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“LIEVITO mammifero onorario” Università degli Studi di Milano Settore Didattico, via Celoria 20, Milano Laboratorio 105

“LIEVITO mammifero onorario” - cusmibio.unimi.it · 3 1. Conoscenze preliminari 1.1 Terminologia e concetti di base della genetica classica Ogni cromosoma può essere immaginato

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“LIEVITO mammifero onorario”

Università degli Studi di Milano

Settore Didattico, via Celoria 20, Milano Laboratorio 105

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Indice

1. Conoscenze preliminari p.3

• 1.1 Terminologia e concetti di base della genetica classica p. 3 • 1.2 Le leggi di Mendel p. 3 • 1.3 Interazioni tra alleli

p. 4 • 1.4 La mitosi p. 5 • 1.5 La meiosi p. 6

2. Importanza degli organismi modello nella ricerca biologica p. 7

• 2.1 Il lievito Saccharomyces cerevisiae come organismo modello p. 7

• 2.2 Classificazione dei lieviti p. 8 • 2.3 Utilizzo del lievito in biotecnologie tradizionali p. 9 • 2.4 Il ciclo vitale del lievito Saccharomyces cerevisiae p. 9 • 2.5 Il controllo del sesso in S. cerevisiae

p. 10 • 2.6 Il ciclo cellulare di S. cerevisiae p. 11 • 2.7 Nomenclatura dei geni di lievito p. 13 • 2.8 Isolamento ed utilizzo di mutanti di lievito temperatura-sensibili p. 13 • 2.9 La scoperta dei mutanti cdc per lo studio del ciclo cellulare p. 15

3. Cenni di biologia molecolare del lievito p. 16

• 3.1 Il genoma del lievito S. cerevisiae p. 16 • 3.2 Clonaggio di un gene di lievito p. 17 • 3.3 La distruzione dei geni e l’analisi dei loro fenotipi p. 18

4. La coltivazione dei lieviti in laboratorio p. 20

• 4.1 Strumentazione e materiali a disposizione p. 20 • 4.2 Principali prefissi e unità di misura usati in biologia cellulare e molecolare p. 21

5. Protocolli sperimentali p. 21

• 5.1 Esperimento di complementazione p. 21 • 5.2 Norme di lavoro p. 23 • 5.3 Coniugazione di cellule di lievito di sesso opposto p. 23 • 5.4 Replica-plating modificato p. 23 • 5.5 Osservazione al microscopio di cellule di lievito selvatiche

e di mutanti cdc bloccati in diverse fasi del ciclo cellulare p. 24 6. Norme di sicurezza in laboratorio p. 25 7. Domande di autovalutazione p. 25 8. Glossario p. 28 9. Bibliografia e siti web utili p. 32 10. Concorso “Una settimana da ricercatore” p. 32

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1. Conoscenze preliminari

1.1 Terminologia e concetti di base della genetica classica Ogni cromosoma può essere immaginato come una successione lineare di geni o loci (singolare, locus). Un gene è il determinante di una caratteristica di un organismo; in genere, codifica per una proteina o un RNA. Si definisce locus il sito specifico su un cromosoma in cui è localizzato un certo gene (Fig. 1.1.1). Uno stesso gene può esistere in più forme alternative, dette alleli. Ogni coppia di cromosomi omologhi contiene la stessa successione di geni, ma non necessariamente la stessa successione di alleli. Ad esempio, il gene che controlla il colore del pelo può esistere in due forme alternative (alleli), uno che determina pelo nero, l'altro pelo marrone. Quindi, se su un cromosoma in un dato locus è presente l’allele che determina pelo nero, sul cromosoma omologo nel locus corrispondente sarà presente lo stesso gene (gene per il colore del pelo), ma l’allele può essere diverso. Ad es. può esservi l’allele che determina pelo marrone. Se i due alleli di uno stesso gene sono uguali, l’individuo è omozigote (ad es. ha genotipo AA oppure aa). Se i due alleli sono diversi, l’individuo è eterozigote (ad es. il genotipo è Aa). Un individuo omozigote produce un solo tipo di gamete relativamente a quel locus (A oppure a). Un individuo eterozigote produce due tipi di gameti (A e a) in ugual quantità,

cioè in rapporto 1:1. Il genotipo è la costituzione genetica di un organismo. Il fenotipo è la

manifestazione visibile o in qualche modo evidenziabile di un carattere genetico. Il fenotipo è determinato dal genotipo, dall’azione di altri geni e dei loro prodotti e dalla sua interazione con l’ambiente (Fig. 1.1.2). Ad es. la diversa colorazione del pelo dei gatti siamesi nelle regioni del corpo più esposte al raffreddamento (come zampe, orecchie), è dovuta all’influenza dell’ambiente (temperatura più bassa). In genetica, l’accoppiamento tra due individui è detto incrocio ed è rappresentato con il simbolo “x”.

1.2 Le leggi di Mendel

Gregor Mendel a metà dell’Ottocento scoprì le leggi che governano la trasmissione ereditaria dei caratteri monofattoriali (controllati da un singolo gene, detti anche caratteri mendeliani semplici). Le leggi di Mendel, che trovano la loro base biologica nel processo della meiosi (vedi più avanti), sono le seguenti: - I legge di Mendel o legge dell’uniformità della prima generazione ibrida. Essa afferma che l’incrocio tra individui della generazione parentale (o generazione P), ciascuno omozigote per due alleli diversi di uno stesso gene (ad es. BB x bb) e che quindi differisce dall’altro genitore per una caratteristica (ad es. pelo nero o marrone), dà una progenie (detta generazione F1 o prima generazione filiale), costituita da individui tutti identici tra loro (tutti eterozigoti; ad es. Bb) (Fig. 1.2.1).

Fig. 1.1.1. Definizione di locus, allele ed altri termini di genetica (vedi testo e didascalie all’interno della Figura)

Fig. 1.1.2. Fenotipo, genotipo e ambiente. Il fenotipo è la risultante dell’interazione di tre fattori: il genotipo, l’azione di altri geni e dei loro prodotti: (ad es. gli ormoni) e l’ambiente (ad es. l’alimentazione).

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Ciascun genitore della generazione parentale è una linea pura, cioè è omozigote per quel carattere (ad es. AA). Una linea pura è, infatti, un insieme di individui, il cui incrocio (ad es. AA x AA) dà origine ad individui sempre con lo stesso carattere dei genitori. La base fisica dell’uniformità degli individui della F1 è costituita dal fatto che i due genitori BB e bb, essendo omozigoti, producono, il primo, solo gameti B e, il secondo, solo gameti b. Ne consegue che gli individui della F1 sono tutti eterozigoti Bb, quindi tutti uguali tra loro. - II legge di Mendel o legge della segregazione. Essa afferma che l’incrocio tra individui eterozigoti (Bb x Bb) dà una progenie (detta generazione F2 o seconda generazione filiale), in cui compaiono genotipi diversi in rapporti genotipici definiti e costanti: 1/4 BB, 1/2 Bb e 1/4 bb (Fig. 1.2.1). La base fisica della II legge di Mendel è data dal fatto che nell'individuo eterozigote Bb i due alleli (B e b) si separano (segregano) l’uno dall’altro durante la formazione dei gameti. Ogni individuo della F1 quindi, essendo

eterozigote, produce 1/2 gameti B e 1/2 b. Ne consegue che in F2 nasceranno ad es. figli BB con frequenza 1/2 x 1/2 = 1/4. - III legge di Mendel o legge dell’assortimento indipendente. Essa afferma che nell’incrocio tra individui che differiscono per due caratteri controllati ciascuno da coppie alleliche localizzate su cromosomi diversi (ad es., BbSs x BbSs), le due coppie di alleli si assortiscono indipendentemente. Si formano quindi da ogni genitore gameti BS, Bs, bS e bs, ciascuno con frequenza 1/4 (25%). Si ottiene quindi una progenie con fenotipi BS, Bs, bS e bs in rapporto di 9:3:3:1 (Fig. 1.2.2). La base fisica della III legge di Mendel consiste nel fatto che l’assortimento (segregazione) di una coppia di cromosomi omologhi è casuale e indipendente dalla segregazione di un’altra coppia di cromosomi omologhi.

1.3 Interazione tra alleli (dominanza completa, incompleta, codominanza) Dato che di uno stesso gene possono esistere due o più alleli e che in un individuo possono essere presenti due alleli diversi di uno stesso gene, il fenotipo risultante dipenderà dalla interazione tra i due alleli. Le interazioni tra alleli possono essere di: - dominanza completa, quando un allele, detto allele dominante, maschera completamente l’espressione dell’altro allele, detto allele recessivo. Ne deriva che il fenotipo dell’individuo omozigote dominante (AA) è indistinguibile da quello dell’eterozigote (Aa). Ad es. gli individui della F1, in caso di dominanza completa, hanno lo stesso fenotipo di uno dei due genitori, cioè fra i due caratteri che si incontrano, uno solo prevale. In caso di dominanza completa, nella II legge di Mendel si ottengono rapporti di segregazione fenotipica (fenotipi A e a) di 3:1. - codominanza, quando in un eterozigote (Aa) entrambi gli alleli si manifestano fenotipicamente, cioè vengono espressi entrambi. Un esempio classico si ha nel caso degli alleli IA e IB del gruppo sanguigno ABO. - dominanza incompleta o dominanza intermedia, quando il fenotipo dell’individuo eterozigote (Aa) è intermedio tra quello dei due omozigoti (AA e aa). Un esempio classico è il colore del fiore Bella di notte

Fig. 1.2.2. Terza legge di Mendel. Per la spiegazione, vedi il testo.

Fig.1.2.1. Prima e seconda legge di Mendel. Per la spiegazione, vedi il testo.

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(Fig. 1.3.1). In caso di dominanza intermedia, i rapporti di segregazione fenotipica in F2 non sono di 3:1, ma di 1:2:1 (1/4 dei fenotipi è uguale a quello di un parentale, 1/2 a quello degli individui della F1 e 1/4 all'altro parentale). La teoria cromosomica dell’ereditarietà dei caratteri stabilisce che i geni sono localizzati sui cromosomi. Quindi la trasmissione dei geni da una cellula somatica ad un'altra oppure da una generazione all'altra è dovuta alla trasmissione dei cromosomi. Da qui, l’importanza di studiare i cromosomi e il loro comportamento durante la mitosi e la meiosi.

1.4 La mitosi Il ciclo cellulare è il programma genetico che sovrintende la divisione delle cellule (Fig. 1.4.1). Il ciclo cellulare è costituito da 4 fasi: la fase G1 (G = Gap = intervallo) che prepara alla replicazione dei cromosomi che avviene nella fase S; la fase G2 che prepara alla mitosi. Quindi la mitosi (fase M) é una fase del ciclo cellulare, anche se spesso si parla di ciclo mitotico.

La mitosi è la fase del ciclo cellulare in cui i cromosomi vengono segregati nelle due cellule figlie che si generano ad ogni divisione cellulare. Ogni cromosoma viene duplicato durante la fase S, per cui, all’inizio della mitosi ogni cromosoma è costituito da due copie identiche (dette cromatidi fratelli ed uniti attraverso il centromero), che si distribuiscono nelle due cellule figlie al termine della mitosi (Fig. 1.4.2). Nella mitosi si distinguono 4 sottofasi, chiamate profase, metafase, anafase e telofase. Gli eventi caratteristici della mitosi visti nel contesto del ciclo cellulare sono riassunti nella Fig. 1.4.3. La mitosi termina con la citochinesi, ovvero la divisione del citoplasma. La mitosi porta alla produzione di cellule che sono geneticamente identiche tra loro e alla cellula da cui si sono originate. La mitosi quindi è una divisione cellulare che non genera, normalmente, variabilità genetica.

Fig. 1.4.1. Le varie fasi del ciclo cellulare di una cellula eucariotica.

Fig. 1.3.1. Dominanza intermedia. In caso di dominanza intermedia (detta anche incompleta), l’individuo eterozigote ha un fenotipo intermedio tra quello dei due parentali. In questo esempio, i fiori della generazione parentale sono rossi (individuo RR) o bianchi (individuo rr; gli individui eterozigoti (Rr) hanno fiori rosa.

Fig. 1.4.2. Cromatidi fratelli. Ogni cromosoma viene duplicato durante la fase S dell’interfase, che precede la mitosi. All’inizio della mitosi ogni cromosoma è pertanto costituito da due copie identiche, dette cromatidi fratelli, unite in corrispondenza del centromero. Al termine della mitosi, vi è la distribuzione di ciascun cromatidio in ciascuna cellula figlia. Ciò fa sì che le cellule figlie siano geneticamente uguali tra loro e alla cellula madre.

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1.5 La meiosi

La meiosi è il processo di divisone cellulare che porta alla formazione di cellule germinali o gameti. Essa è costituita da due successive divisioni cellulari (la I divisione meiotica e la II divisione meiotica), precedute da una sola duplicazione del DNA, che avviene nella fase S che precede la I divisione meiotica. Gli eventi della meiosi sono presentati in Fig. 1.5.1. Gli eventi che caratterizzano la prima divisione meiotica sono unici tra tutte le divisioni cellulari. Dopo la replicazione del DNA cromosomico durante la fase S, un aspetto chiave della I divisione meiotica consiste nel fatto che i centromeri che uniscono i cromatidi fratelli rimangono intatti per tutta la durata della divisione e non si separano come accade in mitosi. Con il procedere della divisione i cromosomi omologhi di ciascuna coppia si allineano sul piano equatoriale della cellula e, attraverso meccanismi di ricombinazione (crossing-over) si scambiano delle parti generando variabilità genetica. Successivamente,

Fig. 1.4.3. La mitosi. Sono riassunti schematicamente gli eventi che accadono in un ciclo mitotico in una ipotetica cellula contenente due coppie di cromosomi e, quindi 4 molecole di DNA per cellula. I cromosomi si duplicano nella fase S e quindi il numero di molecole di DNA diventa 8 e sin dall’inizio (profase) della mitosi ciascun cromosoma è costituito da due cromatidi fratelli. In metafase ciascun cromosoma si allinea sulla piastra metafasica ed i due cromatidi fratelli si separano, migrano ai poli opposti della cellula in anafase e si separano nelle due cellule figlie dopo la citochinesi (notate la differenza con la I divisione meiotica in Fig. 1.5.1). Alla fine del processo mitotico il numero di molecole di DNA e di cromosomi rimane costante.

Fig. 1.5.1. Principali eventi genetici della meiosi. Essi sono: 1) la duplicazione del DNA che avviene una volta sola, prima che inizi la I divisione meiotica; 2) la separazione dei cromosomi omologhi alla meiosi I e 3) la separazione dei cromatidi fratelli alla meiosi II. Notare l'appaiamento dei cromosomi omologhi alla meiosi I con possibilità di scambio di parti tra essi (crossing-over).

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i due cromosomi omologhi (ognuno costituito dai due cromatidi fratelli) vengono tirati ai poli opposti della cellula generando, dopo la citochinesi, due cellule con un numero ridotto (la metà) di cromosomi. Per tale motivo, la I divisione meiotica è anche detta divisione riduzionale. Prima della II divisione meiotica non si ha duplicazione del DNA, e solo al termine della II divisione meiotica avviene la separazione dei cromatidi fratelli di ciascun cromosoma. Alla fine dell’intero processo, il numero dei cromosomi si è ridotto alla metà, per cui partendo da cellule diploidi si sono originate cellule aploidi: i gameti. 2. Importanza degli organismi modello nella ricerca biologica Uno degli obiettivi principali della ricerca biologica è certamente quello di comprendere le basi molecolari dei processi che controllano la divisione e proliferazione cellulare ed ancora più in generale la fisiologia di una cellula. Alterazioni in questi meccanismi determinano fenomeni patologici che sappiamo essere la causa di molte malattie nell’uomo. La ricerca biomedica ha quindi lo scopo di comprendere questi processi biologici per poter migliorare la salute ed il benessere, principalmente, della specie umana. Tuttavia, l’uomo non è l’organismo più idoneo per la sperimentazione biologica. Una regola fondamentale della ricerca è quella di saper scegliere l’organismo più semplice ed opportuno per affrontare il problema scientifico a cui si cerca di trovare una risposta. Per questo motivo, i biologi molecolari hanno focalizzato la loro attenzione su alcuni organismi modello che sono particolarmente utili nella ricerca: tra i più importanti ci sono: il batterio Escherichia coli, il lievito Saccharomyces cerevisiae, il nematode Caenorhabditis elegans, il moscerino della frutta Drosophila melanogaster, il pesce Dania rerio (zebrafish), il topo Mus musculus, la pianta Arabidopsis thaliana. E’ oggi scientificamente dimostrato che i meccanismi molecolari che controllano l’espressione dei geni sono molto simili, e spesso identici, in organismi evolutivamente molto distanti tra di loro. Gran parte degli studi di biologia molecolare dei geni sono, quindi, eseguiti sugli organismi modello e la scelta del modello più appropriato dipende dalle domande alle quali gli scienziati cercano una risposta. Jacques Monod, premio Nobel nel 1965, a chi gli chiedeva quale fosse la rilevanza generale dei suoi studi sul controllo dell’espressione dei geni nel batterio Escherichia coli, era solito rispondere: “…quello che è vero per E. coli è quasi sicuramente vero anche per un elefante”. Gli organismi modello più utilizzati non sono molti; devono infatti rispondere ad una serie di requisiti pratici e teorici affinché ad essi possano essere applicate le tecnologie della moderna ricerca biologica:

1) il loro utilizzo deve essere economico; 2) devono poter essere tenuti in condizioni controllate di laboratorio occupando il minor spazio

possibile; 3) devono avere un ciclo di riproduzione rapido; 4) devono originare una progenie numerosa; 5) la sequenza del loro genoma deve essere nota; 6) devono avere caratteristiche che permettano l’applicazione delle più moderne tecnologie

genetiche e molecolari.

2.1 Il lievito come organismo modello nelle ricerca biologica Il lievito di birra Saccharomyces cerevisiae è uno degli organismi modello più utilizzati per tutta una serie di caratteristiche che descriveremo in questa dispensa, al punto tale che qualche hanno fa nell’ambito di una importante manifestazione scientifica è stato nominato “mammifero onorario” !!! Tuttavia, altre specie di lievito sono utilizzate in laboratorio per studi di Genetica e Biologia Molecolare. Tra queste, il lievito Schizosaccharomyces pombe. A differenza di S. cerevisiae che si divide per gemmazione, S. pombe si divide per scissione mediana (Fig. 2.1.1). Il primo ha una forma elissoidale, il secondo ha una forma a bastoncino.

Fig. 2.1.1. Fotografie al microscopio del lievito gemmante (budding) Saccharomyces cerevisiae e del lievito Schizosaccharomyces pombe.

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2.2 Classificazione dei lieviti Sono state catalogate più di mille specie di lieviti. La maggior parte appartengono al gruppo degli Ascomiceti: sono quindi dei funghi unicellulari. Il fatto di essere un eucariote unicellulare rappresenta la caratteristica più rilevante del suo successo come organismo modello. Infatti, tali organismi offrono numerosi vantaggi come modello per la sperimentazione: − hanno genomi piccoli rispetto ad altri eucarioti e, quindi,

un’altrettanto piccolo numero di geni (vedi più avanti); − vengono cresciuti in laboratorio in modo molto semplice,

analogamente a quanto si può fare con i batteri; − nonostante la loro semplicità, le cellule di S. cerevisiae hanno le

stesse caratteristiche generali di eucarioti multicellulari (Fig.2.2.1).

I lieviti hanno un nucleo distinto circondato da una membrana nucleare ed il loro citoplasma è dotato dell’intero corredo di organelli cellulari (mitocondri, vacuoli, apparato di Golgi etc.) presenti in altre cellule eucariotiche. Il lievito S. cerevisiae, oltre che da una tipica membrana cellulare, è circondato all’esterno da una parete cellulare piuttosto resistente. Come si può osservare dall’albero filogenetico mostrato in Fig. 2.2.2, il lievito S. cerevisiae è evolutivamente più vicino all’uomo di altri eucarioti e, infatti, gran parte delle scoperte scientifiche fatte utilizzando il lievito come organismo modello si sono dimostrate vere anche per i mammiferi, incluso l’uomo.

Fig. 2.2.1. Schema della struttura di una cellula del lievito S. cerevisiae. Si può notare che, nonostante il lievito sia un eucariote unicellulare, mantiene tutte le strutture e gli organelli presenti negli eucarioti multicellulari, quali i mammiferi.

Fig. 2.2.2. Albero filogenetico che suddivide gli organismi nei tre regni dei BATTERI, ARCHEOBATTERI ed EUCARIOTI. Si può notare la vicinanza evolutiva del lievito (Saccharomyces) e dell’uomo (Homo).

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2.3 Utilizzo del lievito in biotecnologie tradizionali Da migliaia di anni il lievito S. cerevisiae è stato "addomesticato" dall’uomo per la produzione di pane, vino e birra. È quindi un organismo utilizzato per una serie di “processi biotecnologici naturali” di cui oggi si conoscono i meccanismi chimici e molecolari. Mentre alcuni lieviti utilizzano esclusivamente la respirazione aerobica, altri, in assenza di ossigeno, possono passare ad un processo di respirazione anaerobica, chiamato fermentazione. I lieviti fermentanti producono energia convertendo gli zuccheri in anidride carbonica ed etanolo. Nella fermentazione delle bevande è utile la produzione dell'etanolo, mentre nella lievitazione del pane l'anidride carbonica gonfia la pasta e l'alcool (etanolo) evapora. Un esempio con un substrato di glucosio:

C6H12O6 (glucosio) → 2C2H5OH + 2CO2

I produttori di birra classificano i lieviti come top-fermenting e bottom-fermenting. I lieviti top-fermenting (così chiamati perché galleggiano sulla superficie della birra) producono maggiori concentrazioni di alcool e preferiscono temperature più alte. Ad esempio S. cerevisiae, produce una birra più fruttata e dolce, denominata “ale”. I lieviti bottom-fermenting trasformano con la fermentazione una maggior quantità di zuccheri lasciando un sapore più "croccante" e lavorano bene a basse temperature. Fra questi: Saccharomyces uvarum e Saccharomyces carlsbergensis usati per produrre birre tipo “lager”. I produttori di vino usano differenti varietà di lieviti a seconda del tipo di vino e delle condizioni dell'uva. Troppo zucchero o un'eccessiva concentrazione di alcool rallenta la crescita del lievito, perciò per uve con molto zucchero sono necessari lieviti che ben sopportano elevate concentrazioni zuccherine. Alcuni lieviti sono selezionati in base agli aromi che tendono a sviluppare. Lieviti naturali sono già presenti sulla superficie degli acini d'uva, perciò il succo d'uva tenderà spontaneamente a fermentare a meno che i lieviti non vengano fermati con temperature basse o con solfati. Nonostante la maggior parte dei lieviti rendano la vita dell’uomo più piacevole (essendo utilizzati per produrre pane, birra, vino etc.), un certo numero di specie di lieviti, come la Candida albicans, possono causare infezioni nell'uomo (in particolare malattie della pelle).

2.4 Il ciclo vitale del lievito Saccharomyces cerevisiae. Le cellule del lievito S. cerevisiae sono di forma ellissoidale con un diametro di circa 5 micron e si dividono per gemmazione, una caratteristica che ha reso tale lievito molto utile per studi sui meccanismi di divisione cellulare (vedi più avanti). S. cerevisiae può crescere sia in uno stato aploide (cioè con una copia di ciascun cromosoma e quindi, in genere, con una copia di ciascun gene) che in uno stato diploide (cioè con due copie di ciascun cromosoma). La conversione tra lo stato aploide a quello diploide è mediata dall’accoppiamento e quella dallo stato diploide ad aploide da un processo chiamato sporificazione (Fig. 2.4.1). Esistono, inoltre, due tipi sessuali di lievito detti a ed alfa (α). Ceppi di lievito, chiamati eterotallici, di tipo sessuale a o alfa possono essere fatti crescere come ceppi stabili per indefinite generazioni. Solo se i due tipi sessuali opposti a e alfa vengono fatti crescere insieme, le cellule di sesso opposto si accoppiano generando una cellula diploide a/alfa che può dividersi indefinitamente in tale stato. Ceppi di lievito, detti omotallici,

Fig. 2.4.1. Il ciclo vitale del lievito Saccharomyces cerevisiae. I due ceppi aploidi (a e alfa) possono coniugare e formare il ceppo diploide a/alfa che, in condizioni limitanti di nutrienti, va incontro a sporificazione rigenerando nel processo meiotico spore aploidi.

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cambiano spontaneamente di sesso e, quindi, è molto difficile tenerli allo stato aploide, in quanto cellule di sesso opposto e capaci di accoppiarsi generando una cellula diploide, si formano spontaneamente senza la necessità di mescolare deliberatamente ceppi di sesso opposto. Ceppi di lievito diploidi possono esseri fatti sporificare se vengono messi in condizioni limitanti di nutrienti necessari per la crescita. In tali condizioni, le cellule che stavano dividendosi mitoticamente iniziano invece il processo della meiosi, alla fine del quale vengono prodotte 4 cellule aploidi, due di sesso a e due di sesso alfa, che sono i gameti chiamati anche, in questo caso, spore. Le 4 spore sono contenute all’interno di una struttura visibile al microscopio chiamata asco, che racchiude quindi i gameti prodotti da una singola meiosi (Fig. 2.4.2) (riflettete su quanto succede nell’uomo e traete le vostre conclusioni). Il processo di sporificazione ed il fatto che i prodotti di ciascuna meiosi siano contenuti in un’unica struttura è di vitale importanza per l’analisi genetica della segregazione dei caratteri in cellule di lievito. Infatti, i gameti prodotti in ogni processo meiotico possono essere prelevati con un apparecchio, chiamato micromanipolatore (Fig. 2.4.3), che è un microscopio con attaccato un ago che si può muovere in modo controllato così da andare a rompere gli aschi e prelevare le singole spore (gameti) in esso contenute. Le spore vengono poi posizionate su terreni di coltura solidi (capsule di Petri, vedi più avanti) e ciascun gamete aploide si dividerà generando una colonia di cellule. Tutte le cellule che formano la colonia hanno lo stesso genotipo ed è così possibile, utilizzando opportuni terreni e condizioni di crescita, valutare come un certo carattere ha segregato durante la meiosi (RIPASSARE LE LEGGI DI MENDEL !!! e vedere più avanti).

2.5 Il controllo del sesso in S. cerevisiae Il locus che controlla il sesso del lievito S. cerevisiae viene chiamato MAT. Nel locus MAT, che si trova sul cromosoma III, possono trovarsi due alleli alternativi dello stesso gene, chiamati, rispettivamente, MATa e MATalfa. Il sesso di ceppi di lievito aploidi sarà a o alfa a seconda che al locus MAT ci sia l’allele MATa o MATalfa, che vengono trascritti a partire dal promotore presente nel locus stesso (Fig.

Fig. 2.5.1. Il meccanismo della determinazione del sesso in S. cerevisiae. L’allele presente al locus MAT determina il sesso di una cellula di lievito. Mediante meccanismi di ricombinazione è possibile che un ceppo di lievito possa cambiare sesso (vedere testo per i dettagli).

Fig. 2.4.2. Un asco che contiene le 4 spore aploidi prodotte durante il processo meiotico.

Fig. 2.4.3. Un microscopio con micromanipolatore utilizzato per la dissezione degli aschi.

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2.5.1). Oltre al gene presente sul locus MAT e che determina il sesso, tutte le cellule di S. cerevisiae posseggono ulteriori copie dell’allele a e dell’allele alfa, in regioni sul cromosoma III che fiancheggiano a destra e a sinistra il locus MAT. Queste due copie dei geni sono però silenti, cioè non espresse perché i corrispondenti geni non vengono trascritti. È però possibile che il taglio da parte di una endonucleasi (che si chiama HO) a livello del locus MAT induca un evento di “trasposizione” per cui il gene di sesso opposto a quello presente sul locus MAT viene prima duplicato e poi traslocato sul locus MAT stesso determinando la sostituzione dell’allele (di sesso opposto) che era precedentemente presente in quella posizione (Fig. 2.5.1). Ciò determina un cambiamento del sesso di lievito!!! Questo meccanismo è anche denominato meccanismo “a cassetta”, poiché i geni a o alfa che fiancheggiano il locus MAT ricordano delle musicassette che sono lette solo se inserite nel registratore (il locus MAT), e sostituibili l’una all’altra. I geni a e alfa che possono essere presenti al locus MAT codificano per dei fattori trascrizionali, cioè per delle proteine che controllano la trascrizione di altri geni. A seconda del fattore trascrizionale prodotto nelle cellule aploidi a o alfa (o la presenza di entrambi i fattori in cellule diploidi), si determina il sesso delle cellule aploidi o il mantenimento dello stato diploide. Ad esempio, cellule di sesso a, producono un piccolo peptide detto feromone-a ed il recettore per il feromone-alfa. Viceversa, cellule di sesso alfa, producono il feromone-alfa ed il recettore per il feromone-a. La produzione dei rispettivi feromoni, e la presenza dei recettori, sono alla base del fenomeno della coniugazione tra ceppi aploidi di lievito di sesso opposto. La coniugazione dei ceppi aploidi di lievito avviene nella fase G1 del ciclo cellulare (vedi più avanti); l’aggiunta del feromone di sesso opposto a quello di un certo ceppo di lievito (ad esempio l’aggiunta del feromone-alfa a cellule di sesso a) blocca quelle cellule nella fase G1 del ciclo cellulare, permettendo la coniugazione in presenza di cellule del sesso opposto. L’aggiunta di feromone-alfa a cellule di lievito di sesso a, è, per esempio, un ottimo sistema per bloccare le cellule nella fase G1 e sviluppare, quindi, metodi di sincronizzazione delle cellule che sono un pre-requisito per studi sui meccanismi molecolari che controllano la progressione del ciclo cellulare.

2.6 Il ciclo cellulare di S. cerevisiae Abbiamo già visto che per dividersi e proliferare, tutte le cellule eucariotiche devono eseguire correttamente un programma genetico, definito ciclo cellulare, che sovrintende la corretta replicazione e segregazione del materiale ereditario nelle cellule figlie. I cromosomi di una cellula eucariotica vengono duplicati in un ristretto intervallo temporale del ciclo cellulare, definito fase S, e segregano nelle cellule figlie in mitosi (fase M). La fase S e la fase M sono separate da due altre fasi, chiamate G1 e G2

Fig. 2.6.1. Il ciclo cellulare del lievito S. cerevisiae. Pannello a. Il ciclo cellulare mitotico di lievito è diviso nelle 4 fasi caratteristiche di tutte le cellule eucariotiche. Pannello b. Le cellule di S. cerevisiae si dividono per gemmazione. Durante il ciclo cellulare di lievito, la dimensione della gemma, la duplicazione ed il posizionamento del centro di organizzazione del fuso ed altri parametri morfologici permettono di determinare, attraverso la semplice osservazione al microscopio, lo stadio del ciclo cellulare in cui si trovano le cellule di lievito.

M

G2

G1

S

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(G=Gap=intervallo) (Fig. 2.6.1). La duplicazione dei cromosomi e la loro separazione nelle cellule figlie sono processi periodici estremamente precisi ed ogni alterazione in questi processi provoca conseguenze catastrofiche in quanto, alterando il numero o l’integrità dei cromosomi, si modifica l’informazione genetica della cellula. Molte malattie nell’uomo, soprattutto i tumori, sono causate da alterazioni nei meccanismi di controllo del ciclo e della proliferazione cellulare. Per questo, gli studi tesi a comprendere i meccanismi molecolari che controllano il ciclo cellulare sono stati (e sono) una frontiera della ricerca biologica. I lieviti S. cerevisae e S. pombe sono stati particolarmente utili per comprendere tali meccanismi, tanto che due studiosi (Leland Hartwell e Paul Nurse) che hanno lavorato sul ciclo cellulare dei lieviti hanno ottenuto il Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina nel 2003. Perché lo studio del ciclo cellulare del lievito S. cerevisiae è stato così importante? Il primo motivo è legato proprio alla modalità con cui tale lievito si divide. Infatti, S. cerevisiae si divide per gemmazione ed è possibile distinguere facilmente in che fase del ciclo cellulare una cellula si trovi, semplicemente osservando la morfologia della cellula stessa. Come potete osservare nella Fig. 2.6.1b, in fase G1 le cellule di lievito hanno la caratteristica forma ellissoidale; quando entrano nella fase S incominciano ad emettere la gemma che diventa sempre più grossa. Quando le cellule entrano nella fase G2 il nucleo singolo presente nella cellula madre, si posiziona tra madre e figlia, si allunga poi tra le due cellule e viene segregato e separato in mitosi. Se si considerano altri particolari, per esempio il centro dell’organizzazione del fuso (equivalente al cinetocoro nelle cellule di mammifero) e la lunghezza delle fibre del fuso mitotico (visibili in Fig. 2.6.1b), si riescono a posizionare le cellule durante il ciclo cellulare con ancora maggior precisione. Alla fine della divisione si generano due cellule figlie di dimensioni un po’ diverse: la “madre” che è più grossa e la “figlia” (che deriva dalla gemma) più piccola. Ogni madre può generare più figlie e, ad ogni “parto”, rimane una cicatrice sulla superficie della cellula madre in corrispondenza di dove si è staccata la gemma. Tale cicatrice si può colorare ed è visibile al microscopio, così che contando le cicatrici si può determinare quante figlie ha fatto una madre ed, in parte, calcolarne l’età !!! (Fig. 2.6.2). Un altro aspetto per cui S. cerevisiae è stato particolarmente utile per studi sul ciclo cellulare è legato al fatto che le cellule di lievito sono facilmente sincronizzabili. Se si vogliono studiare i meccanismi che controllano la progressione del ciclo cellulare è importante avere a disposizione una coltura di cellule che attraversano il ciclo in modo sincronizzato. Non è per niente facile sincronizzare le cellule. In lievito, come abbiamo già accennato, questo è relativamente semplice. Una coltura asincrona di cellule di sesso a, in cui le cellule sono presenti in tutte le possibili fasi del ciclo, può essere bloccata in un momento specifico della fase G1 aggiungendo il feromone del sesso opposto (feromone-alfa). Se si tengono le cellule in presenza di tale sostanza per un paio di divisioni cellulari (circa 3 ore), tutte le cellule si troveranno in G1, come allineate ai blocchi di partenza. Se adesso si raccolgono le cellule e si lava via il feromone, tutte le cellule partono dallo stesso punto e nello stesso momento, come allo sparo della partenza di una corsa. Si muovono in modo sincrono per un paio di generazioni, poi la sincronia viene via via perduta, ma questo procedimento ha permesso di raccogliere man mano cellule che si trovano a diversi stadi del ciclo cellulare. L’ultimo aspetto rilevante, riguarda l’utilizzo di mutanti di lievito alterati nella funzionalità di specifici geni che controllano la progressione del ciclo cellulare, ma questi verranno descritti più avanti.

Fig. 2.6.2 . Fotografie al microscopio a fluorescenza di cellule di lievito S. cerevisiae. Quando la cellula figlia si stacca dalla cellula madre, su quest’ultima viene lasciato un anello di una sostanza chiamata chitina. L’anello di chitina può essere visualizzato con un colorante fluorescente chiamato calcofluor. L’anello di chitina indica, quindi, dove si trovava la gemma e contando gli anelli di chitina su ogni cellula madre si possono contare il numero di cellule figlie generate per gemmazione.

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2.7 Nomenclatura di geni di lievito Nel lievito S. cerevisiae i geni vengono indicati con tre lettere dell’alfabeto seguite da un numero e sono scritti in carattere italico. Per es., il gene TRP1 codifica per un enzima richiesto per il primo passaggio nella via biosintetica che porta alla sintesi dell’amminoacido triptofano e così il gene LEU2 codifica per il secondo enzima nella via che porta alla sintesi dell’amminoacido leucina, etc. etc. Geni che portano mutazioni recessive nei geni in oggetto sono indicati con le lettere minuscole (trp1, leu2 etc.). I fenotipi selvatici o mutanti sono invece spesso indicati, rispettivamente, come Trp+ / Trp– oppure Leu+ / Leu–. Con + si indica la capacità di sintetizzare triptofano e/o leucina e, quindi capacità, di crescere in assenza di tali amminoacidi nel terreno di coltura: organismi prototrofi; con meno, si indica l’incapacità di sintetizzare gli amminoacidi in oggetto e, quindi, gli organismi che portano tali mutazioni sono detti mutanti auxotrofici, e possono crescere solo se il triptofano e/o la leucina vengono aggiunti da noi al terreno di coltura.

2.8 Isolamento ed utilizzo di mutanti di lievito temperatura-sensibili Altri mutanti estremamente importanti nell’analisi genetica formale sono i mutanti letali condizionali. Vengono così chiamati mutanti capaci di crescere in una certa condizione (detta permissiva) ma incapaci di crescere in una condizione alternativa (detta non-permissiva o restrittiva). Tra i mutanti letali condizionali più utilizzati ci sono i mutanti temperatura-sensibili che sono capaci di crescere ad una certa temperatura (in lievito normalmente 30°C), ma non ad una temperatura più alta (37°C). Perché ciò avviene? Qui dobbiamo ricordarci che cosa è una mutazione. La mutazione è un cambiamento ereditabile nella sequenza nucleotidica di un gene, per cui il gene mutato può non essere in grado di svolgere la funzione tipica del gene selvatico e quindi mostra un fenotipo alterato. Ricordando gli esperimenti di Mendel, l’allele che determinava il colore giallo del seme del pisello era indicato come Y (maiuscolo), mentre quello che determinava il colore verde era indicato come y (minuscolo). Poiché il pisello è un organismo diploide e quindi contiene due copie di quel gene possiamo avere tre possibili situazioni: YY, Yy, yy. Il colore del seme è giallo sia nella situazione YY (omozigote) che in quella Yy (eterozigote) e questo perché l’allele Y (giallo) è dominante, mentre l’allele y (verde) è recessivo per cui le piante verdi possono essere solo di genotipo yy. I grandi vantaggi dell’utilizzo del lievito nell’analisi genetica classica sono essenzialmente due:

1) si può passare dallo stato aploide a quello diploide (e viceversa) con grande facilità; 2) i prodotti di ogni meiosi (gameti) sono racchiusi in una struttura (asco), per cui è possibile analizzare il genotipo di ciascun gamete e, quindi, è più facile seguire la segregazione di un dato carattere.

Facciamo un esempio pratico. Per prima cosa vogliamo selezionare una mutazione (ad esempio una mutazione temperatura-sensibile o ts) e controllare se quella mutazione è dominante o recessiva valutando come il fenotipo associato a quella mutazione segreghi durante la meiosi. Per individuare dei mutanti temperatura-sensibili si procede con la tecnica del replica-plating (Fig. 2.8.1). Si parte da un ceppo di lievito selvatico aploide e lo si sottopone al trattamento con un agente che causi mutazioni (mutageno) al fine di aumentare la probabilità di trovare i mutanti che cerchiamo. I mutageni più utilizzati per tali trattamenti sono, solitamente, sostanze chimiche che causano alterazioni nelle basi azotate del DNA. Dopo il trattamento di mutagenesi, un numero adeguato di cellule (di solito diverse migliaia) vengono piastrate su capsule Petri contenenti terreno di coltura solido (piastre madri in Fig. 2.8.1), così che ogni cellula dopo un paio di giorni dia origine ad una colonia. Si appoggia poi su ciascuna piastra madre un tampone ricoperto da un panno di velluto sterile (Fig. 2.8.2) su cui rimangono attaccate cellule corrispondenti alle diverse colonie ed il velluto viene appoggiato su due nuove piastre (dopo esserci ricordati di orientare le piastre in modo appropriato), che sono poi incubate alla temperatura permissiva (30°C) o non permissiva (37°C). Dopo un paio di giorni, quando sono cresciute nuove colonie, si confrontano le colonie cresciute sulla piastre tenute alle due differenti temperature. Un mutante temperatura-sensibile sarà in grado di formare una colonia a 30°C, ma non a 37°C. Operando in questo modo su un numero elevato di cellule avremo ottenuto una collezione di mutanti temperatura-sensibili. Dato che eravamo partiti da un ceppo selvatico aploide la mutazione temperatura-sensibile è in grado di generare il fenotipo “incapacità di crescere a 37°C” anche se la mutazione è recessiva (come lo sono la maggior parte delle mutazioni temperatura-sensibili).

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Come facciamo a verificare che la mutazione è davvero recessiva? Dato che stiamo lavorando con il lievito ciò è molto semplice: basterà incrociare il ceppo mutante con un ceppo selvatico di sesso opposto e si genererà così un ceppo diploide. Se la mutazione è recessiva, il ceppo diploide sarà in grado di crescere a 37°C. Se invece la mutazione fosse dominante ciò non avverrebbe. Possiamo domandarci anche come segrega il carattere temperatura–sensibile durante la meiosi. Trattandosi di un carattere monofattoriale, controllato da un singolo gene, ci aspettiamo che l’eterozigote (cioè il ceppo diploide formato dalla coniugazione tra un aploide selvatico ed un aploide ts) dia origine a gameti selvatici e mutanti in rapporto 1:1. Come facciamo a verificare questa ipotesi? Come mostrato in Fig. 2.8.3, facciamo sporificare un certo numero di cellule diploidi eterozigoti. Con un microscopio munito di micromanipolatore procediamo alla dissezione di un certo numero di aschi e disponiamo le 4 spore di ciascun asco in linee verticali su una capsula Petri contenente terreno solido che incubiamo alla temperatura permissiva (30°C). Come si può vedere nel pannello 1 della Fig. 2.8.3 tutte le spore sono in grado di formare colonia eccetto nei due casi in cui durante la procedura abbiamo perso la spora in esame. Facciamo poi un replica-plating della piastra mostrata nel pannello 1 su una nuova piastra (Fig. 2.8.3, pannello 2) che viene incubata a 37°C. Si può notare che solo 2 delle 4 spore di ciascun asco sono in grado di crescere a 37° C (le due spore selvatiche), dimostrando che il carattere “temperatura-sensibile” segrega in rapporto 1:1 in meiosi (2 spore selvatiche e 2 spore temperatura-sensibili).

Fig. 2.8.1. La tecnica del replica-plating per individuare mutazioni temperatura-sensibili in lievito (vedi testo per i dettagli). La stessa tecnica è utilizzata per individuare analoghe mutazioni anche nei batteri.

Fig. 2.8.2. Un “replicatore” con il panno di velluto utilizzato nell’esperimento del replica-plating.

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2.9 La scoperta dei mutanti cdc per lo studio del ciclo cellulare

Tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70, Leland Hartwell e Paul Nurse iniziarono un lavoro pionieristico teso all’individuazione dei geni che controllano la progressione del ciclo cellulare nei lieviti S. cerevisiae e Schizosaccharomyces pombe. Poichè l’incapacità di progredire attraverso il ciclo cellulare è letale, Hartwell e Nurse cercarono mutazioni che bloccassero la progressione del ciclo cellulare solo in particolari condizioni, quindi, mutazioni temperatura-sensibili, come abbiamo descritto sopra, così da poterne studiare le conseguenze trasferendo i mutanti da condizioni “permissive” a condizioni “non-permissive” (in genere 37°C). I geni che controllano il ciclo cellulare vennero chiamati geni CDC (le iniziali di Cell Division Cycle). Come mostrato in Fig. 2.6.1, l’individuazione di mutanti cdc in S. cerevisiae era facilitata dal fatto che questo lievito possiede una serie di parametri morfologici che possono essere facilmente seguiti durante il ciclo cellulare. Mutazioni temperatura-sensibili nei geni CDC che controllano uno specifico passaggio del ciclo cellulare sono identificabili perchè le cellule mutanti si arrestano tutte con la stessa morfologia (fenotipo terminale), dopo il trasferimento alle condizioni non-permissive, in quanto non sono capaci di eseguire una funzione richiesta per il passaggio da uno stadio all’altro del ciclo cellulare. Combinando poi nello stesso ceppo due mutazioni cdc ed osservando il fenotipo terminale si riesce a stabilire l’ordine temporale d’azione dei diversi geni CDC (Fig. 2.9.1). Il lavoro iniziale di Hartwell (Fig. 2.9.2) ha portato all’identificazione di circa 70 geni CDC in S. cerevisiae, ma questo numero è risultato sottostimato in quanto numerosi geni di lievito sono ridondanti e svolgono funzioni simili e vicariabili tra di loro.

Le 4 spore che derivano da 10 aschi (linee verticali) sono state messe su capsule Petri. Ciascuna spora (dopo alcuni giorni) genera una colonia. In 2 casi (III e ultima fila, una spora è andata perduta durante la procedura.

È stato fatto un replica-plating delle colonie cresciute nella piastra mostrata nel pannello A. La nuova piastra è stata incubata per alcuni giorni a 37°C. Potete notare che in tutti gli aschi con 4 spore solo 2 sono in grado di crescere a 37°C, dimostrando che il carattere in esame segrega in rapporto 1:1 in meiosi.

Fig. 2.8.3. La segregazione delle spore di un diploide contenente allo stato eterozigote una mutazione temperatura-sensibile e l’analisi del fenotipo delle spore ci permette di verificare che il fenotipo temperatura-sensibile segrega in rapporto 1:1 durante la meiosi.

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Fig. 2.9.1. Mutanti cdc bloccati in diverse fasi del ciclo cellulare. Il gene CDC28 codifica per una funzione richiesta per il passaggio dalla fase G1 alla fase S. Infatti, tutte le cellule cdc28 mutanti si bloccano con la morfologia tipica di cellule in G1 (senza gemma) dopo trasferimento alla temperatura non-permissiva. Il gene CDC7 codifica per una funzione richiesta per la fase S. Infatti, tutte le cellule mutanti cdc7 hanno la stessa morfologia (una gemma più piccola della cellula madre, tipica di cellule in fase S). Cellule che portano entrambe le mutazioni si bloccano con la morfologia tipica dei mutanti cdc28 e non di mutanti cdc7, indicando che il gene CDC28 agisce temporalmente prima del gene CDC7.

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La caratterizzazione dei mutanti cdc di lievito ha permesso di stabilire un punto estremamente importante nel controllo del ciclo cellulare: l’esecuzione di eventi tardivi del ciclo dipende dalla corretta esecuzione degli eventi precedenti. Per esempio, una mutazione che blocca la sintesi del DNA determina l’arresto del ciclo cellulare nella fase S e previene l’entrata delle cellule in mitosi e la successiva divisione cellulare. Ne deriva che la mitosi e la divisione cellulare richiedono il precedente completamento della fase S: le fasi del ciclo sono quindi organizzate in una serie lineare di eventi tra loro interdipendenti. La visione del ciclo cellulare come una cascata di eventi tra loro interconnessi è risultata applicabile non solo al lievito, ma anche agli altri eucarioti.

3. Cenni di biologia molecolare del lievito

3.1 Il genoma del lievito S. cerevisiae Al lievito sono applicabili sofisticate tecniche di tipo genetico, e la conoscenza molecolare dell’organizzazione del suo genoma è avanzatissima; il lievito presenta, inoltre, ulteriori caratteristiche che lo rendono un modello eccezionale per lo studio della funzione molecolare dei geni. Il lievito S. cerevisiae è il primo organismo di cui è stata determinata la sequenza nucleotidica dell’intero genoma. La dimensione del genoma di lievito è di 12 megabasi (1.2 x 107 paia di basi), circa 3 volte più grande del genoma del batterio Escherichia coli, ma circa 260 volte più piccolo del genoma dell’uomo. Proprio per questo motivo, i cromosomi del lievito sono di dimensioni ridotte e poco adatti ad una analisi citogenetica al microscopio; sono, però, analizzabili con tecniche molecolari più analitiche. Infatti, gli interi cromosomi di lievito possono essere separati ed analizzati mediante particolari tipi di elettroforesi. Il numero totale dei geni di lievito è circa 6.000, nell’uomo sembrano essere di un numero compreso tra 20.000 e 30.000, mentre nel vermicello Caenorhabditis elegans circa 19.000. La semplice comparazione di questi numeri fa sorgere una serie di problematiche: se ci limitiamo, infatti, a paragonare il numero dei geni in diversi organismi, l’uomo sembra essere poco più complicato di un piccolo nematode lungo 1 mm (C. elegans) e circa 4 o 5 volte più complesso di una cellula di lievito. Il numero dei geni non è, quindi, un parametro sufficiente a spiegare la diversa complessità evolutiva degli organismi. Il lievito può contenere dei plasmidi, come quello denominato 2 micron (dalle sue dimensioni), che sono stati il punto di partenza per la costruzione di vettori di clonaggio che possono essere mantenuti all’interno di cellule di lievito. È importante sottolineare un altro punto: il sequenziamento del genoma di lievito e lo sviluppo di tecnologie genetiche in tale organismo ha permesso l’identificazione di tutti gli elementi strutturali importanti per la dinamica di un cromosoma, quali le origini di replicazione del DNA, i centromeri ed i telomeri. È così oggi possibile costruire e mantenere in cellule di lievito dei veri e propri cromosomi artificiali, chiamati YAC, le iniziali di Yeast Artificial Chromosome. Tali cromosomi artificiali sono uno strumento molto importante per il clonaggio e l’analisi del genoma di organismi complessi, incluso l’uomo. Per studi di biologia molecolare sulla funzionalità dei geni di un certo organismo è essenziale che tale organismo sia trasformabile. Abbiamo discusso in dettaglio il problema della trasformazione nell’opuscolo “Bianco o Blu”. In breve, con il termine trasformazione si intende la possibilità di introdurre DNA esogeno all’interno dell’organismo in esame. La maggior parte delle cellule, con l’esclusione di alcuni batteri, non sono normalmente trasformabili, ma possono diventarlo se si trattano le cellule stesse con reagenti che alterano la permeabilità della membrana e/o della parete cellulare, senza uccidere le cellule. Alternativamente, il DNA può essere introdotto all’interno di una cellula mediante trattamenti fisici (ad es. uno shock elettrico), iniettando direttamente il DNA all’interno della cellula o, addirittura, sparando con delle vere e proprie pistole molecolari delle microsfere di metallo sulla cui superficie sono adsorbite molecole di DNA.

Fig 2.9.2. Fotografie tratte da uno dei lavori originali che hanno fruttato ad Hartwell l’assegnazione del premio Nobel. Nel pannello A, si vedono cellule selvatiche che, anche dopo trasferimento alla temperatura non-permissiva, hanno cellule senza gemma o con gemma di diverse dimensioni ad indicare che si trovano in diversi stadi del ciclo cellulare. Nel pannello B è mostrato un mutante cdc dopo trasferimento alla temperatura non-permissiva. Si può notare che, in questo esempio, tutte le cellule hanno una gemma più o meno della stessa dimensione. Le cellule di lievito in sospensione sono appiccicose per cui si vedono spesso coppie di cellule.

A B

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Il lievito non è normalmente trasformabile, ma esistono semplici protocolli sperimentali che, alterandone la permeabilità, permettono l’introduzione di molecole di DNA al suo interno con alta efficienza.

Plasmidi in cui sono state inserite molecole di DNA esogeno (Fig. 3.1.1 e vedere l’opusculo “Bianco o blu” per ulteriori dettagli) possono essere mantenuti come molecole in grado di replicarsi autonomamente all’interno di cellule di lievito se contengono nel plasmide stesso un’origine di replicazione del DNA di lievito (Fig. 3.1.2). Se poi il plasmide contiene anche un centromero ed i telomeri, si potrà comportare come un cromosoma artificiale non solo replicandosi in fase S, ma segregando correttamente nelle cellule figlie sia in mitosi che in meiosi.

3.2 Clonaggio di un gene di lievito È possibile costruire dei plasmidi in cui siano stati clonati pezzi di DNA, che nel loro insieme, rappresentano tutto il genoma di lievito. Tale concetto prende il nome di libreria o banca o genoteca di DNA. Che cos’è, quindi una libreria di DNA di un certo organismo? Una libreria di DNA è una popolazione di vettori identici, ma ognuno contenente un inserto diverso del DNA di quell’organismo così che l’intera popolazione di plasmidi ricombinanti sia rappresentativa dell’intero genoma (Fig. 3.2.1).

Fig. 3.1.2. Schema di un plasmide in grado di replicarsi sia in lievito che in E. coli. Il plasmide può replicarsi in cellule di E. coli perché contiene un’origine di replicazione (ori) riconosciuta da quell’organismo ed in cellule di lievito perché contiene l’origine di replicazione del plasmide di lievito denominato 2 micron (2 micron ori). Il plasmide contiene anche un marcatore per la selezione in E. coli (Ampr, che conferisce resistenza all’ampicillina) ed un marcatore per la selezione in lievito (URA3 che conferisce la capacità a cellule Ura- di crescere in assenza di uracile nel terreno).

Isolamento di un

gene

Fig. 3.1.1. Per clonare un gene dobbiamo inserire il frammento di DNA che lo contiene in un vettore di clonaggio (es. un plasmide) ed introdurre il plasmide ricombinante così generato in un ospite (ad es. E. coli o lievito) capace di replicarlo.

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A cosa può servirci una banca di DNA di lievito? Supponiamo che la banca di DNA sia stata costruita in un vettore plasmidico in grado di replicarsi all’interno di una cellula di lievito e che contenga anche un gene marcatore la cui espressione sia facilmente analizzabile in cellule di lievito. Ad es., se il plasmide contiene il gene URA3, e trasformiamo cellule di lievito che siano mutanti ura3 (cioè mutanti auxotrofi incapaci di crescere in assenza di uracile nel terreno) le cellule di lievito che hanno introdotto al loro interno (dopo trasformazione) il plasmide che porta il gene URA3 selvatico saranno riconoscibili, in quanto il loro genotipo per quello che riguarda quello specifico gene è diploide URA3/ura3. Poiché la mutazione ura3 è recessiva, le cellule che hanno introdotto il plasmide diventeranno capaci di crescere in assenza di uracile, cosa che non sono in grado di fare se non sono state trasformate. Supponiamo ora che il nostro ceppo di lievito mutante ura3 contenga anche un’altra mutazione temperatura-sensibile in uno dei geni CDC che controllano il ciclo cellulare, ad es. una mutazione nel gene CDC28. Avendo a disposizione il mutante cdc28 ed una banca di DNA di lievito prodotta clonando i frammenti di un ceppo di lievito selvatico, possiamo cercare di clonare il gene CDC28 che è alterato nel mutante. Come si può fare? Trasformiamo il ceppo contenente le mutazioni ura3 e cdc28 con la banca preparata in un vettore che contiene il gene URA3 selvatico più tutti gli altri frammenti di DNA che rappresentano nel loro insieme il genoma di lievito. Selezioniamo prima le cellule trasformate, cioè quelle che hanno introdotto i plasmidi della banca, andando a cercare le cellule che saranno diventate Ura+, cioè capaci di crescere in assenza di uracile. Queste dovrebbero però essere temperatura-sensibili, cioè incapaci di crescere alla temperatura non-permissiva perché contenevano la mutazione cdc28. Le cellule trasformate, però, da quel vettore della libreria che contiene il frammento di lievito portante il gene CDC28 selvatico saranno diventate temperatura-resistenti se la mutazione cdc28 (come è il caso) fosse recessiva. In questo modo sono stati clonati tutti i geni CDC e dal loro studio è stata compresa la funzione di ciascuno di essi. Il concetto è però ancora più generale: utilizzando la logica sopra descritta, sono stati clonati tutti i geni di lievito per i quali erano disponibili mutazioni che conferissero fenotipi osservabili sperimentalmente.

3.3 La distruzione dei geni e l’analisi dei loro fenotipi Con il sequenziamento d’interi genomi è oggi possibile iniziare a domandarsi qual è la funzione di ogni singolo gene di un organismo. Uno degli approcci sperimentali più utilizzati è quello di eliminare la funzione di un gene e di verificare se la mancanza di quello specifico gene causi un fenotipo osservabile. Dal fenotipo che si osserva si possono ricavare informazioni importanti sulla funzionalità di quel gene. È ovvio che eliminare la funzione di un gene ha effetti molto diversi a seconda che tale operazione venga eseguita su una cellula (o organismo) aploide o diploide. In una cellula diploide se si distrugge una copia del gene è probabile che la copia rimasta intatta possa essere sufficiente per mantenere la sua funzione e, quindi, non si genera alcun fenotipo alterato. Al contrario, se si tratta di un organismo aploide, la distruzione di un gene può causare la morte della cellula se il gene codifica per una funzione essenziale per la vitalità cellulare. Ancora una volta, il lievito S. cerevisiae, per la sua possibilità di passare dallo stato diploide a quello aploide e viceversa, è stato essenziale per iniziare a porsi domande analoghe a quelle sopra descritte.

Fig. 3.2.1. Costruzione di una libreria di DNA in un vettore plasmidico. Diversi frammenti di DNA di un organismo (colori diversi) sono inseriti nello stesso vettore di clonaggio, ed i plasmidi ricombinanti vengono utilizzati per trasformare cellule di E. coli o lievito. Nella popolazione di plasmidi ricombinanti è rappresentato tutto il genoma dell’organismo utilizzato per la preparazione della libreria.

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Inoltre, il lievito è stato molto utile per sviluppare ed eseguire esperimenti di distruzione genica. Infatti, in cellule di S. cerevisiae fenomeni di ricombinazione avvengono quasi esclusivamente tra sequenze di DNA omologhe (che presentano cioè omologie nella sequenza nucleotidica del DNA). Con il termine di ricombinazione si intendono tutti quei meccanismi che determinano scambi di materiale genetico. Ad es., abbiamo visto che durante la I divisione meiotica i cromosomi omologhi si appaiano e si scambiano materiale genetico attraverso eventi chiamati crossing-over (Fig. 3.3.1). Come già accennato tali eventi sono essenziali per creare variabilità genetica. Quando un frammento di DNA esogeno viene introdotto all’interno di una cellula tramite trasformazione,

se non può replicarsi, viene generalmente degradato dalla cellula stessa. In una piccola percentuale di casi, però, tale frammento di DNA può integrarsi tramite fenomeni di ricombinazione all’interno dei cromosomi della cellula ospite. Nella maggior parte dei casi (ad es. in cellule di mammifero) tale integrazione avviene a caso, secondo meccanismi, detti di ricombinazione illegittima, che non richiedono omologie di sequenza nucleotidica. Nel lievito la maggior parte degli eventi di integrazione avviene, invece, attraverso dei meccanismi di ricombinazione omologa tra sequenze presenti sul tratto di DNA inserito nella cellula tramite trasformazione e sequenze omologhe sui cromosomi di lievito. Come mostrato in Fig. 3.3.2, per inattivare un gene X di nostro interesse si introduce in una cellula diploide di lievito un frammento di DNA che contenga, ai lati di un marcatore selezionabile (come il gene URA3 discusso poco sopra) sequenze identiche alle zone fiancheggianti (a destra e sinistra) il gene che si vuole “distruggere”. Il frammento introdotto nella cellula tramite trasformazione non può replicarsi perché privo di un’origine di replicazione del DNA riconosciuta dal lievito e, quindi, il suo destino è quello di venire perso (la maggior parte dei casi) o di inserirsi all’interno del cromosoma di lievito mediante un doppio crossing-over (Fig. 3.3.2a). Questo è un evento raro, ma selezionabile dal fatto che le poche cellule che avranno subito tale processo saranno Ura+ perché hanno introdotto il gene marcatore URA3. Tali cellule

Fig. 3.3.1. Eventi di ricombinazione (crossing-over) durante la I divisione meiotica danno origine a scambi di DNA tra cromosomi omologhi.

Fig. 3.3.2. Un esperimento di “distruzione genica” in lievito. Vedere testo per i dettagli.

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saranno positivamente selezionabili su un terreno privo di uracile, se avremo avuto l’accortezza di eseguire l’esperimento su mutanti auxotrofi Ura-. L’evento d’integrazione porta all’inattivazione del gene, dato che il gene X è essenzialmente stato sostituito dal gene marcatore URA3. Se l’esperimento è stato eseguito in modo tale che l’integrazione avvenga su una sola delle 2 copie del gene X, potremo anche riuscire a valutare se il gene X codifica o meno per una funzione necessaria per la vitalità cellulare. Se, infatti, facciamo sporificare il ceppo diploide che contiene la distruzione di una copia del gene X cosa ci aspettiamo di trovare? Se il gene X codifica per una funzione necessaria per la vita, le due spore con il gene inattivato che verranno prodotte in meiosi non saranno vitali e non potranno dare origine ad una colonia. Viceversa, se il gene X codifica per una funzione non essenziale per la vitalità cellulare ci aspettiamo che tutte e 4 le spore siano vive e diano origine a colonie (Fig. 3.3.2b). Questa procedura è stata applicata sistematicamente a tutti i 6.000 geni di lievito e si è incominciato a capire quanti sono i geni essenziali e quanti quelli non essenziali. Nel lievito circa un terzo dei geni codificano per funzioni necessarie per la vita. Esperimenti analoghi a quello sopra descritto possono oggi essere compiuti anche in mammiferi, ma la loro esecuzione è estremamente più difficile che in lievito, perchè nei mammiferi, a differenza da quanto accade in lievito, la maggior parte degli eventi di integrazione non avvengono su sequenze omologhe di DNA. La ricombinazione omologa funziona, quindi, come una specie di bisturi molecolare per inserire frammenti di DNA in posizioni precise sui cromosomi. 4. La coltivazione dei lieviti in laboratorio I lieviti sono coltivati in laboratorio facendoli crescere in opportuni terreni di coltura. I terreni di coltura contengono tutti quei materiali biologici o sintetici in grado di fornire un ambiente ottimale per la crescita del lievito in questione. A tale scopo, sono stati sviluppati decine di terreni diversi. I componenti dei terreni più comuni possono comprendere estratti di lieviti, peptone (derivato dall’idrolisi parziale di proteine), etc. Questi composti sono chimicamente poco definiti, per cui i terreni che li contengono sono solitamente chiamati terreni complessi o massimi. Spesso vengono però utilizzati terreni a composizione chimica ben definita, chiamati terreni sintetici o minimi. A questi terreni si aggiungono zuccheri, di solito glucosio, come ulteriore fonte d’energia. I lieviti possono crescere sia in terreni liquidi che in terreni solidi. In questo ultimo caso, viene aggiunto al terreno liquido un agente gelificante come l’agar, un polisaccaride complesso che ad alta temperatura è liquido, ma che a temperatura ambiente determina la solidificazione del terreno. Sia in terreno liquido che in terreno solido, i lieviti crescono meglio a condizioni ambientali definite di temperatura, di pH, di aerazione, etc. La temperatura ottimale per la crescita di S. cerevisiae è normalmente di 30°C. Cellule selvatiche di S. cerevisiae in condizioni ottimali di coltura si dividono circa ogni 70-90 minuti, un tempo di divisione circa 4 volte più lungo di quello di un batterio (20 min.), ma molto più breve del tempo di divisione di altre cellule eucariotiche in coltura (cellule umane in coltura si dividono circa ogni 24 ore). In un terreno liquido è possibile seguire la crescita dei lieviti sia contando direttamente il loro numero al microscopio, sia misurando, con l’utilizzo di uno spettrofotometro, l’aumento della torbidità della coltura che è funzione del numero di lieviti presenti nel terreno. Lieviti piastrati su terreni di coltura solidi daranno origine ad una colonia nell’arco di 1-2 giorni.

4.1 Strumentazione e materiale a disposizione

capsule Petri

beuta e becker

cilindro graduato

microscopio

carta

camice guanti monouso

stuzzicadenti anse sterili

incubatore

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Terreni di crescita per Saccharomyces cerevisiae

Terreno liquido massimo M + G (Massimo + Glucosio) Terreno solido massimo

Estratto di lievito 10 g Peptone 20 g H20 fino a 1000 ml pH 5.4 Al momento dell’uso aggiungere glucosio alla concentrazione finale del 2% (soluzione base di glucosio al 50% in H20; 250 g di glucosio e H20 fino a 500 ml).

M + G + agar al 2 %

Preparazione del terreno minimo per la selezione dei diploidi Autoclavare 344 ml di acqua con 8 grammi agar in una bottiglia da 500 ml. L’agar solidificherà nella bottiglia. Sciogliere l’acqua e agar di una bottiglia in bagnetto a 100°C o in microonde e raffreddare a 65°C. Aggiungere ad una bottiglia i seguenti nutrienti: • 16 ml Glucosio (50% peso/volume) • 40 ml YNB 10 x (6,7 grammi/100ml) YNB = yeast nitrogen base (Difco) Mescolare e versare il terreno nelle capsule petri.

4.2 Principali prefissi e unità di misura usati in biologia cellulare e molecolare Prefisso Simbolo Multiplo o

sottomultiplo Esempio Quantità Simbolo Equivalente

chilo k 103 1 kg è 1.000 grammi litro l

centi c 10-2 1 cm è 0.01 di un metro millilitro ml 10-3 l

(1 mL=1 cm3=1 cc)

milli m 10-3 1 mL è 10-3 di un litro microlitro µl 10-6 l (1 µL = 1 mm3)

micro µ 10-6 1 µm è 10-6 di un metro

nano n 10-9 1 ng è 10-9 di un grammo

pico p 10-12 1 pg è 10-12 di un grammo

5. Protocolli sperimentali

5.1 Esperimento di complementazione Come si può stabilire se due mutazioni che provocano un certo fenotipo riguardano lo stesso gene (in tal caso sarebbero due alleli mutanti), oppure riguardano due geni diversi? Per poter rispondere a questa domanda si fa un test di complementazione. In un esperimento classico di complementazione si incrociano individui parentali omozigoti per mutazioni diverse a generare individui eterozigoti. Se le mutazioni sono alleliche (riguardano cioè lo stesso gene), la prole eterozigote conterrà allo stesso locus solo alleli mutati e quindi fenotipo mutante: m1/m1

Fig. 5.1.1. Schema generale dell’esperimento di complementazione.

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X m2/m2 = m1/m2 cioè fenotipo mutante (Fig. 5.1.1). Se le mutazioni si manifestano in due loci differenti, ciascuno dei parentali omozigoti possiede geni selvatici nell’altro locus. In tal modo la prole eterozigote eredita un allele mutante ed uno selvatico in ciascun locus. In tal caso le mutazioni si complementano e la progenie eterozigote mostra fenotipo selvatico (Fig. 5.1.1). m1/m1 M2/M2 X M1/M1 m2/m2 = m1/M1 M2/m2 cioè fenotipo selvatico L’esperimento di complementazione è facilmente verificabile nel lievito S. cerevisiae disponendo di 2 mutanti aploidi di sesso diverso che contengono mutazioni in due geni diversi che controllano richieste nutrizionali (mutanti auxotrofi) distinte. Prendiamo due ceppi di lievito aploidi noti con la sigla K699 e K217. Caratteristiche genetiche importanti del genotipo dei due ceppi che riguardano le loro esigenze nutrizionali ed il sesso sono indicate qui sotto (ricordatevi la nomenclatura di geni di lievito: geni selvatici in maiuscolo, geni mutati in minuscolo; il tutto scritto in italico; inoltre un secondo numero specifica quale, fra le tante mutazioni, caratterizza il gene mutato): K699 = MATa ade2-1 trp1-1 his3-115 ura3 leu2-3,112 LYS2 K217 = MATalfa ADE2 TRP1 HIS3 URA3 LEU2 lys2 Cosa vuol dire? K699 è di sesso a e porta mutazioni in geni richiesti per la sintesi dell’adenina (ade2-1), del triptofano (trp1-1), dell’istidina (his3-115), dell’uracile (ura3) della leucina (leu2-3), mentre il gene LYS2 richiesto per la sintesi della lisina è selvatico. Le colonie di questo ceppo potrebbero apparire rosse, a causa dell’accumulo di un metabolita rosso che deriva dalla via biosintetica a monte di ade2. K217 è di sesso alfa, porta una mutazione in un gene richiesto per la sintesi della lisina (lys2), mentre porta alleli selvatici in corrispondenza dei geni che sono mutati nel ceppo K699. Cosa succede se si mettono in contatto (si dice “si incrociano”) i due ceppi aploidi K699 e K217? Essendo due ceppi di sesso opposto potranno coniugare e generare un ceppo diploide. Possiamo selezionare in un qualche modo le cellule diploidi che si possono formare durante l’incrocio? Poiché i due ceppi aploidi hanno richieste nutrizionali distinte (uno richiede l’aggiunta di uracile, l’altro di lisina) dovute a mutazioni recessive in due geni distinti, il ceppo diploide che ne deriverà sarà eterozigote per entrambe le mutazioni (che quindi si complementeranno) ed avrà, quindi, fenotipo selvatico. Ne deriva che su una piastra di terreno minimo privo di uracile e di lisina i due ceppi aploidi non potranno crescere e cresceranno solo le cellule diploidi che si sono originate durante la coniugazione (terreno selettivo). Ci sono diversi modi in cui si possono fare coniugare cellule aploidi di lievito di sesso opposto: il più ovvio è quello di mescolare aliquote di colture liquide dei due ceppi, aspettare un po’ di tempo e poi piastrare in condizioni che permettano la selezione dei diploidi.

5.2 Norme di lavoro Durante il lavoro in laboratorio è opportuno seguire queste semplici norme: per chi ha i capelli lunghi: legarsi i capelli con un elastico; prima di cominciare a lavorare, lavarsi le mani; pulire il banco di lavoro con alcol etilico denaturato; prima di cominciare l’esperimento, lo studente verrà familiarizzato con la strumentazione che dovrà utilizzare.

5.3 Coniugazione di cellule di lievito di sesso opposto

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Un modo molto pratico e visivo per far coniugare cellule aploidi consiste nell’effettuare due strisci perpendicolari fra loro, uno con cellule di ceppo a e l’altro con cellule di sesso alfa. I ceppi aploidi diploidizzano perchè coniugano. Materiale che viene fornito agli studenti: una piastra per studente contenente un tappeto (patch) di cellule K699 di sesso a; una piastra contenente un tappeto di cellule K217 di sesso alfa; una piastra pulita con terreno minimo selettivo; due anse o stuzzicadenti. Tutte le fasi del lavoro avvengono in condizioni di sterilità, così come sterili sono le anse e le piastre. Prelevate con un’ansa pulita un po’ di cellule K699 e strisciatele dall’alto verso il basso sulla piastra pulita; prelevate con un’ansa pulita un po’ di cellule K217 e strisciarle da sinistra verso destra sulla stessa piastra usata precedentemente così da incrociare lo striscio verticale fatto precedentemente (Fig. 5.3.1). Nel punto di incrocio tra i due strisci, di fatto, si mescolano le cellule dei due sessi che verranno trascinate dal punto dell’incrocio in poi; incubate la piastra a 30°C nel termostato per 2/3 giorni o a 25°C (temperatura ambiente) per 4/5 giorni; dopo l’incubazione osservate la piastra e si troveranno colonie evidenti solo nella posizione in cui ci saranno cellule diploidi.

5.4 Replica-plating modificato Un classico esperimento di replica-plating per l’individuazione di mutanti di lievito temperatura-sensibili è stato descritto precedentemente. Data la difficoltà di poter disporre di un numero di replicatori sufficiente e di panni di velluto sterile, in laboratorio faremo una procedura modificata anche se la logica dell’esperimento è esattamente la stessa. Gli studenti riceveranno una piastra su cui cellule di lievito selvatiche e temperatura sensibili (ts) in proporzione 1 : 1 hanno dato origine a colonie. Le colonie presenti saranno quindi al 50% costituite da cellule selvatiche e al 50% da cellule ts (temperatura permissiva = 30°C; temperatura non-permissiva = 37°C). Materiale che viene fornito agli studenti: una piastra per studente contenente cellule di lievito selvatiche e mutanti; due piastre con terreno M+G; serie di stuzzicadenti. Con uno stuzzicadenti sterile prendete parte di una colonia e strisciatela successivamente su 2 piastre di M + G che avete opportunamente orientato con un retino (vedi Fig. 5.4.1). Cambiando ogni volta lo stuzzicadenti, ripetete l’operazione per altre 19 colonie, deponendole seguendo lo schema indicato in figura. Incubate una piastra a 30°C e l’altra a 37°C per 2-3 giorni. Confrontate le due piastre. Sulla piastra tenuta a 30°C dovrebbero crescere tutti gli strisci; su quella tenuta a 37°C cresceranno, invece, solo alcuni degli strisci. Infatti le colonie corrispondenti a cellule mutanti ts non dovrebbero dare crescita a 37°C.

Fig. 5.3.1. Schema dell’incrocio tra due ceppi aploidi di lievito di sesso opposto per la selezione dei diploidi (vedi testo).

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5.5 Osservazione al microscopio ottico di cellule di lievito selvatiche e di mutanti cdc bloccati in diverse fasi del ciclo cellulare

1. Osservate al microscopio ottico cellule di Saccharomyces cerevisiae. 2. Analizzate al microscopio la morfologia di cellule selvatiche e di mutanti cdc tenuti alla temperatura permissiva e non-permissiva. 3. Osservate la morfologia delle cellule tenendo presente quanto descritto nel paragrafo 2.9 e cercate di determinare quali cellule sono mutate e in quale fase del ciclo cellulare sono bloccate (quale è il loro fenotipo terminale). 6. Norme di sicurezza in laboratorio Qui di seguito sono elencate alcune norme elementari di sicurezza, che devono essere tassativamente rispettate. Entrando in laboratorio, individuare le vie di fuga, indicate dalla segnaletica verde. In laboratorio indossare sempre il camice. Il camice deve essere chiuso sul davanti, con maniche lunghe e polsini ad elastico. Al termine delle attività, prima di lasciare il laboratorio, togliersi il camice. In ogni caso, non uscire dal laboratorio, per recarsi in altre aree (biblioteca, uffici, bar, ecc.), senza aver prima tolto il camice. Non introdurre in laboratorio borse, zaini o altro materiale non necessario.

a)

b)

Fig. 5.4.1. Esperimento di replica-plating modificato (a) ed esempio di disposizione delle colonie (b).

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Indossare guanti monouso durante la manipolazione di sangue o di materiale da esso derivato non fissato. I guanti devono essere rimossi con attenzione e sostituiti quando sono visibilmente contaminati. I guanti si sfilano rovesciandoli e vanno gettati negli appositi contenitori. Gli studenti che presentano dermatiti o altre lesioni sulle mani, devono indossare guanti protettivi in tutte le fasi di lavoro. I guanti vanno tolti, quando si usino strumenti di qualsiasi natura (telefono, tastiera, strumenti scientifici, maniglie, ecc.). I guanti usati non vanno riutilizzati. Lavare le mani routinariamente, immediatamente dopo la manipolazione di materiali contaminati e, in ogni caso, dopo la fine delle attività, anche quando sono stati indossati i guanti. Lavare sempre le mani prima di lasciare il laboratorio. In laboratorio è vietato mangiare, bere, fumare, portare oggetti alla bocca ed applicare cosmetici. Non pipettare mai con la bocca, ma utilizzare le apposite propipette. Non appoggiare recipienti contenenti liquidi biologici sul bordo del banco di lavoro. Tutto il materiale biologico d'origine umana (sangue, ecc.) deve essere considerato come potenzialmente infetto e pertanto trattato con le necessarie precauzioni. Segnalare immediatamente al personale docente ogni spargimento di materiale biologico (ad es. schizzi di sangue) sul piano di lavoro, affinché si provveda alla decontaminazione con un germicida chimico appropriato (candeggina, ecc.). Decontaminare e pulire sempre, al termine del loro utilizzo, le apparecchiature scientifiche e, al termine della attività, i piani di lavoro. Seguire scrupolosamente le indicazioni di sicurezza riportate nei protocolli di esperimento. Raccogliere tutti i liquidi biologici (sangue, terreni di coltura venuti a contatto con le cellule, cellule, ecc.) in speciali contenitori per rifiuti, che verranno successivamente eliminati previo trattamento con candeggina al 15%. Mettere il materiale disposable (pipette, fiasche ecc.) venuto a contatto con materiale biologico in un sacco apposito, che verrà smaltito mediante incenerimento. Stante i costi elevati dello smaltimento, ridurre il più possibile l’uso del materiale disposable. Segnalare immediatamente al personale docente qualsiasi incidente o la mancanza di materiale di protezione. 7. Domande di autovalutazione Scegli la risposta corretta 1) Una condizione di omozigosi per un dato gene può essere indicata come: a) AB b) Ab c) aa d) aA e) Bb 2) Le leggi di Mendel riguardano le modalità di trasmissione dei caratteri: a) fenotipici b) esclusivamente localizzati su un’unica coppia di cromosomi omologhi c) controllati da più geni d) esclusivamente recessivi e) monofattoriali e localizzati anche su cromosomi diversi 3) Si ha codominanza quando: a) gli alleli dell’omozigote sono AA e aa b) gli alleli dell’eterozigote sono entrambi espressi c) un allele è dominante e l’altro è recessivo d) a livello fenotipico non si manifesta alcun carattere e) il fenotipo dell’eterozigote è una mescolanza dei fenotipi parentali

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4) Nella meiosi il principale evento alla base della formazione delle cellule aploidi è: a) il crossing-over della I divisione meiotica b) la sequenza di due divisioni successive c) l’appaiamento sul piano equatoriale dei cromosomi omologhi d) la formazione di quattro cellule a conclusione della I divisione meiotica e) l’assenza di duplicazione del DNA prima della II divisione meiotica 5) Ceppi aploidi di Saccharomyces cerevisiae coniugano quando la fase del loro ciclo cellulare è: a) S b) G1 c) G2 d) M e) G1 o G2 indistintamente 6) Nella ricerca biologica i lieviti sono particolarmente importanti per studiare: a) i meccanismi molecolari alla base del movimento cellulare b) la penetrazione di farmaci nelle cellule c) i geni che controllano il ciclo cellulare d) la fotoreattività e) l’azione dei radicali liberi 7) Un asco contiene: a) 2 cellule aploidi di sesso a e 2 di sesso alfa b) 4 cellule aploidi identiche c) 4 cellule diploidi identiche d) 2 cellule diploidi di sesso a e 2 di sesso alfa e) 4 cellule di sesso alfa 8) In un ceppo di cellule di sesso α si aggiunge il feromone a. Dopo un certo tempo: a) il feromone ha indotto un cambiamento di tipo sessuale b) le cellule sono bloccate nella fase G1 del ciclo cellulare c) avviene la coniugazione d) si blocca la sporificazione e) le cellule muoiono Individua la risposta errata

9) L’uso degli organismi modello nella ricerca biologica dipende dai seguenti fattori: a) unitarietà dei meccanismi molecolari b) corredi genetici identici all’uomo c) brevi tempi di generazione d) economicità nell’uso e) facilità di manipolazione 10) Nel lievito lo studio della funzione dei geni è favorito: a) dalla ricombinazione omologa b) dalla possibilità di trasformare le cellule c) dall’utilizzo di geni marcatori d) dalla possibilità di disporre di ceppi aploidi e) dalla possibilità di crescita in assenza di ossigeno 11) L’agar è un: a) componente dei terreni di coltura b) agente solidificante c) fattore nutritivo essenziale d) polisaccaride e) composto estratto da alghe

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12) Per sporificazione di cellule eterozigoti che non manifestano fenotipicamente il carattere ts si ottengono i seguenti aschi ( Wild Type; ts): Quali affermazioni sono false? a) il carattere ts è recessivo b) il carattere ts è codominante c) il carattere ts segrega in rapporto 1:1 d) il carattere ts è monofattoriale e) il carattere ts è dominante Completa le affermazioni scegliendo i termini tra quelli indicati 13) Nell’espressione Saccharomyces cerevisiae il primo termine indica .................................., mentre il secondo .................................. (lievito, gruppo, specie, taxon, tipo, cereali, ordine, genere, regno) Stabilisci se le seguenti affermazioni sono vere o false

V F 14) Un esperimento di complementazione in lievito serve per introdurre geni nelle cellule 15) Essendo unicellulari le cellule di lievito sono procariotiche 16) Anche i lieviti sono dotati di parete cellulare 17) I geni di lievito che controllano il ciclo cellulare sono indicati con l’acronimo CDC 18) Il cambiamento di sesso in ceppi aploidi di S. cerevisiae è favorito dalla sostituzione dell’allele presente in MAT con una copia di un allele opposto e non espresso

19) I lieviti auxotrofici crescono nei terreni minimi, senza richiedere l’aggiunta di fattori essenziali per la loro crescita

(Vere: 17, 18, 19) Rispondi alle domande come da richiesta 20) Una cellula 2n=6 svolge il proprio ciclo cellulare. Indica per ciascuna delle fasi il numero delle molecole di DNA presenti: G1 .........................(6) G2 ......................... (12) Profase mitosi ......................... (12) Telofase mitosi ......................... (6 a ogni polo) 21) I lieviti possono procurarsi energia attraverso due differenti processi. Evidenziali completando la tabella.

Reagenti Nome del processo

Condizioni di ossigenazione

Prodotti di reazione

Presenza di O2

Fermentazione

(glucosio e ossigeno – respirazione cellulare – presenza di O2 – CO2 e H2O glucosio – fermentazione – assenza di O2 – alcool etilico CH3CH2OH e CO2)

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22) Rappresenta con un disegno la morfologia delle cellule di lievito nelle varie fasi del ciclo cellulare. (vedi Fig. 2.6.1 a pagina 11)

Fase Morfologia cellulare Fase Morfologia cellulare

G1 G2

S Termine

della citochinesi

23) Associa i valori di temperatura richiesti per la coltivazione di S. cerevisiae corrispondenti alle seguenti indicazioni: temperatura ottimale ............................................. (30°C) temperatura non permissiva ............................................. (37°C) temperatura permissiva ............................................. (30°C) 24) Evidenzia, usando le espressioni “crescita” e “assenza di crescita” quali risultati si prevedono coltivando i seguenti ceppi aploidi di lievito alle condizioni indicate. Ceppo Condizioni colturali Risultati ADE2 assenza di adenina nel terreno ura3 assenza di uracile nel terreno ts incubazione a 30°C (crescita - assenza di crescita – crescita) 8. Glossario

Allele una delle possibili forme alternative che un gene, localizzato in uno specifico sito cromosomico, può assumere.

Aploide organismo o cellula con una sola copia di ciascun cromosoma nell’assetto (n).

Asco struttura a forma di sacco, tipica dei funghi ascomiceti, entro la quale due nuclei aploidi sono racchiusi i prodotti della meiosi che, in lievito, sono normalmente indicati come spore.

Ascomicete organismo appartenente alla divisione Ascomycota all’interno del regno dei Funghi, caratterizzato dalla produzione di spore riproduttive in uno sporangio detto “asco”.

Auxotrofico

aggettivo riferito a un organismo che non è in grado di sintetizzare un particolare composto organico necessario per la propria crescita, che deve quindi assumere dall’ambiente in aggiunta ai nutrienti energetici forniti dall’alimentazione.

Biotecnologie

utilizzo integrato della biochimica, della microbiologia e dell'ingegneria genetica per produrre, a partire da organismi viventi (batteri, lieviti, cellule vegetali o animali di organismi semplici e complessi) quantità commerciali di prodotti utili, per migliorare le caratteristiche di piante e animali, per sviluppare microrganismi utili per usi specifici o, ancora, per sviluppare nuovi strumenti terapeutici nell’uomo e nell’animale.

Carattere monofattoriale (o mendeliano)

carattere ereditario controllato da un singolo gene, la cui trasmissione segue le leggi di Mendel.

Cellula germinale o gamete cellula deputata alla riproduzione (cellula uovo e spermatozoo).

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Centromero regione di un cromosoma dove i due cromatidi identici (fratelli) sono uniti, e dove, per mezzo del cinetocore, si attaccano le fibre del fuso durante la divisione cellulare.

Chitina Polisaccaride formato da catene di glucosio azotate e dotato di elevata resistenza; forma la parete cellulare di alcuni funghi, l’esoscheletro degli artropodi e la cuticola epidermica di alcuni protisti e animali.

Ciclo cellulare

Sequenza ciclica e regolare degli eventi di crescita e divisione; è costituito dalle fasi G1, S, G2 e M

Cinetocoro struttura proteica che si forma sui cromosomi, a livello dei centromeri, alla quale si attaccano i microtubuli durante la divisione cellulare, permettendo il movimento dei cromosomi verso i poli.

Citochinesi o citodieresi divisione del citoplasma e dei suoi organuli in due cellule figlie, durante la divisione cellulare.

Clonaggio produzione di copie identiche di frammenti di DNA, utilizzando la riproduzione di cellule trasformate con un vettore di clonaggio (spesso un plasmide) in cui era stato introdotto il frammento di DNA in oggetto.

Codominanza relazione tra due alleli di un gene, per cui entrambi gli alleli si esprimono fenotipicamente negli individui eterozigoti.

Coniugazione processo di fusione di due cellule di lievito aploidi, una di sesso a e una di sesso alfa, che dà origine a una cellula diploide.

Cromatidio ciascuno dei due filamenti identici (fratelli) in un cromosoma duplicato; sono uniti in un punto detto centromero.

Cromatina filamenti di DNA legati a diversi tipi di proteine (istoniche e non istoniche), che si colorano intensamente e che costituiscono i cromosomi degli eucarioti

Cromosomi omologhi cromosomi di forma simile, presenti nelle cellule diploidi,che contengono informazioni per gli stessi caratteri. In ciascuna coppia di omologhi, un cromosoma è di derivazione materna e l’altro

Cromosoma struttura generalmente allungata, costituita da cromatina, visibile al microscopio ottico durante la divisione cellulare e contenente i geni in successione lineare.

Crossing-over scambio di parti fra cromosomi omologhi durante la prima divisione meiotica che produce nuove combinazioni di alleli

Diploide cellula o organismo avente due copie di ciascun cromosoma (assetto cromosomico 2n).

Divisione riduzionale prima divisione meiotica, in cui si ha la riduzione del numero di cromosomi da diploide ad aploide, mediante separazione (segregazione) dei cromosomi omologhi.

Dominante allele o fenotipo (A) espresso in modo uguale negli omozigoti (AA) e negli eterozigoti (Aa).

Dominanza incompleta (o intermedia)

modalità di trasmissione ereditaria in cui gli eterozigoti hanno un fenotipo intermedio tra i fenotipi dei due omozigoti.

Dominio nella classificazione biologica, il dominio è la categoria tassonomica più ampia comprendente le forme di vita evolutivamente più vicine.

Endonucleasi enzima in grado di scindere una catena polinucleotidica al suo interno, a differenza delle esonucleasi che ne distaccano solo i nucleotidi terminali, in 5‘ o in 3’.

Eterotallico termine usato per descrivere una specie o un ceppo di lievito incapace di modificare il proprio sesso, per cui la riproduzione sessuale può avvenire solo mescolando due ceppi eterotallici di sesso opposto.

Eterozigote organismo o cellula diploide, in cui sono presenti due alleli diversi di uno stesso gene (Aa).

Fase G1 fase di crescita Gap 1 (dall’inglese, gap=intervallo) durante il ciclo cellulare eucariotico, fra la fine della divisione della cellula e la sintesi del DNA.

Fase G2 fase di crescita Gap 2 (dall’inglese, gap=intervallo) durante il ciclo cellulare eucariotico, fra la fine della sintesi del DNA e l’inizio della mitosi.

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Fase M periodo del ciclo cellulare eucariotico durante il quale il nucleo e il citoplasma si dividono; comprende quindi la mitosi o meiosi e la citodieresi.

Fase S periodo del ciclo cellulare eucariotico in cui è sintetizzato DNA (S=sintesi).

Fattore trascrizionale proteina che ha la funzione di iniziare o regolare la trascrizione. I fattori trascrizionali si legano al DNA o ad altre proteine che, a loro volta, si legano al DNA.

Fenotipo insieme delle caratteristiche visibili di un organismo, che risultano dall’interazione tra genotipo e ambiente.

Fenotipo terminale morfologia che assumono cellule di lievito al momento dell’arresto del loro ciclo cellulare.

Fermentazione

insieme di reazioni anaerobiche che consentono di ricavare energia da composti organici in assenza di ossigeno; in particolare, l’acido piruvico prodotto dalla glicolisi può essere trasformato in acido lattico oppure in alcool etilico e CO2.

Feromone molecola prodotta da un organismo la quale altera il comportamento o lo stato fisiologico di un altro individuo della stessa specie.

Fuso mitotico struttura presente nelle cellule in divisione, coinvolta nei movimenti dei cromosomi

Gemma Nei lieviti e in alcuni batteri, escrescenza vegetativa mediante la quale ha luogo la riproduzione asessuata.

Gemmazione forma di riproduzione asessuata, in cui un individuo adulto produce versioni in miniatura di sé stesso, che in seguito si staccano e hanno vita indipendente.

Gene unità ereditaria funzionale corrispondente generalmente al segmento di DNA che codifica una catena polipeptidica o un RNA.

Gene CDC gene implicato nel controllo del ciclo cellulare (CDC=Cell Division Cycle)

Genoma patrimonio genetico di una cellula o di un organismo.

Genoteca (o libreria genomica)

raccolta di molecole clonate di DNA, che rappresenta l’intero genoma di un organismo.

Genotipo costituzione genetica di un organismo.

Linea pura gruppo di organismi geneticamente omogenei per uno o più caratteri; riproducendosi sessualmente, gli organismi di una linea pura generano una progenie con caratteri ereditari identici a quelli dei genitori.

Locus ( plurale loci) posizione fissa su un cromosoma occupata da un dato gene. Nel linguaggio comune il termine viene spesso usato come sinonimo di gene.

Locus MAT nelle cellule aploidi di lievito è il locus, presente sul cromosoma III, in cui si trova il gene che determina il sesso a o alfa dell’organismo.

MATa e MATalfa alleli alternativi del gene che determina il sesso (a o alfa) nel lievito; occupano il locus MAT sul cromosoma III.

Meiosi

processo di divisione cellulare negli eucarioti, comprendente due successive divisioni nucleari in cui il numero di cromosomi viene ridotto da diploide ad aploide e durante il quale avvengono il riassortimento e la segregazione dei geni.

Mitosi

processo di divisione del nucleo eucariotico, mediante il quale i cromosomi duplicati si dividono longitudinalmente e i cromosomi figli si separano per formare due nuclei geneticamente identici; di solito è seguita dalla divisione del citoplasma (citodieresi).

Mutageno aggettivo riferito a tutto ciò che induce una mutazione (agenti chimici, fisici o biologici).

Mutante organismo in cui si è verificata una mutazione che lo rende diverso dal tipo selvatico, ossia dalla forma “normale” presente in natura.

Mutante cdc organismo con una mutazione nei geni che controlano il ciclo cellulare, avente quindi effetti sul corretto svolgimento delllo stesso (CDC=Cell Division Cycle)

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Mutante letale condizionale

organismo con una mutazione che ne determina la morte solo se si verificano determinate condizioni (dette restrittive o non permissive); in presenza invece di condizioni permissive, l’organismo è in grado di sopravvivere. I mutanti ts sono un esempio di mutanti letali condizionali.

Mutante temperatura sensibile (ts)

organismo o cellula che porta una proteina, o una molecola di RNA, alterata geneticamente in modo da comportarsi normalmente a una temperatura, ma in modo anormale ad un’altra temperatura (generalmente più alta).

Mutazione cambiamento del patrimonio genetico ereditabile, raro, improvviso e casuale; può verificarsi spontaneamente oppure essere indotto da agenti chimici o fisici.

Omotallico termine usato per descrivere una specie o un ceppo di lievito i cui individui sono autofertili in quanto in grado di modificare il proprio sesso e quindi di coniugarsi.

Omozigote organismo o cellula diploide che porta alleli identici di uno stesso gene (AA o aa).

Origine di replicazione posizione su una molecola di DNA in cui si inizia la sua duplicazione.

Plasmide

molecola circolare di DNA presente nel citoplasma di numerosi batteri e alcuni lieviti; i plasmidi contengono materiale genetico extracromosomico, possono essere scambiati tra batteri e sono utilizzati in ingegneria genetica come vettori di clonaggio.

Prototrofo aggettivo riferito a organismi in grado di sintetizzare i composti organici necessari alla propria crescita, partendo dai nutrienti forniti dall’alimentazione.

Recessivo allele o fenotipo (a) che si manifesta solo nella condizione di omozigosi.

Replica-plating

tecnica usata in laboratorio per ottenere un numero variabile di piastre con colonie di batteri o lieviti aventi la stessa disposizione spaziale. Su una piastra iniziale viene appoggiato un disco coperto da un “panno” sterile (velluto, membrana di nitrocellulosa o filtro di carta), in modo da farvi aderire qualche cellula per ciascuna colonia. Il panno viene poi premuto su altre piastre sterili che, tenute in incubazione, svilupperanno colonie disposte esattamente come nella piastra iniziale.

Ricombinazione

meccanismo che determina scambio di materiale genico. Più in generale, si intende per ricombinazione qualsiasi processo in cui molecole di DNA sono spezzate e i frammenti sono riuniti in nuove combinazioni. Può avvenire negli esseri viventi, per esempio col crossing-over durante la meiosi, o in vitro, usando DNA purificato ed enzimi che rompono e legano filamenti di DNA.

Ricombinazione illegittima

integrazione di materiale genico in un punto qualsiasi di un cromosoma, senza che ci siano omologie di sequenza nucleotidica.

Ricombinazione omologa scambio di materiale genico che avviene tra sequenze omologhe di DNA.

Scissione mediana riproduzione asessuale in cui un individuo unicellulare si divide in due nuovi individui unicellulari di uguali dimensioni.

Spora

il termine designa in generale cellule disidratate in grado di disperdersi nell’ambiente resistendo a condizioni avverse. Esistono due categorie di spore: endospore o spore di resistenza, formate generalmente dai batteri e dalle quali si sviluppa lo stesso organismo che le ha originate; spore riproduttive, capaci di svilupparsi in un individuo adulto senza fondersi con un’altra cellula. Esse sono prodotte da funghi, piante o protisti per mitosi (mitospore) o per meiosi (meiospore, aploidi, prodotte da un organismo diploide) e sono poi disperse a scopo riproduttivo. Nel caso del lievito, nell’asco si producono delle meiospore.

Sporificazione o sporulazione

processo di formazione di spore riproduttive. Queste si formano all’interno di una struttura cava, unicellulare o pluricellulare, chiamata sporangio. Nei lieviti lo sporangio è detto “asco”.

Telomero l’estremità di un cromosoma eucariotico, costituita da sequenze ripetute di DNA.

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Terreno di coltura

mezzo liquido o solido in cui vengono fatti crescere microrganismi in laboratorio; contiene i nutrienti e i materiali necessari alla sopravvivenza del microrganismo. Si distinguono terreni sintetici, o minimi, per i quali si conosce l’esatta composizione, e terreni complessi, o massimi, di cui non si conosce in modo dettagliato la composizione chimica.

Test di complementazione

analisi che serve a determinare se in due ceppi aploidi mutati di lievito, aventi lo stesso fenotipo, la mutazione si trova sullo stesso gene o su geni diversi. L’analisi si basa sull’osservazione del fenotipo di un ceppo diploide prodotto dall’unione dei mutanti aploidi: se il diploide ha fenotipo normale, la mutazione si trova su geni diversi (le mutazioni “si complementano”); se il fenotipo diploide è mutante, le mutazioni sono sullo stesso gene.

Tipo selvatico (WT) forma normale, non mutata, di un organismo; la forma presente in natura. In inglese Wild Type, da cui la sigla WT.

Trasposizione Spostamento di una sequenza di DNA da un sito ad un altro all’interno del genoma.

YAC dall’inglese, Yeast Artificial Chromosome, ossia cromosomi artificiali di lievito, contenenti centromero, telomeri e origine di replicazione, e usati come vettori per clonare frammenti di DNA della grandezza di 100-3000 kb.

9. Bibliografia e siti web utili • P. PLEVANI, M. FOIANI, G. LUCCHINI, Il lievito: un organismo modello, Le Scienze n. 351, novembre

1997. • The Molecular and Cellular Biology of the Yeast Saccharomyces, Vol. 1, 2 e 3, Cold Spring Harbor

Laboratory Press, 1997. • http://dbb.urmc.rochester.edu/labs/sherman_f/yeast/Index.html 10. Concorso “Una settimana da ricercatore” Al termine delle attività di laboratorio, verrà distribuito agli insegnanti un quizzario con 30 domande da far svolgere in classe e che potrà servire sia come verifica del lavoro svolto che per selezionare lo studente migliore nella classe che avrà la possibilità di partecipare al concorso: “Una settimana da ricercatore”. Il concorso si svolgerà in un pomeriggio del mese di maggio presso l’Università degli Studi di Milano (il pomeriggio della prova verrà comunicato successivamente), attraverso una prova al computer, basata su test interattivi a risposta multipla. Per i primi quindici studenti classificati, il premio consisterà in uno stage presso un laboratorio di ricerca dell’Università degli Studi di Milano nel campo della Genetica molecolare. Lo stage si svolgerà al termine dell’anno scolastico, nei mesi di giugno o luglio. Supervisione di: Prof. Paolo Plevani, Dipartimento di Biologia e Biotecnologie, Università degli Studi di Milano. A cura di: • Prof.ssa Cinzia Grazioli, insegnante di Scienze delle scuole secondarie di secondo grado, distaccata presso il Cus-Mi-Bio • Prof.ssa Maria Grazia Fiorin, IIS “P.Levi”, Bollate • Prof.ssa Cristina Gritti, Liceo Statale “G.Galilei”, Caravaggio • Prof.ssa Maria Teresa Oliveira, IPSIA “Fiocchi”, Lecco • Prof.ssa Olga Pecorari, ITSOS “M.Curie”, Cernusco sul Naviglio • Prof.ssa Maria Rosaria Quarta, IIS “Schiapparelli”, Milano • Prof.ssa Giovanna Tabita, IIS “Leonardo da Vinci”, Cologno Monzese Si ringrazia la Eppendorf Italia