devono muoversi
per perseguire la strategia Europa 2020. In particolare:
per la crescita intelligente l'agenda digitale europea (per accelerare la diffusione
dell'internet ad alta velocità e sfruttare i vantaggi di un mercato unico del digitale per
famiglie e imprese), l'unione dell'innovazione (per migliorare le condizioni generali e
l'accesso ai finanziamenti per la ricerca e l'innovazione, facendo in modo che le idee
innovative si trasformino in nuovi prodotti e servizi tali da stimolare la crescita e
l'occupazione), youth on the move(per migliorare l'efficienza dei sistemi di insegnamento e
agevolare l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro)
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per la crescita sostenibile l'Europa efficiente sotto il profilo delle risorse (per contribuire a
scindere la crescita economica dall'uso delle risorse, favorire il passaggio a un'economia a
basse emissioni di carbonio, incrementare l'uso delle fonti di energia rinnovabile,
modernizzare il settore dei trasporti e promuovere l'efficienza energetica), una politica
industriale per l'era della globalizzazione (migliorare il clima imprenditoriale, specialmente
per le PMI, e favorire lo sviluppo di una base industriale solida e sostenibile in grado di
competere su scala mondiale)
per la crescita solidale l'agenda per nuove competenze e nuovi lavori (per rendere più
moderni i mercati occupazionali, garantire il life long learning, conciliare meglio l'offerta e
la domanda di manodopera, anche tramite la mobilità dei lavoratori), la piattaforma europea
contro la povertà (per garantire coesione sociale e territoriale distribuendo equamente i
benefici della crescita)
3.2 I Fondi Strutturali Europei
Per la realizzazione degli obiettivi della politica di sviluppo e coesione, l’Unione Europea ha
istituito appositi strumenti finanziari, i cd. Fondi strutturali espressamente dedicati o in
compartecipazione con altre politiche non traversali; sono lo strumento finanziario che L'UE adotta
con la finalità di ridurre il divario dei livelli di sviluppo socioeconomico tra le varie regioni,
promuovere la crescita e rafforzare la coesione economica e sociale dell'intera comunità.
I fondi, gestiti tramite cicli di programmazione settennale, sono rappresentati dai seguenti fondi
comunitari:
FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale), creato nel 1975, è lo strumento di politica
regionale della UE per promuovere la competitività e incrementare la coesione sociale
economica e territoriale. E' diretto principalmente ad aiuti e finanziamenti verso i settori
della ricerca e sviluppo tecnologico, innovazione, aiuti alle imprese, imprenditorialità,
ambiente, energia, cultura e turismo, per rilanciare, e sostenere la competitività del sistema
produttivo regionale e locale. Si attua tramite i POR regionali
FSE (Fondo Sociale Europeo) è lo strumento per sostenere e promuovere le opportunità
occupazionali, la mobilità anche professionale dei lavoratori e la formazione continua
attraverso politiche di formazione, riqualificazione dei lavoratori, sviluppo imprenditoria e
inclusione sociale. Si attua tramite i PoR regionali
FEASR (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale) è lo strumento di finanziamento
della politica di sviluppo rurale tramite misure a sostegno degli investimenti per il
miglioramento della competitività dei settori agricoli e foreste, l'ambiente e la gestione dello
spazio rurale, la qualità della vita e la diversificazione delle attività
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FEAMP (Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e per la Pesca) è lo strumento finanziario
a sostegno del settore pesca, attuato tramite PON, per attuare la politica europea comune in
tale ambito diretta a sviluppare le attività di pesca, e acqualcoltura tramite anche l'uso
sostenibile delle risorse da un punto di vista ambientale, biologico ed economico al fine di
dare finanziamenti agli operatori, alle comunità costiere in collegamento anche con i
contesti del turismo e dell'ambiente.
FC (Fondo di Coesione) è il fondo che assiste alcuni degli Stati Membri (non l'Italia) con
un reddito nazionale lordo (RNL) pro capite inferiore al 90% della media comunitaria
diretto a recuperare il ritardo economico e sociale di tali paesi e a stabilizzare l'economia per
reti transeuropee di trasporto e tutela dell'ambiente
A tali fondi si affiancano specifiche risorse o fondi “tematici” o “settoriali” o a “gestione diretta”
gestiti centralmente e direttamente dalla Commissione Europea diretti a finanziare progetti di
elevato interesse innovativo, normalmente transnazionali, e i fondi nazionali, principalmente il FSC
(Fondo per lo sviluppo e la coesione ex FAS Fondo per le aree sottosviluppate), nato nel 2003,
strumento finanziario a titolarità nazionale con programmazione pluriennale e strategia unitaria
definita dal Quadro Strategico Nazionale, a disposizione del Governo e delle Regioni italiane per la
realizzazione di interventi nelle aree sottosviluppate con lo scopo di effettuare un riequilibrio
economico e sociale in un'ottica unitaria a livello di risorse.
Le risorse sono dirette a investimenti pubblici per infrastrutture materiali e immateriali o incentivi
in senso lato legati a progetti di rilievo nazionale, interregionale e regionale.
3.3 La nuova politica europea di sviluppo e la nuova programmazione dei Fondi
strutturali 2014 - 2020
Nel periodo 2014- 2020 di nuova programmazione tutte le politiche dell'Unione Europea dovranno
dare il loro contributo agli obiettivi di Europa 2020.
Politiche UE Politica di Coesione
(concorrenza, politica estera, (FESR, FSE, FC) cooperazione, ecc) Altri strumenti Politica agricola Comune
Fdo solidarietà, Fdo Globalizzazione (FEASR, FEAGA)
Crescita
intelligente sostenibile
inclusiva
Piani Nazionali di Riforma Politica della Pesca (FEAMP)
Riforma dei fondi e nuovo quadro regolamentare
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La politica di coesione economica e sociale dell'UE, rappresentando un terzo del bilancio europeo
(2014 – 2020 circa 336 mld di euro), è il principale strumento per la crescita, la creazione di posti di
lavoro e l'attuazione delle politiche europee di sviluppo. Tale politica, obiettivo prioritario fin
dall'Atto unico del 1986, è finalizzata da un lato “a ridurre il divario fra le diverse regioni ed il
ritardo delle regioni meno favorite” e, con il trattato di Lisbona, introduce il concetto di “politica di
coesione economica, sociale e territoriale” al fine di promuovere lo sviluppo territoriale più
equilibrato, armonioso e sostenibile. E' espressione della solidarietà tra gli Stati membri affinché le
regioni siano luoghi più innovativi e competitivi e fornisce il quadro generale di strategie,
investimenti e assegnazioni necessari per raggiungere gli obiettivi fissati.
La politica agricola comunitaria (PAC), oggetto di riforme già nel 1988 e nel 1992, dell'UE è lo
strumento per la razionalizzazione e l’incremento della produttività nel settore agricolo, allo scopo
di assicurare un tenore di vita equo alla popolazione rurale dei paesi membri. L’azione in campo
rientra tra le finalità generali di costituzione dell'UE e mezzo necessario per la creazione del
mercato comune. La necessità di un intervento in agricoltura nasce dalla consapevolezza che questo
settore, lasciato alle libere leggi del mercato, non sarebbe riuscito a seguire l’espansione generale
dell’economia, poiché il progresso tecnologico avrebbe aggravato il divario, già tanto ampio, tra
reddito agricolo e reddito industriale. Di qui la necessità di interventi prima a livello nazionale e poi
a comunitario con l'istituzioni del FEOGA (Fondo europeo di orientamento e garanzia) con finalità
di solidarietà finanziaria e la rivisitazione dell'intera politica comunitaria agricola verso i principi di
sviluppo ed economicità.
La politica della pesca (PCP) dell'UE, dall’ottobre 1970, mira ad instaurare un corretto equilibrio
tra l’offerta e la domanda nell’interesse dei pescatori e dei consumatori europei. L’UE istituisce
norme di commercializzazione, un regime di stabilizzazione dei prezzi e regole che disciplinano gli
scambi con i paesi terzi.Tra gli obiettivi della PCP figurano la protezione degli stock ittici dallo
sfruttamento eccessivo, la garanzia di un reddito per i pescatori, il regolare approvvigionamento dei
consumatori e dell’industria di trasformazione a prezzi ragionevoli e lo sfruttamento sostenibile
delle risorse acquatiche viventi da un punto di vista biologico, ambientale ed economico.
La Commissione Europea, al fine di progettare e attuare la politica di coesione, di sviluppo rurale e
della pesca, più efficace ed efficiente, ha apportato, con l'ultima programmazione, numerose
modifiche, in qualche aspetto anche in modo rilevante, ma senza alterare la loro struttura di fondo,
in un'ottica di integrazione partendo dalle esperienze passate e dalla necessità di dare impulso alla
ripresa economica.
In primo luogo la politica di sviluppo rurule e quella della pesca, a partire da Agenda 2000, avevano
acquisito una relativa autonomia dalle politiche di coesione, che si era concretizzata in programmi
21
separati e in un ciclo di programmazione specifico sancita anche dall’esistenza di due documenti
strategici differenziati e tra loro scarsamente comunicanti: il Quadro Strategico Nazionale (Qsn) per
i fondi strutturali da un lato, e il Piano Strategico Nazionale (Psn) per il Feasr, dall’altro.
Tale separazione nella prossima programmazione viene a decadere.
In primo luogo la visione strategica dell'UE per l'utilizzo coerente dei fondi strutturali, basata sulla
concentrazione tematica degli investimenti con un numero limitato di priorità, è indicata in un
documento unitario, il Quadro Strategico Comune (QSC) attraverso cui sono stati definite 4 mission
e 11 obiettivi tematici relativamente al periodo 2014 – 2020 e per ognuno di essi sono state definite
le possibili linee di intervento che possono esser implementate da ogni fondo, le condizioni ex ante
da soddisfare a priori da parte di ogni Stato Membro, dei principi generali per impostare le strategie
e i criteri di coordinamento e integrazione tra i Fondi e tra questi e gli altri interventi gestiti
direttamente dalla UE.
Tali mission e obiettivi sono:
1) Sviluppare un ambiente favorevole all'innovazione delle imprese
- Rafforzamento ricerca, innovazione e sviluppo tecnologico
- Miglioramento dell'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione
- Promozione competitività delle PMI, settore agricolo e pesca
2) Realizzare infrastrutture performanti e assicurare una gestione efficiente delle risorse
naturali
- Promozione trasporto sostenibile e rimozione delle strozzature nelle principali
infrastrutture di rete
- Miglioramento dell'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione
- Tutela dell'ambiente e promozione efficienza delle risorse
- Sostegno alla transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio in tutti i
settori
- Promozione dell'adattamento ai cambiamenti climatici, prevenzione e gestione rischi
3) Aumentare la partecipazione al MdL, promuovere l'inclusione sociale e migliore la qualità
del capitale umano
- Promozione occupazione e sostegno alla mobilità dei lavoratori
- Promozione inclusione sociale e lotta alla povertà
- Investimento in istruzione, competenze e apprendimento permanente
4) Favorire la qualità, l'efficacia e l'efficienza della PA
- Potenziamento della capacità istituzionale e amministrazioni pubbliche efficienti
- Miglioramento dell'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione
A tali strategie comuni si collega il nuovo Regolamento Generale Ue sui fondi comunitari che
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unisce le linee guida, oggi separate, della politica di coesione, agricola e affari marittimi e pesca in
un quadro unico di regole. In particolare fissa, i principi generali, le modalità e fasi della
programmazione, gli obiettivi tematici, la gestione finanziaria, il monitoraggio e la valutazione oltre
che il coordinamento tra le politiche e la coerenza strategica. Ogni fondo poi ha il suo regolamento
specifico che definisce le priorità tematiche per ciascun fondo integrando la normativa comune.
Cresce, quindi, il peso dei fondi comunitari nelle politiche di sviluppo. Il raggiungimento degli
obiettivi di Europa 2020 è legato all'utilizzo ottimale delle risorse in termini di concentrazione delle
stesse su interventi selettivi e strategici per lo sviluppo locale, efficaci (velocità e semplificazione
della spesa) ed efficienti (qualità degli interventi e ricadute sulle politiche), unitari ed integrati con
un forte coinvolgimento del partenariato economico, sociale e delle istituzioni.
Le principali novità dell'intero percorso sono legate, quindi, ai seguenti principi e presupposti:
concentrazione tematica sulle priorità Europa 2020
individuazione di 3 fasce di Regioni: più sviluppate (per l'Italia regioni del centro nord
comprese le Marche), in transizione (per l'Italia Sardegna, Abruzzo, Molise) e meno
sviluppate (per l'Italia Campania, Basilicata, Puglia Calabria Sicilia)
impegni formali tra UE e Stati Membri con la definizione dell'Accordo di Partenariato
attenzione ai risultati e riconoscimento in base agli stessi
sostegno alla programmazione integrata
rafforzamento della coesione territoriale
semplificazione dell'esecuzione
La nuova programmazione europea dei fondi ha introdotto un nuovo approccio e una nuova
metodologia condivisibile che però non devono diventare strumenti del non sviluppo: è la classe
politica a tutti i livelli (con tutti i problemi che in Italia abbiamo) che deve compiere scelte
consapevoli affinché si possa trovare l'equilibrio tra obiettivi macroeconomici e microeconomici.
La nuova programmazione impone di ragionare per progetti a vari livelli e il superamento delle
debolezze e carenze strutturali è sempre indicato come condizione ex ante da assicurare; questo
aspetto purtroppo per l'Italia ha un rilievo maggiore rispetto agli altri paese europei e richiederà
interventi più massicci e specifici.
Il nuovo metodo del “come spendere” richiede inoltre al governo attuale la definizione di scelte di
politica da adottare per promuovere competitività, convergenza e cooperazione. La necessità è
quella di concentrarsi su obiettivi ben precisi e definiti verso i quali orientare le risorse con
l'attenzione però di conciliare anche, all'interno dello specifico settore di intervento, quali territori e
quali specifiche azioni e priorità altrimenti il rischio è quello ancora della distribuzione a pioggia
delle risorse.
Sulla base del QSC, del Regolamento Comune, del documento Position Papier che la Commissione
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Europea per ogni Stato Membro ha redatto evidenziando le sfide principali e le opportunità di
finanziamento, ogni Stato Membro definisce la propria strategia nazionale, le priorità e le modalità
di intervento e di impiego dei Fondi QSC attraverso la stesura dell'Accordo di Partenariato in cui, a
partire dal 2014, sono indicati i fabbisogni di sviluppo, i risultati attesi, gli obiettivi tematici, i
programmi operativi e l'allocazione finanziaria di ciascuno dei fondo QSC.
Di fatto l'Accordo di Partenariato sostituisce quelli che, nella precedente programmazione, erano il
QSN dei fondi strutturali e il PSN dello sviluppo rurale. L’AP è un documento elaborato con il
concorso del partenariato istituzionale (Amministrazioni nazionali, regionali e locali) e di quello
economico-sociale. È, inoltre, il documento nazionale che fa da cornice metodologica e strategica ai
programmi operativi finanziati dai diversi Fondi.
L’AP ha una forte valenza strategica legata alla funzione di indirizzo (fissazione di risultati da
raggiungere a livello nazionale, sotto forma di precisi target da conseguire entro la fine del periodo
di programmazione per ciascuno degli 11 obiettivi tematici); all'assicurazione dei fattori ex-ante da
soddisfare affinché le politiche possano fornire i risultati attesi; alla definizione dei sistemi
organizzativi per assicurare la capacità amministrativa e gestionale necessaria; alla definizione degli
approcci da adottare per coordinare i Fondi, integrarli nei diversi tipi di territori (urbani, rurali,
costieri e della pesca) e indirizzarli verso i bisogni di specifiche aree o gruppi target.
L'Italia ha già inviato alla Commissione Europea una prima bozza di Accordo di Partenariato, a
luglio 2013, non completa ed esaustiva.
Tale bozza è il risultato di un percorso iniziato, già a giugno 2012, con la presentazione alla
Conferenza Stato Regioni prima e a fine 2012 alla consultazione pubblica poi, del documento Barca
“Metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 2014 2020”. Tale documento, legato da
un lato alle innovazioni UE per l'utilizzo dei fondi e dall'altro sulla necessità di migliore l'impiego
dei fondi per lo sviluppo, è incentrato su:
4 temi (lavoro, competitività dei sistemi produttivi e innovazione – valorizzazione, gestione
e tutela dell'ambiente – qualità della vita e inclusione sociale – istruzione, formazione e
competenza) da cui sono scaturiti gli obiettivi tematici, i risultati attesi, gli indicatori e le
azioni da attuare tra cui le innovazioni per le imprese, la collaborazione tra imprese e centri
di ricerca, la riduzione del divario digitale, la promozione dell'occupazione soprattutto
giovanile e femminile, la diffusione delle ICT l'aumento della mobilità sostenibile, la
diversificazione e internazionalizzazione dei sistemi produttivi, il rafforzamento delle filiere
produttive di specializzazione,.. ecc
7 innovazioni di metodo (risultati attesi, azioni, tempi, trasparenza, partenariato, valutazioni
e presidio nazionale) per l'utilizzo dei fondi. In particolare l'innovazione legata al presidio
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nazionale ha visto, a fine ottobre, la nascita dell'Agenzia per i fondi UE con la finalità di
subentro nella gestione dei programmi in qualità di sostituto delle Regioni in caso di inerzia
o inadempimento delle amministrazioni nel rispetto delle scadenze, di assistenza tecnica e
sostegno, di garanzia della coerenza dei programmi.
3 opzioni strategiche: città (per promuovere innovazione produttiva e sociale), aree interne
(per mettere in sicurezza il territorio, per promuovere la diversità naturale e culturale, per
concorrere a un nuovo sviluppo prevedendo una serie di progetti pilota sui territori che
prevedano interventi destinati sia alle potenzialità produttive di queste aree, anche
l’agricoltura, che ad una serie di fattori di base dello sviluppo come scuola, salute, cura
infanzia e anziani, accessibilità e telecomunicazioni) e Mezzogiorno (per recuperare il
deficit di cittadinanza e di attività produttiva privata).
Il percorso può essere riassunto nello schema seguente:
UE Quadro Strategico Comune Azioni per ogni fondo Principali sfide territoriali Obiettivi strategici Meccanismo di coordinamento
Stato
Membro
Accordo di Partenariato (per tutti i fondi QSC)
Eventuale Piano Strategico
azionale per il FEASR
PO FEAMP
Analisi e strategie comuni Coordinamento strumenti per lo sviluppo locale Strumenti di attuazione comuni Norme Comuni – Misure tipo –Meccanismi di coordinamento nazionale
Regione PO FSE PO FESR PSR FEASR
Priorità di programmazione Obiettivi specifici indicatori Attuazione Sviluppo locale Misure ammissibili Piano Finanziario
Per comprender meglio l'impatto che tali politiche e interventi possono avere sull'UE e sul nostro
Paese e quindi dell'enorme potenzialità della nuova programmazione sulle politiche di sviluppo e
coesione, basta guardare l'ammontare delle risorse complessivamente stanziate nel quadro
finanziario pluriennale (QFP), quelle dedicate alla politiche di coesione e sviluppo e le ricadute per
l'Italia.
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QFP per le intere politiche dell'Ue 960 mld di euro
di cui:
Politiche di coesione e sviluppo 336 mld di euro (1/3 dell'intero stanziamento)
Per l'Italia lo stanziamento, per il periodo 2014 – 2020, è pari a circa 29,2 mld a cui si aggiungono
gli importi del cofinanziamento nazionale e quelli del fondo FSC nazionale.
Le risorse non sono ancora pienamente definite in quanto a livello EU manca ancora l'approvazione
in seduta plenaria del QFP mentre, a livello nazionale, è la legge di stabilità in approvazione in
questi giorni che dovrà fissare la quota di compartecipazione nazionale (oggi 24 mld inferiore al
parametro di cofinanziamento del 50%) e l'ammontare del fondo FSC pari a 54,8 mld di euro. In
particolare, rispetto agli anni precedenti, il FSC (ex FAS) avrà una destinazione specifica per
almeno l'80%, al finanziamento di infrastrutture e grandi opere soprattutto nei trasporti e
nell'ambiente prevalentemente rivolto a superare le carenze del nostro Mezzogiorno mentre gli
investimenti dei fondi strutturali saranno rivolti alle imprese, alle aree territoriali, alle persone alle
infrastrutture leggere.
Tali risorse, complessivamente pari a quasi 110 mld di euro circa, avranno quindi il duplice ruolo di
continuare a potenziare e migliorare i contesti regionali e garantire il rafforzamento del sistema
impresa, di aumentare l'occupazione, di ridurre le disparità sociali.
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CAPITOLO 4: L'approccio comunitario allo sviluppo locale
4.1 Elementi distintivi e ricadute sui Fondi Strutturali
L'intero pacchetto di politiche europee dedicate alla coesione e allo sviluppo, per la nuova
programmazione 2014 – 2020, fissa un nuovo approccio allo sviluppo locale come elemento
trainante della ripresa economica, sociale e politica.
Nel corso degli ultimi anni infatti la rilevanza a livello europeo di un approccio territoriale al
modello di sviluppo è divenuta sempre più centrale.
Gli elementi distintivi e comuni di tale approccio, che ritroviamo poi in tutti i documenti EU e
nazionali diretti al raggiungimento della strategia Europa 2020, possono essere così riassunti:
territoriale in quanto legato ad un'area geografica e culturale ben definita
endogeno in quanto la creazione di ricchezza in senso lato dipende anche dalla
valorizzazione delle risorse endogene di quel territorio da parte degli stessi attori locali
integrato in quanto non più legato a misure settoriali distinte ma a interventi multisettoriali
che coinvolgono tutti per uno sviluppo globale
ascendente in quanto l'approccio è bottom up
partenariale in quanto la gestione della strategia di sviluppo è condivisa e perseguita dagli
attori locali
sostenibile in quanto lo sviluppo locale tende ad abbinare la sostenibilità economica con
quella ambientale e sociale, ecc
In base al principio della concentrazione delle risorse alla luce di alcune priorità fondamentali e al
fine di massimizzare l'impatto degli investimenti, la UE, nel Regolamento Generale e nei
regolamenti specifici dei fondi, ha fisato:
1) per il FESR , con criteri molto stringenti,
- dei vincoli, diversi a seconda del tipo di regione (più sviluppata, in transizione, meno sviluppata)
relativi alla % di risorse che deve essere destinata a ricerca, innovazione, competitività delle PMI e
ICT (almeno 80% di cui almeno il 20% all’efficienza energetica ed energie rinnovabili – almeno il
60% di cui almeno il 15% all’efficienza energetica ed energie rinnovabili – almeno il 50% di cui
almeno il 6% all’efficienza energetica ed energie rinnovabili)
- almeno il 5% allo sviluppo urbano sostenibile
2) per il FSE che almeno il 20% della spesa di ogni Stato Membro dovrà essere riservato
all’inclusione sociale e che almeno l'80% sia destinato a 4 delle 18 priorità individuate nelle
aree tematiche occupabilità, inclusione sociale istruzione e capacita istituzionale
3) per il FEAMP ha ribadito la necessità di accrescere l’occupazione e rafforzare la coesione
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territoriale; di favorire una pesca innovativa, competitiva e basata sulle conoscenze; di
favorire un’acquacoltura innovativa, competitiva e basata sulle conoscenze; di promuovere
una pesca sostenibile ed efficiente sotto il profilo delle risorse; di promuovere
un’acquacoltura sostenibile ed efficiente sotto il profilo delle risorse; di favorire l’attuazione
della PCP; di destinare almeno il 10% del Piano nazionale allo sviluppo locale di tipo
partecipativo(SLP)
4) per il FEASR sono state fissate 6 priorità fondamentali; la possibilità di definire, all’interno
di ciascun programma, uno o più sub-programmi indirizzati a bisogni specifici, quali:
giovani agricoltori, piccole aziende, aree montane, filiere corte e agricoltura sostenibile.
opzionali a livello regionale; almeno il 5% obbligatorio della spesa deve essere destinato ai
programmi di sviluppo locale in aree rurali basati sul metodo LEADER
4.2 L'approccio integrato allo sviluppo locale
La Commissione europea da un lato ha fissato, sia tramite il QSC che i Regolamenti, priorità
strategiche e vincoli nella destinazione delle risorse dei fondi strutturali e dall'altro sollecitato gli
Stati Membri a trovare nuove forme di coordinamento e integrazione tra i fondi, alcune
obbligatorie alcune facoltative, e tra i diversi livelli di governo per realizzare azioni di sviluppo
territoriale sia locale che subregionale.
Un elemento distintivo dell'approccio comunitario allo sviluppo locale è il principio
dell'integrazione, la necessità cioè, per massimizzare i risultati sfruttando tutte le sinergie esistenti
nel territorio, di individuare interventi multisettoriali utilizzando anche programmi plurifondo. La
scelta della metodologia di intervento (plurifondo o monofondo) è rimessa dalla Commissione
Europea ai singoli Stati Membri. Entrambi gli approcci presentano opportunità e rischi che devono
essere valutati attentamente
MULTIFONDO
Opportunità: permette una integrazione completa delle
strategie multisettoriali con un numero più elevato di attori
sociali, di aree territoriali, di opportunità e ammontare
di risorse offerte dall'utilizzo di più fondi
Rischi: dispersione delle risorse se limitate, elevati tempi,
necessità di avere alta capacità ed esperienza progettuale
e maggiore coordinamento.
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MONOFONDO
Opportunità: la gestione è più semplice e si adatta meglio
ai territori con poca esperienza
Rischi: limita il raggiungimento del potenziale territoriale
e le strategie più ampie escludendo le sinergie derivanti
dall'uso di più Fondi e da un partenariato ampio; non
permette strategie omogenee per territorio e per piccoli
centri urbani in zone rurali
4.3 I nuovi strumenti europei per lo sviluppo territoriale integrato
La Commissione UE ha poi definito anche specifici strumenti che possono essere utilizzati per il
perseguimento della politica di sviluppo territoriale integrata. All'interno del Contratto di
Partenariato, e successivamente nei PO, dovrà essere definita una specifica sezione dedicata allo
sviluppo territoriale che, accanto alla declinazione delle strategie nazionali e regionali relative
all'utilizzo integrato dei fondi del QSC per lo sviluppo territoriale sostenibile, definisca anche quali
strumenti adottare ai vari livelli.
L'integrazione nella programmazione delle politiche di sviluppo territoriale rappresenta una
sperimentazione che la Commissione Europea ha stimolato agli Stati Membri e che attualmente, per
l'Italia, è in discussione per il confronto ad un tavolo Stato Regioni.
Gli strumenti previsti per tale finalità sono:
JAP Piano di Azione Comune
ITI investimenti territoriali integrati
SLC sviluppo locale partecipativo
4.4 JAP (Joint Action Plan) Piano di Azione Comune
E' lo strumento operativo, nuovo, previsto come opportunità dalla Commissione Europea, affinché
la politica di coesione sia, secondo uno dei principi ispiratori, sempre più rivolta ai risultati e alla
semplificazione nella gestione.
Il JAP, partendo dal presupposto vincolante secondo cui lo Stato Membro, se adotta tale strumento,
e la Commissione UE sono tenuti a concordare gli obiettivi specifici condivisi da raggiungere,
permette una gestione in cui il parametro fondamentale è rappresentato dai risultati, dalle
realizzazioni in base alle quali si ottengono poi i rimborsi e non dalle spese che devono comunque
essere contenute nel badget max fissato,
E' uno strumento anche qui opzionale che raggruppa uno o più progetti realizzati da un beneficiario
(obbligatoriamente ente di diritto pubblico), in possesso di certificate competenze gestionali,
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finanziare e di settore, che ne assume anche la responsabilità.
Può essere finanziato contemporaneamente da più fondi e a priori le normative UE non fissano ne
settori ne tipi di progetti: l'unico vincolo è che non può finanziare infrastrutture.
La decisione ultima è della Commissione UE che lo valuta in base ai bisogni e obiettivi di sviluppo,
ai costi da sostenere, ai risultati attesi e poi (a step) ottenuti, ai finanziamenti necessari, al periodo di
realizzazione e all'ambito territoriale e target di competenza.
Tale strumento, nuovo e per il quale sono previsti progetti pilota, da una lato lega i finanziamenti
agli effettivi risultati dell'azione strategica, permette l'approccio plurifondo, permette, attraverso la
semplificazione amministrativa dei ridotti costi di gestione ma dall'altra parte richiede anche qui
allo SM e quindi alla politica, una grande capacità progettuale e di gestione nel medio lungo
termine e soprattutto una capacità, di tutti gli SM, di adottare interpretazioni comuni su indicatori,
monitoraggio , sistema raccolta dati comuni, essendo il finanziamento legato ai risultati conseguiti.
4.5 ITI Investimenti integrati territoriali
E' un nuovo strumento per implementare le strategie territoriali di tipo integrato attraverso PO
trasversali al fine di utilizzare fondi provenienti da diversi assi dello stesso PO o da diversi PO al
fine di creare in una determinata area una strategia multidimensionale e intersettoriale.
Significa che, al fine di massimizzare lo sviluppo in modo efficace ed efficiente, si possono
utilizzare risorse dei diversi fondi, compresi FEASR e FEAMP.
L'attuazione degli ITI, sempre opzionale, presuppone da un lato l'integrazione progettuale legata al
cofinanziamento il cui valore aggiunto sono proprio le sinergie e dall'altro il contesto territoriale
definito destinatario delle azioni al fine di evidenziarne le potenzialità latenti.
Questo presuppone a priori la scelta dello Stato Membro nell'Accordo di Partenariato di utilizzare
l'ITI come strumento possibile nelle strategie di sviluppo locale integrato, indicando quale strategia,
quale tipologia di territorio (rurale, urbano, costiero, ecc), quali e quante fonti di finanziamento e
coordinamento rinviando ai PO la definizione più specifica.
Gli ITI sono sempre gestiti dallo Stato Membro direttamente o delegando la gestione a OI quali gli
EELL e presuppongono, data l'integrazione dei fondi, anche un coordinamento della tempistica
perfetto affinché gli interventi abbiano massimo risultato.
Può essere in parte sviluppato anche con l'altra strategia (SLP) dello sviluppo locale partecipativo
ma comunque da questo si differenzia in quanto le risorse derivano sempre da più assi dello stesso
fondo o più fondi mentre lo SLP può concentrarsi anche al massimo in un unico fondo e unico asse;
l'approccio è sempre top down allo sviluppo in quanto è a monte che si decide se e come attivare
tale strategia; può essere attuato solo da un ente locale (o al massimo da più in forma associata)
senza avere mai alcun coinvolgimento della comunità locale (a differenza dello SLP) non
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prevedendo la costituzione di partenariati pubblici privati.
Gli ITI possono attuare strategie di sviluppo territoriale integrato (nei territori in cui zone rurali e
centri di piccole dimensioni costituiscono un unico sistema strettamente connesso sia a livello
economico che produttivo al fine di offrire in un'ottica intercomunale servizi efficaci e efficienti),
patti territoriali o locali per l'occupazione e inclusione sociale (diretti a perseguire obiettivi di
occupazione, istruzione, ricerca innovazione inclusione sociale valorizzando le specificità
territoriali) e strategie di sviluppo urbano. Soprattutto per tale tipologia di intervento l'ITI è
considerato strumento ideale tenendo conto che almeno il 5% delle risorse FESR deve essere
destinate proprio ad azioni integrate per lo sviluppo urbano sostenibile (investimenti per il
miglioramento dell'efficienza e efficacia delle infrastrutture di rete e dei servizi pubblici, anche
nuovi legati alle smart cities, rafforzamento di servizi altamente innovativi alle imprese e alle filiere
produttive, pratiche di inclusione sociale se si integra anche con il FSE)
Tale strumento presenta molti vantaggi: - è infatti un'opportunità e facoltà importante data dal QSC
agli Stati Membri, - prevede una approccio integrato e intersettoriale ai problemi - può aggregare
più risorse intervenendo sia sulle infrastrutture (FESR) che sulle persone (FSE) verso un unico
obiettivo – la scelta è sui temi delle strategie per un territorio in modo tale che l'ITI può coprire
anche diversi tipi di aree.
L'ITI presenta però anche delle criticità legate ai tempi (deve essere definito in sede di AdP in molti
suoi aspetti) e quindi è uno strumento poco flessibile ai cambiamenti repentini, alla necessità di
prevedere una destinazione vincolata a monte delle risorse, alla grande capacità progettuale nel
medio lungo termine di scelte e priorità richiesta alla classe politica.
4.6 SLP Sviluppo locale di tipo partecipativo
L'esperienza dell'approccio LEADER di azioni di sviluppo locale partecipativo nell'economia
rurale diretto a considerare come elemento fondamentale nel medio e lungo termine il potenziale di
un'area ha dimostrato di essere strumento positivo per attuare le politiche di sviluppo. Ne deriva che
la Commissione Europea, nel QSC e nel Regolamento Comune per l'utilizzo dei fondi QSC, ha
adottato tale l'approccio come strumento fondamentale per la programmazione 2014-2020 dando
indicazioni a tutti gli SM di definire una specifica sottosezione, relativa all'utilizzo di tale
strumento, nell'AdP indicando il ruolo delle strategie locali nelle politiche di sviluppo, le sfide, gli
obiettivi e le priorità in termini di tematiche di intervento legate ai fabbisogni/specificità dei
territori, le tipologie di territori dove potrà essere utilizzato, i fondi utilizzabili e il loro ruolo
tenendo conto della concentrazione degli investimenti, l'organizzazione amministrativa e il
coordinamento.
In sintesi dovrà essere definito, per tale strumento quale fondo fa cosa , come e dove intervenire e
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come rendere integrato un approccio dal basso, flessibile, in una programmazione che invece è
prevalentemente top down e quindi più rigida.
A tale proposito a livello nazionale opera un gruppo di lavoro che, sulla base del documento
“Orientamenti per l'applicazione del Community.Led Local Development (CLLD) in Italia” (12
luglio 2013) predisposto dalla Rete Rurale, sta definendo tutti gli ambiti di intervento e utilizzo di
tale strumento (metodo per l'impostazione dei Piani locali).
Lo sviluppo locale partecipativo rappresenta lo strumento specifico da utilizzare a livello
subregionale, insieme alle altre misure a sostegno dello sviluppo locale integrato, in cui, con un
approccio bottom up, il capitale sociale del territorio di riferimento diventa portatore di interessi e
attore principale, a livello locale, per il perseguimento degli obiettivi di Europa 2020.
Alla base c'è la progettazione e gestione degli interventi da parte degli attori locali, tramite una
partnership pubblico privata che affida l'elaborazione del piano di azione locale (traduzione degli
obiettivi in azioni concrete) ai GAL (Gruppi di Azione Locale) il cui ruolo è definito dagli Stati
Membri.
L'obiettivo di tale strategia è quello di permettere, a livello locale, lo sviluppo di approcci dal basso
integrati per definire le strategie migliori alle sfide future attraverso cambiamenti strutturali; di
stimolare l'innovazione, l'imprenditorialità e la capacità di cambiamento valorizzando e
individuando le potenzialità del territorio, di ampliare la partecipazione e il coinvolgimento al fine
di migliorare l'efficienza delle politiche europee; di supportare la governance a livelli diversi e in
senso più ampio.
La Commissione Europea propone una unica metodologia per lo SLP basata: - sulla definizione
della strategia da attuare nell'ambito di specifiche tematiche individuate, - sulla individuazione dei
territori subregioali specifici (rurali, urbani, costieri, transfrontalieri o un insieme di questi), - su un
approccio partecipativo attraverso i GAL (Gruppi di Azione Locale) costituiti dagli attori locali
pubblici e privati (mai quindi solo Ente Locale), che sia legato all'area, integrato e multisettoriale
partedo dalle potenzialità ed esigenze locali, - sull'innovazione a livello locale attraverso la
costituzione di reti e di cooperazione il tutto al fine di utilizzare in modo integrato tutti i fondi per le
strategie di sviluppo locale.
Gli ambiti tematici di intervento per la SLP individuati sono i seguenti:
- Sviluppo e innovazione delle filiere e dei sistemi produttivi locali (agro-alimentari,
artigianali e manifatturieri); Sviluppo della filiera dell’energia rinnovabile (produzione e
risparmio energia);
- Turismo sostenibile;
- Cura e tutela del paesaggio, dell’uso del suolo e della biodiversità (animale e vegetale)
- Valorizzazione di beni culturali e patrimonio artistico legato al territorio;
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- Accesso ai servizi pubblici essenziali;
- Inclusione sociale di specifici gruppi svantaggiati e/o marginali;
- Legalità e promozione sociale nelle aree ad alta esclusione sociale ;
- Riqualificazione urbana con la creazione di servizi e spazi inclusivi per la comunità;
- Valorizzazione delle produzioni ittiche, delle tradizioni della pesca e della filiera corta;
- Diversificazione economica e sociale connessa ai mutamenti nel settore della pesca
- azioni e misure orizzontale come la formazione, il trasferimento tecnologico, la diffusione
delle ICT, la mobilità e i trasporti locali, i servizi alle imprese e alla popolazione ecc. che se
funzionali agli interventi precedenti possono essere inclusi
L'iter è quindi il seguente:
UE Stato Membro GAL
Definisce priorità e investimenti misure ammissibili
Definisce gli ambiti tematici e i risultati attese
Individuano i temi rispetto agli ambiti tematici Individuano le misure azioni più idonee per la realizzazione della strategia
La strategia di sviluppo locale è quindi elaborata dai GAL e deve contenere:
1) definizione dell'area e della popolazione interessata (tra i 10mila e 150mila abitanti)
2) le esigenze di sviluppo e potenzialità dell'area in termini di fattori di forza e criticità
3) le strategie e obiettivi coerenti con la programmazione
4) le modalità di coinvolgimento della comunità locale
5) il piano di azioni concrete
6) i meccanismi di gestione, monitoraggio e valutazione
7) il piano finanziario distinto per ogni fondo e decisione se adottare o meno strategie
multifondo
Tale strategia, se poi selezionata per l'attuazione, sarà realizzata dagli stessi GAL, costituiti dai
rappresentanti degli interessi socioeconomici pubblici e privati (enti locali, organizzazioni
rappresentative di imprese e lavoratori, associazioni, ecc). I GAL decidono in quota % a seconda
della rappresentanza (ma nessun componente può superare il 49%) e hanno il compito di sostenere
i soggetti locali nell'elaborare e attuare gli interventi, scegliere i criteri di selezione, pubblicare i
bandi, valutare i progetti, selezionare gli interventi e fissare l'importo del sostegno per i singoli
progetti a seconda delle richieste di finanziamento.
Nella programmazione 2014 -2020, le norme comunitarie per i fondi QSC sono elemento
fondamentale per incoraggiare lo sviluppo locale di tipo partecipativo. Infatti si adotta una sola
metodologia per tutti i fondi e per tutte le regioni per potenziare le capacità, sviluppare partenariati
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pubblico privati, istituire reti; l'utilizzo coerente, coordinato e integrato di fondi permette di
rispondere alle esigenze di una specifica area magari che abbia più aspetti (rurale e urbano); sono
premiati i programmi operativi che attuano i vari assi prioritari tramite l'approccio di tipo
partecipativo.
Il FEASR per le aree rurali adotta tale approccio da 20 anni, con l'approccio LEADER, basato
sull'area, agendo dal basso, pubblico privato, integrato, innovativo, collaborativo e che prevede
l'uso di una struttura di rete; dal 2007 anche il FEAMP supporta tale tipo di sviluppo basato sul
presupposto che le misure adottate per la pesca sfruttino nuovi mercati e prodotti, incamerino le
conoscenze, energia e risorse specifiche di quella zona di pesca; infine per l'adozione di tale
approccio nei fondi FESR/FSE il presupposto è proprio la strategia 2020 legata all'inclusività e
all'integrazione, alla necessità di garantire una crescita di qualità inclusiva e sostenibile.
Infine data l'area e l'integrazione dei fondo lo sviluppo di tipo partecipativo è la metodologia
migliore per creare collegamenti tra aree urbane, rurali e di pesca. Ogni Stato Membro dovrà
definire nell'Accordo di Partenariato come vuole sostenere tale tipo di sviluppo, in quali aree, quali
programmi, sapendo che è obbligatorio per il FEASR e facoltativo per gli alti fondi, indicando una
scadenza comune di selezione e approvazione delle strategie locali entro il 2015.
Tale strumento di sviluppo presenta quindi notevoli vantaggi legati al coinvolgimento diretto del
territorio sul quale, se coerentemente perseguite, le strategie si riflettono in risultati positivi rispetto
a finanziamenti di solito limitati; ai risultati più efficienti legati alle sinergie locali sviluppate; alla
possibilità di intreccio con altri strumenti come l'ITI.
Lo strumento SLP presenta però anche molte criticità legate alla complessità amministrativa e
gestionale dell'intero percorso, soprattutto da parte di GAL neocostituiti, alla definizione dell'ambito
territoriale di competenza per evitare che la strategia invece di essere efficace diventi dispersiva,
alla grande capacità, nel medio lungo termine, progettuale, di coordinamento e di scelte e priorità
richiesta alla classe politica.
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Conclusioni
La bontà di qualsiasi modello teorico di sviluppo territoriale risente fortemente delle variabili legate
poi alle realtà locali.
La crisi che l'Europa intera, Italia compresa, sta attraversando ha fatto perdere all'UE i suoi tratti
distintivi ottenendo come risposta soltanto politiche di austerità e rigore contabile.
Ciò ha portato a tagli indiscriminati e lineari alla spesa pubblica, a drastiche riduzioni delle risorse a
disposizione soprattutto verso quelle politiche economiche e sociali che, invece, avrebbero dovuto
essere potenziate per rilanciare l'economia e dare risposte ai bisogni di lavoratori e cittadini, già
pesantemente penalizzati dalle conseguenze della crisi.
Tali politiche si sono dimostrate palesemente errate e quindi si pone l'esigenza di dare un nuovo
impulso all'Europa in termini di istituzione, garantendo maggiore integrazione e solidarietà tra gli
Stati Membri, e all'economia attraverso un piano straordinario di investimenti e di crescita in cui il
lavoro e l'impresa, in condizione di parità, possano contribuire allo sviluppo e al progresso comune.
L'uscita dalla crisi, quando ci sarà, non lascerà nulla come prima, sono cambiati i presupposti, il
modello di sviluppo necessario si dovrà attestare su nuovi equilibri locali e mondiali.
Significa saper essere capaci di individuare quali consumi, quali produzioni, quali territori, quali
strategie prevedere e quali interventi attuare.
La nuova politica di sviluppo europeea e la nuova programmazione dei fondi per lo sviluppo
possono rappresentare una grande opportunità, se sostenute da tutti gli Stati Membri, per l'intero
sistema.
In particolare l'Italia sconta debolezze del sistema produttivo, competizione basata esclusivamente
sui costi, ritardi e mancanza negli ultimi 20 anni di una politica industriale che indicasse, invece,
una via alta allo sviluppo, con risorse certe e mirate in settori strategici innovativi e premianti,
valorizzando le enormi ricchezze e potenzialità che il nostro Paese presenta (la molteplicità dei
territori, il patrimonio storico artistico culturale e ambientale).
Le risposte non possono essere incerte o labili: non ci sono i tempi, non ci sono le condizioni
sociali, non ci sono risorse illimitate, la politica dovrà, finalmente, assumersi la responsabilità di
effettuare le scelte stragiche necessarie e urgenti per rispondere ai bisogni e alle necessità del nostro
Paese.
Il segnale purtroppo ancora una volta non c'è a partire dalla legge di stabilità in discussione: ancora
una volta si parla poco di politiche industriali, di lavoro, di occupazione da intendere non solo come
decontribuzione e servizi per il lavoro ma come indicatore di risultato di tutti gli interventi
programmati, anche in riferimento alle politiche europee.
La CGIL, invece, questa responsabilità l'ha assunta, nel silenzio generale, formulando la proposta
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del Piano per il Lavoro in cui si tengono insieme, indicando anche dove reperire le risorse, realtà
(politica economica concreta), crescita (settori e comparti prioritari su cui investire, dove orientare
ricerca e innovazione, come e cosa produrre), territorio (valorizzazione delle realtà locali in
un'ottica di politica nazionale) e pubblico (come volano dello sviluppo e strumento di coesione
sociale).
Ma questo non basta. Bisogna rivendicare con forza il riconoscimento di quel ruolo propositivo che
è proprio della CGIL, anche a livello locale, alla luce delle opportunità di sviluppo territoriale
offerte dalla nuova programmazione europea, affinchè, quando si parla di sviluppo, il lavoro, e non
solo il capitale, sia il fattore determinante, fondamentale, tutelato e garantito.
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