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Lo sviluppo della città e la qualità dei servizi pubblici · Possiamo allora riconoscere un “albero della qualità” dei servizi ... possibili. Il controllo e la ... risultare

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Lo sviluppo della città e la qualità dei servizi pubblici

Nel dibattito sui temi dello sviluppo della città e sulla gestione dei processi di innovazione, un

ruolo significativo sia dal punto di vista dell’elaborazione di contenuti che della formazione della

classe dirigente venne sostenuto negli anni ’90 dal mondo cattolico.

Questo intervento venne proposto all’interno delle “Scuole di Formazione Socio – Politica”

gestite dalle Diocesi di Padova e di Venezia, e in occasione di numerosi eventi promossi dal

Centro Toniolo per la Pastorale Sociale e del Lavoro di Padova.

La città si presenta oggi non solo come il luogo fisico dell’innovazione e del mutamento sociale

ed economico, ma anche come la condizione indispensabile per l’evoluzione della Società

stessa, nella sua forma più articolata e completa [1].

Tuttavia, nonostante l’idea di città appartenga alla storia della civiltà moderna, quando ci

proponiamo di individuarne gli aspetti specifici ci troviamo di fronte ad una immagine

controversa e difficile definizione, in cui si sommano confusamente parametri di tipo

“qualitativo” e “quantitativo”.

La città oggi non appare più identificabile come un contenitore ad alta densità di persone, servizi

e produzione, ma piuttosto come modo di organizzazione degli eventi sociali ed economici. Ciò

che concorre a definire la città è dunque l’ “effetto urbano” generato dalla città stessa, che

non si rileva per conseguenza staticamente in misure quantitative (tante abitazioni, tanti telefoni,

tante auto, tanti abitanti ...), ma dinamicamente dalla capacità di generare per gli abitanti

condizioni di lavoro e di crescita culturale e sociale, attraverso la disponibilità e l’ interazione di

strutture specifiche (scuole, aziende, enti pubblici, luoghi di culto etc.).

La statica immagine tradizionale di città come agglomerato urbano (la metropoli), definita

prevalentemente dalla logica delle dimensioni, della concentrazione e dei numeri, è sostituita

così da un nuovo modello dinamico, caratterizzato dalla diffusione qualitativa dei “segni della

città” in un’area metropolitana estesa.

L’effetto urbano lega così, senza soluzione di continuità, territorio ed attività, innescando

attraverso il rapporto tra abitanti e strutture dinamiche di sviluppo proprie della città: si

moltiplicano le opportunità dei cittadini di esprimere adeguatamente le loro capacità

professionali e di realizzare un progetto di vita umanamente gratificante, soddisfacendo il loro

bisogno di appartenenza al corpo sociale ed esaltandone sia gli aspetti di solidarietà che di

espressione individuale.

La ricerca dell’ effetto urbano emerge oggi con sempre maggiore evidenza nei contesti di

sviluppo delle cosiddette “città medie”, che costituiscono per le aree urbane circostanti dei

modelli di riferimento caratterizzati da elevati contenuti urbani, in relazione ai servizi ed alle

opportunità fornite agli abitanti.

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Un attributo dell’effetto urbano: la qualità dei servizi pubblici

I servizi pubblici rivestono un ruolo di particolare importanza nella manifestazione dell’effetto

urbano perché rappresentano la struttura portante della città e ne condizionano i ritmi di

crescita e la qualità della vita.

La ricerca della qualità del servizio pubblico è quindi un obiettivo irrinunciabile in un progetto di

sviluppo della città: la definizione di questa qualità va tracciata attraverso parametri in grado di

rilevarne sia gli aspetti quantitativi ed economici, sia quelli si carattere sociale, strettamente

connessi alla natura del servizio pubblico.

Possiamo allora riconoscere un “albero della qualità” dei servizi (fig. 1 - [2]), che può essere

utile per definire con maggiore precisione in cosa consiste la qualità del servizio pubblico, quali

sono i sui attributi e le azioni necessarie per ottenerla.

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Le quattro attività di base per conferire qualità al servizio sono:

- facilitare l’accesso degli utenti al servizio in questione;

- migliorare le condizioni di fornitura del servizio;

- monitorare il servizio, per correggerne gli errori e controllarne lo sviluppo;

- prevedere innovazioni che consentano di potenziarlo e renderlo maggiormente efficiente.

La prima area di attività riguarda principalmente la comunicazione verso l’utente, e costituisce

quella funzione di “relazioni pubbliche” che è diventata sempre più importante anche ai fini della

trasparenza delle attività della pubblica amministrazione.

Il miglioramento della fornitura del servizio ha invece a che fare con prestazioni che potremmo

definire di carattere “logistico”: si tratta fondamentalmente di ridurre i “tempi morti”

dell’erogazione dei servizi e di rendere le procedure per la loro fruizione meno complesse

possibili.

Il controllo e la correzione del servizio hanno invece a che fare con le procedure di “metodo”,

attraverso le quali si esercita il “monitoraggio” delle prestazioni e, sulla base del “feed-back”

dell’utenza, si apportano le correzioni funzionali al miglioramento del servizio.

L’ultima area rappresenta invece la funzione “innovativa”, che impegna l’Amministrazione nello

studio e nella sperimentazione di forme diverse di servizio, oltre che nel potenziamento e

allargamento dei servizi esistenti.

Il “circolo virtuoso” del progetto di sviluppo della città

Le diverse fasi del percorso di attuazione delle iniziative volte al raggiungimento dell’ “effetto

urbano positivo”, attraverso il miglioramento della qualità dei servizi pubblici, sono legate tra

loro da una sorta di “circolo virtuoso” nel progetto di sviluppo della città [3]. L’idea del

“circolo virtuoso” nasce dalla necessità di porre in rilievo la stretta concatenazione di causa -

effetto che lega i diversi momenti dello sviluppo del progetto, ed al tempo stesso la loro

“circolarità” temporale.

I passaggi fondamentali riassunti dal “circolo virtuoso”, illustrato in fig. 2 , sono quindi i seguenti:

- individuazione dei settori di intervento prioritari dell’Amministrazione o dell’Ente

interessato, assieme alle potenzialità ed ai punti di forza e debolezza;

- stimolo dell’interesse dell’opinione pubblica e ricerca del consenso sulle proposte

dell’Amministrazione;

- realizzazione di partnership tra gli “attori” istituzionali e privati interessati al progetto;

- elaborazione del piano progettuale;

- reperimento dei finanziamenti e delle altre risorse necessarie;

- assegnazione delle responsabilità e attuazione del progetto;

- valutazione dell’impatto;

- pubblicizzazione delle iniziative e valorizzazione dei risultati.

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Questa formulazione schematica non pretende di riassumere univocamente tutte le situazioni

reali, o di determinare rigidamente la successione delle fasi, ma rappresenta una utile traccia per

rappresentare efficacemente il “ciclo di lavorazione” di un progetto di sviluppo.

Nella pratica avviene di sovente che alcune fasi possono, in termini di investimento di risorse o

di efficacia, risultare secondo i casi più importanti di altre. Altrettanto soventemente alcune fasi

potranno addirittura risultare invertite nell’ordine di successione, come accade in particolare

per la imprescindibile fase di reperimento dei finanziamenti che, per cause spesso contingenti ed

ineludibili, si trova spesso anteposta ad altre “strategicamente” magari più importanti.

Un esempio di settore di intervento: il trasporto pubblico

L’individuazione dei settori di intervento rappresenta indubbiamente uno dei momenti più

delicati, perché è finalizzato a definire non solo i bisogni espliciti ed evidenti, quali possono

essere quelli legati ai servizi di trasporto pubblico, nettezza urbana o altri, ma anche i bisogni

latenti o inespressi, per mancanza culturale, di una “massa critica” o di “forza contrattuale” da

parte degli utenti che dovrebbero esplicitarli. Si tratta tipicamente in questo caso delle “fasce

deboli” della società, tra le quali oggi troviamo, ad esempio, i bambini, gli anziani (in rapido

aumento percentuale sulla popolazione globale), i disabili e gli extracomunitari.

Assieme all’individuazione dei bisogni espressi ed inespressi, compito di questa fase è anche la

previsione dei bisogni futuri, a medio e lungo termine, della comunità interessata: l’ “audit”

necessario deve quindi essere di tipo “dinamico”, e non si deve accontentare di effettuare una

“fotografia” della realtà ma deve essere finalizzato a fornire le indicazioni di previsione.

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L’ ”audit” della città è quindi orientato all’ “individuazione dei bisogni” in una accezione

decisamente innovativa, e deve prevedere grande attenzione per le “condizioni ambientali” della

struttura economica, sociale e culturale.

Le connessioni tra il rilievo dell’ambiente e le azioni successive è mostrata nel grafico di fig. 3, in

cui viene tracciato il percorso che lega l’ “audit” e la capacità e opportunità di innovare ([4]).

In fig. 4 è schematizzato l’effetto di un miglioramento del sistema di trasporti, coincidente

nell’esemplificazione con un generico aumento della quantità e della qualità dei servizi di

trasporto ([4]). Tale aumento causa in prima istanza due effetti speculari: l’allargamento della

gamma di mezzi e percorsi, e quindi un aumento delle opzioni per l’utenza, e una riduzione dei

tempi di spostamento dell’utenza stessa.

A valle del primo effetto, come prima conseguenza determinante, troviamo la nascita di nuove

opportunità di insediamento civile o industriale, con conseguenti ricadute positive

sull’occupazione e sulle attività di urbanizzazione ed edificazione.

La riduzione dei tempi di spostamento determina invece un risparmio di tempo dell’utenza, che

si ripercuote in una riduzione dei costi delle imprese, e in un miglioramento dell’impiego del

tempo “dedicato a sé” da parte delle persone.

Il risultato di questo miglioramento della qualità del servizio è quindi proprio l’ “effetto urbano”

auspicato, quella “moltiplicazione delle opportunità” per i residenti in cui consiste oggi il vero

valore aggiunto delle città.

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Fonti

[1] Roberto Guiducci, L’urbanistica dei cittadini, Laterza

[2] L’IMPRESA -Rivista Italiana di Management - n. 7/1995 - Per una Pubblica Amministrazione

che funzioni meglio e costi meno di Filippo Bucarelli e Luca Lo Schiavo

[3] XXI Secolo - Rivista di Studi e Ricerche della Fondazione Agnelli - numero 1, novembre

1989

[4] L’IMPRESA - Rivista Italiana di Management - Collezione 1995-1996

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PADOVA 21

Nel 1998 le aziende padovane dei servizi pubblici AMAG, AMNIUP e ACAP decidono di avviare

la pubblicazione di PADOVA 21, una rivista trimestrale sui servizi pubblici destinata ai cittadini.

Questa iniziativa si colloca nella prospettiva della fusione delle tre aziende nella Azienda Padova

Servizi spa, che avverrà nel 1999. L’unificazione dei servizi pubblici padovani rappresenta un

passaggio importante nel processo che porterà in seguito alla fusione di APS spa con la triestina

ACEGAS, e quindi alla nascita di ACEGAS APS spa, oggi tra le prime aziende multiservizi

italiane.

Padova 21 rappresenta un interessante e innovativo esperimento di dialogo e di

approfondimento sui temi di maggiore attualità che riguardano la città e lo sviluppo dei suoi

servizi. I testi riportati di seguito costituiscono alcuni degli editoriali di apertura dei singoli

numeri della rivista, usciti dal 1998 al 2000.

* * *

Perché Padova 21

in una società già così affollata di messaggi ed informazioni, trasmessi oggi da mezzi di

comunicazione sempre più potenti ed “invadenti”, presentare una nuova pubblicazione rischia di

apparire un esercizio inutile

Padova 21, rivista trimestrale voluta dalle Aziende Speciali del Comune di Padova ACAP,

AMAG e AMNIUP, non intende però semplicemente aggiungersi al già nutrito panorama

editoriale della nostra città. L’obiettivo di Padova 21 è informare e aggiornare gli abitanti di

Padova e dei Comuni contermini alla città dello stato e dell’evoluzione dei servizi pubblici

primari che sono oggi alla base della nostra organizzazione urbana, nell’ambito della mobilità,

dell’igiene ambientale, della distribuzione dell’acqua e dell’energia.

Conoscere e comunicare le caratteristiche di questi servizi, e le loro prospettive future,

costituisce oggi un impegno irrinunciabile da parte di chi gestisce le risorse disponibili, ed un

diritto fondamentale dei cittadini, che devono oggi essere considerati non più semplici utenti ma

veri “clienti” dei servizi pubblici. (aprile 1998)

* * *

Il ciclo delle attività urbane

Con l’arrivo della stagione autunnale, la città riprende il ritmo delle sue attività. Il rientro dalle

ferie, la riapertura delle scuole, dei negozi e delle attività produttive riavviano a pieno regime

tutte le “funzioni urbane”, supportate dal sistema dei servizi per la mobilità, l’ambiente e

l’energia.

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Questi servizi costruiscono, giorno dopo giorno, la continuità tra il sistema dei mezzi di

trasporto materiali (vetture private, autobus, ferrovia) e immateriali (reti di computer), tra gli

ambienti naturali (parchi e giardini) e quelli artificiali (abitazioni, uffici, fabbriche), tra le strutture

per il lavoro e quelle per il tempo libero.

Il sistema dei servizi pubblici costituisce il filo con cui è intessuta la trama di questa “città-rete”,

i cui confini vanno al di là di quelli puramente amministrativi, perché comprendono di fatto il

“mercato” cui i servizi pubblici stessi si rivolgono: un’ ”area urbana allargata” dinamica ed in

continuo mutamento, che esprime bisogni differenziati ed evoluti.

Il nuovo ciclo delle attività urbane che si inaugura con la stagione autunnale impegna il sistema

dei servizi pubblici nel potenziamento della propria organizzazione, nella ristrutturazione dei

propri orari, nell’erogazione di nuovi servizi. L’obiettivo cui tendere è sostenere e sviluppare

quella “città-rete” che esprime oggi la vera essenza della città moderna, operando in un

“ambiente urbano” che richiede una continua e delicata integrazione tra il patrimonio esistente,

in termini architettonici, urbanistici ed ambientali, e le nuove tecnologie. (settembre 1998)

* * *

Nasce l’Azienda Padova Servizi

La disponibilità di un sistema efficiente ed organizzato di servizi pubblici è una condizione

indispensabile per garantire la qualità e la vivibilità dell'ambiente urbano, attraverso le funzioni

della mobilità, dell' igiene e della distribuzione dell'energia.

Queste funzioni prioritarie per lo sviluppo della città sono assicurate oggi a Padova dall'attività

delle tre Aziende Speciali del Comune, l'ACAP (Azienda Comunale Autofiloviaria di Padova),

l'AMNIUP (Azienda Speciale Ambiente) e AMAG (Azienda per l'Acqua ed il Gas).

Le tre Aziende operano oggi in regime di autonomia gestionale rispetto all'Ente Proprietario,

l'Amministrazione Comunale di Padova, e costituiscono un comparto in cui sono impiegati circa

1.300 lavoratori, per un fatturato che supera i 260 miliardi di lire.

Sull'esempio di quanto realizzato in altre città italiane, quali Brescia, Vicenza, Imola ecc.,

l'Amministrazione Comunale di Padova ha realizzato l’Azienda Padova Servizi, che riunisce in

una unica realtà aziendale le tre Aziende Speciali cui sono oggi affidati i servizi pubblici prioritari.

La fusione di ACAP, AMNIUP ed AMAG è in grado di condurre alla valorizzazione ed al

potenziamento dei servizi prioritari attraverso un duplice percorso virtuoso, legato alla nuova

possibilità di gestione delle risorse e alla integrazione delle attività aziendali derivanti dalla

realizzazione di una azienda unica.

La gestione di un unico bilancio consentirà un impiego delle risorse disponibili più aderente allo

sviluppo dell'intera rete dei servizi, ed una programmazione delle attività e degli investimenti

necessari più articolata e mirata alle necessità dei tre settori.

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La fusione delle aziende porterà inoltre ad una maggiore integrazione delle attività aziendali, con

l’ottenimento progressivo di economie di scala, derivanti dalle maggiori dimensioni, e di varietà,

generate dalla possibilità di svolgere attività e funzioni diverse con i medesimi beni.

Il risultato finale di questa iniziativa corrisponde quindi al miglioramento dei servizi ai cittadini, e

consente la possibilità di estensione degli stessi servizi ad un territorio allargato, grazie ad un

migliore e più efficiente utilizzo delle risorse.

La società per azioni rappresenta infatti la forma aziendale più agile e flessibile per affrontare il

mercato esteso dei servizi alla collettività, cui la Padova Servizi è candidata, sia dal punto di vista

amministrativo ed operativo che da quello della ricerca e ingresso di nuovi soci pubblici e

privati.

Oltre al Comune di Padova, potranno infatti entrare a far parte della Padova Servizi altre

Amministrazioni Pubbliche interessate allo sviluppo delle sue attività, quali i Comuni contermini

alla città, e soci privati.

Va detto al proposito che questi ultimi non sono da intendersi come puri investitori, ma

piuttosto come aziende interessate allo sviluppo della loro attività anche attraverso la Società

stessa. Si pensi in particolare al ruolo che potrebbero rivestire in questo caso gli Istituti di

Credito, i fornitori di tecnologie per le diverse attività della Padova Servizi, le aziende che

svolgono attività affini o comunque integrabili; una ulteriore quota di azionariato privato potrà

infine essere sostenuta dai privati cittadini, attraverso forme di risparmio o di investimento.

(Gennaio 1999)

* * *

Città in competizione

È sempre più frequente, nella discussione attorno alle città, il ricorso al tema della

“competitività delle aree urbane”. Se pensiamo alla dimensione ‘europea”, è lecito porsi alcune

domande: esiste una gerarchia delle città europee? Queste città sono realmente “in

competizione” tra di loro?

Una ricerca della Fondazione Agnelli dei primi anni 90 divideva le città europee in quattro

diverse categorie. Nella prima fascia della gerarchia stanno le città globali, in tedesco

“weltstadt”, le “città mondo”, tra le quali Parigi, Londra, Milano. Si tratta di quelle città in cui il

complesso dei servizi e delle attività di produzione ha raggiunto una completezza ed una

integrazione che le pone ai massimi livelli di efficienza.

Nella seconda fascia si trovano le città cosiddette “in transizione positiva”, quali Monaco, Lione,

Stoccarda. Sono quelle medie e grandi città europee che stanno sviluppando vocazioni e

infrastrutture di servizio che consentono di soddisfare una utenza urbana sempre più evoluta e

differenziata.

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Nelle ultime due fasce si trovano città che stanno vivendo fasi di transizione negativa, dovute

all’invecchiamento delle loro infrastrutture urbane, o al condizionamento negativo esercitato da

alcune “vocazioni” industriali o di servizio che non sono state in grado di rinnovarsi o

specializzarsi.

Gli investimenti in infrastrutture e ristrutturazioni compiuti ad esempio da Barcellona, Genova

e Napoli, caratterizzate da una portualità tradizionale e da apparati industriali tecnologicamente

obsoleti, mirano a far rientrare queste città nella fascia di quelle “in transizione positiva”.

La ricerca di un nuovo “posizionamento” nella parte alta della gerarchia europea riassume il

significato della “competizione” in atto tra le città. Collocarsi in questa fascia, attraverso il

rinnovo e la creazione delle infrastrutture urbane (viabilità, centri direzionali, teatri, palazzi dello

sport, parchi scientifici ...) significa per le città aumentare la propria “capacità attrattiva” nei

confronti di investimenti, imprese commerciali e produttive, abitanti, professionisti.

Ai servizi pubblici è riservato, in questo quadro, il compito fondamentale di sostenere questa

nuova “capacità attrattiva” delle città, rendendola compatibile con la salvaguardia dell’ambiente

urbano. (aprile 1999)

* * *

La città sostenibile

All’avvicinarsi della fine del secolo, i fenomeni di crescente urbanizzazione a livello mondiale

impongono una riflessione sul futuro delle nostre città europee.

I fenomeni di cambiamento del clima, la riduzione delle risorse naturali, l’inquinamento

ambientale, i processi di ristrutturazione economica e sociale ci spingono oggi a ricondurre lo

sviluppo delle città alla dimensione della “sostenibilità”.

La “sostenibilità urbana” prevede, così come appare nel Rapporto Brundtland della World

Commission on Environment and Development del 1987, uno sviluppo che risponda alle

necessità del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare

le proprie esigenze.

Attuare uno sviluppo sostenibile per la città significa quindi operare scelte che vanno ben al di là

della pure importante “protezione ambientale”: la nostra responsabilità nei confronti della

salute e dell’integrità dell’ambiente urbano è a lungo termine, e si proietta sulle generazioni

future.

La città è un ecosistema complesso, interconnesso e dinamico: rappresenta una minaccia per

l’ambiente naturale, ma al contempo una risorsa importante quando riesce a proteggere la

salute e lo sviluppo dei suoi abitanti, provvedendo al soddisfacimento delle loro necessità e

delle loro aspirazioni, e a salvaguardare le specie animali e vegetali che in essa risiedono.

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I servizi pubblici di base per la mobilità, l’energia e l’igiene sono il presupposto indispensabile

per l’attuazione dello sviluppo sostenibile, perché permettono alla città di crescere senza

comprometterne il sistema naturale, edificato e sociale.

Questo obiettivo può essere raggiunto solo attraverso un approccio integrato, che consenta di

chiudere i cicli delle risorse naturali, dell’energia e dei rifiuti attraverso la riduzione del

consumo delle risorse naturali, il contenimento della produzione dei rifiuti, la riduzione

dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del terreno, l’aumento delle aree naturali.

Lo sviluppo della mobilità in città non è incompatibile con queste attenzioni, a patto che

trasporti, pianificazione ambientale e dello spazio urbano procedano di pari passo, e che il

sistema su cui si basa la mobilità in città sia realmente multimodale. Nella città sostenibile auto,

biciclette, motorini, pedoni e mezzi del servizio pubblico sono complementari, e non

concorrenti tra loro. (giugno 1999)

* * *

Una città nella città

La capacità di ospitare eventi di grande richiamo costituisce una prerogativa delle città evolute,

e testimonia di un “potere attrattivo” che, come gli altri aspetti che oggi contraddistinguono i

nuclei urbani moderni, è indipendente dalla loro “grandezza” in termini numerici e dimensionali.

Quando una città riesce ad ospitare il grande concerto di musica rock, la partita finale di una

competizione di livello internazionale o il grande raduno religioso o politico, non lo fa in forza

della sua “grandezza”, ma della sua capacità di mettere in gioco quei “valori urbani” che oggi

sono propri anche e soprattutto delle “città medie”, di cui Padova costituisce un esempio

particolarmente significativo.

Una città media come Padova riesce infatti a sostenere la propria capacità attrattiva attraverso

una forte integrazione delle sue funzioni urbane e dei servizi pubblici ad esse collegate, che le

consentono di rendersi accessibile ogni giorno a più di 150.000 persone non residenti, che si

recano a Padova per motivi legati allo studio, al lavoro, alla fruizione di servii e consulenze

specializzate di ogni tipo, al tempo libero.

Cosa accade quando una città media ospita manifestazioni o eventi eccezionali che richiamano

per un breve periodo un numero di persone pari o addirittura superiore ai suoi abitanti? Quali

condizioni devono verificarsi perché la città possa sostenere queste situazioni eccezionali,

garantendo i servizi necessari a rendere compatibili questi eventi con lo svolgimento delle

attività urbane ordinarie?

In queste occasioni si crea una vera e propria “città nella città”, che presenta gli stessi bisogni

fondamentali di mobilità, igiene, energia e sicurezza della città ospitante, con intensità e

concentrazioni però molto più elevate.

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La buona riuscita di questi eventi richiede quindi un intervento programmato e coordinato di

tutte le entità responsabili dello svolgimento delle funzioni urbane fondamentali.

Padova ha sperimentato in diverse occasioni, con risultati decisamente lusinghieri, la propria

capacità di sostenere il suo “potere attrattivo” attraverso il sistema dei servizi pubblici. Il

raduno nazionale degli Alpini dell’estate 1998, che ha portato nella città 300.000 persone per

tre giorni, o la serata inaugurale del Festivalbar 1999, che ne ha richiamate poco meno di

200.000 in una sola serata in Prato della Valle, hanno costituito prove significative, in totale

assenza di incidenti o disfunzioni, dell’attitudine della città ai grandi eventi, così come della sua

capacità di accoglienza.

Padova si è mostrata in queste occasioni come una città aperta e disponibile, molto lontana dai

modelli “funzionali” delle grandi città, nei quali ogni luogo è estremamente specializzato, ed in

cui sarebbe inconcepibile ad esempio il “concerto in piazza”. La possibilità di un uso flessibile e

non convenzionale degli spazi urbani è invece una caratteristica propria delle città medie, e

costituirà sempre più una importante risorsa per la loro crescita e valorizzazione. (settembre

1999)

* * *

Il futuro della città

Una volta, il futuro era più complesso. I profeti dei primi del novecento avevano molte difficoltà

nell’immaginare come sarebbe stata la nostra vita alla fine del secolo. L’ottimismo positivista di

quegli anni spingeva a pensare, per il 2000, a “una settimana lavorativa di 13 ore”, a città libere

dal traffico e dalla criminalità, a “un aeromobile in ogni garage”.

Di quelle previsioni non si è avverato quasi nulla, ma le città hanno comunque vinto la “sfida del

futuro”. Sono sopravvissute ai disastri di due conflitti mondiali, ed hanno creato le condizioni

per lo sviluppo della nostra società, migliorando sensibilmente le condizioni di vita dei propri

abitanti.

Come sarà la nostra vita nella città del prossimo secolo? Le tecnologie di cui disponiamo ci

consentono oggi di “scoprire il futuro” molto più realisticamente di quanto tentassero di farlo i

nostri antenati. La nostra capacità di prevedere come ce la caveremo tra qualche anno, dal

punto di vista emotivo e materiale, è infatti sensibilmente aumentata, grazie alla grande

disponibilità di dati, informazioni, statistiche, e di sofisticate procedure di elaborazione e

simulazione.

La città di domani può essere progettata con l’aiuto di uno straordinario patrimonio di

conoscenze, che ci aiuteranno a renderla più aperta, più sana e più vivibile. Sarà ancora la nostra

storia a guidarci nel cambiamento: d’altronde, come dice la Regina di Cuori in “Alice nel Paese

delle Meraviglie”, “è una memoria di scarso valore quella che lavora solo per il passato”. (aprile

2000)

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Bene comune e “funzioni urbane”

In questo ultimo scorcio di secolo le problematiche di sviluppo e gestione delle aree urbane

sono vertiginosamente aumentate: il traffico, l’inquinamento, la micro-criminalità fanno pensare

alla città come ad una “patologia” sociale, piuttosto che ad una espressione della civiltà

moderna. Nonostante ciò, la “voglia di città” non accenna a diminuire: il potere di attrazione dei

nuclei urbani non appare oggi inferiore a quello che, nel medioevo, spingeva a recarsi nelle

prime città “alla ricerca della libertà”.

Nel confronto ormai globale tra i Paesi emerge in effetti con chiarezza il ruolo determinante

svolto dalle città. La competizione tra le aree urbane è divenuta il paradigma di confronto tra le

diverse economie, e la dimensione in cui più direttamente si esprimono le differenze tra sistemi

sociali, stili di vita e di consumo.

A questo proposito, dobbiamo riconoscere che l’aspettativa degli abitanti rispetto ad alcune

funzioni “storiche” della città si è decisamente spostata dal livello quantitativo a quello

qualitativo, privilegiandone le caratteristiche “evolute”. È il caso, ad esempio, della domanda di

formazione, non più soddisfatta dalla semplice disponibilità del sistema scolastico tradizionale,

ma ancor più orientata alla ricerca della formazione avanzata, così come nell’ambito del lavoro

è divenuta sempre più importante la presenza di risorse umane ad elevato livello di

specializzazione.

Ad un apparato normativo e fiscale di minimo impatto si è sostituito, nelle aspettative dei

cittadini, un insieme trasparente di regole che garantisca la qualità della vita, ed una tassazione

limitata cui corrispondano servizi efficienti. La valutazione ed il livello di fruizione dei servizi

pubblici infatti non sono più legati solo al loro costo, ma alla loro qualità intrinseca in termini di

affidabilità (basti pensare all'erogazione dell’energia, acqua e gas) e di innovazione tecnologica

(trasporti, telecomunicazioni).

A determinare la qualità della vita nella percezione dei cittadini non è quindi più sufficiente la

semplice presenza di “funzioni urbane” ritenute oggi ormai scontate. Il mutamento degli stili di

vita, il rapporto diverso con il lavoro, un nuovo assetto delle relazioni sociali generano nuove

opportunità di crescita e di affermazione individuale, di arricchimento culturale, di gestione

differenziata del tempo libero.

In questa evoluzione, della quale le nuove tecnologie sono un formidabile fattore di

accelerazione, le nostre città sono continuamente sottoposte al pericolo della disparità sociale

e dell'emarginazione. La città è il luogo in cui si misura realmente il livello di democrazia di una

comunità, nell’ equilibrio tra libertà individuali e doveri verso la collettività, tra desiderio di

affermazione e parità di diritti e di opportunità. La realtà di fronte alla quale ci troviamo oggi

mostra che il soddisfacimento delle aspirazioni individuali deve rendersi compatibile con i

bisogni della collettività. Solo a questa condizione la città riesce ad esprimere tutta la

complessità e la ricchezza dei suoi valori, fondamentali per il raggiungimento del "bene

comune". (maggio 2000)

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Trasporto Pubblico e Mobilità Urbana

Il tema della mobilità urbana si affaccia negli ultimi anni ’90 alla ribalta del dibattito pubblico con

grande rilevanza, coinvolgendo le Amministrazioni Pubbliche in scelte impegnative sia dal punto di vista

economico che dell’impatto sulla città.

Questo intervento, che venne pubblicato tra le altre sulla rivista “Galileo” dell’Ordine degli Ingegneri di

Padova e sull’organo ufficiale di Federtrasporti “Trasporto Pubblico”, mirava a porre in evidenza gli

aspetti critici e i punti di forza delle diverse scelte, alla luce dello stato dell’arte delle tecnologie

disponibili.

Il problema della mobilità urbana rappresenta oggi uno dei maggiori vincoli allo sviluppo delle

città medie del nostro Paese, ed una grave minaccia alle condizioni di vivibilità dei loro centri

abitati.

Per affrontare consapevolmente la crisi di mobilità che interessa le nostre città, e valutare

criticamente ed obiettivamente i limiti e le opportunità che ogni soluzione presenta, è

necessario conoscere con chiarezza le motivazioni storiche della nostra situazione attuale, dalla

quale difficilmente potremo evolvere se non riconoscendo la necessità di nuove scelte in

funzione di una nuova “cultura della mobilità”.

Un breve sguardo sintetico alla storia del trasporto urbano di questo secolo ci può aiutare nella

analisi della nostra situazione attuale (fig. 1). I primi cinquanta anni del ventesimo secolo hanno

rappresentato quella che potremo definire “l’era del trasporto pubblico”: per circa mezzo

secolo infatti il “trasporto di massa” è avvenuto nelle nostre città quasi esclusivamente

attraverso mezzi pubblici, ed in particolare “reti di tramvie”, azionate dapprima dal traino dei

cavalli, ed in seguito dall’energia elettrica.

Le prestazioni di questo sistema di trasporto, in termini di capacità e livello di efficienza del

servizio, sono praticamente rimaste costanti per molto tempo: il trasporto individuale era

limitato a pochi mezzi privati, che circolavano in sede separata da quella del trasporto pubblico,

e gli unici ritardi o disfunzioni del sistema erano dovuti a limiti legati alla tecnologia propria dei

mezzi.

Con l’avvento del trasporto su gomma diffuso, databile attorno ai primi anni cinquanta, le città

compiono alcune scelte che si riveleranno determinanti nella successiva evoluzione del

problema della mobilità. La funzione “trasporto collettivo” viene assegnata in molte città

d’Europa (Padova tra queste) ai mezzi su gomma (filovia e quindi autobus), in sostituzione delle

tramvie.

Questo “salto tecnologico” è dettato da motivazioni oggettive che riguardano, allo “stato

dell’arte” degli anni ‘50, migliori prestazioni del trasporto su gomma in termini di sicurezza,

comfort di viaggio, flessibilità, velocità.

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Il “salto tecnologico” da trasporto su ferro a trasporto su gomma si accompagna però ad una

scelta “di sistema” molto più influente e carica di effetti sulla cultura della mobilità degli anni a

venire. Con l’eliminazione delle tramvie scompare infatti anche la separazione tra la sede del

trasporto pubblico, cui la tramvia era vincolata, e quella del trasporto privato. Nella percezione

degli utenti, e nelle scelte viabilistiche, l’intera sede stradale diventa così fruibile per il mezzo

privato senza più alcuna priorità o salvaguardia per il trasporto pubblico, che si trova quindi ad

operare in piena “commistione” con lo svolgersi del traffico privato.

Questa scelta “di sistema”, anch’essa motivata dallo “stato dell’arte” della mobilità degli anni ‘50

in cui l’automobile non era ancora il principale mezzo di trasporto individuale, si è però rivelata

assai poco lungimirante. Dal 1950 ad oggi, nella sola provincia di Padova, le immatricolazioni di

veicoli privati sono passate da 22.000 circa ad oltre 441.000: per ogni auto circolante nel 1952,

anno in cui l’ACAP avviava la propria attività, oggi ne transitano 20!

La conseguente progressiva paralisi della mobilità ha quindi coinvolto fatalmente, data la

mancanza di separazione dei flussi di traffico, anche il trasporto pubblico su gomma: l’abitudine

all’uso dell’auto privata e le limitate prestazioni del trasporto pubblico, dovute principalmente a

dover competere col mezzo privato nella stessa sede di traffico, hanno determinato quel

“circolo vizioso” della mobilità che oggi risulta così difficile da interrompere.

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L’avvento e la larga diffusione dell’auto non solo hanno sottratto utenza al mezzo pubblico, ma

ne hanno anche fortemente condizionato e limitato nel tempo le prestazioni: dal 1950 ad oggi,

la quota di mobilità urbana assorbita dal mezzo pubblico è passata dal 58% al 18%. Qualsiasi

giudizio sull’affidabilità del trasporto pubblico di oggi non può ignorare che le premesse delle

inefficienze attuali sono state poste quando si è ritenuto che, stante il limitato numero delle

auto in circolazione, trasporto pubblico e trasporto privato potessero viaggiare assieme nella

stessa sede, senza alcuna separazione.

Il trasporto pubblico in conseguenza di tale impostazione si trova oggi ad essere “vittima” della

degenerazione del traffico, e non “causa”.

La scelta dell’auto privata rispetto al mezzo pubblico non ha quindi ragioni “snobistiche”, ma è

la logica conseguenza di un processo di “acquisizione culturale” nell’uso della sede stradale che

dura ormai da mezzo secolo, e che ha posto nei fatti il mezzo pubblico in condizioni di non

poter rappresentare un’alternativa appetibile all’uso dell’auto privata.

Esiste poi un ulteriore elemento che ha orientato in maniera decisa all’utilizzo del mezzo

privato rispetto a quello pubblico: la progressiva “de-massificazione” delle motivazioni alla

mobilità all’interno delle città. Negli ultimi 15 anni la domanda di trasporto pubblico è diminuita

del 20% circa, mentre è aumentata di oltre il 5% quella di mobilità generale. Si è infatti ridotta,

anche per questioni demografiche, la domanda di mobilità urbana legata alle motivazioni

“classiche” dello studio e del lavoro, basata su “orari” e quindi confacente alla tradizionale

organizzazione del trasporto pubblico, mentre cresce continuamente una necessità di mobilità

estremamente diversificata per destinazioni e motivazioni, che vanno dallo shopping e tempo

libero all’esercizio di attività professionali indipendenti.

A fronte di questi rapidi e profondi mutamenti, molte città hanno avviato negli anni ‘80 iniziative

di ristrutturazione del trasporto pubblico che riequilibrassero le scelte di mobilità individuali,

troppo orientate all’uso indiscriminato dell’auto. La decisione di dedicare l’intera sede stradale

senza distinzione ad entrambi i flussi di traffico pubblico e privato aveva costituito di fatto una

rinuncia a governare la mobilità: si rendevano quindi necessarie scelte che conferissero al

trasporto pubblico nuove prerogative, in grado di soddisfare meglio la nuova domanda di

mobilità cui si è accennato e che potessero costituire validi elementi per una scelta alternativa

all’automobile.

L’obiettivo di questi nuovi indirizzi è realizzare un sistema di mobilità urbana basato

sull’intermodalità: l’automobile non può più costituire l’unica o comunque la principale opzione

per il nostro spostamento, che deve invece avvenire attraverso una scelta basata sull’utilizzo di

mezzi diversi, individuali e collettivi, secondo le diverse occasioni e necessità. La riduzione

dell’uso dell’auto che l’intermodalità persegue non costituisce un impoverimento delle libertà

individuali, ma anzi arricchisce le possibilità di scelta, nel rispetto inoltre delle ormai ineludibili

necessità di protezione e salvaguardia dell’ambiente urbano.

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Le scelte di città che hanno privilegiato l’auto, quali Los Angeles, mostrano a distanza di pochi

anni che nemmeno l’aumento delle infrastrutture viarie può consentire il governo di una

mobilità basata sull’uso dei mezzi individuali. Il traffico automobilistico non si comporta come un

fluido, che prende la forma del recipiente in cui è contenuto, ma come un gas, che occupa tutto

lo spazio a sua disposizione: la mobilità basata sull’auto è così destinata a “sopprimere sé

stessa”.

Scelte più orientate al rispetto dell’ambiente e, in definitiva, degli abitanti delle città hanno

invece puntato a provvedimenti di carattere viabilistico che regolassero l’accesso dell’auto nei

centri urbani, e proteggessero il traffico dei mezzi pubblici su gomma da quello dei mezzi privati.

La grande difficoltà di questi provvedimenti consiste nel riuscire a renderli compatibili con modi

di vita, strutture urbane ed attività residenziali, commerciali e produttive modellati da tempo su

una concezione “automobilistica” della città.

Accanto alle scelte di politica viabilistica, tanto determinanti per la soluzione del problema della

mobilità urbana quanto di difficile e contrastata attuazione, si rivela oggi condizione

imprescindibile per il rilancio del trasporto pubblico l’adozione di innovazioni tecnologiche ed

organizzative che ne rivalutino gli elementi di “competitività” nei confronti del mezzo privato.

A questo proposito, il buon gradimento riscontrato dal servizio del "Donatello" ACAP sta a

testimoniare la possibilità di affermazione di un servizio che, per le sue caratteristiche, presenta

vantaggi che lo avvicinano al trasporto individuale, pur mantenendo tutti gli aspetti positivi del

trasporto pubblico collettivo.

Va comunque rilevato che, guardando allo “specifico” del mezzo di trasporto su gomma, ci

troviamo di fronte ad una tecnologia che in 50 anni non ha avuto sostanziali mutamenti: si

continua cioè a trasportare, attraverso un veicolo azionato da motore a scoppio, 100 persone

per volta con l’impiego di un conducente, ad una velocità “commerciale” oggi inferiore ai 15

km/h. Se guardiamo alle imprese operanti oggi nella provincia di Padova, non esiste una azienda

che sia rimasta sul mercato mantenendo, in termini di produttività, le stesse tecnologie di 50

anni fa, mentre il proprio principale concorrente (l’auto nel caso del trasporto pubblico)

conquistava “fette di mercato” sempre più grandi.

Proprio l’elevata “capacità” di trasporto, unitamente al progresso tecnologico nell’uso dei

materiali, nelle tecniche costruttive e nel materiale rotabile, hanno riportato negli anni 90 le

tramvie a rappresentare una soluzione interessante per le esigenze di mobilità di città di piccola

e media dimensione, che non possono permettersi di affrontare i grossi investimenti necessari

per le metropolitane tradizionali a percorso parzialmente o totalmente interrato. Il sistema di

trasporto pubblico basato sulla tramvia leggera garantisce un servizio comunque migliore

rispetto a quello offerto dagli autobus, attraverso passaggi ravvicinati ad alta frequenza e grande

capacità di trasporto dei mezzi.

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La tramvia leggera si colloca infatti, in un raffronto tra costi di investimento e livello del servizio

(fig. 2), in uno spazio intermedio tra i sistemi di trasporto pubblico basati sulla gomma,

caratterizzati da bassi costi di investimento e bassi livelli di servizio (data la commistione tra

flusso di trasporto pubblico e privato), e la metropolitana, che richiede invece alti costi di

investimento ma garantisce, data la sede completamente autonoma e separata, massima capacità

ed efficienza.

Le particolari caratteristiche di efficienza e sicurezza di questo sistema di trasporto sono oggi

enfatizzate dall’adozione di sofisticati sistemi di controllo, bigliettazione ed informazione

all’utenza, resi disponibili dalla recente e rapida evoluzione delle tecnologie informatiche e

telematiche, che trovano nei metrò leggeri ideali condizioni di applicazione.

La scelta del tracciato di una linea tranviaria costituisce indubbiamente uno degli elementi critici

della sua attuazione. Vanno infatti contemperati gli aspetti “invasivi” del cantiere dell’opera, il

rispetto delle peculiarità urbane ed ambientali attraverso una attenta valutazione di ogni

possibile intervento di “mitigazione” dell’impatto della linea, sia nella sua fase di realizzazione

che nella prospettiva dell’esercizio.

Allo stesso modo, data l’entità rilevante degli investimenti in gioco, va valutata con attenzione

la domanda di trasporto attuale e futura sul percorso prescelto, che deve giustificare sia la

realizzazione della linea che prefigurarne una gestione perlomeno in pareggio.

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La realizzazione di un sistema integrato tram + bus, attraverso l'adozione di una nuova rete e di

nuove tecnologie di monitoraggio, può potenziare le componenti di qualità dei due vettori ed è

in grado di risultare attrattivo ed accessibile per nuove tipologie di viaggio, legate non solo al

lavoro ed allo studio, ma anche allo svago, agli affari, allo shopping.

La continua innovazione tecnologica del settore ha recentemente portato ad emergere, accanto

alla tramvia, altri sistemi “intermedi”, dotati di capacità di trasporto comunque superiori agli

autobus, con minore impatto ambientale in fase di realizzazione del sistema e maggiore

“flessibilità di percorso” rispetto alla tramvia, vincolata alla rotaia.

Si tratta in particolare del sistema “Stream”, di progettazione Ansaldo, e del “Civis” del gruppo

Matra-Renault. Entrambi questi sistemi, ad oggi ancora in fase di sperimentazione, consentono

di gestire su strada veicoli più lunghi dei bus, attraverso la guida vincolata (ottica nel caso di

Civis, magnetica nel caso Stream), e possono essere alimentati senza ricorrere a linee aeree

(con motore ibrido diesel-elettrico o con alimentazione da terra, nel caso di Stream).

Va comunque sottolineato che anche questi sistemi, per poter raggiungere i migliori risultati in

termini di efficienza e capacità di carico, richiedono di poter transitare, al pari della tramvia, su

vie “riservate”, protette quindi dal traffico privato. Inoltre va osservato che, in termini di

ingombro, le corsie riservate da prevedere per tali mezzi intermedi sono di larghezza maggiore

di quelle della tramvia leggera, a causa della maggiore “labilità” del vincolo virtuale rispetto a

quello fisico della rotaia. A fronte della “flessibilità” di questi sistemi infine la “rigidità” della

tramvia può anche essere interpretata come un elemento di forza rispetto al governo della

mobilità e di “disegno” della città, per la sua azione “strutturante”.

Il quadro delle opportunità di scelta in questa fine secolo si presenta quindi particolarmente

variegato e suscettibile di ulteriori evoluzioni. Ogni città può trovare nel panorama delle diverse

tecnologie quella che meglio si adatta ai propri scopi ed alla propria struttura urbana: la scelta

assume in questo senso la valenza eminentemente “politica” di guida ed indirizzo dello sviluppo

della città

Un sistema integrato “tram + bus”, così come qualsiasi altra infrastrutturazione specifica

dedicata al trasporto pubblico (filovie, linee a guida vincolata, Stream) deve comunque costituire

l'aspetto centrale di una logica di progetto più generale che riguarda la gestione complessiva

della mobilità (fig. 3).

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“Gestione complessiva della mobilità” significa oggi non limitarsi al puro “trasporto delle

persone”, ma operare attraverso il governo della domanda pubblica e privata (controllo soste,

zone a traffico limitato) e la razionalizzazione dell'offerta di mobilità (piano di circolazione,

adeguamento rete viaria, parcheggi, potenziamento del sistema di trasporto pubblico urbano e

revisione della rete).

Gli effetti attesi di questo progetto di gestione della mobilità consistono nella riduzione

dell'inquinamento e nella diminuzione della congestione del traffico, che comporta una

diminuzione dei costi dei trasferimenti ed un aumento della loro sicurezza, e quindi il

miglioramento dei risultati economici complessivi del sistema di trasporto urbano.

Va infine posto rilievo alla necessità di prevedere sin d’ora gli effetti in termini urbanistici e di

“uso della città” generati dalla realizzazione di questi nuovi progetti di gestione della mobilità,

che produrrà effetti concatenati che indurranno nuovi cambiamenti nella città, o ne

accelereranno altri già in atto.

Una nuova mobilità richiede attenzione e capacità progettuale da dedicare allo studio di possibili

nuove collocazioni di servizi ed allo sviluppo di nuove o esistenti attività economiche o

insediative, con il coinvolgimento e la collaborazione di organizzazioni imprenditoriali, consigli di

quartiere, associazioni. (settembre 1999)