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  Anno IV 7/2015 n.20 Winterblatt auf den ein Winterscha tten f äll t

L'impronta del tempo

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Studio su "L'impronta del tempo" di Petr Halmay, (Edizioni del Foglio Clandestino, 2007).Su «Atelier» (n.54, 2009) e °punto critico, (marzo, 2011)

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  • =Anno IV 7/2015 n.20

    Winterblattauf den ein Winterschatten fllt

  • LATEX Literature Project

    email: [email protected]: http://federicofederici.netblog: http://leserpent.wordpress.comcover: The dark side of the room, F. Federici Leila au pays du carrousel, Anouar Brahem

    Studio su Limpronta del tempo di Petr Halmay (Foglio Clandestino, 2007)

  • Limpronta del tempoFederico Federici

  • 41La svalutazione dellatto poetico, come atto volontario in grado di in-cidere nel mondo, un tratto comune a buona parte della poesia, che haradici nel rivolgimento culturale seguito alla caduta di antiche ideologie,in prossimit degli anni Ottanta e Novanta. Liberate dallambiguit dellacensura di principio, iniziano da Est a emergere voci nuove, consolidate daun percorso personale ben delineato, che avevano fatto propria questansiagi viva in Occidente, divise tra sconfinamenti dal forte sapore nostalgicoper la figura novecentesca del poeta, e sarcastiche, autoritarie rivendi-cazioni proprio del valore della sua voce. Il nodo si stringe intorno allareale possibilit di fare della parola non solo uno strumento di formazioneestetica o morale condivisa, ma di autentica costruzione esistenziale. Ca-de lidea del verso come modello/metro di riferimento, attraverso il qualemisurare la realt, e con ci lillusione che il linguaggio governi da unadimensione a s il mondo, venendo meno la netta distinzione tra luno elaltro.

    Pur nei tratti del tutto riconoscibili di una biografia singolare, PetrHalmay, poeta e prosatore originario di Praga (1958), pu essere collocatoin questo contesto.

    Lesperienza maturata nelle molte professioni (macchinista, magazzi-niere, uomo delle pulizie, insegnante, attrezzista falegname a teatro ecc.)affiora nei residui che popolano ambienti a lui quotidiani (quinte teatra-li, magazzini, depositi), o comuni stanze, abitazioni spesso trasfiguratesecondo la logica del teatro. Non si tratta mai di semplici riferimenti bio-grafici, ma di citazioni in grado di attivare i meccanismi di unefficaceallegoria, che lentamente svela uomini, animali e cose sullo stesso piano,grottesche miniature di un teatrino meccanico o di un carillon. Lo sguardo quello disincantato, talvolta affettuosamente metodico, di chi per abi-tudine monta e smonta a memoria le scenografie di uno spettacolo.

    Linsistenza su questi temi (esemplari, in tal senso, testi come La finedel mondo o Fulgore) occorre nella costruzione di un doppio del mondo,

    1Su Atelier (n.54, 2009) e punto critico (marzo, 2011).

  • 5in cui via via si diluisce il senso della realt, sino a smarrirsi comple-tamente. Il linguaggio non inventa parole nuove per tenere viva questadistinzione. Solo modulando gli aggettivi, o altre forme attributive, la sipu ristabilire in lampioni finti, bozzetti di parchi [...], o in un cielo dicartapesta. Laggettivo spesso il punto di demarcazione tra oggettivite figura del verso. Di per s i nomi (certi nomi) non avrebbero la forza diseparare i mondi, ritraendosi, per natura, nel loro significato, estinguen-dolo nel suono, riparando in esso. Lelencazione allora li accomuna e liolirico percorre quei significati, andando tra gli estremi, come un pendolocompleta la sua oscillazione. Lillusione marginale di un confine sussisteappena nello scambio forte tra i suoi termini, la vita e laltro: il piovascoapplaude nella finestra aperta o, ancor pi elaborato intreccio, comeuna battuta volgare/ scorrono venature lungo le grandi finestre,/ quandogocce grevi, gelide e scroscianti/ si rovesciano sui muri del finto paradiso.

    Questa tecnica assume spesso i tratti di un vaudeville grotesque, se-condo gli schemi propri di una messinscena, quando nei vitrei cespugli diribes nero/ pascolano mio nonno, una capra, i polli e mia zia, o quandoin mezzo al bosco rilucente/ mia zia, un cervo, mio cugino pi piccolo/leccano una grande zolla di sale. Altrove, il distico stelle come scheggedi ornamenti natalizi/ lampeggiano lungo la soffitta nella scatola sullar-madio raccoglie in una dicitura sola il mondo vero e quello costruito.

    In La fine del mondo, linsistente ripetizione, appena variata in alcu-ni capoversi, del tema di una vaga primavera gi iniziata fuori, daqualche parte, lontano, tempo fa, riporta forse alla memoria altreprimavere dellinfanzia, forse addirittura Praga e il 68, riandando ai re-pentini cambiamenti, di cui Halmay fu in qualche modo testimone, comese lio continuamente volesse espellere dallo spazio il tempo, confinare lecose in una propria identit immobile. Dal mondo circoscritto in una stan-za o in una casa si guarda fuori, dentro il mondo, come pupazzi da unascatola, che assume i tratti dolorosi e vulnerabili di un corpo: questa lasua fisicit, declinata in acuti intrisi di una forza primitiva come se soprarivoltassero il coltello nella piaga.

    Lidea unificante di una prospettiva che accomuni tempo e spazio, af-fiora in calcolata malinconia da immagini remote che [...] scompaionoallorizzonte in lontananza./ Immagini, sensazioni, la propria storia tut-to.

    Proprio lostinata separazione tra un mondo e un altro, colloca soventela vita in un al di l, appena tangibile se presentata coi caratteri di unal di qua che non ha tempo, quindi storia: vorresti sentirti ancora oltrequesta porta?/ Vorresti essere terribilmente vivo?! Il diaframma traspa-

  • 6rente, ma pi spesso permeabile, quasi sempre un vetro, un cancello, unmuro sottilissimo, una porta, qualcosa di frantumabile, che non riesce maia dividere completamente luno e laltro, sino alla pi ostica tautologiadello specchio.

    Lirruzione del mondo di fuori il collasso del mondo di dentro. Lafine si prepara in un climax di visioni: prima le similitudini, poi le cose,gli odori, la filodiffusione dal piano di sotto, sino al gancio che sollevalampadari e armadi, scoprendo sui tavoli gigantesche lettere di gesso: lacreazione dei cieli e della terra. La storia scritta e gli alfabeti sono le sueossa. In un fragore la corrente spacc la porta: cos finisce il mondo,in una prospettiva eliotiana ribaltata. pi che spalancarsi docchi, o lavista che ritorna al termine del sonno, nascita/morte consumata in unatto unico e drammatico, o, come si legge in altro testo, il risveglio noncalcolato, ma che ben sappiamo:/ londata che ci ha rigettato su questamagnifica riva/ ci ha liberato per sempre da ogni illusione....

    Neppure il corpo riesce a sottrarsi a questa incapacit di separare unaparte e laltra, racchiudere uninteriorit invisibile ed esclusiva, anche sedi corpi si dovrebbe piuttosto parlare, di involucri nei quali tenta di rac-chiudersi un Universo altro, come nella [...] ridicola esilit del torace delcielo. N il tempo, n lo spazio sembrano circoscrivibili secondo una di-versa topologia vivente e, come un inquietante presagio, o un insistentescherzo, le sveglie ticchettano dietro la porta sopra gli armadi.

    Lo schema di queste introspezioni da un luogo allaltro, per mobili oper fragili barriere, agisce ovunque. In La creazione del mondo, un corposi rivela allaltro, in trasparenza: guardai fisso attraverso il busto di miamoglie,/ attraverso il tronco di vetro/ e vidi il fegato, lo stomaco e il mi-dollo -/ un embrione... e un figlio.... Lelencazione delle parti nominate,segrete ad altri occhi, diviene il dono unico dellamore tra gli amanti, chesono insieme le due prime e ultime persone -/ non nate... morte... invita....

    Anche in questo caso, il tempo espulso in una figura dalle sembianzeumane, come se la morte fisica riuscisse appena a espellerne dal corpo ilseme: alla porta del cortile il tempo si spegneva come una persona. Ces-sata la misura dei minuti, delle settimane, dei secoli, il mattino, come ogniprimavera, sillumina in un altrove, nel limite non calcolabile del mondo.E per oltrepassarlo, Halmay ricorre a progressioni semantiche frequenti,ora avvicina, ora tenta di separare di nuovo i mondi, accumulando i trattidistintivi di quelle cose che cercano di dire/ tutto anche al posto nostro,escono poco dallombra, per condividere il destino di una realt inaudita,al suono di un battente, che quasi non si scorge muoversi alla porta.

  • 7Gli occhi, la bocca, le orecchie sono stimmate di questa perforabilitdei mondi, buchi dai quali ci si scopre e sporge sullabisso nero, attraversoi quali scola unirreale sostanza di vuoto, che tiene separati in eternodallessenza delle cose [...] gli uomini e gli animali. In entrambi si agita-no identici gli istinti, i sentimenti, ma lessenza ultima nascosta da unasostanza spessa, come una pelle che completi la finitudine del corpo.

    In La creazione del mondo I, incombe una figura sconosciuta, se nonper essere nella casa dei Novk. Governa una scacchiera dove tutto spen-to, un mondo al buio, dal quale con metodo sottrae e ripone in ordine allescatole le pedine cadute: gli uomini? gli eroi? Qui la creazione appare nelsuo negativo, per sottrazione silenziosa, immagine di morte scrupolosa emetodica: ogni creazione chiede prima in s la distruzione.

    Il sangue un altro tema ricorrente, a volte associato a orride visioni[...] giorno dopo giorno trasuda dal soffitto/ ci gocciola in testa, o conla bocca piena, spaccata a sangue, medicate subito da slanci di smisuratabellezza: una stella cadente adunava/ animali,/ alberi, elementi comein un presepe, e rifacendo il verso alla figura di prima, torna il tema deigesti meticolosi. In altri casi un medium in grado di conferire sembianzaumana alle cose la diafana mammella della notte, sventrata dal coltellodi una stella, sanguina luce tersa.

    Isolate, appaiono figure in transito nel mondo, che sono i nati e i nonnati. E questo transito insieme la nascita e la morte in solitudine, su cuifrequente linsistenza allinterno di uno stesso testo, come in Fulgore:per un po brillammo/ nel cortile insanguinato, che anticipa quel gridoripetuto mentre [...] nel liquido amniotico della notte,/ continuavamo avenire al mondo. Il pianto quello fragoroso della nascita e quello basso,lamentoso della notte/morte. Altrove, in Non nato, questo effetto resoin modo pi sottile e arcano, nel figlio che [...] nei vestiti quieti del non-no/ piange gi, scalcia dietro il muro sottilissimo. Tra corpo e mondo iltratto quasi impercettibile, ma in ogni punto dello spazio sussiste giil destino regolato da uno stesso tempo. Chi nasce in realt gi nato emorto attraverso il varco, che proprio la morte lasci aperto e prima diapprodare su questo litorale/ sembra sia trascorsa tutta la nostra vita,e la ragione non cura il dolore.

    Lo stile, pure letto in filigrana in traduzione, mostra una ricerca tec-nica e raffinata delle parole, con lo scopo di tessere una trama fine nellinguaggio, di filtrare, ove gi non pu completamente separare, alcunielementi dellesperienza: [...] il lampo del biacco nellerba, quando neilampioni si convelle la carne cruda del fulgore, o ancora continuiamoa percorrere la vecchia via/ e lei ancora alla porta del bagno pubblico

  • 8-/ formidabile cromotipia,/ che ci cost tutta la giovinezza. Gli scartinelle immagini sono guizzi, punti stretti, che cuciono in ununica visionelontanissimi contesti, mentre macchie grandi, belle, scarlatte/ ci fiam-meggiano sulle ali/ su campi dorzo, di girasoli, di rape.

    Il verso non mai termine ultimo di raffronto col reale o misura varia-bile di esso. Diviene anzi fenomeno e dato oggettivo da indagare in unalingua che quasi non si scopre. vibrante corda la voce, ma la parola cuiaspira rimane l qualcosa daltro, pura, altrove.

    Federico Federici