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Pagina 1 Dicembre 2012 - N° 13 Parrocchia S. Maria del Carmine - via Emilia, 72 - 40060 Toscanella BO - tel 0542 672306 - www.parrocchiatoscanella.it Carla Guerrini Domenica 2 dicembre si è aperto il tempo speciale dell’Avvento, tempo sempre troppo breve, solo 4 domeni- che per prepararci spiritualmente alla festa del Natale. E’ stata organiz- zata come ogni anno la nostra gior- nata comunitaria che ci ha introdotti al clima di preparazione e riflessione che deve caratterizzare questo perio- do, se non vogliamo che il Natale sia proprio un giorno come gli altri, svuotato di significato e riempito so- lo dallo shopping e dal panettone. Certo il tempo per lo spirito è sempre troppo scarso, presi come siamo dal lavoro e da tanti impegni. Ecco per- ciò l’occasione propizia della Giorna- ta Comunitaria, che mi ha permesso anche di condividere qualche mo- mento con persone della nostra “Unità pastorale” che non conosce- vo, o che non ho modo di vedere al- trimenti, ma con lo stesso desiderio e lo stesso intento: fare del tempo di Avvento un tempo significativo per noi stessi. La giornata prevedeva ri- trovo presso gli ambienti della chiesa dell’Osservanza di Imola alle 10.00 per una preghiera insieme, poi un commento di don Andrea sull’Avvento e a seguire due belle esperienze di vita. La prima mi ha colpito in modo particolare: un diri- gente d’azienda, a capo di più di 100 persone, stipendio alto e benefits inclusi, che entra in crisi per le ingiu- stizie e gli affari poco chiari che si trova a gestire e a dover asseconda- re, una moglie e dei figli che vede solo il fine settimana in un rapporto che si va allentando sempre più, il trovarsi ad essere una persona nel fine settimana ed una tutta diversa dal lunedì al venerdì. Questo manager decide così di lasciare il la- voro e cambiare vita, dedicandosi interamente alla Caritas. La decisio- ne è maturata dopo averne parlato con la moglie e, in questa crisi esi- stenziale profonda, essersi ritrovati e riavvicinati. Accettando di rinunciare a beni materiali cospicui per sceglie- re una vita più profonda e dedita ai più poveri. Ecco in breve l’esperienza che mi ha interrogata molto, non tanto sulla questione di lasciare il lavoro, ma sul fatto di mettersi in discussione chiedendosi: ma è que- sto che voglio nella vita? vale la pe- na? come voglio vivere? Quali sono le mie priorità? Questo il messaggio di Luca Gabbi, responsabile della Ca- ritas imolese. Certo non a tutti è da- ta la necessità né la possibilità di la- sciare il proprio lavoro o di cambiarlo con uno più adatto a sé, soprattutto in questo periodo di crisi economica, ma cambiare il proprio modo di ve- dere la vita, le proprie priorità, tante volte proprio le abitudini consolidate che si sono ormai svuotate di signifi- cato. Spesso anch’io, di fronte a un lavoro che mi piace ma che mi sot- trae molto tempo mi sono chiesta: è possibile dare più spazio ai rapporti con le persone che ho attorno ? E’ possibile dedicare più tempo a qual- cosa di più utile ? Come posso vivere meglio e in maniera più costruttiva le relazioni con le persone che incontro nel posto di lavoro ? Certo posso, al di là del più o meno tempo a disposi- zione, mettere un po’ più Gesù Cristo nei rapporti con gli altri, inserirci le mie convinzioni più profonde, privile- giare i piccoli e i poveri piuttosto che preferire chi può darmi qualcosa in cambio. La seconda esperienza a- scoltata è quella di don Giuseppe, prete indiano alle prese con un lavo- ro non molto gratificante presso l’ospedale. Quando non sei accolto positivamente, quando è faticoso ogni giorno svolgere il proprio compi- to, quando nemmeno vieni salutato, anzi ignorato, forse per il colore della pelle, forse per maleducazione o piuttosto per avversione a ciò che rappresenti. Allora la croce che ti pesa può essere offerta e riempita di preghiera. Una giornata quella del 2 dicembre che ci ha offerto molti spunti di riflessione che possono aiu- tarci a vivere meglio e a mettere al primo posto, una volta tanto, la no- stra interiorità, la parte più profonda di noi, piuttosto che le cose materiali che tanto tempo ci occupano e tanto ci distolgono dalla vita vera. Allora a tutti, buon Avvento ! Esperienze di vita vera Una giornata per pensare

Lo Specchio n.13 - Dicembre 2012

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Riflettendo la parrocchia di Toscanella

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Page 1: Lo Specchio n.13 - Dicembre 2012

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Dicembre 2012 - N° 13

Parrocchia S. Maria del Carmine - via Emilia, 72 - 40060 Toscanella BO - tel 0542 672306 - www.parrocchiatoscanella.it

Carla Guerrini

Domenica 2 dicembre si è aperto il tempo speciale dell’Avvento, tempo sempre troppo breve, solo 4 domeni-che per prepararci spiritualmente alla festa del Natale. E’ stata organiz-zata come ogni anno la nostra gior-nata comunitaria che ci ha introdotti al clima di preparazione e riflessione che deve caratterizzare questo perio-do, se non vogliamo che il Natale sia proprio un giorno come gli altri, svuotato di significato e riempito so-lo dallo shopping e dal panettone. Certo il tempo per lo spirito è sempre troppo scarso, presi come siamo dal lavoro e da tanti impegni. Ecco per-ciò l’occasione propizia della Giorna-ta Comunitaria, che mi ha permesso anche di condividere qualche mo-mento con persone della nostra “Unità pastorale” che non conosce-vo, o che non ho modo di vedere al-trimenti, ma con lo stesso desiderio e lo stesso intento: fare del tempo di Avvento un tempo significativo per noi stessi. La giornata prevedeva ri-trovo presso gli ambienti della chiesa dell’Osservanza di Imola alle 10.00 per una preghiera insieme, poi un commento di don Andrea sull’Avvento e a seguire due belle esperienze di vita. La prima mi ha colpito in modo particolare: un diri-gente d’azienda, a capo di più di 100 persone, stipendio alto e benefits inclusi, che entra in crisi per le ingiu-stizie e gli affari poco chiari che si

trova a gestire e a dover asseconda-re, una moglie e dei figli che vede solo il fine settimana in un rapporto che si va allentando sempre più, il trovarsi ad essere una persona nel fine settimana ed una tutta diversa dal lunedì al venerdì. Questo manager decide così di lasciare il la-voro e cambiare vita, dedicandosi interamente alla Caritas. La decisio-ne è maturata dopo averne parlato con la moglie e, in questa crisi esi-stenziale profonda, essersi ritrovati e riavvicinati. Accettando di rinunciare a beni materiali cospicui per sceglie-re una vita più profonda e dedita ai più poveri. Ecco in breve l’esperienza che mi ha interrogata molto, non tanto sulla questione di lasciare il lavoro, ma sul fatto di mettersi in discussione chiedendosi: ma è que-sto che voglio nella vita? vale la pe-na? come voglio vivere? Quali sono le mie priorità? Questo il messaggio di Luca Gabbi, responsabile della Ca-ritas imolese. Certo non a tutti è da-ta la necessità né la possibilità di la-sciare il proprio lavoro o di cambiarlo con uno più adatto a sé, soprattutto in questo periodo di crisi economica, ma cambiare il proprio modo di ve-dere la vita, le proprie priorità, tante volte proprio le abitudini consolidate che si sono ormai svuotate di signifi-cato. Spesso anch’io, di fronte a un lavoro che mi piace ma che mi sot-trae molto tempo mi sono chiesta: è

possibile dare più spazio ai rapporti con le persone che ho attorno ? E’ possibile dedicare più tempo a qual-cosa di più utile ? Come posso vivere meglio e in maniera più costruttiva le relazioni con le persone che incontro nel posto di lavoro ? Certo posso, al di là del più o meno tempo a disposi-zione, mettere un po’ più Gesù Cristo nei rapporti con gli altri, inserirci le mie convinzioni più profonde, privile-giare i piccoli e i poveri piuttosto che preferire chi può darmi qualcosa in cambio. La seconda esperienza a-scoltata è quella di don Giuseppe, prete indiano alle prese con un lavo-ro non molto gratificante presso l’ospedale. Quando non sei accolto positivamente, quando è faticoso ogni giorno svolgere il proprio compi-to, quando nemmeno vieni salutato, anzi ignorato, forse per il colore della pelle, forse per maleducazione o piuttosto per avversione a ciò che rappresenti. Allora la croce che ti pesa può essere offerta e riempita di preghiera. Una giornata quella del 2 dicembre che ci ha offerto molti spunti di riflessione che possono aiu-tarci a vivere meglio e a mettere al primo posto, una volta tanto, la no-stra interiorità, la parte più profonda di noi, piuttosto che le cose materiali che tanto tempo ci occupano e tanto ci distolgono dalla vita vera. Allora a tutti, buon Avvento !

Esperienze di vita vera Una giornata per pensare

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Pagina 2 Avvento

In questa riflessione cerco di farmi guidare dalle ricorrenza speciale che la Chiesa vive in questo momento della sua storia. Di recente abbiamo avuto l’apertura dell’anno della fede, il cinquantesimo anniversario del concilio Vaticano II e il Sinodo per la nuova evangelizzazione e la trasmis-sione della fede cristiana. Vorrei dire qualcosa sull’anno della fede. Per non smarrirmi in un tema, la fede, che è vasto come l’oceano, mi con-centro su un punto della lettera “Porta fidei” del Santo Padre, preci-samente là dove esorta caldamente a fare del Catechismo della Chiesa Cattolica (d’ora in poi: CCC) lo stru-mento privilegiato per vivere fruttuo-samente la grazia di questo anno. Scrive il papa nella sua lettera: L’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali d e l l a f e d e c h e t r o v a n o nel Catechismo della Chiesa Cattoli-ca la loro sintesi sistematica e organi-ca. Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accol-to, custodito ed offerto nei suoi due-mila anni di storia. Dalla Sacra Scrit-tura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attra-versato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede” (Benedetto XVI, Lett. apost. “Porta fidei”, n.11). Vorrei cercare di mostrare come fare perché questo libro, da strumento muto si trasformi in strumento che suona e risveglia così i nostri cuori. Si deve passare, per usare un paragone che viene dal mondo della musica, dalla partitura all’esecuzione, dalla pagina muta a qualcosa di vivo che fa vibrare l’anima. Il Papa, richiamando una visione rac-contata nel libro del profeta Ezechie-

le, è la mano che, in quest’anno, porge di nuovo a noi il CCC, dicendo a ogni cattolico: “Prendi questo libro, mangialo, riempitene le viscere”. Che significa mangiare un libro? Non solo studiarlo, analizzarlo, memorizzarlo, ma farlo carne della propria carne e sangue del proprio sangue, “assimilarlo”, come si fa material-mente con il cibo che mangiamo. Trasformarlo da fede studiata in fede vissuta. Questo non è possibile farlo con tutta la mole del libro, e con tut-te e singole le cose in esso contenu-te. Bisogna cogliere il principio che unifica il tutto, insomma il cuore pul-sante del CCC. E cos’è questo cuore? Non è un dogma, o una verità, una dottrina o un principio etico; è una persona: Gesù Cristo! “Pagina dopo pagina –scrive il Santo Padre a pro-posito del CCC, nella stessa lettera apostolica - si scopre che quanto vie-ne presentato non è una teoria, ma l’incontro con una Persona che vive nella Chiesa”. All’inizio della Chiesa era chiara la distinzione tra kerygma (annuncio f o n d a m e n t a l e ) e d i d a c h é (insegnamento). Il kerygma, che Pao-lo chiama anche “il vangelo”, riguar-dava l’opera di Dio in Cristo Gesù, il mistero pasquale di morte e risurre-zione, e consisteva in formule brevi di fede, come quella che si deduce dal discorso di Pietro il giorno di Pen-tecoste: “Voi l’avete crocifisso, Dio

l’ha risuscitato e lo ha costituito Si-gnore” (cf. Atti 2, 23-36), oppure: “Se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato” (Rom 10,9). La didaché indicava invece l’insegnamento successivo alla venu-ta alla fede, lo sviluppo e la formazio-ne completa del credente. Si era convinti che la fede, come tale, sboc-ciava solo in presenza del kerygma. Esso non era un riassunto della fede o una parte di essa, ma il seme da cui nasce tutto il resto. Anche i 4 Vangeli furono scritti dopo, precisamente per spiegare il kerygma. Questo processo fa parte di quello che il cardinale Ne-wman chiamava “lo sviluppo della dottrina cristiana”; è un arricchimen-to, non un allontanamento dalla fede originaria. Sta a noi oggi –in primo luogo ai vescovi, ai sacerdoti, ai pre-dicatori, ai catechisti – far risaltare il carattere “a parte” del kerygma co-me momento germinativo della fede. In un’opera lirica, per riprendere l’immagine musicale, c’è il recitativo e c’è il cantato e nel cantato ci sono gli “acuti” che scuotono l’uditorio e provocano emozioni forti, a volte anche brividi. Ora sappiamo qual è l’acuto di ogni catechesi: il kerygma.

L’Anno della Fede nel tempo di Avvento Un anno in compagnia con il Catechismo della Chiesa Cattolica

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Chiesa e società

Non molto tempo fa il Papa è andato a trovare degli an-ziani in una casa di riposo ed il telegiornale che dava la notizia ha sottolineato una frase di Sua Santità “ Non por-tate gli anziani nelle case di riposo.” Su questa frase mi sono quasi emozionato, pensando alle persone di mia conoscenza che sono “dimenticate” nelle strutture che li accolgono. Da li, concepire una mia visione del cammino che noi cristiani siamo chiamati a fare. Il mondo che cir-conda sembra fatto apposta per dimenticare le cose im-portanti. Tutto si riduce all’adesso, vivendo come se il passato ed il futuro non esistessero. Certo, non si sa ne quanto ne quale futuro ci attende, ma sappiamo che co-munque un futuro c’è. Tornando alla vicenda che mi è venuta in mente, immaginando il cammino di qualsiasi essere umano, ho concepito con la fantasia la partenza di alcune persone che sapendo di dover fare qualcosa di importante, iniziano il viaggio a piedi da una città come Rimini per arrivare a Bologna. Non tutti arriveranno a de-stinazione. Alcuni verranno distolti da tantissime cose, visto che sulla strada principale che si percorre esistono molteplici paesi e cittadine dove ci sono luci, attrazioni, feste, altri si perderanno dietro all’idea di essere talmen-

te vicini alla meta da non accorgersi di non camminare nella direzione giusta. Le distrazioni dall’ obiettivo finale sono vive nella storia dell’uomo fin dalla sua creazione, ma nel presente le tentazioni sembrano piovere da tutte le direzioni, invitandoci con insistenza a fare a meno di Dio, “perché io valgo”. Alcune tra le proposte commercia-li, all’apparenza innocue, sono dei veri e propri insulti all’ intelligenza, spingendo l’attenzione su se stessi ad un solo scopo: vendere un prodotto facendoci credere di averne bisogno. Ritrovati contro la caduta dei capelli, creme di bellezza, fino ad arrivare all’acqua che elimina l’acqua. Ma la cosa grave è che autorizziamo anche chi, dotati di laurea e di studi approfonditi, ci dovrebbe aiutare nella conquista di valori umani di raccontarci favolette illusorie spinti da qualche multinazionale. Ma questo è il mercato. Il mercato? Se non ricordo male il mercato è un posto dove si vendono delle cose utili, non idiozia allo stato pu-ro. Invece ci lasciamo convincere che determinate cose siano utili alla nostra vita, ma cosa ci può essere di più utile di una memoria storica disposta a elargire senza ri-serve i propri tesori ai propri cari.

Passato e futuro da buttare: Godere solo il presente

Continua a pagina 4

A cura di Don Alexander

La nostra situazione è tornata ad es-sere simile a quella del tempo degli apostoli. Essi avevano davanti a sé un mondo precristiano da evangelizzare; noi abbiamo davanti a noi, almeno per certi versi e in certi ambienti, un mondo post-cristiano da rievangeliz-zare. Dobbiamo ritornare al loro me-todo, riportare alla luce “la spada dello Spirito” che è l’annuncio, in Spirito e potenza, di Cristo morto per

i nostri peccati e risorto per la nostra giustificazione (cf. Rom 4,25). Qual è allora il senso del CCC? Lo stesso di quello che nella chiesa apo-stolica era la didachè: formare la fe-de, darle un contenuto, mostrarne le esigenze etiche e pratiche, portare la fede a rendersi “operante nella cari-tà” (cf. Gal 5,6). Lo mette bene in luce un paragrafo dello stesso CCC. Dopo aver ricordato il principio di

san Tommaso d’Aquino che “la fede non termina nelle formulazioni, ma nella realtà”, esso aggiunge: “Tuttavia, queste realtà noi le acco-stiamo con l’aiuto delle formulazioni della fede. Esse ci permettono di e-sprimere e di trasmettere la fede, di celebrarla in comunità, di assimilarla e di viverne più intensamente” (CCC, n. 170)

Anime ignoranti

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Pagina 4 Chiesa e società

Siamo veramente assediati da un mondo falso, incredibilmente crude-le, dove i potenti decidono della vita o della morte di ognuno di noi. Un mondo fatto di un unico dio denaro che sta soffocando, con la sua per-versione, tutti noi, rendendoci inca-paci di misurare le cose per il giusto valore che devono avere, rendendo la nostra anima ignorante. Si, credo che questo sia il male maggiore, ave-re un’ anima che non sa più ricono-scere quello che è giusto da quello che è sbagliato. Ma nelle piccole co-se, non in grosse questioni teologi-che, politiche, ma nella vita di tutti i giorni. Lasciare guardare cartoni ani-mati ai nostri ragazzi per pomeriggi interi è una cosa giusta? Lasciare marcire in case di riposo anziani che hanno lavorato una vita è una cosa giusta? Abortire, perché non desiderato in quel momento, in no-me di una conquista sociale, è una cosa giusta? Sono mille o forse più le domande che mi frullano di continuo nella testa, ma il quesito che mi pres-sa è se non sia io ad essere comple-tamente fuori di testa. Ma poi leggo la storia e mi rendo conto che nulla è cambiato, dalla creazione dell’ uomo ad oggi, sono solo cambiati gli abiti, alcuni accessori, ma l’ animo umano è sempre lo stesso. Proviamo un gu-sto inspiegabile, ribellandoci a Dio, nel voler fare a meno di Lui, anzi di fare l’esatto opposto. Io credo che dobbiamo iniziare a guardare la vita in maniera diversa, come un dono prezioso e non come una cosa che è nostra e basta. Dobbiamo sapere che se abbiamo ricevuto questo dono, lo possediamo grazie a quei “vecchi”

che sbattiamo in una struttura lonta-ni dall’ unica cosa che li tiene in vita: l’amore della famiglia. E questo dono dobbiamo darlo ai nostri figli, senza pensare a finte conquiste sociali, l’amore non conosce barriere sociali. Ci dimentichiamo troppo spesso da dove veniamo e quale è il nostro ob-biettivo, cercando il piacere imme-diato, anche se futile, illusorio, a vol-te stupidamente ci tappiamo gli occhi ed il cervello correndo dietro a cose che non hanno valore. Io credo che ci sia bisogno di tornare a nutrire l’anima di cristiana nobiltà. Essere educati a nobilitare l’anima non può di certo cadere come pioggia dal cie-lo; ma da una casa di riposo non è facile dare consigli. Magari uno di questi suggerimenti potrebbe cam-biarci la vita, migliorandola, oppure esortarci a non buttare nella spazza-tura la vita che si porta in grembo, di non interrompere un cammino co-niugale non mantenendo un impe-

gno preso davanti a Dio. Gli anziani sono la nostra storia, i figli il nostro futuro e noi sembriamo indifferenti a tutto questo seguendo, senza nessun pudore la felicità vana ed illusoria, fatta di emozioni, di passioni e di luci che brillano per pochi minuti, dimen-ticando che l’unica vera luce ha una direzione ben precisa. La famiglia deve tornare a prendere il suo posto, con le sue fatiche, con le sue debo-lezze e con tutto quello che implica averne una. Se noi ci arrendiamo a questo mondo, vuol dire che alimen-tiamo questo cancro distruttivo e di conseguenza la daremo vinta a chi ci vuole divisi, nutrendosi delle nostre anime ignoranti.

Continua da pagina 3

Vincenzo Bambina

“… Soprattutto quando viviamo momenti di vita difficile, o ci sentiamo come persi, è necessario guardare gli episodi della vita alla luce del Vangelo.”

Don Andrea

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Testimonianze

Quando si parla della famiglia, molti lo fanno evidenzian-do soprattutto i problemi, pensando che la legislazione attuale non la tuteli sufficientemente. Non credo però sia questa la causa delle tante separazioni o delle violenze alle donne, oggi in continuo aumento. Nemmeno la pre-senza di figli minorenni tutela da questo grande malesse-re. In passato le famiglie erano patriarcali, il lavoro preva-lente era quello dell’agricoltura senza l’impiego di mac-chinari per evitare le fatiche, ma tutto era manuale. Si arava con i buoi, si seminava a mano, si zappava, si cura-va tutto con la sola forza delle braccia. E c’era la fede. Poi con l’industrializzazione i campi lentamente sono stati abbandonati e la fatica delle braccia sostituita dalla tec-nologia meccanica, con trattori e macchine adatte per moltissime funzioni. La famiglia diventa nucleare, vive in appartamenti piccoli, periferici alle città, per potersi reca-re in meno tempo al lavoro in fabbrica. E’ aumentato l’individualismo. Con il passare del tempo i rapporti pa-rentali si sono sempre più indeboliti, riducendosi all’essenziale: padre, madre, uno o due figli, nonni e rara-mente zii. Se è vero che prima la terra bastava per il so-stentamento di tutti, ora costatiamo che la vita è real-mente più precaria, sempre più cose materiali e sempre meno ricchezza interiore. Forse che queste cose non c’entrano nulla? Sabbiamo bene che influiscono e non poco. Le coppie che perdono la sicurezza economica van-no in crisi tanto quanto quelle che dicono che non si ama-no più e non trovano motivi per continuare una vita pre-caria e difficile. Esiste anche il timore di sbagliare perso-na, che non sia quella giusta e così nascono le coppie di fatto, che iniziano per provarsi, ma poi alcune restano tali per una vita, altre scoppiano dopo poco tempo sperimen-

tando altre persone e così via. Nonostante una lettura pessimista, ho però un esempio bellissimo in famiglia: mia cognata, che ha perso il marito dopo otto anni di ma-trimonio, a causa di un infarto. Dal 1994 a oggi la sua fa-miglia composta anche da quattro figli e diversi zii, è cre-sciuta in un’armonia invidiabile, nonostante le sofferenze che pure ci sono state. Ad esempio la malattia grave di una figlia quando era piccola, o il disagio del figlio ma-schio che sentiva più degli altri la mancanza del babbo. Nonostante ciò è anche oggi una bella famiglia, dove i figli sono ormai grandi e sposati. Mia cognata non si è risposa-ta e non ne sente nemmeno il bisogno. Ha il suo lavoro, anche se per molto tempo è stato un lavoro precario. Se si fosse risposata, l’avrei sicuramente compresa, ma la fedeltà a suo marito la sta vivendo tuttora, come fosse presente in ogni momento importante della sua vita. Le varie ricorrenze sono ricordate con gioia da tutta la fami-glia, addirittura hanno festeggiato il 25° anniversario del matrimonio, con un’affettuosità non comune nemmeno tra chi lo festeggia realmente insieme. Che cosa dire di più; so che altre persone vivono l’amore coniugale in que-sto modo, ma sono veramente poche. Ricordando meglio com’era impostato il loro volersi bene, mi rendo conto che la preghiera del cuore e il desiderio di essere accanto a Gesù in ogni momento erano molto intensi, così forti che anche oggi Grazia è abituata a dire sempre, per ogni cosa presente e passata, “Grazie Gesù”. Essere abituati a pensare che tutto dipenda da quello “sentiamo” in prima persona, o dalle situazioni esterne, non è un bene, mentre affidarsi a un Amore più grande, ci rende umili e la serenità che può dare è grande e la gioia più profonda viene dalla certezza che non siamo e non saremo mai soli.

La famiglia, tra la mancanza di tutele e una vita più precaria

Essere sposati in Cristo

Franco Caradossi

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Pagina 6 Ufficio Pastorale Giovanile

Quando si arriva in Brasile, la prima impressione che si ha è quella di essere sbarcati in un mondo strano, caotico, immenso. Ci si trova immersi in un traffico rumoroso di automobili più o meno nuo-ve che sfrecciano ovunque lanciando rumori assordanti di canzoni commerciali. Ci si trova immersi in una distesa di grattacieli che man mano che si va verso la periferia diventano case, poi casupole ed infine baracche abbarbi-cate ovunque. In questo ambiente troviamo sulla strada persone di ogni condizione: bambini che giocano con l’aquilone o pattinano, uomini e donne che corrono avan-ti e indietro. Urla e grida, se vogliamo anche simpatiche, di gente allegra che si parla da una parte all’altra della strada, musica assordante che fuoriesce dalle case e che si assomma a quella delle automobili... cose che fanno proprio spaesare e intontiscono. A questo, si aggiunge l’impatto con la povertà delle favelas di periferia o dei bairros: in questi ultimi, anche se le case sono di mattoni non mancano segni evidenti di degrado... fisico e morale. In questo contesto viene proprio da chiedersi: ma cosa siamo venuti a fare qua? Ma basta davvero poco per scorgere piccoli segni di una presenza che sembrano es-sere quelli del lievito e del granello di senapa di evangeli-ca memoria. Accolti da una comunità cristiana, la parroc-chia di Jesus di Nazaré alla periferia della città di São Ber-nardo in cui operano i nostri sacerdoti diocesani don San-

te, don Francesco e don Gabriele, è bastato fare tacere un po’ i tanti rumo-ri presenti e osservare, con lo sguardo della fede, le tante realtà di speranza che abitano quella terra. Tredici le cappelle nella parrocchia, in cui ogni do-menica viene annunciata la parola di Dio e spezzato il pane di vita eterna e nelle quali tante persone traggono davvero forza per essere fra la propria

gente segno di Cristo servo che si prende a cuore la vita di ogni uomo attraverso tante forme di carità. La scuola pro-fessionale che cerca, pur nelle fatiche del cambiamento così veloce, di continuare a dare la speranza di un lavoro a giovani e meno giovani: condizione necessaria per il sostegno di una famiglia. I tanti asili e luoghi di educazio-ne per giovani visitati e gestiti dalle suore delle quattro congregazioni religiose sorte nella diocesi di Imola, legate al progetto Chiese sorelle che da oltre trent’anni vede presente in questa terra la Chiesa imolese. Tante piccole cose che se viste con lo sguardo degli uomini possono parere poca cosa, ma con lo sguardo del credente fanno scoprire una realtà ricca di fede, di speranza e di carità: qui scopriamo davvero allora la presenza di Cristo. L´aver celebrato la festa dei trent’anni della parrocchia, alla pre-senza del vescovo diocesano monsignor Nelson We-strupp, e nella stessa occasione la professione solenne di una giovane brasiliana originaria dei quella parrocchia fra le suore Ancelle del sacro cuore di Gesù agonizzante, fe-sta a cui ha partecipato moltissima gente, ci ha fatto capi-re che quel lievito davvero ha fatto fermentare tanta massa. Continuerà a farlo se, leggendo i segni dei tempi, ciascuno di noi camminerà, lì dove il Signore lo chiama a mettere la propria vita nelle sue mani, andando oltre le fatiche e gli insuccessi mondani, quali - ma solo apparen-temente - il martirio di don Leo. E come Chiesa imolese, l’impegno ad essere presenti in questa terra lontana, con sacerdoti e religiose, continua ad essere davvero l´occasione in cui impariamo ad uscire dal nostro piccolo e continuare ad essere segno di speranza per ogni uomo.

Don Marco Bassi

Dal Nuovo Diario Messaggero

Qui diamo un segno di speranza Delegazione diocesana in Brasile per festeggiare i 30 anni della parrocchia di Gesù di Nazareth.

Il responsabile del Centro missionario fa il punto sulle attività nate dal progetto Chiese sorelle

23/11/2012

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Testimonianze

Mi chiamo Asia Noreen Bibi. Scrivo agli uomini e alle donne di buo­na volontà dalla mia cella senza finestre, nel modulo di isolamen­to della pri-gione di Sheikhupura, in Pakistan, e non so se leggerete mai questa lette-ra. Sono rinchiusa qui dal giugno del 2009. Sono stata con­dannata a mor­te mediante impiccagione per blasfe-mia contro il profe­ta Maometto. Dio sa che è una sentenza ingiusta e che il mio unico de­­litto, in questo mio grande Paese che amo tanto, è di essere cattolica. Non so se queste parole usciranno da questa prigione. Se il Signore miseri­cordioso vuole che ciò avvenga, chiedo agli spagnoli (il 15 dicembre, il marito di Asia riti-rerà a Madrid il premio dell’associazione HazteOir, n-dr ) di pregare per me e intercedere presso il presidente del mio bellissi­mo Pae-se affinché io possa recuperare la libertà e tornare dalla mia famiglia che mi manca tanto. Sono sposata con un uomo buono che si chiama Ashiq Masih. Abbia­mo cinque figli, benedizione del cielo: un maschio, Imran, e quattro ra­gazze, Nasima, Isha, Sidra e la piccola Isham. Voglio soltanto tornare da loro, vedere il loro sorriso e riportare la serenità. Stanno soffrendo a cau­sa mia, per-ché sanno che sono in prigione senza giustizia. E temono per la mia vita. Un giudice, l’onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nel­la mia cella e, dopo avermi condannata a una mor-te orribile, mi ha of­ferto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all’islam. Io l’ho rin-graziato di cuore per la sua proposta, ma gli ho rispo-sto con tutta one­stà che preferisco

morire da cristiana che uscire dal carcere da musul­mana. «Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto –. Credo in Dio e nel suo gran-de amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgo-gliosa di sacrificare la mia vita per Lui». Due uomini giusti sono stati assassinati per aver chiesto per me giusti­zia e libertà. Il loro destino mi tormenta il cuore. Salman Taseer, gover­natore della mia regione, il Punjab, venne assassinato il 4 genna-io 2011 da un membro della sua scorta, semplicemente perché aveva chiesto al governo che fossi rilasciata e perché si era opposto alla legge sulla bla­sfemia in vigore in Pakistan. Due mesi dopo un ministro del go-verno na­zionale, Shahbaz Bhatti, cristiano come me, fu ucciso per lo stesso mo­tivo. Circondarono la sua auto e gli spararono con ferocia. Mi chiedo quante altre persone debba-no morire a causa della giustizia. Pre-go in ogni momento perché Dio mi-sericordioso illumini il giudizio delle nostre autorità e le leggi ristabilisca-no l’antica armonia che ha sempre regnato fra persone di differenti reli-gioni nel mio grande Pae­se. Gesù, nostro Signore e Salvatore, ci ama come esseri liberi e credo che la li-bertà di coscienza sia uno dei tesori più preziosi che il nostro Creatore ci ha dato, un tesoro che dobbiamo proteggere. Ho provato u­na grande emozione quando ho saputo che il Santo Padre Benedetto XVI era inter-venuto a mio favore. Dio mi permet-ta di vivere abbastan­za per andare in pellegrinaggio fino a Roma e, se possibile, ringraziarlo personalmen-

te. Penso alla mia famiglia, lo faccio in ogni momento. Vivo con il ricordo di mio marito e dei miei figli e chiedo a Dio misericordioso che mi per­metta di tornare da loro. Amico o amica a cui scrivo, non so se questa lettera ti giungerà mai. Ma se acca-drà, ricordati che ci sono persone nel mondo che sono perseguitate a cau-sa della loro fede e – se puoi – prega il Signore per noi e scrivi al presiden-te del Pakistan per chiedergli che mi faccia ritornare dai miei familiari. Se leggi questa lettera, è perché Dio lo avrà reso possibile. Lui, che è buono e giusto, ti colmi con la sua Gra-zia. Con queste parole Asia Bibi, con-dannata a morte per il reato di bla-sfemia e detenuta da oltre 1.270 giorni in attesa della sentenza defini-tiva, conclude la lettera che «Avvenire» ha pubblicato sabato in prima pagina come editoriale. Nume-rosi lettori ci hanno scritto chiedendo come dare corso al suo appello. Dato che l’indirizzo dell’ambasciata fornito sabato si rivela inaffidabile, da oggi «Avvenire» si fa intermediario dalla raccolta: è possibile scrivere all’indirizzo e-mail [email protected] per aderi-re all’iniziativa, rivolgendosi, nel te-sto del messaggio, al Presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari, sollecitando un intervento a favore di Asia Bibi, inserendo i propri dati anagrafici completi. Il giornale, raccolte lettere e firme, le trasmetterà in blocco se-condo i canali diplomatici appropria-ti.

Asia Noreen Bibi Prigione di Sheikhupura, Pakistan

Scrivo da una cella senza finestre

Se mi convertissi sarei libera, preferisco morire cristiana

Dal quotidiano Avvenire

… Ma appena è giunta la fede, noi non siamo più sotto un pedagogo. Tutti voi infatti siete figli di Dio per la

fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più giu-

deo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. (Galati 3, 25-28)

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Come da tradizione, anche quest’anno l’Azione Cattolica ha colto l’occasione della solennità dell’Immacolata Concezione per celebrare la “Festa dell’Adesione”, occasione importante per ogni aderente di rinnovare il proprio “sì” alla Chiesa, nell’appartenenza all’associazione, sostenuto dal “sì” incondi-zionato di Maria. Anche nella nostra parrocchia l’AC ha cele-brato questo evento invitando aderenti, simpatizzanti e chi-unque fosse interessato a fare festa insieme; la giornata è iniziata nel modo proprio dei cristiani di fare festa, e cioè con la partecipazione all’Eucarestia, per poi proseguire con il pranzo e un momento di attività e confronto. In particolare, quest’anno si è voluto dare alla giornata vissuta insieme la forma di una condivisione della festa come avviene in una famiglia: infatti nel pomeriggio, dopo una breve presentazio-ne dell’associazione, dei suoi movimenti e delle sue iniziative ad opera del presidente parrocchiale, tutti insieme, dai bam-bini agli adulti, senza distinzione, abbiamo partecipato ad un

gioco a quiz, tramite le cui domande abbiamo conosciuto meglio l’AC in tutti i suoi settori che vanno dall’ACR, l’Azione cattoli-ca dei Ragazzi (gli anni della scuola primaria), ai Giovanissimi (i ragazzi della scuola secondaria), ai Giovani (dai 19 ai 30 anni), agli Adulti (dai 31 ai 65 anni), fino ad arrivare agli Adultissimi (over 65). La giornata si è conclusa con la recita dei vespri e la benedizione delle tessere, in modo da riportare tutto ciò che si era vissuto durante queste ore passate insieme al Signore, ed affidare a Lui il nostro cammino personale e comunitario.

La “Festa dell’Adesione”:

una festa vissuta in Famiglia Il grande dono del Natale

Tutti i catechisti della nostra parrocchia, sentono

importante il rapporto con le famiglie. Ci si accorge

infatti che i bambini vengono mandati al catechismo

per avvicinarsi alla fede, senza una collaborazione

concreta. Non ci sono ricette pronte per colmare

questa distanza, ed è chiaro che entrambi cerchia-

mo il bene del bambino, o del ragazzo. Cosa manca

allora? Come catechista mi piacerebbe far conosce-

re a tutti i genitori che la nostra fede non nasce

semplicemente da una buona educazione, ma piutto-

sto dall’incontro con Gesù. Per questo invito tutti a

considerare questo Natale come un inizio, per incon-

trare la persona di Gesù, che privilegia i bambini, ma

ama anche i loro genitori. Buon Natale!

BUON NATALE 2012 “È uno di noi! Dio ci è diventato così vicino che Egli stesso è un uomo: questo ci deve sconcertare e sor-prendere sempre di nuovo!”

Benedetto XVI

Gabriele Mongardi

Franco Caradossi